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 "QUELLA NOTTE A ROMA.... QUANDO SORSE L'ARA COELI SUL CAMPIDOGLIO...."


(dalla: " Fiorita di Leggende" , da Betlemme al Calvario, per piccoli e grandi -  del sacerdote Giuseppe Stocchiero - con Imprimatur del 1925 - Vicenza - )


Mille novecento e tant'anni fa, scendeva sulla terra la notte più memoranda, da che mondo è mondo.
I Greci la segnavano l'anno secondo della 193.a Olimpiade, ed i Romani nell'anno 747 "ab Urbe còndita".
E a Roma, appunto quella notte, c'era da temere il finimondo: non un filo d'aria sulla terra, nè un filo di luce dal cielo; le acque del Tevere pareano stagne; nè uccello nè insetto si muoveva.
Tenebre e silenzio; silenzio e tenebre.
Soltanto nel Palatino, nella casa dei Cesari, qualcuno si muoveva ancora.
C'era, là dentro, l'Imperatore di Roma, il grande Augusto, colui che a prezzo di stragi e viltà s'era arraffato l'impero e che adesso, non contento di coprire i suoi vizi con la maschera della mansuetudine, voleva sanare il passato con l'aureola della divintà....

Sicuro! e non diceva egli stesso d'essere il padrone del mondo? Ed il pio poeta Virgilio non aveva forse annunciato un'era nuova, un regno celeste, col nuovo imperatore e presto imminente?
Poteva dunque essere proprio lui, il corrotto padrone d'un regno d'inferno, il nuovo padrone del regno dei pagani?
I suoi stessi amici gli stuzzicavano la sconfinata ambizione e gli gridavano: il divo Augusto abbia il suo tempio in Roma, tra quello di Giove e quello di Giano, e più grande ancora!

Ma il grande Augusto era assai superstizioso, non soltanto ambizioso: la superstizione si, con la quale si celano i vili ed i corrotti tanto da far interrogare il suo Genio sull'opportunità o meno del grande progetto divinatorio...
E quella sera appunto fervevano i preparativi per l'auspicio, riti da compiersi sulla cima del Campidoglio.

Procedevano i littori ed i lampadofori; indi avanzava Augusto nella sua lettiga di prezioso avorio, circondato e seguito dai suoi intimi i quali recavano il sacro fuoco, l'incenso, il coltello, e le due colombe bianche, senza macchie, pronte per essere sacrificate alle divinità propiziatrici.
Quando tutto è pronto pel sacrificio, Augusto prende una colomba....
ma la colomba gli sfugge di mano e scompare, volando nelle tenebre dense.
Ma triste augurio era quello!
Gli amici sacerdoti lo sanno anche loro, il presagio non è buono, ma cercano di confortare l'Imperatore e gli consegnano la seconda colomba, prendendo ogni precauzione...
Ottaviano Augusto la prende fra le mani, e la stringe fra le dita ben chiuse, ma comincia a tremare, impallidisce, la colomba reagisce.... ed anche questa fugge via, scomparendo nel cielo tetro.

Nessuno osa parlare, i sacerdoti restano ammutoliti, Augusto è pallido e vorrebbe scendere, ma come muoversi in quello scenario ritualistico e tetro?
Anche il fuoco s'era spento, e non c'era alito di vento, eran morte anche le fiaccole tanto che i cortigiani sentono un alito di morte....Non un rumor, neppure una stella in cielo, solo tenebre e silenzio.

E pure non erano soli, lassù. No.
Cos'era infatti quell'ombra più oscura lì, vicino, quasi aggrappata alla roccia? Pareva un vecchio inaridito tronco d'ulivo, ma non era, non 'c'era mai stato. Allora, una bestia? No. perchè a guardar bene avea la forma umana. Ah! ecco, era una vecchia, sicuro più vecchia di un ulivo, con la pelle rugosa e scura come quella d'una quercia... ma si, era la Sibilla di Cuma, quella che scriveva il futuro sulle foglie degli alberi...
Appena che la videro, un sudor freddo sulla fronte e un tremito lungo la schiena, tutti li avvolsero, nessuno si mosse, nessuno fece parola....

