CONTINUA DAL PRECEDENTE.... Si pensi, come esempio, a un padre che ha la responsabilità di figli ancora incapaci di provvedere a se stessi -. (9) L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, dice :- Vuoi non avere da temere l’autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male -. ( Rm 13,3 - 4 ). Quindi, Dio ha affidato ai governanti la spada per punire chi fa il male. Per quanto riguarda il controverso e difficile problema della pena di morte, Giovanni Paolo II dice che esso si colloca all’interno del problema della legittima difesa della società allo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone: - in questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte (…) – (10) La pena di morte, negli insegnamenti più recenti del magistero, viene paragonata ad un mezzo eccezionale come quello della guerra: pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole. Si tratta di un vero e proprio sviluppo della dottrina sul tema, un approfondimento che è in continuità con gli insegnamenti già posseduti dal magistero: nuovi aspetti della verità che vengono messi in luce e si aggiungono a quelli già conosciuti per raggiungere un’intelligenza più profonda della rivelazione e anche per evitare idee pericolose che possono portare all’errore. La pena di morte dovrebbe essere per l’autorità un mezzo del tutto straordinario, un rimedio estremo per mali estremi che non possono essere evitati e prevenuti in altro modo. (11) Si tratta di un’indicazione generale di natura morale che viene data alle autorità civili alle quali appartiene il compito di valutare realisticamente la situazione e giudicare se i mezzi incruenti sono sufficienti per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. La Chiesa vuole ricordare che la prevenzione del crimine non può essere realizzata soltanto mediante il timore delle pene: la prevenzione va fatta prima di tutto a monte, per mezzo di un’educazione dei giovani rispettosa dei valori morali e va fatta soprattutto proteggendo e difendendo l’esistenza e la stabilità dell’istituto familiare perché la dissoluzione della famiglia e il relativismo morale sono cause che favoriscono l’insorgere della delinquenza minorile. Insegnava già San Benedetto da Norcia, nella sua regola, che le punizioni corporali andavano bene per coloro che erano avanzati nella via dello spirito, nella conoscenza della virtù, mentre tali punizioni erano inutili per tutti gli altri perché essi non erano in grado di capirle. Quali casi straordinari potrebbero giustificare il ricorso alla pena di morte? Oggi, nelle società più progredite, con l’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari e forse l’unico caso, che potrebbe rende necessaria tale pena per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, potrebbe essere quello di un fenomeno criminale talmente grave e diffuso da terrorizzare i cittadini e impedire il dovere civico della testimonianza: una tale situazione è simile allo stato di guerra ed è quella che può realizzarsi, per esempio, con il fenomeno mafioso, quando esercita un controllo sul territorio, dispone di un vero e proprio esercito armato, e impedisce, con la pena di morte, la collaborazione e la testimonianza dei cittadini. Qualcuno vede una certa contraddizione tra le esigenze della giustizia e lo spirito delle beatitudini enunciato da Gesù, in particolare le beatitudini dove viene detto: - beati gli afflitti perché saranno consolati – e - beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli ( Mt 5,4 e 5,10 ). Le beatitudini evangeliche, in realtà, non intendono distogliere l’uomo dalla realizzazione della giustizia ma dall’atteggiamento integralista di chi crede di poter realizzare un mondo e una società perfetti per cui finisce per non fare più distinzioni tra Paradiso e mondo, tra Cesare e Dio, tra verità e legge, tra stato e religione, tra fede e vita. Il cristiano, invece, in analogia con quanto si deve praticare nella vita spirituale individuale, deve evitare di confondere la sfera della fede con quella della vita, ma altrettanto deve accuratamente guardarsi dal separare la fede dalla vita. (12) Le beatitudini – (…) permettono di stabilire l’ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura. (…) Le beatitudini preservano dall’idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché “ passa la scena di questo mondo “ ( 1 Cor 7,31 ). (13) Le beatitudini, dunque, possono essere considerate un manifesto contro l’utopia: esse ricordano che in questo mondo non può esistere la perfezione ma è possibile un continuo progresso dell’uomo verso la verità, nel senso che può essere aumentata la comprensione soggettiva della verità e può essere continuamente migliorata la sua applicazione. Dopo queste spiegazioni, come interpretare l’insegnamento di Gesù in merito al – porgere l’altra guancia - ? San Tommaso d’Aquino spiega che Gesù non è venuto ad abolire l’antica legge ma a completarla ( cfr Mt 5,17 ). Queste massime di nostro Signore si riferiscono, in particolare, ai precetti giudiziali dell’antica legge: si tratta del diritto positivo del popolo ebreo che doveva garantire la giustizia. Cristo completa i precetti giudiziali nel senso che ne spiega il vero significato. Gli ebrei credevano lecito il desiderio di vendetta, mentre le pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per odio verso la persona che aveva commesso un delitto. Per questo Cristo dice di amare il nemico e di porgere l’altra guancia. Gli ebrei credevano lecita la cupidigia delle ricchezze per le pene del taglione che comandavano la restituzione dei beni rubati con un sovrappiù di multa, mentre tali pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per desiderio di ricchezza. Ecco perché il Signore dice di essere pronti a cedere di più a chi ci deruba. Tali espressioni evangeliche, dice S. Agostino, vanno intese come – disposizioni d’animo -, altrimenti esse non hanno senso. (14) Giovanni Paolo II nella enciclica Dives in Misericordia dice che – (…) sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi, che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l’esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell’azione; e ciò contrasta con l’essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l’eguaglianza e l’equiparazione tra le parti in conflitto. Questa specie di abuso dell’idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l’azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell’Antico Testamento, l’atteggiamento che si manifestava nelle parole: “ Occhio per occhio e dente per dente “.. Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. E’ ovvio, infatti, che in nome di una presunta giustizia ( ad esempio, storica o di classe ) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. E’ stata appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: summum ius, summa iniuria.. Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia -. (15) La giustizia, da sola, può portare alla negazione di se stessa senza la disposizione d’animo dell’amore per il nemico. Quando Gesù afferma, - (…) io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello – ( Mt 5, 39 - 40 ), cosa realmente vuole dire? Cosa significano queste frasi: sono una metafora o vanno prese alla lettera ? Se queste frasi devono essere seguite alla lettera, un operaio, per esempio, che viene sfruttato dal suo datore di lavoro, non dovrebbe esigere giustizia ma, anzi, dovrebbe favorire il suo ulteriore sfruttamento. Dice Giovanni Paolo II:- Non si tratta qui certamente di acconsentire al male. E neppure ci viene proibita una legittima difesa nei confronti dell’ingiustizia, del sopruso o della violenza. Anzi è a volte soltanto con un’energica difesa, che certe violenze possono e debbono essere respinte. Quello che Gesù ci vuole insegnare innanzitutto con quelle parole, come con le altre (…), è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza -. (16)
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