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6. La risonanza nelle Lettere Pastorali e in quelle di Pietro e di Giuda

Nelle Lettere Pastorali - prima e seconda a Timoteo, lettera a Tito, nelle lettere di Pietro e di Giuda - troviamo una risonanza tutta particolare del messaggio, con molti dettagli che riguardano da vicino il nostro tema. Timoteo e Tito sotto dei pastori impegnati in una attività molteplice: si tratta di organizzare la vita ecclesiale secondo dei quadri più precisi, di stimolarla, di annunciare il Vangelo, di rinnovarne e farne approfondire il contenuto dove è stato annunciato.

In questo quadro complesso acquista rilievo particolare proprio la figura del maestro. Si parla della sua funzione, delle sue qualità, si insiste particolarmente sul tipo di dottrina che deve insegnare.

Esaminiamo da vicino alcuni aspetti, ma per comprenderli dobbiamo prima richiamare il contesto ecclesiale in cui si situano. Le comunità ecclesiali si trovano a vivere in una società pagana che viene da esse accettata come tale, ma con gli stimoli e le tensioni che ne seguono. Le comunità sentono l'esigenza di consolidarsi dal di dentro nei loro valori portanti, sentono anche l'esigenza di mantenere la propria identità in un ambiente che, se anche non è ancora ostile apertamente, è certamente eterogeneo.

Non si chiudono in se stesse: si sottolinea, tra l'altro, l'esigenza di pregare per tutti gli uomini e anche per l'imperatore (1Tim2,1-7). Ma la Chiesa avverte l'esigenza di essere più omogenea che è possibile, di coincidere con se stessa, di sentirsi «colonna e baluardo della verità» (1Tim3,15).

In questo ambiente ecclesiale si trova ad agire Timoteo come maestro. Dovrà esercitare la sua funzione con coraggio, sempre tenendo presente che l'insegnamento della parola deve essere accompagnato da quello della vita: «Annuncia tutte queste cose e insegna. Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma fatti modello dei fedeli nella parola, nella condotta, nell'amore, nella fede, nell'integrità» (1Tim4,11-12).

In questo ambiente pluralistico l'applicazione del Vangelo alla vita si fa inevitabilmente più complessa. Ciò dovrà costituire un arricchimento e portare a una comprensione maggiore del Vangelo, ma sono evidenti i rischi di un movimento centrifugo. Si può scadere nella verbosità. Paolo parla di «battaglie di parole» (1Tim6,4). Si può girare a vuoto finendo in una specie di dilettantismo intellettuale. E Paolo ne è preoccupato. «Annuncia la parola, insisti senza tregua, metti in crisi, rimprovera, esorta con magnanimità e con dottrina. Ci sarà un tempo in cui non sopporteranno la dottrina sana, ma cercheranno di trovare tutti i maestri possibili secondo i loro gusti, col desiderio di ascoltare ciò che accarezza l'orecchio, si allontaneranno dalla verità per rivolgersi a dei miti (2Tim4,2-4).

Per superare queste degenerazioni, per evitare che ne sorgano di nuove, Timoteo e Tito sono invitati a proporre nella loro funzione catechetica una «dottrina sana» (2Tim4,3; Tt1,9; 2,1). Viene da chiedersi che cosa significa questa espressione nuova e la risposta è relativamente semplice. La dottrina sarebbe malata e malsana quando rimanesse su un piano estetizzante - «accarezza l'orecchio» - quando girasse su se stessa senza riuscire ad agganciare la vita, perdendosi magari in elucubrazioni astratte, tipo le ricerche sui «miti» che ritroviamo nella letteratura ellenistica contemporanea.

Ma ci sono - e interessano di più - delle caratteristiche positive che fanno risaltare la sanità della dottrina: «Prendi come tipo di discorsi sani quelli che hai imparato da me», dice Paolo e poi precisa: «Quelli che si muovono nell'ambito dell'amore e della fede di Cristo. Custodisci questo deposito prezioso per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi». E ancora più esplicitamente: «Rimani fedele a ciò che hai imparato e hai creduto, sapendo da chi lo hai imparato. Hai imparato fin dalla giovinezza la Sacra Scrittura, che è in grado di renderti sapiente mediante la fede in Gesù Cristo. Ogni parte della Scrittura è ispirata da Dio ed è utile per la dottrina, per mettere alla prova, per costruire, per educare nella rettitudine: l'uomo di Dio diventa così preparato, adatto a compiere ogni opera buona» (2Tim3,14-17).

La dottrina sarà sana, in ultima analisi, se lo sarà il maestro che la presenta. Questi troverà nel messaggio del Vangelo, e, allargando la prospettiva,
in tutta la Bibbia a partire dall'Antico Testamento, il mezzo più idoneo per acquistare e mantenere la propria efficienza. In un contesto continuo di verifica col messaggio di Cristo e l'Antico Testamento la sua dottrina sarà davvero sana e risanante.

L'interesse per la missione dei maestri si fa sempre più acuta col passare del tempo. Nella seconda Lettera di Pietro e nella Lettera di Giuda - gli ultimi scritti, con tutta probabilità, del Nuovo Testamento - si parla a lungo, con insistenza e anche con preoccupazione, del loro ruolo. La confluenza della cultura ebraica, ellenistica e romana rendeva la risonanza del messaggio ancora più complessa. Il ruolo del maestro diventava insieme più necessario e delicato.

Si comprende allora il richiamo, che non esita ad assumere toni drastici e violenti alla responsabilità di chi insegna. Se un maestro diventasse «falso» - sia nel contenuto che propone, sia nella vita incoerente rispetto a quello che insegna - ciò sarebbe disastroso. La comunità sente che deve camminare, che deve confrontarsi con le culture dell'ambiente: ha paura di sbagliare strada per l'influsso negativo che i «falsi maestri» (cfr.2Pt2,1-22; Gd4,13) possono esercitare su di lei: ma è decisa, nonostante tutto, a continuare il suo cammino e sente che i maestri veri le sono indispensabili per muoversi.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)