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DI MALE IN PEGGIO: L’ANTICLERICALISMO TARGATO “CLERO”. LUI PRENDE LE DISTANZE… FORSE

Tuttavia, non era solo questo il punto più caldo. In quegli anni si generò un crescente e preoccupante anticlericalismo che nasceva spesso per opera degli stessi predicatori, sacerdoti, parroci, i quali, dai loro pulpiti lo fomentavano, attaccando le “ricchezze della Chiesa”, sposando le accuse degli anticlericali (che, successivamente, saranno riprese anche dai contestatori peace&love), i quali denunciavano come tale “sperpero” fosse causato dall’ attenzione per la liturgia, considerata elemento “accessorio e inutile”. Soprattutto perché tale sperpero – secondo loro – avveniva a danno del povero, a cui queste ricchezze avrebbero potuto essere devolute. Tuttavia anche in questo caso don Milani prende le distanze: per lui, “spogliare la Chiesa” non rappresentava la soluzione dei problemi e, quando udiva qualche predicatore parlare così, ai suoi ragazzi, che lo guardavano con fare interrogativo, rispondeva “non dategli retta!”.

Questo non significa che egli non condividesse del tutto questo modo di pensare. Qui sta forse uno dei nodi della questione: questi sacerdoti inquieti fanno intuire pensieri talmente confusi, al fondo, che spesso risultano contraddittori. Peggio: ambivalenti. Così, a volte, questi “profeti secondo il mondo” danno l’impressione di riuscire incomprensibili persino a se stessi.

 

I SACERDOTI CONTESTATORI: SE C’È UN PROBLEMA, È COLPA DI ROMA. MA PAOLO VI SCOPRE GLI ALTARINI

Milani era convinto che le obiezioni della piazza fossero valide, ma riteneva che non ci si dovesse scagliare contro il clero: piuttosto – tanto per cambiare – occorreva rivolgersi verso Roma, incapace di saper cogliere nel modo giusto quelle rivendicazioni, di non saperle affrontare, di non essere in grado di metterle a tacere opportunamente con iniziative caritatevoli adeguate. Per lui non era sufficiente condannare e basta: bisognava aprirsi al “dialogo” per far comprendere come vivesse la Chiesa e, naturalmente, apportare dei “cambiamenti”.

Il problema con questi sacerdoti e con il clima di quel tempo, che sembrò infinito, consiste nel fatto che la Chiesa si trovò di fronte davvero a “nuove problematiche”. Se è vero che la condanna all’ideologia comunista era ben chiara ed inamovibile, era anche evidente che il protrarsi di una persistente voglia di comunicare “col nemico” non poteva considerarsi una nuova eresia: non potevano essere scomunicati centinaia di sacerdoti, fra i quali don Milani, solo perché volevano tentare con altri metodi ed altre strade di comunicare il Cristo Risorto! In fondo, è questo genere di apertura al dialogo che il Concilio Vaticano II farà propria.

Diciamocelo, però, con franchezza: era davvero il Cristo Risorto che si voleva comunicare oppure ciò che si pretendeva era diventare protagonisti dei nuovi cambiamenti, usando come scudo il povero e il bisognoso? Fu questione di cuore o di testa? Di moto della coscienza o di prurigini ideologiche? Eppure bastava ricordare che in Italia quasi sempre solo la cattolica si era occupata dei bisognosi: la prima e la sola a lungo che fonda ospedali, orfanotrofi, mense, scuole, che permette a figli di contadini di diventare principi della chiesa e papi anche, la sola, a Roma, che durante i rastrellamenti nazisti si premura di nascondere gli ebrei persino in casa del papa. E questo solo per fare un esempio. Ma allora di cosa si sta parlando? Siamo al solito schema ideologico che ignora la realtà pur di avere “ragione”, la quale per essere tale deve per forza prescindere dagli elementi di fatto che altrimenti la smentiscono? Sta di fatto che per questi qui, ad un certo punto, per un incantesimo degli arcana imperia, la Chiesa oltre che la Grande Prostitura, la Gran Cieca e Sorda, la Gran Ignava, la Gran Aristocratica, la Gran Sazia e Indifferente, è diventata pure non solo la Grande Egoista, ma pure, forse, quasi, si direbbe: la causa di tutti i mali, di tutte le menzogne, di tutti i silenzi, e i peccati in omissioni, opere e parole. Cosa significa tutto questo? Che senso ha? Perchè all’improvviso sono proprio dei preti a sostenere tutto questo, ossia le più viete calunnie del peggiore anticlericalismo da manuale volterriano?

