00 23/12/2011 15:56

Enzo Bianchi critica chi collega la tragica situazione della chiesa olandese agli anni del post Concilio. Gli abusi sarebbero avvenuti prima. Perché non ha parlato e scritto nel 2010?

Clicca qui per leggere il commento che, francamente, mi ha strappato piu' di un sorriso.
Con tutto il rispetto per Enzo Bianchi, mi chiedo come mai non abbia usato la stessa determinazione e la stessa indignazione per sostenere, lo scorso anno, il Santo Padre accusato di ogni tipo di silenzio ed occultamento. Perche'? Perche'?
Perche' parla solo ora per difendere la chiesa olandese da quei "cattivoni" dei media che hanno usato parlare degli anni del post Concilio?
Come mai queste distinzioni temporali non sono state fatte prima?
Eppure bastava cosi' poco...bastava ricordare a gran voce che la maggiorparte degli abusi si sono verificati ben prima dell'elezione di Papa Benedetto, ben prima della sua nomina a prefetto della CDF, ben prima di quella ad arcivescovo di Monaco...invece silenzio!
L'anno scorso tutto taceva perche' a tutti faceva comodo che Benedetto XVI facesse da capro espiatorio. Ovviamente non mi riferisco solo ad Enzo Bianchi ma alla maggioranza dei media, dei vescovi, dei cardinali e ad una fetta di semplici cattolici ed a una buona parte dei commentatori.
Quanto al merito dell'editoriale di Bianchi, mi limito a fare alcune osservazioni.
Puo' essere vero che la maggiorparte degli abusi si e' consumata prima del Concilio ma e' anche vero che la ultraprogressista chiesa olandese, ben fiera di essere lontana dal Papa di Roma, per orgogliosa della sua autonomia, non ha fatto nulla per denunciare quelle violenze.
E, naturalmente, le coperture non riguardano solo gli anni precedenti al Concilio ma anche, e soprattutto, quelli successivi.
E' questo che Papa Benedetto ha denunciato nella Lettera agli Irlandesi.
Un malinteso senso di misericordia ha permesso e giustificato molte coperture (non gli abusi in se').
Questo e' il punto! Contro questo inaccettabile perdonismo si e' sempre battuto Joseph Ratzinger e la prova sta nella documentazione risalente al lontano 1988.
Nel commento di Bianchi non ho letto nemmeno di sfuggita un cenno all'immane lavoro di pulizia operato da Benedetto XVI.
Peccato ma nessuna sorpresa.
La colpa degli abusi non e' del pre o post Concilio ma dei preti infedeli e di coloro che li hanno coperti. Punto.
R.



[SM=g1740722] un grazie al commento di Raffaella....ma ci aggiungerei dell'altro....

Enzo Bianchi è semplicemente DISONESTO E ABERRANTE e sta criticando il Papa che così si è espresso nella Lettera alla Chiesa d'Irlanda sull'argomento e che naturalmente vale per TUTTA la Chiesa....
Gli abusi ci sono sempre stati nella Chiesa è verissimo, ma è DIABOLICO il Bianchi che pretende assolvere il fatto che interpretando in un certo modo il Concilio, i frutti sono stati devastanti, anche immorali... [SM=g1740730] così spiega il Papa:

4. Negli ultimi decenni, tuttavia, la Chiesa nel vostro Paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese. Si è verificato un velocissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all'insegnamento e ai valori cattolici. Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali, sono state disattese. Fu anche determinante in questo periodo la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo.
Il programma di rinnovamento proposto dal concilio Vaticano ii fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt'altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da una buona intenzione ma errata, a evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. È in questo contesto generale che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell'abuso sessuale dei ragazzi, che ha contribuito in misura tutt'altro che piccola all'indebolimento della fede e alla perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti.

ripetiamo con il Papa:
è in questo CONTESTO di una falsa interpretazione del Concilio che sono maturati in modo più grave gli abusi sui minori...
PAROLA DEL PAPA...
del resto con il Mea Culpa del 2000 la Chiesa fece già richiesta di perdono per gli abusi del passato... manca il mea culpa di oggi, quello che proviene dalla falsa interpretazione del Concilio alla Enzo Bianchi che ha permesso il peggioramento della situazione... [SM=g1740729]



