DIFENDERE LA VERA FEDE

Il vero "potere" della Chiesa

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    Caterina63
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    00 17/12/2012 10:56

    Paolo VI disse: “L’interesse per il rinnovamento conciliare da molti è stato rivolto all’accettazione delle forme e dello spirito della Riforma protestante” (15.1.1969).
    “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (Intervista a G. Guitton, Paolo VI segreto).   

    Don Divo Barsotti è un anziano prete, scrittore e fondatore di un istituto secolare, tanto stimato da Paolo VI da volerlo come predicatore nei suo esercizi spirituali nella Quaresima del 1971, in pieno caos contestatario.
    Disse in una intervista: “Ci sono oggi teologi che credono possibile superare i dogmi; si impegnano in “riletture” che in realtà ne svuotano i contenuti. È vero, è indispensabile aprirsi ai valori di altre culture diverse dalla latina, ma ciò non significa un “pluralismo teologico” come l’intendono in tanti: il Cristo è colui che assume ciò che c’è di buono e di valido ovunque, ma lo incorpora, lo trasforma, lo fa inconfondibilmente suo, in quel corpo che è la Chiesa. Al termine del processo di “apertura” non c’è la divisione, non c’è neppure il pluralismo: c’è l’unità...
    La fede è poi minacciata da teologi intimoriti: c’è il complesso d’inferiorità dei latini verso ciò che è scritto in tedesco; c’è il complesso d’inferiorità della cultura cristiana verso quella laica, per cui si prende sul serio ogni sproposito che venga dall’incredulità o dall’agnosticismo, senza controbatterlo in nome della verità, come sarebbe doveroso.
    Paura anche dell’impopolarità, per cui certuni riducono il vangelo a ciò che (presumono) si aspetta la gente, dimenticando che Gesù stesso ha voluto deludere il suo popolo. La purezza sessuale, la penitenza, la vita eterna: temi che si evitano ormai nella predicazione, per timore di non riuscire abbastanza “simpatici”.
    Ma che ce ne faremo di un cristianesimo così? La carità non è filantropia: questa mette al primo posto l’uomo, quella l’uomo anch’essa, ma per amore di Dio. E ciò cambia tutto” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo).

    ***

    Nel 1971, Don Barsotti, fu chiamato in Vaticano a predicare gli esercizi spirituali di inizio Quaresima al Papa Paolo VI e alla curia romana.
    Nelle prediche toccò il tema del potere di Pietro e disse - come poi ricordò nei suoi diari - che “la Chiesa ha un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, e allora deve usarlo. In quegli anni infatti nella Chiesa dilagava l’anarchia e nelle chiese del Nord Europa ci si faceva beffe del Santo Padre“. Per “potere coercitivo“
    Barsotti intendeva l’affermazione della verità e la condanna dell’errore, esattamente ciò che il Concilio Vaticano II e gran parte della gerarchia cattolica dopo
    di esso avevano rinunciato a fare, come egli disse e scrisse più volte: una rinuncia “che praticamente negava l’essenza stessa della Chiesa”.
    Di Giovanni Paolo II Barsotti era convinto ammiratore, per lo stesso motivo per il quale l’intellighenzia cattolica lo svalutava: “Ciò che maggiormente ci ha fatto capire che Cristo è presente in questo Papa è l’esercizio di un magistero che, più dell’ultimo Concilio, ha confermato la verità e ha condannato l’errore”.
    Un Papa che “ha sempre insegnato l’esclusività della fede cristiana: solo Cristo salva”.
    (fonte: www.fedeecultura.it )

    ***

    Ricordiamo la Ad Tuendam fidem del 1998 con la quale Giovanni Paolo II inserì nel Codice di Diritto Canonico i seguenti due articoli:

    Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.
    § 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.

    ***

    Oggi assistiamo, purtroppo, ad una crescente mistificazione della Fede Cattolica, non solo ad una sua forma di protestantizzazione, ma persino ad una sua secolarizzazione, relativismo, sincretismo religioso e persino culturale. Sovente ci troviamo di fronte a sacerdoti impreparati sulla Dottrina della Chiesa, e a Vescovi che non vigilano, che raggiungono compromessi con quella "politica corretta" per timore di offendere, o forse perchè non sono più in grado di distinguere la verità dall'errore.
    Gli esempi sono tanti e non compete a noi stilare delle liste, ognuno esamini se stesso.

    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 04/01/2013 14:00

    [SM=g1740758] Potere Sacro e potere clericale

    04.01.2013 11:29

     

     

    Potere Sacro e potere clericale

     

    Specifichiamo subito che parlare di "potere" in se non è corretto, ma noi useremo il termine primo perché è di uso comune, secondo perché se ben distinto dal significato umano e ben spiegato nel suo "servire", allora può essere usato.

     

    Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, tra il 2009 e il 2010, ha indetto l'Anno Sacerdotale motivando la sua decisione con queste parole: "Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale 'Anno Sacerdotale' (..) nel 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo".

     

    Nel suo discorso del 16 marzo 2009, il Papa spiegò anche che mentre per ogni cristiano l'identità missionaria deriva dal battesimo e dalla cresima, per il presbitero scaturisce dalla dimensione intrinseca dell'esercizio dei tre poteri a lui conferiti nell'ordinazione sacerdotale, cioè quello di santificare, d'insegnare e di governare. Questo perché "la dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo-Capo".

    La missione del presbitero si svolge nella Chiesa secondo quattro dimensioni che, connesse indissolubilmente l'una all'altra, ne delineano i contorni: la dimensione ecclesiale, quella comunionale, quella gerarchica e quella dottrinale.

    La missione del sacerdote, evidenzia nel suo discorso il Papa, è:

     

    - ecclesiale "perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo";

     

    - comunionale "perché si svolge in un'unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d'altra parte, derivano essenzialmente da quell'intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore";

     

    - gerarchica e dottrinale in quanto tali aspetti "suggeriscono di ribadire l'importanza della disciplina (il termine si collega con ‘discepolo') ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente".

     

    Appare così evidente che Nostro Signore Gesù Cristo ha munito la Chiesa di un "potere sacro-dottrinale" e non piuttosto di un potere "clericale".

    Gesù Cristo ha in se stesso questi tre poteri fondamentali:

    - potere regale, - profetico e - sacerdotale.

    Questo vuol dire che attraverso il Battesimo noi laici conformati a Gesù Cristo beneficiamo di questi tre poteri da cui si dice che ogni battezzato è re, profeta e sacerdote.

    Nella Lettera ai Sacerdoti, così dice Benedetto XVI:

    "Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro.

    Il Curato d’Ars iniziò subito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di “abitare” perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui”, si legge nella prima biografia..."

     

    Trovandoci in un Blog non è nostra intenzione sviluppare qui un argomento tanto complesso e che meriterebbe molto di più di un semplice articolo. A qualche lettore più erudito potrà interessare il libro di Romano Guardini "Il potere" pubblicato nel 1952. Altra premessa riguarda l'atteggiamento negativo sorto con il Protestantesimo nei confronti di un "potere sacro" legittimo nella Chiesa e combattuto, appunto, da Lutero tanto da arrivare a liquidare il ministero del sacerdozio, finendo per penalizzare tutto l'apparato liturgico e sacramentale della Messa, fino alla negazione della Divina Presenza nella Eucaristia.

    Per giungere ai giorni nostri con l'aggravarsi di una massiccia presenza modernista interna alla Chiesa che pretende con superbia di appropriarsi di questo "potere sacro-dottrinale" per affermare dottrine eretiche quali il sacerdozio al femminile, o una sorta di equiparazione tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio dei fedeli.

     

    Quello che a noi interessa approfondire nello specifico è presto detto e ben visibile nella foto sopra postata.

    Per "potere clericale" intendiamo proprio quella presuntuosa presidenza nella Messa che scalza il vero Protagonista, con tutto ciò che poi questo comporta nella vita sacramentale, nella dottrina, nella pratica.

    Protagonista della Messa e nella Messa è Nostro Signore Gesù Cristo che agisce, infatti, per mezzo, tramite, il Sacerdote: «Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso forma di servo, è diventato servo (Fil 2,5-11). Il sacerdote è servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente (cioè nel suo essere, per sempre), assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo a servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando in questa progressiva assunzione della volontà di Cristo, nella preghiera, nello “stare a cuore a cuore” con Lui. E’ questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa»

    [Benedetto XVI, Catechesi, 24 giugno 2009].

     

    Ma cosa sono diventate oggi le Messe?

    Se va bene sono diventate delle riunioni nelle quali ogni gruppo esprime se stesso, limitando gli abusi a forme di sentimentalismo, più o meno, variopinte e nelle quali ci si sforza di esprimere una forma affettiva superficiale, legata all'attivismo.

    Se va male, oltre a quanto appena descritto, ci ritroviamo in talune Messe nelle quali il sacerdote non solo esprime se stesso, ma usa il presbiterio (laddove non sia stato divelto e abusivamente cancellato) come teatro, come palcoscenico, delle volte anche come palco elettorale e politico, di protesta, spesso obbligando i fedeli ad una partecipazione attiva forzata con canti danzanti, battimani e quant'altro. La Messa così non è più quel vivere il mistero del sacro, ma in molti casi è diventata strumento per esprimere se stessi, o per imporre il proprio potere comunitario.