C’è un aneddoto significativo su Paolo VI, raccontato dal suo segretario personale: stanco delle ripetute richieste di riduzione allo stato laicale da parte di membri del clero, volle incontrare uno di questi e in privato cercare di capire le motivazioni reali dietro a tante dolorose richieste. Inizialmente, il prete comincia la sua tiritera in difesa dei poveri, del prete operaio, di una maggiore comprensione verso gli atei, della rinuncia alla talare, rea di non consentire certe azioni libere, ecc…. Mentre parla, cita più volte don Milani come maestro, ma Paolo VI avverte che qualcosa non va e insiste con le sue domande. Alla fine, il prete, come si fosse sentito scoperto, cede: “Rivoglio la mia libertà, ho conosciuto una donna…”. Paolo VI s’irrigidisce, è avvilito e si sente tradito. Così gli dice: “Tu sei stato sempre libero! Non puoi accusare ora la Chiesa di schiavitù. L’hai sposata liberamente, ed ora sei tu a tradirla. Sii almeno coerente e non dare la colpa alla Chiesa. Don Milani non avrebbe mai approvato un simile tradimento (..) ti concederò lo stato laicale, quanto alla libertà l’avevi, la Chiesa non te l’ha mai tolta, sei tu che l’hai tradita…”.

 

SE L’OBBEDIENZA SMETTE DI ESSERE UNA VIRTÙ. IL “PECCATO” SMETTE DI ESSERE E BASTA

(foto sotto)
Uno dei disgustosi filmetti sedicenti "cattolici" della tv di stato con attorini statali. Che fanno capo al giro democattocomunista di Ettore Bernabei. E che hanno con le loro forzature agiografiche e politicamente corrette, quanto storicamente fantasioae, smagliato gli ultimi fili e reminescenze di retta dottrina popolare nel cattolico teledipendente. Canonizzando, con voto unanime del Cda tutte le più viete figure clericali di cattocomunisti, facendo diventare tali anche quelle che affatto lo erano: l'importante è che sputino addosso a qualche papa, a una trentina di cardinali "conservatori" e a un paio di dogmi, nelle scene. Don Milani ha avuto unanime consenso perchè riuscì a saldarsi con il realismo tattico e politico dei comunisti, che in era repubblicana erano i signori incontrastati di ogni mezzo di informazione e cultura. Onde la fortuna di figure come Milani, persino manipolate in senso peggiorativo, ossia a loro totale favore. Ad un certo punto il PCI smise di attaccare i preti e cominciò a farli propri: se non potevano distruggere la chiesa dall'esterno, potevano però corrompere i preti gonzi, distruggendola dall'interno....

Lo stile di Milani era quello caratteristico del dissenso, crescente contro l’apparato ecclesiale e i reggenti della politica: in sostanza, contro chi non gli dava ragione. Non parlava mai – soprattutto nelle lezioni morali e di etica – di quella responsabilità e di quel disagio di cui soffriamo e che hanno una sola origine, che egli pareva volesse dimenticare: il peccato originale, col corteo dei vizi capitali, e la cattiva volontà personale. A proposito del dissenso, una delle frasi più famose di don Milani è “L’obbedienza non è più una virtù”. Questa frase, usata indebitamente come slogan, deve essere spiegata.

Nel 1965, a seguito del comunicato di congedo di un gruppo di cappellani militari, nel quale ci si dissociava dall’obiezione di coscienza e si difendeva il militarismo in difesa dello Stato e della patria, don Milani scrive una lunga lettera in risposta.

