DIFENDERE LA VERA FEDE

Seconda Sessione del Sinodo Romano 26 gennaio 1960

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    Caterina63
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    00 18/05/2014 16:18

    SESSIONI DEL SINODO ROMANO
    NELL'AULA DELLE BENEDIZIONI
    PRESSO SAN PIETRO
    ________________

    II

    ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
    DURANTE LA SECONDA SESSIONE
     DEL SINODO ROMANO
    *

    Martedì, 26 gennaio 1960

     

    NEL SACERDOTE: 
    LA TESTA, IL CUORE, LA LINGUA

     

    Venerabili Fratelli e diletti figli,

    La nota iniziale per questo secondo colloquio Ci viene offerta dagli Atti del Concilio di Trento, giusto del primo capitolo de reformatione della Sessione XXII. Sono punti di dottrina e indirizzi pratici di condotta che Ci sono familiari dagli anni del seminario, e che ancora riteniamo e ripetiamo a memoria. « Niente è più efficace ad incoraggiare la pietà e il culto di Dio nel popolo cristiano come la vita e l'esempio di coloro che si sono dedicati al ministero divino ». Per il fatto di essere sollevati dalle cure del secolo e posti in alto, i sacerdoti sono riguardati dagli occhi di tutti, e ricercati come motivo di edificazione e di esempio.

    L'ASPETTO ESTERIORE 
    DEL SACERDOTE DISTINTO

    « Per questo sic decet omnino — questo decet ad ogni costo, più che convenienza, impone necessità e precetto — clericos in sortem Domini vocatos, vitam moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu, incessu, sermone, aliisque omnibus rebus, nihil nisi grave, moderatum, ac religione plenum prae se ferant. Levia etiam delicta, quae in ipsis maxima essent, effugiant, ut eorum actiones cunctis afferant venerationem ».

    Sono parole testuali del Concilio: a cui si aggiungono queste altre: Quo maiore, in Ecclesia Dei, utilitate et ornamento haec sunt, ita etiam diligentius sunt observanda.

    Qui dunque è il ritratto fedele del vero sacerdote di Cristo, che viene fissato e delineato: è lo specchio in cui ciascun ecclesiastico è invitato a riguardare se stesso, a proprio umile compiacimento o a propria confusione. Ed in vero tale compostezza di vita e di costumi nel vestire decoroso, nel gesto, nell'incedere, nell'uso della parola, tale gravità serena ed attraente, gradevolmente soffusa di pietà religiosa, destano subito e d'incanto rispetto e venerazione. Questo complesso di belle qualità, a misura che reca edificazione e ornamento nella Chiesa del Signore, vuole essere conservato con diligenza, continuità e fervore.

    Eppure sin qui non siamo ancora che alla facciata esteriore di un ecclesiastico che si rispetta e che promette di ben riuscire nel servizio della Santa Chiesa e delle anime. Questa apparenza felice del presentarsi e dell'agire in tanto vale in quanto è mantello prezioso del tesoro naturale o acquisito di virtù morali, che, fecondate e fiorite dalla grazia del Signore, costituiscono la sostanza viva della santità sacerdotale.

    LA SOSTANZA VIVA 
    DELLA SANTITÀ SACERDOTALE

    PermetteteCi, Venerabili Fratelli e figliuoli diletti, di accennare a qualcuna di queste virtù in riferimento a tre elementi caratteristici della persona umana e sacerdotale dignità, cioè, la testa, il cuore, la lingua.

    LA TESTA

    E cominciamo dalla testa: a capite innanzitutto.

    E dalla testa che si misurano la dottrina, il giudizio, il buon giudizio dell'uomo di Chiesa, che è il sacerdote di Cristo.

    La scienza suppone lo studio; e lo studio è necessario: dagli anni della preparazione sacerdotale, a quelli dell'esercizio del sacro ministero, sino agli ultimi della vita, quando si gustano meglio i ricordi delle studiose vigilie della giovinezza, e la loro applicazione diviene di anno in anno più saggia e più preziosa.

    Oggi più che mai è evidente la necessità della buona coltura. L'ignorante, l'incapace non può, non deve essere ordinato sacerdote. Seminari, Sinodi, Concili, Costituzioni pontificie, dottrina dei Padri e dei teologi, esigono l'applicazione della testa, e con ciò lo splendore della dottrina. Studiare dunque bisogna e studiare tutta la vita. L'oggetto di sempre nuovi studi non mancherà mai.

    È però ugualmente grave, nella scelta degli studi e dei libri, procedere con cautela: poiché non tutti sono buoni, non tutti sono perfetti in fatto di conformità alla pura dottrina del Vangelo, e degli interpreti più noti e sicuri dell'insegnamento cristiano.

    Di questo insegnamento ogni bravo sacerdote deve poter rendere la testimonianza più fedele. Ed è in questo compito che si misura il buon giudizio ed il valore di ciascuno. La sovrabbondanza della produzione letteraria in ogni settore dello scibile umano diviene sovente tentazione di sbandamento intellettuale, di posizioni bizzarre e pericolose, verso le quali si corre da chi manca di esperienza, ed è portato facilmente, e presto, a confidare in se stesso.

    La conoscenza dei Libri Sacri: Antico-Nuovo Testamento: dei Padri e dei grandi maestri della filosofia e della teologia, principe l'Aquinate: la scienza liturgica e la sua applicazione, vero giardino delizioso dai fiori e dagli alberi più profumati e maestosi: e in terzo luogo la conoscenza e la pratica della legislazione generale del Codice di Diritto Canonico posto a servizio dell'ordine sociale, così nell'interno, o nella amministrazione diocesana, come nei rapporti col mondo esterno, costituiscono le tre sorgenti di dottrina, di disciplina e di santificazione, da cui si sollevano le teste robuste e quadrate dei migliori sacerdoti, divenuti veri e nobili servitori della Santa Chiesa e delle anime. E vi è forse ecclesiastico, anche di modeste proporzioni intellettuali, che non possa aspirare a questa soddisfazione intima che la grazia del Signore assicura alle buone volontà nutrite e fortificate da bella coltura attinta, non a piccoli rigagnoli, ma alle opere robuste di cui anche l'età nostra è capace, in emulazione umile e coraggiosa delle grandi pubblicazioni del passato — Padri, scrittori e Dottori della Chiesa, sempre maestra di verità in tutti i secoli?

