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La dottrina cattolica sulle indulgenze

ARTICOLI SUL MAGISTERO DELLA CHIESA



Strettamente  connessa  al  tema  dei  suffragi,  è la  dottrina  cattolica  sulle  indulgenze,  un capitolo  molto  importante  nella  vita  della  Chiesa, che  coinvolge  grandi  verità di  fede (prima fra tutte il mistero della  comunione  dei santi), ma  che è stato,  come è noto, non soltanto oggetto di polemiche, dispute - anche feroci - e negazioni, ma purtroppo qualche volta è stato anche mal compreso (o forse mal spiegato), dando indubbiamente luogo, sul piano  della  prassi,  a  travisamenti,  abusi  o,  nel  peggiore  dei  casi,  deviazioni  dalla  sua corretta applicazione.  L’indulgenza non è altro che la remissione totale o parziale della pena dovuta per i peccati commessi  dopo  il  Battesimo  e  già rimessi  quanto  alla  colpa,  che  il  fedele,  debitamente disposto e a certe condizioni, può lucrare, per intervento diretto e concessione particolare del Sommo Pontefice, il quale può, per la sua  autorità, aprire “il tesoro dei meriti della Chiesa”,  permettendo  al  fedele  di  lucrare  e  quindi applicare  a  sé o  ai  propri  defunti,  i meriti satisfattori ed espiatori offerti al Padre da Gesù Cristo, dalla Madonna e da tutti i santi che in vita hanno offerto sacrifici e penitenze non solo per sé stessi, ma anche per i peccati del mondo intero.

Tre sono le verità di fede coinvolte in questa dottrina. Primo, che ogni peccato, oltre ad offendere Dio, fa contrarre un debito di pena ovvero un dovere di espiarlo sia dinanzi alle esigenze della divina giustizia (che premia i buoni e punisce i cattivi) sia per purificare la propria anima dalle macchie e dalle scorie contratte con il peccato medesimo. Secondo, che le  penitenze  fatte  da  Gesù(in  primis)  e  poi  dalla  schiera  dei  santi,  possono  essere comunicate  nel  loro  aspetto  espiatorio  e  satisfattorio.

 Questa  verità fa  parte  della  retta dottrina cattolica sulla grazia e sui meriti. Terzo, che tale dono richiede, per poter essere ricevuto, un atto “dispositivo”da parte di chi, per volontà di Gesù, ha potere sulla Chiesa (cioè il Romano Pontefice)  e al tempo stesso degli  atti di  conversione e di penitenza  da parte  del fedele  che intenda  beneficiare di  questo  regalo. E’soprattutto su  quest’ultimo punto che bisogna insistere particolarmente dal punto di vista pastorale ed anche per la corretta  formazione  dei  fedeli.  Si  legge,  infatti, nel  nuovo  recente  “Enchiridion  delle indulgenze” che, per lucrare un’indulgenza plenaria (ovvero la remissione di tutte le pene dovute per i peccati commessi dopo il Battesimo) ci vuole una disposizione interiore da parte del fedele, la cui assenza impedisce categoricamente un tale effetto. Si tratta del “distacco dell’affetto dal  peccato anche veniale”.  
Questo  significa,  in  altre  parole,  che  non  ci  deve essere nessun compromesso volontario tra l’anima del fedele e il peccato, fosse anche lieve o lievissimo. Per fare un esempio, se si fosse disposti a dire facilmente una bugia di scusa, oppure ad esprimersi volontariamente in termini volgari, non si potrebbe mai e in nessun modo  potersi lucrare  alcuna  indulgenza  plenaria.  Qualora,  inoltre, ci  si trovasse in una analoga situazione con riferimento al peccato mortale, non solo non si potrebbe acquistare un’indulgenza  plenaria,  ma  nemmeno  una  parziale.  Sarebbe,  infatti,  troppo  comodo  e troppo facile vedersi esonerati dai debiti dovuti per il peccato, senza avere una ferma e sincera volontà di tagliare radicalmente con esso, quanto meno nelle sue manifestazioni volontarie sia in materia grave (peccati mortali) che in materia lieve (peccato veniale). A mio  avviso  è stata,  in  qualche  periodo  storico,  proprio  la  mancata  (ma  pur  dovuta) evidenziazione di questo punto fondamentale la causa principale di non pochi abusi, con tutto l’inevitabile strascico di dispute e polemiche. Ed anche se gli eretici, per combattere gli abusi, hanno cercato di distruggere tale dottrina (cosa a cui, come vedremo, la Chiesa ha  vigorosamente  -  oltre  che  doverosamente  -  reagito),  tuttavia  -  ad  onor  del  vero  - bisogna riconoscere che le loro invettive taglienti e aspre hanno purtroppo trovato talora un qualche appiglio pratico negli abusi (ovviamente concreti, cioè a livello di prassi) che di essa qualche volta ci si è sciaguratamente macchiati. E’bene  dividere  gli  interventi  del  Magistero  in  merito  a  tale  tematica  tra  il  periodo antecedente la riforma protestante e quello successivo.
Tutti, infatti, ricorderanno che della lotta  alla  “vendita  delle  indulgenze” Martin  Lutero  ne  aveva  fatto  un  vero  e  proprio cavallo di battaglia, per sproloquiare contro la santa fede cattolica e, ancor più, contro il Sommo  Pontefice.  Seguendo  dunque  nuovamente  l’ordine  diacronico,  vedremo  i  primi interventi ufficiali dei Pontefici che risalgono al secondo XIV e poi la reazione della Chiesa agli attacchi protestanti (soprattutto attraverso un distinto decreto del Concilio di Trento), per  terminare  con  la  costituzione  apostolica  “Indulgentiarium  doctrina” di  Paolo  VI  e qualche  riferimento  alle  indicazioni  dottrinali  presenti  nel  vigente  “Enchiridion indulgentiarium”.


