00 27/01/2011 00:23

Alcuni esempi di come approfondire un fruttuoso dialogo senza falsità, senza sincretismi....

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Il dolore nelle religioni monoteiste


Quali spiegazioni offre la fede agli uomini che soffrono


di Mariaelena Finessi

ROMA, mercoledì, 24 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il dolore, tema fra i più universali, visto nell'ottica della scienza, della filosofia e delle religioni. Questo lo scopo del colloquio messo in piedi lo scorso anno dalla facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma. Di quell'incontro, nato anche per tracciare le dimensioni del dolore cronico (tanto ampie da avere pesanti risvolti socio-economici in termini di perdita di lavoro e comparsa di depressione) sono stati pubblicati finalmente gli atti.

A presentarli al pubblico, alcuni giorni fa, tre esponenti – ognuno a proprio modo – delle tre grandi religioni monoteiste, per raccontare come il Cristianesimo, l'Islam e l'Ebraismo risolvono la questione della sofferenza nella vita degli uomini: Gaspare Mura (docente di Filosofia alle Pontificie Università Urbaniana e Lateranense), Khaled Fouad Allam (docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste) e David Meghnagi (docente di Psicologia della Religione e di Pensiero Ebraico).

Premesso che «la sofferenza appartiene alla vicenda storica dell'uomo – come ben spiegò Giovanni Paolo II nel 2000, in occasione del Giubileo degli ammalati -, il quale deve imparare ad accettarla e superarla», è vero che le risposte che le tre religioni monoteiste danno al quesito del dolore, «convergono tutte – per Gaspare Mura - intorno ad una figura simbolica, quella di Giobbe».

«La ragione per cui ci si riannoda al Libro di Giobbe è che questi non è un personaggio storico ma è figura di narrazione simbolica, è un pagano che non appartiene ad alcuna determinata tradizione religiosa». In altri termini, «Giobbe è "l'uomo" che, nella nudità della sua esistenza, pone le supreme questioni sul dolore a rappresentanza di ogni uomo, di ogni epoca e di ogni cultura».

Ulteriore elemento, è che Giobbe non pone questioni astratte intorno al dolore, non domanda come i filosofi il "perché delle cose", «soprattutto Giobbe mostra che non esiste nessuna tecnica, nemmeno quella terapeutica o psicoanalitica, capace di rispondere al senso esistenziale profondo del dolore».

E così, «il fedele dell’Islam vede in Giobbe – continua Mura - la pazienza con cui il vero credente deve accettare dall’Onnipotente non solo i beni, ma anche i mali che nella sua imperscrutabile volontà gli assegna per metterlo alla prova e premiarlo della vittoria; e soprattutto vede nella figura di Giobbe anche un invito a tutti coloro che sono vicini ad un uomo che soffre, a farsi compassionevoli, ad esercitare la virtù della bontà, dell’assistenza, della pietà, cosicché il dolore di uno possa tornare a beneficio di tutti».

«Da Ferdinand de Saussure – spiega poi Allam - sappiamo che la lingua forma la coscienza. Possiamo dunque ricercare le forme verbali che indicano una situazione di dolore nel Corano, perché attraverso esse possiamo riconoscere la semantica del dolore nell’Islam e dunque la percezione che i musulmani hanno di quella esperienza». Non si dice «io sono malato» ma semplicemente «malato», come ad indicare il dominio della malattia sul soggetto. «Si nota come qui l’individuo perda la sua autonomia, perché tutto risulta rimesso alla volontà divina».

Vero è che si «si riesce a sopportare il dolore - aggiunge Meghnagi - se c'è una porta aperta verso il futuro». «Nel rapporto che l'Ebraismo istituisce con Dio, se questo "fallisce", non è sostituito. È reso migliore. Anche in questo caso si ricorre all'esempio di Giobbe che accusa il suo Dio ma non lo nega. Lo richiama alle sue responsabilità, ma non lo rifiuta».

Dopo la Shoah, con l'uomo messo a dura prova, che va chiedendosi dove è Dio ad Auschwitz, «i testi della tradizione non riescono più a dire qualcosa che non rischi di suonare come un insulto. Il lutto ha investito i fondamenti della civiltà e i suoi simboli religiosi. Nei lager se c'è stato miracolo, è di aver continuato a credere nel bene. Nonostante tutto e perché non v'è altra scelta. Non è più Dio a salvare gli uomini, come nelle vecchie teodicee trionfali. È l'uomo a portare sulle spalle l'idea di Dio, a farla esistere per salvare il mondo».

Se voi mi farete esistere - recita un antico Midrash – io esisto.

