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8/ La vita di Bessarione a Roma, l’Accademia di Bessarione e la Biblioteca Marciana

-la salvezza di alcuni Codici da Costantinopoli, ma soprattutto la venuta di umanisti che conoscevano il greco e potevano valorizzare i testi antichi

Il manoscritto dell’A Diogneto fu scoperto casualmente nel 1436 a Costantinopoli, pochi anni prima della caduta della capitale dell’impero bizantino. Il Codice che conteneva l’A Diogneto fu notato in una pescheria, ove era adibito a carta da imballaggio (così S. Zincone, nell’Introduzione alla sua traduzione dell’A Diogneto, Borla, Roma, 1977, p. 7).
Il manoscritto cartaceo di 260 pagine, che si suole designare con la lettera F, conteneva 22 scritti di genere apologetico, di epoche diverse; i primi 5 erano attribuiti dal copista a Giustino filosofo e di questi l’ultimo è l’A Diogneto. L’erronea attribuzione fece sì che, per un certo tempo, l’A Diogneto fosse attribuita a Giustino stesso. L’editio princeps è del 1592. Dopo varie peripezie il documento arrivò nella Biblioteca municipale di Strasburgo dove fu distrutto nel 1870 in seguito ad un bombardamento dell’artiglieria prussiana.

-abbiamo già visto la questione filologica di San Basilio

-in Bessarione abbiamo anche la filologia biblica, a partire dal latino Maniacutia

che aveva fatto una revisione testuale del Salterio "iuxta Hebraeos", mirando a riportare al tenore originario la versione latina che ne aveva dato San Girolamo e che aveva scritto un Suffraganeus bibliothecae; Bessarione lo cononsce e lo cita

da Bessarione, Lettera a Michele Apostolio, G. L. Coluccia, Basilio Bessarione. Lo spirito greco e l’occidente, Olschki, 2009, p. 128
Ora chi basterebbe a riaprire la piaga dei nostri mali, tutti tanto grandi da non aver lamento che basti? Ma temo ne vengano di peggiori: non per i Greci - noi ormai siamo come morti - bensì per gli altri Cristiani, in specie, credo, per gli Italiani, i quali mettono tutto il loro impegno ad aprire e anzi ad appianare la via al nemico; e ciò non solo in quanto sottovalutano i preparativi che si hanno da fare contro il Turco - questo sarebbe il meno - ma soprattutto in quanto, insidiandosi e facendosi continuamente guerra a vicenda, lo vanno favorendo immensamente. A me che pure avevo vaticinato loro quello che sarebbe successo, ora come allora non credono; [...] proprio a loro mancano non poche opere della nostra cultura sacra e profana: quando era ancora in piedi quel comune focolare di tutti i Greci, la nostra povera Città, non ci pensavo, ben sapendo che era tutto al sicuro, riposto nelle sue biblioteche, ma ora che, ahimè, essa è caduta, bisogna che io le possegga tutte, non per me, che di libri per la mia personale formazione ne ho abbastanza, ma perché, se mai i Greci sopravvivessero e riacquistassero importanza politica (ché molte e molte possono succedere nella vicenda dei secoli), essi abbiano un luogo sicuro ove trovare quel che è rimasto della loro letteratura e, trovatala, ne approfittino e la vadano anzi aumentando; non succeda insomma che, come nel passato si sono perdute quelle numerose, grandi opere di quei divini uomini, ora vadano perdute queste poche che si sono salvate e i Greci rimangano senza la loro cultura, in nulla diversi ormai, da barbari e schiavi.

