00 27/11/2011 09:29

Cardinale Mauro Piacenza: la musica è via maestra di bellezza e di evangelizzazione


L'omelia del prefetto della Congregazione per il Clero in occasione della festa di Santa Cecilia


 

ROMA, mercoledì, 23 novembre 2011 (ZENIT.org).- Riprendiamo l'omelia pronunciata ieri nella basilica romana di Santa Cecilia in Trastevere dal cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, durante la Celebrazione Eucaristica nella festa di Santa Cecilia, Vergine e Martire.

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Reverendo Monsignor Rettore,
Cari Confratelli e Monache Benedettine,
Egregi Artisti e Gentili Artiste,
Carissimi convenuti tutti,

è per me un vero gaudio dell’anima - e ne ringrazio il Rettore, Mons. Frisina - poter condividere con voi questa nobile memoria liturgica di Santa Cecilia, Patrona dei Musicisti, in una cornice tanto preziosa, come quella di questa straordinaria Basilica, vero e proprio “scrigno” che custodisce tesori di fede, d’arte e di bellezza.

Bellezza che, altresì, rifulge sia nell’esperienza, sempre affascinante della Famiglia monastica, secondo la Regola di San Benedetto - e rivolgo un religioso saluto all’Abbadessa Donna Giovanna [Valenziano] –, sia nella plurisecolare storia della Cappella Musicale pontificia “Sistina”, che, nella persona del Maestro, Mons. Massimo Palombella, ringrazio per l’impagabile presenza e per l’esemplare servizio offerto alla Liturgia della Chiesa.

Alcune significative presenze del Comune di Roma, che saluto cordialmente, dicono anche come la devozione del popolo romano a Santa Cecilia ed a questo luogo in particolare, sia profondamente radicata.

Un caro e – pemettetemi – affettuoso saluto, rivolgo, poi, ai Pueri cantores che, nel corso di questa celebrazione eucaristica pronunceranno la loro “promessa”.

Carissimi siete parte di una storia nobile e grande, che certamente vi supera, ma che non potrebbe continuare ad esistere senza il vostro fattivo e generoso contributo. Essere Pueri cantores è uno straordinario privilegio che - e prego per questo - deve trasformarsi in un’autentica esperienza di amore a Cristo ed alla Sua Chiesa, perché la vostra vita sia “tutta un canto” al Signore della storia, secondo l’esempio di Santa Cecilia. La Chiesa vi ringrazia e vi dice oggi tutto il suo affetto e la sua gratitudine!

In quella straordinaria espressione artistica dell’uomo che chiamiamo “musica”, è possibile riconoscere, forse meglio e più intensamente che in ogni altro “luogo”, la presenza del Mistero.

Affermava il Santo Padre Benedetto XVI nell’Udienza generale dello scorso 31 agosto: «Ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. […] Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c'era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio».1

La bellezza che così si sperimenta è la gloria di Dio che trasfigura il mondo!

La bellezza, così intesa, non è immagine statica da contemplare, ma è attiva e dinamica, è in movimento, è forza che agisce e compie: la percezione della bellezza è un varco che si apre su una realtà più grande, è un varco che si apre nel mondo di Dio.

La bellezza si realizza in una forma che, se assumesse un significato finalizzato a se stesso, fossilizzerebbe la vita, ridurrebbe il rapporto tra il cuore dell’uomo e l’Infinito.
Al contrario, è proprio attraverso questo rapporto con l’infinito che si realizza la creatività stessa, che contempla questa bellezza e la traduce in una certa forma, ma la bellezza è eterna, mentre la forma è provvisoria.

La musica è via maestra di bellezza e, mi si permetta, di evangelizzazione!

In un epoca nella quale non esistevano ancora tutti i sistemi di riproduzione musicale della nostra società, ascoltare musica, soprattutto nella Liturgia, era realmente una “esperienza celestiale”.

In tal senso la musica è eterna, anche perché sempre riproducibile.

