DIFENDERE LA VERA FEDE

Il Vicario di Cristo il Papa il suo ruolo e la sua rinuncia

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 05/06/2014 00:49
      sia ben chiaro: questa pagina NON sostituisce assolutamente le decisioni prese sia da Benedetto XVI, nè l'attuale Pontificato, nè ciò che il Papa avrà da dire in futuro.....
    vogliamo solo APPROFONDIRE l'argomento postando qui gli articoli che riterremo più utili ed interessanti 


    Sulla validità della rinunzia di Benedetto XVI

     
    Ringrazio di cuore il lettore "Latinista" per questa condivisione. Vorrei richiamare l'attenzione su un'affermazione che esplicita, per metterlo in dubbio, un serio rischio che, ferma restando la validità della rinuncia, ho visto invece incombere fin dal primo momento: « è quantomeno dubbio che la potestà del Papa arrivi a permettergli l'istituzione di un Papato parziale o di un Papato doppio ».

    Più che dubbio dovrebbe essere impossibile e, sul piano metafisico, lo è. Tuttavia oggi, messa all'angolo la metafisica, l'orizzontalismo antropocentrico lo rende possibile attraverso la nuova prassi ateoretica senza spiegazioni o con spiegazioni sommarie sganciate dalla tradizione perenne, espressione della 'tradizione vivente' portata avanti dal nuovo-soggetto Chiesa in divenire che ha preso il posto dell'oggetto-Rivelazione.
    Prassi che di fatto incide nella sostanza e concretizza cambiamenti non più codificati su un impianto teoretico solido, ma direttamente concretizzati rappresentandoli in pubblico e così acriticamente recepiti dall'opinione comune (es: i due papi all'inaugurazione del monumento in Vaticano [qui], all'ultimo concistoro [qui] oppure durante la concelebrazione per le recenti canonizzazioni: immagine a lato). E nessuno può dir nulla, perché contrapporre parole ai fatti non serve a niente, mancando alle parole la materia prima del contendere: la esplicitazione teorica del nuovo corso di volta in volta instaurato.

    E il comportamento sempre più pragmatico, anticonformista e rivoluzionario di Bergoglio, sembra completare l'opera, iniziata da Paolo VI e traghettata da Benedetto XVI con la spinta finale delle dimissioni ingravescente aetate, che lo stesso Bergoglio ha dichiarato essere un nuovo inizio [qui]. Nella neo-chiesa queste cose sembrano non far più effetto a nessuno...

    Questo che segue è il testo della rinunzia come si trova oggi 2 giugno 2014 sul sito della Santa Sede [qui
    Fratres carissimi
    Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita1 communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.
    Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi1 debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso3 renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII4, hora 205, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.
    Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis pro omni amore et labore, quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis. Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim.
    1. vita: letto dal Papa come "vita", pubblicato in un primo tempo come "vitae", e poi ricorretto in "vita" nel testo pubblicato.
    2. exsequi: letto così dal Papa, così pubblicato e mai corretto.
    3. commisso: letto dal Papa come "commissum", pubblicato in un primo tempo come "commissum", e poi corretto in "commisso" nel testo pubblicato.
    4. MMXIII: letto dal Papa come "bis millesimo tredicesimo".
    5. hora 20: letto dal Papa come "hora vigesima", pubblicato in un primo tempo come"hora 29", e poi ricorretto in "hora 20" nel testo pubblicato.
    1. I requisiti canonici per la validità della rinunzia 

    A norma del can. 332 § 2 CJC, "nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti".
    Unici requisiti canonici richiesti specificamente per la validità della rinunzia sono quindi la libertà della stessa e la sua debita manifestazione. In quanto atto giuridico però, per disposto del can. 124 § 1 CJC, si richiede anche "che sia posto da una persona abile, e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l'atto stesso". Va poi ricordato che "l'atto posto per violenza inferta dall'esterno alla persona, cui essa stessa in nessun modo poté resistere, è nullo" (can. 125 § 1 CJC), e che è nullo anche "l'atto posto per ignoranza o per errore che verta intorno a ciò che ne costituisce la sostanza" (can. 126 CJC).
    Dunque perché la rinunzia sia canonicamente valida devono essere soddisfatti questi requisiti e non altri[1]:
    1. l'abilità (giuridica) del Papa a porre l'atto;
    2. la libertà della rinunzia;
    3. l'assenza di violenza esterna irresistibile;
    4. l'assenza di ignoranza o di errore sostanziale;
    5. l'espressione della rinunzia nell'atto;
    6. la debita manifestazione della rinunzia;
    fermo restando che "l'atto giuridico posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni si presume valido" (can. 124 § 2 CJC).
    Finora non ho mai sentito che qualcuno abbia sollevato un dubbio sul primo punto, che si può quindi considerare pacifico. Il secondo e il terzo sono strettamente legati. Quanto al quinto e al sesto, si potrebbe pensare che in realtà coincidano, e probabilmente è così, ma la cosa non è pacifica; ad ogni modo converrà trattarli insieme.

    2. Libertà della rinunzia e assenza di violenza irresistibile

    Che Benedetto XVI non abbia rinunziato per violenza irresistibile è evidente: non l'ha fatto sotto tortura, o l'assedio di un esercito, o la minaccia delle armi, ma in circostanze del tutto pacifiche e normali, e contestualmente ha dichiarato di farlo "plena libertate".
    In una situazione come questa, in cui c'è tutta l'apparenza della libera volontà del Papa, essa si deve presumere effettiva. Quella che va dimostrata, caso mai, è l'effettiva assenza di libertà nonostante l'apparenza contraria. Finora questa dimostrazione è mancata, mentre la serenità attuale di Ratzinger indica che la rinunzia fu davvero il suo volere.
    S'intende che pressioni di ogni genere che avessero mirato con successo a portare il Papa a dire spontaneamente "basta", e che ci possono pure essere state, non comporterebbero né che l'atto sia stato posto per violenza irresistibile, né che non sia stato libero, perché il rinunziatario non sarebbe stato costretto a rinunziare contro la sua volontà, ma solo portato a decidere di farlo.

    3. Ignoranza ed errore sostanziale

    3.1. Errori di lingua e di battitura

    Tanto nella dichiarazione di Papa Benedetto quanto nel testo poi pubblicato erano presenti varii errori di forma - ora di latino, ora di battitura: li ho raccolti nell'apparato in calce al testo riportato all'inizio di questo articolo.
    C'è stato chi ha preso questi errori a pretesto per sostenere l'invalidità della rinunzia. Ora, innanzitutto gli errori che si sono aggiunti nel testo pubblicato sono irrilevanti, perché conta l'atto della dichiarazione posto oralmente in concistoro. Quanto ai tre errori di latino fatti in quella circostanza, è evidente che, per parafrasare il codice, non vertono su ciò che costituisce la sostanza della rinunzia, e la lasciano perfettamente comprensibile, quindi non ne inficiano in alcun modo la validità.

    3.2. Ignoranza ed errore vizio. La pretesa opposizione tra munus e ministerium

    In questi ultimi giorni ha avuto una certa risonanza la tesi del canonista Stefano Violi, ripresa per il grande pubblico da Vittorio Messori sul Corriere della Sera del 28 maggio 2014, secondo la quale Benedetto XVI avrebbe distinto tra munus, l'ufficio, la carica, e ministerium, l'esercizio di quel munus, rinunziando solo al ministerium e conservando quindi per sé il munus ("declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri [...] renuntiare"). Un po' come se avesse ceduto l'usufrutto di un bene mantenendone la nuda proprietà.

    Cosa ne seguirebbe, se fosse così? Dato che una rinunzia solo parziale non è prevista dall'ordinamento, questa circostanza comporterebbe la nullità dell'atto per ignoranza o errore di diritto riguardo all'oggetto dell'atto stesso. Sempre che l'atto del Papa, in forza della sua suprema potestà, non renda ipso fatto canonicamente possibile anche la rinunzia parziale: questo allora non porterebbe all'invalidità della rinunzia, ma all'assurdo della compresenza di due Papi complementari, o piuttosto di un Papa in senso pieno e uno in senso ridotto[2]. È appunto questa la conclusione di chi ha avanzato la tesi, almeno come riportata dal Messori. Ma tanto questa quanto l'altra - quella dell'invalidità - sono rese inconsistenti dalla falsità delle premesse, come stiamo per vedere.
     
    È vero che una parte della dottrina canonistica cerca di introdurre questa distinzione tramunus e ministerium. Ma è anche vero che, se la dottrina si è posta il problema di distinguere, è perché l'uso dei due termini nel diritto canonico non è affatto così netto. A munus, secondo la semantica propria della parola, non viene dato solo il significato di 'ufficio = carica', ma anche quello ben diverso di 'ufficio = compito': ne sono un esempio i varii munera dei vescovi (sanctificandiregendidocendi: can. 375 § 2 CJC), che non sono cariche ma appunto compiti, mandati. D'altra parte sempre il CJC parla di "ministri sacri seu clerici" (Lib. I, pars I, tit. III), e del loro ufficio come dei "ministeria sacra" (ad es. can. 232). E come dice "in munere exercendo", così dice anche "in ministerii exercitio": evidentemente non nel senso di 'esercizio dell'esercizio'.

    Di più: munus e ministerium sono considerati sinonimi nell'uso anche in relazione all'ufficio di Papa. Si prenda ad esempio l'udienza generale del 24 febbraio 1993 di S. Giovanni Paolo II: "Ilmunus petrinum del vescovo di Roma come pastore universale" [qui]. In essa si parla sempre del primato del Papa come derivante dal suo ministerium petrinum: viene usata sempre questa espressione, che corrisponde con ogni evidenza sia al "munus petrinum" del titolo, sia al "munus a Domino singulariter Petro, primo Apostolorum, concessum" del can. 331 CJC.

    Questo dunque è il contesto linguistico in cui è stata formulata la rinunzia di Benedetto XVI.Munus e ministerium compaiono anche in essa. Vediamo come.
    Dapprima il Papa, riferendosi al suo ufficio, parla di munus. Riporto il testo della traduzione italiana ufficiale pubblicata sul sito della Santa Sede [qui]:
    "Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino [munus Petrinum, nell'originale latino]".
    Il Papa dichiara di non avere più le forze per esercitare il suo ministero, il munus petrinum. Ammette che il suo ufficio (ancora "munus", nell'originale latino) non comporta solo attività, per cui sono richieste particolari energie, ma anche sofferenza e preghiera. Però, intende Sua Santità, non si può avere un Papa dimezzato, che si limita a soffrire e pregare senza governare la Chiesa e annunziare attivamente il Vangelo: in un mondo "soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede" al Papa "è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che negli ultimi mesi - dice il Santo Padre - in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero [ministerium, nel testo latino] a me affidato".
    In questo modo Papa Benedetto ritorna al punto di partenza della sua argomentazione e lo ribadisce, con una frase che riprende da vicino tanto nei concetti quanto nelle parole quella da cui siamo partiti:
    - "vires meas ingravescente aetate non iam aptas [...] ad munus Petrinum aeque administrandum",
    - "incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum".
    Riprende il concetto della forza che scema e lo rende ormai inadatto, riprende il verboadministrandum, varia altri termini con sinonimi: bene al posto di aequeministerium invece di munusMinisterium e munus sono esattamente la stessa cosa. Così, quando nella frase successiva rinunzia al suo ministero ("ministerio", nel testo latino), sta rinunziando precisamente al munus petrinum.

    Del resto non potrebbe che essere così, visto come continua la dichiarazione. Il Papa rinunzia al ministerium di vescovo di Roma, successore di San Pietro, "ita ut sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet", in modo tale che la sede di Roma, la sede di San Pietro, sia vacante. La sede vacante comporta che il Papa non esista. Se il Papa esiste ma non può esercitare il suo ministero pastorale, la sede è piuttosto impedita. Secondo le intenzioni di Benedetto XVI come risultano dalla lettera dell'atto di rinunzia, quindi, a partire dall'entrata in vigore della rinunzia stessa non sarebbe più esistito un Papa fino all'elezione del successivo. E infatti aggiunge, per maggior chiarezza: "[DeclaroConclave ad eligendum novum Summum Pontificem [...]convocandum esse", dichiaro che va convocato un conclave per eleggere un nuovo Sommo Pontefice: non un facente funzioni, un reggente, un vicario, ma un nuovo Papa.
    Anche per questo è evidente che l'intenzione di Ratzinger, così come emerge coerentemente dalla lettera dell'atto, non era rinunziare all'esercizio del Papato, da affidare a un facente funzioni conservando per sé la condizione papale, ma piuttosto rinunziare al Papato, aprendo la sede vacante (e non impedita) e ordinando l'elezione di un nuovo Papa. Come di fatto è stato.

    3.3. Errore ostativo e riserva mentale

    Appurato che Papa Benedetto ha dichiarato di rinunziare al Papato, al munus petrinum, e a niente di diverso, si pone il problema di alcuni suoi atti e dichiarazioni successivi che sembrano contraddire almeno in parte la rinunzia. Benedetto XVI ha voluto mantenere alcuni trattamenti e insegne papali (non tutti). Inoltre, nella sua udienza generale del 27 febbraio 2013, disse:
    "Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. [...] Il sempre è anche un per sempre - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio."
    Queste parole sono state oggetto di molte elucubrazioni. Si è vista, in quel "per sempre" non revocato dalla rinunzia, una prova che Benedetto intendesse rimanere in qualche modo Papa. Si è notato che parla di "rinunciare all'esercizio attivo del ministero", e si è dedotto che sarebbe rimasto Papa in modo passivo o contemplativo. Questa distinzione si è cercato di vederla anche nella dichiarazione di rinunzia, ma a torto, come abbiamo visto sopra. Il mantenimento di attributi e trattamenti papali però è parso supportare l'ipotesi di un Ratzinger ancora in qualche modo Papa.

    L'apparente contraddizione tra queste circostanze e l'atto di rinunzia, che riguarda in modo ormai chiarissimo il Papato in toto, si può spiegare in tre modi:
    1. Sua Santità intendeva rinunziare solo in parte al Papato - all'esercizio attivo del ministero - ma non capì che stava dichiarando di rinunziare al Papato in toto. Avremmo un errore ostativo: la volontà sarebbe per errore in disaccordo con la sua manifestazione. Questo renderebbe davvero invalida la rinunzia; ma presupporrebbe in Ratzinger una straordinaria limitatezza intellettuale, incredibile per un uomo di tale levatura. In effetti non ho mai sentito che si sia invocato questo pretesto per considerare invalida la rinunzia.
    2. Sua Santità sapeva che stava dichiarando di rinunziare al Papato in toto, pur volendo in realtà rinunziarvi solo in parte. In altre parole dichiarò consapevolmente una cosa diversa da quella che voleva. Lasciamo da parte l'immediata domanda che viene da porsi sulle ragioni di una cosa del genere, e analizziamo la situazione ipotizzata. Avremmo una riserva mentale: la volontà sarebbe intenzionalmente in disaccordo con la sua manifestazione. Un inganno deliberato, insomma, che non solo è inverosimile, ma non avrebbe nemmeno alcun effetto sulla rinunzia, che resterebbe valida.
    3. Sua Santità sapeva bene ciò che stava dichiarando e lo voleva: oggi non è e non vuole essere più Papa. Insegne e trattamenti sono intesi come quelli di un presidente emerito, e sono stati mantenuti per ragioni che saprà lui, ma che, data la premessa, devono essere lungi dalla pretesa di essere ancora Papa, così come un presidente emerito non pretende di essere ancora presidente. Le parole dell'udienza generale del 27 febbraio esprimono in modo non sufficientemente inequivoco, data la circostanza, che Ratzinger non sarebbe tornato a vivere per sé stesso ("Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera"), ma sarebbe rimasto totalmente al servizio della Chiesa, come quando era Papa, seguendo l'esempio di S. Benedetto da Norcia.
    Personalmente, per carità e stima nei confronti della persona, ma soprattutto perché mi pare di gran lunga la più probabile, propendo per la terza possibilità.

    4. Espressione della rinunzia nell'atto e sua debita manifestazione

    Che nella dichiarazione "ci sia ciò che costituisce essenzialmente l'atto stesso" a norma del can. 124 § 1 CJC, e cioè la manifestazione della volontà di rinunziare al Papato, è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio, visto anche quanto detto sopra al paragrafo 3.2.
     
    Non è del tutto pacifico, invece, che cosa intenda il can. 332 § 2 CJC prescrivendo per la validità della rinunzia del Papa che essa "venga debitamente manifestata".
    Secondo il can. 189 § 1 CJC, che riguarda la rinunzia agli ufficii ecclesiastici in generale, essa, "perché abbia valore, [...] deve essere fatta all'autorità alla quale appartiene la provvisione dell'ufficio di cui si tratta, e precisamente per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni". Dato che questa disposizione riguarda la manifestazione della rinunzia, alcuni ritengono che a questa rimandi il can. 332 § 2 parlando di debita manifestazione.
    Non è certo che questo canone si applichi, per quanto possibile, anche alla rinunzia del Papa; ma se così fosse, l'autorità richiamata sarebbe da identificare col collegio cardinalizio. Ebbene, Benedetto XVI ha presentato la sua rinunzia oralmente proprio ai cardinali riuniti in concistoro, e i testimoni non sono mancati. Il requisito della debita manifestazione sarebbe quindi soddisfatto.

    Se invece quel canone non è applicabile alla rinunzia del Papa, evidentemente per essa non sono previste altre formalità che quelle comuni a tutti gli atti giuridici. La disciplina generale degli atti giuridici, per quanto riguarda la manifestazione dell'oggetto, si limita a prescrivere, al can. 124 § 1 CJC già ricordato più volte, che nell'atto "ci sia ciò che costituisce essenzialmente l'atto stesso". Abbiamo visto all'inizio di questo paragrafo che tale requisito è soddisfatto dalla rinunzia di Benedetto XVI.

    Non c'è alcuna base giuridica per vedere negli errori di latino o di battitura un difetto della debita manifestazione.

    5. Conclusioni

    Non c'è una sola ragione per considerare invalida la rinunzia di Papa Ratzinger, a meno che non lo si voglia considerare corto di mente (par. 3.3., no. 1). Se ci si prova è perché non si riesce ad accettarla. Ma vale anche qui il disposto del can. 332 § 2 CJC: in caso di rinunzia del Papa, "per la validità [...] non si richiede che qualcuno la accetti". Neanche i singoli cattolici.

    Appendice: perché si cerca di dimostrare l'invalidità della rinunzia?

    Si è cercato di dimostrare che la rinunzia di Benedetto XVI sia invalida per i motivi più disparati. In tutti i casi gli argomenti addotti non reggono. Tutti però, malgrado la loro varietà, portano a un unico risultato: Benedetto XVI è ancora Papa, e quindi Francesco non è un vero Papa.
    Questo la dice lunga sulla vera ragione di questi tentativi: non interessa tanto capire come stanno le cose, quanto arrivare a un fine, e il fine è convincersi che Francesco non sia un vero Papa. In un modo o nell'altro.
     
    Perché diciamo la verità: molti sono scandalizzati da Francesco. Scandalizzati in senso evangelico. Che a scandalizzarli sia proprio il Papa è per loro un gran tormento: per questo da più di un anno cercano un modo per eliminare questo scandalo. Alcuni si sforzano di vedere il buono in ciò che fa e dice: in ambito tradizionalista sono detti "normalisti". Altri invece cercano di neutralizzarlo fantasticando che non sia il vero Papa, e la situazione anomala della rinunzia di Benedetto offre un ottimo pretesto.
     
