00 06/11/2012 14:57

Le nostre lacrime
    morte

«Perché sono immerso nel dolore? Perché proprio a me queste sofferenze? Fino a quando riuscirò a sopportare queste pene?». Sono gli interrogativi che l’uomo nell’angoscia e nello sconforto rivolge a se stesso, agli altri, al mondo intero. Se crede nell’esistenza di Dio, la domanda non è meno impellente, pur avendo imparato a chiamarlo Padre e a pensarlo ricco di misericordia.

L’Antico Testamento è ricco di personaggi che interpellano l’Altissimo sulle loro disgrazie e sulla presunta ingiustizia subìta e immeritata; Giobbe, in questa schiera, rappresenta il simbolo più popolare e più vicino a molte persone che vivono nel disagio fisico e spirituale.

Quanti Perché? scaturiscono dalla sua bocca, nel travaglio quotidiano! Quanti Fino a quando? emergono dalle tenebre della sua anima angosciata! E poi le richieste di aiuto, di cessazione del dolore, di eliminazione della stessa vita: lamenti presenti in diversi salmi, implorazioni che lacerano l’anima. Ma alla fine, nella supplica salmica come nella vicenda drammatica di Giobbe, il dolore viene affidato a Dio, che risponde, talvolta donando gioia e liberazione, a volte offrendo la visione rasserenante del suo "progetto" sulle sofferenze umane.

E allora si apre uno spiraglio di luce: credere significa riconoscere che dolore e Dio sono coerenti e che è lecito "cantare" nel deserto della prova. «Io a te, Signore, grido aiuto, al mattino giunge sino a te la mia preghiera»: questa l’ultima invocazione nel Salmo 88, che rivela non solo la disperazione, ma la certezza che le lacrime non si asciugano nell’aridità del deserto. «Il mio vagabondare tu lo registri, o Signore; le mie lacrime nell’otre tuo raccogli», afferma, con straordinaria poesia spirituale, il Salmo 56: questa fiducia rende possibile anche il canto nelle tenebre del dolore.

«Soffrivo molto, ma l’anima cantava», ha scritto nel suo diario la beata Chiara Luce Badano, la giovane focolarina morta diciannovenne, dopo anni di grandi sofferenze. I giorni della sua esistenza terrena sono sempre stati ricchi di carità donata a piene mani, di profonda sensibilità e di continue attenzioni verso gli altri, anche quando il dolore fisico era insopportabile. «Ho rifiutato la morfina – diceva con semplicità – perché mi toglie lucidità e io posso offrire a Gesù soltanto la mia sofferenza».

Alla Madonna, che forse le è apparsa nelle vesti di una malata nell’ospedale dove era ricoverata, Chiara dice: «Tu sai quanto desideri guarire, ma se non rientra nei piani di Dio, aiutami a non mollare mai... Più di ogni altra cosa voglio stare al gioco di Dio».

È impressionante sentire parlare della volontà del Signore, che può apparire misteriosa e tremenda per la vita di questa ragazza, come di un gioco tra lei e il suo Sposo: «Gesù mi aspetta; quando viene a prendermi sono pronta».

Così "cantava" Chiara Luce, nei suoi giorni terreni, portando la sua lampada, perché tante persone, in particolare i giovani, sappiano affidarsi in ogni momento, soprattutto nelle difficoltà, al Dio buono e misericordioso in cui lei ha creduto.

«Vedi – confidava alla mamma – io non posso più correre, però vorrei passare ai giovani la fiaccola, come alle Olimpiadi».

Madì Drello


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[Modificato da Caterina63 07/11/2012 13:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)