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 "Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all'interno e all'esterno" (Ez 2, 9-10).

"Il rotolo che riceve il profeta indica le pagine della Sacra Scrittura. Il rotolo è il linguaggio oscuro della Sacra Scrittura (liber involutus est Scripturae sacrae eloquium obscurum), che è avvolto da pensieri così profondi che non è facile a tutti penetrarne il senso. Ma davanti al profeta il rotolo viene svolto perché agli occhi dei predicatori della Parola di Dio l'oscurità viene svelata....Il rotolo viene svolto quando ciò che era stato detto in maniera oscura, viene spiegato nel suo significato (involutus liber expanditur, quando hoc quod obscure prolatum fuerat, per latitudinem intellectus aperitur). La verità (Gesù) svolse questo rotolo quando compì davanti ai discepoli ciò che è stato scritto: Allora aprì loro la mente perché comprendessero le Scritture (Lc 24,25)....Il libro della Sacra Scrittura è scritto dentro a motivo dell'allegoria, fuori a motivo della storia. Dentro a motivo dell'intelligenza spirituale, fuori a motivo del semplice senso letterale, adatto a chi è ancora debole (Liber sacri eloquii intus scriptus est per allegoriam, foris per historiam. Intus per spiritalem intellectum, foris autem per sensum litterae simplicem, adhuc infirmantibus congruentem)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, IX, 29.30. Città Nupova Editrice, Roma 1992, p. 291).
Gregorio approfitta dei versetti di Ezechiele per comunicare una convinzione comune, condivisa da tutti i Padri cristiani: il duplice significato del testo biblico. Questa convinzione si fondava sulla dichiarazione di Lc 24,25 che connetteva la scoperta del senso nascosto nell'Antico Testamento al dono del Signore risorto, che permetteva di capire che nelle Scritture sacre di Israele si parlava di Lui. Di conseguenza si poteva insegnare che altro era la lettera identificata con lastoria, letta nella esteriorità (foris) del libro biblico e altro era l'allegoriapercepita, grazie alla fede, nella sua interiorità (intus), che si identificava con la persona stessa di Gesù.



"Eseguire gli ordini di Dio per un comando ricevuto
 è obbedienza di chi serve, 
eseguirli per amore 
è obbedienza di chi ama 
 
(Mandata Dei pro iussione facere 
serventis et obedientis est, 
diligendo autem facere 
obedientis et amantis est)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 31. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 323).



"La lingua non sia frenata dalla soggezione 
per l'onore che ci è reso, 
né  taccia per debolezza
a causa del disprezzo"
 
Nec per illatum honorem
 refrenatur lingua ex verecundia,
 nec per despectum
 taceat ex infirmitate). 

Omelie su Ezechiele, I, X, 18. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 311.



"Ascoltiamo le parole del Signore se le mettiamo in pratica; 
e le diciamo in modo autentico al prossimo 
quando le mettiamo in pratica noi per primi.
 
 (Audimus enim verba Dei, si facimus; 
et tunc ea proximis recte loquimur, 
cum prius ipsi fecerimus)"

(Omelie in Ezechiele, I, X, 20. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 313)


"Come è lodevole la vergogna nel male, così è riprovevole nel bene. Arrossire del male è da saggio, arrossire del bene è da sciocco (Erubescere malum sapientiae est, bonum vero erubescere, fatuitatis)...Chi arrossisce pentendosi del male che ha commesso giunge alla libertà della vita (Qui erubescit paenitendo mala quae fecit, ad vitae libertatem pervenit); chi invece si vergogna di compiere il bene, cade dallo stato di rettitudine e tende alla dannazione... Chi è interiormente buono, ma non ha autorità nella parola, non è adatto alla difesa della verità (Hi nimirum quia boni sunt in mente, sed auctoritatem non habent in locutione, apti ad veritatis defensionem non sunt). E' in grado di difendere la verità chi non ha paura né vergogna di dire ciò che rettamente pensa (Ille enim esse veritatis defensor debet, qui quod recte sentit loqui nec metuit, nec erubescit)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 17. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.309-311).