    E questo non riguarda solo il sacerdote quando compie abusi liturgici e non accetta correzioni, ma si riflette anche nei Movimenti, nei vari Cammini, gruppi interni alle Parrocchie che usano l'ambiente per imporre il proprio cammino modificando la Messa fatta a propria immagine e somiglianza di se stessi e del gruppo che si vuole pubblicizzare.

    Dove sta la vigilanza del Vescovo?

     

    "Nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero perdurano queste due concezioni del clero:

    - “Da una parte una concezione sociale – funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione …

    - Dall’altra, vi è la concezione sacramentale – ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro, e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento”

    (J. Ratzinger, Ministero e vita del sacerdote, Brescia 2005, p. 165).

    Non si tratta, però, di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Lo strappo (o l'assunzione di tale potere clericale) avviene, come è ben visibile nella foto, nel momento in cui il sacerdote contrappone una delle due, le separa, usando una o l'altra per esprimere superbamente se stesso, celebrando se stesso e le proprie opinioni anziché esprimere e celebrare il Mistero che è chiamato a servire per se stesso e per i Fedeli accorsi.

    La predicazione cristiana non proclama “parole”, ma la Parola, il Logos – Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Gesù Cristo, ontologicamente aperta alla relazione trinitaria con il Padre ed obbediente alla sua volontà nello Spirito Santo, spiega ancora Benedetto XVI.

    Quindi un autentico servizio della Parola richiede da parte del sacerdote nel suo essere che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire esistenzialmente con l’Apostolo e con gioia: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” ontologicamente, nel mio essere e per sempre dal giorno dell’ordinazione.

    Il presbitero, spiega ancora il Pontefice, non può mai considerarsi “padrone” della Parola proponendola con proprie dottrine private, ma servo di una Parola il cui soggetto in continuità o Tradizione è il popolo di Dio cioè la Chiesa.

    Il presbitero non è la parola ma “voce” della Parola: “Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mc 1,3). Ora, essere “voce” della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario, nel suo essere dal sacramento e preesistente nel suo esistere, presuppone un sostanziale “perdersi” in Cristo cioè nel Suo Corpo che è la Chiesa, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione liberamente cioè per amore con tutto il proprio io: intelligenza, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (Rm 12, 1-2).

    Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chénosi, rende autentico l’Annuncio! E questo è il cammino che ogni sacerdote non può non percorrere con Cristo per giungere felice, insiste il Papa, realizzato, a dire al Padre insieme a Cristo: si compia “non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche esistenzialmente il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.

    Il Santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: “come è spaventoso essere prete!”. Ed aggiungeva: “Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Come è sventurato un prete senza vita interiore!”. “Tocca all’Anno sacerdotale – concludeva Benedetto XVI – condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù Crocifisso e Risorto, perché ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a “diminuire” perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio (impossibile senza il senso del peccato).

    "Questa è la principale dimensione, essenzialmente missionaria e dinamica, dell’identità e del ministero sacerdotale: attraverso l’annuncio del Vangelo essi generano la fede in coloro che ancora non credono, perché possano unire al sacrificio di Cristo il loro sacrificio, che si traduce in amore per Dio e per il prossimo" [Benedetto XVI, Catechesi, 1 luglio 2009].

     

    Benedetto XVI osserva che a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: ‘Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo’ (Summa Theologiae, I – II, q. 113, a. 9, ad 2). La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale (Dio nella via umana) del suo ‘nuovo essere’. Dalla certezza della propria identità, non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata e accolta, dipende il sempre rinnovato entusiasmo del sacerdote per la missione. Anche per i presbiteri vale che ‘all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva’ (Deus caritas est, 1).

     

    Benedetto XVI osserva che dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente di ciò che aveva richiamato il Concilio di Trento; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società. La pagina evangelica sta invece a richiamare i due elementi essenziali del ministero sacerdotale. Gesù invia, in quel tempo e oggi, gli Apostoli ad annunciare il Vangelo, non le proprie idee sul mondo o su come deve essere la società, e dà ad essi il potere di cacciare gli spiriti cattivi.

     

    Annuncio’ e ‘potere’, cioè ‘parola’ e ‘sacramento’ sono pertanto le due fondamentali colonne del servizio sacerdotale, al di là delle sue possibili molteplici configurazioni.

    Quando non si tiene conto del ‘dittico’ consacrazione – missione, spiega il Papa, diventa veramente difficile comprendere l’identità del presbitero e del suo ministero nella Chiesa.

    - Chi è infatti il presbitero, se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito, che vive del rapporto personale con Cristo, facendone costantemente propri i criteri evangelici?

    - Chi è il presbitero se non un uomo di unità e di verità, consapevole dei propri limiti e, nel contempo, della straordinaria grandezza della vocazione ricevuta, quella di concorrere a dilatare il regno di Dio presente là dove Dio è amato e giunge il suo amore fino agli estremi confini della terra? Sì! Il sacerdote è un uomo tutto del Signore, poiché è Dio stesso a chiamarlo ed a costituirlo nel suo servizio apostolico. E proprio essendo tutto del Signore, è tutto degli uomini, per gli uomini.

    Sempre nella Lettera ai Sacerdoti Benedetto XVI dicendo che tra i 408.024 sacerdoti nel mondo ci sono “splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore di Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti, gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento. Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. E’ il mondo a trarne motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio”.

    “Perfino – dice il Papa nell' Omelia dei Vesperi del 19 giugno 2009 – le nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci (alla fedeltà) del Cuore di Gesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendere da Lui il necessario “dolore dei peccati” che li riconduca al Padre, questo vale ancor più per i sacri ministri. Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in “ladri delle pecore” (Gv, 10,1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte?

    Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l’accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare”.

    Nella  Prefazione al suo libro "La Regola di Benedetto", David Gibson scrive che Benedetto XVI in un’intervista del 2006 ha sottolineato (durante la Visita Apostolica in Baviera) che "la Chiesa Cattolica stessa è una sfera per la contemplazione, non per l’attivismo" (da non confondersi con la vera attività evangelizzatrice e di carità che la Chiesa deve invece compiere). Papa Benedetto ha aggiunto che il rinnovamento "non può venire da opportune iniziative pastorali, quale che sia la loro utilità, o da piani scritti su una lavagna"...

    Argomento ripreso nuovamente dal Pontefice nell'Udienza del 25 aprile 2012:

    "Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio".

     

    Nel capitolo IX del famoso libro "Rapporto sulla fede", Messori riporta quanto riteniamo sia rimasto un punto centrale di quel Ratzinger diventato poi Pontefice:

    "... ciò che per Ratzinger va ritrovato in pieno è "il carattere predeterminato, non arbitrario, " imperturbabile -, " impassibile " del culto liturgico". "Ci sono stati anni - ricorda - in cui i fedeli, preparandosi ad assistere a un rito, alla Messa stessa, si chiedevano in che modo, in quel giorno, si sarebbe scatenata la " creatività " del celebrante...".

    Il che, ricorda, contrastava oltretutto con il monito insolitamente severo, solenne del Concilio: "Che nessun altro, assolutamente (al di fuori della Santa Sede e della gerarchia episcopale, n.d.r.); che nessuno, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium n. 22).

    Aggiunge: "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi".

    Continua: "Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre misura".

    C'è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l'attenzione: "Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva".

    Mi sembra ottima cosa, dico.

    "Certo - conferma -. è un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha subìto una restrizione fatale. Sorse cioè l'impressione che si avesse una " partecipazione attiva " solo dove ci fosse un'attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l'ascolto interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti".

    ***

    Vogliamo ricordare a tutti che la Riforma in atto per mezzo della paziente e mite opera di Benedetto XVI non riguarda il rito nella forma detta oggi "straordinaria" giustamente liberalizzata, riabilitata nella Riforma fatta da Giovanni XXIII, quanto piuttosto riguarda proprio il rito nella forma detta "ordinaria", è qui che il Santo Padre ha apportato non già delle modifiche ma il ripristino del senso del Sacro, nonché la correzione a talune infiltrazioni abusive propagate, purtroppo, nei precedenti pontificati e nelle Messe celebrate dai Pontefici dopo il Concilio.

    In una intervista del 2011, così spiegava mons. Guido Marini, Maestro per le Celebrazioni Liturgiche del Pontefice:

    " Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. ... il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione. Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti.

    Se c'è una sottolineatura nelle celebrazioni presiedute dal Papa è proprio questa ricerca di andare al cuore e all'essenza della Liturgia, che è il Mistero del Signore celebrato nel quale tutti siamo chiamati ad entrare, in quel clima di adorazione e di preghiera che anche il momento del silenzio contribuisce a creare..."

     

    «Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!» (Omelia alla celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, 12 settembre 2008).

     

    Chiediamo troppo ai nostri Vescovi e ai nostri Parroci?

