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De Spiritu et littera 12, 19-20

 

La legge, che è buona e lodevole, è usata dal peccato per aumentare il desiderio cattivo. Nella Lettera ai Romani, in particolare al capitolo 7, Paolo descrive questa dinamica. Nella prima Lettera ai Corinzi Paolo sintetizza così: «La forza del peccato è la legge» (1Cor 15, 56). Ma il brano che leggiamo ora è come più attuale. Non solo la legge di Dio, ma la conoscenza della verità, e la conoscenza stessa di Dio, di fatto, storicamente, è lettera che uccide, conduce alla morte.
Diventa lettera che uccide senza questa delectatio (attrattiva). Per suggerire questo, Agostino legge il primo capitolo della Lettera ai Romani. Ed è stata una sorpresa anche per me, quest’estate. Avevo letto tante volte il primo capitolo della Lettera ai Romani. Eppure è proprio vero che, spesso, quando uno crede di sapere già una cosa, non si accorge che essa è diversa da come crede di sapere. Ho sempre detto che Paolo dice che sono inescusabili gli uomini che non riconoscono l’esistenza del Creatore. Paolo non dice propriamente questo.

«Quia enim commendaverat pietatem fidei /Poiché infatti aveva lodato la pietà della fede [è bellissimo questo: la pietas della fede. Che cos’è la pietas della fede? Agostino ha imparato da Ambrogio che «il dovere più grande è ringraziare»7.

Non esiste dovere più grande di questo: rendere grazie] / qua Deo iustificati grati esse debemus, / per la quale dobbiamo essere grati a Dio perché per essa ci ha resi giusti, / velut contrarium quod detestaremur subinferens / introducendo ciò che si deve detestare come contrario [Paolo] dice: / “Revelatur enim”, inquit, “ira Dei de caelo / “L’ira di Dio si rivela dal cielo / super omnem impietatem et iniustitiam hominum eorum / contro ogni empietà e ogni ingiustizia di quegli uomini / qui veritatem in iniquitate detinent, / che soffocano [ovvero imprigionano: detinent può indicare soffocare o imprigionare] la verità nell’iniquità [conoscendo la verità, la soffocano, la imprigionano nell’iniquità. Come conoscono la verità?] / quia quod notum est Dei manifestum est in illis, / perché quello che di Dio si può conoscere a loro è manifesto, / Deus enim illis manifestavit” / Dio stesso lo ha loro manifestato”».

E qui c’è una delle frasi più note di Paolo: «“Invisibilia enim eius / Infatti le sue perfezioni invisibili / a creatura mundi, per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur / si possono vedere con l’intelligenza, dalla creazione del mondo, attraverso le cose che Lui ha fatto [l’intelligenza dell’uomo attraverso le creature può riconoscere l’esistenza dell’invisibile Creatore. Questo è dogma di fede8] / sempiterna quoque virtus eius ac divinitas, / e anche la sua eterna potenza e la sua divinità [attraverso le cose che ha creato, l’intelligenza umana può riconoscere il Mistero eterno che crea. Può riconoscere il Tu che crea], / ut sint inexcusabiles / così che essi sono inescusabili / quia cognoscentes Deum non ut Deum glorificaverunt aut gratias egerunt” / perché, conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria come Dio, non gli hanno reso grazie”».

Paolo non parla degli atei, non parla di coloro che non ammettono l’esistenza di Dio. Sono inescusabili coloro che, conoscendo Dio, non gli rendono grazie. Quindi non Lo riconoscono come Dio dal momento che non gli rendono grazie. Perché non si conosce veramente se non nella gratitudine. Un essere vivente e personale non si conosce veramente se non perché si è grati che ci sia, che sia per noi. Non si conosce se non rende lieti che sia per noi. Al di fuori della letizia che sia per noi, e quindi al di fuori della gratitudine, non si conosce veramente9;

«“sed evanuerunt in cogitationibus suis. / e sono impazziti nei loro pensieri [non gli atei, non i nichilisti, non i cinici. Ma coloro che ammettono l’esistenza di Dio]. / Et obscuratum est insipiens cor eorum, / E il loro cuore insipiente è diventato tenebroso / dicentes se esse sapientes stulti facti sunt” / e poiché si sono dichiarati sapienti sono diventati stolti”». Siccome sono teisti, cioè ammettono Dio, si ritengono sapienti rispetto agli altri. Anche in questo caso vale la parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18, 9-14).



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)