"Se un commentatore, nella spiegazione del testo sacro, inventa arbitrariamente qualcosa, forse per piacere agli uditori (in explanatione sacri eloquii ut fortasse auditoribus placeat, aliquid mentiendo componit), egli proferisce parole sue e non quelle del Signore se lo fa mentendo con l'intenzione di piacere o di sedurre (sua et non Domini verba loquitur, si tamen placendi vel seducendi studio mentiatur). Ma se, ricercando il senso delle parole del Signore, le interpreta in modo diverso da chi le ha riferite proponendosi, nonostante una comprensione diversa, l'edificazione della carità, le sue parole sono parole del Signore (si in verbis dominicis virtutem requirens, ipse aliter quam is per quem prolata sunt senserit, etiamsi sub intellectu alio, aedificationem caritatis requirat, Domini sunt verba quae narrat), perché Dio ci parla attraverso tutta la sacra Scrittura all'unico scopo di attrarci all'amore verso di lui e verso il prossimo (quia ad hoc solum Deus per totam nobis sacram Scripturam loquitur, ut nos ad suum et proximi amorem trahat)".  
 
Omelie su Ezechiele, I, X, 14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.307).
Questo principio ermeneutico che fonda la legittimità di una particolare comprensione del testo  unicamente sull'obiettivo della carità, Gregorio lo ha ricevuto da Agostino e, grazie  all'autorevolezza di questi due Padri della Chiesa, esso è stato ricevuto, usato e purtroppo anche abusato spesso dalla lettura cosiddetta <accomodata> della Bibbia con gravi conseguenze per la corretta comprensione della Bibbia stessa!


"Chi annunzia la parola di Dio, prima si dedichi al suo modo di vivere, per poi, attingendo dalla sua vita, impari cosa e come dirlo (Qui verbum Dei loquitur, prius studeat qualiter vivat, ut post ex vita colligat quae et qualiter dicat)...Nessuno presuma dire fuori ciò che prima non ha ascoltato dentro (ne quae prius intus non audierit, foris dicere praesumat)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 13-14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 307).



"Io mangiai e fu per la mia bocca più dolce del miele" (Ez 3,3).

"Il libro che ha riempito le mie viscere è diventato in bocca dolce come il miele, perché sanno parlare con gusto del Signore onnipotente quelli che veramente hanno imparato ad amarlo nelle viscere del loro cuore (ipsi de omnipotente Domino sciunt suaviter loqui, qui hunc didicerint in cordis sui visceribus veraciter amare). La Sacra Scrittura è dolce nella bocca di Colui che riempie le viscere della vita con i suoi insegnamenti, perché riesce a parlarne con gusto chi li ha impressi dentro per viverli (quia ei suavis est ad loquendum, cui interius impressa ad vivendum fuerit). La parola non può procurare dolcezza a chi ha la coscienza piena di rimorsi per la sua vita indegna (sermo dulcedinem non habet, quem vita reproba intra conscientiam remordet)".
 
 (Omelie su Ezechiele, I, X, 13. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 307).



"Vediamo spesso alcuni, compunti come se fossero convertiti, cambiare l'abito ma non l'animo (quosdam videmus quasi ex conversione compunctos habitum non animum mutasse), tanto da indossare l'abito religioso ma senza rinunziare ai vizi di prima:... cercano avidamente i vantaggi del mondo presente (praesentis mundi lucra inhianter quaerere) e la loro fiducia di essere santi è riposta unicamente nell'abito esteriore che hanno indossato (de solo exterius habitu quem sumpserunt, sanctitatis fiduciam habere)...Ignorano infatti che non conta molto ciò che si compie esteriormente con il corpo, mentre ha grande valore ciò che si compie interiormente con l'anima (non enim magni meriti est, si quid foris erga nos agatur in corpore, sed magnopere pensandum est quid agatur in mente)".
 
 (Omelie su Ezechiele, I, X, 8. Città Nuova Editrice, Roma 192, pp. 303-305).



"Semina molto nel proprio cuore ma raccoglie poco, chi, pur leggendo o ascoltando, conosce molto ma, negligente nell'operare, produce poco ( qui de mandatis caelestibus vel legendo, vel etiam audiendo multa cognoscit, sed negligenter operando pauca fructificat)... Chi si dedica a conoscere la parola di Dio, ma insegue le cose di questo mondo, beve e non si inebria (qui ergo ad cognoscendum Dei verbum devotus est, sed ea quae sunt huius saeculi adipisci desiderat, bibit et debriatus non est)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 7. Città Nuova Edtitrice, Roma 1992, p. 303).



"Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo dicendomi: <Figlio dell'uomo nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo" (Ez 3,2-3).