     

    Il 5 febbraio del 2010, la Redazione de IlGiornale.it esordiva scrivendo:

    "L'Italia ha una brutta malattia, il clericalismo. Lo dico da cattolico con un vivo senso religioso. Questo è un Paese perdutamente clericale nella fede ma anche nell'ateismo, che non rispetta la verità ma il potere del clero, cioè la forza e l'involucro. Un Paese non devoto ma servile, che si genuflette non alla verità ma al clero che ne impone il monopolio. Un clero anche laico, dunque....

    (...)

    Della verità non frega nulla ai clericali, è quasi un ingombro e una distrazione; conta l'osservanza alla Cupola, la conformità a un codice di ipocrisie e salamelecchi. Per clero non s'intende per forza quello della Chiesa cattolica, ma un blocco di potere, fosse pure un clero di atei, un partito intellettuale, un gruppo di potere. Un clero laicissimo, massonico, intellettuale, mediatico o affaristico. Siamo sottomessi al clero dei magistrati e al clero della finanza, al clero dei partiti e al clero dei poteri culturali. E sacrifichiamo la verità al potere.

    Clericale è il ceto di potere in carriera, anche quello religioso, come ha osservato giustamente il Papa l'altro giorno, ma non solo quello. Se hai la possibilità di fare lobby e partito, di imporre una verità di comodo o una bugia organizzata, meriti la devozione clericale. Quel che si traduce in complotto o più modestamente in conformismo è affiliazione clericale. Poi dei meriti veri o presunti, se sei bravo o sei una nullità, non conta nulla. Conta la tua collocazione, se non sei funzionale all'Operazione in corso vai bruciato. Questo è un Paese clericale, che di Dio, dell'anima e della fede non sa che farsene, ma che di servitù, menzogna e apparenza si nutre. Che brutto vivere in un Paese di clericali senza Dio."

    ***

    Concordiamo con questo pensiero ma specificando alcuni punti che useremo a conclusione di questo articolo.

    Se questo nostro Paese fosse veramente "clericale nella fede", e per fede intendiamo quella vera, dottrinale e devota della Chiesa, non avremmo oggi necessità di scrivere questi articoli.

    Piuttosto questo nostro Paese è certamente e perdutamente clericale in quell'ateismo che non rispetta la Verità, ma si è reso supino ad un potere clericale lontano invece dalla vera Fede e per questo parliamo di "clericalismo e di potere".

    Un Paese che nelle sue membra sociali e culturali si genuflette ad ogni monopolio, non solo a quello clericale dal momento che anche certo Clero si è genuflesso a certi poteri civili (leggasi l'articolo nel Blog sulle cinque piaghe della Chiesa del beato Rosmini).

    E senza dubbio una sorta di clero laico dal momento che si è tentato ovunque di equiparare il ministero sacerdotale a quello dei fedeli.

     

    Così rifletteva Paolo Rodari il 20 giugno 2010 dal suo Blog:

    «Il carrierismo, la ricerca del potere, era più di tanti altri mali, “il male” presente nella chiesa (soprattutto nel clero) che il cardinale Joseph Ratzinger aveva denunciato nelle meditazioni della via crucis del 2005 quando, poche settimane prima di succedere a Giovanni Paolo II, disse: “Quanta sporcizia c’è nella chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”.

    Su questo tema Benedetto XVI è tornato più volte, ad esempio quando ha detto il 3 febbraio 2010: “Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa?”.

    Il Papa, in modo più potente, ne aveva parlato il 12 settembre del 2009, quando elencò le caratteristiche che non devono mancare nella vita del prete.

    A un certo punto disse: “Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune”.

     

    Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica.

    Ed infine, non si tratta di privilegiare la forma di un Rito della Messa a discapito di un'altra, quanto è necessario invece rendere palese che, la forma ordinaria della Messa nelle Parrocchie celebrata contro la riforma di Benedetto XVI, si presta allo strapotere clericale, dove ci si genuflette alle imposizioni del gruppo predominante anziché piegare le proprie ginocchia davanti all'Eucaristia, davanti al Tabernacolo (sfrattato dalle Chiese), nel mentre si riceve la Comunione.

    Si prestano onori ai Caduti, alle autorità civili, militari e religiose, recita l'ufficio del protocollo istituzionale, ma non si prestano più gli onori a Colui che solo è degno di ricevere gli onori e la gloria, al di là e al di sopra di ogni Istituzione.

     

    "La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato".

    (Benedetto XVI Omelia ai nuovi Vescovi 12 settembre del 2009)

     

    ***


    Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/potere-sacro-e-potere-clericale/

    [SM=g1740771]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 22/01/2013 12:41
    21.01.2013 13:44

     

    Potere clericale modernista nel Confessionale

     

    Senza perdere tempo con provocazioni sterili, vogliamo entrare nel vivo di alcune affermazioni che da dopo il Concilio sono diventate quasi una nuova normativa, persino dottrinale, nella Chiesa.

    Non è raro sentire affermare da certi relatori, presbiteri o laici, in varie occasioni di incontri diocesani, catechetici o parrocchiani, che il concetto di "peccato mortale" è venuto meno, non esiste più, che tutti i peccati sono uguali o, nella peggiore dei casi, che tutti i peccati sono uguali e quindi tutti veniali, tutti perdonabili senza il necessario ricorso al confessionale, che è sufficiente confessarsi solo una volta all'anno e che in qualsiasi condizione è possibile ricevere l'Eucaristia avendo partecipato all'atto penitenziale: l'importante è credere, avere fede in Dio buono e misericordioso che tutto perdona. Una coscienza pentita è già una coscienza perdonata.

    Naturalmente le gravi conseguenze di queste idee si ripercuotono poi su tutta un'altra serie di situazioni quali, ad esempio, i divorziati risposati, o chi ha persino abortito, limitando tali colpe a piccoli peccati veniali dei quali basta pentirsi per essere a posto con la coscienza, pur rimanendo nello stato di peccato riguardo agli adulteri e non riparando il danno fatto con l'aborto, e ricevere ugualmente l'Eucaristia.

    Vi ricordiamo che fu il Protestantesimo a mettere in dubbio il Sacramento della Confessione e ad eliminarlo quando soppresse il Sacerdozio ministeriale.

     

    Perché parliamo di "potere clericale modernista"?

    Al di là della santa provocazione, una volta il Sacerdote nel Confessionale non esprimeva le proprie opinioni a riguardo delle materie da assolvere o ritenere, della penitenza da dare, del peso di una scomunica (ipso-facto) quale è ancora oggi, per esempio, quella che grava su chi ha abortito o favorito o addirittura fatto materialmente in quanto medico convinto che abortire non sia un peccato mortale.

    Così come quella che grava sui divorziati risposati ai quali non pochi sacerdoti danno la Comunione perché convinti che ciò sia un bene: da non confondere con i separati o divorziati non risposati e non conviventi i quali, se appunto vivono soli perché consapevoli della loro situazione anomala e non responsabili del divorzio, ma che lo hanno subito, e che dunque vivono la propria vita nei Dieci Comandamenti, nell'autentico sacro timor di Dio (che è uno dei sette doni dello Spirito Santo) e nella gratuità di un amore che prevede anche la solitudine, possono ricevere la Comunione.

    Oggi, invece, certo potere modernista ha spinto non pochi Sacerdoti ad usare il Confessionale quale mezzo per esprimere le proprie opinioni in campo etico e morale e su queste opinioni stabilire l'assoluzione. Una assoluzione basata sulla fede del fai da te e non più sui Comandamenti, non più sulla sana dottrina oppure, anche se i Comandamenti vengono usati, questi sono interpretati a seconda del pensiero del mondo, delle maggioranze, democraticamente, o con il politicamente "corretto". E' in questo senso che parliamo di un "potere clericale" inaccettabile.

    Questi Sacerdoti non si pongono neppure il dubbio se ciò che fanno è bene o male, ma hanno proprio scambiato il male per un bene, così come ci aveva ammonito il Profeta Isaia: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (5,20). Nessun Sacerdote ha il diritto di stravolgere la Verità usando il Confessionale, Essi sono chiamati a giudicare il peccato (non il peccatore) non in base alle loro opinioni ma sulla base dei Comandamenti, del Vangelo quando Gesù dice all'adultera: "và e non peccare più!", in base alle Norme della Chiesa dalla quale hanno ricevuto il mandato.

    Trattandosi di Sacerdoti mandati non per esprimere le proprie opinioni ma i comandi divini, si chiama abuso di potere, come ebbe a dire Giovanni Paolo II quando denunciava l'esplosione dei cosiddetti "atti penitenziali" in sostituzione delle confessioni personali.

    Ed è un "potere modernista" che certo Clero usa oggi gettando non soltanto nella confusione il fedele, ma stravolgendo la dottrina della Chiesa che non è mai mutata, rovinando migliaia di anime che sono morte, muoiono, o stanno morendo in un grave stato di peccato mortale spaventoso, nel silenzio compiacente di questi Giuda!

