00 06/11/2012 14:03

Quegli sguardi
   

«Respice stellam, voca Mariam»: è l’invito di san Bernardo, che raccoglie l’istintiva preghiera di tanti cristiani, all’apparire della prima luce nel cielo vespertino. Pensare a Maria ed invocare la sua protezione nasce spontaneo nel cuore del devoto, forse perché la Madonna, da sempre, è la stella, la fulgida luce che guida il cammino, «Stella del mattino, Stella del mare», stella incoronata di stelle. I grandi artisti e la tradizione popolare l’hanno spesso immaginata e ritratta con gli occhi rivolti al cielo, per sottolineare la meta da lei indicata.

Ed è proprio seguendo con la mente il suo sguardo che possiamo aspirare a raggiungere la vera gioia, nel regno del Padre. Lo facciamo come il bambino che guarda con curiosità e fiducia là dove la mamma rivolge il suo viso, perché sa che vedrà qualcosa di bello e di buono, qualcosa che lo interessa.

Anche per la Vergine Maria è stato lo sguardo di un Altro ad orientare i suoi occhi, e soprattutto il suo cuore, verso il cielo, per sempre: «L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva!». E da quel momento quanti sguardi rivolti al suo Dio, nella semplicità della sua casa e tra la gente osannante il suo Gesù.

Ignoto, Madonna benedicente di Varna (ca. 1200), Museo diocesano, Bressanone (Bolzano).
Ignoto, Madonna benedicente di Varna (ca. 1200), Museo diocesano, Bressanone (Bolzano – foto Giancarlo Giuliani).

La possiamo immaginare china sul bimbo appena nato, a Betlemme, intenta a "vedere" oltre quella creatura umana misteriosamente affidata alle sue cure amorose; poi, alcuni anni dopo, lo sguardo preoccupato che incontra gli occhi puri del Figlio dodicenne, occhi che, uniti alle parole – «Devo occuparmi delle cose del Padre mio» – le propongono ancora una volta il mistero, la volontà di un Dio a cui ha detto .

Più avanti nel tempo incontriamo Maria a Cana, nel giorno di festa per le nozze di amici, in cui è il suo sguardo attento e sollecito a cogliere la difficoltà degli ospiti: «Non hanno più vino». Una semplice constatazione che sollecita il primo miracolo di Gesù, ma che prima di tutto ci insegna ad essere sensibili e premurosi verso le necessità dei fratelli, anche nelle realtà quotidiane: i piccoli sguardi di ogni giorno per poter alzare gli occhi verso il cielo.

Quanti altri scambi di sguardi, più che di parole, con il Figlio, fino a quell’ultimo, sotto la croce, quando, forse più che in ogni altro momento, la Vergine Madre ha cercato nel dolore di "vedere oltre", per scoprire la presenza del suo Dio anche nel mistero di quella morte.

Ma è bello e rasserenante pensare a Maria estasiata di fronte al suo Maestro e Signore risorto; la immaginiamo in contemplazione, mentre ripercorre la sua vita, dall’apparizione dell’Angelo che ha trasformato la sua e la nostra storia.

Così, seguendo il suo sguardo, potremo anche noi esclamare con il salmista: «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!».

Madì Drello

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La parola del Vescovo

 di mons. GIOVANNI GIUDICI, vescovo di Pavia

  
"Specchio della giustizia..."
   

La devozione dei credenti ha rivolto a Maria invocazioni e preghiere che si sono volta a volta trasformate in edicole, cappelle, santuari, ed anche in espressioni che ci aiutano a dare di Maria una immagine più concreta.
Ci soffermiamo sul titolo d’affetto che è rivolto a Maria con l’espressione: Specchio della giustizia.

Lo specchio è invenzione umana per esaminare da vicino il proprio volto; non riusciamo a vedere la nostra espressione facciale, eppure in essa ci esprimiamo e da essa siamo valutati spesso dalle persone. Dunque vi è in noi una grande curiosità per poterlo vedere.

A. Vivarini, Santa Chiara (1441), Kunsthistorisches Museum, Vienna.
A. Vivarini, Santa Chiara (1441), Kunsthistorisches Museum, Vienna (foto Lores Riva).

Una volta inventato, lo specchio ha acquisito tanti usi, non solo guardare il proprio volto. 
Ad esempio, in una stanza in cui non entra il sole, a causa della disposizione delle pareti o della finestra, può entrare anche il sole se sospendo lo specchio all’altezza giusta e nella posizione utile.

Chiamiamo Maria specchio di giustizia perché ella riflette nella nostra vita la giustizia, come lo specchio può far entrare la luce del sole che sfolgora fuori da una stanza buia.

Ma che cosa è la giustizia? Ce lo ricorda Paolo nella Lettera ai romani: la fedeltà misericordiosa di Dio. La benedizione a tutte le genti promessa ad Abramo e ai suoi discendenti, è realizzata pienamente con la venuta di Gesù tra noi. Dio è giusto perché, fedele alle sue promesse, trasforma la persona che si fida di lui.

Maria infatti rispecchia nella sua vita la misericordiosa fedeltà di Dio e trasmette a noi una certezza che ci fa lieti e fiduciosi. La sua vicenda di fanciulla serena e buona, di promessa sposa a Giuseppe, di madre di Gesù, uomo, maestro, Signore, illumina anche la nostra vicenda personale: ella ci rende certi che anche noi siamo amati, anche per noi Dio ha in serbo la sua misericordia che sana e ricostruisce la nostra povera vita, guida per cammini di pace e apre strade verso la speranza.