Mi ha sempre colpito l’esempio di Marija Judina, una dei più grandi pianisti russi del ‘900, la pianista che commosse Stalin. «Sconosciuta in Occidente ed emarginata in patria - dove pure era considerata un prodigio di perfezione musicale e tecnica - perché il regime aveva paura della sua fede senza riserve, del suo temperamento indomito e della sua indipendenza di vedute. Tutti aspetti, questi, che non venivano semplicemente dal suo carattere, ma da un nucleo interiore che lei riconosceva come ineliminabile, irriducibile nell’uomo. Al tocco delle sue dita («artigli d’aquila», le definì Šostakovic), i tasti del pianoforte evocavano un altro mondo, trasfigurato, purificando la realtà da miserie e piccinerie, infondendole significato e speranza, donandole la bellezza».2

Il critico musicale Piero Rattalino racconta in un’intervista3 che quando Stalin ascoltò, nel 1943, alla radio l’esecuzione dal vivo di Marija Judina, del Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La Maggiore K 488 di Mozart, ne restò colpito e volle a tutti i costi il disco.

Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che il concerto non era stato registrato, che era una diretta effettuata negli studi della radio di Mosca e così venne inciso nella notte, in gran segreto.

Il disco venne confezionato in pochi esemplari e recapitato al tremendo ammiratore.

Stalin si mostrò generoso, e fece avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Ma lei li rifiutò per sé e così rispose al dittatore: «La ringrazio per il Suo aiuto, Iosif Vissarionovič. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della mia parrocchia». Si dice che il disco con il concerto della Judina fosse sul grammofono di Stalin, quando lo trovarono morto nella sua dacia».4

La pianista amava ripetere di essere consapevole delle proprie debolezze, ma pensava che la grandezza dell’uomo non fosse principalmente nelle sue doti, bensì nell’impulso «ad “osare” che nasce con lui e muore solo dopo di lui, nel suo cuore che ha sete d’infinito»5; per tacitarlo – diceva citando Dostoevskij, «bisognerebbe tagliare la lingua a Cicerone, cavare gli occhi a Copernico, lapidare Shakespeare…».6

L’incontro con gli artisti attraverso le loro opere e le loro esecuzioni (musicali, canore, pittoriche, scultoree, architettoniche, poetiche e letterarie) è, allora, incontro con la loro anima, con la loro sete d’infinito che può esprimersi in forme diverse.

Certamente, a maggior ragione, questo accade con la musica composta, pensata, scritta per Dio, per la divina Liturgia.

La Parola di Dio espressa in parole di uomini conserva un “non dicibile” che si esprime in canto, affinché l’indicibile divenga udibile; questo vuol dire che la musica sacra, espressione della Parola e del silenzio percepito in essa, ha bisogno di un sempre nuovo ascolto di tutta la pienezza del Logos.

La liturgia è parusia anticipata, è l’irrompere del «già» nel nostro «non ancora» e la liturgia terrena è realmente tale solo per il fatto che si inserisce in ciò che è più grande, nella liturgia celeste già da sempre in atto.

San Benedetto, nella Regola, al Cap. XIX, intitolato: “L’atteggiamento da tenere durante la recita dei Salmi”, cita il Salmo 46,8 «Cantate inni con arte» e il Salmo 137,1 «A te voglio cantare davanti agli angeli» per indicare ai monaci - ma si può riferire a tutti noi -, di riflettere, quando si canta, «su come dobbiamo comportarci al cospetto della divinità e dei suoi angeli, e quando partecipiamo all’ufficio divino il nostro animo sia in armonia con la nostra voce», «et sic stemus ad psallendum ut mens nostra concordet voci nostrae».

Cosa vuol dire questo se non quanto si è detto già anche per le grandi espressioni musicali?

Nella Liturgia quindi (ma si è visto anche nel rapporto con l’Infinito che determina una grande espressione artistica) non è l’uomo ad inventare qualcosa e poi a cantarlo, ma il canto “proviene dagli angeli”, cioè - ed è questo che afferma san Benedetto - l’uomo deve innalzare il suo cuore affinché concordi (abbia lo stesso cuore) con la tonalità che gli giunge dall’alto, stando davanti a Dio, in adorazione.