    Certo, sappiamo che la misericordia di Dio è superiore a tutto e legge i cuori delle persone, ma sappiamo anche che Egli è Giudice e che se ci saranno anime dannate per queste inadempienze, coloro che si sono resi responsabili di tale situazione, pagheranno assai più duramente il loro tradimento o silenzi (cfr, Ez. 3,18-21).

    L'Atto penitenziale, con il quale si comincia la Messa e attraverso il quale si fanno degli incontri con i fedeli in alcuni Tempi forti liturgici come l'Avvento, la Quaresima o nella Settimana Santa, è sufficiente solo per i peccati veniali ma non sostituisce l'assoluzione se uno non ha ancora confessato i peccati mortali, semmai prepara il fedele proprio alla vera e piena Confessione.

    La Confessione è strettamente associata alla ricezione della Comunione Eucaristica, troppi nel Clero oggi dimostrano non soltanto di non conoscere una adeguata preparazione di teologia morale corretta, ma dimostrano piuttosto una avanzata e superba pretesa di poter officiare a tale ministero a seconda delle proprie convinzioni, agendo liberamente e con perversa coscienza ben sapendo di agire contro la dottrina della Chiesa, assumendo l'orgogliosa pretesa di essere "più buoni della Chiesa" stessa, e di assolvere così tutti, a prescindere dalle colpe personali e dal loro peso.

    Così esordiva Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica: "San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».

    In questa linea giustamente il CCC (n. 1385) stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».

    Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»”

    (Giovanni Paolo II da Ecclesia de Eucharistia 36).

    Leggiamo da un bravo sacerdote questo breve:

    "Può sembrare duro san Giovanni Crisostomo, ma non fa altro che riprendere le parole severe di san Paolo in 1 Cor 11,27-30: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.

    È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”.

    L’autorevole Bibbia di Gerusalemme commenta quest’ultimo versetto con le seguenti parole: “Paolo interpreta un’epidemia come una punizione divina per la mancanza di carità che ha reso l’eucaristia impossibile” ".

     

    Quindi, se uno è inconscio di essere in uno stato di peccato mortale che deve fare? Cosa succede?

    Intanto se questa persona non va al confessionale a dire i suoi peccati, come potrà essere in grado di comprendere se si trova in uno stato di peccato mortale o meno?

    Dice Giovanni Paolo II nell'Enciclica sopra citata:

    "Se poi il cristiano ha sulla coscienza il peso di un peccato grave, allora l'itinerario di penitenza attraverso il sacramento della Riconciliazione diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al Sacrificio eucaristico".

    Ecco una delle grandi responsabilità di Sacerdoti impreparati o persino traditori del proprio ministero loro affidato. Devono essere loro per primi a sollecitare i fedeli con le catechesi, le omelie domenicali, persino il dialogo e l'amicizia, a fare ricorso al confessionale, devono essere loro per primi a fare l'elenco dei peccati mortali che si trovano nel Catechismo e in tutto il Magistero della Chiesa.

    E' difficile dire poi che la persona che frequenta la Chiesa e va alla Messa e magari pretende anche l'Eucaristia non sia cosciente di trovarsi, più o meno, in un grave stato di peccato mortale, basta leggere i Dieci Comandamenti la cui disobbedienza ed ostinata ribellione ad uno solo di questi, conduce in uno stato grave di allontanamento da Dio (= allontanamento da Dio: peccato = stato grave: mortale), qui si rileva semmai il silenzio dei Sacerdoti sul valore di questi Comandamenti e l'ignoranza di quei fedeli che non solo non li conoscono, ma spesso ne ignorano il senso o vi attribuiscono interpretazioni blande, mischiate a certa informazione mediatica, o spesso anche contro le dichiarazioni del Sommo Pontefice.

    L'ignoranza poi non è affatto una giustificazione né una scusante e le parole di San Paolo sono chiare:

    "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor..5, 19-20).

    Lo si deduce dal fatto che quando si parla poi a questi fedeli o Sacerdoti dell'esistenza del peccato mortale, dell'Inferno eterno, di un Giudizio divino, non stanno ad ascoltare, ma si ribellano, rifiutano la vera interpretazione e si ostinano a perseguire ciò che a loro piace di sentirsi dire, attribuendo il tutto al Concilio quale nuovo magistero che avrebbe modificato così tutte le dottrine.

    Dice Sant’Agostino a proposito di quelli che pensavano che fosse sufficiente la riconciliazione interiore (Atto penitenziale) senza Sacramento della Penitenza: “Nessuno dica: ‘Faccio la Penitenza privatamente, per conto mio, di fronte a Dio’, e ‘il Dio che perdona conosce quello che compio nel cuore’. Dio allora avrebbe detto senza motivo: ‘ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo!’. Così come senza motivo avrebbe consegnato le chiavi del regno di Dio alla Chiesa! Si può rendere vano il Vangelo? Si possono rendere vane le parole di Cristo?” (Sermone 392, 3).

    Nel n. 212 del Compendio del CC, alla domanda: In che cosa consiste l'inferno?

    leggiamo la seguente risposta:

    "Consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale".

    E al n. 291 alla domanda: Che cosa si richiede per ricevere la santa Comunione?

    leggiamo:

    "Per ricevere la santa Comunione si deve essere pienamente incorporati alla Chiesa cattolica ed essere in stato di grazia, cioè senza coscienza di peccato mortale. Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave deve ricevere il Sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione...."

    Non è alla leggera che la Madre Chiesa insegna che normalmente il buon cristiano si confessa ogni mese (i Santi consigliano anche una volta la settimana o ogni 15 gg. specialmente se si è seguiti da un buon Confessore e si sta percorrendo un cammino di conversione). Ma certamente una volta all’anno.

    Meno di questo cosa si pretende?

    Per una breve distinzione tratta dal Compendio (C.CCC) circa il peccato mortale ed il peccato veniale, si legga qui: http://www.maranatha.it/rituale/23page.htm

    Si veda sul Catechismo della Chiesa Cattolica con precisione i vari tipi di azioni che costituiscono, se realizzate con piena avvertenza e deliberato consenso, peccato grave.

    Se volessimo fare un elenco non esaustivo potremmo dire che sono peccati gravi/mortali i seguenti atti:

    idolatria, magia, stregoneria, occultismo, ateismo, astrologia, avversione e persecuzione e diffamazione verso la Chiesa Cattolica (questi puniti con la scomunica latae sententiae), spergiurare su Dio, omicidio, suicidio assistito, eutanasia, suicidio, aborto (questo punito con la scomunica latae sententiae), violenza sessuale sui minori, e cultura pedofila in genere, atti sessuali fuori dal Matrimonio Cattolico, convivenza more uxorio, atti sessuali disordinati all’interno del Matrimonio Cattolico, adulterio, contraccezione, prostituzione, atti omosessuali, visione e detenzione di materiale pornografico, masturbazione, furto (tale peccato viene assolto solo con la restituzione del mal tolto), diffamazione, odio, mancanza di perdono, bugia dannosa, calunnia, riduzione in schiavitù.

     

    ***

    "Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo". (Benedetto XVI Messaggio per la Quaresima 2012)

    Ma diverse sono le obiezioni scatenate dal Protestantesimo che fu il primo ad attaccare i Sacramenti della Chiesa e in specie la Confessione. L'accusa Protestante partiva dal falso concetto che la Confessione servisse alla Chiesa per tenere sotto schiavitù le anime ignoranti, sotto come ad un ricatto morale essendo il Sacerdote venuto a conoscenza dei suoi peccati più oscuri. Dunque la Chiesa avrebbe inventato questo Sacramento per scopo di lucro.

    Rispondiamo brevemente per un dovere verso i lettori e della verità:

    che il Divino Redentore abbia dato alla Sua Santa Chiesa il "potere" di rimettere i peccati, dando l'avvio così a ciò che è chiamato Sacramento, lo dicono le Sacre Scritture, lo conferma la S. Tradizione e la Chiesa da sempre lo insegna.

    Ogni perdono poteva venire solo da Dio attraverso il sacrificio espiatorio, lo ribadisce la Scrittura: "Ego, ego sum ipse, qui deleo iniquitates tuas propter me et peccatorum tuorum non recordabor. / Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati." (Is.43,25), tale remissione è la necessità che Dio stesso avverte come urgente "per riguardo a Lui stesso", ma per essere "rimessi", poiché nessuno può toglierseli da se stesso, è necessario che questi peccati vengano confessati, pronunciati, riconosciuti dal penitente e da lui deve essere richiesta la rimozione, poi il Signore Dio nella Sua infinita misericordia e "per riguardo a Se stesso", si prodigherà alla remissione per mezzo dei Suoi Ministri e del Sacrificio espiatorio che è la Santa Messa.

    Le accuse o le obiezioni rivolte alla Chiesa furono, per la verità, già rivolte a Nostro Signore, agli occhi degli scribi infatti, attribuirsi un tale potere di rimettere i peccati, era una gravissima bestemmia, che doveva essere punita con la pena capitale (come dicono Levitico 24,11 e Numeri 15,30), ma Gesù risponde adeguatamente all'accusa, con una dimostrazione tipica del modo di pensare giudaico e ben descritto nel Vangelo di S. Marco capitolo 1 vv.17-45 ed anche nel capitolo 2.

