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SECONDA PARTE

AUTORITÀ E OBBEDIENZA
NELLA VITA FRATERNA


« Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli »
(Mt 23,8)

Il comandamento nuovo

16. A tutti coloro che cercano Dio, accanto al comandamento « amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente », viene dato il secondo comandamento « simile al primo »: « amerai il prossimo tuo come te stesso » (Mt 22,37-39). Anzi, aggiunge il Signore Gesù: « Amatevi come io vi ho amati », poiché dalla qualità del vostro amore « riconosceranno che siete miei discepoli » (Gv 13,34-35). La costruzione di comunità fraterne costituisce uno degli impegni fondamentali della vita consacrata, a cui i membri della comunità sono chiamati a dedicarsi mossi dallo stesso amore che il Signore ha riversato nei loro cuori. La vita fraterna in comunità, infatti, è un elemento costitutivo della vita religiosa, segno eloquente degli effetti umanizzanti della presenza del Regno di Dio.

Se è vero che non si danno comunità significative senza amore fraterno, è altrettanto vero che una corretta visione dell'obbedienza e dell'autorità può offrire un valido aiuto per vivere nella quotidianità il comandamento dell'amore, specie quando si tratta di affrontare problemi riguardanti il rapporto tra persona e comunità.

L'autorità a servizio della comunità, la comunità a servizio del Regno

17. « Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio » (Rm 8,14): noi siamo dunque sorelle e fratelli nella misura in cui Dio è il Padre che guida con il suo Spirito la comunità di sorelle e fratelli, configurandoli al Figlio suo.

In questo disegno s'inserisce la funzione dell'autorità. I superiori e le superiore, in unione con le persone loro affidate, sono chiamati a edificare in Cristo una comunità fraterna, nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa, per realizzare il suo progetto redentivo.46 L'autorità è, dunque, al servizio della comunità, come il Signore Gesù che lavò i piedi ai suoi discepoli, perché, a sua volta, la comunità sia a servizio del Regno (cf. Gv 13,1-17). Esercitare l'autorità in mezzo ai fratelli significa servirli sull'esempio di Colui che « ha dato la sua vita in riscatto per molti » (Mc 10,45), perché anch'essi diano la vita.

Soltanto se il superiore, da parte sua, vive nell'obbedienza a Cristo e in sincera osservanza della Regola, i membri della comunità possono comprendere che la loro obbedienza al superiore non solo non è contraria alla libertà dei figli di Dio, ma la fa maturare nella conformità a Cristo, obbediente al Padre.47

Docili allo Spirito che conduce all'unità

18. Una medesima chiamata di Dio ha radunato insieme i membri di una comunità o di un Istituto (cf. Col 3,15); un'unica volontà di cercare Dio continua a guidarli. « La vita di comunità è in modo particolare il segno, di fronte alla Chiesa e alla società, del legame che viene dalla medesima chiamata e dalla volontà comune di obbedire ad essa, al di là di ogni diversità di razza e di origine, di lingua e di cultura. Contro lo spirito di discordia e di divisione, autorità e obbedienza risplendono come un segno di quell'unica paternità che viene da Dio, della fraternità nata dallo Spirito, della libertà interiore di chi si fida di Dio, nonostante i limiti umani di quanti lo rappresentano ».48

Lo Spirito rende ciascuno disponibile per il Regno, pur nella differenza di doni e di ruoli (cf. 1 Cor 12,11). L'obbedienza alla sua azione unifica la comunità nella testimonianza della sua presenza, rende gioiosi i passi di tutti (cf. Sl 36,23) e diviene il fondamento della vita fraterna, nella quale tutti obbediscono pur con diversi compiti. La ricerca della volontà di Dio e la disponibilità a compierla è il cemento spirituale che salva il gruppo dalla frammentazione che potrebbe derivare dalle molte soggettività quando sono prive di un principio di unità.

Per una spiritualità di comunione e per una santità comunitaria

19. Una rinnovata concezione antropologica, in questi ultimi anni, ha messo molto più in evidenza l'importanza della dimensione relazionale dell'essere umano. Tale concezione trova ampie conferme nell'immagine di persona umana che emerge dalle Scritture, e, senza dubbio, ha influito anche sul modo di concepire la relazione all'interno della comunità religiosa, rendendola più attenta al valore dell'apertura all'altro- da-sé, alla fecondità del rapporto con la diversità e all'arricchimento che ne deriva ad ognuno.