da Giorgio Scolario, Apologia, in in G. L. Coluccia, Basilio Bessarione. Lo spirito greco e l’occidente, Olschki, 2009, p. 261
Quelli di loro [N.d.R. i latini] che hanno fama d'incolti, sono assai più sapienti dei nostri letterati, i quali usurpano il nome di dotti, ma eccetto due o tre, tutti gli altri non posseggono nemmeno l'abc del sapere. E sta il fatto che fra i Latini Aristotele e Platone si sentono maestri e tengono scuola e godono del culto di questi loro scolari, uomini stranieri, dei quali non si sarebbero mai aspettato di capitar tra le mani; da noi invece rappresentano un peso morto e già da gran pezzo si sono rassegnati a rimanere in silenzio, non essendovi più chi li ascolti: tesoro inutile e sorgente cristallina e dolcissima che giacciono interrati e che nessuno si cura di disseppellire e di far scaturire dal suolo; e ciò succede in un popolo presso il quale essi non si sarebbero mai aspettati di esser ridotti al silenzio e di rimanere avvolti nell' ombra dell' oblio.

da Bessarione, In calumniatorem Platonis
Li ritengo tutti e due [Aristotele e Platone] molto saggi, degni di viva gratitudine per il beneficio reso all'umanità
... Non approvo però né la preesistenza delle anime, né la moltitudine di dèi, né l'attribuzione delle anime al cielo e alle stelle, né tante altre cose che la Chiesa condanna nei pagani.

dalla Lettera di Bessarione a Cristoforo Moro del 31 maggio 1468 in G. L. Coluccia, Basilio Bessarione. Lo spirito greco e l’occidente, Olschki, 2009, p. 277-278
Mi sono sforzato dalla più tenera età senza risparmiare fatiche doveri impegni nel procurarmi libri di ogni specie di disciplina. Pertanto ne ho trascritto molti io stesso non solo da ragazzo e da giovane, ma per acquistarli ho speso il poco denaro che la semplice frugalità mi consentiva di risparmiare
. In realtà avevo l'impressione di non essere in grado di procurare cose più degne e più importanti né tesori più vantaggiosi e apprezzabili. I libri sono pieni di parole dei sapienti, di esempi degli antichi, di costumi, leggi, religione. I libri vivono, dialogano, parlano con noi, ammaestrano, confortano, ci fanno presenti, perché ce le mettono sotto gli occhi le cose lontanissime dalla nostra memoria. Il loro potere è sì grande, la loro dignità, la maestà, e quindi la santità, che se ci mancassero i libri, saremmo tutti analfabeti e ignoranti, senza ricordo del passato, senza esempio; non avremmo conoscenza di cose umane e divine. La stessa urna che conserva i corpi degli uomini, cancellerebbe i loro nomi. Sebbene di tutto questo mi fossi occupato con ogni impegno, dopo il crollo della Grecia e la desolata schiavitù di Bisanzio, ho rivolto alla ricerca dei libri della cultura greca interamente le mie forze ansie azioni capacità diligenza. Mi si era affacciato nell'animo un timore gravissimo che, insieme alle altre cose, anche i tanti libri di straordinaria importanza, i sacrifici e le veglie di tanti ingegni, e la grande luce del mondo si trovassero improvvisamente nel pericolo e andassero in rovina, come abbiamo subito anche in passato un grande danno: di duecentoventimila libri che secondo Plutarco erano nella biblioteca di Apamea, appena un migliaio sono restati nella nostra epoca.