    S. Pietro ammonisce nella sua seconda lettera circa lo speciale riguardo che vuolsi usare in materia di studi Biblici: cui bene facitis attendentes — son parole sue — quasi lucernae lucenti in caliginoso loco, donee dies elucescat, et lucifer oriatur ira cordibus vestris: hoc primum intelligentes, quod am,nis prophetia, Scripturae propria interpretatione non fit [1].

    Eguale criterio di giudizio in esercizio di sobrietà intellettuale sarà per tutti bene applicato anche per gli altri studi, messi in guardia dalla tentazione di parere originali e nuovissimi; cioè criterio di fiducia nella Santa Chiesa docente allorchè indirizza o corregge [2]. Torna ben a proposito quanto un recente scrittore ecclesiastico distintissimo, e insigne pastore di anime, scriveva ai suoi sacerdoti per metterli paternamente in guardia : « il soggettivismo personale in teologia fa degli eretici: in ascetica nutre degli illusi, e nelle discipline canoniche crea degli indisciplinati, quindi dei fuorviati dalla cooperazione alle opere di Dio » [3]. E ringraziamo Iddio benedetto, e teniamoci sempre in faccia alla realtà. La lex supplicandi offre la sua luminosa testimonianza alla lex credendi: e il Diritto Canonico rappresenta a sua volta nella lex vivendi la sintesi più bella e più autorevole della vita cristiana e sacerdotale santamente fattiva.

    IL CUORE

    Ed ora, dalla. testa, Venerabili Fratelli e diletti figli, passiamo al cuore.

    Quando è detto di un sacerdote: è un uomo di cuore: questa è la prima nota felice che inizia un elogio a cui di ordinario molta gente facilmente si unisce. E si unisce sovente a tal punto da perdonare anche qualche esuberanza di moti della testa meno aggiustati ed opportuni. Viene anche fatto molto credito a quanto fu scritto, con autorità più di letterato che di filosofo e moralista, ed è applicato largamente, che cioè sovente « il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce ». Ora la dignità del nostro ministero ci suggerisce di non prendere ciò alla leggera. Anche le ragioni del cuore vanno studiate e giustificate o corrette.

    Il cuore di un sacerdote deve essere riempito di amore, come la testa deve essere splendente di verità e di dottrina. Amore di Gesù, ardente, piissimo, vibrante e aperto a tutte quelle effusioni di mistica intimità che rendono così attraente l'esercizio della pietà sacerdotale, della preghiera: così di quella ufficiale della Chiesa universale, come di quella dalle forme private bene scelte e seguite, ed a cui il potersi abbandonare è delizia e nutrimento saporoso e solido dello spirito; è sorgente perenne di coraggio, di conforto fra le difficoltà, talora fra le asprezze della vita e del ministero sacerdotale e pastorale.

    Amore della Santa Chiesa e delle anime, specie di quelle affidate alle nostre cure ed alle nostre più sacre responsabilità: anime appartenenti a tutti i ceti sociali; ma, con particolare interesse e sollecitudine, anime di peccatori, di poveri di ogni specie, di quanti ricorrono sotto la enumerazione delle opere della misericordia, recando nel tutto insieme dei rapporti la ispirazione della carità evangelica.

    Che belle espressioni queste di S. Pietro: Animas vestras castificantes, in oboedientia charitatis, in fraternitatis amore, simplici corde invicem diligentes attentius [4].

    La carità e la fraternità poste in gara collo studio della purificazione non solo dell'anima, ma anche del corpo, e della carne, « rigenerati come siamo non da seme corruttibile, ma incorruttibile per virtù della parola di Dio vivo, che dura in eterno » [5].

    Arrivato a questo punto della sua, non seconda, ma prima Lettera, S. Pietro ci introduce con un passaggio rapido di immagini e di parole ad un richiamo che tocca da vicino la realtà della nostra vita sacerdotale, riempita sì e fortificata dalla grazia che crea gli angeli e i santi. ma non immunizzata dalle tentazioni della carne, che rappresentano un pericolo quotidiano, un inganno continuato, teso sovente alla bontà del cuore. Ah!! cuore e carne, che preoccupazione per la nostra fedeltà ai grandi e santissimi impegni assunti nella nostra ordinazione sacerdotale, da quel giorno in cui ci sentimmo dire innanzi all'altare: Adhuc liberi estis; e dopo un minuto di silenzio facemmo il nostro passo avanti per una consacrazione della nostra vita registrata nei cieli, e anche quaggiù proclamata in faccia a tutta la Chiesa e al mando intero !

    Anche il cuore è di carne, e cuore e carne devono fare il viaggio insieme. Sentite San Pietro che cosa dice a questo stesso punto della sua Lettera : Omnis caro ut foenum: et omnis gloria eius tamguam flos foeni. Exaruit foenum, et flos eius decidit [6].

    « Ogni carne è come erba, e ogni suo splendore è come il fiore dell'erba: l'erba seccò e il fiore dell'erba cadde ».

    Diletti Fratelli e figli: questo nostro carico di sacre responsabilità pontificali e pastorali è confortato da molte grazie del Signore che soccorre alla Nostra indegnità. Vi invitiamo ad unirvi al Nostro spirito nel benedire il Signore. Ma sapete che cosa affligge di tratto in tratto più vivamente le Nostre giornate? È il gemito, vicino o lontano, — e non tanto da Roma adunque, ma dai punti più vari della terra — che arriva sin qui, il gemito di anime sacerdotali a cui la compagnia del cuore e della carne nel viaggio della vita, e persino nell'esercizio poco vigilato del sacro ministero, ha recato grande pregiudizio, in faccia a Dio, e in faccia alla Chiesa ed alle anime, grande disonore e grandissime e amarissime pene. Soprattutto Ci accora che per salvare qualche lembo della propria dignità perduta si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la Chiesa Cattolica di rinunziare a ciò che per secoli e secoli fu e rimane una delle glorie più nobili e più pure del suo sacerdozio. La legge del celibato ecclesiastico e la cura di farla prevalere resta sempre un richiamo alle battaglie di tempi eroici, quando la Chiesa di Cristo dovette battersi, e riuscì, al successo del suo trinomio glorioso, che è sempre emblema di vittoria: Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica.

