00 03/10/2011 16:00
Gentilissimi Caterina e Teofilo,
vi ringrazio dei chiarimenti e inserisco un rapido commento. Infine ho allargato la discussione ad un territorio molto ampio, toccando sino ai fondamenti della questione, ma mi va bene se lo vediamo attraverso piccole finestre un poco alla volta.

Teofilo dice: «esiste una terza possibilità: esiste una vita migliore dopo la morte... la vita terrena ha un valore importante in vista di quella futura perché si riceverà nella misura con cui si saranno messi a frutto i propri talenti.»
Questa è una buona spiegazione da un punto di vista “laterale”, pur difettando di una giustificazione per tutti i casi in cui le persone non hanno proprio la possibilità di “mettere a frutto” i propri talenti. Oltre agli sfortunati bambini denutriti dell'Africa, destinati ad una fine precoce tra gli stenti, senza andare tanto lontano potremmo semplicemente chiederci che possibilità abbia oggi un giovane in Italia di dispiegare le proprie capacità, quando solo uno su tre alla conclusione degli studi trova un lavoro congruente con la sua preparazione, un altro su tre deve accontentarsi di un'occupazione modesta e precaria, e il terzo su tre rimane disoccupato.

Ma la lacuna è subito colmata da Caterina, che puntualizza: «Dio ha un progetto per ogni concepito, anche su quelli abortiti... anche per quelli che muoiono di fame, anche per il bambino malato che vivrà un giorno solo... i progetti di Dio non sono come quelli che noi vogliamo spesso per noi...».
Quindi non dobbiamo domandarci come mai a qualcuno viene concessa la possibilità di sviluppare la propria persona e di realizzare le proprie potenzialità, mentre ad altri viene negata, finanche in maniera drastica e totale, dato che la sua vita viene storpiata fin dai primi momenti. È il “progetto di Dio”, che noi non possiamo neanche lontanamente immaginare quale sia e quali finalità abbia.

Superfluo dire che a me questa spiegazione non piace affatto, ripeterei solo quello che ho espresso nell'ultimo intervento. Ma c'è un'obiezione più forte: dove va a finire il libero arbitrio? In questo quadro, il libero arbitrio esiste solo per chi, pur avendo talenti potenziali da sviluppare, e avendo tutte le disponibilità e le risorse per farlo, per infingardaggine, pigrizia, svogliatezza e accidia, di sua volontà si abbandona al vizio e all'ozio. Per moltissimi altri non esiste alcun libero arbitrio perché non esiste alcuna possibilità di scelta.

Passando a quanto espone Caterina: io non intendevo scendere al dettaglio delle ponderazioni teologiche sul momento in cui il nascituro acquisisce l'anima, il mio era solo un “incipit” giusto per delineare l'argomento. Ma approfondiamo pure anche questo aspetto, ha dei risvolti interessanti.

Dunque, se per “anima” intendiamo “coscienza”, penso che nessuno metta in dubbio che un neonato ne disponga, anche se il suo sistema nervoso non è ancora completamente formato (ed è questa la ragione per cui il bambino piccolissimo ha capacità motorie limitate, non perché la sua muscolatura sia insufficiente).
Risalendo, ovviamente anche prima della nascita si può ragionevolmente presumere che sia cosciente. Un bambino prematuro, del resto, non è in alcun modo incompleto.
Risalendo ancora, ci sarà stato un momento in cui la coscienza si è attivata. Ma quale sarà questo momento? Qualche stadio tra il concepimento e la nascita, avranno ragionato i Dottori della Chiesa a cui si riferisce Caterina: li si può ben capire, e del resto forse non sbagliavano di molto, se hanno deciso che poteva essere il terzo mese, quando si sente il feto muoversi.
Più ragionevolmente ancora, penso che il momento esatto non si possa stabilire. La formazione della coscienza probabilmente è un processo che si sviluppa gradualmente di pari passo con la maturazione delle strutture cerebrali.

Ma questi ragionamenti non risolvono la questione etica e giuridica della tutela del nascituro. In effetti, considerare che il feto disponga di diritti già dal momento del concepimento forse non è errato: situare l'acquisizione dei diritti in un qualsiasi momento diverso della gestazione sarebbe inevitabilmente arbitrario.

Dal punto di vista della religione, però, questo implica di dover attribuire all'embrione ancora allo stato di morula o blastula, prima ancora che sia disceso nell'utero e vi si sia impiantato, la capacità di “ospitare” l'anima.
Ora, sappiamo bene dalla letteratura medica che molte volte il concepimento non va a buon fine perché l'ovocita fecondato non riesce ad insediarsi nell'utero. È una fase molto delicata, e basta un momentaneo squilibrio ormonale (un basso livello di progesterone) per compromettere le caratteristiche dell'ambiente uterino o le secrezioni tubariche necessarie al nutrimento e allo sviluppo di morula e blastocisti.
Appare veramente arduo ipotizzare che “progetto” possa mai avere in mente Dio per un'anima che ha trascorso solo un giorno o addirittura poche ore “ospitata” da un grumo di poche cellule, prima di essere espulsa senza che neppure qualcuno si sia reso conto della sua esistenza.
Altrimenti, bisognerebbe dire che Dio distribuisce le anime “a pioggia” ('ndo cojo cojo, dicono pittorescamente a Roma), e che lo “spreco” di anime conseguente agli aborti precoci o precocissimi non Lo disturba.