    Conviene invece che si convincano: Francesco è il vero Papa, e bisogna subirlo. Nessuno ha né il potere né il diritto di spodestarlo o neutralizzarlo.
    Latinista
    ___________________________
    1. In particolare non ha rilevanza canonica la ragione eventualmente addotta.
    2. È quantomeno dubbio che la potestà del Papa arrivi a permettergli l'istituzione di un Papato parziale o di un Papato doppio.



     

    di P. Giovanni Cavalcoli, OP

     

     

    nsvGli studiosi di storia della Chiesa hanno notato come dai tempi dell’immediato postconcilio, ossia del pontificato di Paolo VI, il papato abbia cominciato a indebolire la sua autorità nei confronti dell’episcopato e ciò con tutta probabilità a causa di alcuni difetti insiti nelle direttive pastorali del Concilio, concernenti il rapporto del Papa con in vescovi. Mi riferisco soprattutto alla figura di vescovo che emerge dai decreti conciliari sull’argomento, alla dottrina della collegialità episcopale e della Chiesa locale, dalla quale sono sorte poi le conferenze episcopali nazionali e l’istituto del sinodo mondiale dei vescovi.

    Le direttive del Concilio in merito contengono certamente alcuni elementi validi, come per esempio la responsabilizzazione del vescovo e degli episcopati nazionali come deputati a una creatività pastorale che tenga conto delle situazioni concrete del loro gregge, senza quindi limitarsi ad essere dei semplici interpreti e trasmettitori delle direttive provenienti da Roma, e come dotati di una santa libertà e capacità di iniziativa nei confronti di Roma stessa nel suggerire proposte e addirittura modifiche nella condotta pastorale della Sede Apostolica, nonché nel correggere abusi ed errori per conto proprio senza aspettare l’imbeccata da Roma.

    Senonchè però nei medesimi documenti sull’argomento viene delineato un modello di vescovo che, se da una parte brilla per la sua caritatevole vicinanza al gregge, misericordioso e comprensivo, aperto al dialogo con tutti, credenti e non credenti, dall’altra risulta deplorevolmente assente l’altro tradizionale ed essenziale aspetto del ministero episcopale di collaborazione con la Sede Romana nella vigilanza (episkopos = sorvegliante) nei confronti delle idee false che possono diffondersi nel popolo di Dio in materia di fede e di buoni costumi, e quindi riguardo la suo sacro dovere di correggere gli erranti sia in materia di fede che di morale.

    In tal modo, a causa di questa mancata vigilanza o ingenuità o negligenza o eccessiva indulgenza che dir si voglia, come chiunque non schiavo di pregiudizi oggi può constatare, da cinquant’anni a questa parte ha cominciato a sorgere con uno spaventoso crescendo una crisi di fede o ribellione o disobbedienza a Roma nell’ambito della fede a tutti i livelli e in tutti gli ambienti della compagine ecclesiale: fedeli, sacerdoti, religiosi, teologi e moralisti, non esclusi membri dello stesso episcopato e del collegio cardinalizio, senza che Roma sia stata in grado di opporre una valida difesa e di correggere efficacemente i devianti, i quali viceversa, vedendo il successo ottenuto e l’assenza di ostacoli opposti dall’autorità, sono diventati sempre più arroganti e prepotenti, acquistandosi nella Chiesa con l’inganno, l’adulazione e l’astuzia, molti posti di potere, persino negli stessi ambienti romani, da dove adesso hanno la possibilità di contrastare maggiormente il Magistero del Papa e soffocare quelle poche voci rimaste fedeli al detto Magistero,  sostenendo o tollerando invece eretici e ribelli sempre più spavaldi e sicuri di se stessi.

    Mi riferisco soprattutto a quel nefasto neomodernismo, subito denunciato ma ahimè invano da spiriti acuti come il Maritain, il Siri, il Fabro, il Parente, il Piolanti, il von Hildebrand, il Perini, l’Ottaviani, il Lakebrink, i teologi domenicani Enrico Rossetti, Guido Casali, Alberto Galli, Tomas Tyn ed altri, neomodernismo che, latente nei lavori stessi del Concilio ma lì ovviamente represso, ha fatto capolino con temeraria audacia sin dall’immediato postconcilio ed approfittando appunto del mancato intervento dei vescovi, alcuni dei quali conniventi a tanto scempio, col pretesto ingannevole di realizzare quel Concilio che essi invece falsificavano, si è talmente rafforzato da metter oggi il Sommo Pontefice nelle tristissime e drammatiche condizioni, quasi inaudite, di non sentirsi più in grado di governare la Chiesa. Da qui le dimissioni.

    Noi potremmo dire a tutta prima: debolezza personale? Che avrebbe fatto un Papa Wojtyla? E gli altri Papi come hanno fatto a resistere? Ma il fatto è che la situazione sta precipitando per eventi gravissimi ed inauditi accaduti proprio in questi ultimi anni e tempi recentissimi: basti pensare allo scandalo della pedofilia coperto da vescovi, alcuni dei quali addirittura implicati, l’inaudito e sacrilego tradimento perpetrato all’interno della stessa Segreteria di Stato dove i mandanti sono riusciti per ora a celarsi dietro il povero Paolo Gabriele, la resistenza episcopale scandalosa al decreto pontificio di liberalizzazione della Messa Tridentina, il recente colpevole silenzio in occasione della blasfemo spettacolo di Romeo Castellucci, senza contare il diffondersi impunito di atti sacrileghi e vilipendi contro la religione, la pure recente penosa controversia sui “castighi divini”, nella quale fu ingiustamente accusato l’illustre storico Roberto De Mattei, che non aveva fatto altro che ricordare la dottrina tradizionale della Chiesa, la generale disobbedienza episcopale che tollera dappertutto teologi, liturgisti ed insegnanti disobbedienti al Magistero della Chiesa in materia di fede e di morale, vescovi e cardinali favorevoli al pensiero ereticale di Karl Rahner, la lunga sconsiderata ed ingannevole attività ecumenica del card. Kasper, interventi recentissimi di Cardinali come Martini o Ravasi del tutto dissonanti non dico dalla linea della S.Sede, ma dalla stessa dottrina della fede, insieme con attacchi vergognosi contro degnissimi prelati come Mons. Crepaldi o Mons. Negri.

    Il Santo Padre  – si è detto – ha fatto un gesto di umiltà. E’ verissimo. Ha fatto anche un gesto di coraggio. E’ vero anche questo, nel senso che, compiendo questo gesto, certamente ha preveduto che sarebbe stato accusato di mancanza di coraggio e di “fuggire davanti ai lupi”, per ricordare una sua famosa frase, e ciononostante lo ha compiuto lo stesso. Altri hanno parlato di “libertà spirituale”. E’ vero anche questo. Infatti il compiere ponderatamente e coscientemente un gesto di tale portata e così insolito, è certamente segno di uno spirito sanamente indipendente che si fa guidare solo da Dio. Ed è stato anche un distacco da se stessi per il bene della Chiesa.

    Ma secondo me tutti questi pareri non colgono il motivo di fondo che si può delineare in questi termini: unamossa strategica di prudentissima e coraggiosissima sapienza pastorale. In che senso? Col programma, – così io ritengo – una volta che Ratzinger avrà la possibilità di tornare a fare il semplice teologo, di mettere a frutto le sue straordinarie doti intellettuali, la sua lunga esperienza di pastore, la sua profonda conoscenza della situazione attuale e passata della Chiesa, con i suoi aspetti positivi, le sue speranze e i suoi mali morali e dottrinali, da correggere e da togliere.

    Il gesto di Papa Ratzinger ci fa ulteriormente capire, se ancora ce ne fosse bisogno, il cambiamento che col Concilio Vaticano II si è verificato nella condotta del papato: se fino a Pio XII abbiamo avuto un papato potente ed impositivo, nella secolare tradizione che partita dal medioevo era stata confermata dalla riforma tridentina, col Vaticano II inizia, di fatto, non perché voluta dal Concilio, una nuova figura di Papa, che potremmo denominare “Papa crocifisso e abbandonato”, sull’esempio di Cristo in croce, per usare un’espressione indovinata dei Focolarini, che essi usano per la comune vita cristiana. Non esiste più l’esercito pontificio; ci sono solo le guardie svizzere. Ma che ci fa il Papa con esse?

    D’altra parte, per il Papa, in linea di principio, è sufficiente imitare la testimonianza di Nostro Signore: che prenda un aspetto o ne prenda un altro, è cosa secondaria. Se fino a Pio XII abbiamo l’imitazione di Gesù che dà ordini, disciplina ed è obbedito, a iniziare da Paolo VI appare il Gesù in croce, inascoltato ed abbandonato da tutti, anche se con a fianco la Madonna e S.Giovanni. Del resto, se ci facciamo caso, Gesù stesso nel corso della sua vita terrena, ha bensì insegnato, ma non ha mai avuto a disposizione, anzi li ha rifiutati,  dei seguaci che potessero far rispettare se occorreva con la forza i suoi comandi e i suoi precetti. Non ha mai dimesso dalla sua carica qualche scriba o qualche dottore della legge.

    Ciò vuol dire in linea di principio che il munus del Papa è duplice: l’insegnamento – munus dottrinale – e una forza a sua disposizione, – munus pastorale – che dovrebbero essere la Curia romana e l’episcopato, incaricati di farlo rispettare. Ora invece, a partire da Paolo VI con impressionante progresso sino ad oggi, questa forza è quasi del tutto venuta a mancare. Che cosa resta al Papa? La voce di Cristo, quasi vox clamantis in deserto, che può certo consigliare, esortare, scongiurare, ma può anche, come ha fatto Cristo, comandare e minacciare, s’intende sempre per il bene della Chiesa. Questo è quindi quel “bene della Chiesa”, al quale secondo me il Papa si riferisce nella sua dichiarazione di dimissioni.

    La Chiesa si trova oggi in una situazione angosciosa che mai finora le era capitata. Essa, come già ebbe a dire Paolo VI , che parlò di un processo di “autodemolizione”, si sta distruggendo dall’interno. Tanti termini del linguaggio cattolico sono rimasti, ma con un significato anticattolico. Lo stesso termine “cattolico” non si capisce più che cosa significhi. Ma i modernisti, che Chiesa vogliono? E’ in fondo molto semplice: vogliono trasformare la Chiesa in un’associazione semplicemente umana sulla quale poter comandare secondo le loro idee modernistiche.

    Il papato in questi cinquant’anni, si è indebolito non per viltà degli stessi pontefici, e neppure per motivi di immoralità, come successe al papato rinascimentale. Invece nel papato moderno abbiamo, come è ben noto, anche dei santi. Si è invece indebolito per causa di forza maggiore, per motivi oggettivi indipendenti dalle forze dei singoli Pontefici, a causa dell’isolamento nel quale sono stati messi da alcuni dei loro stessi collaboratori, finti amici ma in realtà nemici.

    Pensiamo per esempio soltanto all’Ordine Domenicano e ai Gesuiti, istituiti per essere il braccio destro del Papa ed ora – cosa che non toglie assolutamente le loro preziose forze sane – ridotti a conservare in sé veleni di morte: i seguaci di Schillebeeckx tra i Domenicano e i rahneriani tra i Gesuiti.

    Il modello del Papa di oggi sta diventano quello del profeta e del martire, simili ai Papi sotto l’Impero Romano, con la differenza che se a quei tempi il nemico era esterno, oggi purtroppo i nemici li abbiamo in casa. Quando lavoravo in Segreteria di Stato, negli anni ’80, in ufficio sentii esprimere un orribile sospetto circa la morte improvvisa, inaspettata ed inspiegata di quel sant’uomo di Papa Luciani. E del resto il Beato Giovanni Paolo II non ha forse subìto un attentato alla sua vita? E non ci ricordiamo che ciò accadde già a Paolo VI?

    Penso che il nuovo Papa sarà pieno di energia e al contempo pronto a soffrire e ad accettare di non essere obbedito, ma alzerà la voce con tono terribile, sull’esempio di Cristo che minaccia farisei e dottori della legge. Occorre infatti, a mio avviso, che il papato riacquisti il suo prestigio e la sua autorevolezza dottrinale, anche se non dispone delle forze necessarie per far applicare gli insegnamenti dottrinali e morali.

    Quanto a Ratzinger sono convinto che il suo gesto di abilissima “ritirata strategica”, gli consentirà di mettere a frutto le sue straordinarie doti di cultura e di saggezza per aiutare il nuovo Papa e la Chiesa a risorgere e a camminare sulle vie del Signore.

    Ratzinger era sostanzialmente un intellettuale, come lo era Paolo VI. Ora difficilmente un intellettuale messo in funzioni di governo, possiede il polso necessario per fare stare al loro posto gli indisciplinati e correggere i disobbedienti. D’altra parte si può essere santi lo stesso, come lo dimostra il caso famoso di S. Celestino V.

    Possiamo invece pensare che Ratzinger condurrà una lotta efficace sul piano delle idee dove ha dimostrato una potenza straordinaria ed un intuito folgorante, come del resto è la qualità dei grande teologi tedeschi, i quali possono essere grandi nel male, ma quando sono fedeli a Pietro sono senza dubbio grandi nel bene. Sono certo che Joseph Ratzinger, che già da Papa ci ha dato ricchi insegnamenti, nel suo posto più modesto al servizio di Pietro, potrà continuare a darci un aiuto importantissimo sul cammino della vera fede e della pacificazione della Chiesa.

     

    Bologna, 14 febbraio 2013



    [Modificato da Caterina63 02/10/2014 13:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 05/06/2014 00:51
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      “Habemus Papam”: storia del celebre annuncio


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    2013-03-13 Radio Vaticana


    Habemus Papam: dietro la celebre formula che annuncia al mondo intero l’identità del nuovo Successore di Pietro, tanta storia ed emozioni. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Vi annuncio una grande gioia: abbiamo il Papa”. Cosi avviene l’annuncio dell’elezione del Vicario di Cristo da almeno sei secoli:

    “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!..."

    Ascoltiamo – tratta dai nostri archivi radiofonici - la voce del cardinale Caccia Dominioni, che affacciato dalla Loggia centrale esterna della Basilica vaticana, pronuncia per primo il 2 marzo del 1939 il nome del nuovo Papa Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, scelto dal Conclave più breve nell’età moderna, solo tre votazioni in due giorni.
    L’uso di questa formula - che richiama nel Vangelo di Luca l’annuncio dell’angelo ai pastori della nascita del Messia – si fa risalire all’elezione nel 1417 di Martino V, della famiglia Colonna, durante il Concilio di Costanza, dopo che a reclamare la successione di Pietro erano stati in precedenza addirittura tre Papi, due deposti dal Concilio stesso ed un terzo dimissionario. Da qui l’Habemus Papam, come a voler dire - secondo alcune interpretazioni - “finalmente abbiamo un Papa solo”.

    Un passaggio di grande emozione per tutti i cardinali protodiaconi cui spetta il compito di presentare al mondo l’identità del Pontefice, come ricordiamo tutti spettò al cardinale Medina Estévez annunciare, il 19 aprile 2005, Benedetto XVI:

    “...habemus Papam...”

    In questo Conclave sarà il porporato francese Jean-Louis Tauran a rivelarci il 265.mo Successore di Pietro. E questo avverrà dopo che il neo eletto accetterà la nomina e sceglierà il nome pontificale. Solo allora vi sarà la fumata bianca, mentre il nuovo Papa indosserà i paramenti papali nella Sacrestia della Cappella Sistina, nota come “stanza delle lacrime”, riferite alla commozione e responsabilità di salire sul soglio di Pietro.
    Dopo la preghiera del nuovo Vicario di Cristo e l’ossequio dei porporati, il Conclave verrà concluso sulle note del Te deum.
    Infine l’annuncio dalla Loggia delle Benedizioni di San Pietro e la prima apparizione pubblica del nuovo Papa.




       Il Vicario di Cristo il ruolo del Papa - prima parte




    Le origini del Papato, dunque, si trovano alla luce solare di Documenti e testimonianze indiscutibili. Si è tentato sempre di oscurarli o, di tante testimonianze, renderle un mito di autogenesi per esigenze interne delle società in ogni tempo. Per farlo però hanno dovuto ricorrere a mutilazioni, soppressioni e arbitrarie interpretazioni quale fu, persino vana, l'azione infamante dalla Riforma Protestante in poi come, altro esempio, tutta la campagna diffamatoria contro la Chiesa e il Papa da parte della Massoneria dell'800. Non ci soffermeremo perciò sulle sterili polemiche. Chi vuole sa dove andare a cercare libri seri e solidi.

    Oggi si fa un gran parlare del ruolo del Papa. C'è chi strumentalizza l'enciclica di Giovanni Paolo II la Ut unum sint, c'è chi alimenta tifoserie varie fra martiniani, bergogliani, ratzingeriani, montiniani.... una definizione con un finale per altro talmente volgare che eviteremo ogni ulteriore parola per descrivere queste tifoserie. Ciò che interessa a noi è la Veritas e ritenendoci "cooperatori" di questa e non altra verità, cercheremo di analizzare, in questo primo articolo, quanto maggiormente per noi è importante di sapere.

     

    Partiamo dall'aspetto dogmatico della definizione petrina.

     

    Una definizione dogmatica è quell'atto che da forma definitiva a una verità di fede: nulla essa aggiunge al contenuto di questa - e al contempo nulla deve togliere di ciò che è vero e che deve risplendere nel mondo - quanto piuttosto ne fissa i termini precisi e che anzi la dichiara ufficialmente, con certezza infallibile, contenuta nel deposito della Divina Rivelazione, e si pone come scudo di difesa contro i negatori, i millantatori, gli eretici.

     

    Da Cesarea ci giungono i pilastri che andranno a comporre il dogma del primato petrino.

     

    La Chiesa è un edificio - aedificabo - il cui fondamento è Pietro - super hanc petram - ; l'edificio-Chiesa - ceto, adunanza - serve quale casa di abitazione, della quale  è data la "Custodia" e l'amministrazione a Pietro - tibi claves -. Questa abitazione serve poi alla famiglia - claves regni - e di questo servizio Pietro tiene il governo assoluto -quodcumque ligaveris erit ligatum te... -

     

    Queste tre metafore scaturite a Cesarea coincidono nel medesimo concetto di "autorità", ma con funzioni diverse: costituzione ad essere; ordinamento; e attività sociale per una civiltà cristiana.

    La prima delle tre metafore scaturite a Cesarea riguarda direttamente la parte costitutiva ed esistenziale di Pietro nella Chiesa: identità, ruolo, servizio inscindibile dal governo.

    Ma Pietro non può essere che "pietra vicaria", una serie di passi dalla Scrittura ce lo insegna, ne citiamo alcuni: cfr.Att.4,12 / 1Pt.2,4-6 / Efes.2,19 /e 21....

    San Basilio lo spiega meglio:

    "Pietro è pietra, ma non come Gesù è pietra. Gesù infatti largisce la Sua dignità che non si esaurisce, ma ritiene quello che dona. E' Sacerdote e fa i sacerdoti; è pietra e fa la pietra, dando ai servi le cose sue: Sacerdos est, facit sacerdotes; petra est, petram facit..." (1)

     

    Non stiamo parlando di un edificio umano o di una pietra di fondamento comune su cui poggia una parte, se pur importante, di un edificio. La metafora di Cesarea è robusta e bisogna allora intenderla in senso verticale: Pietro è la roccia, sopra la quale è Gesù Cristo che edifica tutta la Chiesa - aedificabo ecclesiam meam - edificherò "la mia" Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt.16,13-20).