    A prevenire le debolezze del cuore, ad arrestarle, a correggerne le nefaste conseguenze, San Pietro riprende la parola che aveva sospesa davanti al fiore dell'erba, al flos foeni, presto disseccato, e la continua in tono di insistente invito al cuore dei suoi sacerdoti all'esercizio della carità, quasi come a garanzia di preservazione dalle gravi cadute a cui la fiacchezza dei sensi conduce come ad inesorabile castigo per il cattivo uso della lingua.

    LA LINGUA

    Ed eccoci così al terzo punto di osservazione che Ci proponemmo di toccare in riferimento all'impegno della nostra santificazione sacerdotale. Oh ! che parole.

    Oh ! che insegnamento a tutti, ma al clero particolarmente.

    Trattasi, dunque, non più della testa, o del cuore, ma della lingua. Siamo sempre nella dottrina o nell'ordine della carità: ma con speciale riferimento al dono fatto da Dio all'uomo di trasmettere al cielo ed alla terra in voce risonante ciò che è interiorità dello spirito. « Siate concordi — scriveva San Pietro da Roma ai lontani fedeli dell'Asia Minore antica che è l'Anatolia presente — siate tutti concordi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né maledizione per maledizione: invece benedite, perchè a questo siete stati chiamati, cioè a possedere in eredità la benedizione. Chi ama la vita e vuol godere giorni felici, raffreni la sua lingua dal male, e le sue labbra non dicano menzogne. Fugga il male e faccia il bene; cerchi la pace e le vada dietro perchè gli occhi del Signore sono rivolti sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere. La faccia del Signore però sta contro coloro che fanno il male » [7].

    Ah ! Fratelli e figliuoli : non vi sgomenti ciò che stiamo per dire. Abbiamo l'impressione che, sul punto del governo della lingua, più o meno pecchiamo un po' tutti: e che il saper tacere e il saper parlare a tempo e bene sia un segno di grande sapienza e di grande perfezione sacerdotale.

     

    In un bel volume, che rivela le intimità spirituali del Nostro grande Predecessore Pio XI di gloriosa memoria [8], è detto che egli, benché fosse così dotto, così compreso della sua dignità e responsabilità, era ad un tempo così riservato nei giudizi, da non dire mai male di alcuno, e quando gli avvenisse di sentirne dire da altri, anche in intimità di conversazione, volgesse tutto in interpretazione benigna, o arrestasse senz'altro l'argomento.

    La lunga pratica della vita insegni a tutti che per la felicità del nostro spirito giova assai più scorgere nelle cose il bene e soffermarcisi, che cercare il male ed il difettoso, e sottolinearlo con leggerezza, peggio poi se con malizia.

    Conosciamo a questo riguardo l'insegnamento di San Pietro. L'Apostolo Paolo è anche più forte: né occorre citarlo qui. Soprattutto è energico il linguaggio di S. Giacomo, che nel descrivere le miserie ed i danni del troppo parlare contro la verità e contro la carità, supera ogni confronto. Il testo della sua epistola catholica meriterebbe di essere appreso su questo punto a memoria e inciso sulle pareti delle dimore degli ecclesiastici. Nella edizione Hetzenauer al cap. III è stampata col sottotitolo De ambitione docendi.

    « Nolite plures magistri fieri, fratres mei, scientes quoniam maius iudicìum sumitis. In multis enim offendimus omnes. Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir : potest etiam freno circumducere totum corpus... Lingua modicum quidem membrum est, et magna exaltat. Ecce quantus ignis, quam magnam silvam incendit ! Et lingua ignis est, unìversitas iniquitatis. Lingua constituitur in membris nostris, quae maculat totum corpus, et infiammat rotam nativitatis nostrae, infiammata a gehenna. Omnis enim natura bestiarum et volucrum et serpentium et caeterorum domantur, et domita sunt a natura humana inguam autem nullus hominum domare postet, inquietum malum, piena veneno mortifero. In ipsa benedicimus Deum et Patrem, et in ipsa maledicimus omnes, qui ad similitudinem Dei fatti sunt. Ex ipso ore procedit benedictio et maledictio. Non oportet, fratres mei, haec ita fieri... Quis sapiens et disciplinatus inter vos? Ostendat ex bona conversatione operationem suam in mansuetudine sapientiae. Quod si zelum amarum habetis, et contentiones sint in cordibus vestris; nolite gloriari, et mendaces esse adversus veritatem. Non est enim ista sapientia desursum descendens, sed terrena, animalis, diabolica. Ubi enim zelus et contentio, ibi inconstantia et omne opus pravum. Quae autem desursum est sapientia, primum quidem pudica est, deinde pacifica, modesta, suadibilis, bonis consentiens, piena misericordia et fructibus bonis, non iudicans, sine simulatione. Fructus autem iustitiae in pace seminatur, facientibus pacem » [9].

    Parole gravi e roventi: motivo perenne di meditazione per l'ecclesiastico di ogni paese e di ogni tempo. E perchè non crediate, Venerabili Fratelli e diletti figliuoli, che queste ammonizioni apostoliche appartengano oggimai all'archeologia, e la dottrina in esse contenuta basti contemplarla come una testimonianza delle asprezze e delle difficoltà della vita passata, vi diremo che lungo i secoli successivi, sovente, nella letteratura dei Padri e dei dottori accade di ascoltare gli stessi richiami all'antico insegnamento. La voce di S. Bernardo è abbastanza nota a noi di Roma, non solo dal punto di vista della storia di quei suoi tempi, ma anche come ammonimento opportuno per tutti gli ecclesiastici di ogni epoca. Voi non troverete fuor di proposito che il più recente Patriarca di Venezia, trasferito come « servo dei servi del Signore » al governo della Chiesa universale, resti ancora familiare ai volumi, densi di purissima dottrina ascetica, del suo glorioso antecessore S. Lorenzo Giustiniani, il primo di questo titolo : e colga l'occasione di riferirvi alcuni brevi e vivaci pensieri di quel grande maestro di spirito sullo stesso argomento dell'uso della lingua, benedicente o malefica.