Egli anticipa i tempi nei quali – e lo vediamo oggi – l’obbligo al servizio di leva non c’è più e si batte per un’ obiezione di coscienza che, per la verità, è sempre stata difesa nella Chiesa, fin dai primi secoli. La stessa conversione al cristianesimo di non pochi legionari romani interpellava la Chiesa e gli stessi cristiani sul comportamento da tenere laddove la difesa di uno Stato prevedesse la soppressione di innocenti, specialmente in tempi in cui i perseguitati erano proprio i cristiani.

Tuttavia, don Milani sbaglia quando in questa lettera dice: “È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa”. È vero che Gesù non accettò per sé la legittima difesa (del resto è Lui stesso che dice che era venuto proprio per questo, per essere crocefisso), ma non ha mai detto ai suoi di non difendersi, soprattutto non ha mai detto che è lecito lasciare morire un popolo inerme in balia di dittature, sopraffazioni e quant’altro.

Egli, il Signore non Milani, dice: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” (cf. Mt 26,25).

Gesù non vuole la difesa per se stesso, ma non la impedisce nei riguardi della Chiesa, delle comunità, delle città, visto che l’autorità di Cesare proviene da Dio e lo Stato ha il diritto di difendersi. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica afferma il legittimo ricorso alla difesa, naturalmente dopo aver specificato che si deve tentare ogni strada per il dialogo. Come ultima istanza, però, si può ricorrere alla legittima difesa per tutelare i propri cari, i più deboli, e, nel caso di uno Stato, coloro che ne fanno parte: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.” (CCC 2265)

 

ANALOGIE CON PADRE TUROLDO. UNA COSCIENZA NON SI FORMA DA SOLA

Dio li fa e il diavolo li accoppia: Milani con l'abortista, divorzista e nemico del culto mariano padre Turoldo

Come abbiamo spiegato nell’articolo su Padre Turoldo – che andrebbe riletto dopo questo per comprendere fin a dove può condurre il dissenso – l’errore madornale di simili sacerdoti non stava nel farsi araldi del valore della carità, per altro già vissuto dalla Chiesa nel precetto dell’amore per il prossimo, ma nell’imporlo come nuova dottrina. Tentando di scalzare, sostituire, modificare la dottrina stessa della Chiesa, in nome di una nuova visione dell’uomo, di un umanesimo poco cattolico e molto laico, dove la fede diventava un fatto quasi esclusivamente personale. E molto presto accessorio, sino all’irrilevanza finale (che sbocca naturaliter nel sincretismo e nell’indifferentismo).

Turoldo fa lo stesso errore. Del resto, è stato un grande estimatore di Milani, il quale, con le sue idee, ha proposto un’obiezione di coscienza tale da condurre alla disobbedienza contro l’insegnamento della Chiesa. Alla contrapposizione persino.

In fondo, è proprio questa una delle condanne del Modernismo fatte da san Pio X: rifiuto dell’immanentismo secondo il quale “ogni conoscenza avviene attraverso la coscienza”. Non a caso abbiamo visto come questo errore sia comune anche a mons. Tonino Bello, a padre Turoldo e a molti altri. Nessun uomo è in grado di formare la propria coscienza da se stesso: se così fosse stato, Gesù non avrebbe istituito la Chiesa, né avrebbe detto di dare a Cesare ciò che è di Cesare (il potere civile che purtroppo non lo si difende con le belle parole, le prediche e i sermoni, perché l’uomo ha bisogno di leggi e purtroppo anche di difendersi con le armi quando è necessario). Né, infine, avrebbe consegnato a Pietro ben tre poteri: confermare gli altri nella fede; il potere delle chiavi nel legare e sciogliere; la Successione Apostolica che conferisce il mandato e l’autorità di insegnare, quando Lui stesso ha detto “andate e ammaestrate tutte le genti.. chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”.