Anche per questo dilemma, posso offrire una soluzione. La chiave, ancora una volta, sta nel superamento del punto di vista individualistico. L'essere umano deve essere tutelato non solo quando è già venuto alla luce ed è persona formata, non solo durante la gestazione, non solo dal concepimento, ma anche prima del concepimento, ed è compito della società provvedere a tale tutela.
Questo significa che ad ogni essere umano, prima ancora di venire alla luce, e prima ancora del concepimento, devono essere garantite le migliori possibilità di vivere pienamente la propria esistenza, nei limiti consentiti dalla pratica medica, dalle risorse materiali, dalla disponibilità di attenzioni e affetto.
La procreazione deve essere intrapresa responsabilmente, ma la responsabilità è dell'intera società. Io sono contrario in linea di principio ad affidare ad ordinamenti legislativi la normazione di aspetti fondamentalmente privati della vita dei cittadini, ma in questo caso ci dovrebbe essere un attento controllo sulle competenze genitoriali di chi si appresta ad avere prole, e sulla possibilità di garantire tutto il supporto di cui la prole necessiterà. Se i genitori non hanno le risorse economiche necessarie, deve essere la società a metterle a disposizione, ma non sulla base casuale e disordinata del contributo occasionale e sporadico, ma bensì in maniera pianificata. Qualora la pianificazione non consenta ulteriori aumenti di popolazione, chi vuole avere prole si metta in lista d'attesa.

Ancora più stringenti dovrebbero essere i criteri nel caso sia in discussione la qualità della vita del nascituro. La scienza medica consente di fare prevenzione per molte malattie genetiche o malformazioni gravemente invalidanti. Analogo discorso vale per chi, privo di capacità procreative naturali, vuole comunque avere una prole avvalendosi delle moderne tecniche di fecondazione assistita. Tali tecniche vanno applicate tenendo ben presenti in primo luogo gli interessi del nascituro, non dei genitori più o meno fittizi che vorrebbero un successo riproduttivo a tutti i costi. L'impianto di embrioni perciò va calibrato in modo da rendere massime le probabilità di ottenere un bambino sano, non di rendere massime le probabilità di ottenere in qualche modo una gravidanza, e poi che vada come vada!

E per favore non replicate che ogni vita è degna anche se si tratta di un individuo invalido e menomato. Certo che ogni vita è degna anche se si tratta di un individuo invalido e menomato! Non è questo in discussione, è il fatto che gli invalidi e menomati sicuramente preferirebbero essere sani e normali! Se poi per cause accidentali o comunque fuori dal controllo della moderna scienza medica, una persona viene al mondo con infermità o menomazioni, ovviamente ha diritto a ricevere tutta l'assistenza necessaria per essere messa in condizioni di vivere quanto meglio possibile la propria esistenza mettendo a frutto i propri talenti.

I misteriosi “progetti di Dio” in questo genere di frangenti si rivelano spesso fallimentari. Mi ricordo di un'intervista ascoltata tempo fa alla radio mentre ero in viaggio. L'argomento del programma era la responsabilità professionale dei medici e le cause civili per danni in cui spesso essi vengono coinvolti.
Il professore primario di ginecologia intervistato raccontò che, a suo tempo, era stato interpellato da una coppia di aspiranti genitori per un controllo sull'embrione che la donna portava in grembo. L'analisi purtroppo evidenziò un grave difetto genetico, e quando convocò la coppia per esporre i risultati dell'analisi, suggerì di abortire il feto. Con sua grande meraviglia, i coniugi gli risposero che non solo non volevano interrompere la gravidanza, ma anzi erano felicissimi della notizia. “Noi siamo credenti” - dissero - “e accettiamo con grande gioia la prova che Dio ci vuole imporre; sappiamo bene che sarà un impegno gravoso, ma ci farà guadagnare il paradiso!”. Il professore non ebbe più notizie della coppia per un paio d'anni, finché non ricevette una citazione in giudizio. La coppia di felici sposi cristiani si era separata, la disgraziata creatura che avevano generato era finita in un istituto pubblico, e la donna lo stava accusando di incompetenza professionale e mancata diligenza per non averla informata della gravità del problema e dato l'opportunità di abortire!
Si può immaginare quale sia stato il commento del professore a questa vicenda.
Per conto mio, chiudo qui questa finestra.

Cordiali saluti,
Moreno