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Enzo Bianchi: un eretico

(di Francesco Agnoli, Il Foglio) Sono reduce dalla lettura dell’ultimo libro di Enzo Bianchi, Per un’etica condivisa (Einaudi), e non posso non riflettere sulla distanza che esiste tra il pensiero di questo famoso monaco mediatico e l’ortodossia cattolica. L’errore di fondo, che inficia tutto il ragionamento di Bianchi, è quell’ ottimismo mondano che si è insinuato profondamente nel pensiero ecclesiastico e cattolico nell’epoca del post Concilio. Mondano, intendo, perché ignora o sminuisce del tutto l’esistenza del peccato. “Quando la Chiesa, scriveva parecchi anni fa il Cardinal Journet al cardinal Siri, prenderà coscienza sino a che punto lo spirito del mondo è penetrato dentro essa, si spaventerà”.
Ma come è penetrato questa mentalità, di cui Bianchi è oggi uno dei massimi alfieri? A mio modo di
vedere all’epoca del Concilio, allorchè in molti si diffuse l’idea che col mondo, inteso in senso evangelico, occorresse trovare un modus vivendi pacifico e conciliante, sempre e comunque. Bisognerebbe anzitutto ritornare a quegli anni, per evitare di costruire leggende e miti come quelli che piacciono ai vari Melloni, Mancuso e, appunto, a Enzo Bianchi: il concilio non fu una pacifica e simpatica riunione di vescovi e periti, tutti in perfetto accordo tra loro, ma fu una lotta dura, che vide la presenza di posizioni problematiche e critiche, rispetto alla volontà di “aggiornamento” e “innovazione”, di molti uomini di grande spessore, dal cardinal Siri, più volte papabile, ai cardinali Ottaviani, Ruffini, Bacci, sino al Coetus Internationalis patrum, formato da centinaia di padri conciliari, e raccolto intorno a mons. Marcel Lefebvre.

I documenti conciliari sorsero dunque in mezzo alla tempesta, agli scontri, talora veramente aspri, tra “conservatori” e “progressisti”, con correzioni, emendamenti, e ambiguità, inevitabili laddove un documento nasca come mediazione, come compromesso tra posizioni divergenti. A mio modo di vedere, l’ambiguità più grande fu quella sull’atteggiamento da tenere, appunto, rispetto al mondo, allo spirito moderno e alle sue filosofie. Il concilio volle essere pastorale, e quindi soffermarsi proprio e soprattutto, in questo caso senza godere dell’infallibilità, sui modi, le strategie, per una nuova evangelizzazione, efficace e fruttuosa. Il principio guida, che fu indicato da Giovanni XXIII, fu quello di utilizzare, rispetto alla “severità” del passato, la “medicina della misericordia”.

Ci fu insomma un cambio di passo, che Romano Amerio, oggi riscoperto e finalmente ristampato da Fede & Cultura, commentò tra l’altro con queste profetiche parole: “Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l’errore, si corregge l’errante e si preserva altrui dall’errore. Inoltre verso l’errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all’errore l’intelletto repugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia essendo, secondo S. theol., II, II, q. 30, a. 1, dolore della miseria altrui accompagnato dal desiderio di soccorrere, il metodo della misericordia non si può usare verso l’errore, fatto logico in cui non vi può essere miseria, ma soltanto verso l’errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l’errore. Il Papa peraltro dimezza un tale soccorso, perché restringe tutto l’officio esercitato dalla Chiesa verso l’errante alla sola presentazione della verità: questa basterebbe per sé stessa, senza venire a confronto con l’errore, a sfatare l’errore. L’operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo a una mera didascalia del vero, fidando nell’efficacia di esso a produrre l’assenso dell’uomo e a distruggere l’errore” (Romano Amerio, Iota unum, Fede & Cultura).

Questo brano magistrale mi sembra possa essere utile per far fronte anche oggi a questo ottimismo mondano, che nasce all’interno del mondo cattolico, e che si presenta con alcune caratteristiche costanti: la condanna più o meno aspra delle decisioni e della pastorale della Chiesa del passato; il ripudio della Tradizione e il tentativo di presentare il Vaticano II come una sorta di nuova Pentecoste, di vero e proprio atto di nascita della cosiddetta “Chiesa conciliare”. Ottimismo mondano di cui il citato Bianchi costituisce uno degli esempi più solari, in quanto espressione di un tipo di cattolicesimo adulterato che ritiene che l’essenziale sia raggiungere una posizione condivisa, una mediazione, un punto di incontro, quale esso sia, tra la Verità di Cristo e le posizioni, anticristiche, del mondo. Se analizziamo il libro citato ne troviamo subito, nell’incipit, il significato di fondo: Bianchi vuole fare pulizia, anzitutto all’interno del mondo cattolico, mettere i puntini sulle i, spiegare quale debba essere il comportamento dei suoi fratelli di fede. Costoro, scrive Bianchi, debbono smetterla di riunirsi in “gruppi di pressione (sic) in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, per diventare intransigenza e arrogante contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori”. La lettura del seguito fa capire bene il significato di queste parole, del tutto simili a quelle di un Augias o di un Odifreddi: esse sono una condanna chiara, anche se un po’ ipocrita nelle modalità, della posizione della Chiesa e dei cattolici, riguardo al referendum sulla legge 40 e alla questione dei pacs-dico.