 
 


Il primo documento che si occupa esplicitamente della dottrina delle indulgenze è la Bolla Unigenitus Dei Filius di Papa Clemente VI (27 Gennaio 1343). Tale Pontefice aveva stabilito che l’anno giubilare, per la prima volta indetto da papa Bonifacio VIII e che, secondo i suoi voleri,  avrebbe  dovuto  essere  promulgato  una  volta ogni  cento  anni, avesse  per  contro cadenza cinquantennale. A proposito delle indulgenze (storicamente legate a tale evento ecclesiale), ebbe ad insegnare quanto segue. “L’Unigenito  Figlio  di  Dio [...]  reso per  noi  da  Dio sapienza,  giustizia, santificazione  e redenzione, è entrato una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna. Infatti, ci  ha  redento  non  a  prezzo  di  cose  corruttibili  come  l’argento  e  l’oro,  ma  con  il  suo prezioso sangue di Agnello senza difetti e senza macchia. Egli, immolato da innocente, ha effuso sull’altare della croce non una piccola goccia di sangue, che tuttavia sarebbe bastata, in forza dell’unione con il Verbo, per redimere tutto il genere umano, ma quasi un fiume, sì che non si troverebbe in Lui nulla di sano dalla piante dei piedi fino alla testa.

Il tesoro, dunque, che ha acquistato per la Chiesa militante è tale che non potrebbe risultare inutile, inefficace e superflua la pietà di tanta effusione. Infatti, il pio Padre ha voluto accantonarlo per i suoi figli, affinché costituisse un tesoro inesauribile per gli uomini, in modo tale che quanti ne avessero attinto, divenissero partecipi dell’amicizia di Dio. Questo tesoro [...] (Cristo) lo ha consegnato a san Pietro, che ha le chiavi del cielo, e ai di lui  successori,  suoi  vicari  in  terra,  affinché lo  dispensassero  a  beneficio  dei  fedeli,  e  lo applicassero  misericordiosamente,  sia  in  forma  generale  che  per  casi  speciali  (a  loro discrezione valutata di fronte a Dio), in circostanze precise e per motivi fondati, a quanti sono  veramente  pentiti  e  si  sono  confessati,  per  la  remissione  sia  totale  che  parziale  della  pena temporale che dovrebbero scontare per i loro peccati [il corsivo è mio]. Si  riconosce  altresì che all’arricchimento  di  questo tesoro contribuiscono anche i meriti della beata Madre di Dio e di tutti gli eletti, dal primo all’ultimo giusto. Nési deve temere che tale tesoro si esaurisca o diminuisca; infatti, i meriti di Cristo, come sopra si diceva, sono inesauribili, e quanti più dall’applicazione di tale tesoro sono condotti alla giustizia, tanto più cresce il cumulo dei loro meriti”(Denz 1025-1027).