    Nel suo libro De disciplina et perfectione monasticae conversationis [10], dopo avere riferito alla lettera la dottrina di San Giacomo nella sua Epistola Catholica, così continua per conto suo:

    « Nihil ita incongruum homini Deo famulanti, et ad perfectionem tendenti reperitur, sicut effrenata lingua, nullo considerationis moderamine religata, quae omnem mentis unitatem dissipat et occidit. Ideo qui Deo vacare et inhaerere elegit, hanc regat hanc refrenet, hanc sub rationis dominium subigere conetur. Est namque ianua per quam saepe diabolus ingreditur ad cor, et per quam patet omnis interioris hominis status. Ubi enim incomposita est lingua, ibi nil potest esse occultum. Haec si moderetur reddit hominem moribus immatura, mente tranquillum, conscientia sincerum et cunctis amabilem. Nemo sapiens extimandus est, qui verborum suorum pondus non discernit. Priusquam proferantur, diligenter examinanda sunt verba: cum enim indiscussa emittantur, sine reprehensione esse vix possunt. Prout suggerit animus imprudens loquitur. Qui vero Dei piacere cupit taciturnus erit. Non est aeternae sapientiae verus amator qui procaciter loquitur ».

    E procede ancora illustrando il suo pensiero, con richiami bellissimi in esaltazione della lingua quando sia infiammata da un cuore ardente di amore di Dio e degli uomini. Coglie poi immagini e accenti deliziosi toccando del silenzio pensoso di Maria innanzi al saluto dell'Angelo, tramutato poco dopo nello scoppio del Magnificat presso la sua santa cugina Elisabetta, come a dare la nota iniziale al canto dei secoli, intorno a Gesù, che dei secoli è il Salvatore e il Re glorioso ed immortale.

    Fratelli e figliuoli dilettisimi. Quando un colloquio si avvia su motivi di carattere religioso e ascetico, l'anima di chi ben intende e sa gustare le cose celesti vorrebbe trattenersi più a lungo, come accadde di S. Benedetto e della sua sorella Scolastica presso lo speco di Montecassino. Ma, anche per oggi come ieri, le semplici cose dettevi bastano alla comune edificazione ed all'incoraggiamento per tutti.

    Ci è permesso augurarvi che esse possano incontrare il vostro gusto come un companatico che dia un suo speciale sapore alla manducazione del grosso pane delle Costituzioni Sinodali, che occupa prevalentemente le ore mattutine di queste belle giornate di festosa, e di cara fraternità sacerdotale.

    Dal richiamo del Capitolo De Reformatione della Sessione XXII del Concilio di Trento, che indica gli elementi principali per lo studio della santificazione sacerdotale, abbiamo scelto tre punti o tre aspetti della persona e della vita di ciascuno ecclesiastico e di tutti insieme: la testa, il cuore, la lingua.

    Quanto Ci venne fatto di dire, di ascoltare, di riflettere, Ci ha condotto a meglio apprezzare la sostanza delle parole del Tridentino: Levia etiam delieta quae in ipsis maxima essent, effugiant: ut eorum actiones cunctis afferant venerationem. Questa è la sublime idealità del sacerdozio cristiano: suscitare nel popolo, alla luce di Cristo, edificazione e venerazione.

    Così sia davvero per ciascuno e per tutti voi, miei diletti Fratelli e figliuoli, ora e sempre.

     


    * AAS 52 (1960) 231-239.

    [12 Petr. 1, 19-20.

    [2] Cfr. Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950; A. A. S. XXXXII, pagg. 561-578.

    [3] Card. Schuster.

    [4] 1 Petr. 1, 22.

    [5] 1 Petr. 1. 23.

    [6] 1 Ibid. 1, 24.

    [71 Petr. 3, 8-12.

    [8] CARLO CONFALONIERI, Pio XI visto da vicino. Editr. S.E.I., Torino. Cap. II, p. 105.

    [9Iac. 3, 1-18.

    [10] Pag. 89, 1, 47.









    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    SESSIONI DEL SINODO ROMANO
    NELL'AULA DELLE BENEDIZIONI
    PRESSO SAN PIETRO
    ________________

    I

    ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
    DURANTE LA PRIMA SESSIONE
     DEL SINODO ROMANO
    *

    Lunedì, 25 gennaio 1960


     

    IL SACERDOTE: 
    PERSONA SACRA: VITA SANTA

     

    Venerabili Fratelli, diletti figli.

    Inaugurando ieri sera le nostre Sessioni Sinodali rendemmo omaggio ai due gloriosi Santi Giovanni, il Battista e l'Evangelista, titolari ambedue della sacrosanta Arcibasilica Lateranense, dedicata al SS.mo Salvatore, e cattedrale insigne della diocesi di Roma.

    Al termine di quella prima cerimonia di introduzione, riuscita così solenne e commovente, Ci pareva di sentire quasi la voce del vecchio Zaccaria, profeta e salmista, volgentesi a noi, come al neonato figlio suo: a noi, divenuti continuatori e oggetto del suo grande presagio: voce incoraggiante ad inoltrarci innanzi alla faccia del Signore e a preparare le sue vie, ad dandam scientiam salutis plebi eius [1].

    Ed ora ci troviamo qui : trasportammo infatti le nostre tende a questo colle Vaticano presso la sacra memoria del principe degli Apostoli, Pietro, che rievoca spontaneamente quella di Paolo, ambedue figure eminenti, che già incontrammo ieri sera nei ricordi del Concilio cosiddetto di Gerusalemme, il primo saggio di convegno Sinodale.

    Sarà tanto piacevole il nostro conversare con loro, e gustarne l'insegnamento, ospiti nella loro dimora.

    INVOCAZIONE AI SANTI APOSTOLI 
    PIETRO E PAOLO

    O Pietro, o Simon loannis, come fosti chiamato nell'atto solenne della tua altissima investitura, ecco qui: il tuo lontano ed indegno successore, nel duplice compito di Vicario di Cristo in terra e di Vescovo di Roma, ti sta innanzi umile e compunto come tu lo fosti allorché il Maestro, in atto di istituire il più grande Sacramento, volle lavarti i piedi, come fece. Tu sai che in quell'ora così trepida ripeté anche lui il «non tantum pedes meos, sed et manus et caput» [2]. Siigli propizio nel suo impegno così grave di pastore e di padre con questi suoi più preziosi e cari collaboratori nell'ordine sacerdotale.