"Dio onnipotente tende, per così dire, la mano verso la bocca del nostro cuore ogni volta che ci apre l'intelligenza e pone il cibo della sacra parola nei nostri sensi. Ci nutre dunque con il rotolo quando distribuendoci il cibo della Sacra Scrittura, ce ne rivela il senso e riempie i nostri pensieri della sua dolcezza (Cibat ergo nos volumine, cum sensum nobis Scripturae sacrae dispensando aperit, et eius dulcedine nostras cogitationes replet)....La nostra bocca mangia quando leggiamo la parola di Dio, le nostre viscere si riempiono quando con fatica capiamo e conserviamo le cose che leggiamo (Os enim nostrum comedit dum verbum Dei legimus, viscera vero nostra complentur cum intellegimus atque servamus ea in quibus legendo laboramus)...Quando parla la Verità (Gesù) in persona, il profeta deve tacere, perché la lucerna scompare di fronte allo splendore del sole (Necesse est ut cum per semetipsam Veritas loquitur, propheta taceat, quia lucerna claritatem non habet in sole)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 5.6. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 301).



"L'ordine da osservare nel nostro studio delle parole della Sacra Scrittura dev'essere questo (in verbis sacri eloquii iste debet studii nostri ordo servari): conoscerle, affinché riconoscendo il male che abbiamo commesso, sinceramente pentiti, non vi ricadiamo (haec ideo cognoscamus, quatenus de iniquitate nostra compuncti, cognoscentes mala quae fecimus, vitemus ne alia faciamus). E quando, dopo aver pianto, cominciamo ad essere ormai sicuri del perdono dei peccati, cerchiamo di attirare anche gli altri alla vita servendoci delle parole di Dio che comprendiamo (et cum iam ex magno usu lacrimarum de peccatorum remissione coeperit esse fiducia, per verba Dei quae intellegimus ad vitam quoque et alios trahamus). A questo scopo infatti si devono comprendere, perché servano a noi, con l'intenzione di farne parte agli altri (Ad hoc enim intellegenda sunt, ut et nobis prosint, et intentione spiritali aliis conferantur). Per cui è detto bene dal profeta: Mangia questo rotolo, poi va' e parla ai figli d'Israele. (Ez 3,1) Come a dirgli, riguardo al cibo sacro: Mangia e fa mangiare, saziati ed effondi, ricevi e riversa, prendi forza e lavora (comede et pasce, saturare et eructa, accipe et sparge, confortare et labora)"

(Omelie su Ezechiele, I, X, 3-4. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.299-301).

"Alcuni, leggendo la sacra Scrittura, disprezzano con orgoglio le racomandazioni di minor conto destinate ai più deboli e vorrebbero cambiarne il senso (solent quidam... minora mandata quae infirmioribs data sunt tumenti sensu despicere et ea velle in alium intellectum permutare). In realtà se essi intendessero in senso giusto le cose elevate, non disprezzerebbero quelle più piccole. Infatti gli insegnamenti divini sono rivolti sì ai grandi, ma in modo tale che siano adatti, almeno in parte, anche ai piccoli (quia divina praecepta sic in quibusdam loquuntur magnis, ut tamen in quibusdam congruant parvulis), così che questi ultimi, progredendo nell'intelligenza, possano crescere fino a comprendere gradualmente anche le cose più grandi (qui per incrementa intellegentiae quasi quibusadm passibus mentis crescant atque ad maiora intellegenda perveniant)" .
 
(Omelie su Ezechiele, I, X, 1. Città Nuova Edtrice, Roma 1992, p.299).



"Non ci spinga alla disperazione la moltitudine delle nostre ferite perché è ben più grande la potenza del medico di quanto non lo sia la gravità del nostro male (Nec nos nostrorum vulnerum multitudo in desperationem deprimat, quia maior est potentia medici, quam magnitudo languoris nostri). Che cosa non potrà fare per ridonarci la salute colui che ha potuto creare tutto dal niente? (Quid est quod reparare ad salutem non possit, qui potuit omnia ex nihilo creare?)".
 
 (Omelie su Ezechiele I, IX, 35. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 297).





"Come i cattivi provocano Dio quando dicono o fanno del male, così lo esasperano i buoni quando si astengono dal prendere posizione in favore del bene (Sicut mali ideo Deum exasperant quia loquuntur vel faciunt mala, ita nonnunquam boni exasperant, quia reticent bona). La colpa di quelli è di compiere il male, la colpa di questi è di essere reticenti su ciò che è giusto (illis itaque culpa est perversa agere, istis recta reticere)...perché quando non rimproverano le azioni perverse autorizzano i cattivi a proseguire nel male con la complicità del  loro silenzio (quia cum perversa non increpant, eis per suum silentium proficiendi licentiam praestant)". 
 