Tale antropologia relazionale ha pure esercitato un influsso almeno indiretto, come abbiamo già ricordato, sulla spiritualità di comunione, e ha contribuito a rinnovare il concetto di missione, intesa come impegno condiviso con tutti i membri del popolo di Dio, in uno spirito di collaborazione e corresponsabilità. La spiritualità di comunione si prospetta come il clima spirituale della Chiesa all'inizio del terzo millennio e dunque come compito attivo ed esemplare della vita consacrata a tutti i livelli. È la strada maestra di un futuro di vita credente e di testimonianza cristiana. Essa trova il suo irrinunciabile riferimento nel mistero eucaristico, sempre più riconosciuto come centrale, proprio perché « l'Eucaristia è costitutiva dell'essere e dell'agire della Chiesa » e « si mostra alla radice della Chiesa come mistero di comunione ».49

La santità e la missione passano per la comunità, poiché il Signore risorto si fa presente in essa e attraverso di essa,50 rendendola santa e santificando le relazioni. Non ha forse Gesù promesso di esser presente dove due o tre sono riuniti nel suo nome (cf. Mt 18,20)? Il fratello e la sorella diventano in tal modo sacramento di Cristo e dell'incontro con Dio, possibilità concreta di poter vivere il comandamento dell'amore reciproco. Il cammino di santità diventa così percorso che tutta la comunità compie insieme; non solo cammino del singolo, ma sempre più esperienza comunitaria: nell'accoglienza reciproca; nella condivisione dei doni, soprattutto del dono dell'amore, del perdono e della correzione fraterna; nella comune ricerca della volontà del Signore, ricco di grazia e di misericordia; nella disponibilità a farsi carico ognuno del cammino dell'altro.

Nel clima culturale di oggi la santità comunitaria è testimonianza convincente, forse più ancora di quella del singolo: essa manifesta il perenne valore dell'unità, dono lasciatoci dal Signore Gesù. Ciò si fa evidente, in particolare, nelle comunità internazionali e interculturali che richiedono alti livelli di accoglienza e di dialogo.

Il ruolo dell'autorità per la crescita della fraternità

20. La crescita della fraternità è frutto di una carità “ordinata”. Perciò « è necessario che il diritto proprio sia il più possibile esatto nello stabilire le rispettive competenze della comunità, dei diversi Consigli, dei responsabili settoriali e del superiore. La poca chiarezza in questo settore è fonte di confusione e di conflittualità. Anche i “progetti comunitari”, che possono aiutare la partecipazione alla vita comunitaria e alla sua missione nei diversi contesti, dovrebbero avere la preoccupazione di ben definire il ruolo e la competenza dell'autorità, sempre nel rispetto delle Costituzioni ».51

Entro questo quadro, l'autorità promuove la crescita della vita fraterna attraverso il servizio dell'ascolto e del dialogo, la creazione di un clima favorevole alla condivisione e alla corresponsabilità, la partecipazione di tutti alle cose di tutti, il servizio equilibrato al singolo e alla comunità, il discernimento, la promozione dell'obbedienza fraterna.

a) Il servizio dell'ascolto

L'esercizio dell'autorità comporta che essa ascolti volentieri le persone che il Signore le ha affidato.52 San Benedetto insiste: « L'abate convochi tutta la comunità »; « a consiglio siano chiamati tutti », « perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore ».53

L'ascolto è uno dei ministeri principali del superiore, per il quale egli dovrebbe essere sempre disponibile, soprattutto con chi si sente isolato e bisognoso d'attenzione. Ascoltare, infatti, significa accogliere incondizionatamente l'altro, dargli spazio nel proprio cuore. Per questo l'ascolto trasmette affetto e comprensione, dice che l'altro è apprezzato e la sua presenza e il suo parere sono tenuti in considerazione.

Chi presiede deve ricordare che chi non sa ascoltare il fratello o la sorella non sa ascoltare neppure Dio, che un ascolto attento permette di coordinare meglio le energie e i doni che lo Spirito ha dato alla comunità, e anche di tener presenti, nelle decisioni, i limiti e le difficoltà di qualche membro. Il tempo impiegato nell'ascolto non è mai tempo sprecato, e l'ascolto spesso può prevenire crisi e momenti difficili a livello sia individuale che comunitario.

b) La creazione di un clima favorevole al dialogo, alla condivisione e alla corresponsabilità

L'autorità si dovrà preoccupare di creare un ambiente di fiducia, promovendo il riconoscimento delle capacità e delle sensibilità dei singoli. Inoltre alimenterà, con le parole e con i fatti, la convinzione che la fraternità esige partecipazione e quindi informazione.