    "Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua" (Mc.2,9-11).

    Questo potere il Signore consegna, comanda ai Suoi Apostoli:

    " Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv.20,21-23), è la "potestà" in terra di rimettere i peccati a cominciare dal Battesimo che è una prima remissione, per poi continuare ad insegnare tutto ciò che Lui ha comandato di fare, compresa questa remissione: " docentes eos servare omnia, quaecumque mandavi vobis / insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt.28,20), e poiché è compresa questa remissione dei peccati, e che essi ebbero dal loro Maestro la facoltà non solo di rimettere ma pur anche di ritenere, risulta con tutta verità che Gesù conferì loro la potestà di giudicare dei peccati, evidenziarne la gravità e perdonarli, rimetterli, o persino di "ritenerli non rimessi", secondo le disposizioni d'animo dei peccatori, ossia il rifiuto al pentimento e l'ostinazione a voler continuare a commetterli, e questo proprio "per riguardo a Se stesso" e quindi all'uomo del quale ha voluto assumerne l'umanità per redimerla.

    La potestà non è altro che l'atto solenne della insufflazione dello Spirito Santo che rende pratico, vivo e vero ogni Sacramento affidato però alla Chiesa e non a chiunque, non a tutti i battezzati, ma solo agli "amministratori dei misteri di Dio" (1Cor.4); quel "creare di nuovo" che avviene per mezzo dello Spirito Santo, Gesù infatti non ha solo il potere di rivelare il male o ciò che è male, ma Egli si rivela quale Redentore dell'uomo malato, Salvatore e Medico delle Anime, e di questa Redenzione abilita gli Apostoli raccomandando: "Et si quis audierit verba mea et non custodierit, ego non iudico eum; non enim veni, ut iudicem mundum, sed ut salvificem mundum. / Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo"(Gv.12,47), la Confessione è dunque necessaria, fondamentale, indispensabile a coloro che vogliono salvarsi, chi non vuole salvarsi non va al confessionale e non cerca il perdono di Dio, si esclude dalla salvezza. Per questo è necessaria l'evangelizzazione, per questo sono necessari Sacerdoti obbedienti e che non usino il Confessionale per le loro opinioni: sono le parole di Gesù e la Parola nei Dieci Comandamenti che devono essere trasmessi ed usati per stabilire la conoscenza del male che conduce al peccato!

    In tutta la S. Scrittura il concetto di "condanna" deriva dalla scelta dell'uomo quando accetta il risanamento, e allora è salvo, oppure lo rifiuta e allora si condanna da sé. Non c'è bisogno che Gesù lo condanni, egli si esclude dalla Salvezza. Per condannare l'uomo, infatti, non c'era bisogno che il Divin Verbo s'Incarnasse, l'uomo si era già condannato con il primo Adamo. Per salvare l'uomo era necessario, invece, l'intervento di Dio non potendosi, l'uomo, risollevarsi da solo dal grave peccato. "Dio infatti – scrive S. Giovanni – non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,17).

    Così ammonisce S. Paolo esprimendo la misericordia della remissione e l'avvertimento del "ritenere": " L'ho detto prima e lo ripeto ora, allora presente per la seconda volta e ora assente, a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri: quando verrò di nuovo non perdonerò più, dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui che non è debole, ma potente in mezzo a voi" (2Cor.13,2-3) è così che la reticenza e l'essere reprobi è una debolezza imperdonabile.

    Quanto ai Santi Padri e Dottori della Chiesa, di tutti i tempi, fanno testimonianza in tutti gli insegnamenti della potestà data da Gesù Cristo alla sua Chiesa di giudicare dei peccati e giammai le persone in quanto schiavi delle debolezze.

    S. Clemente Romano, già discepolo e compagno di S. Paolo, esorta quelli che avevano promosso i disordini nella chiesa di Corinto, di ravvedersi e di rimanere soggetti ai presbiteri, ed a venir corretti per mezzo della penitenza (Epist. ad Cor. S. Clem. Rom. n.57). E via a seguire con S. Ireneo, Vescovo di Lione nel secondo secolo, S. Cipriano, che ha sviluppato ampiamente, il sistema della penitenza, fino ad arrivare al Concilio di Trento in cui la Chiesa definì che la Penitenza è un vero Sacramento istituito da Gesù Cristo e che le parole del Redentore sopra riportate di S. Matteo cap. 28, sono da intendersi della potestà di rimettere e di ritenere i peccati nel Sacramento stesso della Penitenza o Riconciliazione (S.Conc. Thrid. Sess.XIV can.1).

    In definitiva, affinché i peccati possano essere rimossi dalla penitenza, è necessario che il peccatore, il penitente, li detesti facendosi aiutare dai seguenti passaggi che costituiscono la "forma" del Sacramento:

    a. contrizione: per mezzo della quale il peccatore si assoggetta all'azione del Sacramento e non alle opinioni personali del Sacerdote;

    b. confessione: che per quanto sta al peccatore ripari al male che ha fatto senza omettere alcun peccato, specialmente se mortale;

    c. soddisfazione: che è la materia prossima del Sacramento, dopo aver fatto la contrizione e la confessione, è necessaria la soddisfazione, la riparazione del danno fatto.

    Detto in parole brevi:

    - La Contrizione:

    detestare non se stessi ma i peccati commessi, significa proprio aver compreso ciò che ci separava da Dio, e contristarsi per questa separazione e così poter ritornare a Dio.

    - La Confessione:

    la Confessione è una conseguenza necessaria della potestà concessa da Nostro Signore Gesù Cristo agli Apostoli di giudicare dei peccati, perché per sapere quali potevano essere rimessi e quelli che non potevano essere rimessi subito, dovevano necessariamente conoscerli, né era possibile altrimenti che il peccatore fosse in grado di riconoscerli e confessarli.

    - La Soddisfazione (delle pene colla penitenza):

    per comprendere che cosa significa questa Soddisfazione, basta sapere che nel Sacramento del Battesimo si rimettono tutte le colpe e tutte le pene in maniera che, pei peccati commessi prima di riceverlo, nessuno è obbligato a soddisfare, non così nel Sacramento della Penitenza perché se è vero che il Signore Dio nella Sua infinita misericordia rimette la colpa ed apre al peccatore la via del perdono, la Divina Giustizia esige che, com'egli colla sua attività personale, peccaminosa, distrusse l'opera della Redenzione, così colla sua personale attività dovrà concorrere al suo ristabilimento, assaporando anch'egli il "calice amaro della passione" che il Divino Redentore bevve per la nostra salvezza.

    Questa è la Soddisfazione tanto che, i Santi Padri della Chiesa e gli stessi grandi Santi, parlano di penitenza come ad un "battesimo travagliato" e lo considerano come assolutamente necessario per ottenere il totale perdono dei peccati.

    S. Gerolamo la chiama: " la seconda tavola dopo il naufragio, a cui deve appigliarsi il peccatore per lavare con amare lagrime assieme con Pietro le macchie della primiera bruttura" (Epist. 130 ad Demetr.), e ancora, sempre S. Gerolamo: " Nessuna cosa è ripugnante a Dio quanto un cuore pigro ed impenitente, questo è un delitto che non ottiene alcun perdono" (Epist. 147 ad Sabinian.).

    Del Santo Curato d’Ars (JeanMarie Vianney, 1786-1859) si conoscono poche cose e, spesso, superficialmente: il fatto che stava in confessionale fino a 16 ore al giorno; il fatto che combatteva con un diavolo da lui stesso soprannominato Grappino; il fatto che fosse ignorante e che, per questo, non lo volessero far prete… Ma, come spesso accade, dietro l’intonaco sta il muro che regge una vita e un senso: il Curato d’Ars, patrono dei parroci, era soprattutto un prete e un uomo di fede.

    In questo libro il lettore sarà condotto soprattutto a conoscere il cuore di un prete che «parlò di Dio con tutta la sua vita», attraverso stralci delle sue omelie abbinati ai brani del Vangelo che commentava, ve ne offriamo un passo:

    «E confidiamo nella nostra Madre, Maria. Vi ho detto che dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché siamo sicuri che non mancherà mai di venirci in aiuto in ogni nostra pena, purché andiamo da lui come figli dal padre. Vi dico anche che dobbiamo avere una grande fiducia verso la sua santa Madre, che è così buona, che desidera tanto aiutarci in ogni nostra necessità terrena, ma specialmente quando vogliamo ritornare al buon Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci vergogniamo di confessare, gettiamoci ai suoi piedi: siamo sicuri che lei ci otterrà la grazia di confessarci bene e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il perdono per noi (…).

    Diciamo pure che la virtù della speranza ci fa compiere tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, e non al mondo. Dobbiamo cominciare a praticare questa bella virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, pensando quanto sarà grande la ricompensa della nostra giornata se tutto quello che facciamo lo faremo bene, col solo obiettivo di piacere al buon Dio »(pag.103 - IL VANGELO DEL CURATO D ’ARS - C.Travaglino, San Paolo 2009, pp.192, € 12,00).