Solo un “cuore concorde”, solo la persona che adora il Signore può esprimere una musica adeguata alla liturgia.

È l’Atteggiamento delle vergini della parabola evangelica: è sufficiente, per l'ultimo giorno, il desiderio di "entrare alle nozze", non basta riconoscere "la voce dello sposo".

È necessario coltivare il buon “olio della fede”, perché non abbia a mancare nel momento giusto, quando riecheggerà, per ciascuno, diventando visione, la parola del Profeta Osea: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».

È la grande lezione che ci imparte la dolcissima Vergine e Martire Cecilia la cui vita è armonia, è musica, è canto, inserita nel commovente, incantevole concertato della ecclesiale communio sanctorum!


1 Benedetto XVI, Udienza generale, 31-08-2011.

2 G. Parravicini, Marija Judina, più della musica, Milano 2010, p. 3.

3 Cfr. P. Rattalino, Intervista, La pianista immortale all’ombra del regime, Sussidiario.net, 23-8-2010.

4 G. Parravicini, Marija Judina, più della musica, op. cit., p. 81.

5 Ivi, p. 3.

6 M. Judina, Nemnogo o ljudjach Leningrada (Qualche parola sulle persone di Leningrado), 1966, VSČM, p. 88

 

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quanto segue è il Discorso del Papa dopo il Concerto in suo onore, potrebbe sembrare fuori tema qui dentro, invece credo che sia molto utile leggerlo e meditarlo [SM=g1740733] 



DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AL CONCERTO OFFERTO DAL
GOVERNO DEL PRINCIPATO DELLE ASTURIE

Aula Paolo VI
Sabato, 26 novembre 2011


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità, e cari amici!

Agradezco de corazón al Gobierno del Principado de Asturias y a la Fundación María Cristina Masaveu Peterson, con su Presidente, el Señor Fernando Masaveu, por el espléndido concierto que nos han ofrecido, y que nos ha dado la posibilidad de hacer como un viaje interior, llevados por la música, a través del folclore, los sentimientos y el corazón mismo de España. Un gracias muy especial a la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, dirigida por el maestro Maximiano Valdés, por la magnífica ejecución con la cual nos ha transmitido también un poco del hondo y rico carácter de la población española, y particularmente asturiana. Y gracias igualmente a todos los que han hecho posible disfrutar de este momento, así como al Señor Arzobispo de Oviedo y a cuantos están aquí presentes en esta significativa ocasión.

Questa sera, per così dire, è stato trasferito in quest’Aula un “pezzo” di Spagna. Abbiamo avuto modo non solo di ascoltare musiche di alcuni tra i più celebri compositori di quella terra, come Manuel de Falla o Isaac Albeniz, ma anche del tedesco Richard Strauss e del russo Nikolai Rimsky-Korsakov, affascinati da quello che, nel libretto di sala, viene definito “more hispano”, cioè la maniera “ispanica” di essere, come pure di comporre e di interpretare la musica. Ed è proprio questo l’elemento che accomuna i pezzi così vari che abbiamo ascoltato; essi hanno una caratteristica di fondo: la capacità di comunicare musicalmente sentimenti, emozioni, anzi direi quasi il tessuto quotidiano della vita. E questo soprattutto perché chi compone “more hispano” è quasi naturalmente portato a fondere in armonia gli elementi del folclore, della canzone popolare, che vengono dal vivere di ogni giorno, con quella che chiamiamo “musica colta”. Ed è un insieme di sentimenti che ci sono stati trasmessi questa sera: la “alegría de vivir”, la gioia di vivere, il clima della festa, che traspare in composizioni come le tre Danze de ”El sombrero de tres picos” di de Falla, o la lotta contro il male descritta nella celebre “Danza ritual del fuego” dello stesso autore; la vita animata dei quartieri delle città, come in “Lavapiés”, da “Iberia” di Albéniz; il dramma di una vita che non trova pace, come quella di don Juan, che non riesce a vivere l’amore in modo autentico e, alla fine, si rende conto del vuoto della sua esistenza; il capolavoro di Strauss ha reso perfettamente il passaggio dall’euforia che anima il brano alla tristezza del vuoto espressa nel mesto finale.

