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Dimensione dell’aldilà

L’Eucaristia è il radunarsi escatologico del popolo di Dio. Il Banchetto eucaristico è per noi reale anticipazione del banchetto finale, preannunziato dai profeti (cf. Is. 25, 6-9) e descritto nel Nuovo Testamento come « le nozze dell’Agnello » (Ap. 19, 7-9) da celebrarsi nella gloria della comunione dei Santi” (Sacramentum Caritatis,  31).

La celebrazione Eucaristica non è perciò limitata a chi vi partecipa fisicamente ma si svolge, oltre al piano terrestre della nostra partecipazione, sul piano escatologico e riflette la celebrazione nuziale ed il Banchetto dell’Agnello immolato nella Gerusalemme celeste. Per questo, già ogni celebrazione Eucaristica è fortemente apocalittica ed escatologica, come anche profondamente ecclesiale, cioè coinvolge sia la Chiesa vittoriosa del cielo, che quella sofferente nel Purgatorio come anche la Chiesa militante qui sulla terra. Proprio per questa ragione l’Eucaristia non è sotto il nostro arbitrio. È proprio questa dimensione, soprannaturale e celeste, che rende l’Eucaristia un’esperienza profondamente al di là delle nostre concezioni e del nostro controllo. Non siamo noi i protagonisti principali di ciò che accade.


[SM=g1740720] Sacrificio del Calvario

D’altra parte, ciò che accade nella celebrazione Eucaristica è ciò che Cristo continua a realizzare attraverso noi sui nostri altari: il suo grande atto immolativo e salvifico della croce. Dice Papa Giovanni Paolo II “La Messa rende presente il sacrificio della Croce, non vi si aggiunge e non lo moltiplica” (Ecclesia de Eucharistia, 12), ma ogni Santa Messa è “l’unico e definitivo sacrificio redentore di Cristo che si rende sempre attuale nel tempo”  (ibid.). Difatti dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio” (CCC, 1367).

Diceva San Giovanni Crisostomo: “noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il Sacrificio è sempre uno solo” (Omelie sulla Lettera agli Ebrei, 17, 3; PG 63, 131). L’Eucaristia dunque è il sacrificio del Calvario che si compie ogni volta sui nostri altari e chi lo adempie è Cristo stesso nella persona del sacerdote celebrante. Anzi il sacerdote celebrante viene assunto da Cristo e trasformato in un “alter Christus”.
Per questo il Santo Padre nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis dice: “è necessario, pertanto, che i sacerdoti abbiano coscienza che tutto il loro ministero non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni, ma Gesù Cristo. Contraddice l’identità sacerdotale ogni tentativo di porre se stessi come protagonisti dell’azione liturgica. Il sacerdote è più che mai servo e deve impegnarsi continuamente ad essere segno che, come strumento docile nelle mani di Cristo, rimanda a Lui” (n. 23).

Tutta la vita liturgica ecclesiale è solamente un’associazione a quel continuo cantico di lode che si rende al Padre per Cristo, Agnello immolato, nello Spirito Santo nella Gerusalemme celeste; non siamo noi i protagonisti principali di tale azione. D’altronde l’Eucaristia è quell’espressione privilegiata, quel sacrificio d’espiazione che piacque a Dio, che Gesù rinnova in noi per la salvezza del mondo. Per questa ragione la vita liturgica è un dono fatto a noi, è data per noi. Non siamo noi i suoi inventori. Allo stesso modo, l’Eucaristia è un dono di Cristo fatto a noi. Per tale motivo ciò che noi realizziamo sull’altare, come si esprime la Mediator Dei, non appartiene tanto a noi, quanto a Cristo perché è “il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra” (Mediator Dei, 20).


[SM=g1740733] La tentazione del protagonismo

Il problema è che noi Vescovi e sacerdoti, in quanto essere umani, siamo tentati dal protagonismo:  metterci al centro ci dà soddisfazione – ciò che chiamo ‘coccolare l’ego. Con la Messa celebrata versus populum tale tentazione è molto più forte. Con la nostra faccia verso il popolo aumenta la tentazione di essere uno ‘showman’.

In un bell’articolo scritto da un autore tedesco si trova il seguente commento interessante in materia: “Mentre nel passato il sacerdote funzionava come l’anonimo intermediario, primo tra i fedeli, rivolto verso Dio e non il popolo, rappresentante di tutti e con loro offrendo il sacrificio … oggi lui è una persona speciale, con caratteristiche personali, il suo stile personale, la sua faccia rivolta verso il popolo. Per molti sacerdoti questo cambiamento è una tentazione che non riescono a superare … per loro, il livello del loro successo nel protagonismo diventa una misura del loro potere personale e così l’indicatore di un feeling della loro sicurezza e disinvoltura personale” (K. G. Rey, Pubertaetserscheinungen in der Katholíschen Kirche, - Segni della Pubertà nella Chiesa Cattolica - Kritische Texte, Benzinger, vol. 4, p. 25).

Oggi si nota sempre di più una forte mancanza di consapevolezza di ciò che accade durante la celebrazione Eucaristica. Con questo tipo di protagonismo del quale Rey parla, il sacerdote diventa l’attore principale che esegue un’opera teatrale con altri attori su di un palco, e più creativo e attivo egli diventa, più  pensa di essere riuscito ad impressionare gli spettatori e così  trova una soddisfazione personale. Ma dove è Cristo in tutto questo? Lui sembra essere il grande dimenticato!






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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)