Accanto all'ascolto, avrà stima del dialogo sincero e libero per condividere i sentimenti, le prospettive e i progetti: in questo clima ognuno potrà veder riconosciuta la propria identità e migliorare le proprie capacità relazionali. Non avrà timore di riconoscere e accettare quei problemi che possono facilmente sorgere dal cercare insieme, dal decidere insieme, dal lavorare insieme, dall'intraprendere insieme le vie migliori per attuare una feconda collaborazione; al contrario, cercherà le cause degli eventuali disagi e incomprensioni, sapendo proporre rimedi, il più possibile condivisi. Si impegnerà, inoltre, a far superare qualsiasi forma di infantilismo e a scoraggiare qualunque tentativo di evitare responsabilità o di eludere impegni gravosi, di chiudersi nel proprio mondo e nei propri interessi o di lavorare in maniera solitaria.

c) La sollecitazione dell'apporto di tutti alle cose di tutti

Chi presiede ha la responsabilità della decisione finale,54 ma deve giungervi non da solo o da sola, bensì valorizzando il più possibile l'apporto libero di tutti i fratelli o di tutte le sorelle. La comunità è tale quale la rendono i suoi membri: dunque sarà fondamentale stimolare e motivare il contributo di tutte le persone, perché ognuna senta il dovere di dare il proprio apporto di carità, competenza e creatività. Tutte le risorse umane vanno infatti potenziate e fatte convergere nel progetto comunitario, motivandole e rispettandole.

Non basta metter in comune i beni materiali, ma ancor più significativa è la comunione dei beni e delle capacità personali, di doti e talenti, di intuizioni e ispirazioni, e più fondamentale ancora e da promuovere è la condivisione dei beni spirituali, dell'ascolto della Parola di Dio, della fede: « il vincolo di fraternità è tanto più forte quanto più centrale e vitale è ciò che si mette in comune ».55

Non tutti, probabilmente, saranno subito ben disposti per questo tipo di condivisione: di fronte ad eventuali resistenze, lungi dal rinunciare al progetto, l'autorità cercherà di bilanciare sapientemente la sollecitazione alla comunione dinamica e intraprendente con l'arte di pazientare, senza pretendere di vedere frutti immediati dei propri sforzi. E riconoscerà che Dio è l'unico Signore che può toccare e cambiare i cuori delle persone.

d) Al servizio del singolo e della comunità

Nell'affidare i diversi incarichi, l'autorità dovrà tener conto della personalità d'ogni fratello o sorella, delle sue difficoltà e predisposizioni, per dar modo a ciascuno, nel rispetto della libertà di tutti, d'esprimere i propri doni; al tempo stesso dovrà necessariamente considerare il bene della comunità e il servizio all'opera ad essa eventualmente affidata.

Non sempre tale composizione di finalità sarà di facile attuazione. Diventerà allora indispensabile l'equilibrio dell'autorità, che si manifesta sia nella capacità di cogliere la positività di ognuno e di utilizzare al meglio le forze disponibili, sia in quella rettitudine di intenzione che la renda interiormente libera, non troppo preoccupata di piacere e compiacere, e chiara nell'indicare il significato vero della missione per la persona consacrata, che non può ridursi alla valorizzazione delle doti di ognuno.

Sarà però altrettanto indispensabile che la persona consacrata accetti con spirito di fede, e dalle mani del Padre, l'incarico affidato, anche quando non è conforme ai suoi desideri e alle sue aspettative, o al suo modo d'intendere la volontà di Dio. Pur potendo esprimere le proprie difficoltà (anzi, manifestandole con schiettezza come contributo alla verità), obbedire in tali casi significa rimettersi alla decisione finale dell'autorità, con la convinzione che tale obbedienza è un apporto prezioso, ancorché sofferto, all'edificazione del Regno.

e) Il discernimento comunitario

« Nella fraternità, animata dallo Spirito, ciascuno intrattiene con l'altro un prezioso dialogo per scoprire la volontà del Padre e tutti riconoscono in chi presiede l'espressione della paternità di Dio e l'esercizio dell'autorità ricevuta da Dio al servizio del discernimento e della comunione ».56

Alcune volte, quando il diritto proprio lo prevede o quando lo richiede la rilevanza della decisione da prendere, la ricerca di una risposta adeguata è affidata al discernimento comunitario, nel quale si tratta di ascoltare ciò che lo Spirito dice alla comunità (cf. Ap 2,7).