Ma c’è un altro elemento che emerge costantemente nelle composizioni “more hispano” ed è quello religioso di cui è profondamente intrisa la gente della Spagna; lo aveva colto molto bene Rimsky-Korsakov, che nello splendido Capriccio Spagnolo, utilizzando canti e balli folcloristici di Spagna, include vari temi di melodie popolari religiose, come nella prima sezione del pezzo dove si riconosce un’antica invocazione asturiana con cui si chiede la protezione della Vergine Maria e di san Pietro, o il secondo movimento in cui appare un canto gitano alla Madonna. Sono le meraviglie che opera la musica, questo linguaggio universale che ci permette di superare ogni barriera e di entrare nel mondo dell’altro, di una Nazione, di una cultura, e ci permette anche di volgere la mente e il cuore verso l’Altro con la “A” maiuscola, di innalzarci, cioè, al mondo di Dio.

Gracias una vez más al Gobierno de Asturias, a la Fundación, a los profesores de la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, al maestro Maximiano Valdés, a los organizadores, a los venidos de Asturias y a todos ustedes. Que la Virgen María «que brilla en la altura más bella que el sol, y es Madre y es Reina», como reza el himno a la celestial patrona de esas tierras, les proteja siempre con su maternal ternura.

Auguro a tutti un buon cammino d’Avvento e di cuore vi imparto la mia Benedizione.


 

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 LA MUSICA PER RISCOPRIRE IL MISTERO EUCARISTICO

Intervista a Marco Ronchi, autore di “La musica nella liturgia”


di ANTONIO GASPARI

 

ROMA, mercoledì, 20 luglio 2011 (ZENIT.org).

- Il centro della fede cattolica passa per il mistero eucaristico, celebrato nella liturgia di ogni messa.
Questa è una verità indiscussa che però risulta intaccata e banalizzata dal processo di secolarizzazione.
Tuttavia non basta l’analisi critica per recuperare la bellezza e la passione per la liturgia. Così Marco Ronchi, direttore di cori liturgici, esperto di musica sacra e pratica del canto Gregoriano, ha scritto il libro “La musica nella liturgia” edito da Lindau.
Si tratta di un libro in cui si spiega il contributo della musica sacra nell’attribuire forma e significato al sacrificio eucaristico.
“Attraverso i principali testi del magistero e di autori fedeli ai valori tradizionali della liturgia cattolica – si legge nella presentazione –, il libro offre indicazioni utili per restituire alla musica sacra la propria funzione essenziale all’interno del rito eucaristico e a quest’ultimo la dignità che gli spetta in quanto mistero divino”.

Per meglio comprendere il senso e i misteri della liturgia e le sue relazioni con la musica sacra, ZENIT ha intervistato Marco Ronchi:

Perché è così importante la liturgia nella pratica religiosa?


Ronchi: Voglio rispondere servendomi di una testimonianza d'eccellenza: quella dei santi. Nel corso dei due millenni di cristianesimo sono tantissimi i santi che hanno espresso il loro attaccamento alla celebrazione dell'Eucarestia, considerandola elemento imprescindibile per la vita di fede. E loro se ne intendevano di fede! Padre Pio affermava che durante la celebrazione della Messa provava tutto ciò che aveva provato Cristo durante la sua Passione e la sua crocifissione. E non si riferiva a un vago sentimento o a semplici pensieri, ma alle vere e proprie sofferenze corporali e alle sensazioni fisiche che Gesù aveva sperimentato sul Calvario. Penso che questo sia un aspetto particolarmente importante per i nostri tempi, colmi di relativismo e di soggettivismo (ciò che vale per me è ciò che io penso e provo): l'Eucarestia è il "luogo" dove siamo certi di incontrare Cristo così come Lui intende presentarsi a noi, secondo le sue condizioni e le modalità da Lui stabilite ("Fate questo in memoria di me"); possiamo così perdere noi stessi per immedesimarci in Lui, per fare le stesse esperienze che il nostro Salvatore ha fatto durante la sua permanenza su questa terra. E queste condizioni sono proprio rappresentate dalla liturgia, cioè dall'insieme di pratiche e indicazioni che riguardano il rito sacro. Non quindi un'esperienza soggettiva, non un'esperienza di fede secondo i nostri gusti, ma un incontro reale, "fisico" col Dio vivente. Comprese le sofferenze che Egli ha accettato di subire attraverso il proprio Figlio incarnato.