    E tu, o Paolo, vaso d'elezione e dottore delle genti, associato nel ma¬gistero, nel culto, nella gloria all'apostolato di Pietro, ottieni a tutti noi qui congregati, il tuo spirito e la tua fiamma diffusa nella successione delle tue quattordici lettere, ancora e sempre splendenti come lampade nella Chiesa del Signore.

    Fratelli e figli.

    Con questa duplice invocazione, noi sentiamo di poterci avanzare decisamente nel nostro cammino. Lo studio assai attento e fervoroso dei singoli ordinamenti di vita e di ministero pastorale sta innanzi a noi in una serie di articoli redatti con competenza, con chiarezza, con efficacia da meritarsi già l'ammirazione e l'elogio di personaggi competentissimi ed autorevoli, che invitammo a considerarli e a giudicarne. Trattasi di un complesso imponente di punti dottrinali e di disciplina, la cui pratica applicazione alla vita del clero e del popolo Romano sarà apportatrice, se la grazia del Signore ci aiuta, di vero progresso religioso e sociale, tanto più notevole quanto più rispondente alle condizioni moderne di pensiero e di costume.

    La sollecitudine del Vescovo per la Diocesi sua, oltre alla preparazione di buoni ordinamenti di carattere disciplinare, è sforzo di toccare le volontà perchè facciano, perchè si rinnovi quanto reca segni di stanchezza e di disuso, e tutto si nutra di novelle energie.

    Il punto centrale e più elevato per questa ripresa di vigore e di bellezza spirituale è il sacerdote, e, nel sacerdote, la persona e la vita.

    Ebbene, la persona del sacerdote è sacra: la vita deve essere santa. Lasciate che su questi due titoli Noi vi tratteniamo alcun poco.

    LA PERSONA DEL SACERDOTE 
    È SACRA

    Diletti Fratelli e figli : potremmo occupare la vostra attenzione con larghezza di esplorazione dottrinale, patristica, o attinta a considerazioni di ordine e di stile moderno e modernissimo. Preferiamo farvi grazia di ciò, e soffermarCi innanzi a due fonti di celeste, di evangelica e di ecclesiastica dottrina, quali sono : l'insegnamento di San Pietro e di San Paolo nelle loro lettere e, accanto a questi due oracoli, i Canoni e i Decreti del Concilio Tridentino, completati ed illustrati dal preziosissimo Catechismo Romano, o Catechismo del Concilio Tridentino, pubblicato da San Pio V (1566) e ripubblicato dal Papa Veneziano Clemente XIII (1758-1769). Questo Catechismus Romanus il Cardinale Agostino Valerio, amico di San Carlo Borromeo, lo diceva divinitus datum Ecclesiae e Ci è cara l'occasione e ne approfittiamo — anche per il titolo del volume che onora la Nostra città episcopale — di richiamarne l'altissimo pregio per l'uso corrente della sacra predicazione nelle parrocchie, e per chi ha poco tempo per studi profondi, ed anche per chi, occupato in questi, è ansioso di precisione teologica, dogmatica e morale. Il dire questo è anche un richiamo — vogliate perdonarCelo — della Nostra giovinezza, lieta ed operosa, essendoCi occupati, anche per la stampa, della più larga conoscenza di questo vero e preziosissimo tesoro. « Ad iuvandam rempublicam Christianam, et restituendam veterem Ecclesiae disciplinam nobis divinitus datum esse videtur... — sono le parole dell'antico Vescovo di Verona — vos qui aliquantum aetate processistis — questo è il caso Nostro e dei più anziani tra voi — legite bune catechismum, septies et plusquam septies: mirabiles eniyn fructus ex eo percipietis ».

    Per abbordare il nostro tema dicemmo dunque che la persona del sacerdote è sacra. Come tale viene iniziata e segnata con la rituale ordinazione. Il suo ufficio, primo e principale, è di offrirsi ostia immacolata per compiere l'opera di Cristo Redentore del genere umano. Di questa unione con Cristo rinnovante sull'altare il sacrificio della Croce, il Concilio di Trento dice bene: «Divina res est tam sancti sacerdotii ministerium» [3]. Questo carattere di consacrazione aumenta di dignità ove le si aggiunge la potestà conferita al sacerdozio di rimettere i peccati: «Quis potest dimittere peccata, nisi solus Deus?» [4].

    Ebbene, diventa naturale che questa offerta divina e questo esercizio di misericordia del perdonare i peccati in nome di Gesù morto per i peccatori e continuamente salutato, su indicazione del Battista innanzitutto, come Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, salga, salga più gradita a Dio, quanto più innocente, puro, immacolato, lontano dal peccato ed elevato nei cieli è il sacerdote che con Gesù si offre ed in nome di Dio assolve. Si dice che come «Cristo è di Dio», così i suoi sacerdoti vengono ad essere posseduti e guidati da Cristo e da Dio.

    Malachia aveva già formulato della persona del sacerdote antico questo elogio: «Egli è l'angelo del Signore».

    Quando diciamo che la persona del sacerdote è sacra, pensiamo subito all'altare di Dio sul quale egli ascende tutti i giorni, e da cui discende per i compiti ai quali l'obbedienza lo vuole applicato.

    A quella sommità, dove si compiono i più alti misteri del culto, è fisso lo sguardo del giovanetto seminarista, che per vari gradi, e dopo lunga preparazione, di lassù si volge ai fedeli, i quali non sanno immaginare il sacerdote se non nella irradiazione di luce e di grazia della Santa Messa.

    La buona indole, gli studi severi, la proprietà della parola e del tratto sono come il mantello che avvolge l'umanità del sacerdote: ma la linfa divina della sua applicazione ai divini misteri ed alle opere dell'apostolato, egli deve attingerla dall'altare. Quello è il posto suo che gli conviene innanzitutto. Di là egli parla ai fedeli. Ma nel volgersi ad essi con linguaggio elaborato nella meditazione e fatto suo, egli ha da apparire come di casa nel tempio del Signore; e le sacre parole del Messale, del Breviario, del Rituale, devono risuonare nelle intimità misteriose della sua anima, prima che sotto le volte del santuario.

    Sia egli al letto degli ammalati, o in confessionale, o nel battistero, o in camposanto, dappertutto il sacerdote esprime la ricchezza, la bellezza, il fascino della Liturgia.

    Più che la lampada che arde presso l'altare Eucaristico, la persona del buon sacerdote volge verso Nostro Signore i pensieri, i sentimenti, gli sguardi dei fedeli.

