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[SM=g1740758] dalla Lettera del Senato veneziano a ser Giovanni Moro, nostro ambasciatore presso il serenissimo re d’Aragona [Alfonso V] (in La caduta di Costantinopoli. L’eco nel mondo, a cura di A. Pertusi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2007, pp. 25-27)
Rimanete dunque a disposizione e vi invitiamo a voler dare tale notizia al serenissimo signor re con quelle parole e in quei modi che sembreranno opportuni alla vostra saggezza e avvertirlo che d'ora in poi sarà assolutamente necessario che tutte le potenze cristiane si risveglino e si mettano d'accordo in modo che ci si possa opporre in tempo utile ai pericoli che sovrastano i cristiani.

dalla Lettera del Senato veneziano a ser ]acopo Loredan (in La caduta di Costantinopoli. L’eco nel mondo, a cura di A. Pertusi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2007, p. 27)
[5 luglio 1453]

A ser ]acopo Loredan, capitano generale del mare.
Siamo stati informati dalla vostra lettera e dalla relazione del nostro capitano delle galere di Romania [= Lodovico Diedo] sulla sciagura della città di Costantinopoli. Quanto dispiacere ne abbiamo provato e quanto dolore, potete immaginarlo voi stesso. Che cosa però sia successo in seguito, non riusciamo a saperlo. Riteniamo però che il gran Turco si comporterà come si comportò il padre suo quando si impadronì di Salonicco, che preferì poi rimanere in pace con noi. E noi, per quanto sta in noi, intendiamo rimanere in pace con lui. Di conseguenza siamo dell'idea che il nobil uomo Bartolomeo Marcello, nostro ambasciatore, sia giustamente rimasto a Negroponte. Deliberiamo quindi ed esigiamo che intraprenda il suo viaggio alla volta del detto Turco. Ordiniamo dunque e assieme al nostro Consiglio dei Rogati vi diamo mandato di adoperarvi perché si ottenga attraverso ogni via e modo possibile un salvacondotto per il detto ambasciatore nostro e per coloro che lo accompagneranno ed anche per coloro che lo trasporteranno o altro documento che abitualmente suole esser dato dai turchi agli ambasciatori che si recano alla presenza sua [= del gran Turco]...

da una lettera di fra Girolamo da Firenze, vicario dei frati minori dell’isola di Candia, 5 luglio 1453 (in La caduta di Costantinopoli. L’eco nel mondo, a cura di A. Pertusi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2007, pp. 33-37)
Questo solo si può dire, eminente padre: una sciagura del genere, di cui non si udì mai l'uguale dall'inizio del secolo, fu tanto spaventosa e orrenda, quanto l'evento in sé degno della nostra pietà. In realtà, perfino i soldati turchi, benché fossero scatenati nel loro furore contro i cristiani, erano spinti ad una certa pietà unicamente per impulso della loro natura umana. Il loro sultano invece, lui solo, Mehmed, che non può esser detto certo un uomo, ma una fiera pericolosissima, privo di ogni senso di umanità, sembrava riempirsi in modo incredibile, senza riuscire a saziarsi, del sangue dei cristiani. [...] In realtà, padre molto venerando, che ci serve fermarci ai lamenti e alle nostre sofferenze? È necessario ricorrere ai rimedi, non al pianto. Tra le disgrazie infatti pende sul nostro capo una spada, e questo despota, il più crudele fra quanti mai furono contro i cristiani, segue un piano terribile, malvagio, pieno insomma di spirito diabolico; ha pure a propria disposizione forze potenti di terra e di mare, è un signore troppo inorgoglito della sua ultima vittoria, per sua natura pieno di superbia, interamente nemico della croce di Cristo e infame bestemmiatore del nome di Cristo, disposto infine a spargere anche il proprio sangue pur di infierire mortalmente contro i cristiani. Ciò malgrado, nessun piano suo, per quanto malvagio, nessun potenziale suo di guerra, per quanto grande, gli sarebbe valso e gli avrebbe giovato, se a tempo debito e in modo opportuno i cristiani, d'amore e d'accordo, si fossero opposti a questo eccidio e avessero garantito tale terra ad un prezzo conveniente, non elevato. Ma fu forse la pietà divina a permettere ciò. Ed ora la potenza e il valore dei cristiani, che sono pieni di spavento, sorgano in armi in modo più coraggioso e virile, come è necessario, con l'aiuto del signor nostro Gesù Cristo: si tratta della sua difesa. [...] Vi scongiuriamo e supplici preghiamo in ginocchio vostra Clemenza in favore della giusta fede, nel nome di Gesù Cristo Dio, della verissima fede cristiana, che voi possedete, per tutto il vostro modo di vivere e per la vostra umanità, quale altra non fu mai vista nei rapporti da uomo a uomo, nella persuasione che, per quanto vostra Signoria lo riterrà opportuno, voglia rivolgere le proprie insistenti preghiere ai piedi del santissimo signore nostro il papa e alle orecchie pie dei reverendissimi signori cardinali, a quelle dell'imperatore, di tutti i re e principi e di tutte le potenze cristiane, fino a che la cristianità non sorga in armi al più presto e con le forze necessarie, fino a quando i nemici della croce di Cristo non saranno dispersi.