Ci siamo sforzati, come potevamo, di recuperare non molti libri ma solo quelli veramente importanti e ogni volume di ciascun' opera, e così abbiamo raccolto l'intera opera quasi dei sapienti di Grecia, specialmente i libri rari e difficili da trovare. D'altra parte, quando spesso ripensavo a queste cose, credevo di aver soddisfatto così poco il mio desiderio, se non avessi allo stesso modo provveduto che i libri, raccolti con grande passione e sacrificio, fossero durante la mia vita ordinati in modo che alla mia morte non potessero essere dispersi o alienati, ma fossero conservati in qualche luogo sicuro e agevole, per comodità comune sia ai Greci sia ai Latini. Pensando a ciò e ripassando con l'animo molte città d'Italia, mi si presenta solo la vostra nobile e grandissima città, nella quale il mio animo fosse del tutto tranquillo. Dapprima in realtà non vedevo quale luogo più sicuro io potessi scegliere di quello che si regge sulla giustizia, che è saldo per le leggi, si governa con onestà e saggezza, dove risiedono virtù moderazione serietà giustizia e fedeltà, dove il potere per quanto assai grande ed esteso, è tuttavia equilibrato e moderato, gli animi sono liberi nelle decisioni, non succubi della passione né della violenza, i prudenti moderano il potere, i buoni sono preferiti ai disonesti, e dimentichi degli interessi privati si prendono cura di tutto il corpo della Repubblica nel consenso unanime e nella più grande trasparenza.
Da questo c'è da sperare che la vostra città, da me scelta, diffonderà sempre più nei giorni le sue energie e il suo nome.
Iniziando di qui capivo che nessun luogo poteva essere scelto da me, più idoneo e più vantaggioso soprattutto ai nostri uomini. Dal momento che nella vostra città confluiscono in prevalenza quasi tutte le nazioni del mondo (= d'Europa), in maggioranza i Greci, che muovendo dalle loro provincie, prima approdano a Venezia, stretti per altro dalla necessità insieme con voi, da sembrare che entrano in una seconda Bisanzio, le volte che si avvicinano alla vostra città. Per questi fatti come potrò disporre questo beneficio più rettamente di quanto presso quegli uomini, ai quali io sono legato e vincolato dai loro benefici verso di me, e in quella città da me scelta come patria, dopo l'asservimento della Grecia, e nella quale sono stato da voi chiamato e accolto con grandissimo onore? Dunque, consapevole di essere mortale e considerando la mia età senescente, piena di acciacchi che mi affliggono, e di altre cose che accadono, ho fatto dono di tutti i miei libri nelle due lingue e li ho assegnati alla sacra casa di San Marco della vostra nobile città. Sento di dover alla patria tale animo sia della vostra superiorità che della mia gratitudine, e che avete voluto mi fosse comune, in modo che voi e i posteri liberi (che ritenete che con la virtù e la saggezza vostra e i molti benefici verso me io sia aggiunto, assegnato e vincolato) comprendete i frutti fecondi e continui di tali miei lavori, e di qui, gli altri che saranno studiosi delle buone discipline, capiscono per vostro mezzo. A tal fine spediamo alle eccellenze vostre la medesima donazione e l'indice dei libri e il decreto del papa (Paolo II), con preghiera a Dio che avvenga alla vostra repubblica tutto in beneficio, felicemente e prosperamente, e abbia pace, tranquillità, riposo e unione dei cuori perenne. Saluti e serenità alle eccellenze vostre.