Omelie su Ezechiele, I, IX, 27. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.291).


Ti troverai in mezzo agli scorpioni" (Ez 2, 6).
 
"Ci lamentiamo perché non sono tutti buoni quelli che vivono con noi.... Ma è veramente buono soltanto chi, anche con i cattivi, è buono (perfecte bonus est, nisi qui fuerit et cum malis bonus)...Dappertutto c'è un prossimo da tollerare, perché non può diventare Abele chi non accetta la prova della malvagità di Caino (Tolerandi ergo ubique sunt proximi, quia Abel fieri non valet quem Cain malitia non exercet)".  
 
Omelie su Ezechiele, I, IX, 22. Città Nuova Editrice, Roam 1992, p.287



"E' necessario che ognuno esamini se stesso con attenta cura per vedere se per caso non cerca la gloria del proprio nome sotto il pretesto di cercare il bene delle anime (subtili inquisitione necesse est ut semetipsum animus investiget, ne fortasse suae laudis gloriam quaerat, et animarum lucra se quaerere nostra cogitatio simulet). Spesso infatti uno si pasce della gloria del proprio nome e si rallegra quando si dice bene di lui sotto il pretesto dei vantaggi spirituali (saepe enim sui nomis laude pascitur et quasi sub obtentu lucrorum spiritualium, cum de se bona dici cognoverit, laetatur). E spesso si adira nel difendere la sua gloria contro i calunniatori e si illude di essere mosso da zelo per coloro che nel loro cuore sono turbati dalla parola del calunniatore e sviati dal retto sentiero."
 
 (Omelie su Ezechiele, I, IX, 18. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 281).



"In tutto ciò che si dice di noi dobbiamo sempre ricorrere silenziosi con la mente a cercare il testimone e giudice  interiore (In omne quod de nobis dicitur, semper taciti recurrere ad mentem debemus, interiorem testem et iudicem quaerere). A che serve infatti che tutti ci lodino se ci accusa la coscienza ? (Quid enim prodest si omnes laudent cum conscientia accusat?) O che male potrà capitarci se ci contestano tutti e, unica, ci difende la coscienza? (Aut quid poterit obesse si omnes nobis derogent, et conscientia sola nos defendat?)".

(Omelie su Ezechiele, I, IX, 15. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 279).



"E' un prezioso servizio quello che il giusto rende quando con voce libera prende posizione contro chi agisce male (Bonum valde est quod iustus tribuit, quando male agentibus libera voce contradicit); ma i malvagi pagano il bene col male quando insultano i giusti, che difendono la giustizia contro di loro. I giusti infatti non tengono conto dei giudizi umani, ma dell'esame del Giudice eterno (Non enim iusti humana iudicia, sed aeterni iudicis examen aspiciunt)" 
 
(Omelie su Ezechiele, I, IXI, 14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 279).



"L'insulto dei malvagi è un'approvazione della nostra vita (Perversorum derogatio vitae nostrae approbatio est), perché siamo certamente nel giusto, quando cominciamo a non essere graditi a coloro che non piacciono a Dio (quia iam ostenditur nos aliquid iustitiae habere si illis displicere incipimus qui non placent Deo)...Gli uomini santi quando, infuocati dallo zelo, rimproverano alzando con libertà la voce, non hanno paura di attirarsi l'odio di coloro che non si curano affatto di amare Dio (Sancti viri in vocis liberae increpatione succensi, eos ad odia excitare non metuunt, quos Deum non diligere cognoscunt)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, IX, 14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 277-279).



"Si faccia dunque sempre accurato discernimento 
tra libertà e superbia, umiltà e timidezza, 
per non far passare
 per umiltà la codardia e per libertà la superbia 
 
(Discernenda ergo sunt semper 
libertas et superbia, humilitas et timor, 
ne aut timor humilitatem, aut superbia se libertatem fingat)". 
 
Omelie su Ezechiele, I, IX,13. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.277).
E' la sintesi definitiva di un discorso articolato e preciso che sta a monte di tutto l'insegnamento pastorale di Gregorio Magno!