    Per concludere:

    "..... e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor..5, 19-20).

    Invitiamo i Sacerdoti innanzi tutto a fare essi stessi ricorso al Confessionale, frequentemente, dando l'esempio per poi abbandonare quel "potere" perverso e pervertitore attraverso il quale hanno sposato l'eresia che porta a cancellare l'esistenza del peccato mortale e dell'Inferno, e induce i fedeli al rischio di una dannazione eterna con loro. L'ignoranza non cancella il peccato grave, a volte lo aggrava ancora di più, quando per esempio si rigetta e si rifiuta la verità.

    Vogliamo agire come gli incoscienti Pinocchio e Lucignolo che lasciano la scuola per andare nel paese dei balocchi convinti di trovare l'eterna felicità? Non c'è altra via che il Calvario per raggiungere l'eterna beatitudine, anche con digiuni e penitenze per correggere le nostre debolezze, come insegna la Vergine Santissima in tutte le Apparizioni ufficiali e riconosciute dalla Chiesa.

    Su questa via Dolorosa che è anche questa "valle di lacrime" cadremo non una, non due, non tre volte, ma anche dieci o mille, non importa, l'importante è rialzarsi (=confessarsi) è riprendere questa via e restarci, fino al Golgota, fino alla Croce con Cristo. Diversamente ci trasformeremo lentamente in ciuchini che invece di raggiungere la felicità agognata, dovranno restare schiavi di una felicità falsa, deprimente e distruttiva.

     

    ***

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 25/03/2013 15:23
    25.03.2013 13:02

     

    Nuovo Papa e non un Papa nuovo

     

    Abbiamo ricevuto diverse e-mail che ci chiedevano come mai tanto silenzio sul "Papa nuovo", ci è stato chiesto cosa ne pensiamo e se forse non fossimo contrari a questa elezione.

    In verità ci siamo astenuti, di proposito, di perseguire la classica rincorsa mediatica e magari di fare a gara a chi avesse poi sparato le balle più grosse.

    Di proposito e perseguendo la virtù della prudenza abbiamo voluto attendere di far passare il ciclone della novità, l'emozione di una elezione, cercando di evitare quella infatuazione alimentata da molte immagini esteriori che solitamente fanno presa sui Media riversandosi, spesso rovinosamente, sulle migliaia di fedeli che sempre attendono qualcosa di "nuovo" e spesso si stancano della quotidianità, o perfino di avere un "vecchio" Papa.

     

    Come avrete compreso oggi parliamo dell'uso di questo termine "nuovo".

    Cominciamo con il dire che non abbiamo un Papa "nuovo" ma bensì abbiamo un nuovo Papa. La differenza è cosmica! Perciò facciamo attenzione a come usiamo le parole.

    Certe parole vengono usate oggi con una tale perversione da insinuarsi all'interno di un gergo cattolico che, però, finisce anche con il diffondere l'errore.

    Da dopo il Concilio Vaticano II abbiamo cominciato ad udire sempre più spesso questo termine: una Chiesa "nuova", con il perverso intento di voler usare il Concilio per pretendere dalla "chiesa nuova" anche un corpus dottrinale "nuovo". Tutto "nuovo" perchè il vecchio ha stancato, è "passato", anzi, non è al passo con i tempi. Già San Paolo ammoniva: "Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche", (1Tim.4,1);

    "Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia" (Ebr.13,9).

    Così come ancora più esplicitamente ammoniva l'allora cardinale Ratzinger pochi giorni prima di essere eletto Sommo Pontefice, alla Messa Pro Eligendo Pontefice:

     

    "Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

    Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo.

    É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità".

     

    "Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo..."

    (Efesini 4,14-15).

     

    E' proprio la Sacra Scrittura, interpretata correttamente, che ci dice che abbiamo così un "nuovo Papa" e non già una Papa "nuovo - una chiesa nuova" ecc.... La dottrina è immutabile, ed è proprio questa immutabilità che rende all'elezione di ogni Pontefice non una novità sulle dottrine, ma una novità (= termine che viene da nuovo, novello, fresco, giovane, novizio), un concetto di nuovo non nella dottrina immutabile della Chiesa sigillata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica in ben cinquecento pagine, ma nuovo in quella freschezza tipica di chi, appena eletto, porta sempre una ventata di fresco, di giovanile, nuovi modi per ridonare l'eterna dottrina immutabile.

     

    Un "Nuovo Papa" non significa altro che un ricambio nel gestire e nella gestione di quella Dottrina che ogni Pontefice, per dirsi tale, ha l'obbligo e il dovere di trasmettere integralmente e fedelmente. Non dunque nel cambiare la dottrina, ma nel porla in modo fresco, con l'entusiasmo che contraddistingue e accompagna, umanamente parlando, l'impatto del nuovo eletto.

     

    Tralasceremo di riportare qui l'odioso e il perverso gioco mediatico del fare i paragoni fra Pontefici. Sono perditempo e nocivi alla pace e salute dell'anima.

    Dobbiamo piuttosto far prevalere l'impostazione "nuova, giovanile, fresca" del nuovo Pontefice a riguardo proprio della Dottrina.

    Ebbene, Papa Francesco ha cominciato parlando del Diavolo! E noi non possiamo che ringraziarlo visto che ne abbiamo parlato anche qui: DEMONIO INFERNO: come parlarne ai bambini?, e dobbiamo ascoltare il "nuovo Papa", e mettere in pratica quanto dice:

    "Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio. Camminare, edificare-costruire, confessare".

    (14 marzo 2013: Papa Francesco, Santa Messa con i Cardinali);

     

    "La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù!

    Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù".

    (24 marzo 2013: Papa Francesco Omelia Domenica delle Palme)

     

    Cosa c'è di "nuovo" in queste parole? Di dottrina nulla, eppure abbiamo udito come certi Media continuano a presentare Papa Francesco come un "segno di rottura" con il suo predecessore Benedetto XVI.

    E abbiamo notato anche fra gli stessi Christefideles Laici come questa falsa rottura sia vista in modo gioioso, addirittura come una "speranza nuova" affinché il "papa nuovo" possa rifondare una "chiesa nuova con dottrine nuove"! Ahimè, che risveglio amaro avranno tutti coloro che stanno sperando da Papa Francesco (o pretendendo) una "chiesa nuova" ostaggio di un mondo che mutando pretenderebbe di dettare "dottrine nuove" ai Discepoli di Cristo nostro Signore.

     

    "Ma Papa Francesco ha detto che desidera una chiesa povera, non porta la croce dorata, non porta l'anello dorato, non porta le scarpette rosse...."

    Signore mio, diremmo davanti a queste idiozie mediatiche, quanta povertà di pensiero!

    Riguardo all'autentica povertà trasmessa dal Vangelo, vi rimandiamo volentieri a questo articolo molto ben argomentato: "La vera povertà che non è il pauperismo… della retorica laicista e della demagogia clericale ", qui possiamo aggiungere che l'autentica povertà insegnata dal Vangelo conduce inevitabilmente alle Beatitudini nelle quali sono descritte nitidamente tutte le virtù che dobbiamo vivere per dirci davvero "poveri" ed entrare nel Regno promesso.

    Gesù non toglie dall'afflizione, ma dice "beati gli afflitti"; Gesù non elimina la povertà ma dice "beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..."

    Insomma, la povertà nel Vangelo è persino auspicabile ma non come fine, piuttosto come mezzo per giungere ad un fine.

    Spogliare la Chiesa, dunque, non significa ridurla sul lastrico come vorrebbe certa massoneria e certo pensiero progressista, catto-comunista, modernista, affinché tale Chiesa impoverita di mezzi materiali non possa più andare per il mondo a predicare Cristo, significa piuttosto spogliarsi di quei segni legittimi come accadde per Gesù.

    Cosa ci insegna infatti san Paolo?

    "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

    Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre." (Fil 2,7).

    Affinché anche la Chiesa, e noi con Lei possiamo davvero essere esaltati (=santificati) dal Padre, dobbiamo avere in noi: " gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ".

    Gesù visse una povertà rivolta esclusivamente al vero fine: la nostra purificazione. Lui non visse affatto da povero, non andava in giro con le toppe ma portava una tunica talmente preziosa che i soldati si guardarono bene dal strapparla, ma la tirarono a sorte; Gesù dimostra che non aveva preoccupazioni per mangiare, anzi, Lui stesso preannunciando di essere quel Cibo che salva, sfamerà la folla con la moltiplicazione dei pani e dei pesci; Gesù dimostra che quando gli occorre qualcosa come un puledro o la stanza dove consumare l'Ultima Cena, Egli sa dove andare; Gesù dimostra di avere anche come pagare la tassa del tempio e non solo, ma elogia l'obolo della vedova e difende la raccolta dei fondi e il tesoro del tempio; Gesù fa tenere una cassa fra gli Apostoli che come sappiamo era gestita da Giuda, il traditore, che si occupava certamente di dare anche ai poveri ciò di cui avevano bisogno, ma di pensare anche al decoro stesso di Cristo e della piccola comunità alla quale nulla mancava; Gesù in definitiva non ha mai chiesto la carità, ma si è fatto mendicante dei nostri cuori, delle nostre anime: " non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo", il vero povero nella Chiesa è colui che si fa servo del prossimo. Perciò anche i poveri devono farsi servi. Il vero povero è colui che esce dalla condizione miserevole del peccato, e dalla stessa povertà intesa proprio come miseria e contro la quale sì, abbiamo il dovere di fare qualcosa: togliere il povero dall'indigenza con i mezzi che ci sono propri.

