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  E non date del “pazzo” a nessuno. Lo stravagante avvertimento di Gesù

Posted on 06/02/2014

                               Gesù. Anche lui è stato capace di arrabbiarsi.

Quell’avvertimento un po’ misterioso e misconosciuto, strano anche, del Nazareno: “Guai a chi darà del pazzo al fratello”. Perché Gesù si indigna quando uno dice “pazzo” ad un fratello? … Ma cosa intende veramente per “pazzo”?

Gesù, che pure è stato capace di indignarsi più volte contro farisei, apostoli e mercanti del tempio, dice che non dobbiamo dire pazzo e stolto al fratello. Perché la pena sarà gravissima. Come mai? Il passo, contenuto nel Vangelo di Matteo, è molto severo. Per essere ben compreso, occorre leggerlo alla luce del contesto. Guardando anche all’autorevole opinione dell’abate Ricciotti, uno che per tutta la vita ha studiato bene l’ambiente, la mentalità e le tradizioni che sono dietro al Nuovo Testamento. Il messaggio di Gesù è forte, ma ancor di più lo è la novità che Lui ha portato con la sua Incarnazione. Lui che non è venuto ad abolire la Legge, ma a darle compimento, ci chiede un passo avanti in linea con quello che è venuto ad insegnarci.

di Dorotea Lancellotti da papalepapale.com

Il Mastino, probabilmente come molti di noi, si sofferma su un brano del Vangelo e me lo sottopone. Il passo è questo: «Avete inteso che fu detto dagli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» (5, 21-37).

E allora mi domanda: «Ma Gesù con chi ce l’ha? Chi intende per “pazzo”? E se uno è pazzo e dice cose da pazzo, perché non dovremmo dargli del pazzo? Che c’è di male a dire “pazzo” a uno? Perché mai Gesù se la prende tanto con questa parola e lo fa indignare tanto? Del resto, è lo stesso Gesù che non lesina termini quantomeno ingiuriosi a chi lo fa indignare: “stolti”, “razza di vipere”, “ipocriti”; a Pietro addirittura dice “vattene via figlio del demonio”. Ma allora?».

Queste, dunque, le domande incalzanti che mi pone il Mastino. Vediamo allora di chiarirgli le idee, spiegando il vero senso di quelle parole in Matteo e perché tanto i termini “stupido” e “pazzo” alterano il Cristo.

Sentiamo cosa dice Ricciotti…

 

Non esiste un trattato patristico, specifico, sull’argomento. La dinamica interpretativa, però, ruota attorno a tutto il contesto della cosiddetta “nuova legge” che Gesù venne a sigillare col proprio sacrificio della Croce.

Ci faremo aiutare dal famoso sacerdote Ricciotti (1890-1964) presbitero, biblista e archeologo italiano, studioso di storia del Cristianesimo e medaglia d’oro al valor militare (come cappellano) nella prima guerra mondiale, che scrisse La vita di Gesù Cristo e si prese cura delle relative note riportate nella Bibbia degli anni Quaranta.

Il discorso del Signore non vuole assolutizzare i termini: piuttosto risponde ad una serie di domande provocatorie dei farisei.  Le tre mancanze citate vanno inserite nel lungo contesto che parte dalla legge e dai profeti. Poco prima infatti Gesù aveva detto: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt.5,17).

Paolo VI, in una udienza del 26 aprile 1978, spiegava: «Gesù non condanna la legge antica, ma la dice incompleta, e promulga la nuova, quella evangelica, e la solleva al livello della perfezione: al fratello è dovuto un rispetto completo; completo nel sentimento interiore, donde il rispetto nasce e si esprime, e completo nella tutela esteriore dovuta alla dignità del fratello, in quanto tale; possiamo dire: in quanto uomo-fratello. Cioè: il Vangelo ci insegna a professare nei sentimenti e negli atti un rispetto tale verso gli uomini nostri simili, nostri fratelli, che un sistema sociale, il quale ammetta come logico e normale l’odio di classe, ovvero l’egoismo di classe, non può certo rivendicare a proprio legittimo ed esclusivo favore».

In definitiva, spiega il Ricciotti, in questi passi si distinguono tre mancanze contro la carità verso il prossimo, a cui corrispondono tre specie di tribunali che dovranno giudicarle ed eventualmente punirle o purificarle. La semplice ira contro il prossimo è già degna d’essere giudicata dall’ordinario tribunale locale. Se l’ira è accompagnata da un insulto, quale chiamareraca (sciocco) una persona, è degna di essere deferita al tribunale supremo della nazione che era, all’epoca, il Sinedrio stabilito a Gerusalemme. Se infine si giungerà a chiamare il prossimo “stolto”, che equivaleva a “empio” e poi ad “ateo”, il colpevole è meritevole del fuoco della Geenna.

In un sermone così la spiega sant’Antonio di Padova: ” Chi non si adira, non uccide; la libertà di adirarsi può essere causa di omicidio. Elimina l’ira e non ci sarà più omicidio. L’ira consiste in ogni cattivo impulso a far del male; l’impulso improvviso, al quale non si acconsente, è una pre-passione, cioè, una malattia interiore. Se vi si aggiunge il consenso, diventa passione, ed è la morte in casa. In questi peccati c’è una gradazione. Il primo stadio consiste nell’arrabbiarsi e nel conservare questo impulso dell’animo, Il secondo quando questo impulso fa alzare la voce e dire cose che feriscono colui con il quale si è arrabbiati. Il terzo quando si arriva a veri e propri insulti e ingiurie, a volte fino all’estremo, con l’omicidio. Parimenti c’è una gradazione anche nella pena.” (Sermoni – Domenica VI dopo Pentecoste). Naturalmente l’ira umana non deve essere confusa con la biblica “ira divina” che nulla ha che vedere con la nostra.



   continua...........





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)