Quanto al Cristianesimo, può essere citato – tra i tanti – Jung che nel suo celebre "Risposta a Giobbe" afferma che la risposta al perché di Giobbe è il «perché» pronunciato da Cristo sulla croce: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Ovvero è  in Cristo che Dio risponde a Giobbe, accogliendo su di sé il «perché» e la stessa sofferenza di Giobbe. Giacché in Cristo Dio ha veramente incontrato il male e lo ha combattuto e vinto in modo definitivo anche per noi.

«In finale – spiega Mura -, la teologia crucis si fonda sulla grande speranza che l’uomo nutre, di avere Dio non come semplice interlocutore o come spettatore del suo dramma o addirittura come avversario, ma come cobelligerante nella lotta contro il male e la sofferenza. Il Padre, secondo la preghiera insegnata dal Signore, è colui che «libera dal male», cioè è a fianco di ogni uomo per liberarlo dal male e dalla sofferenza».

Il senso profondo del Libro di Giobbe non consiste allora nel chiarire l’enigma del male quanto piuttosto nell’indicarci la maniera in cui è possibile affidarsi a Dio pur nella sofferenza. «Credere a Dio nonostante», dice Ricoeur. «Solo così – conclude Gaspare Mura - è possibile amare Dio senza interesse, rinunciando alla ricompensa per le proprie virtù e rinunciando pure al desiderio di immortalità».

Alla fine, scrive Ricoeur, «è detto che Giobbe è giunto ad amare Dio per nulla, facendo così perdere a Satana la sua scommessa iniziale».


India: mozzata la mano a un professore cattolico accusato di blasfemia


ROMA, mercoledì, 7 luglio 2010 (ZENIT.org).- Un gruppo di sconosciuti ha tagliato la mano e parte del braccio destro di un professore universitario indiano cattolico accusato di aver diffamato Maometto in un questionario per gli esami.

L'attacco è avvenuto il 4 luglio a Muvattupuzha, nel distretto di Ernakulam, nello Stato indiano del Kerala, ricorda l'agenzia AsiaNews.

Il professor TJ Joseph, secondo la ricostruzione della polizia, stava tornando con la famiglia dal servizio domenicale quando è stato fermato vicino casa da un gruppo di persone su un camioncino.

Dopo aver costretto Joseph a uscire dall’auto, gli assalitori lo hanno attaccato con coltelli e spade, recidendogli poi la mano e parte del braccio destro e gettandoli a circa 200 metri di distanza.

Il docente ha subito anche altre profonde ferite sul corpo e necessita di diverse chirurgie plastiche.

Joseph, keralese, che insegna al Newman’s College di Thodupuzha, è libero su cauzione. Lo scorso marzo aveva preparato un questionario per gli esami in un collegio privato e secondo i musulmani aveva inserito delle domande offensive verso Maometto.

Dopo le proteste di alcuni gruppi islamici è stato sospeso dalla scuola. In seguito, ha chiesto scusa pubblicamente per il suo “errore non intenzionale”.

Il Ministro dell’Educazione, M.A. Baby, ha condannato l’accaduto, esprimendo il suo dispiacere perché alcuni hanno trasformato il questionario degli esami in un problema di scontro interreligioso.

Sajan K. George, presidente del Global Council of India Christians (Gcoi), ha condannato “l’atto barbaro” e ha chiesto che “gli assalitori vengano portati davanti alla giustizia presto”.

“Spero non avvenga – come di solito – che la denuncia scompaia negli archivi della polizia, a causa di minacce dei militanti islamici del Kerala”, ha confessato.

“La legge islamica non è la legge del nostro Paese!”, ha aggiunto.

A suo avviso, nello Stato del Kerala si assiste a una crescita dell'estremismo islamico. “Il progetto di questi militanti islamici è provocare pacifiche comunità cristiane e provocare una guerra civile – ha dichiarato –. Il rapido incremento della popolazione musulmana e la loro influenza nelle elezioni fa crescere problemi di sicurezza per i cristiani in tutto il Paese”.

L’attentato è stato condannato anche da molte organizzazioni musulmane, come la Indian Union Muslim League (Iuml), il cui capo supremo, Panakad Hyderali Shiyab Thangal, ha chiesto che i colpevoli vengano perseguiti con durezza e riferendosi al questionario composto da Joseph ha detto che “un errore non può essere corretto con un altro errore”.

Le autorità del Newman’s College hanno dichiarato ad AsiaNews che nella domanda il professor Joseph non intendeva assolutamente offendere la religione musulmana, ma chiedeva solo di precisare la punteggiatura di un racconto sulla storia di un venditore di pesce di nome Muhammad che, nonostante lavori molto, diviene sempre più povero. Disperato, prega Dio e domanda a suo fratello il perché della sua situazione. Il fratello risponde a Muhammad: “Perché tu continui a chiamare Dio, Dio, Dio…”.