     

    Ogni parte di questo edificio che non viene costruito-edificato dal basso, ma dall'alto (vedi i Sacramenti) dunque, grava su questa roccia petrina il cui fondamento non è Pietro in sé,  ma la sua professione di fede che il Cristo rende come roccia, pietra indistruttibile le cui porte degli inferi non prevarranno.

    Ne deriva che l'essere e la consistenza dell'edificio ecclesiastico dipendono interamente dalla roccia fondata così come è stato ben riepilogato da quel principio formulato da Sant'Ambrogio:

    "Ubi Petrus, ibi Ecclesiae - la Chiesa è là dove è Pietro".

     

    Il primato petrino pertanto è un ruolo il cui "statuto" è stato formulato da Gesù Cristo, per questo nessun Papa può modificarne l'essenza, il contenuto a tal punto che è per questa verità incontrovertibile che, nella storia, abbiamo assistito al succedersi di Papi legittimi ed illegittimi come gli "antipapa". Oppure abbiamo avuto gli scismi (discordia, separazione, negazione di ciò che la Chiesa ha sempre insegnato) come il Protestantesimo ed anche le Chiese Orientali nel momento in cui negarono il dogma petrino ed altro.

    E' dal Vangelo stesso, infatti, che si deduce chiaramente che la Chiesa riceve da Pietro la sua solidità, la sua unità, la sua perpetuità, la dottrina, il magistero, i Sacramenti e così via (2).

     

     

    La Chiesa, con Pietro, è segno di contraddizione e non di compiacimento.

     

    La vita di Gesù Cristo giustificò il presagio profetico fino ad allora immerso e velato negli avvenimenti descritti dall'Antico Testamento. Egli portava la Verità; e contro questa verità insorsero scribi e farisei, guide cieche di altri ciechi (Lc.6,39-42), con le armi del sofisma e della menzogna. Egli portava l'Amore autentico; e contro questo Amore si accanirono gli sfruttatori, i millantatori, i venditori di fumo, i potenti congiurando insieme per soffocare nel sangue (la Croce) quei palpiti e quella Voce-Logos, Pane vivo che "discese dal Cielo" per salvarci (cfr.Gv.6). Era del resto naturale: le tenebre odiano la luce, e l'odio è l'antitesi dell'amore.

     

    Così avviene per il Suo Vicario, il Papa.

     

    Portatore della Verità a lui consegnata e portatore della vera carità nella verità, egli incontra sul suo cammino le tenaci opposizioni di tutti i millantatori nei crepuscoli della storia, e di tutti i violenti cupidi del sangue umano. I due millenni che segnano l'età del Pontefice ne danno ampia conferma. Dalle nebbie dei secoli l'aspetto arcigno dei suoi nemici si tradisce sempre con questi caratteri inconfondibili.

     

    Subito dopo che Gesù Cristo "salì al Cielo", è cominciata la passione della Sua Chiesa e con essa la passione di Pietro, del primo Papa che infatti inizierà una lunga catena di Papi martiri.

     

    A monte di tutte le persecuzioni, dirà poi Sant'Agostino, a monte degli scismi, le pretese riforme, sta "come fermento" l'avversione al Cristo Signore Gesù, e non tanto alla Sua di persona o al bene compiuto - tra l'altro è un bersaglio invisibile e dunque inafferrabile - quanto al Cristo Gesù vivente e operante nel Suo Corpo mistico e militante, in ogni momento della storia e principalmente, appunto, un attacco diretto al Suo Vicario in terra. Ecco allora il bersaglio concreto e tangibile, a portata di mano dei nemici, palesi o mascherati, del Cristianesimo.

     

    Ma appunto, ecco il vero segno di contraddizione, ossia, come da questa ricostruzione storica rifulge da secoli la gloria del Papato. Anche le contumelie che si gettano sulla bianca veste papale, oggi come in passato, valgono sempre per un nuovo capitolo di apologetica: si attacca il Papa, ma soprattutto si combatte il Papato  quale istituzione (quando un Papa non piace, o quando lo si usa come accade oggi) perchè, in verità, si "odia" Cristo Gesù che nel Pontefice in terra Egli s'impersona. Certo i metodi cambiano e si evolvono, Satana è astuto ma sa portare avanti e sfruttare al meglio quel "permesso" ottenuto da Dio di mettere a dura prova la fede stessa di Pietro, Gesù però ha "pregato per lui" e questa garanzia ci porta ancora oggi a difendere l'istituzione divina del primato contro ogni presunta, o tal si dica, ingerenza laica, laicista o ecumenista che dir si voglia.

     

    La contraddizione  di cui il Vangelo parla presenta due lati di una stessa medaglia: amore e odio, risurrezione e rovina. Pur odiato, vilipeso o persino strumentalizzato, nessuno al mondo raccolse tanta fede e tanto amore come Gesù e come il Suo Vicario in terra.

     

    Di contro a un eresiarca stanno milioni di credenti; di contro a un Nerone di turno si ergono a giudizio della storia le schiere dei martiri. E lo stesso Papato, sorto da un atto di fede e di amore, porta in se stesso schiere di martiri e confessori, padri e dottori, quegli stessi che per il Divin Maestro e la Sua Dottrina sostennero, e sono pronti anche oggi a sostenere, villanie e malversazioni, fino al supremo sacrificio.

     

    Ciò che si pensa e si dice del Papa ci porta in modo del tutto naturale alla domanda di Gesù ai suoi «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? ...Voi chi dite che io sia?» (Mt.16,13-18) si legga anche qui.

     

    Ciò che si pensa e si dice del Papa, anche da persone che si crederebbero assennate... per tacer poi di quanto si blatera nel mondo mediatico e su certi giornali, non riflette certo il pensiero della fede!

     

    Oggi scadiamo nell'errore di prospettiva: come accadeva per Gesù durante la sia vita terrena, si guarda semplicemente all'uomo giudicandolo alla stregua delle proprie idee, buone o cattive, ma spesso personali e fallaci;  come si ebbe modo di giudicare il Cristo in forma assai soggettiva a riguardo della comprensione della stessa Legge, così si giudica il Suo Vicario in forma soggettiva, se ciò che dice è conforme al giudizio del mondo, se è possibile strumentalizzare quel che dice, e coglierlo in fallo se dice troppo, se dice nulla, o come lo dice.

     

    Orbene, per quel che riguarda "noi" oggi, non v'è per un cattolico autentico altro criterio di giudizio, dopo che Gesù Cristo costituì Pietro Suo Vicario, che quello della sua Professione di Fede e che fu premessa dell'infallibilità petrina.

     

    Diceva il Patriarca Giuseppe Sarto al suo gregge veneziano: "Dinanzi all'universale rovina non ci resta che la sola Ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis (1Tim.3,15); e la colonna, il fondamento, il sostegno della Chiesa militante è il Papa, rappresentante di Gesù Cristo medesimo nascosto sotto un velo, e che continua per un mezzo umano il suo ministero fra gli uomini. (..) Per questo, la prima verità che deve un Vescovo proclamare, in questi tempi - soprattutto in questi tempi - è la fede in questo primato, la fede nel Vicario di Gesù Cristo con tutta la sua dottrina di infallibilità..." (3)

     

    Le origini del Papato, dunque, si trovano alla luce solare di Documenti e testimonianze indiscutibili. Si è tentato sempre di oscurarli o, di tante testimonianze, renderle un mito di autogenesi per esigenze interne delle società in ogni tempo. Per farlo però hanno dovuto ricorrere a mutilazioni, soppressioni e arbitrarie interpretazioni quale fu, persino vana, l'azione infamante dalla Riforma Protestante in poi come, altro esempio, tutta la campagna diffamatoria contro la Chiesa e il Papa da parte della Massoneria dell'800. Non ci soffermeremo perciò sulle sterili polemiche. Chi vuole sa dove andare a cercare libri seri e solidi.

     

    La Chiesa capolavoro di Gesù Cristo

     

    Dopo aver chiarito cose fosse venuto a fare il "Dio-con-noi" con i segni della Sua Incarnazione, Passione e morte, e la conseguente Risurrezione per la nostra redenzione, il capolavoro di Gesù Cristo è proprio la Chiesa nella quale ha posto una guida (il Capo è il Cristo) visibile: il Papa.

    L'impresa di Gesù, dopo aver reso attivi i Sacramenti della salvezza mediante l'offerta di Sé stesso al Padre, fu di fondare tra gli uomini il "Regno di Dio", la "societas christiana" come dicevano i Sommi Pontefici Pio IX, Leone XIII,  Pio X e Pio XII.

    Il concetto di "regno" implica in sè una società umana, raccolta attorno ad una sovranità che ne è il fulcro. Tale Regno di Dio, pertanto, significa che l'uomo riconosce la sovranità di Dio, la accetta, la vive intimamente ed insieme (comunità di credenti), componendo ciò che è riconosciuto come "Famiglia di Dio- Popolo di Dio", questa comunità rende a Dio testimonianza al mondo.

    La sovranità, perciò, in questo "regno" non è virtuale come oggi andrebbe di moda il termine, ma spirituale, il Re è Gesù Cristo che regna per mezzo dei Sacramenti e della Sua stessa Parola che è "via, verità e vita" e ancora: "Il Regno di Dio non viene in modo da attirare sguardi. Non si dirà: eccolo è qui, eccolo è là; perchè il Regno di Dio è fra voi..." (Lc.17,20-21). E laddove questa sovranità di Dio si concretizza a partire dai cuori che accettano questa fede e credono nel Dio-Amore, al tempo stesso Dio ha dato gli uomini anche di poter "vedere" in qualche modo l'esercizio di questa sovranità per mezzo del Papa, dei Vescovi, dei Sacerdoti i quali sono, come dice San Paolo: " ... ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Cor.4,1).

    Amministratori! In un Regno che si rispetti sono necessari coloro che amministrano.

     

    La fede, dirà San Paolo, nasce dal sentir parlare, e ciò si fa per mezzo della parola di Cristo (Rom.10,17).

    Nasce l'urgenza e la necessità della predicazione, l'annuncio del Regno.

    Ma chi predicherà il Verbo? Chi amministrerà i Sacramenti? Chi saprà, e come, conservare e mantenere l'unità delle membra di questa altissima società?

    Gesù sceglie i Dodici, li nomina "Apostoli", li forma, parla di discepolato, sceglie (il Padre) Simone che chiamerà Cefa-pietra e con lui  prepara questa squadra  per ricevere questa amministrazione, affida loro i suoi poteri, dispensa ad essi la sua autorità sacerdotale e di governo: ecco il vincolo esteriore, la gerarchia del nuovo regno.

    Non a caso i Padri della Chiesa, parlando della Gerarchia, parla di una "corona" che Gesù ha posto sulla sua Chiesa-Sposa. Questo Collegio-apostolico, infatti, rappresenta un colonnato che deve reggere e rappresentare il suo centro che è Cristo Gesù. Non si può staccare dal Capo il corpo; e Gesù Cristo è il Capo della Chiesa, Corpo mistico di Lui e sua pienezza (cfr.Col.1,18 e ss); non si può separare lo Sposo dalla sposa; e Gesù Cristo è lo Sposo della Chiesa, generata e "impalmata" fra l'agonia del Calvario e la vittoria della Risurrezione (cfr. Efes. 5,25). Gesù Cristo dunque deve restare in perpetuo con la sua Chiesa per trasmetterle la vita e la Chiesa, parimenti, la Chiesa non può staccarsi dallo Sposo perchè non sopravviverebbe neppure un giorno alla separazione.

     

    La profezia dimenticata, già realizzata nella Chiesa

     

    Eppure verrà giorno in cui lo Sposo partirà, in cui il Capo si nasconderà agli occhi degli uomini, in cui Gesù Cristo prenderà possesso del Regno della sua gloria; mentre a una società visibile sarà pur necessaria un'autorità visibile, che parli ed operi. Ebbene Gesù vi aveva appunto pensato.

    Stiamo parlando di quando Gesù preannunciò la sua partenza dal mondo degli uomini, la Sua Ascensione al Cielo e che allora i suoi Discepoli non compresero subito, e chi in quel momento storico avrebbe potuto comprendere cosa intendeva dire il Signore?

    E' chiaro che il Regno da Gesù predicato, annunciato e promesso alle future generazioni, non poteva durare solo quella generazione di testimoni e che pertanto, l'affidamento e la costituzione di un Collegio doveva servire per qualcosa di molto più duraturo ed espansivo.

    Così, giunto al termine della Sua missione perfettamente riuscita, Gesù dopo aver predisposto i compiti e il primato petrino, dopo aver consegnato a Pietro le "chiavi" del regno, dopo aver conferito loro il triplice potere, poteva dire: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt.28,20).

     

    Scrive Sant'Agostino:

     

    " Perciò l'Apostolo, dopo aver parlato di un unico corpo, perché non pensassimo che si trattasse di un corpo morto, disse: Un solo corpo. Ma ti chiedo: Vive questo corpo? Sì che vive! Di che cosa? Di un unico spirito. E un solo spirito. Guardate, fratelli, ciò che accade nel nostro corpo e compiangete coloro che si recidono dalla Chiesa. Tra le membra del nostro corpo, finché viviamo e quando siamo sani, ciascun membro svolge la propria mansione. Se per qualche motivo un solo membro comincia a star male, tutte le altre membra partecipano al suo dolore.

     Tuttavia, finché è inserito nel corpo, può star male, ma non può spirare. Che cosa significa " spirare " se non " perdere lo spirito "? Ma se un membro viene reciso dal corpo, forse lo spirito lo segue? E tuttavia si riconosce che membro è: è un dito, una mano, un braccio, un orecchio; anche separato dal corpo mantiene la forma esterna, sebbene non abbia la vita. Così è anche la persona separata dalla Chiesa. Cerchi presso di lui il sacramento e lo trovi; cerchi il battesimo e lo trovi; cerchi la professione di fede e la trovi. Ma è l'elemento esterno: se interiormente non sei vivificato dallo Spirito, invano esternamente ti vanti di avere gli elementi materiali [della fede].

    (...) Visse poi con i discepoli per quaranta giorni e quando stava per salire al cielo di nuovo affidò ad essi la Chiesa stessa. Lo sposo, in procinto di partire, affidò la sua sposa ai suoi amici; a questa condizione: che non ami nessuno di essi, ma ami lui come sposo, gli altri come amici dello sposo e nessuno di essi come sposo. Gli amici dello sposo mantengono gelosamente questo patto e non permettono che la sposa venga violata con impuro amore.

    Non sopportano di essere amati [al posto dello sposo].

    Ascoltate uno zelante amico dello sposo; vedendo che la sposa in un certo senso veniva insidiata da alcuni amici dello sposo disse: Vengo a sapere che vi sono fra di voi delle divisioni e in parte ci credo (1 Cor 11, 18). Mi è stato riferito a vostro riguardo, fratelli miei, da quelli della casa di Cloe, che ci sono delle contese in mezzo a voi. Intendo riferirmi a ciò che ognuno di voi va dicendo: "Io sono di Paolo", "Io di Apollo", "Io di Pietro", "E io di Cristo". È stato tagliato a pezzi il Cristo? O forse è stato crocifisso Paolo per voi? O nel nome di Paolo siete stati battezzati? (1 Cor 1, 11-13).

    O vero amico! Rifiuta l'amore della sposa di un altro! Non vuole che venga amato al posto dello sposo, per poter regnare insieme allo sposo. La Chiesa è stata dunque affidata. Cristo, quando ascese al cielo, a coloro che gli chiedevano sulla questione della fine del mondo: Dicci quando accadranno queste cose e quando, sarà il tempo della tua venuta (Mt 24, 3), rispose: Non sta a voi conoscere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato in suo potere. Da' ascolto a ciò che hai imparato dal tuo maestro, o discepolo. Ma riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi (Att 1, 7-8).

    E così avvenne". (4)

     

     

    I Papi muoiono ma Pietro rimane

     

    Un vecchio detto romano così cantava: morto un Papa se ne fa un altro!

     

    Qualcuno in questi tempi ha scritto: " Per questo nell’autentica dottrina cattolica il papa è pensato come vescovo di Roma, come successore di Pietro e non come vicario di colui che è sempre presente nella sua Chiesa (cfr. Mt 28,20); il papato va inteso come una funzione – o, per essere più propri nella espressione, come un servizio – non come un vicariato o una paternità", in verità è questa una di quelle false interpretazioni protestanti che maggiormente hanno fatto presa fra il popolo di Dio gettando confusioni ed errori anche in campo ecumenico.

     

    Così dicendo - e che non è affatto dottrina cattolica come si pretende - si fa del Vescovo di Roma un comune Vescovo fra i tanti differenziato solo per la particolarità della diocesi romana. Bene invece avevano capito i romani, con quel detto, che ben sapevano riconoscere che del Papa non era in gioco solo la successione con Pietro, ma bensì un primato ad una sede che fa da Vicario al Cristo in terra, basti pensare anche alle benedizioni "Urbi et Orbe", alla città di Roma e al mondo, che tutti i romani, attendevano con festa alla elezione del nuovo Pontefice.

     

    Il Papa muore e se ne fa un altro perchè la sede petrina non è una sede come le altre, è una sede che non muore e che resiste ad ogni tempo; è una Sede dove si confermano gli altri nella medesima fede e dove vengono nominati altri Vescovi dell'interrotta Successione apostolica.

    Certo che il Papato è una funzione-servizio, ma appunto Qualcuno ha dato a questo Pietro e non ad altro, un Primato per esercitare tale funzione-servizio. Essere "vicario" è appunto questo servizio che un Altro - il Capo - ha consegnato non in sua vece-assenza, ma al contrario per esercitare una Presenza oggettiva del Capo nella sua Chiesa, ma invisibile. E' pertanto una funzione-servizio di Vicario e non certo una "paternità". Che poi chiamiamo affettuosamente il Papa anche "Padre" ciò scaturisce dal rapporto paterno che si è instaurato tra il gregge e la figura Petrina che senza dubbio agisce non in sostituzione del Padre, ma come un Padre.

     

    "Gesù Cristo non diede ad alcuno il diritto di dire al Suo  Vicario ciò che disse a San Pietro: Et ego dico tibi, quia tu es Petrus; e quindi per divina ordinazione ogni fronte per quanto augusta deve piegarsi al potere di lui, che ha tutti soggetti quali figli, sia pure che cingano corona, indossino l'ostro, o s'adornino dell'infule sacre. Non v'ha dubbio che la personalità del Papa vi resta intera: l'uomo sussiste con la sua libertà, con la sua responsabilità, nella integrità della sua natura, ma dacchè la Chiesa lo ha per suo capo, Egli è fatto eccelso in virtù della sua stessa elezione, perché ha una unione con Gesù Cristo di un genere unico e che non è associabile a  nessun altra funzione terrena." (5)

     

      Ma quando un Papa "si ritira"?

     

    Non poteva mancare una riflessione ai fatti storici che stiamo vivendo (6).

    Stiamo vivendo un momento storico che non ha eguali nella sua storia ecclesiale. Si parla di rinunce senza dubbio fatte da altri Pontefici, ma questa è del tutto una situazione nuova, anomala per certi versi e perciò al momento incomprensibile. Suggeriamo pertanto molta prudenza, pazienza per vedere gli sviluppi che questa situazione porterà e come Dio reagirà e agirà nel nostro tempo ed oltre. Non possiamo usare paragoni del passato, figure di antipapi o simili perchè non è questa la situazione che stiamo vivendo.