Poco meno di centocinquanta anni dopo, papa Sisto IV tornò sul medesimo argomento per correggere una prima deviazione dottrinale dalla retta applicazione delle indulgenze “per modum suffragii”. Egli infatti aveva concesso, in occasione della ricostruzione della Chiesa di  san  Pietro  in  Saintes  l’indulgenza  plenaria  in  favore  delle  anime  del  purgatorio  di parenti o amici di quanti avessero volontariamente contribuito con elemosine al restauro della  Chiesa.  Ecco  quanto  scrisse  nella  lettera  enciclica  “Romani  Pontificis  provida”  (27 Novembre 1477). “Non  senza  un  profondo  dispiacere,  siamo  venuti  a  conoscenza  che  alcuni  hanno interpretato le nostre parole in modo scorretto e lontano da quanto da noi volevamo dire [...]. Scrivendo ai prelati non ci siamo pronunciati nel senso che l’indulgenza plenaria, di cui stavamo trattando, sembrasse giovare alle anime  che sono in Purgatorio, come se si facessero, per le medesime, devote preghiere e pie elemosine; neppure intendevamo, né intendiamo,  né vogliamo  in  futuro  sostenere,  che  l’indulgenza  giova  o  vale  più delle elemosine  e  delle  preghiere  o  che  le  elemosine  e  le  preghiere  giovano  e  valgono  tanto quanto  l’indulgenza  in  suffragio  (“per  modum  suffragii”);  sappiamo,  infatti,  che  le preghiere, le elemosine e l’indulgenza in suffragio sono alquanto diverse. Abbiamo invece sostenuto che l’indulgenza vale “come”, cioè al modo in cui le preghiere e le elemosine valgono. E siccome le preghiere e le elemosine valgono come suffragi offerte per le anime, Noi,  cui  dall’alto  è stata  attribuita  la  pienezza  della  maestà,  desiderando  dare  aiuto  e suffragio  alle  anime  del  Purgatorio,  abbiamo  concesso  la  sopraddetta  indulgenza traendola dal tesoro della Chiesa universale, costituito dai meriti di Cristo e dei suoi santi, in modo tale tuttavia che i fedeli stessi offrissero per queste anime il suffragio, che esse da sé non sono in grado di compiere”(Denz 1406).


 



 
La Bolla Unigenitus Dei Filius, come abbiamo visto, fu promulgata in vista della riduzione dei  tempi  di  celebrazione  dell’anno  giubilare  (ogni cinquanta  anni  anziché cento  come aveva  prescritto  Bonifacio  VIII,  l’ideatore  degli  “anni  santi”).  Ora,  la  dottrina  delle indulgenze,  ha  come  presupposto  il  principio  generale  della  giustificazione,  di  cui  ci occupammo  a  suo  tempo  e  che  ora  richiamiamo  brevemente.  La  passione  e  la  morte cruenta  di  nostro  Signore  Gesù Cristo,  è avvenuta  una  volta  per  sempre  nei  giorni  di Pasqua  intorno  all’anno  30.  Come  giustamente  nota  Clemente  VI,  una  tale  effusione cruenta  e violentissima di sangue non era di per se stessa  assolutamente necessaria alla redenzione dell’umanità, in quanto solo una goccia di quel preziosissimo Sangue sarebbe stata  sufficiente  a  redimere  tutti  gli  uomini.  In  ogni  caso,  la  pienezza  redentiva  di quell’atto (cioè la sua intrinseca capacità di annullare tutti i peccati e di scontare tutte le loro  conseguenze), stante  il  fatto  che  si  è compiuta una  sola  volta, viene  ordinariamente applicata una  sola  volta  ai  fedeli  che,  attraverso  la  conversione  e  la  fede,  intendono beneficiarne e ciò avviene con il sacramento del Battesimo.

Per i peccati commessi dopo il Battesimo, la divina giustizia esige che i meriti infiniti di Cristo redentore siano applicati in maniera non piena ma parziale: nel senso che senz’altro rimettono totalmente le colpe commesse e sinceramente confessate da chi se ne pente; ma non la totalità della pena ad esse dovute, la cui remissione è solo parziale e deve essere completata con la penitenza imposta  sacramentalmente  dal  confessore  e,  se  non  bastasse  (come  ordinariamente avviene), con le penitenze volontarie che il fedele offrirà a Dio nella vita terrena, oppure - nel caso ci fosse ancora qualcosa da pagare o da purificare - con la sosta di purificazione nel  Purgatorio.  Questo  è ciò che  avviene  di  regola.  