    «Il Ss.mo Sacramento — scrisse il Card. Manning — consacra il Tabernacolo, l'altare, il santuario, la casa del sacerdote. Il roveto in Boreb ardeva, ma il sacerdote e tutto ciò che lo circonda è inviluppato nello splendore ed è sotto l'influsso del Ss.mo Sacramento affidato alle sue cure» [5].

    LA VITA 
    DEVE ESSERE SANTA

    Passando dalla persona alla vita sacerdotale si comprende come questa, la vita, debba essere santa.

    Così la descrive infatti San Pietro nell'esordio della sua lettera prima [6], dove saluta i fedeli della dispersione: Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia: tutte regioni a Noi personalmente così care, ma ahimè tanto lontane ormai da Cristo, seppur lo rispettano ancora un poco nei suoi seguaci che passano di là. L'Apostolo adunque invia loro un annunzio di grazia, di pace e di santificazione nello Spirito, nell'obbedienza, nella aspersione del Sangue di Cristo. Che è mai questa aspersione di sangue se non un richiamo al sacrificio del corpo e del sangue cui è consacrato il sacerdote di Cristo? Espressione vera questa e simbolica, che ad un dottore più recente della Chiesa ha fatto scrivere:Christus magna sacerdotum tunica: Cristo è la grande tunica del sacerdote, come a dire che la vita del sacerdote deve essere tutta penetrata della santità di Cristo. «Induimini Dominum Iesum Christum». Parole esatte di San Paolo [7].

    Più sotto, nella stessa sua lettera, San Pietro, nell'augurio esaltante della sua fervida anima apostolica, parla ai suoi tutti insieme, agli eletti, che hanno gustato quoniam dulcis est Dominus [8]. Con loro si compiace chiamandoli pietre vive sovrapposte alla pietra grande angolare, disprezzata dagli uomini, ma da Dio eletta e onorificata. «Accostatevi a questa pietra — egli dice — ed edificate sopra di essa: sarete una casa spirituale, un sacerdozio santo per offrire vittime spirituali, gradite a Dio per mezzo di Gesù Cristo ». E più sotto ancora ripete : « Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto riservato a proclamare la virtù di colui che dalla tenebra vi ha chiamato alla sua luce meravigliosa, che ha fatto di voi il popolo di Dio » [9].

    Notate che queste espressioni cosi calorose non si riferiscono precisa¬mente allo stato sacerdotale propriamente detto, ma a tutto il popolo cristiano, invitato, in senso molto largo, ad offrire — ciascuno dei fedeli — il dono di se stesso a Dio. Ciò che condusse San Tommaso a queste conclusioni: « Totus ritus Christianae religionis derivatur a sacerdotio Christi. Et ideo manifestum est quod character sacramentalis specialiter est character Christi: cuius sacerdozio con figurantur fideles secundum sacramentales characteres: qui nihil aliud sunt quam quaedam participationes sacerdotii Christi, ab ipso Christo derivatae » [10].

    Ed ascoltiamo ora, per disteso, anche San Paolo. Sentirete, diletti figli, sentirete. Per conto suo, nella lettera ad Hebraeos [11] e nella seconda a Timoteo, egli esalta il sacerdozio dei presbiteri costituiti a servizio e a beneficio degli uomini per i loro rapporti con Dio, a cui offrono doni e sacrifici. Insegnamento che prende tono di molta gravità, quando ordina che « nessuno che militi si implica in affari della vita civile allo scopo di piacere a chi l'ha arruolato » [12].

    Affermazione netta, che riaffermando implicitamente il carattere sacro della persona sacerdotale, ne fissa i contorni della splendente fisionomia, e dà sostanza di santità alla sua vita.

    Ah ! ascoltassimo bene e sempre, noi sacerdoti del Signore, queste parole ! E prendessimo l'esempio da Cristo Gesù che a 12 anni, a sua Mamma e a San Giuseppe, che si lamentavano di averlo smarrito, rispose — giusto per dare una regola ai suoi sacerdoti dell'avvenire —: «Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?».

    È San Luca che ci racconta questo episodio [13]. Ed è lo stesso San Luca che nel suo Vangelo ci offre altre pagine ammirabili circa il disinteresse del sacerdote per le cose materiali della vita e circa l'atteggiamento del suo spirito fra le vicende della terra. Dalla prossimità col mondo il sacerdote non può sottrarsi, soprattutto se porta le sollecitudini più gravi del ministero pastorale in cui l'esercizio della carità, che è un grave compito ed un dovere, può diventare una tentazione per la propria anima sacerdotale.

    Vogliate leggere, diletti figli, in questi giorni tutto intero questo capo XII di San Luca, a cui un esageta della Bibbia — il P. Hetzenauer — sotto il titolo generale «Institutio discipulorum et tarbarum», fa seguire vari argomenti: «De sinceritate et animo impavido — de avaritia vitanda  de sollicitudine superflua  de vigilantia — de dispensatione fideli — de separatione hominum— de probatione teinporis» [14].

    Al sentir queste cose San Pietro, che era presente, domandò a Gesù ingenuamente: Donane, ad nos dicis hanc parabolam; an et ad omnes? [15]. Ma questo che ci dici è solo per noi o anche per tutti gli altri che ti ascoltano? Il Signore continuò il suo discorso in ammonimento di prudenza, di discrezione, giusto per chi ha le responsabilità più gravi nella vita, che è sorretta dal richiamo della vocazione ricevuta. E questa dei discepoli — Pietro e compagni — era la grande vocazione.

    Il che sta a dimostrare che il vero sacerdote, l'apostolo del Signore, non solo deve essere perfetto nell'esercizio di quelle virtù in cui anche tutti i laici riconoscono il loro buon modus vivendi: ma deve eziandio sopravvanzarli in esempio luminoso e in edificazione per tutto il gregge cristiano, che sente il diritto, e talvolta lo reclama, di avere il prete santo in parrocchia a benedizione ed a pace di tutte le famiglie.

    E torniamo a San Paolo ancor più direttamente.

    Di questi giorni, successivi alle festività Natalizie, la Santa Chiesa ci faceva gustare nel Breviario la lettera del grande Dottore ai Romani [16].