Santa Chiara, nella quarta lettera alla sua carissima discepola Agnese di Boemia raccomanda: guarda allo specchio e in esso vedi i connotati di Gesù. E vuol dirle: adegua la tua vita al volto del Cristo umile, generoso, che dona la vita per amore.

Questo è un secondo modo con cui pregare Maria specchio della giustizia; fa’, o Maria, che, guardando te nello specchio in cui cerco di vedere il mio volto spirituale, io desideri assomigliare a te e al tuo figlio Gesù.

mons. Giovanni Giudici



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Conversazione

 
di GIUSEPPE MARIA PELIZZA sdb

Un’opera meritoria
   

«Il dovere di onorare coloro che ci hanno lasciato per una vita oltre la morte».
  

Presso tutte le religioni, fin dai tempi più remoti, è diffuso il rispetto, il culto per i defunti. Mausolei sono stati costruiti in loro ricordo; le imbalsamazioni in uso presso certi popoli, le offerte, i riti sacrificali dimostrano quanto sia sentito il dovere di onorare coloro che ci hanno lasciato per una vita oltre la morte. Per molti è un preciso dovere di gratitudine per il bene ricevuto, a partire dal dono della vita ai valori intellettuali, morali, materiali con cui i nostri cari ci hanno beneficato durante la vita. Purtroppo sovente questo nobile sentimento viene espresso in maniera errata, con ostentazione di potere e ricchezza che non servono assolutamente al defunto, tanto meno a purificarlo dai peccati commessi durante la vita.

Il mese di novembre suscita in noi il ricordo di chi ci ha lasciato e il desiderio di rinnovare nella preghiera quegli affetti che con i nostri cari ci hanno tenuto uniti durante la loro vita terrena. Questo è il suffragio, parola che deriva dal verbo latino suffragari che significa: soccorrere, sostenere, aiutare. In vari modi la Chiesa ci insegna che possiamo suffragare le anime dei nostri cari defunti: con la celebrazione di Messe, con i meriti che acquistiamo compiendo le opere di carità, con l’applicazione delle indulgenze.

Una donna prega sulla tomba di Carlo Carretto (1910­1988), dei Piccoli Fratelli del Vangelo, a Spello (Perugia).
Una donna prega sulla tomba di Carlo Carretto (1910­1988), dei Piccoli Fratelli del Vangelo,
a Spello (Perugia – foto Alessia Giuliani).

Ma cos’è l’indulgenza? La definizione tecnica afferma che l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele debitamente disposto, e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.

Ogni peccato ha una duplice conseguenza: genera una colpa e comporta una pena. Mentre la colpa, ossia la rottura dell’amicizia con Dio, è rimessa dall’assoluzione sacramentale della Confessione, la pena permane anche oltre l’assoluzione. Allontaniamo da noi ogni pensiero che si tratti di un castigo che Dio infligge, analogamente a quanto avviene nel codice penale per i reati commessi. La pena di cui si parla qui è una conseguenza del peccato, che oltre ad essere rottura con Dio è anche contaminazione dell’uomo. Pensiamo cosa avviene quando due amici che hanno litigato si riconciliano. Ciò avviene, ma con fatica; ci vuole tempo e buona volontà. Non possiamo certamente esitare su Dio nel riammetterci alla piena comunione con lui, ma dobbiamo dubitare delle nostre capacità a staccarci completamente dal peccato e da ogni affetto malsano; è necessario un lungo cammino di conversione e di purificazione. La pena temporale è il tempo necessario per rigenerare la nostra capacità di amare Dio sopra ogni cosa. Questa pena temporale esige d’essere compiuta in questa vita come riparazione o in Purgatorio come purificazione. Le indulgenze sono come un medicamento cicatrizzante sulle nostre ferite spirituali e ci confermano nel proposito di rinnegare il peccato e sanciscono la nostra volontà di aderire pienamente al progetto di Dio.

Nel suo cammino terreno il cristiano vede come mezzi di purificazione, che facilitano il cammino verso la santità, le varie prove e la sofferenza stessa, l’impegno nelle opere di carità, la preghiera, le pratiche di penitenza e, non ultimo, l’acquisto delle indulgenze. Ma possiamo presumere che in questa vita riusciremo a giungere alla perfezione che ci permette di essere immediatamente ammessi alla piena comunione con Dio? Difficile, ecco allora il tempo di purificazione comunemente chiamato Purgatorio.

Per questo le Messe, le preghiere di suffragio e le indulgenze ci permettono di soccorrere i nostri defunti e abbreviare loro i tempi della purificazione. Presentarsi dinanzi a Dio non è come bere un bicchiere d’acqua. La sua luce è talmente folgorante che non potremmo sostenerla se non diventassimo, per sua grazia, anche noi luce nella sua luce. La comunione dei Santi consente di sostenere e aiutare i nostri cari in quest’opera di avvicinamento alla luce. Le nostre preghiere sono un modo per dimostrare ancora il nostro amore. Forse la forma più alta, pura e nobile.

Giuseppe Maria Pelizza





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[Modificato da Caterina63 06/11/2012 14:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)