    Ci sono alcune "profezie" che parlano di questa situazione, ma le affronteremo in un altro articolo lasciando aperta la domanda che - cliccate qui -  Tommaso Scandroglio ha spiegato in questo breve articolo interessante.

    Ciò che ci preme qui ora è la situazione-presenza dei "due Papi" che non deve essere usata minimamente per scalfire il ruolo petrino, men che meno metterlo in dubbio.

     

    Scriveva San Cipriano:

     

    "Deus unus est, et Christus unus, et una Ecclesia, et Cathedra una supra petram Domini voce fundatam - Dio è uno solo, e uno solo il Cristo, e una la Chiesa, e una la Cattedra fondata dalla voce del Signore sopra la pietra" (7) tale funzione oggettiva non è venuta meno perchè la Parola del Signore è perenne, è la garanzia ed è quanto Gesù Cristo realizzò nella Chiesa con l'istituzione del Primato Petrino in quel "ut omnes unum sint" (Gv.17,21)..

    Dice lo stesso Concilio Vaticano I su questo Primato:

    " Affinché lo stesso episcopato fosse uno e indiviso e per mezzo dei sacerdoti collegati fra loro tutta l’intera moltitudine dei credenti, per mezzo dei sacerdoti strettamente uniti fra di loro, si conservasse nell’unità della fede e della comunione, anteponendo agli altri Apostoli il Beato Pietro, in lui volle fondato l’intramontabile principio e il visibile fondamento della duplice unità: sulla sua forza doveva essere innalzato il tempio eterno, e la grandezza della Chiesa, nell’immutabilità della fede, avrebbe potuto ergersi fino al cielo [S. LEO M., Serm. IV al. III, cap. 2 in diem Natalis sui].

    E poiché le porte dell’inferno si accaniscono sempre più contro il suo fondamento, voluto da Dio, quasi volessero, se fosse possibile, distruggere la Chiesa, Noi riteniamo necessario, per la custodia, l’incolumità e la crescita del gregge cattolico, con l’approvazione del Sacro Concilio, proporre la dottrina relativa all’istituzione, alla perennità e alla natura del sacro Primato Apostolico, sul quale si fondano la forza e la solidità di tutta la Chiesa, come verità di fede da abbracciare e da difendere da parte di tutti i fedeli, secondo l’antica e costante credenza della Chiesa universale, e respingere e condannare gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore..." (8)

     

    L'uso delle chiavi

     

    I Papi cambiano, non Pietro, non la natura del Primato, non il suo scopo e la sua funzione, non il suo servizio alla Chiesa. Si illude  chi pensasse a questa situazione storica che stiamo vivendo come ad una rivoluzione o riforma del Primato così inteso dal Cristo. Si illude un certo schieramento ecumenico che pretenderebbe l'appiattimento di tale Primato o peggio, usare il Papa come leader-rappresentante di tutte le religioni in un sincretismo diabolico, perverso e pervertitore.

    «Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà»... (Mt. 21,44), quella stessa mano che con misericordia si stende da duemila anni per raccogliere i naufraghi del mondo che implorano salvezza dalla Roccia (Gesù) di Pietro, altresì respinge inesorabilmente i nemici, abbandonandoli al loro destino. Questa Pietra è la medesima, sia che si susseguono i Papi con le loro caratteristiche, le loro storie personali, la loro santità o persino la loro stoltezza - come la storia ci insegna - è e resta sempre la medesima da duemila anni ed oltre.

    Tale Primato non è un "primato d'onore"  che per altro non sarebbe sufficiente allo scopo voluto dal Cristo nell'istituirlo, e le stesse "chiavi" non sono un ciondolo che si porta per vezzo, questo Primato con la consegna delle chiavi è l'Ufficio tremendo consegnato a Pietro che senza dubbio significano l'autorità conferitagli di aprire o chiudere le porte e perciò se un Papa intendesse con l'uso delle chiavi aprire nuove porte fino ad oggi chiuse o sconosciute, egli può farlo, ma senza modificare il suo ruolo e il suo essere "custode della Fede" perchè  questo gli è stato conferito dall'Alto e non dal basso e questo ruolo il Papa lo assume, lo accetta così come è, non può modificarlo nella sua istituzione.

     

    La funzione delle chiavi pertanto, è di aprire e chiudere: in che modo?

     

    Questa funzione appartiene alle stesse parole di Gesù Cristo: "Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".

    La frase è naturalmente una metafora che tuttavia racchiude l'essenza di un Ufficio divino ponendo in atto una autorità con chiaro riferimento alla funzione-servizio dato a Pietro; i termini legare e sciogliere significano infatti obbligare e disobbligare, ordinare e proibire, e cioè le due parti positiva e negativa degli atti umani, in una parola "tutto l'uomo".

    Questa totalità la troviamo espressa nella parola "quodcumque" la quale non ammette altra limitazione se non quella imposta dalla legge divina, ossia, usando il criterio di quando sia possibile l'uso delle chiavi e di come, nel giusto e onesto, avendo come fondamento la Legge di Dio, i Dieci Comandamenti in modo speciale.

    In sostanza Pietro può aprire e chiudere tutte le porte che vuole, ma ciò può essere fatto esclusivamente avendo come criterio, dell'aprire e chiudere, la Legge di Dio.

    La legge non è fatta per essere un documento che affligge la libertà degli uomini, li incatena e li domina, al contrario! Essa è fatta per la vita e perchè porti frutto è necessario che gli uomini l'applichino. Ecco perchè Dio ha costituito "un popolo" il Suo popolo il quale, mediante il Battesimo e gli altri Sacramenti e la guida costante della Chiesa attraverso i Pastori e la funzione del Papa, gli riesca più facile metterla in pratica e legga questa legge non come dei "no" o una limitazione alla libertà piuttosto una serie di "sì" a Dio ed alla vita, un sì al Regno di Dio che con il Battesimo abbiamo promesso di edificare e di desiderare.

     

    L'uso di queste chiavi si concretizza in quel fare del Cristo che va, per esempio, alla ricerca della pecorella smarrita e agisce anche con nuovi modi: "Ogni cosa ha il suo tempo e v'è tempo di strappare e tempo di ricucire, tempo di tacere e tempo di parlare" (Eccl. 3,1-7).

     

    Oggi gli strali della Chiesa non sono affatto spuntati, la sensibilità religiosa sta subendo radicali mutamenti e la Chiesa ha intrapreso la scelta di non colpire dal momento che l'umanità stessa, con molte sue leggi, si è votata già alla sua dannazione e perdizione. Ciò valga per quei "figli del tuono" che reclamano periodicamente dal Papa una scarica di fulmini, naturalmente nella direzione da loro indicata, come l'esempio del Vangelo: " ... Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».  Ma Gesù si voltò e li rimproverò (Lc.9, 52-55).

    Il Vicario di Cristo scrive nel gran libro delle coscienze, le cui pagine si sfogliano nell'eternità: ogni pagina è contrassegnata dalla firma autentica di Gesù Cristo, con il Suo Sangue.

     

    In conclusione pertanto, Pietro, deve pascere il gregge che non è "suo" ma è del Cristo il cui riscatto fu pagato con il Suo Sangue. E' un gregge di anime che devono vivere la vita soprannaturale della grazia portata dal Cristo: per esse non v'è pascolo che quello della carità nella verità e della grazia, ossia dottrina e Sacramenti, questo è appunto l'Ufficio-servizio supremo del Pastore della Chiesa Universale.

    Pontefice Sommo perchè egli sta alle sorgenti della Vita, che deriva in pienezza dal sacerdozio che esercita con i tre munera che sono propri dell'Ufficio del Cristo e, al sacerdote, trasferiti: insegnare, santificare e governare ossia= orandi, santificandi e regendi.

     

    Tutto ciò che stiamo vivendo non deve pregiudicare la fedeltà  del cattolico al Sommo Pontefice, a prescindere da chi egli sia, basta che sia legittimo perché noi vi aderiamo.

    L'obbedienza è incondizionata?

    Sì e no! Non è vincolante o obbligatoria solo quando un Pontefice ci obbligasse a rinnegare il Cristo, la Santissima Trinità, i Sacramenti, in una parola i dogmi, le dottrine. Sì invece quando non vi è questo pericolo. Un conto poi sono la critica moderata alle scelte che un Pontefice ritiene giuste e magari sono dottrinalmente ambigue o persino sbagliate, altra cosa è l'odio che con certe critiche viene disseminato contro un Pontefice. Pur in una moderata critica è vincolante comunque sia l'obbedienza al Pontefice e a riconoscerne il Primato. In ogni caso la stessa critica deve sempre tener conto di una onesta interpretazione alle parole che dice, valutando tutto il suo magistero e non solo una parte, magari quella riportata dai Media o dai titoli dei giornali...

    Scriveva un teologo ai tempi del Venerabile Pio XII a riguardo dell'obbedienza che si deve al Papa e per criticare coloro che volevano già demolire tale primato:

    "I genitori non sono infallibili: dunque i figliuoli dovrebbero forse disprezzarne i giusti comandi? Anche i politici e i governanti non sono infallibili: dunque i cittadini dovrebbero disattendere le leggi del bene civile? Seguendo tal logica la ribellione e l'anarchia perpetua sarebbero in tutto e per tutto giustificate..."

     

    Ricordiamo che abbiamo avviato una iniziativa spirituale: le Litanie Domenicane per pregare per il Papa e qui a chiudere ecco la

     

    Preghiera composta dal Pontefice Leone XIII per il Papa, carica di Indulgenze:

     

    O Signore, noi siamo milioni di credenti, che ci prostriamo ai tuoi piedi e ti preghiamo che Tu salvi, protegga e conservi lungamente il Sommo Pontefice, padre della grande società delle anime e pure padre nostro. In questo giorno, come in tutti gli altri, anche per noi egli prega, offrendo a te con fervore santo l'Ostia d'amore e di pace.

    Ebbene, volgiti, o Signore, con occhio pietoso anche a noi, che quasi dimentichi di noi stessi preghiamo ora soprattutto per lui. Unisci le nostre orazioni con le sue e ricevile nel seno della tua infinita misericordia, come profumo soavissimo della carità viva ed efficace, onde i figliuoli sono nella Chiesa uniti al padre. Tutto ciò ch'egli ti chiede oggi, anche noi te lo chiediamo con lui.

    Se egli piange o si rallegra o spera o si offre vittima di carità per il suo popolo, noi vogliamo essere con lui; desideriamo anzi che la voce delle anime nostre si confonda con la sua. Deh! per pietà fa' Tu, o Signore, che neppure un solo di noi sia lontano dalla sua mente e dal suo cuore nell'ora in cui egli prega e offre a te il Sacrificio del tuo benedetto Figliuolo.

    E nel momento in cui il nostro veneratissimo Pontefice, tenendo tra le sue mani il Corpo stesso di Gesù Cristo, dirà al popolo sul Calice di benedizioni queste parole: «La pace del Signore sia sempre con voi», Tu fa', o Signore, che la pace tua dolcissima discenda con una efficacia nuova e visibile nel cuore nostro ed in tutte le nazioni.

    Amen.  

     

    Indulgentia quingentorum dierum semel in die (Leo XIII, Audientia 8 maii 1896; S. Paen. Ap., 18 ian. 1934).

     

    In un secondo articolo approfondiremo in quale modo, questo Ufficio supremo, si sia sviluppato lungo la storia della Chiesa, fra le mille vicende umane.

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    Sempre sia lodato

     

    Note

     

    1) San Basilio -  Homelia De poenitentia

     

    2) cfr. Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem del 18 maggio 1998:

    "Can. 598 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.

    § 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente..."

     

    3) Patriarca Giuseppe Sarto, futuro San Pio X Lettera del 5 settembre 1894 al Clero

     

    4) Sant'Agostino Discorso 268 Pentecoste

     

    5) Patriarca Giuseppe Sarto, futuro San Pio X Lettera del 5 settembre 1894 al Clero

     

    6) tra le tante discussioni che si sono avute riteniamo utile e saggia la riflessione di Socci, cliccate qui.

     

    7) San Cipriano - l'unità della Chiesa

     

    8) Costituzione Apostolica “Pastor AEternus” promulgata nel Concilio Vaticano I dal Sommo Pontefice il Beato Pio IX.




    [Modificato da Caterina63 13/11/2014 22:10]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 07/06/2014 14:45

    Sergio Quinzio: Pietro II e il Mysterium iniquitatis

      SERGIO QUINZIO, il filosofo dimenticato, in Mysterium iniquitatis parla di Pietro II, l’ultimo Papa e delle due ultime encicliche della storia della Chiesa e forse del mondo.
    Ma la Chiesa crede ancora nelle Resurrezione della carne e nelritorno di Cristo?
    La scomparsa quasi totale della trascendenza dai documenti pontifici.


    di Marco Sambruna

    Il quadro storico.

    All’inizio del romanzo siamo subito messi di fronte a una scena drammatica: Pietro II, l’ultimo papa secondo la profezia del monaco irlandese san Malachia, si aggira solo e angosciato per le sale deserte del Laterano dove si è ritirato. Pietro II è un ebreo convertito che nel suo stemma ha fatto scrivere “Usquequo, Domine ?”, ossia “Fino a quando Signore?” Che rimanda all’angosciosa domanda sempre più elusa nel corso della storia sul momento in cui Cristo tornerà nella gloria a giudicare l’umanità.

    ...Pietro II regna in un indeterminato futuro dove la Chiesa è ai margini della storia, un residuo del passato che sopravvive mostrando il cadavere di sua nonna, cioè un insieme di riti, gesti, immagini sacre che ormai sono considerate folklore.

    Alle sue messe i fedeli sono ridotti a un manipolo sempre più sparuto, nelle sue omelie è sparita qualsiasi interpretazione lasciando posto alla nuda lettura dei passi biblici. Nel frattempo, come separata dal Papa da una distanza incolmabile, la Curia romana prosegue con le sue dinamiche ormai laicizzate fatte di commissioni episcopali, stanchi documenti che ripetono formule “politicamente corrette” per non scontentare nessuno, sinodi che si trascinano per forza di inerzia.Il Concilio Vaticano II è un pallido ricordo mentre si profilo all’orizzonte un nuovo concilio in cui le tendenze ultra progressiste dominanti intendono sancire la fine del cristianesimo come religione escatologica e salvifica.Pietro II, è ossessionato dalla frase di Cristo in Luca 18,8: “Ma il Figlio dell’uomo quando tornerà sulla Terra troverà la fede?”.

    Il Papa si domanda se è possibile in un moto d’orgoglio, rilanciare un nucleo essenziale che qualifichi la Chiesa come tale distinguendola dalle tante società filantropiche che ormai proliferano. Pietro II vuole dare la scossa a una teologia esausta e intellettualizzata da analisi storico – critiche, disquisizioni liturgiche, dotte indagini filologiche che non scaldano e non interessano più nessuno se non pochi vecchi e sclerotizzati monsignori.E così il pontefice scrive l’enciclica “Resurrectio mortuorum” per ribadire che il cuore del cristianesimo, il suo tratto distintivo rispetto alla vari umanitarismi laici, è non solo la vita eterna, ma la resurrezione dei morti nella carne.
    L’enciclica cade nell’indifferenza generale, come l’ultimo sussulto di un corpo in agonia che i presenti sperano muoia presto per non vederne la sofferenza.Pietro II allora, disperato, scrive una seconda enciclica, la “Mysterium iniquitatis” (2 Ts,2,7) in cui proclama il dogma del fallimento storico del cristianesimo. Se è necessario che la Chiesa segua Cristo nelle sue vicende deve morire come è morto il suo Fondatore.


     
    L’enciclica “Resurrectio mortuorum”

    Nella sua prima enciclica “Resurrectio mortuorum” Pietro II, contro l’inedia e la sbiadita concezione dell’eternità che ormai ha trasformato la Chiesa in una emanazione del secolarismo laicista, vuole riaffermare il dogma della resurrezione della carne.Non basta ribadire il dogma dell’eternità dell’anima perché questa convinzione non è tipica del cristianesimo. Anche i pagani, alcune dottrine orientali, la teosofia credono nell’eternità dell’anima, mentre solo il cristianesimo crede nella resurrezione della carne.Questa convinzione è propria del giudaismo ripresa dal nascente cristianesimo. Pietro II cita alcuni passi biblici dove appare evidente la credenza nella resurrezione della carne. Ad esempio nel libro di Daniele si legge:


    Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna (Dn 12,2)


    Il Papa regnante prosegue poi citando i passi del Vangelo in cui Cristo appare risorto in carne e ossa ai discepoli e che nella stessa condizione ascende al cielo. Tutto ciò, oltre a numerosi versetti delle lettere paoline e degli Atti degli apostoli dimostrano che quando Cristo parla di resurrezione dei morti intende esattamente la risurrezione della carne mentre in seguito si legge in chiave allegorica la resurrezione della carne a causa delle successive interpretazioni greche che, platonicamente, tendono a spiritualizzare la carne stessa. La tendenza a considerare la carne risorta come diversa da quella terrena quindi è di origine greca e non giudaica.
    I padri della Chiesa e  il cattolicesimo fino agli albori della modernità mantiengono questa concezione.
    Poi qualcosa succede e la credenza nella resurrezione della carne, di questa carne fatta di ossa, muscoli, nervi, sangue è oscurata: cosa è successo ?E’ successo, scrive Pietro II, che a partire dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 di resurrezione della carne se ne parla in modo vago e ambiguo.

    Egli scrive:

    Bisogna pur ammettere che in questo testo [il Catechismo del 1992], il cui intento primario è di riaffermare la dottrina della Chiesa, la verità della resurrezione finale è dichiarata troppo timidamente e soprattutto non è più mantenuta al centro del messaggio cristiano. Appare anzi come un’affermazione confusa fra tante altre....

    Ma non è finita qui. Pietro II non nomina mai il Concilio Vaticano II,ma traspare in modo netto come il degrado della dottrina cattolica abbia conosciuto un'accelerazione dopo quel Concilio. In generale infatti, aggiunge il pontefice, i documenti del Magistero della Chiesa prodotti nel nostro tempo appaiono di dimensioni eccessive, dove ciascun argomento si miscela e annacqua diluito in una miriade di altri argomenti compreso quelli fondamentali come il dogma della resurrezione della carne. 
    Ne scaturisce un linguaggio “politicamente corretto” dove nulla è dichiarato e tutto è accennato per vaghe allusioni a causa del compromesso fra correnti teologiche diverse, storici della Chiesa, esegeti e filologi ciascuno dei quali ha una sua posizione in proposito. Il risultato è un linguaggio sbiadito e noioso lontanissimo dalla luminosa chiarezza evangelica e dalle limpide dichiarazioni del Magistero preconciliare.Perché questa ambiguità?

    Il processo di degrado in realtà per Pietro II è frutto di sedimentazione più che segnato da un netto punto di svolta. Tutto è cominciato dalla cocente delusione provata dalle prime comunità cristiane che credevano nell’imminenza del ritorno di Cristo che invece non si è ancora, dopo 2000 anni, verificato. Sono cominciate allora le letture simboliche della Bibbia in luogo di quelle letterali, e il costante cedimento alle istanze secolarizzanti. In particolare il dogma della resurrezione della carne era troppo inudibile da parte del luminoso razionalismo ellenistico che ha lentamente oscurato questo dogma per affermarne la più accettabile immortalità dell’anima.