Se il discernimento vero e proprio è riservato alle decisioni più importanti, lo spirito del discernimento dovrebbe caratterizzare ogni processo decisionale che coinvolga la comunità. Non dovrebbe mai mancare allora, prima d'ogni decisione, un tempo di preghiera e di riflessione individuale, assieme ad una serie di atteggiamenti importanti per scegliere insieme ciò che è giusto e a Dio gradito. Ecco alcuni di questi atteggiamenti:

– la determinazione a cercare niente altro che la volontà divina, lasciandosi ispirare dal modo di agire di Dio manifestato nella Sante Scritture e nella storia del carisma dell'Istituto, e avendo la consapevolezza che la logica evangelica è spesso “capovolta” di fronte a quella umana che cerca il successo, l'efficienza, il riconoscimento;

– la disponibilità a riconoscere in ogni fratello o sorella la capacità di cogliere la verità, anche se parziale, e perciò ad accoglierne il parere come mediazione per scoprire assieme il volere di Dio, fino al punto di saper riconoscere le idee altrui come migliori delle proprie;

– l'attenzione ai segni dei tempi, alle attese della gente, alle esigenze dei poveri, alle urgenze dell'evangelizzazione, alle priorità della Chiesa universale e particolare, alle indicazioni dei Capitoli e dei superiori maggiori;

– la libertà da pregiudizi, da attaccamenti eccessivi alle proprie idee, da schemi percettivi rigidi o distorti, da schieramenti che esasperano la diversità di vedute;

– il coraggio di motivare le proprie idee e posizioni, ma anche di aprirsi a prospettive nuove e di modificare il proprio punto di vista;

– il fermo proposito di mantenere l'unità in ogni caso, qualunque sia la decisione finale.

Il discernimento comunitario non sostituisce la natura e la funzione dell'autorità, alla quale spetta la decisione finale; tuttavia l'autorità non può ignorare che la comunità è il luogo privilegiato per riconoscere e accogliere la volontà di Dio. In ogni caso, il discernimento è momento tra i più alti della fraternità consacrata, ove risaltano con particolare chiarezza la centralità di Dio quale fine ultimo della ricerca di tutti, come pure la responsabilità e l'apporto di ognuno nel cammino di tutti verso la verità.

f) Discernimento, autorità e obbedienza

L'autorità sarà paziente nel delicato processo del discernimento, che cercherà di garantire nelle sue fasi e sostenere nei passaggi più critici, e sarà ferma nel richiedere l'applicazione di quanto deciso. Sarà attenta a non abdicare alle proprie responsabilità, magari per amore del quieto vivere o per paura di urtare la suscettibilità di qualcuno. Sentirà la responsabilità di non essere latitante in situazioni in cui occorre prendere decisioni chiare e, talvolta, sgradite.57 L'amore vero verso la comunità è proprio ciò che rende l'autorità capace di conciliare fermezza e pazienza, ascolto di ognuno e coraggio di prender decisioni, superando la tentazione di essere sorda e muta.

Si deve osservare, infine, che una comunità non può essere in stato di discernimento continuo. Dopo il tempo del discernimento c'è il tempo dell'obbedienza, cioè dell'esecuzione della decisione: entrambi sono tempi in cui è necessario vivere con spirito obbediente.

g) L'obbedienza fraterna

San Benedetto, verso la fine della sua Regola, afferma: « La virtù dell'obbedienza non deve essere solo esercitata nei confronti dell'abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra di loro, nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell'obbedienza che andranno a Dio ».58 « Essi si prevengano dunque nello stimarsi a vicenda: sopportino con instancabile pazienza le loro infermità fisiche e morali; facciano a gara nell'obbedirsi a vicenda; nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello degli altri ».59 E San Basilio Magno si chiede: « In che modo bisogna obbedire gli uni agli altri? ». E risponde: « Come dei servi ai loro padroni, secondo quanto ci ha ordinato il Signore: Chi vuol essere grande tra di voi, sia ultimo di tutti e servo di tutti (cf. Mc 10, 44); Egli aggiunge poi queste parole ancora più impressionanti: “Come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45); e secondo quanto dice l'Apostolo: “Per mezzo dell'amore dello Spirito, siate servi gli uni degli altri” (Gal 5, 13) ».60

La vera fraternità si fonda sul riconoscimento della dignità del fratello o della sorella, e si attua nell'attenzione all'altro e alle sue necessità, nella capacità di gioire per i suoi doni e le sue realizzazioni, nel mettere a sua disposizione il proprio tempo per ascoltare e lasciarsi illuminare. Ma ciò esige d'essere interiormente liberi.