    Che magnificenza e che splendore di apostolico, di pastorale insegnamento ! Due parti: come due grandi ali di celeste dottrina distese sopra i figli della Redenzione. Nella parte prima: il Vangelo, rivelazione della giustizia di Dio, che non viene dalla filosofia o dalla legge antica; ma dalla parola, dalla parola di Cristo Gesù ; poi il Vangelo virtù salvatrice di ogni credente: che ci libera dal peccato originale, dal peccato attuale, dalla servitù della legge, dalla condanna di morte: per la vita in Cristo, vita della grazia, vita della gloria : per l'aiuto dello Spirito Santo, che guarisce le nostre infermità, che implora e chiede per noi gemitibus inenarrabilibus [17]. E qui è il punto luminoso della santificazione del nuovo sacerdozio: quia secundum Deum postulat pro sanctis [18]. Poiché questo sappiamo a conforto della buona volontà di santificarci, che diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum, iis qui secundum propositum vocati sunt sancti [19]. Qui sta il mistero della nostra vocazione sacerdotale che ci sublima. Nam quos praescivit, et praedestinavit conformes fieri imaginis Fini sui, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus. Quos autem praedestinavit, hos et vocavit; et quos vocavit, hos et iustificavit; quos autem iustificavit, illos et glorificavit [20].

    Pensate bene, diletti fratelli, che privilegio è il nostro, che onore per la nostra anima sacerdotale e per la nostra vita. E quale impegno per noi di santificarci per davvero e di santificare tutto quello che sta intorno a noi !

    Gesù, figlio di Dio, sacerdote eterno, si è fatto nostro fratello primogenito. L'essere sacerdoti con lui, intesi a prolungare con lui l'opera redentrice del mondo, conferisce al nostro umile nome uno splendore incomparabile per la nostra anima.

    Se Dio Padre, e con lui il suo Figlio, Gesù, è con noi — riprende il dottore delle genti, nella sua lettera ai nostri antenati di Roma — se il Figlio di Dio è con noi e noi partecipiamo del suo sacerdozio, quis contra nos? [21] Chi ci separerà dall'Amor suo, supplicante il Padre per noi? La tribolazione? l'angustia? la fame? la nudità? il pericolo? la persecuzione? la spada? Nessun timore. Noi siamo, noi saremo sempre vincitori, anzi più che vincitori, per opera di colui che ci ha assunti nel sacerdozio come fratelli, e come tali ci ha amato e ci ama.

    Il messaggio Paolino prosegue agitando nella seconda parte l'altra ala luminosa e tutta splendente di ammirabili suggerimenti circa i nostri doveri verso Dio, verso il prossimo, verso noi stessi; e mettendoci in guardia su parecchie cose da evitare : giudizi temerari, scandalo dei pusilli, ed altre da fare, come il sostegno alla debolezza umana di chi è infermo: e con quell'invito così prezioso e toccante: Unusquisque vestrum proximo suo placeat in bonum ad aedificationem [22]. Ognuno di noi procuri di piacere al prossimo suo nel fare il bene ad edificazione. A cui segue la raccomandazione per l'esercizio della pazienza sull'esempio di Gesù sofferente, ut per patientiam et consolationem rcripturarum spem habeamus [23].

    INVITO A RILEGGERE 
    LE EPISTOLE APOSTOLICHE, 
    A STUDIARE ED AMARE 
    LA SACRA LITURGIA

    Diletti Fratelli e figliuoli: Ci piace invitarvi ad una lettura personale e ben attenta anche di tutto questo capolavoro dell'apostolato Paolino: la lettera ai Romani. Vi troverete luci recondite e preziosissime, e motivo di ineffabili consolazioni.

    In una di queste mattine, intesi come eravamo a radunare i pensieri che furono l'oggetto di questo primo colloquio confidente sulla consacrazione e sulla santificazione della nostra anima e della nostra vita, avvertimmo un piccolo smarrimento dello spirito nella ricerca del gesto divino di Gesù, da cui è uscita, in parole autentiche, la consacrazione di tutti i Vescovi e di tutti i sacerdoti del mondo. Eravamo giunti al Canone della Messa. Le parole, le benedizioni, le croci, il fervore — non serafico certo, ma umile e sincero — erano perfette secondo le minute prescrizioni liturgiche. Hoc est corpus meum. Hic est calio sanguinis mei...: con pronuncia segreta, continuata e attenta sul calice, parum elevatum. Tutto venne bene. Ma — oh dolce, oh indimenticabile sorpresa ! — specialmente Ci vennero bene le parole successive, lette sul Messale e ripetute a voce ancora più lieve, prima della genuflessione al calice e la sua elevazione alla vista del popolo: Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis. Esattamente nel senso delle parole di San Luca su questo punto [24]. Dedit eis dicens: hoc facite in meam commemorationem.

    Voi Ci intendete, diletti Fratelli e figli. Non può talora accadere anche a voi che queste parole, fra un gesto, una genuflessione e l'altra, quasi un poco vi sfuggano?

    Formiamo insieme l'augurio — e sarà uno dei ricordi del Sinodo Romano — che la celebrazione quotidiana della Santa Messa continui sempre fervorosa e pia da parte di ciascuno e di tutti noi. Ma egualmente preghiamo l'angelo nostro custode che ci assiste nel sacro rito, perchè al punto ci tocchi mitemente e ci aiuti nel pronunciare, secrete, secondo la prescrizione della rubrica, ma con fede, con riconoscenza, con tenerezza le parole quasi timide e tremanti che, suggellando il testamento di amore di Gesù per noi, consacrano la divina realtà del suo e del nostro sacerdozio, e ci riservano alle gioie ineffabili e perenni di questa e dell'altra vita. Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis.

    É su quel vertice della celebrazione quotidiana della Santa Messa, che noi più compiutamente — diremmo — ed espressivamente siamo sacerdoti.

    Tutto si tace intorno a noi, e la nostra stessa umanità, posta a servizio dell'unico, eterno e sommo Sacerdote Gesù, diviene l'umile strumento che Egli si appropria per la rinnovazione del suo Sacrificio.

    E ci sono altri momenti, in cui le vibrazioni più alte della fede e l'esercizio del culto, del magistero, della carità, richiedono che la persona del sacerdote sia sacra, la vita santa.

    Questi due elementi che compongono in unità mirabile la fisionomia precisa e splendente dell'ecclesiastico ricevono luce e calore dalla divina Liturgia.