La sorella maggiore del professor Joseph, suor Mary Stella Thenganakunnel, ha definito il fratello “un martire del dialogo islamo-cristiano, nel Kerala e in tutto il mondo”.

“Perdoniamo tutti – ha detto a nome della sua famiglia – e non nutriamo né sentimenti di rancore, né di risentimento. Desideriamo solo che le sofferenze di mio fratello possano portare frutti per l’apertura di canali di dialogo fra Cristianesimo e Islam”.

La religiosa, appartenente alla congregazione delle Suore di San Giuseppe di Cluny, ha anche sottolineato “il grandissimo sostegno, tra cui donazioni di sangue, della gente musulmana a poche ore dall’attacco” al docente.

“Mio fratello ha solo parlato di perdono, di perdono, di perdono”, ha aggiunto.

La suora ha infine espresso il suo ringraziamento “al nostro amato Santo Padre Benedetto XVI e alla Chiesa cattolica per le sue iniziative verso il mondo musulmano; iniziative all’insegna del dialogo serio e della comprensione reciproca con i fratelli e le sorelle musulmani”.




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Cardinal Tauran: le religioni devono difendere il patrimonio morale comune


Congresso di responsabili delle religioni mondiali in Kazakistan


ASTANA (Kazakistan), giovedì, 9 lulgio 2009 (ZENIT.org).- "L'unità della famiglia umana è il fondamento ultimo di una solidarietà globale e la base della ricerca di valori etici comuni, che fortunatamente ai nostri giorni suscitano un interesse crescente".

Lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il Cardinale Jean-Louis Tauran, intervenendo alla terza edizione del Congresso dei leader delle religioni mondiali, celebrata ad Astana il 1° e il 2 luglio.

L'incontro è un'iniziativa del Presidente del Kazakistan, Nursultan A. Nazarbayev, dei rappresentanti delle maggiori confessioni religiose del mondo e di personalità di spicco della politica e della cultura internazionali.

Il Congresso è stato dedicato alla riflessione sulla funzione delle religioni nella costruzione di un mondo di tolleranza, di rispetto reciproco e di collaborazione, come ha riportato "L'Osservatore Romano".

Tre tavole rotonde hanno permesso di approfondire temi come il riconoscimento dei valori etici e spirituali per un'etica universale, i possibili ambiti di dialogo e di cooperazione e le prospettive di solidarietà, soprattutto in tempo di crisi.

"I credenti ritengono che l'etica non solo possa produrre norme di comportamento, ma debba anche plasmare la coscienza umana e contribuire a scoprire le esigenze della legge naturale: dobbiamo fare il bene ed evitare il male", ha affermato il Cardinal Tauran.

"Questo è un principio fondamentale che si impone su tutti e che permette il dialogo fra persone di diverse culture e religioni", ha sottolineato.

"In quanto credenti, dunque, dobbiamo riuscire a indicare ai nostri fratelli, uomini e donne, che i nostri valori sono fondamentali per loro al fine di promuovere la comprensione e il riconoscimento reciproci e la cooperazione fra tutti i membri della famiglia umana", ha aggiunto.

Il porporato ha quindi definito la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 "una delle espressioni più alte della coscienza della storia moderna".

A suo avviso, questo testo ha contribuito a rendere gli uomini e le donne del nostro tempo "consapevoli del patrimonio di valori inerenti alla famiglia umana e alla sua dignità".

Allo stesso modo, Tauran ha ricordato l'urgenza di "verificare che nella nostra vita la verità prevalga sull'ambiguità", perché "bisognerebbe contrastare la tendenza a separare i diritti umani dalle dimensioni etica e razionale".

Secondo il Cardinale, il legislatore dovrebbe agire "in modo eticamente responsabile perché la politica non può prescindere dall'etica e il diritto civile e l'ordine legale non possono prescindere dalla superiore legge morale".

"Le grandi saggezze e filosofie religiose devono testimoniare l'esistenza di un patrimonio morale ampiamente condiviso, che forma la base di ogni dialogo su questioni morali", ha commentato.

"Tale patrimonio esprime un messaggio etico universale che l'uomo può decifrare. La forma e l'ampiezza di queste tradizioni possono differire in maniera considerevole secondo culture e situazioni, ma, nonostante questo, ci ricordano l'esistenza di un patrimonio di valori morali comuni a tutti gli esseri umani".








[Modificato da Caterina63 27/01/2011 00:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)