Senza dubbio il Signore lavora anche per vie straordinarie, ma questa è la via ordinaria, è la via scelta dal Signore ed affidata a Pietro e ai suoi legittimi successori. La via straordinaria, per la quale il Signore in certi casi opera, non può mai essere contraria alla via ordinaria, né contraddire l’insegnamento della Chiesa. Lo sforzo che la Chiesa fa in ogni tempo – e noi con Lei – è quello di individuare i semi della condivisione (“trattenere ciò che è buono”) e condannare senza se e senza ma ciò che è contrario a questo insegnamento. Soprattutto quello sull’umanesimo, tipico del nostro tempo, che pretenderebbe un’umanità nella quale Dio viene messo da parte e trattato come fatto privato; o persino giudicabile e magari “condannabile”, cassabile o corretto dalla stessa umanità che reputando di avere in se medesima ogni legittimazione, autorità, verità e fine ultimo, si costituisce a tribunale del divino. Che condanna o assolve a secondo dei venti di dottrina e delle mode ideologiche che in un determinato periodo la percorrono.

 

E MILANI SE LA PRESE CON LE VACANZE ESTIVE. MA ALLA CHIESA E AI CATTOLICI PIACCIONO…

Il domenicano padre Tito Centi, amico di Milani, che con lui, in nome della sana dottrina tante volte fraternamente si scontrò

Ed è incredibile come, portando avanti la disobbedienza alla Chiesa, certi sacerdoti impongano poi proprio ai giovani, con i quali spesso si fanno schermo, le loro visioni distorte. A pag. 67 del libro citato (Incontri e scontri con don Milani), Padre Centi O.P., parla di un incontro serale dall’esito quasi devastante con il priore di Barbiana, e aggiunge: “Poi, non ricordo perché, se la prese con le vacanze, che servono soltanto a sfruttare la gente che va a divagarsi o a curarsi al mare o in montagna. Per i suoi ragazzi, lui aveva abolito le vacanze: la scuola del prete a Barbiana funzionava anche d’estate, e persino la domenica. Come si faceva a stare zitti?”. Un’imposizione ben strana e certamente mai chiesta dalla Chiesa, la quale, piuttosto, ha da subito accolto questa nuova moda delle vacanze, dandole un senso meno legato allo svago e più all’arricchimento interiore, organizzando ritiri spirituali, incontri vocazionali, pellegrinaggi nei Santuari… colonie estive. E persino seminari estivi: tutt’oggi molti seminari hanno una sede estiva vicino al mare o in montagna laddove mare non c’è.

Concludendo questa parentesi, possiamo dire con certezza che don Milani ha ragione quando afferma che l’obbedienza non è più virtù. Non lo è quando, per servire delle dittature, si fanno massacrare migliaia di innocenti o anche solo cinque persone; del resto, lo stesso sant’Agostino parla della liceità, pur fra mille premesse, persino del tirannicidio. Ha torto, invece, quando allarga il discorso della disobbedienza civile a quegli stati che si fondano sulle costituzioni con indirizzo democratico, sull’autorità costituita e legittima, per la quale lo stesso Vangelo a chiarissime lettere si esprime a favore del “rispetto”; o quando applica il suo “slogan” a certe guerre del nostro tempo che sono state ingaggiate contro il terrorismo internazionale e ritenute legittime dai recenti pontefici e per le quali si utilizza il termine missioni di pace.

Comprendo che potremmo dibattere a lungo, senza giungere ad alcuna conclusione, perché certe guerre sono ancora in atto e perché ognuno può pensarla come vuole, ma ci fermiamo qui perché questo è materiale per altri argomenti non dottrinali, non dogmatici. A noi preme sottolineare che l’obbedienza alla Chiesa, quale Maestra, è fondamentale anche nel discernimento delle trattative fra popoli e stati, pure quando non comprendiamo scelte che magari non ci piacciono o non condividiamo. Questo non significa cedere sulle proprie idee ed ignorare i problemi sociali, ma piuttosto affrontarli seguendo le indicazioni della Chiesa, grazie alla quale, se fosse più ascoltata e se venisse applicata la sua dottrina sociale, avremmo probabilmente già risolto anche la crisi che stiamo vivendo. Anzi: non ci sarebbe stata crisi alcuna.

 

IL PRIMO CHE SFRATTÒ IL CROCEFISSO DALLE AULE: DON MILANI. BASTAVA LUI, IL “CONTORNO” (IL CROCIFISSO) ERA SUPERFLUO

Un vecchio trombone. Enzo Biagi, il ripetitivo giornalista che andò per anni blaterando -come suo costume, senza cognizione di causa nè informazione esatta- di una presunta "santità" di Milani. Anzi, era convinto l'avrebbero fatto santo.