     

    Sarebbe persino superfluo stare a ripetere che certe croci dorate e anelli dorati non sono affatto di oro massiccio e che in tempo di grave crisi economica il gesto di Papa Francesco (che porta non materiale di ferro come si è detto, ma di argento e vuole portare la croce pettorale (di peltro) che gli fu donata quando venne eletto Vescovo e che quindi racchiude anche un valore affettivo, che continuò a portare anche da cardinale) può senza dubbio aiutare gli animi più sensibili dai quali, però, ci si attende la medesima sensibilità e accuratezza a non infangare i Predecessori che preferirono portare le insigne dorate.

     

    Vogliamo concludere queste riflessioni con una saggia fatta da un sacerdote e che riteniamo utile all'articolo:

     

    Il cardinale Bergoglio in una sua omelia del 2005, dedicata al tema della vita, egli ebbe a dire:

    “Quando si ascolta ciò che Gesù dice: Guarda, «Io mando voi, io vi mando come pecore tra i lupi», si vorrebbe chiedere: «Signore, stai scherzando, o non hai un posto migliore dove mandarci?».

    Perché ciò che Gesù dice fa un po’ paura: «Se annunzierete la mia parola, vi perseguiteranno, vi calunnieranno, vi tenderanno trappole per portarvi davanti ai tribunali e farvi uccidere». Ma voi dovete andare avanti. Per questo motivo, fate attenzione, dice Gesù, siate astuti come i serpenti ma molto semplici come colombe, unendo i due aspetti. Il cristiano non può permettersi il lusso di essere un idiota, questo è chiaro. Noi non possiamo permetterci di essere sciocchi perché abbiamo un messaggio di vita molto bello e quindi non possiamo essere frivoli. Per questo motivo Gesù dice: «Siate astuti, state attenti». Qual è l’astuzia del cristiano? Il saper distinguere fra un lupo e una pecora. E quando, in questo celebrare la vita, un lupo si traveste da pecora, è saper riconoscere quale sia il suo odore. «Guarda, hai la pelle di una pecora, ma l’odore di un lupo». E questo, questo compito che Gesù ci dà è molto importante. È qualcosa di davvero grande”.

    In cosa consisterebbe la nuova era? Su cosa sarebbe fondata? Forse sul creato o sull’amore universale? Forse su una liturgia spoglia? Forse su un S. Francesco che non appare più come « uomo cattolico e tutto apostolico », secondo la felice espressione di Pio XI? Come osservava quel Papa, ” nei nostri tempi, molti, infetti dalla peste del laicismo, hanno l’abitudine di spogliare i nostri eroi della genuina luce e gloria della santità, per abbassarli ad una specie di naturale eccellenza e professione di vuota religiosità, lodandoli e magnificandoli soltanto come assai benemeriti del progresso nelle scienze e nelle arti, delle opere di beneficenza, della patria e del genere umano. Non cessiamo perciò dal meravigliarci come una tale ammirazione per San Francesco, così dimezzato e anzi contraffatto, possa giovare ai suoi moderni amatori, i quali agognano alle ricchezze e alle delizie, o azzimati e profumati frequentano le piazze, le danze e gli spettacoli o si avvolgono nel fango delle voluttà, o ignorano o rigettano le leggi di Cristo e della Chiesa” (Lettera Enciclica “Rite expiatis”, 30 aprile 1926).

    Questa nuova era, tanto simile nella freddezza dei termini al nuovo mondo di farneticanti telepredicatori, se non proprio al pensiero del New Age, sarà riconducibile alle parole del Papa? Non è che voglia avvalersi piuttosto delle parole del Papa per rendere autorevoli i propri pensieri?

    Intanto, fino a questo momento, il solo che sembri rimetterci è Benedetto XVI, accusato persino di aver manipolato la liturgia in opposizione alla leggi della Chiesa. Non avrebbe meritato questo, specialmente da tanti che, fino ad un mese fa, erano intenti ad elogiare i grandi temi del suo pontificato. Col senno del poi (tanto brutto tra cristiani, ma opportuno tra uomini), dovendo riconoscere che nessuno avrebbe potuto dire in anticipo qualcosa sul pensiero del nuovo Papa, possiamo pensare ad una sorta di “captatio benevolentiae” preventiva. Pare, insomma, che il salire in anticipo sul carro del vincitore, non sia un principio affermato soltanto nel mondo. Ma siamo sicuri adesso che questo pensiero, tanto osannato, sia quello del Papa? Siamo sicuri che il biasimo del povero Benedetto alla fine paghi veramente? E’ lecito nutrire qualche dubbio. Soprattutto quando il coro, alla fine, si rivela per quello che è.

    Don Antonio Ucciardo

     

    Rammentiamo il grande riconoscimento che Papa Francesco ha fatto di Papa Benedetto XVI quando è andato a trovarlo: nel donargli una icona Papa Francesco gli ha detto "mi hanno detto che si chiama la Madonna dell'umiltà e, mi permetta di dirle una cosa, ho pensato a lei, alla sua umiltà durante tutto il suo pontificato (e Benedetto XVI ringraziava), ci ha dato tanto esempio di umiltà, davvero (mentre Benedetto XVI continuava a ringraziare), di tenerezza... e ho pensato a lei", mentre Benedetto XVI ringraziando aggiungeva: non dimentichiamola mai (la Madonna dell'umiltà).

    Mentre abbiamo trovato davvero squallido che il portavoce della Santa Sede abbia riportato esclusivamente il termine "siamo fratelli" anziché riportare questo breve dialogo fra due grandi Pontefici come grandi lo sono stati un po tutti i Pontefici in questo martoriato Novecento e inizi del Nuovo Millennio.

     

     

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 20/04/2013 10:23

    [SM=g1740758] Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

    20.04.2013 09:48

    Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

    Visto che spesso siamo costretti a subirci gli slogan creati ad arte dai Media progressisti che strumentalizzano le parole dei Papi, questa volta analizzeremo anche noi certe frasi di Papa Francesco ma senza strumentalizzazioni di sorta, leggendoli piuttosto in termini e in chiave ecclesiale.

    Abbiamo aperto questo Blog con un unico scopo: riscoprire le vie dei Santi per ritrovare nella nostra esistenza l'autentico dinamismo nel quale esercitare il ruolo dei Battezzati, ossia, dei "rivestiti di Cristo" che nella Chiesa ricevono un mandato specifico per essere veri seminatori e portatori dell'acqua viva, quella che davvero disseta, quella esperienza non con un testo scritto (per quanto sacro questo possa essere) ma dell'incontro esplosivo con una Persona speciale ed unica: Gesù Cristo, il Verbo incarnato, la Parola fatta carne.

    In sostanza se questo incontro non ci cambia la vita, non ci converte e non ci rende testimoni credibili tanto da coinvolgere anche gli altri ad accostarsi al Cristo, allora rischiamo di diventare davvero una Chiesa esclusivamente "clericale", da qui la provocazione a quell'essere "anticlericali" a partire proprio da noi stessi.

    La settimana scorsa, udendo Papa Francesco che già nel Giovedì Santo parlava contro una certa "autoreferenzialità" nella Chiesa, ci hanno scritto per chiederci cosa si intende con questo termine e che cosa sta cercando di dirci il nuovo Papa.

    Volentieri dedichiamo questo articolo ad una più facile comprensione.

    Papa Bergoglio è un Pastore della Chiesa che ben conosce le dinamiche pastorali perché non è semplicemente un teorico e non è un "curiale" bensì ha vissuto da sempre l'esperienza pastorale e con questa esperienza cerca di essere oggi il Vescovo di Roma, di fare il Papa, in sostanza l'esempio concreto, la testimonianza concreta dell'agire del Pastore nella Chiesa e nel mondo.

    L'autoreferenzialità nella Chiesa è davvero una delle spine peggiori al suo fianco perché non le consente di applicare pienamente il suo essere "missionaria" e di conseguenza la priva di uno dei doni più eccelsi, quello dell'unicità nella propria dinamica che sforna santi e trae dalla moltitudine quanti sono chiamati alla vocazione, così insegnava già Benedetto XVI in molti suoi interventi.

    In sostanza, autoreferenziali, significa quel compiacere sé stessi, accreditarsi da soli, parlare in modo autoreferenziale ossia esprimersi a favore di sé stessi e quindi in maniera a sé favorevole!