da una Lettera di Enea Silvio Piccolomini a papa Nicolò V (in La caduta di Costantinopoli. L’eco nel mondo, a cura di A. Pertusi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2007, pp. 45-59)
Enea, vescovo di Siena, si raccomanda a Nicolò V, papa universale, signore nostro santissimo .
... Ma che dire della notizia terribile or ora giunta su Costantinopoli? La mia mano, mentre scrivo, trema, l’animo mio inorridisce; lo sdegno non mi permette di tacere, il dolore non mi concede di parlare. Povera cristianità! Io mi vergogno di vivere: almeno fossi io morto per mia fortuna prima che ciò accadesse! L'Italia, la Germania, la Gallia e la Spagna sono in buona parte sane e salve, e purtroppo - che vergogna! ­- abbiamo permesso che l'illustre città di Costantinopoli cadesse preda dei turchi effeminati. [...]
La città che dopo Costantino aveva resistito per più di mille e cento anni e che non era mai caduta in potere degli infedeli, è andata incontro ora, in quest'anno infausto, alla distruzione da parte dei turchi, gente quanto mai spregevole. Anche Roma nell'anno 1164 dalla sua fondazione si racconta che abbia subito distruzioni da parte di Alarico, re dei goti; ma questi ordinò che le chiese dei santi non fossero violate. Chi potrebbe dubitare che i turchi invece abbiano infierito contro le chiese di Dio? Soffro al pensiero che il tempio di Santa Sofia, famosissimo in tutto il mondo, sia stato distrutto o profanato, che le numerosissime basiliche dedicate ai santi, vere opere d'arte, siano state rovinate o contaminate dalla sozzura di Maometto. Che dire poi dei libri, che si trovavano in essa in grandissimo numero, non ancor noti a noi latini? Ahi, quanti nomi di grandi scrittori ora scompariranno? Questa è una seconda morte per Omero, un secondo trapasso per Platone: dove potremo ora ricercare le opere geniali dei filosofi e dei poeti greci? La fonte della poesia è scomparsa... Tutto ciò turba e affligge profondamente il mio cuore, santissimo Padre, poiché vedo esser distrutte ad un tempo la fede e la cultura, e perché questo è avvenuto per la nostra incapacità di agire, di noi che guardiamo soltanto alle cose immediate; ché se avessimo animi più pronti a servire la comunità cristiana, non ci sarebbe stata inferta certo una disfatta tanto vergognosa. [...]
Quella fama che aveva avuto Atene come sede del sapere al tempo di Roma, l'aveva avuta Costantinopoli al nostro tempo. Di lì ci venne ridato Platone, di lì Aristotele, Demostene, Senofonte, Tucidide, Basilio, Dionigi, Origene, e molte opere di altri sono state svelate ai latini ai giorni nostri, molte altre speravamo che ci sarebbero state svelate in futuro
. Ma ora, con la vittoria dei turchi, che hanno conquistato tutto ciò che possedeva la potenza bizantina, credo che sia la fine per le lettere greche ... Ora, sotto il dominio dei turchi accadrà ben diversamente che non sotto il dominio dei romani [...]
Che cosa è che ora abbiamo perduto? Certo, la città imperiale, la capitale dell'impero d'Oriente, la più alta sede del popolo greco, il secondo seggio patriarcale. Ahi! Come mai, o religione cristiana, che un tempo ti estendevi per largo tratto, ti sei cosi ristretta e venuta meno?
Dei quattro più grandi patriarchi non ti rimane che quello soltanto di Roma? Come puoi ancora sopravvivere dal momento che ti son state sottratte tre delle quattro colonne su cui stava tutto l'edificio della Chiesa? Hai perduto uno dei tuoi due occhi. Se la misericordia divina non rivolge il suo sguardo su di te, c'è poco da sperare che tu possa salvarti.
I turchi in effetti occupano parte dell'Albania: che succederà se ora sfrutteranno la loro vittoria, come potrà resistere Durazzo di fronte alla potenza dei turchi, contro la quale non poté resistere nemmeno Costantinopoli? E poi, chi difenderà Brindisi, che si trova vicina, dalla parte italiana? Chiuderanno l'Adriatico?
Sarebbe una catastrofe per i veneziani, ma ancor più per tutta la cristianità, che, sconfitti i veneziani, non avrà più il dominio del mare. Né i catalani né i genovesi, benché siano molto potenti, sono in grado di misurarsi con i turchi senza i veneziani [...] La spada dei turchi pende ormai sulle nostre teste, e noi ci facciamo la guerra l'un l'altro, perseguitiamo i nostri fratelli e permettiamo che i nemici della croce infieriscano contro di noi.

da una Lettera di Enea Silvio Piccolomini a Leonardo Benvoglienti, ambasciatore presso l’illustre Repubblica di Venezia (in La caduta di Costantinopoli. L’eco nel mondo, a cura di A. Pertusi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2007, p. 63)
Ciò malgrado accolgo la tua opinione, mi rendo conto che si prepara un brutto futuro per la sorte dei cristiani, se il furore del nemico non sarà contenuto attraverso il consenso unanime dei cristiani. Quando vedo l'ignavia dei nostri principi e le inimicizie particolari tra popolo e popolo, mi sembra di vedere lo sterminio di tutti noi. Siamo tutti degli agenti del Turco, tutti prepariamo la strada a Mehmed; mentre vogliamo tutti, ad uno ad uno, imperare, tutti stiamo perdendo l'impero. Ci preoccupiamo del nostro utile personale, nessuna preoccupazione abbiamo per la comunità, siamo schiavi dei nostri sentimenti, delle nostre passioni. Da una parte il re Alfonso ed i veneziani, dall'altra fiorentini e milanesi continuano a farsi violenze. Gli uni e gli altri chiedono vendetta; pochi piangono sulle violenze fatte a Cristo, nessuno le vendica.



[SM=g1740771]  continua..........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)