Dalle Terme di Viterbo, 31 maggio 1468.

da A. Lonardo, Il Museo Pio-cristiano: I Musei Vaticani (su www.gliscritti.it)
R. Brague, ha recentemente affermato che questa modalità di far salvo il passato, ripensandolo, è peculiare della stessa cultura romana antica. Per Brague il tratto culturale essenziale dell’Europa è dato dalla capacità, ereditata dalla civiltà romana, di far proprio il portato positivo delle culture precedenti. «Significa sapere che ciò che si trasmette non proviene da se stessi, e che lo si possiede solo a stento, in modo fragile e provvisorio», scrive Brague, aggiungendo: «dire che noi siamo romani [...] significa riconoscere che in fondo non si è inventato niente, ma che si è saputo trasmettere, senza interromperla, ma ricollocandosi al suo interno, una corrente venuta da più in alto». Così afferma nel volume del 1992 Europe, la voie romaine successivamente tradotto in Italia da Rusconi, con il titolo Il futuro dell'Occidente. Nel modello romano la salvezza dell'Europa. Creatore di linguaggio, amante dell’invenzione di nuovi termini, Brague chiama questo atteggiamento “spirito di secondarietà”.

9/ La continuità dell’oriente

da G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino, pp. 509-510
Bisanzio cadde nel 1453, ma la sua tradizione spirituale e politica sopravvisse. La sua fede, la sua cultura e concezione dello Stato continuarono a vivere, influenzando e fecondando la vita politica e culturale dei popoli europei sia sull’antico territorio bizantino, sia oltre gli antichi confini dell’impero. La religione cristiana nella sua specifica forma greca, come manifestazione della spiritualità bizantina e allo stesso tempo come antitesi del cattolicesimo romano, restò la cosa più sacra sia per i Greci che per gli Salvi meridionali e occidentali. Nei secoli della dominazione turca, la fede ortodossa fu per i Greci e gli Slavi meridionali l’espressione della loro individualità spirituale e nazionale; essa preservò i popoli balcanici dall’assorbimento nell’ondata d’immigrazione turca e rese così possibile la loro rinascita nazionale nel secolo XIX. L’ortodossia fu anche la bandiera sotto la quale ebbe luogo l’unificazione delle regioni russe e il principato di Mosca raggiunse la sua posizione di grande potenza. Poco dopo la caduta di Bisanzio e dei regni slavi meridionali, Mosca si ribellò al giogo tataro e divenne, quale unica potenza indipendente di fede ortodossa, il centro naturale del mondo ortodosso. Ivan III, il grande unificatore e liberatore delle regioni della Russia, sposò la figlia del despota Tommaso Paleologo, nipote dell’ultimo imperatore di Bisanzio, assunse l’insegna bizantina dell’aquila bicipite, introdusse a Mosca costumi bizantini, e ben presto la Russia svolse nell’Oriente cristiano il ruolo di guida che in passato era stato dell’impero bizantino. Se Costantinopoli era stata la nuova Roma, Mosca divenne la terza «terza Roma». L’eredità spirituale di Bisanzio, la sua fede, le idee politiche e i suoi ideali spirituali continuarono a vivere per secoli nell’impero degli zar russi.
Una forza d’irradiazione ancora più grande ebbe la cultura bizantina, che giunse a penetrare di sé l’Oriente e l’Occidente
. Anche se l’influenza bizantina nei paesi neolatini e germanici non fu così ampia come in quelli slavi, ciò nondimeno la cultura bizantina influì e fecondò anche la vita dell’Occidente.

Lo Stato bizantino era stato lo strumento attraverso il quale la cultura dell’antichità greco-romana aveva continuato a vivere attraverso i secoli. Per questo Bisanzio era la parte che dava, l’Occidente la parte che riceveva. Soprattutto nell’età del Rinascimento, in cui così forte era la passione per la cultura classica, il mondo occidentale trovò in Bisanzio la fonte attraverso la quale attingere ai tesori culturali dell’antichità. Bisanzio conservò l’eredità classica e adempì in questo modo ad una missione storica di importanza universale. Salvò dalla distruzione il diritto romano, la poesia, la filosofia e la scienza greche, per trasmettere questa inestimabile eredità ai popoli dell’Europa occidentale, divenuti ormai maturi per riceverla.  

da Giovanni Paolo II, discorso ai partecipanti al simposio internazionale su Ivanov e la cultura del suo tempo, 28 maggio 1983
La divisione storica delle Chiese è una ferita sempre aperta. Confessando, nella basilica di San Pietro di Roma, il 17 marzo 1926, il Credo cattolico, Ivanov [Vjaceslav Ivanov poeta, filosofo e filologo russo] aveva coscienza, come scrisse a Charles du Bos, di “sentirmi per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro, che era mio dal battesimo, e il cui godimento non era stato da anni libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico, che con un solo polmone” (V.Ivanov, Lettre à Charles Du Bos, 1930, dans V.Ivanov et M.Gerschenson, Correspondance d’un coin à l’autre, Lausanne, Ed. L’âge d’homme, 1979, p. 90). È la stessa cosa che dicevo anch’io a Parigi ai rappresentanti delle comunità cristiane non cattoliche, il 31 maggio 1980, ricordando la mia visita fraterna al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: “Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna aver due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale” (Giovanni Paolo II, Allocutio Lutetiae Parisiorum ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita, 31 maggio 1980 (AAS 72 [1980] 704).

-lo stemma del cardinale Bessarione


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)