    Significa escludere non solo Gesù Cristo, ma attribuirsi pienamente l'azione dello Spirito Santo come una sorta di servitore alle nostre intenzioni e dipendenze mentre, in verità, accade esattamente il contrario: noi siamo al servizio dello Spirito Santo, è Lui che da le referenze semmai e quindi rende credibile la Chiesa con tutta la sua missione e dottrina.

    Quando diciamo che siamo "anticlericali" ci riferiamo a quel senso negativo di clericalismo autoreferenziale il quale, in ogni azione o pensiero, fa riferimento soltanto a sé stesso, alla propria vita o ai propri interessi e gusti.

    Lo vediamo nel mondo della politica che è formato da una casta autoreferenziale, ideologica, partitica, che cerca di imporre il proprio pensiero.

    Il pensiero che la Chiesa offre invece (non impone) non è suo nel senso che lo ha creato a tavolino, non è partitico, non è ideologico né filosofico, ma è l'incontro con Dio, l'incontro con la Persona Gesù Cristo attraverso il quale, lo Spirito Santo "fa vivere e santifica" e quindi promuove un certo pensiero universale(=cattolico) rendendo un servizio all'uomo in ogni tempo.

     

    Per comprendere ancora meglio ciò che intendiamo, Papa Francesco ha spiegato nell'omelia della Messa del mattino del 19 aprile, chi sono coloro che, alla missione del Cristo, rispondono solo con la testa:

     "Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla. (...)

    E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”.

    E' l'ideologia del moralismo, dell'estetismo, dell'eticismo che, come tutti gli "ismi" della storia ci insegnano, falsificano non solo il Vangelo, ma di conseguenza anche l'immagine della Chiesa, il volto della Sposa, della Madre riducendola ad un accumulo di dottrine pesanti, noiose, incomprensibili.

    Certo che Gesù ha insegnato, per esempio, che il Matrimonio è indissolubile e di conseguenza la Chiesa è contro il divorzio, ma ciò che manca a questi ideologi e quindi ad un certo clericalismo (anche laico) è quell'andare alla radice dell'indissolubilità, al perché Gesù la promuove, manca quell'incarnare la Parola per renderla davvero viva e visibile, comprensibile nel mondo.

    Quando noi insistiamo sulla conoscenza dei Santi, non facciamo ideologia, non siamo autoreferenziali, ma poniamo come esempi dei fatti concreti, persone concrete che hanno cambiato nel loro proprio tempo situazioni stagnanti.

    Ha detto infatti Papa Francesco sempre nell'omelia citata:

    "I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.

    Qualcuno ha ragionevolmente detto che: dacché "il Verbo si fece carne" oggi abbiamo troppi che hanno trasformato "la Parola in carta"...

    Non siamo forse sepolti da libri che tendono ad interpretare il Verbo, quello Eccelso, a seconda delle proprie autoreferenzialità, moralismi d'ogni sorta, slogan ideologici e quant'altro? Troppi interpreti della Parola e pochi testimoni della stessa.

    Quando, infatti, parliamo dell'amore ci riferiamo a quel "Dio è amore" che seppur è riscontrabile in tutta la Scrittura, è detto letteralmente una sola volta nella Lettera di Giovanni e che non a caso apre la prima Enciclica di Benedetto XVI:

    « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1Gv. 4, 16).

    Queste parole della Prima Lettera di Giovanni - scrive il Pontefice - esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: « Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ».

     

    La prima grande professione di fede scaturisce perciò non da un testo o da chissà quali ragionamenti, ma dall'Amore vivo e vero che Dio ha per noi, ed in questo abbiamo creduto e abbiamo operato; in questo crediamo ed operiamo.

    Cercando di lasciarci addolcire anche dallo stile autenticamente pastorale di Papa Francesco, sempre nell'omelia della Messa delle 7 del mattino, il 18 aprile ha detto:

    "Quante volte tanta gente dice in fondo di credere in Dio. Ma in quale Dio tu credi?”, una domanda diretta con la quale il Pontefice ha messo di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera:

    “Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”.

     

    «L’ultimo scalino della consolazione — ha detto il Papa nell'omelia del mattino del 4 aprile — è la pace: si incomincia con lo stupore, e il tono minore di questo stupore, di questa consolazione è la pace». Il cristiano, pur nelle prove più dolorose, non perde mai «la pace e la presenza di Gesù» e con «un po’ di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con Te: la consolazione spirituale”».

    E, soprattutto, ha sottolineato poi, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore, il quale  «ha sofferto tanto, sulla Croce, ma non ha perso la pace. La pace, questa, non è nostra: non si vende né si compra. È un dono di Dio che dobbiamo chiedere». La pace è come «l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con lo stupore di gioia». Per questo, non dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci portano a credere che queste fantasie siano la realtà».

    Infine, anche alla Messa a Santa Marta del 5 aprile, Papa Francesco ha spiegato l'importanza del nome di Gesù:

    «Il nome di Gesù. Non c’è un altro nome. Forse ci farà bene a tutti noi, che viviamo in un mondo che ci offre tanti “salvatori”.  A volte «quando ci sono dei problemi — ha sottolineato —  gli uomini si affidano non a Gesù, ma ad altre realtà,  ricorrendo magari a sedicenti maghe  perché risolvano le situazioni, oppure vanno a consultare i tarocchi per sapere e capire cosa fare. Ma non è ricorrendo a maghi o tarocchi che si trova la salvezza: essa è  nel nome di Gesù. E dobbiamo dare testimonianza di questo! Lui è l’unico salvatore».

    Un riferimento poi è stato dedicato al ruolo della Vergine Maria. «La Madonna — ha concluso il Pontefice — ci porta sempre a Gesù. Invocate la Madonna, e Lei farà quello che ha fatto a Cana: “Fate quello che Lui vi dirà!”.  Lei ci porta sempre a Gesù. È la prima ad agire nel nome di Gesù».

     

    Nella Lettera inviata ai Vescovi argentini, ha così stoccato Papa Francesco:

    «La malattia tipica della Chiesa ripiegata su se stessa  è l'autoreferenzialità: guardarsi allo specchio, incurvarsi su se stessa come quella donna del Vangelo. È una specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato».
    La terapia che il Papa propone ai vescovi argentini e alla Chiesa tutta è sempre la stessa: «uscire da se stessi per andare verso le periferie esistenziali». O si fa così, o la malattia si aggrava. «Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa».

     

    Ora, se meditiamo a fondo l'episodio di Maria alle Nozze di Cana, la soluzione stessa che ci propone la Madre è proprio questo "uscire da noi stessi" per fare "tutto ciò che Lui ci dirà"; se non facciamo e non predichiamo cosa Cristo ha detto di fare, diventiamo autoreferenziali e ci chiudiamo in noi stessi, non predichiamo più la Chiesa ma una nostra immagine di Chiesa, una nostra immagine di Cristo.

    La scena a Cana è chiarissima: i veri servi non dicono una sola parola, il dialogo si svolge fra Gesù e la Madre e il tutto parte non da una richiesta personale della Madre, ma da una materna preoccupazione che è una constatazione in quel "non hanno più vino", con il rischio che tutta la festa e l'inizio di quel matrimonio potrebbero essere compromessi se Gesù non farà qualcosa. A questo punto, dopo il dialogo fra Gesù e la Madre, nostra avvocata presso il Figlio, i servi obbediranno alle istruzioni di Gesù.

    E' in questo "fare tutto ciò che Lui dice" che il Signore può operare.

    Questo significa uscire da se stessi e mettersi alla sequela autentica di Cristo, essere veri servi della Parola e non della sua più vasta interpretazione a seconda delle nostre opinioni, constatare le esigenze degli altri alla luce del Vangelo e rispondere come risponderebbe Cristo stesso attraverso gli esempi che abbiamo sia nei Vangeli quanto nei Santi (=Tradizione).

    Certo che, come insegnava Benedetto XVI, non abbiamo delle ricette facili. La fede e la sua applicazione sono un cammino costante, anche con cadute e ricadute, ma sempre un cammino per questo i Sacramenti sono un bene insostituibile, specialmente la Confessione e l'Eucaristia. Vivere dei Sacramenti è proprio questo predisporsi per ricevere il vino buono. La Confessione, fatta bene e costantemente, ci svuota del nostro ego, l'Eucaristia ci riempie del vino buono.

    Per questo invitiamo e sollecitiamo i Sacerdoti ad occuparsi delle anime e non di altro!

    Li invitiamo ad essere meno clericali di quella autoreferenzialità che offusca la loro stessa identità di Ministri santificatori, "amministratori dei misteri di Dio"(cfr 1Cor.4,1) e non del loro sapere nelle loro opinioni, spesso anche speculazioni teologiche.

     

    "Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole "io" o "mio" ("Io ti assolvo... Questo è il mio Corpo..."), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, "in persona Christi", che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento. (..)  Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l'impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera.

    (..) In un mondo in cui c'è tanto rumore, tanto smarrimento, c'è bisogno dell'adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell'Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

    Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa:  che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale".

    (Benedetto XVI - Incontro con il Clero Polonia - 25 maggio 2006)

     

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)