Tuttavia  i  meriti  e  le  soddisfazioni offerte da nostro Signore, a cui sono da aggiungere quelle della beatissima Vergine Maria e di tutta la schiera dei martiri, costituiscono, come ben spiega Clemente VI, il “tesoro della Chiesa”.  Cioè sono  meriti  e  soddisfazioni  grandissime  e  infinite,  che  possono  essere donate  da  chi  ha  il  governo  e  la  custodia  della  Chiesa  universale  (cioè solo  il  Sommo Pontefice)  a  certe  condizioni,  in  certi  tempi  e  con  certi  modi.  Ovviamente,  come egregiamente specifica questo Papa, il requisito assolutamente primario e indispensabile per  ricevere  qualunque  forma  di  remissione  totale  o  parziale  della  pena  che  si  deve scontare per i propri peccati è la sincera confessione unita a profondo pentimento per i peccati commessi.  Mai,  in  nessun  caso,  in  nessun  modo  e  per  nessun  motivo  un  tale  beneficio potrebbe  o  dovrebbe  ingenerare  una  sorta  di  atteggiamento  del  tipo:  “commetto  tutti  i peccati che voglio, poi faccio una bella confessione, prendo una bella indulgenza plenaria e  chi  si  è visto  si  è visto”(il  lettore  voglia  perdonare  l’estrema  chiarezza un  po’ cruda dell’esempio).  Il  nuovo  e  recente  Enchiridion  delle  indulgenze  (dato  in  Roma,  quarta edizione,  nel  1999)  dice,  al  riguardo,  che  per  lucrare  un’indulgenza  occorre  il  “distacco dell’affetto  dal  peccato”e  per  lucrarla  in  forma  plenaria  specifica  “peccato  anche  veniale”.

Senza  la  perfetta  comprensione  di  questo  punto  essenziale,  la  dottrina  cattolica  sulle indulgenze  sarebbe  completamente  travisata.  È  chiaro,  per  contro,  che  la  sua  retta interpretazione non giustifica mai e in nessun modo qualunque anche larvata idea o forma di “commercio”delle indulgenze o la pia illusione che ci si possa “comprare”il Paradiso 
compiendo qualche opera indulgenziata o qualche preghiera. Infatti senza questa prima e imprescindibile condizione, tutte le opere indulgenziate sono totalmente sterili e inefficaci.
Il  successivo  intervento  di  Papa  Sisto  IV,  originato  appunto  da  un  malinteso  di  questo genere, fu in realtà l’occasione per spiegare la possibilità di applicare le indulgenze  alle anime purganti, ovvero lucrarle “per modum suffragii”. Questo punto è molto importante e dà origine ad una bellissima opera di misericordia spirituale, perché le anime purganti, come è noto, non sono più in condizione di poter meritare alcunché, per cui, sprovviste di eventuali  aiuti  provenienti  dalla  carità dei  fedeli  che  ancora  vivono  combattendo  e soffrendo  nella  Chiesa  militante,  dovrebbero  rimanere  nella  sosta  di  purgazione  fin quando non paghino alla giustizia divina tutti i loro “debiti”fino “all’ultimo spicciolo”. Si tratta di un beneficio particolare, che non esime, come spiega il Pontefice, dal compiere le altre opere di suffragio (tipo Messe e preghiere), ma che costituisce però un grande aiuto. Ovviamente  perché l’indulgenza  arrivi  ad  un’anima  purgante,  oltre  alle  condizioni richieste in chi la lucra (l’offerente) - cioè il distacco dal peccato e le opere da compiere - è ovviamente necessario che l’anima sia salva e che la divina giustizia la reputi meritevole di ricevere tale aiuto, in tutto o in parte. Queste cose, ovviamente, non possono essere sapute e conosciute da noi mortali. Ma ci tolgono subito un dubbio. Per esempio c’è chi si chiede se, dopo  aver lucrato un’indulgenza plenaria per un defunto, possa  essere certo  che sia entrato  in  Paradiso  e  quindi  evitare  in  futuro  di  lucrarne  di  nuove.  
La  risposta  è certamente negativa: primo, perché non si può essere certi di avere le disposizioni interiori perfette  perché il  Signore  conceda  all’offerente  di  acquistare  un’indulgenza  in  forma plenaria (quando non c’è il distacco dell’affetto dal peccato veniale l’indulgenza, anche se di per sé concessa in forma plenaria, viene infatti acquistata come parziale); secondo perché non possiamo conoscere se i decreti della divina giustizia non vogliano che a quella certa anima purgante, in considerazione di ciò che ha fatto nella sua vita terrena (cosa che solo Dio sa), sia da subito concessa una grazia tanto grande. Quindi è bene, se e ove possibile, reiterare tale offerta.


 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)