  "Sotto l'autorità si nasconde spesso la superbia e sotto l'umiltà il rispetto umano, sicché il primo è incapace di considerare ciò che deve a Dio, il secondo ciò che deve al prossimo (sub auctoritate superbia, et humanus timor sub humilitate se palliat, ut saepe nec ille valeat considerare quid Deo, nec iste quid debeat proximo). Quello infatti se guarda quelli che gli sono soggetti senza tener conto di Colui dal quale tutti dipendono, monta in superbia e si vanta della sua superbia come se fosse autorità (in elatione attollitur et de elatione sua velut de auctoritate gloriatur); questo invece, se teme di perdere il favore del superiore e quindi di subire qualche danno temporale, nasconde quello che pensa e tacitamente tra sé chiama umiltà il timore da cui è soggiogato (recta quae intellegit occultat, atque apud se tacitus ipsum timorem quo constringitur humilitatem nominat); ma tacendo in cuor suo giudica colui al quale si rifiuta di parlare e, mentre si crede umile, si rivela ancora più gravemente superbo (sed eum cui nil vult dicere, tacendo in cogitatione diiudicat, fitque ut unde se humilem existimat, inde gravius sit superbus)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, IX, 13. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.277).
La saggezza di Gregorio Magno non smette di stupirci. Quest'uomo aveva una conoscenza dell'animo umano  talmente profonda che ancora oggi commuove tutti i suoi lettori.


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(questi die brani vanno insieme)

"Quanti viviamo in Dio siamo strumenti della verità, che spesso parla a me per mezzo d'un altro, spesso invece parla agli altri per mezzo mio (omnes qui in Deo vivimus organa veritatis sumus, ut saepe per alium mihi, saepe vero aliis loquatur per me). Deve risiedere però in noi l'autorità della parola autentica, così che se uno è responsabile dica liberamente la verità e il suddito non ricusi di attuare umilmente il bene (Sic vero nobis boni verbi inesse auctoritas debet, ut is qui praeest dicat recta libere, et is qui subest inferre bona humiliter non recuset). 
Il bene che l'inferiore dice al superiore è veramente un bene se lo si dice umilmente (Bonum quod maiori a minore dicitur tunc vere bonum est, si humiliter dicatur). Se la rettitudine del pensiero non trova l'umiltà della parola, allora, dalla radice al ramo, dal pensiero alla parola, tutto è viziato. Il vizio non comincia nel ramo, ma dalla radice; se il cuore non si gonfiasse la parola non sarebbe arrogante (vitium iam non ex ramo, sed ex radice est, quia nisi cor intumesceret, lingua minime superbiret)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, IX, 12,. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.275-277).


"Il superiore, per parlare, deve essere dotato di umile autorità (humilis auctoritas), mentre l'inferiore deve possedere una libera umiltà (libera humilitas). Ma spesso negli uomini l'ordine del discorso si confonde. Qualche volta infatti uno parla gonfio di superbia e crede di parlare con l'autorità (aliquando quis per tumorem elationis loquitur et loqui se per auctoritatem libertatis existimat), un altro tace per sciocco timore e crede di tacere per umiltà (alquando alius per stultum timorem tacet et tacere se per humilitatem putat). Il primo, consapevole del suo posto di superiore, non si rende conto della sua arroganza (ille, locum sui regiminis attendens, non metitur sensum tumoris), il secondo, considerando il suo posto di suddito, non ha il coraggio di dire ciò che pensa e non sa quanto venga meno alla carità tacendo (iste, locum suae subiectionis considerans, timet dicere bona quae sentit et ignorat quantum caritati reus efficitur tacendo)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, IX, 12. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 277).
Nel testo precedente Gregorio aveva rivendicato il diritto di parola per tutti (omnes organa veritatis sumus). Qui ci richiama invece al grave rischio, quale che sia il posto che ci compete, di non riuscire a trovare il modo giusto di esercitare il diritto di parola (ipse loquendi ordo confunditur) così che chi si sente responsabile non possiede una humilis auctoritas, e chi si ritrova a dover ubbidire non da spazio alla critica esercitata con libera humilitas. Quest'ultimo, poi, spesso non si rende affatto conto della gravità del peccato che commete stando zitto. Una saggezza davvero straordinaria e profondamente cristiana!

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"Percepii in visione la gloria del Signore" (Ez 1, 28).