Una condanna, in generale, di ogni tentativo legale e leale da parte dei cattolici, e non solo, di affermare valori non negoziabili in politica. Bianchi lo ripete più volte, spiegando quello che è ovvio, e cioè che “il futuro della fede non dipende da leggi dello stato”, ma dimenticando che i cattolici, come tutti gli altri cittadini, sono chiamati ad esprimere la loro visione di società, qui e oggi, e non a ritirarsi nelle sagrestie. Il cattolicesimo che Bianchi vorrebbe è invece insignificante e inesistente sul piano culturale e politico, e finisce addirittura per delineare una religiosità amorfa, astratta, spiritualista, che è lontanissima dall’idea originaria del cattolicesimo.

Ogni scontro e polemica attuale, ogni rinascita odierna dell’anticlericalismo, continua il monaco, è sempre colpa dei credenti, “è sempre una reazione a un clericalismo che si nutre di intransigenza, di posizioni difensive e di non rispetto dell’interlocutore non cristiano”. A parte che non si capisce bene, a leggere queste parole, a quale dibattito abbia assistito Bianchi in questi anni, il punto centrale è un altro: nel togliere al cristianesimo la sua capacità di incarnarsi nella realtà, per plasmarla concretamente, Bianchi finisce per negare cittadinanza al cristianesimo stesso e per scegliere come punto di riferimento assoluto e ingiudicabile, quasi metafisico, la Costituzione repubblicana. Da essa deriverebbe, udite, udite, “l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile)”. “Diritto assoluto”, scrive Bianchi: una affermazione, a ben vedere, che oggi, dopo l’esperienza delle statolatrie totalitarie, neppure il più laicista tra i giuristi arriverebbe, almeno nella teoria, a sostenere. In tutto il suo argomentare Bianchi annulla il concetto di Verità, affermando un relativismo pieno; sostiene la perfetta equivalenza tra fede e ateismo (“l’uomo può essere umanamente felice senza credere in Dio, così come può esserlo un credente”); nega di fatto in più passaggi, con linguaggio equivoco, ma chiaro, il primato petrino, a vantaggio del “primato del Vangelo”, e propone come unico riferimento del suo argomentare, da buon protestante, solo e soltanto la bibbia, la sua “lettura personale e diretta” (sic), etsi Ecclesia non daretur.

“Per un’etica condivisa” è appunto un inno ad un “modo”, ad uno “stile”, al “come”, con cui i cristiani dovrebbero presentarsi oggi ai non credenti: un modo, uno “stile”, inaugurato dal Concilio Vaticano II, che sarebbe “importante quanto il messaggio”. Coerentemente, in tutto il libro manca, appunto, il messaggio! Non vi è mai una affermazione chiara di una verità teologica o morale: si parla di “etica condivisa”, si lanciano sfrecciatine piuttosto velenose ai cattolici, al centro destra, a Berlusconi, a Maroni, a Mel Gibson, a Ferrara, come fossero loro i problemi della cristianità, ma poi non si arriva mai ai contenuti: tutto puro stile, buonismo a buon mercato, mai una parola, una posizione, quale che sia, sulla clonazione, la fecondazione artificiale, le famiglia, l’eutanasia, la sessualità, e tutti i problemi più scottanti dell’etica odierna. Al massimo qualche vago riferimento alla pace, e un accenno, velatissimo, per carità, alla 194, la legge che legalizza l’aborto, ricordando però, anzitutto e soprattutto, che i cattolici dovrebbero rispettare ogni legge nata dal “confronto democratico”, e proclamata, lo si ricordi, da quello Stato che ha potere “assoluto” di vita e di morte.

A Bianchi sfugge, come avrebbe detto Amerio, che lo stile è questione secondaria, nel senso che viene dopo, logicamente e non cronologicamente, perché l’Amore procede dalla Verità, e non viceversa. Gli sfugge, inoltre, che il suo irenismo indifferentista e relativista è stato già bollato da san Pio X, allorché deprecava quanti alla sua epoca si adoperavano per un “adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti”, all’apparenza, ma in realtà priva di vera misericordia, perché spoglia di verità. A chi continuava a sponsorizzare una “conciliazione della fede con lo spirito moderno”, Pio X indicava il crocifisso, e ricordava che certe idee “conducono più lontano che non si pensi, non soltanto all’affievolimento, ma alla perdita totale della fede”. Perché se io non fossi un credente, e leggessi, per cercavi una parola di verità, il libro di Bianchi, arriverei alla conclusione che la verità non esiste, e che la mia sete di verità è roba da persone senza “stile”. Caro Bianchi, la verità, nella carità, mi dice sempre un’amica pro life, ma: la verità, per carità! Questo è l’unico stile, della Chiesa, di Cristo e del suo Evangelo, cioè della buona novella (vede che la novella, il messaggio, è importante?) (Il Foglio, 26 aprile 2009).

[SM=g1740733]



[Modificato da Caterina63 22/01/2012 19:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)