    É questa disciplina, che deve essere studio quotidiano ed esercizio di virtù, che Noi raccomandiamo alla vostra attenzione.

    Quei tesori di dottrina, di sapienza, di bellezza, posti nella mente, sul cuore e sulle labbra, rendono più facile al sacerdote l'accostamento delle anime, e talvolta preparano consolazioni che vanno ben oltre i suoi più santi desideri.

    Diletti figli ! Come avete compreso il Nostro voto per la celebrazione più fervida della S. Messa nel rispetto coscienzioso delle sue rubriche. così vogliate insistere nello studio e nell'amore della Sacra Liturgia.

    Così è, così sia.


    * AAS 52 (1960) 212-220.

    [1Luc. 1, 76-77.

    [2Io. 13, 9.

    [3] Sess. XXIII, c. 2.

    [4Marc. 2, 7.

    [5] Card. MANNINC, Eterno sacerdozio, pag. 39.

    [6] Cfr. 1 Petr. 1..

    [7] Rom. 13, 14.

    [8] I Petr. 2, 3.

    [9] Ibid. 2, 4-10.

    [10] Sum. Theol. 3, q. 63, a. 3, c.

    [11] Cfr. 5, 1-5.

    [12] 2 Tim. 2, 4.

    [13] Cfr. 2, 48-49.

    [14] HETZENAUER, Novum Test., Sumptibus Pustet, 1922.

    [15Luc. 12, 41.

    [16] Cfr. c. VIII seg

    [17Rom. 8, 26.

    [18Ibid. 8, 27.

    [19Ibid. 8, 28.

    [20Ibid. 8, 29-30.

    [21Rom. 8,31.

    [22Ibid. 15, 2. 23

    [23Ibid. 15, 4.

    [24Luc. 22. 19.




    [Modificato da Caterina63 22/05/2015 20:10]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 18/05/2014 16:29

    DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
    AI SACERDOTI PARTECIPANTI
    AL XVI CONGRESSO DELLA FEDERAZIONE 
    ASSOCIAZIONI DEL CLERO ITALIANO (FACI)

    Sala Clementina
    Venerdì, 10 novembre 1961

     

    Signor Cardinale, 
    diletti figli!

    Grande è la consolazione, che fedeli e istituzioni di tutto il mondo Ci procurano nei ripetuti incontri delle Nostre giornate di servizio apostolico. Ma tutta particolare invero è la commozione che voi oggi offrite al Nostro animo, diletti figli Sacerdoti. In voi risplende il carattere di ministri di Dio, per cui siete costituiti collaboratori preziosi ed insostituibili dei Vescovi. Questo fa dire il Pontificale romano nel rito dell'ordinazione : cooperatores ordinis nostri. Oggi amiamo far Nostre le parole di S. Leone Magno, i cui sermoni Ci hanno offerto pascolo di viva consolazione ed edificazione mentre venivamo preparandoCi alle recenti celebrazioni. Eccole, diletti figli, ve le ripetiamo a vostro conforto e incoraggiamento : « Cum hanc venerabilium consacerdotum meorum splendidissimam frequentiam video, angelicum nobis in tot sanctis sentio interesse conventum » (1). Vi salutiamo dunque in questa luce di cielo che si apre sul presente incontro.

    Convenuti a Roma per il XVI Congresso della Federazione del Clero Italiano, abbiamo appreso con viva soddisfazione che, accanto ai problemi di carattere sociale e organizzativo, avete voluto sottolineare in primo luogo le finalità più alte dell'Associazione. Poiché lo scopo di essa è « l'assistenza morale, sociale, economica e culturale del clero », voi volete anzitutto che essa vi aiuti ad essere fedeli allo spirito della vita sacerdotale; che è quanto dire : lieta obbedienza al Vescovo, cooperazione generosa alle sue direttive, dedizione completa alle anime, e fraternità di intendimenti e di affetti con i confratelli.

    Questo intimamente Ci rallegra, perchè è una nuova conferma delle distinte qualità di mente e di cuore, che ornano lo stuolo dei Nostri diletti sacerdoti, e sono di edificazione e di letizia per il popolo cristiano.

    Se è giusto che il clero si unisca in federazioni, per adeguarsi alle esigenze dei tempi, e portarsi un mutuo aiuto nelle necessità di indole temporale e sociale; se è sommamente vantaggioso che esso si difenda dai pericoli dell'isolamento e della solitudine : bisogna tuttavia che queste preoccupazioni vengano considerate alla luce della sua dignità altissima e unica, e animate dalla stima sempre più consapevole e vissuta del suo sacerdozio. Che i sacerdoti siano santi : è questa l'aspirazione ardente del Nostro cuore, e l'abbiamo effusa nei paterni colloqui del Sinodo Romano : « La persona del sacerdote è sacra... Il suo ufficio, primo e principale, è di offrirsi ostia immacolata per compiere l'opera di Cristo Redentore del genere umano... Questo carattere di consacrazione aumenta di dignità, ove le si aggiunge, la potestà conferita al sacerdozio di rimettere i peccati. Ebbene, diventa naturale che questa offerta divina e questo esercizio di misericordia... salga, salga più gradita a Dio, quanto più innocente, puro, immacolato, lontano dal peccato ed elevato nei cieli è il sacerdote che con Gesù si offre e in nome di Dio assolve » (2).

    La vostra presenza qui, il vostro consenso lietissimo, i propositi formulati nel giorno del Congresso, Ci dicono che queste parole trovano nel vostro cuore una eco di fervida rispondenza. Continuate, diletti figli, su la via intrapresa, nella fedeltà generosa all'ideale sacerdotale, risposta continua e gioiosa alla chiamata della prima giovinezza.

    Noi vi siamo vicini con la preghiera, e con l'appoggio paterno e comprensivo di ogni vostra necessità. Ed è da questa effusione di sentimenti e di affetti che si distende su voi, sui vostri cari, sulle anime a voi affidate l'Apostolica Benedizione.

    Le parole stesse vogliono essere solenni e commosse, affinché ciascuno di voi, e particolarmente i parroci, riporti da Roma la certezza che niente più dei sacerdoti è vicino al cuore del Papa.


    (1) Serm. de Natali eiusdem II; PL 54, 143.

    (2) A.A.S. LII, 1960, p. 214.






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)