Che relazione c’è tra la musica sacra e la liturgia?

Ronchi: Potremmo dire, forzando un po' le cose, che non c'è alcuna relazione fra liturgia e musica, in quanto sono la stessa cosa. La musica sacra è liturgia, sempre che, naturalmente, si tratti davvero di musica liturgica. Le preghiere, le invocazioni, le antifone sono liturgia. I gesti, i riti, i paramenti sacri sono liturgia. Per divenire parte costituente di un tutto che è da considerare alla stregua di un organismo vivente (in questo modo Benedetto XVI si riferisce alla liturgia) non è però sufficiente introdursi "di soppiatto" in esso, ignorando l'essenza del corpo ospitante: il risultato che si rischia di ottenere è quello di provocare un rigetto o di causare una malattia generale dell'organismo. Fuori di metafora, non è sufficiente comporre musica, anche se ben riuscita (per non parlare di quella sgradevole) e basata su un testo religioso, ed eseguirla poi nel corso della Messa per considerarla automaticamente musica liturgica. La musica liturgica è preghiera, persino quando è pura musica strumentale, priva di parole: si tratta anche in questo caso di una forma di comunicazione, di un'espressione sincera di lode, di una richiesta di perdono, rivolta al Padre celeste. Ci sono concetti, soprattutto fra quelli più sublimi, che non possono essere espressi attraverso le semplici parole; ecco che intervengono in aiuto la musica, i gesti, i segni, i riti, i simboli. Tutti elementi fondamentali della liturgia, purché corrispondano perfettamente alla natura della celebrazione eucaristica così da immedesimarsi in essa, farsi un tutt'uno con essa.

Lei sostiene nel libro che la musica sacra può fornire un contributo determinante per contrastare il riduzionismo e la banalizzazione della pratica liturgica. Ci può illustrare il suo punto di vista?

Ronchi: Il capitolo centrale del libro si occupa del fenomeno del sacro, che costituisce la chiave principale di lettura della vita di fede in generale e del rito eucaristico in particolare (non a caso chiamato "sacramento"). Si può definire come sacro tutto ciò che ha a che fare con Dio, in opposizione alla sfera del profano, che è assenza di Dio o lontananza da Lui. Nella Bibbia questa distinzione è continuamente richiamata da Dio stesso, con l'invito, rivolto al popolo ebraico, a non contaminare ciò che Gli appartiene con pratiche o elementi profani. Ma, contrariamente a ciò che qualcuno crede, la distinzione fra sacro e profano non viene meno nel Nuovo Testamento; proprio nel discorso eucaristico, pronunciato immediatamente prima della Passione e riportato dal Vangelo di Giovanni, Gesù ribadisce a più riprese la distanza fra la dimensione mondana e la vita di fede che contraddistingue i veri discepoli ("voi non siete del mondo"). La liturgia ha a che fare essenzialmente col sacro, è espressione sacra per eccellenza, cioè primaria manifestazione di Dio nel mondo della carne e della materia. Tutto ciò che ne fa parte deve quindi contribuire massimamente a garantire questa connotazione del rito. La musica ha uno spiccato potere di caratterizzazione. Per fare un esempio comprensibile a tutti, se ascoltassimo in lontananza della musica ad alto volume e fortemente ritmata saremmo in grado facilmente di affermare che poco lontano si trova una discoteca, così come se ci giungesse alle orecchie un suono di trombe e tamburi al ritmo di marcia ci aspetteremmo di vedere una parata militare che si avvicina. Non ci è necessario conoscere in anticipo le melodie che ascoltiamo: nella maggior parte dei casi basta lo stile generale della musica per consentirci di individuare con precisione il corrispondente genere musicale. La musica sacra non fa eccezione: esistono precisi aspetti stilistici e tecnici che contraddistinguono le sacre melodie, e che, di conseguenza, fanno in modo che queste contribuiscano a rendere la liturgia nel suo complesso sacra.