"Tutto ciò che succede meravigliosamente in terra per intervento divino è gloria di Dio onnipotente (omne quod in terra mirum divinitus agitur gloria omnipotentis Dei est) e in tutti i fatti si vede la gloria di lui (et eius gloria in omnibus factis videtur)...Ma, altra è la gloria di Dio manifestata dalle azioni che egli compie, altra è la gloria presente in lui stesso (aliter est gloria eius in rebus factis atque aliter in semetipso). Si può vedere la gloria di lui presente nelle cose, non si può vedere invece, se non per similitudine, la gloria che egli ha in se stesso,  (haec ergo gloria quae in rebus est videri potest, illa vero quae in ipso est videri modo nisi per similitudinem non potest)".

(Omelie su Ezechiele, I, VIII, 31. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 163-165).
Un richiamo molto deciso alla natura trascendente di Dio! Queste cose le avevano insegnate soprattutto i Padri Cappadoci del IV secolo.


"Dio è chiamato fuoco (Ignis enim Deus dicitur), perché con le fiamme del suo amore incendia i cuori (quia flammis amoris sui incendit mentes)...I cuori dei giusti ardono già su questa terra, perché incendiati da questo fuoco (Ex hoc igne succensa, ardent in terra corda iustorum). I cuori dei peccatori si convertono perché, accesi da questo stesso fuoco,trasformano il timore in amore (Hoc igne calefacta, redeunt ad paenitentiam corda peccantium quae timorem in amorem vertunt). E così chi prima provava l'angoscia del timore si sente incendiato, dopo, dall'amore. (Nam qui prius tabescere metu coeperunt, postmodum igne amoris flagrant)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, VIII, 28. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 261).


"(Santi, dottori e profeti) si facciano umili in ciò che apprendono quando fissano lo sguardo sulle incompresnibli realtà superne (humilientur in eo quod apprehendunt cum superna conspiciunt quae ab eis comprehendi non possunt)...Meditare le profondità dell'occulto giudizio di Dio non è altro che abbassare le ali (occulti iudicii profunda cogitare, quid est aliud quam alas deponere?)...Giobbe, che tanto sapientemente aveva parlato agli uomini, ascoltando Dio che gli parlava, rimproverò a se stesso di aver parlato (qui quantum ad homines sapienter locutus fuerat, loquentem sibi Deum audiens se locutum fuisse reprehendit), perché nella contemplazione della vera sapienza, la sua gli apparve una ben piccola cosa (quia in contemplatione verae sapientiae sua ei sapientia viluit)...E restiamo con le ali abbassate anche noi, che credevamo di volare grazie a un pocherello di scienza, considerando che l'invisibile essenza di Dio e i suoi giudizi sono impenetrabili (et qui in quantulacumque scientia volare credebamur, invisibilem super nos naturam et impenetrabilia eius iudicia perpendentes, submissis alis humiliter stamus)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, VIII, 17.18.19. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.249-251).



"Quando la mente dei santi considera con intensa contemplazione la potenza del loro Creatore, al loro animo appaiono poca cosa le virtù che possiedono (Sanctorum mentes cum Creatoris sui potentiam intenta contemplatione considerant, vilescunt eorum animo virtutes quas habent), e tanto più diventano umili ai loro occhi quanto più è alto per essi ciò che risuona al di sopra degli angeli. Forse sono dottori, ma quando cominciano a meditare nel silenzio dello spirito l'ineffabile sapienza di Dio, che insegna alle menti umane senza strepito di parole (cum coeperint tacita mente cogitare quae sit ineffabilis Dei sapientia, quae mentes hominum sine strepitu verborum docet)...il loro insegnamento sembra girare a vuoto  e la loro dottrina si riduce a ben poca cosa (vox docentium vacue laborat, sua eius doctrina protinus vilescit)...Forse sono profeti, ma quando in silenzio considerano che con l'occhio della loro profezia non possono penetrare insieme tutti i misteri della divinità (prophetiae suae oculo simul omnia Divinitatis mysteria penetrare non possunt)...si accorgono che è davvero ben poco ciò che essi vedono in quella immensità di segreti (in illa immensitate secretorum vident quia parum est omne quod vident) e, in base alla stessa immensa altezza della luce, considerano quanto sia limitato ciò che guardando intensamente hanno visto come attraverso delle fessure (atque ex ipsa immensa altitudine luminis considerant quam minus sit illud quod intento oculo quasi per rimas viderunt)".

(Omelie su Ezechiele, I, VIII, 17. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.249).

Bellissimo! Videnti Creatorem angusta est omnis creatura, spiegherà Gregorio a proposito della famosa visione del mondo riassunto in un globo di luce avuta da Benedetto da Norcia.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)