    La Chiesa scaturita dalla modernità non è più guida della storia, ma ha deciso di farsi guidare dalla storia: in questa rivoluzione copernicana del rapporto Chiesa – mondo sta tutto il dramma dell’epoca presente. La Chiesa per compiacere il mondo ha rinunziato o notevolmente impoverito tutti i contenuti di fede che suonano scandalosi alla razionalità illuministica moderna. 
    E del resto, a ben pensarci, cosa c’è di più scandaloso, di più inudibile per la sensibilità razionalistica moderna dell’affermare con forza ciò che la Chiesa per due millenni ha sempre creduto, cioè la resurrezione della carne?Di qui l’errore supremo della Chiesa: lo scivolamento delle verità di fede a livello di precettistica prima etica e poi morale, in modo da essere accettabile all’ uomo moderno. 

    Una precettistica morale che in fondo può essere condivisa anche da razionalisti, agnostici e atei, un apparato moraleggiante accettabile anche perché innocuo, incapace di sollevare interrogativi esistenziali, incapace di porre in discussioni le conquiste del liberalismo occidentale.Ormai il Magistero a tutti i livelli non osa più nulla di autenticamente cristiano mentre pare affetto da una strana compulsione che lo sospinge sempre più ad abbandonare la dottrina tradizionale per tentare timide avventure in campo morale, politico, sociale e perfino economico.

    La Chiesa, in quanto istituzione, sembra non avere più il coraggio di proclamare la propria fede. Tutto fa pensare che se ne vergogni, o addirittura che finga di credere ancora ciò in cui, in realtà, non crede più.


    Le conseguenze.

    ...Il processo di allontanamento dal Magistero tradizionale dunque riguarda innanzitutto l’impoverimento nella credenza della resurrezione della carne, ma investe tutto il depositum fidei di 2000 anni di cristianesimo. Il tentativo di compiacere alla mentalità laicista dominante ha provocato un progressivo slittamento delle verità di fede.

    Così, dall’oscuramento della resurrezione della carne, si è passati all’oscuramento dell’escatologia e del giudizio finale, dell’esistenza dei regni ultraterreni di paradiso, purgatorio, inferno, della divinità di Cristo, dell’esistenza del diavolo trasformato in un mero simbolo del male, della realtà storica dei gesti di Cristo (soprattutto dei suoi miracoli) e infine il prodotto finale, il più aberrante: la negazione di Dio stesso.Oggi il depositum fidei è sottoposto a un doppio attacco: da una parte la razionalizzazione laicista dei contenuti di fede, dall’altro la fuga verso le celestiali regioni mistiche sganciate dalla storia e anche dalla carne. Il messaggio cristiano tuttavia non è né l’uno, né l’altra cosa, ma si colloca piuttosto nel mezzo fra una scientificamente inaccettabile credenza e una fede che in molti suoi articoli è supportata dalla ragione.Permane, sia pure destabilizzata, la credenza nell’immortalità dell’anima.
    Ma, ribadisce Pietro II, questa idea non è tipicamente cristiana perché la troviamo già presente il numerose correnti filosofiche di derivazione orientale. L’immortalità dell’anima inoltre è qualcosa che Dio ha già connaturato nell’uomo, qualcosa che fa parte della sua natura costitutiva. La resurrezione della carne invece è un intervento diretto e gratuito di Dio che salva l’uomo nella sua unità corpo-mente-anima. Quindi senza resurrezione della carne di Dio l’uomo non sa che farsene. E infatti ne sta facendo a meno.


    Esaltazione anticristica della carne.

    L’avere scisso la carne dallo spirito perché la prima era indegna del secondo è stato un errore del cristianesimo. L’impoverimento nelle fede della resurrezione dei corpi ha provocato uno svilimento della carne che infatti oggi è sottoposta all’esaltazione più turpe come fosse una cosa immonda. L’esposizione della carne nel mondo dello spettacolo, il suo utilizzo a fini meramente commerciali dimostra, scrive Pietro II, che ormai la carne stessa è diventata una merce qualsiasi scambiabile sul libero mercato. Di qui inizia una lunga catena di orrori contemporanei.

    La carne, cioè il corpo, trasformato in merce può essere venduto e comprato: i cadaveri, i feti, gli organi interni hanno un prezzo per essere utilizzati in operazioni cellulari, nell’industria cosmetica, in esperimenti sulle staminali. Quali altri orrori potranno giustificarsi?Oggi 2013, aggiungiamo noi, si parla già di eliminazione fisica di neonati malformati. E del resto. sostengono i loro promotori, che differenza c’è tra l’eliminazione di un feto di qualche mese e un neonato dal momento che in entrambi i casi ci troviamo di fronte un essere umano già completamente o quasi formato?
    Ma la svalutazione del corpo implica la svalutazione dell’essere umano nella sua integrità psicofisica. Si spiega così la disumanità con cui ad esempio, si allevano gli animali i cui corpi sono torturati e straziati, mentre l’indifferenza verso il corpo umano fonda l’indifferenza verso l’uomo tout court. E tuttavia il desideri di salvare il corpo, quasi bandito in un orizzonte di fede, riemerge con i tentativi della scienza di prolungare la vita umana e le ricerche sulla criologia e l’ibernazione destinate se non a vincere la morte del corpo, quantomeno a prolungarne la vita in un orrenda imitazione dell’eternità.Pietro II quindi conclude la sua prima enciclica “Resurrectio mortuorom” proclamando il dogma della resurrezione dei morti nella carne:

    Ci sarà in futuro, la Resurrezione dei morti”, e i morti resusciteranno nella loro vera carne umana nella quale sono vissuti per tornare a vivere, senza fine, una vita perfettamente umana sotto nuovi cieli e sopra una nuova terra dove abiterà la giustizia (cfr. 2 Pt 2, 3-13) in una creazione anch’essa redenta e liberata dalla corruzione della morte (cfr Rm 8, 19-22). Il Signore ci assista e ci dia la forza di crederlo.

    L’enciclica “Mysterium iniquitatis”

    La prima enciclica, che nelle intenzioni del Sommo pontefice, doveva scuotere le coscienze, è stata ignorata, forse considerata l’ultima estremo tentativo di rianimare un vecchio corpo prossimo alla morte. Pietro II allora, sempre più solo e angosciato, scrive una seconda enciclica in affronta l’altro grande tema di cui la Chiesa ha sempre parlato poco, la “Mysterium Iniquitatis”.Di quest’entità misteriosa e maligna destinata a governare l’umanità poco prima del definitivo ritorno di Cristo e dell’ostacolo che ne impedisce la manifestazione evidente, parla Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (2, 3-9).
    l’Apocalisse (Ap 13, 11-17) e Matteo che prefigura gli eventi che lo precederanno (Mt 24,24).  

    Peraltro la Chiesa in passato ha sempre affrontato il tema parlandone con accenti vaghi e sempre per condannare qualche eresia che ne minava l’unità dall’esterno.Il mistero dell’iniquità dunque continua ad aleggiare tanto più inquietante, quanto più resta velata la sua identità. Nel corso della storia della Chiesa sono state formulate varie ipotesi:

        o Che si tratti di un entità individuale ben definita. Tale supposizione scaturisce dallo stesso Paolo che parla di “uomo iniquo” al singolare e da un esegesi antica e tardo antica che considera l’anticristo come scimmia di Dio: come Dio ha inviato Cristo cioè suo Figlio, allo stesso modo satana, il signore delle legioni infernali invierà il suo “figlio della desolazione” (2 Ts, 3);
       o Che si tratti di un entità immateriale, cioè di un sistema filosofico, ideale, politico, sociale, economico. Tale interpretazione si è consolidata soprattutto nel corso degli ultimi due secoli in seguito al processo di simbolizzazione delle Sacre Scritture.

    Pietro II fronteggia l’argomento delineando il percorso storico delle verità di fede fondamentali come la resurrezione della carne, i novissimi, il ritorno di Cristo.Già nella Chiesa primitiva si scontrano due idee di Chiesa: quella di Paolo il quale ammonisce nelle sue lettere di diffidare di coloro che “usciti da noi, tuttavia non sono dei nostri”: un manipolo di mestatori che propone una dottrina cristiana diversa da quella paolina.Paolo si riferiva, secondo l’esegesi di alcuni dotti, a Giacomo detto “il Giusto”, il quale restava ancorato ad alcuni aspetti dell’antica fede giudaica per cui, ad esempio, i convertiti dovevano essere circoncisi, e la fede priva di opere era una menzogna.
    Già agli albori quindi osserviamo una concezione del cristianesimo ellenizzante in Paolo, e giudaica in Giacomo.

    Alcuni studiosi, aggiunge Pietro II, pensano addirittura che Paolo parlando di anticristo si riferisse proprio a Giacomo: secondo la profezia paolina infatti l’anticristo, il figlio della perdizione e l’abominio della desolazione profanerà il tempio di Dio additando se stesso come Dio in luogo di Dio o di chi è adorato come Dio. Fatto questo si assisterà al ritorno di Cristo nella gloria e alla fine dei tempi. Proprio al tempio di Gerusalemme saliva a predicare Giacomo: forse Paolo pensava a Giacomo quando parlava di abominio della desolazione che nel tempio di Dio indica se stesso come Dio? Non è possibile, conclude il pontefice: nel 70 d.C. il tempio occupato da Giacomo, cioè il presunto anticristo secondo alcuni esegeti, sarà distrutto dai romani.

    A quel punto sarebbe dovuto tornare Cristo apparendo nelle nubi con “gloria e potenza grandi”, ma non accade nulla di tutto questo. In conclusione Paolo non poteva quindi riferirsi a Giacomo quando parlava di anticristo. A ben guardare, prosegue il Pontefice, si è passati da una concezione giudaica di tali verità improntati ad una assunzione letterale della Parola di Dio a un processo mutuato dalla filosofia greca tendente a trasformare la lettera in simbolo, allegoria, anagogia. In pratica dei contenuti della Bibbia si è fatto scempio trasformando il messaggio cristiano chiarissimo nel suo linguaggio elementare, inequivocabile e cristallino un sistema etico e morale accettabile da chiunque anche non credente.Ciò che impedisce la manifestazione del mistero d’iniquità quindi, conclude Pietro II, sono gli ultimi rimasugli di fede giudaica che ancora crede alle promesse di Dio sine glossa cioè in modo letterale, senza interpretazioni simboliche.E l’anticristo che siede nel tempio di Dio additando se stesso come Dio chi è allora ?

    Ricapitolando i testi scritturali che ne parlano nel libro dell'Apocalisse:  o L'avvento dell'anticristo sarà preceduto dalla grande apostasia;

    o L’avvento dell’anticristo è rappresentato dalle due bestie dell’Apocalisse in cui la prima bestia     rappresenta il potere politica, la seconda bestia, il falso agnello, il potere religioso che supporta quello politico;
    o L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato da segni grandiosi, miracoli e portenti vari; 
    o L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato dall’annuncio del Vangelo ovunque e dalla conversione degli ebrei.

       Pietro II, osa l’inosabile, l’inconcepibile: in primo luogo per il Papa la grande apostasia è già in gran parte avvenuta ma non perché mondo ormai è largamente secolarizzato.   Il termine “apostasia” significa infatti “allontanarsi” o “abiurare”, ma ci si può allontanare solo da ciò a cui si era prima vicini, così come non si può abiurare da ciò che prima non si era abbracciato. Saranno quindi credenti e uomini di fede precipitati ad aprire la strada all’anticristo e il falso agnello che invita ad adorare la prima bestia non è un potere religioso che si affermerà in futuro, ma è già operante ora.In secondo luogo i portenti che accompagnano l’avvento dell’anticristo sono i “miracoli” della scienza e della tecnica moderna. C’è ancora, è vero, un “resto d’Israele” che radicato nell’antica credenza giudaica e quindi alieno da interpretazione simboliche è di ostacolo alla manifestazione anticristica, ma si tratta di un campione ormai sparutissimo e in via di estinzione. Lo stesso Papa Pietro II del resto è un ebreo convertito.

    A questo punto l’anticristo che addita se stesso come Dio nel tempio di Dio è il sale che è diventato scipito, colei che ha apostatato e che indica il potere politico come dio da adorare. Si tratta in definitiva della realtà che storicamente ha trasformato il messaggio cristiano di salvezza in precettistica morale: la Chiesa.La Chiesa addita se stessa come Dio in luogo di Dio nel tempio di Dio; la Chiesa indicando se stessa come Dio invita al culto dell’uomo e non più di Dio, rende onore all’uomo e adora quest’ultimo invece di Dio.A questo punto per Pietro II non rimane che una cosa da fare e che debba essere proprio il Papa a farla è drammatico: pubblicare un enciclica in cui si denuncia tutto questo e si dichiari il dogma del "fallimento del cristianesimo nella storia del mondo".

    La Chiesa di Cristo che è suo corpo (Ef. 1.23) deve seguire la sorte di Gesù Cristo che ne è il capo (Ef. 1.22), deve cioè seguirlo nella morte e come lui deve essere crocifissa nel mondo. Deve anch’essa  morire per resuscitare poi come il suo Signore ed entrare con lui nella gloria del Padre. In questa morte culmina e si consuma il mistero dell’iniquità che domina l’intera storia del mondo. Non esiste altra speranza per ogni uomo e per la vicenda di tutti gli uomini e per l’intera creazione al di fuori della Croce e della resurrezione di Gesù Cristo. A lui affido tutti e ciascuno assieme alla mia povera persona, nell’attesa dell’ultima Rivelazione, del giudizio finale e della vita senza fine.

    Fatto questo Pietro II, l’ultimo Papa secondo la profezia di san Malachia, si getta fra i due bracci della croce della cupola di san Pietro, proprio sopra l’altare sormontato dal colonnato del Bernini, dove, scrive stavolta direttamente Sergio Quinzio, la Chiesa ha celebrato i suoi falsi trionfi. Con questa decisione il pontefice sancisce la fine della Chiesa cioè pone fine al regno millenario dell’anticristo e prepara così il definitivo ritorno di Cristo.


    Il post si può replicare citando l'autore e la fonte http://nuovareligione.blogspot.it/ 




    «Vi spiego perché il Papa argentino capisce molto bene il Vaticano»

    Il Papa argentino

    IL PAPA ARGENTINO

    Pubblichiamo un estratto dell’intervista al gesuita argentino Humberto Miguel Yañez, direttore del dipartimento di Teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana, che conclude il libro «Tango vaticano» di Iacopo Scaramuzzi (edizioni dell’Asino), prefazione di Goffredo Fofi, da oggi in libreria

    IACOPO SCARAMUZZI
    ROMA

     

     

    Da cosa si riconosce che papa Francesco è gesuita?

     

    Da tante cose. Il suo stile di governo è tipicamente gesuita. Per esempio il consiglio dei nove cardinali che lo coadiuvano nella riforma della Curia romana e nel governo della Chiesa si può paragonare alla consulta che ha ogni superiore gesuita, ogni provinciale, fino al generale della Compagnia di Gesù. È un governo che sa abbinare da una parte il confronto, l’ascolto di ciò che la comunità dice, e dall’altra parte la decisione ultima che prende il responsabile, il provinciale, il generale, o il papa. Lo si è visto ad esempio al sinodo straordinario sulla famiglia:  ha incoraggiato tutti a parlare, poi alla fine ha pronunciato un discorso tipicamente gesuita, spiegando che aveva fatto un discernimento tra i diversi atteggiamenti che aveva visto nell’aula sinodale, individuando anche diverse tentazioni emerse, e concludendo che poi tocca a lui prendere decisioni. Un altro tratto tipicamente gesuitico è il discernimento, che nasce nel contesto personale degli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola e che lui, come si capisce dalla sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha avuto la capacità di tradurre pastoralmente e comunitariamente. Il discernimento fa crescere la persona. Se tu dici a una persona: “Tu devi fare questo o quello”, come mera applicazione di norme o indicazioni, il rischio è rimanere a uno stadio infantile. Invece si tratta di un processo dialogico, è la persona che in definitiva si confronta con la realtà, con la vita, con gli altri, e, alla luce dei criteri del Vangelo e della tradizione di spiritualità, fa la propria esperienza e decide da sé. Cosa molto diversa dal relativismo. Alcuni non capiscono questo punto. Il relativismo è un’altra cosa, significa non aver nessun parametro e fare delle scelte secondo ciò che mi fa comodo, mi piace o in base all’ideologia dell’ambiente. No, ci sono criteri, non norme fisse, affidati alla coscienza di ogni credente, in modo che possa fare il proprio discernimento. C’è una fiducia nella capacità del cristiano e delle comunità di poter fare discernimento, il papa non deve decidere tutto, piuttosto deve dare criteri, come diceva già Paolo VI nella Octogesima adveniens, e tocca poi alle comunità e ai singoli fare un discernimento, guidati dallo Spirito, che è stato dato a tutta la Chiesa.

     

    Da cosa si riconosce che papa Francesco è argentino?

     

    Argentino e porteño (argentino di Buenos Aires)!

     

    Sono due cose ben diverse?

     

    Quella barzelletta che il papa ha detto degli argentini che per suicidarsi si buttano giù dal loro ego, noi la diciamo sui porteñi! Da questo punto di vista, però, lui è un porteño insolito. È un uomo umile. Veramente umile. Tante volte che ho parlato con lui e, grazie alla confidenza che c’è tra noi, ho messo in discussione cose che ha detto o fatto, non ha mai adottato una posizione difensiva.Ha risposto spiegandosi, ma ammettendo che può sbagliarsi.

     

    Quindi da questo punto di vista è poco porteño... invece da cosa si vede che è argentino e porteño?

     

    Lo si vede non soltanto perché beve il mate!, ma dal modo diretto di dire le cose, talvolta uno stile scherzoso, di presa in giro, che può offendere qualcuno ma in realtà nasce dal fatto che in Argentina non sono forti le discriminazioni. Prendere in giro, in fondo, è una forma scherzosa di accettazione. Noi argentini siamo una società multiculturale, piuttosto aperta, dove il dialogo tra persone di origini e di religioni diverse è normale. È un popolo che ha saputo integrare moltissimi immigrati, io stesso ho origini immigrate, mio padre era spagnolo e mia madre aveva origini italiane, tutti i miei compagni di scuola erano figli o nipoti di migranti.

     

    Questo fatto viene talvolta usato come argomento contro di lui: è argentino, non capisce il Vaticano...

     

    Io penso che lo capisca molto bene, ma non accetta certe cose. Non è che non capisca, è che non condivide, e poiché è una grande personalità non si lascia strumentalizzare, assuefare, assorbire da certe pratiche o abitudini consolidate. Si è sempre fatto così? Oggi si fa in altro modo. Non si sente prigioniero. Lo dice anche in Evangelii gaudium, quando scrive che dobbiamo rivedere certe consuetudini consolidate nella Chiesa che non servono più.

     

    Le novità introdotte da papa Francesco – l’attenzione agli immigrati, l’apertura a chi è più lontano, l’insistenza sulla misericordia, per fare pochi esempi – sono acquisite?