Di quale musica e di quale liturgia parla?

Ronchi: Vorrei evitare di parlare di una certa musica e di una certa liturgia. In tanti, in troppi l'hanno fatto e continuano a farlo, presentando la propria opinione e il proprio punto di vista sul tema. Martin Mosebach, nel suo libro Eresia dell'informe, afferma giustamente che ogni riforma liturgica porta con sé un'inevitabile conseguenza negativa: ci costringe a parlare della liturgia e a perdere l'innocenza di assumerla come qualcosa di donato da Dio, qualcosa che ci è consegnato dai Cieli. Ho cercato quindi, ahimè, di parlarne, andando però alla fonte e, non potendo interrogare direttamente Colui che l'ha istituita, mi sono rivolto al suo Corpo mistico, la Chiesa. Ho quindi interrogato i documenti del Magistero, le Encicliche dei papi (invito caldamente a riscoprirle, poiché contengono tutto il patrimonio di fede che ci è stato tramandato, al di fuori di tanti discorsi, articoli di giornale e dibattiti che spesso non fanno altro che allontanarci dalle genuine radici della nostra fede), le costituzioni del Concilio Vaticano II. Devo naturalmente assumermi l'inevitabile responsabilità dell'interpretazione, che è mia e quindi fallibile. Quel che emerge è un profilo di Messa che è molto più sacrificio (ecco che ricompare ancora la stessa radice di sacro) che non momento conviviale o raduno festoso, molto più manifestazione di Dio che atto creativo dell'uomo, espressione di fede sicuramente contigua alla sfera del simbolico e dell'arte, essenzialmente protesa a educare e accompagnare l'uomo nel proprio cammino di fede. E la musica sacra svolge in essa un ruolo essenziale per il raggiungimento dei medesimi scopi.

Quali sono le condizioni per una musica propriamente liturgica?

Ronchi: E' sorprendente notare come, nell'arco di più di un secolo, le indicazioni che la Chiesa ci offre per qualificare la musica come liturgica siano rimaste sostanzialmente immutate. Da san Pio X, che nel 1903 scriveva il motu proprio Tra le sollecitudini, attraverso gli scritti e i documenti di papa Pio XII, papa Paolo VI, il Concilio Vaticano II, il beato papa Giovanni Paolo II, fino all'attuale papa Benedetto XVI, sempre il modello che viene additato è quello del canto gregoriano e della polifonia del '500. Il che non esclude affatto che si possa comporre musica liturgica anche ai nostri tempi (molti autori lo fanno, nel completo rispetto delle indicazioni del magistero), ma sempre in conformità agli stilemi, alle caratteristiche melodiche, ritmiche e armoniche che sono proprie o del gregoriano o della polifonia sacra. E' inoltre considerato un requisito essenziale il fatto che si tratti di vera arte. Siamo di fronte però, temo, a un'indicazione estremamente fuorviante, non perché inesatta o imprecisa, ma perché non facilmente comprensibile all'uomo contemporaneo. Non sappiamo infatti più cosa sia vera arte. La prima idea che ci viene in mente pensando all'arte e agli artisti è quella di creatività, di espressione libera delle proprie sensazioni e dei propri sentimenti, di improvvisazione spontanea. La Chiesa è in grado, anche su questa materia, di riportarci alla verità e all'essenzialità dei fenomeni, e ci spiega quindi cosa è vera arte, svelando in questo modo l'intimo legame che esiste fra l'espressione artistica e l'Eucarestia. E accompagnandoci a riscoprire il significato autentico della partecipazione ai sacri misteri e il ruolo determinante che la musica, quale vera espressione artistica, ricopre all'interno della celebrazione.

 

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[Modificato da Caterina63 30/11/2011 21:36]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)