Ritornando al profilo di don Milani, Enzo Biagi, che tutto era (o non era: nemmeno laureato era, anche se mai lo ammise: uno “specialista in nulla”, questo invece ebbe il coraggio di dirlo) meno che teologo, ma socialista lo era senz’altro e “nenniano” per giunta; ebbene, questo Biagi qui, fan di tutti i preti purchè “contestatori” e di sinistra, e quindi fan di don Milani, ebbe a dire che “prima o poi lo faranno santo”. Ignorante di religione era, ignorante rimase pure in punto di morte: tuttavia volle fare la confessione generale il Biagi. Ancora una volta con un cattivo maestro, che – aridaje – a Biagi “piace tanto”: Gianfranco Ravasi, ossia l’agnosticismo coperto di porpora.

Per rispondere a Biagi, è necessario porci alcune domande: don Milani era un cattivo prete? Quanto era in buona o cattiva fede? In lui è proprio vero che tutto si risolve in ambito umano, politico, sociale e che i suoi scritti introducono ad una “marxistizzazione” del cattolicesimo e ad un buonismo ideologizzato?

Che il tutto, per Milani, si risolva in ambito umano è dimostrato da quanto segue: nel Pro-memoria – 1953, a pag.102, così scrive: “Mi si accusa di non avere, in classe, il Crocifisso e che, in classe, non parlo mai, ex-professo, di religione. Prima di trovarci a che ridire, bisognava esaminare con serenità gli scopi e i risultati. Il numero dei giovani che frequentavano i Sacramenti e il loro venirci da sé, senza organizzazione né invito né occasione festiva o periodica, prova che l’influenza della scuola è stata profondamente religiosa, anche senza quel contorno esteriore”.

Apriamo una parentesi. La prima cosa che ti salta alla memoria, a conoscere bene le storia del cristianesimo è una: appena c’è stato nella Chiesa qualche contestatore, qualche progressista o addirittura qualche scismatico eretico (prendi il protestantesimo, Lutero e specie i vari calvinismi), la prima cosa che ha fatto è cedere all’inococlastia, aggredire i simboli e le immagini sacre; vedi anche che la prima cosa che fecero gli invasati, i tantissimi “spiritati” dal Concilio, fu proprio accanirsi sulle chiese, tirando giù e devastando, dando alle fiamme o svendendo le immagini più sante e venerabili del Sacro Edificio, altari maggiori e reliquie comprese. Chiusa parentesi. Torniamo al Milani.

Don Milani è così fra i primi difensori dello sfratto del Crocefisso dalle aule scolastiche e dagli ambienti di lavoro. Padre Tito Centi scrive saggiamente: “Non ho motivo per negare questi fatti, tuttavia non mi pare che se ne possa accettare la spiegazione del Cappellano, che, per difendere la propria causa, era portato ad attribuire alla propria azione pastorale tutto ciò che di positivo si riscontrava nella parrocchia. Ma è doveroso ricordare, qui, che molti giovani di S. Donato, attratti in canonica dalla presenza della scuola, avvicinavano volentieri anche il vecchio Prevosto, il quale, a suo modo, colmava le lacune del Cappellano”.

Don Milani oggi non c’è più, ma noi possiamo dimostrare quanto errata fosse la sua idea contro la presenza fisica del Crocefisso e contro l’ora di catechesi, di religione… e possiamo dimostrare che era una presunzione attribuire ai propri metodi pastorali eventuali successi nell’evangelizzazione. Non utilizziamo però a caso il termine “eventuali”: perché questi successi sono tutti da provare. Se dobbiamo guardare ai fatti, il suo stile pastorale non ha fatto altro che dare origine a dei veri “comuni divisori” fra la gente e il Cristo vivo ed operante nella Chiesa. Sono state create migliaia di immagini di Cristo dissociato dalla Chiesa, un Dio creato ad immagine nostra, ad immagine del gruppo, ad immagine delle proprie coscienze, del proprio immanentismo. Siamo sicuri che si possa parlare di successo?

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)