     

    Sono due anni di pontificato, dovremo aspettare. Io spero che si avvii un processo che non torni indietro, che la Chiesa si metta in cammino mettendo in discussione o rivedendo uno stile che già il Concilio aveva messo in discussione o rivisto. Un Concilio non può fissare le cose una volta per sempre, è un punto di avvio e un punto di partenza. Bisogna quindi ripartire dal Concilio per andare avanti in una società che non è più la stessa dei tempi del Concilio. Di fronte a questa complessità abbiamo bisogno di una grande flessibilità. Con il Concilio si può dire che la preoccupazione della Chiesa deve essere la persona, non le etichette che mettiamo sulle persone per non riconoscerle nella loro realtà di grazia e di peccato. Siamo tutti peccatori chiamati a diventare santi; mentre la persona ricerca Dio c’è una santità, anche se molti aspetti della sua vita sono in disordine o non in accordo con ciò che Dio le chiede. Ci deve sempre essere un posto per ognuno, una via da percorrere. L’unica esclusione è la libertà dell’uomo che scelga di essere fuori, la Chiesa non può dire: qui non c’è posto per te. Questo è stato sempre detto, però poi magari non è stato applicato in modo profondo e radicale come lo intende papa Francesco.

     

    È una mia impressione o ultimamente, diciamo da dopo il sinodo straordinario sulla famiglia, il papa ha decelerato, quasi che il suo compito sia più “seminare” che “raccogliere”, ripetere quanto già detto nei primi due anni di pontificato anziché dire e fare cose nuove?

     

    Io lo trovo abbastanza soddisfatto di come vanno le cose. È vero che si ripete, e continuerà a ripetersi, adesso bisognerà mettere in pratica quello che dice, farne realtà. Le iniziative aperte sono già tante, del resto, bisogna approfondire quelle avviate, senza escludere che il papa prenda altre iniziative, come ha fatto ad esempio indicendo l’anno santo della misericordia. A ogni modo ha detto chiaramente qual è la sua “agenda”: una Chiesa malata che viene guarita attraverso l’uscita da sé, recupera la sua vocazione evangelizzatrice e missionaria, cosa che comporta un incontro con la realtà, soprattutto nelle periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali, compresi coloro che si sono “allontanati” dalla Chiesa, e lì dobbiamo collocarci per capire la dottrina e il messaggio del Vangelo e cercare di avviare una pastorale realistica, non solo per un gruppo di eletti o di puri, ma per tutti, in primo piano i poveri.

     

    Un’ultima curiosità: è vero che Bergoglio ballava il tango?

     

    Sì, ho conosciuto una donna che diceva di aver ballato il tango con Bergoglio, prima che entrasse in seminario, e che ballava bene.





    [Modificato da Caterina63 08/10/2015 18:40]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 11/06/2014 12:25

    ...fin dal 1700, l'era dei Lumi, dissero, in verità assistiamo ad un attacco frontale contro il Primato Petrino, indipendentemente da chi siede sulla sua Cattedra.

     

    " Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...(..) I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene!

    Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"

    Con queste parole il futuro San Pio X, Giuseppe Sarto all'epoca Patriarca di Venezia, così istruiva i Seminaristi della sua Diocesi.

    Prendiamo spunto da queste sue parole per affrontare - con questa seconda parte dedicata al Primato Petrino la prima parte la trovate qui - un argomento attualissimo che riguarda non solo noi e il Papa, ma anche i Vescovi (il cui ruolo collegiale con Pietro approfondiremo nella terza parte) Clero diocesano e religioso che, in comunione con Pietro, hanno il dovere e la responsabilità di custodire il "Deposito della fede" per trasmetterlo intatto.

    Naturalmente "papalatria", come tutti i termini creati dalle mode del nostro tempo, in sé non esiste, è un termine che useremo in modo provocatorio perché, tuttavia, rappresenta - o ne è l'espressione - una certa realtà nel rapporto odierno fra i fedeli e la figura del Romano Pontefice.

    Intanto chiediamoci perché un santo Sacerdote e futuro Pontefice come san Pio X usò il termine "papista" additandolo come vanto?

    Per comprendere il significato che Papa Sarto dava al termine bisogna risalire a Lutero (1), si, a lui che per primo usò questo termine, naturalmente in senso dispregiativo e contro coloro che restarono fedeli al Papa dopo le scorribande eretiche di Lutero e la nascita stessa del Protestantesimo.

    Papisti, per Lutero, erano tutti quei cattolici che dopo la sua riforma decisero di restare con il Papa difendendone il diritto e l'autorità pontificia, difendendo la vera fede, difendendo la Chiesa Cattolica nel suo corpus dottrinale confermato da Pietro, in una parola, coloro che difendevano il Primato Petrino.

    Quindi in teoria "papisti" lo siamo ancora oggi tutti noi cattolici che prestiamo fedeltà ed obbedienza al Romano Pontefice.

    Ma vediamo di capire, un momento, come questi significati si sono evoluti oggi.

    Dalla metà dell'Ottocento e agli inizi del Novecento (anche sotto san Pio X appunto), con gli eventi della Questione Romana e della caduta degli Stati Pontifici - nonché dopo il Concilio Vaticano I sulla questione dell'infallibilità papale - il termine "papista" cominciò ad assumere un contorno ben più marcato  a livello "politico" per taluni (per esempio quanti difendevano la tenuta del potere temporale in chiave politica) e per altri restava, il Sommo Pontefice, il perno dell'unità dottrinale ed ecclesiale.

    In poche parole sembrava non bastasse più definirsi "Cattolici" ma che fosse diventato necessario sottolineare una comunione diretta con il Pontefice, magari attraverso un epiteto ad effetto.

    Non è un caso che il Successore di san Pio X, Papa Benedetto XV nel 1914 ritenne opportuno sottolineare l'uso di certi termini nel Documento "Ad beatissimi Apostolorum" nel quale vi si legge:

    "Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione.

    Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina".

    Perciò, quando ci sentiamo dire: "sono papista, lo ha detto san Pio X", andiamoci piano! Non è esattamente così.

    San Pio X appoggiava e sosteneva il significato del termine usato, però, dai nemici del papato e della Chiesa, e non quale nuovo aggettivo per definire un cattolico!

    Siamo perciò "papisti" non perché tale appellativo è un "epiteto alla professione del cattolicesimo", quanto piuttosto perché usato dai nemici della Chiesa per offenderci, offendere la nostra comunione con il Pontefice.

    In tal senso, per San Pio X l'epiteto non può offenderci, ma deve essere "un vanto", anzi  è un vanto unito ai termini quali "clericali, retrogradi o intransigenti" come ha spiegato lo stesso Pontefice.

    Questo è essere veramente "papisti": perseguitati perché si professa integralmente la fede-dottrina della Chiesa e si difende l'autorità del Sommo Pontefice in quel comando divino: "...e tu Pietro, conferma gli altri nella fede" (cfr Lc.22,31-32).

    Oggi infatti assistiamo anche ad una sorta di contro altare del termine, l'essere "papisti" infatti ha assunto contorni diversi. Intanto lo si è assunto quale termine identificativo contrariamente a quanto affermato da Benedetto XV nella sua condanna ad assumere nuovi epiteti, inoltre ha assunto un significato diverso. Essere "papisti" oggi, per alcuni, significa essere più papi del Papa stesso, difendere cioè il ruolo del Pontefice da sé stesso!

    Si, abbiamo letto bene: difendere il Papa da sé stesso.

    Un conto è infatti pregare per il Papa e per il suo ministero, aiutarlo come facevano i grandi Santi specialmente Santa Caterina da Siena, altra cosa è l'agire di un certo papismo moderno che pone il Pontefice in un atteggiamento schizofrenico, in lotta contro se stesso!

    E dall'altro lato basti pensare, come esempio, a tutti quei fedeli che osannando il Pontefice regnante, accusano Benedetto XVI di essere persino un eretico, o un antipatico o, insomma, si inneggia ad un Papa a seconda dei sentimenti che si provano nei suoi confronti umani, dimenticando invece l'aspetto trascendentale del ruolo che ricopre.

    Facciamo ora un ulteriore passo in avanti.

    Chiarito questo aspetto scaturirebbero da qui centinaia di domande, tutte legittime, ne prendiamo una che abbiamo ricevuto da un sacerdote.

    Il Sacerdote che ci ha scritto ci ha elencato una serie di problemi reali e concreti all'interno della sua parrocchia: abusi liturgici, stravolgimento dottrinale, autoreferenzialità nell'esporre le Norme  che disciplinano un rito o lo stesso Catechismo, e quant'altro.

    Dopo aver tentato in diversi modi di reagire e di portare la famosa e quanto più dimenticata "correzione fraterna", il Sacerdote sente di aver fallito e si è arreso davanti a questa situazione incresciosa, così ci ha scritto e del passo che riteniamo molto significativo, egli scrive:

    "Ecco la mia vigliaccheria, non ho saputo  reagire, chi avrebbe voluto reagire rimanendo solo ha con me taciuto, ma io forse avrei dovuto dare l'esempio, ma per fare cosa? Mi sono rifugiato nel silenzio, pregando e leggendo il Santo Curato d'Ars, ma lui aveva almeno il Papa alla sua parte, oggi portano come esempio il Papa non per correggere gli errori, ma per sostenere gli abusi...."

    Dove e come si configura oggi il termine "papista"  o, dall'altro versante tale certa papalatria, all'interno di una situazione così grottesca e paradossale a tal punto che non avremmo più un Papa che ci sostiene nella lotta contro gli abusi liturgici, l'eresia o se preferite l'apostasia, ma un Papa usato e strumentalizzato per legittimare gli abusi, per legittimare la contro-informazione a riguardo della sana dottrina, etica e morale, per legittimare la caduta dell'uomo del nostro tempo?

    Domanda ed uso del condizionale d'obbligo poiché basterebbe prendere migliaia di citazioni dei recenti Pontefici, compreso quello regnante, per comprendere che di strumentalizzazioni si tratta, e che i Papi non hanno affatto legittimato gli abusi, l'eresia o l'apostasia.

    In verità quel che manca un pò ai Papi oggi è quel:"tra il dire e il fare v'è di mezzo un mare" nel senso che laddove il Magistero riesce ad essere ancora credibile e comprensibile a riguardo di certe condanne, dall'altra parte, all'atto pratico non troviamo il sostegno dei Pontefici nell'applicazione di questo Magistero sempre più risicato e sempre più filtrato dal "politicamente corretto".

    In due parole trattasi del monito di nostro Signore: "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt.5,37) accompagnato e sostenuto dall'autentica apertura apportata dalla predicazione paolina: "Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno" (Col.4,6).

    Come si può essere autenticamente "papisti", oggi, senza rischiare di diventare più "papisti del Papa stesso" e neppure così "autoreferenziali" come indicava recentemente il Papa?

    Basta davvero ciò che valeva fino a cinquanta anni fa, ossia: "bisogna obbedire al Papa e basta; il Papa ha sempre ragione; qualunque cosa accada io sto con il Papa, ecc..."?

    Nell'ultima osservazione, senza dubbio sì: qualunque cosa accada "restare con Pietro" diventa davvero l'unico faro imponente in questo mondo che avanza nelle tenebre più fitte. Così come è pacifico il dovere dell'obbedienza a Pietro.

    Tuttavia il punto invece che è possibile discutere è quel "il Papa ha sempre ragione", perché questa "ragione" ha una dipendenza ed è la trasmissione integrale della Fede e della Dottrina della Chiesa di cui il Papa è il custode non il padrone. Quindi anche il Papa è soggetto ad una obbedienza, è soggetto alla conversione, è soggetto a quel "morire a se stessi".

    Non vi è affatto contraddizione nell'obbedire al Papa e al tempo stesso muovergli delle critiche - umili e sensate che spetterebbero in primo luogo ai Vescovi e Cardinali - laddove le sue scelte sociali e politiche risultassero errate, o comunque superate. Abbiamo molti esempi, possiamo citare la famosa "cattività avignonese" per confermare così un fatto storico.

    Oppure il breve episodio di San Marcellino Papa (296-304), il Liber Pontificalis, che si basa sugli Atti di San Marcellino, narra che durante la persecuzione di Diocleziano, Marcellino venne chiamato per compiere un sacrificio, e offrì incenso agli idoli, ma che, pentendosi poco dopo, confessò la fede in Cristo e soffrì il martirio assieme a molti compagni, altri documenti parlano della sua defezione, ed è probabilmente questa sua mancanza che spiega così il silenzio su di lui degli antichi calendari liturgici.

    «Non si fa più difficoltà ad ammettere che da un secolo tutto è cambiato non solo sulla terra, ma anche in cielo; che sulla terra c’è un’umanità nuova e in cielo un Dio nuovo. Il che è tipico dell’eresia: esplicitamente o implicitamente ogni eresia ha pronunciato questa bestemmia».

    (2).

     

    O come quest'altro esempio: Commonitorio di San Vincenzo di Lerino Capitolo IV

     

    Che s'abbia a fare in caso di divisioni nella Chiesa.

     

    "Che farà pertanto un Cristiano cattolico, se qualche piccola porzione di battezzati siasi separata dalla comunione di tutti i fedeli?

    Che altro in vero avrà a fare, se non anteporre a un membro putrido e contagioso tutto il restante del corpo sano?

    E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora?

    Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità.

    E se se in mezzo alla stessa antichità traviata rinvengasi qualche partita d'uomini, o qualche intera città, o tutt'anche una provincia, come s'avrà a contenere?

    In questo caso sarà sua cura di dare la preferenza sopra la temeriarità e l'ignoranza di pochi a' decreti di tutta la Chiesa, quando ve n'abbia d'universalmente ab antico accettati...."

     

    San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia, in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.

    Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa.

    Ecco la “Regola”:

    « Non è sicuramente cattolica , e quindi va respinta, ogni novità in contrasto con quanto sempre e dovunque è stato creduto e insegnato nella Chiesa Cattolica ».

    Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi.

    Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata dall’“inimicus homo”.

    In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede una validità indiscutibile ed intramontabile.

    San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere più chiaramente ciò che già si credeva in maniera molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato senza capire”, ma il chiarimento non può contraddire ciò che la Chiesa ha fino ad oggi insegnato.

    Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”  al N° 22, si riporta l’ammonizione paolina:

    «O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato, non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne; nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo dovere seguirlo».

    Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la Fede, non di modificazione.

    Caratteristica del progresso è che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa; della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in un’altra».

    Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché, se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo» (N° 23).

    San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale, ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità con l’antico!

    Il Commonitorio, quindi, è ben lungi da una immobilità cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale immutabilità.

     

    Leggiamo ancora quanto scrive San Vincenzo al N° 23:

    «Che la  religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi, i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».

    In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato rilevato (explicatio Fidei).

    Se, invece, con l’aumento dell’età «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie, se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno si debiliterebbe».

    «Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano… senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà, nessuna variazione di ciò che è definito».

    È, insomma, il grano di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre di senape.

    Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione” o di identità sostanziale, che consente di distinguere tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo della corruzione dottrinale.

    Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).

    È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un vivissimo senso della Chiesa e che la Chiesa stessa, citandolo in un Concilio dell'epoca moderna, lo tiene ancora oggi in alta considerazione.

    Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e cattolico» (N° 2).

    La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”, ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi Concili ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero sempre nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3).

     

    Infine San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha tutta la ragione di essere interna alla Chiesa, affinché il Magistero stesso si possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore, magari da errori proposti da persone investite di autorità nella Chiesa, fattesi “Maestri della Chiesa”, come avvenne con Nestorio, patriarca di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di Sirmio (Pannonia); come il vescovo Donato, ecc...  «con la più grande stima di tutti» (N° 11).

    Come non pensare oggi ai tanti "don Gallo" disseminati nella Chiesa, lasciati liberi di seminare l'errore senza che la Gerarchia faccia un solo passo per ammonire questi sacerdoti erranti? Come non pensare alla situazione gravissima di un laico che si è autoelevato a dicitura di monaco fondando un monastero modernista e che invece di fare il monaco va in giro per le diocesi a seminare veleni dottrinali con il tacito e a volte esplicito consenso di non pochi vescovi -si legga qui - ?

    In questo caso San Vincenzo, lo abbiamo letto, è chiarissimo: "E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora? Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità", ma sempre da dentro la Chiesa deve avvenire che sia il Magistero a dire l'ultima parola.

     

    Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite, negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed incontaminata» (N° 4).

     

    «L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna nuova menzogna»(N° 3).

     

    Concludendo questa parte, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio soggettivo protestantico, liberale, modernista ed è, senza rischio di smentita, quella regola che deve istruire oggi coloro che vogliono definirsi veramente "papisti" per combattere proprio una forma di papilatria che non consentirebbe più quello sviluppo a cui San Vincenzo si riferiva, perché con tale "latria" si pretenderebbe da parte di Papi e Vescovi il ribaltimento dottrinale.

    Insomma: NO! ad una forma di latria del Papa di turno, sì invece ad un sano papismo contro ogni manifestazione di rovesciamento sia del Primato Petrino, quanto del Deposito della fede.

    E se non bastasse leggiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:

    «Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio quasi divino dei confessori della Fede, è che essi hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto, preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire l’antica fede universale» (N° 5).

    E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hanno mostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità dell’antichità consacrata».

    Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato, quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”, le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale, condizione indispensabile della nostra salvezza! (c.p. 6-7).

    Non possiamo concludere questo articolo senza riportare dal Documento della CTI (Commissione Teologica Internazionale) del 1990, presieduta all’epoca dal card. J. Ratzinger:

    L’Interpretazione dei Dogmi, tratto dal Libro: CTI Documenti 1969-2004 Ed. ESD pag. 381-421, quanto segue.

    “ Le dichiarazioni del Magistero circa l’interpretazione dei dogmi sono chiare in proposito e non lasciano dubbi: la storia dei dogmi è il processo di una interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione (…) il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa Cattolica guidata dallo Spirito Santo”.

    Non a caso il Concilio di Trento difendendo questa dottrina, metteva al tempo stesso i fedeli in guardia contro una interpretazione privata della Scrittura, sottolineando come spetti alla Chiesa giudicarne il senso autentico e la corretta interpretazione.

    Idem fece il Concilio Vaticano I° nel riaffermare Trento anzi, approfondendo ulteriormente, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi purchè, tale sviluppo: “ si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato - eodem sensu eademque sententia." citando proprio San Vincenzo e quanto abbiamo dispiegato fino a qui.

    In sostanza: “ per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa”.

    Pio XII ritorna su questi aspetti nell’Enciclica Humani generis nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.

    Non a caso lo stesso Paolo VI nell’Enciclica Mysterium Fidei (del 1965) ritorna sull’argomento sottolineando anzi, insistendo, sulla necessità che: “si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione…”.

    Commette un grave errore ( e lo ha commesso) chi, usando il Concilio Vaticano II, ha pensato (e pensa ancora oggi) che fosse (e che sia) innocuo modificare la terminologia usata per la proclamazione dei dogmi! E’ come se si fosse preteso (o si pretendesse) di modificare la terminologia usata per il Teorema di Pitagora, o di modificare le regole matematiche pensando di non apportare alcun danno alla applicazione delle stesse.

    Il tentativo continuo, da dopo il Concilio, di pretendere di spiegare i dogmi o le dottrine - per non parlare della Santa Messa -  modificandone la terminologia ha finito, in verità, per snaturalizzarli…

    Così come non a caso nel 2007, la CdF ha dovuto emanare ulteriori chiarimenti per le: “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”.

    Cinque domande, cinque risposte!

    La prima spiega, appunto, che il Concilio Vaticano II “né ha voluto cambiare, né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente”.