Poichè la Sibilla era timorata di verità e cercava l'onestà, quella sera fu avvolta dallo Spirito. Il suo sguardo potè varcare oltre le tenebre di Roma, ed oltre il Tevere, oltre i mari.... ma cosa vedeva mai?
Lontano, lontano, le apparve di vedere una luce nuova, ma vista, come una Cometa che s'accendesse sul firmamento, e s'ingrandisse e si dividesse in tanti migliaia di punti luminosi....
Erano Angeli, e battevan l'ali d'oro e scendevan sulla terra scura cantando un canto nuovo!
Vede questi Angeli passar sui prati e sui colli, destando con amor i pastori sonnolenti, accovacciati presso il fuoco, e li vede volar, volar tutti, oltre una città dormiente, fino a raggiunger una capanna povera, isolata; e gli Angeli prendono posto chi sul tetto della capanna, chi sulla porta, chi sembra spiar dalle finestre, finchè tutta l'interno della grotta, s'illumina, si incendia di una luce mai vista.
La Sibilla ha le lacrime agli occhi, continua la descrizione, gli Angeli si uniscono in coro ed intonano: "Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e pace in terra...."
Una commozione pervade l'Universo intero: il cielo si cosparge di stelle, la luna s'accende e abbraccia la terra coi suoi fasci argentei, perfino gli animali sembrano parlare:
gli uccelli sembrano cantar: "Christus natus est!"
il bue muggendo sembra farsi chiedere: "Ubi? - dove -?";
la pecora e la capra sembravano rispondere: "Betlem";
persino un corve parea chiedere: "quando?"
ed altri ancora rispondere: "Hac nocte!"
anche le due colombe fanno ritorno per invitare: "Eamus! - andiamo !"

E così le acque riprendono il loro corso e i venti la loro marcia, perfino i fiori si aprono per donare il loro profumo: tutto sembra una primavera; parea tornar nel mondo, un raggio di Paradiso...

Ma ad un tratto s'ode un grido, la folla grida: "Ave Cesare, divino! Inchiniamoci al novello dio! Si eriga un tempio al nostro divo Augusto...! tutti così gridan e sembran come folli.
Ma Cesare tace.
Non riesce a staccar il suo sguardo dalla Sibilla, avverte un presagio, ficnhè alta e ieratica s'alza la vecchia stendendo una mano verso Oriente ed apre la bocca:
"Ottaviano Augusto! non un dio tu sei! Guarda bene laggiù! "
Augusto, tremante, spalanca gli occhi nella direzione indicata dalla Sibilla, non vede la luce di Paradiso nè scorge gli Angeli, ma può ben vedere una capanna, una porta aperta, e dentro una Mamma giovine e bella, china sulla paglia d'un presepe, donde le sorride un amore di Bimbo....

"Guarda! - continua a dirgli la Sibilla - Quel Bambino sulla paglia è il novello ed unico Iddio che, senza spada, intrighi e vanterie, conquisterà la terra e ascenderà dominatore su questo colle, su tutto l'Urbe ove, e non a te, Ottaviano, non a te, ma al Suo Nome Santo s'innalzeranno i Templi del verace Iddio..."

Ciò detto, scomparve!
Anche le due colombe tronate, presero il volto verso Oriente, come se corressero ad un appuntamento.
Nessuno osò parlare, tutto l'urbe si ammutolì, l'Imperatore e i cortigiani, i militi e il popolo, tutti si ritirarono in mesto silenzio!

La mattina dopo - era il 25 dicembre dell'anno 747 di Roma - Ottaviano, che non aveva dormito per tutta la notte, chiamò a sè tutti i Senatori e, dal suo trono, circondato dalla guardia palatina, ordinò che più nessuno avrebbe dovuto definirlo, pensarlo o chiamarlo "un dio"...
Sì! Augusto aveva creduto alla Sibilla, e proclamò di aver compreso che le immagini che aveva visto, gli avevano infuso una dolcezza indescrivibile e aveva capito che la vera potenza non sta nel proclamarsi un dio, ma nel trovarLo e servirLo, e che un vero Dio non può che essere Colui che infonde pace.
Annunciò ai Senatori che in quella Notte era nato Uno più grande di lui e volle tosto che s'erigesse un'Ara al Primogenito di Dio, sul Campidoglio.

E così fu fatto.
E su quell'ara sorse la Chiesa, che ancor oggi si ammira, e chiamasi "Ara Coeli" !

                                         


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)