Non è certamente libero chi è convinto che le sue idee e le sue soluzioni siano sempre le migliori; chi ritiene di poter decidere da solo senza alcuna mediazione per conoscere la volontà divina; chi si pensa sempre nel giusto e non ha dubbi che siano gli altri a dover cambiare; chi pensa solo alle sue cose e non volge nessuna attenzione alle necessità degli altri; chi pensa che obbedire sia cosa d'altri tempi, improponibile in un mondo più evoluto.

Libera, invece, è quella persona che vive costantemente protesa e attenta a cogliere in ogni situazione della vita, e soprattutto in ogni persona che gli vive accanto, una mediazione della volontà del Signore, per quanto misteriosa. Per questo « Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi » (Gal 5,1). Ci ha liberati perché possiamo incontrare Dio lungo le innumerevoli vie dell'esistenza d'ogni giorno.

« Il primo tra voi, si farà vostro schiavo » (Mt 20,27)

21. Anche se oggi l'assunzione delle responsabilità proprie dell'autorità può apparire un fardello particolarmente gravoso, e richiede l'umiltà del farsi servo e serva degli altri, tuttavia è sempre bene ricordare le severe parole che il Signore Gesù rivolge a coloro che sono tentati di rivestire di prestigio mondano la loro autorità: « Colui che vorrà essere il primo tra di voi, si farà vostro schiavo, appunto come il Figlio dell'uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti » (Mt 20,27-28).

Chi cerca nel proprio ufficio un mezzo per emergere o per affermarsi, per farsi servire o per asservire, si pone palesemente al di fuori del modello evangelico dell'autorità. Meritano allora attenzione le parole che San Bernardo rivolgeva a un suo discepolo divenuto successore di Pietro: « Considera se hai fatto progressi sulla via della virtù, della saggezza, dell'intelligenza, della bontà. Sei più arrogante o più umile? Più benevolo o più altezzoso? Più indulgente o più intransigente? Che cosa hai sviluppato in te: il timore di Dio o una pericolosa sfrontatezza? ».61

L'obbedienza, anche nelle migliori condizioni, non è facile; ma è agevolata quando la persona consacrata vede l'autorità mettersi al servizio umile e operoso della fraternità e della missione: un'autorità che, pur con tutti i limiti umani, cerca di ripresentare nel suo agire atteggiamenti e sentimenti del Buon Pastore.

« Prego colei che avrà l'ufficio delle sorelle, – affermava nel suo testamento Santa Chiara d'Assisi – che si studi di presiedere alle altre per virtù e santi costumi, più che per l'ufficio, affinché le sue sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano, non tanto per l'ufficio, ma piuttosto per amore ».62

La vita fraterna come missione

22. Le persone consacrate, guidate dall'autorità, sono chiamate a confrontarsi spesso con il comandamento nuovo, il comandamento che rinnova tutte le cose: « Amatevi come io vi ho amato » (Gv 15,12).

Amarsi come il Signore ha amato significa andare oltre il merito personale dei fratelli e delle sorelle, significa obbedire non ai propri desideri ma a Dio che parla attraverso la condizione e le necessità dei fratelli e delle sorelle. È necessario ricordare che il tempo dedicato a migliorare la qualità della vita fraterna non è tempo sprecato, poiché, come ha ripetutamente sottolineato il compianto Papa Giovanni Paolo II, « tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna ».63

La tensione a realizzare comunità fraterne non è soltanto preparazione alla missione, ma parte integrante di essa, dal momento che « la comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato ».64 Essere in missione come comunità che costruiscono quotidianamente la fraternità, nella continua ricerca della volontà di Dio, significa affermare che, seguendo il Signore Gesù, è possibile realizzare in un modo nuovo e umanizzante la convivenza umana.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)