    Infatti il Concilio  presentò la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio valorizzando, semmai, la questione anche storica dei dogmi, leggiamo infatti nella DV, n.8:

    “vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della Tradizione apostolica…”, vi è pertanto un progresso, non un regresso come è di fatto avvenuto in molti ambiti ecclesiali!

    E cosa intendesse la Chiesa per questo “progresso” lo spiegò chiaramente Giovanni XXIII si legga qui - al Discorso di apertura del Concilio del giorno 11.10.1965 quando disse che, l’insegnamento della Chiesa, pur conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, deve essere trasmesso agli Uomini, integralmente, in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo!

    Le "esigenze del tempo" tuttavia, non possono essere l'espediente per snaturare le dottrine o modificarle, questo tempo esige il coraggio della vera fede e la carità nella verità, le esigenze saranno allora contenute nei modi attraverso i quali offrire al mondo questa dottrina e non è il contenuto da adattare al tempo eretico che stiamo vivendo.

     

    Abbiamo tentato una sintesi del vasto argomento attuale, proprio del nostro tempo, a riguardo del Primato Petrino e del come siamo chiamati a relazionarci in esso.

    Con le debite limitazioni e riserve possiamo, pertanto, applicare al Vicario di Cristo una stupenda definizione che Gesù ha dato di Se stesso.

    Gesù disse: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio" (Gv.14,3-6).

    - Ego sum via: il Papa è la via al Cristo come Cristo è la via al Padre; via necessaria ed unica, sicura e facile.

    Sulle labbra del Pontefice queste parole non sono appropriazione indebita, seppur certamente nei suoi limiti, perché quello che Gesù Dio fatto Uomo è per natura senza limiti, è diventato per partecipazione il suo Vicario in terra, in ordine e nella misura dell'Ufficio a lui conferitoGli.

    "Si trovano in un pericoloso errore - spiega il Ven. Pio XII - quelli che ritengono di poter aderire al Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al Suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell'unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore da non potersi più nè vedere nè rinvenire il porto della salute eterna" (3)

    Che avverrebbe, infatti, della Chiesa senza il Papa? Una Chiesa acefala e destinata alla sterilità, rispondevano alcuni Padri della Chiesa: Pietro senza i Vescovi non potrebbe governare, ma lo stesso i Vescovi senza Pietro non esisterebbero. L'assenza di Pietro è la paralisi totale!

     

    - Ego sum veritas: Verità essenziale e nell'essenziale, fonte indefettibile per ogni uomo è Gesù Cristo Nostro Signore, luce del mondo (Gv.8,12); oltremodo, spiegano i Padri della Chiesa, è il Vicario di Cristo "con Christo, per Christo ed in Christo", fatto da Lui depositario e maestro di tutte le verità religiose e morali che sono necessarie all'uomo di ogni tempo, per raggiungere il fine della salvezza eterna.

    Nel campo del magistero papale entrano così tutte quelle realtà dottrinali che toccano in qualche modo la vita religiosa ed anche laicale degli uomini, nella teoria e nella pratica, nella fede e nella morale (4).

    Comprenderemo bene perchè fin dal 1700, l'era dei Lumi, dissero, in verità assistiamo ad un attacco frontale contro il Primato Petrino, indipendentemente da chi siede sulla sua Cattedra. Certo le simpatie verso un Papa che ad un altro giocano oggi un ruolo fondamentale nella visione mediatica fino a raggiungere una nuova forma di latria verso il Papa stesso, ma tutte queste simpatie in verità sono e saranno strumento per attaccare la Cattedra di Pietro e lasciare il Papa in una sorta di generico interesse sentimentale e spiritualistico, se non perfino sincretistico, una nuova idolatria!

    Le teorie infatti, sviluppatesi in campo liberale, che pretendono di togliere al Pontefice Vicario di Cristo il munus regendi, eliminando il significativo valore etico a queste attività proprie del ministero petrino per ricacciarle in una sorta di vita privata, ripugnano da sempre al buon senso ed alla retta coscienza di cattolici, e furono ripetutamente condannate dai Sommi Pontefici.

    Resta quindi inconcusso  (e sempre auspicabile che il Papa lo eserciti) il principio della legittimità dell'intervento del Vicario di Cristo in tutte le materie che riguardano l'Uomo: maschio e femmina, fin dal loro concepimento e fino alla loro morte, con tutto ciò che la vita richiede nella guida, in quella via, verità e vita annunciate dal Cristo.

     

    - Ego sum vita: nel Corpo Mistico della Sua Chiesa, il magistero e il ministero sacro, perviene ai singoli membri in luce di grazia che sublima alla partecipazione della natura divina mediante i Divini Misteri quali la Liturgia, la Messa, i Sacramenti, ecc... in questo Corpo Mistico dunque, chi dirige e mantiene in attività gli organi produttivi e conservativi della vita è il Capo, ossia, Gesù Cristo nostro Signore, il quale opera visibilmente per mezzo del suo Vicario.

    In tal senso il Papa è la via "in Christo, per Christo e con Christo" per l'ordinamento e la costituzione del Corpo Mistico, ma chi feconda poi questo lavoro è il Capo, è la Santissima Trinità che pur agendo in modo autonomo dal Suo Vicario, agisce sempre in modo da far combaciare quest'unica via, anche quando un Papa sbagliasse...

    In sostanza l'errore di un Papa non viene fecondato e non rientra in quell'ego sum vita, via, veritas, ma da lui, dal Papa, dipendono sempre l'ordinamento gerarchico e ministeriale, la disciplina ecclesiastica, l'autorevole pensiero cattolico, l'insegnamento religioso-dottrinale-catechetico-morale, Sacramenti e liturgie, la vita soprannaturale della grazia per l'organismo visibile della Chiesa.

    Se un Papa sbagliasse qualcosa, il Signore stesso metterebbe - come ha fatto molte volte - riparo, ma se il Primato petrino subisse un allontanamento volontario dalle regole imposte dal Capo, Gesù Cristo, sarebbe la paralisi dell'organizzazione o peggio, l'anarchia assoluta, la disfunzione della Gerarchia, l'inefficacia del magistero dottrinale, caduta del Sacerdozio ordinato, scompagine delle membra e degli organi vitali, in una parola il dissolvimento del Corpo!

    Ma tutto ciò non potrà avvenire mai non per i meriti di un Papa, ma per la promessa del Capo: "e le porte degli inferi non prevarranno" (Mt.16, 17-19), il famoso "non praevalebunt" che ci garantisce non solo la vittoria della Chiesa, ma ci legittima e ci spinge in quell'obbedienza a Pietro, a prescindere dal Papa che regna.

    In un testo di Padre Emmanuel Andrè, intitolato "La Sainte Eglise", si parla degli ultimi tempi della Chiesa e, riportando ampi stralci di parole profetiche pronunciate dal grande San Gregorio Magno, scrive:

    "La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!

    La Chiesa - dice più volte il grande Papa - verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d'appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.

    Il potere dei miracoli - dice - sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno. Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l'occasione - spiega ancora il Pontefice - di un meraviglioso discernimento. In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono" (Moralia in Job, libro 35).

    E prosegue Padre Emmanuel. "Che parola terribile: taceranno gli insegnamenti della dottrina! San Gregorio proclamava altrove che la Chiesa preferisce morire che tacere. Dunque parlerà ancora, ma il suo insegnamento sarà ostacolato, la sua voce coperta; molti di coloro che dovrebbero gridare sopra i tetti non oseranno farlo per paura degli uomini..." (5)

     

    Concludiamo con una "profezia" di Pio XII:

    «Supponete, caro amico, che il comunismo non sia che il più visibile degli strumenti di sovversione contro la Chiesa e contro la tradizione della Rivelazione divina, allora noi stiamo per assistere all’invasione di tutto ciò che è spirituale, la filosofia, la scienza, il diritto, l’insegnamento, le arti, la stampa, la letteratura, il teatro e la religione. Io sono assillato dalle confidenza della Vergine alla piccola Lucia di Fatima.

    Questa ostinazione della Buona Signora davanti al pericolo che minaccia la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenterebbe l’alterazione della fede, nella sua liturgia, la sua teologia e la sua anima. Io sento intorno a me dei novatori che vogliono smantellare la Cappella sacra, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti, darle rimorso per il suo passato storico.

    Ebbene, mio caro amico, ho la convinzione che la Chiesa di Pietro deve rivendicare il suo passato – altrimenti si scaverà la fossa. Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che il Suo Figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta, come la Maddalena davanti alla tomba vuota: dove l’hanno messo?» (6)

     

    Non si riflette mai abbastanza che la nostra vita intima, di cattolici e dunque sudditi, di fede e di grazia si trova in dipendenza della nostra comunione col Papa; i palpiti del cuore non si avvertono senza porvi speciale attenzione, affetto, figliolanza, preghiera e sacrificio per il suo alto Ministero, perchè abbiamo una garanzia infallibile: "non praevalebunt".

     

    ***

    la prima parte la trovate qui -  la terza parte sarà dedicata alla "comunione dei Vescovi e la collegialità".

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    Sempre sia lodato

     

    Note

     

    1) Le origini del protestantesimo nella complessità soggettiva di Lutero

    2) Louis Veulliot (1813-1883): in “L’illusione liberale”; scrittore cattolico, fu convinto sostenitore dell'infallibilità pontificia e del potere temporale del Papa fu oppositore di Charles de Montalembert. Difese l’insegnamento privato religioso in Francia.

    3) Ven. Pio XII Enciclica  Mystici Corporis Christi marzo 1943

    4) cfr. Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem del 18 maggio 1998:

    "Can. 598 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.

    § 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente..."

    5) Padre Emmanuel Andrè, La Sainte Eglise, Clovis, 1997, pag.296

    6) Brano tratto da una lettera del 1936 del Cardinale Eugenio Pacelli al Conte Enrico Pietro Galeazzi, pubblicata in francese sul libro “Pie XII devant l’histoire”, Laffont, Paris, 1972, pp. 52-53, scritto da Mgr. Georges Roche e da Père Philippe St. Germain.







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 11/06/2014 18:17
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        BENVENUTO PAPA!


     BY ,  40 COMMENTS, IN UNCATEGORIZED

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    nel marzo 2013 – una data certo significativa – è apparso nelle sale cinematografiche un film dal titolo “Benvenuto presidente!”, interpretato da un comicissimo Claudio Bisio, su sceneggiatura di Fabio Bonifacci. Si tratta di una pellicola non certo ambiziosa nei contenuti che tuttavia sfrutta un elemento comico classico: quello dello “scambio di persone”. Si prende un uomo “del popolo” e lo si pone in una posizione di “élite”, di potere. Svariate sono le pellicole statunitensi nelle quali un anonimo cittadino diventa Presidente per un giorno, o quelle nelle quali un non-politico riesce a sedurre le masse fino a diventare Presidente degli States (penso a “L’uomo dell’anno” con Robin Williams del 2006 o a “Dave – Presidente per un giorno” del 1993 interpretato da Kevin Kline). Ma senza ricorrere necessariamente all’espediente politico-presidenziale possiamo osservare lo stesso meccanismo comico nel film “Il marchese del Grillo”, nell’esilarante episodio dello scambio fra il carbonaio e il Marchese. O ancora nella classica commedia attica di Aristofane “Ecclesiazusae”, dove le donne sostituiscono gli uomini in parlamento.


    Il modello politico è tuttavia quello più calzante all’attuale situazione: un uomo preso dalla strada viene, per un caso imprevedibile, nominato ai  vertici di una istituzione percepita come decadente o decaduta, lontana dal popolo e dalle sue esigenze, ammantata da formalismi eccessivi ed elitari. L’uomo della strada si rivelerà un capo carismatico capace di affascinare il popolo, di parlare come il popolo vuole, di superare formalismi inutili, di rivalutare istituzioni decadute, di assicurare insomma un nuovo corso alla Nazione o all’istituzione che presiede, partendo dal basso. Alla fine, tuttavia, siccome ogni bel gioco dura poco, l’uomo della strada ritornerà sulla strada e si concluderà la narrativa comica.


    Dal mese di marzo del 2013 nella Chiesa sta accadendo praticamente la stessa cosa. Con una differenza sostaziale: Bergoglio non era fino al marzo 2013 un uomo “della strada”, bensì un “principe” della Chiesa. Ad ogni modo da marzo 2013 ha assunto su di sé la maschera dell’uomo della strada assurto al vertice della Chiesa Cattolica, dunque si comporta in maniera conforme al ruolo della narrativa corrispondente: niente vacui formalismi, nuovo linguaggio più vicino al popolo e opportunamente pittoresco, offre l’immagine di un rivoluzionario popolare osteggiato da un gruppo di avidi incanagliti rappresentanti del potere decadente, del vecchio corso, fa telefonate a destra e a manca (una caratteristica questa tipica di tutti i film statunitensi del genere e naturalmente anche di quello di Bisio), regala denaro (anche i 50 euro ai barboni per assicurar loro qualche buona confezione di Tavernello), si occupa dei clochard (Bisio li ospita nel salone del Quirinale), degli immigrati, degli “emarginati”, riforma l’istituzione ed è osannato dal popolo come sua diretta espressione.


    Naturalmente questa analisi ci pone dinanzi ad un quesito: Papa Francesco ci è o ci fa? Sarà anche un uomo vicino al popolo, essenziale nei modi, austero nello stile di vita, vicino agli ultimi e di indefettibile fede, ma di certo non possiamo considerarlo un “uomo della strada” che per un caso fortuito, per un colpo del destino, sfidando la maggioranza di coloro che vogliono preservare il potere così com’è, raggiunge un ruolo elitario. E’ stato infatti eletto con una maggioranza schiacciante proprio da coloro che nella narrativa comica avrebbero dovuto ostacolarne l’ascesa o da coloro che nell’attuale narrativa farsesca dei giornali sarebbero terrorizzati dall’azione riformista di colui che hanno eletto. Di più, secondo recenti rivelazioni di Marco Tosatti, Bergoglio sarebbe entrato in Conclave già da Papa, addirittura dopo aver fatto un briefing con alcuni cardinali per valutare i profili dei prefetti delle romane congregazioni. Dunque non può esserci. Semplicemente ci fa.


    E con lui “ci fanno” anche tutti i Cardinali che lo hanno eletto e numerosi vescovi. Ci fanno tutti con una insolita disinvoltura, come se non aspettassero altro che questo “rompete le righe”, questa trasformazione teatrale: la necessità di interpretare la realtà della vita, della morte, del peccato dell’uomo alla luce di una parabola sul potere e le sue conseguenze, sulla riforma del potere come veicolo per rendere più efficace il messaggio cristiano. Come se fossero tutti in attesa, nel nome della collegialità, di un carismatico capo popolare capace di riprodurre la narrativa comica, già attualizzata in politica dall’ascesa in Italia del movimento dei grillini, nella realtà ecclesiale.


    Conosciamo così il plot e gli attori. Sappiamo anche che – in teoria – dovrebbe durare poco. Ancora ignoti sono i registi e gli sceneggiatori. Come pure i produttori di questa pellicola che potremmo intitolare “Benvenuto Papa!”. Siamo certi però che almeno i primi e i secondi si trovino nel collegio cardinalizio. E siano anche numerosi.  Tuttavia non vediamo l’ora che giunga qualcuno a dirci, come al termine di ogni commedia latina: “Acta est fabula, plaudite!”.








       per chi volese anche farsi due "risate" clicchi qui:
    http://www.fidesetforma.com/2014/05/16/supercazzole-monsignore/





     

    [Modificato da Caterina63 11/06/2014 18:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 20/06/2014 11:43

    Primato Petrino o semplice collegialità fra "pari"?

    " Con quale diritto la Chiesa cattolica si presenta quale unica Chiesa di Cristo?"
    La replica di Ratzinger è precisa: "la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità... (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa non è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle comunità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussiste pertanto una e indivisa nella Chiesa ideata da Cristo con a capo Pietro..."

    Cari amici, da anni assistiamo ad  un dibattito che vede in testa le schiere progressiste e moderniste nella Chiesa in quella martellante collegialità atta a scardinare il ruolo del Primato Petrino.

    Da più parti si invoca, in tal senso, un Papa che possa modificare le più imponenti Dottrine della Santa Chiesa, aggiornandole dicono, alle necessità del nostro tempo. La stessa rinuncia del Pontefice Benedetto XVI viene oggi strumentalizzata ed usata per dar credito a questa "riforma" diabolica e pervertitrice del primato petrino.

     

    Ma le cose stanno veramente così? Che cosa insegna la Chiesa su questo tema?

    Dopo aver approfondito il ruolo di Pietro nella prima parte - vedi qui - e nellaseconda parte - vedi qui - in questa terza parte cercheremo di approfondire il rapporto dei Vescovi con il Papa.

    Non ci soffermeremo sulle stravaganti e recidive affermazioni di chi vorrebbe imporre una propria immagine di Chiesa con altrettanti visionari ruoli, né vogliamo perdere il tempo a fare elenchi di nomi assai noti, piuttosto vogliamo aiutare il lettore a comprendere cosa insegna la Chiesa, come ha insegnato fino all'ultimo lo stesso Benedetto XVI.

    Resta illuminante un punto indiscutibile: anche i più reazionari, atei o eretici che fossero, tutti guardano alla Sede Petrina come ad un primato unico e fondamentale a tal punto che, diabolicamente, non vogliono rinnegare tale primato, ma sovvertirlo, usarlo per l'edificazione di una chiesa del mondo. Come i preti che vogliono sposarsi tanto per affermare il detto di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca. O come le donne che pretendono il sacerdozio, dunque non lo rinnegano affatto, ma lo vogliono come rivendicazione di una parità con il maschio.

    Sembra davvero ignoto a molti (è stato fatto un piccolo sondaggio a livello diocesano ed è risultato che nessun sacerdote conosce questo testo) un importante Documento della CdF firmato dall'allora cardinale Ratzinger in qualità di Prefetto e, naturalmente, approvato dall'allora Pontefice Giovanni Paolo II che ne ha ordinato la pubblicazione, si tratta del testo ufficiale:

     

    Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.

     

    Ma facciamo un breve passo indietro.

    "Eminenza, c'è chi dice che sia in atto un processo di "protestantizzazione" del cattolicesimo".

    La risposta, come al solito, accetta in pieno la battuta: "Dipende innanzitutto da come si definisce il contenuto di " protestantesimo ". Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista". (1)

     

    Nell' approfondire l'argomento, vi invitiamo a munirvi anche di un eccellente tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità del Papa per la Chiesa universale

     

    In questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle false interpretazioni che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi.

    A pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.

    Ratzinger fa emergere e denuncia "i malintesi" sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di "comunione basterebbe accogliere il Mistero della Trinità"...... Sì, dice Ratzinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma non è sufficiente per parlare di "comunione".

    e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di "popolo di Dio" e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

     

    Così Ratzinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

    Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "si abbattè una grandinata di critiche da cui ben poco riuscì a salvarsi", in sostanza ci fu un "ammutinamento di molti Vescovi" contro il quale nulla poterono fare (o forse non vollero per timore di un grave scisma) Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, se non ribadire l'insegnamento della Chiesa.

    Ratzinger rispose allora spiegando ragionevolmente il suo testo sulla base della Scrittura e sulla stessa Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora e poi Pontefice: "potrebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la grande Chiesa ideata da Dio con a capo Cefa, per rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

    E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto desolazione. Ma allora non è abbandonata solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

    Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!

    Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si presenta quale unica Chiesa di Cristo?"

    La replica di Ratzinger è precisa: "la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità... (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa non è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle comunità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussiste pertanto una e indivisa nella Chiesa ideata da Cristo con a capo Pietro..."

    E quando venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:

     

    "Non può esserci un vero dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella verità.."

     

    Il problema Ratzinger l'aveva individuato molto bene e sta in quel:

    "... rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

    e in quella grave conseguente conclusione:

    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata".

     

    Un detto popolare dice: quando il gatto non c'è i topi ballano! Nel nostro caso potremo dire con i Padri della Chiesa: Pietro senza i Vescovi non avrebbe nulla da governare, ma i Vescovi senza Pietro non esisterebbero. E' Pietro infatti che li nomina, li conferma, li convalida, mentre sappiamo bene che un Papa non avviene per "nomina" ma per elezione straordinaria in modo del tutto singolare: « Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano;  ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 31-32)

    Riguardo così anche ad una ecu-mania volta a smobilitare il Primato Petrino e quindi anche della stessa Chiesa Cattolica, riducendola ad una "inter-paris" con tutte le altre Comunità non cattoliche, così ammoniva il Prefetto diventato Pontefice, sempre nella Communionis Notio:

    "Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta. (..) Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare.

    La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti  un solo gregge e un solo pastore, una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

    (...) In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia".

    Quindi: e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia, non significa il riconoscimento sincretista di una sorta di "inter-paris" con le altre Chiese particolari (si legga gli Ortodossi) e Comunità Cristiane (si legga i Protestanti che non sono Chiese), o l'appiattimento del ruolo Petrino, infatti leggiamo che per una piena comunione è necessaria: una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma.

    Sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communions Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi.

    Egli rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica superiore, collegata certamente all'istituzione degli altri undici "che agiscono in comunione con lui, ma mai senza di lui, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).

    Pietro ha un primato "autorevole" che include l'insegnamento e la guida sicura, egli è istituito "per primo ed in modo singolare e specifico" (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo perché nessun vescovo potrebbe darsi il mandato da sé stesso, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nell' unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

    Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.

    Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore "in sua vece" (da qui il termine "Vicario" di Cristo)!

    Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!

    Se infatti gli Atti presentano Pietro come il garante della Dottrina nella Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati, lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere conferma della sua predicazione!

     

    All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

    "Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione". (2)

     

    Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando, da cardinale Prefetto per la dottrina, rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.

    Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, egli torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità, ma la collegialità quanto l'esercizio petrino non si contrappongono, non possono disgiungersi, pena la divisione.

    "Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

    (CdF il primato del successore n.5 EV 17)

    La collegialità, spiega Ratzinger, viene semmai confermata dalla presenza di Pietro e dalla sua professione di fede: "Così è stato consegnato ad uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti " (3)

    La stessa Lumen Gentium (n.22) asserisce chiaramente come il Vescovo di Roma è L'UNITA' della Chiesa e i Vescovi nel loro insieme e per mezzo dell'obbedienza rappresentano "la comunione con l'unità", non dunque alla pari ma "con Pietro".

    Denuncia così lo stesso Ratzinger che dopo il Concilio Vaticano II sia in casa cattolica quanto in campo ecumenico i due termini  "comunione ed unità" non siano stati  compresi distintamente come è sempre stato, ma di come siano stati gravemente confusi e relativizzati. 

     

    L'errore principale parte da un documento messo a punto a Monaco dalle frange ribelli: "Documento di Monaco, III, 4 in Enchiridion Oecumenicum 1"

     

    il teso dice: " L'episkopè della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reciproca comunione", Ratzinger allora sottolinea l'errore del Documento dal quale sembra così, che la comunione derivi unicamente dal riconoscimento reciproco bastante di fratellanza e buona volontà senza più alcun riferimento alla "conferma" da parte di Pietro; inoltre, sottolineava allora il card. della Dottrina della Fede che l'insieme sinodale prenderebbe in tal modo il posto del Primato Romano nella "presidenza" della Chiesa! E questo è inaccettabile, infine, tale documento, affermerebbe che tale primato risiederebbe solo nello Spirito Santo (concetto luterano) mentre come ci insegnano i Vangeli e la Tradizione esso venne affidato da Gesù a Pietro e agli altri undici uniti a Lui. E' Pietro che dà il mandato, che conferma e che riconosce la comunione tra i Vescovi, non il contrario.

    La Congregazione per la Dottrina della Fede promulgherà, a condanna della Dichiarazione di Monaco e degli altri documenti analoghi, l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dal Prefetto card. Joseph Ratzinger con l'approvazione di Giovanni Paolo II. Le Comunità di Base, per bocca di don Franco Barbero, dissero al cardinale Ratzinger di occuparsi non già dei teologi ribelli, ma piuttosto di quelli eccessivamente obbedienti. Intervenne ovviamente anche Martini e mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, intimò: «il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio».

    Come vediamo i nomi sono sempre gli stessi: il lupo cambia il pelo ma non il vizio.

     

    C'è anche un interessante riferimento di Ratzinger al Concilio di Calcedonia quando la Chiesa di allora rigettò il canone 28 il quale dice:

    XXVIII.

    Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.

    "Seguendo in tutto le disposizioni dei santi padri, preso atto del canone [III] or ora letto, dei 150 vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande, di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della stessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma.

    Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale.

    Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella.

    Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, ed inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima chiesa di Costantinopoli. E’ chiaro che ciascun metropolita delle diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle diocesi che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcivescovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui".

     

    La Chiesa di Roma - spiegava Ratzinger - non può ritrovarsi in questo perché la sua "maternità" è di natura Apostolica e il suo Primato è di diritto Divino di conseguenza non può scendere a patti o a compromessi equiparandola alle altre Sedi. Per questo la Chiesa insiste molto sul ruolo stesso di Maria nel Cenacolo fino a proclamarla, come lo era già da sempre: Mater Ecclesiae.

    E citando sempre il canone 28 di quel Concilio, spiegava il rigetto di tale articolo che la Chiesa manifestò fin dal principio "perchè in base a questo articolo la sede di Costantinopoli poteva rivendicare poteri pari a quelli di Roma a scapito di altri Patriarcati e, dopo la caduta dell'Impero d'Oriente, cominciò infatti a ritenersi quale centro di una ecclesiologia universale verso la quale tutti dovevano sottostare", spostando così il centro della Sede Petrina da Roma a Costantinopoli. E' ovvio che Roma, la Sede Petrina mai e poi mai avrebbe potuto accettare un compromesso di questo genere senza tradire il mandato datole dal Cristo! La Chiesa non difende la "chiesa di Pietro" ma difende un primato legittimo datole dal Cristo, difende il ruolo di Pietro nella Chiesa di Cristo, l'unica Chiesa, così come Pietro, a sua volta, difende il ruolo dei Vescovi in comunione con lui confermandoli nella comune fede, inviandoli nel mondo, assegnando ad essi porzioni di popolo, il gregge di Cristo, non di Pietro o di singoli vescovi come rammenta Gesù stesso a Pietro: "Pasci le mie pecore".

    Così spiegava mons. Nicola Bux ad Agenzia Fides del 2/7/2009:

    "Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo, osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.

    Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.

    (...) C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo.

    Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile.

    L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto”

    (Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).

    Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.

    Osserviamo il tradimento. Soffriamo.

    Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti” .

    “Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati l’obbedienza?”. “Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.

    Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.

    Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo, una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403)".

     

    E mai, lo stesso Ratzinger, avrebbe potuto condividere teorie dette della "traslazione" del primato o come quella della Kidemonia panton secondo cui l'ortodossia doveva essere considerata "un unico organismo con a capo il Patriarca di Costantinopoli", una sorta di "Papa oriental", mentre i vescovi erano i suoi delegati, alla pari, e infatti neppure le altre chiese Ortodosse hanno accettato queste teorie, dando origine alle Chiese dette "autocefale".

     

    Nella sua Lettera ai Vescovi del 2009, proprio per chiarire la questione della Tradizione nella Chiesa associata alla discussione alla FSSPX, il Pontefice Benedetto XVI ha detto:

    "Ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel  corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive".

     

    Nel discorso che  Papa Benedetto XVI ha tenuto l'anno prima, nel 2008 per la Pentecoste, ritroviamo ripetuti i medesimi concetti che stiamo esprimendo qui:

    11 maggio 2008: Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste...

     

    "Societas Spiritus", società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: "Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito" e perciò "escludersi dalla vita" (Adv. Haer. III, 24, 1)

    (...)

    La Chiesa che nasce a Pentecoste con a capo già visibilmente Pietro che "prende la parola" non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa".

    E ancora, sull'Osservatore Romano del 4 marzo 2000 troviamo un lungo ma fondamentale articolo del Prefetto della CdF, Ratzinger: L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium».

    Partendo dalla crisi della fede e della Liturgia il Cardinale ripercorre una linea chiara atta a spiegare certi errori che partendo da una immagine di Chiesa diversa da quella che la Tradizione ci ha donato, si giunge inevitabilmente a modifiche che nulla hanno a che vedere neppure con il Concilio, ma che sono dei veri tranelli. Dopo aver spiegato l'origine della crisi liturgica, il Prefetto diventato poi Pontefice arriva a discutere sulla falsa immagine di una nuova Chiesa.

    Riportiamo ampi stralci da lasciare alla vostra riflessione:

    "Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo: il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teologico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari. (..)

    L'ecclesiologia di comunione è fin dal suo intimo una ecclesiologia eucaristica. Essa si colloca così assai vicino all'ecclesiologia eucaristica, che teologi ortodossi hanno sviluppato in modo convincente nel nostro secolo. (..)

    L'Eucaristia include il servizio sacerdotale della «repraesentatio Christi» e quindi la rete del servizio, la sintesi di unità e molteplicità, che si palesa già nella parola «Communio». (..)

    Per tutti questi motivi ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata.

    Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l'abbandono del concetto di Dio.

    L'ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra. Naturalmente si diffuse nuovamente il motivo egualitaristico, secondo cui nella «communio» potrebbe esservi solo piena uguaglianza.

    Si è così arrivati di nuovo esattamente alla discussione dei discepoli su chi fosse il più grande, che evidentemente in nessuna generazione intende placarsi. Marco ne riferisce con maggiore insistenza. Nel cammino verso Gerusalemme Gesù aveva parlato per la terza volta ai discepoli della sua prossima passione. Arrivati a Cafarnao egli chiese loro di che cosa avevano discusso fra di loro lungo la via. «Ma essi tacevano», perché avevano discusso su chi di loro fosse il più grande — una specie di discussione sul primato ( Mc 9, 33-37).

    Non è così anche oggi? Mentre il Signore va verso la sua passione, mentre la Chiesa e in essa egli stesso soffre, noi ci soffermiamo sul nostro tema preferito, sulla discussione circa i nostri diritti di precedenza. E se egli venisse fra di noi e ci chiedesse di che cosa abbiamo parlato, quanto dovremmo arrossire e tacere.

    (..) Vescovo non si è come singoli, ma attraverso l'appartenenza ad un corpo, ad un collegio, che a sua volta rappresenta la continuità storica del «collegium apostolorum».

    In questo senso il ministero episcopale deriva dall'unica Chiesa e introduce in essa. Proprio qui diviene visibile che non esiste teologicamente alcuna contrapposizione fra Chiesa locale e Chiesa universale. Il Vescovo rappresenta nella Chiesa locale l'unica Chiesa, ed egli edifica l'unica Chiesa, mentre edifica la Chiesa locale e risveglia i suoi doni particolari per l'utilità di tutto quanto il corpo.

    Il ministero del successore di Pietro è un caso particolare del ministero episcopale e connesso in modo particolare con la responsabilità per l'unità di tutta quanta la Chiesa.

    Ma questo ministero di Pietro e la sua responsabilità non potrebbero neppure esistere, se non esistesse innanzitutto la Chiesa universale. Si muoverebbe infatti nel vuoto e rappresenterebbe una pretesa assurda. Senza dubbio la retta correlazione di episcopato e primato dovette essere continuamente riscoperta anche attraverso fatica e sofferenze. Ma questa ricerca è impostata in modo corretto solo quando viene considerata a partire dal primato della specifica missione della Chiesa e ad esso in ogni tempo orientata e subordinata: il compito cioè di portare Dio agli uomini, gli uomini a Dio. Lo scopo della Chiesa è il Vangelo, e attorno ad esso tutto in lei deve ruotare.

    Questo non vuol dire che nella Chiesa non si debba anche discutere sul retto ordinamento e sulla assegnazione delle responsabilità. E certamente vi saranno sempre squilibri, che esigono correzioni. Naturalmente può verificarsi un centralismo romano esorbitante, che come tale deve poi essere evidenziato e purificato. Ma tali questioni non possono distrarre dal vero e proprio compito della Chiesa: la Chiesa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio, e solo perché questo avvenga in modo puro, vi sono allora anche rimproveri intraecclesiali, per i quali la correlazione del discorso su Dio e sul servizio comune deve dare la direzione..."

     

    e ancora:

     

    "Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane: non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

    Il Romano Pontefice è - come tutti i fedeli - sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.

    Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato. (..)

    Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum  in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli". (4)

    I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro.

    Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.

    Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti popoli diversi trovano in essa la loro identità diventando membra del Corpo della Chiesa, diventando appunto "cattolici", ossia universali.

    Potremmo fare il paragone con una chitarra: la cassa di risonanza, la struttura, la roccia è Pietro, le corde i vescovi, e le membra, e senza la struttura sia le membra quanto i Vescovi non troverebbero dove accordarsi.

    Se avete avuto la pazienza di arrivare fin qui, riservatecene ancora per comprendere il dramma di avere oggi un cardinale come Kasper (5) che aveva già dato in passato altri problemi tanto da essere citato, per essere corretto, da Ratzinger a riguardo della sua visione errata  di Chiesa.

    Nel 2000 fu lo stesso allora Prefetto della Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger, a doverlo correggere niente meno, e pubblicamente con un testo ufficiale, e con queste parole:

    "La Congregazione per la Dottrina della Fede richiama l'attenzione sul fatto che la Chiesa ha inizio nella comunità dei 120 radunata intorno a Maria, soprattutto nella rinnovata comunità dei dodici, che non sono membri di una Chiesa locale, ma sono gli apostoli, che porteranno il vangelo ai confini della terra. Per chiarire ulteriormente si può aggiungere che essi nel loro numero di dodici sono allo stesso tempo l'antico ed il nuovo Israele, l'unico Israele di Dio, che ora — come fin dall'inizio era contenuto fondamentalmente nel concetto di popolo di Dio — si estende a tutte le nazioni e fonda in tutti i popoli l'unico popolo di Dio.

    Questo riferimento viene rafforzato da due ulteriori elementi:

    la Chiesa in questa ora della sua nascita parla già in tutte le lingue. I padri della Chiesa hanno giustamente interpretato questo racconto del miracolo delle lingue come un anticipo della Catholica — la Chiesa fin dal primo istante è orientata «kat'holon» — abbraccia tutto l'universo.

    A ciò fa da corrispettivo il fatto che Luca descriva la schiera degli ascoltatori come pellegrini provenienti da tutta quanta la terra, sulla base di una tavola di dodici popoli, il cui significato è quello di alludere alla onnicomprensività dell'uditorio; Luca ha arricchito questa tavola dei popoli ellenistica con un tredicesimo nome: i romani, con cui senza dubbio voleva sottolineare ancora una volta l'idea dell'Orbis".

     

    - prosegue ancora il cardinale Ratzinger -

     

    "Non si rende del tutto esattamente il senso del testo della Congregazione per la Dottrina della Fede, quando al riguardo Walter Kasper dice che la comunità originaria di Gerusalemme sarebbe stata di fatto Chiesa universale e Chiesa locale allo stesso tempo e poi continua: «Certamente questo rappresenta un'elaborazione lucana; infatti dal punto di vista storico esistevano presumibilmente sin dall'inizio più comunità, accanto alla comunità di Gerusalemme anche comunità in Galilea».

    Qui non si tratta della questione per noi ultimamente insolubile, quando esattamente e dove per la prima volta sono sorte delle comunità cristiane, ma dell'inizio interiore della Chiesa nel tempo, che Luca vuol descrivere e che egli al di là di ogni rilevamento empirico riconduce alla forza dello Spirito Santo. Soprattutto però non si rende giustizia al racconto lucano, se si dice che la «comunità originaria di Gerusalemme» sarebbe stata allo stesso tempo Chiesa universale e Chiesa locale.

    La realtà prima nel racconto di san Luca non è una comunità originaria gerosolimitana, ma la realtà prima è che nei dodici l'antico Israele, che è unico, diviene quello nuovo e che ora questo unico Israele di Dio per mezzo del miracolo delle lingue, ancora prima di divenire la rappresentazione di una Chiesa locale gerosolimitana, si mostra come una unità che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi..." (6)

     

    Vogliamo concludere queste riflessioni con un poema dottrinale e di granitica fede che un Vescovo pronunciò al Concilio Vaticano I, esprimendo in tal modo come è da intendersi l'autentica collegialità che non è il culto alla persona del Pontefice, idolatria di un "Papa-re" o di un Pontefice "piacione", ma piuttosto è amore alla Chiesa, amore e fedeltà alla Cattedra Petrina con tutto quel che ne consegue:

     

    "Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, dopo le magnifiche orazioni dei sapientissimi vescovi, rinunzio alla mia (..)

    Perdonatemi se dirò solo qualche parola in segno di lode e d'amore per la Cattedra di San Pietro, dirò qualche parola che in sè contiene la dottrina dell'Infallibilità, poichè se la fede della Chiesa romana è la fede della Chiesa cattolica, ne segue che questa cattedra di San Pietro, dove si conserva questa fede, sempre e ovunque mantiene la sua forza.

    O Santa e benedetta cattedra di Pietro, fondata su Pietro! Tu sei quella cattedra che quando insegna, insegna il Vero. Quando definisci, definisci nello Spirito Santo, quando leghi, leghi con vincoli indissolubili, quando sciogli, veramente e realmente sciogli, quando anatematizzi, anatematizzi con una maledizione celeste, quando dispensi, dispensi con l'autorità ricevuta da Cristo, quando apri, apri il Paradiso e il Purgatorio.

    Oh Cattedra!

    Chi non ti teme, è già condannato! Chi non ti venera, è maledetto! Chi non ti obbedisce è scismatico, chi si separa da te, è eretico. La tua autorità è divina, il tuo timore santo, la tua dottrina vera, il tuo giudizio retto, il tuo decoro supremo, la tua benedizione celeste.

    Non posso qui esimermi dal rendere grazie. O Santa Chiesa Romana, unica tra tutte le chiese apostoliche che non sei venuta mai meno nella fede!

    E' venuta meno l'Acaia dove sedeva Andrea, l'Etiopia dove sedeva Matteo, l'India dove sedeva Tommaso, la Siria dove sedeva Filippo, la Giudea dove sedeva Giacomo, la Persia dove sedeva Simone, la Grecia dove sedeva Paolo, Tu invece, Chiesa Romana, dove sedeva Pietro, non sei mai venuta meno, nè mai avverrà che tu venga meno. Ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli, che si affaticano ai remi.

    Questa è la lode che esprimo alla Santa Chiesa Romana in ossequio e amore". (7)

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    Sempre sia lodato

     

    NOTE

     

    1) Rapporto sulla Fede - Intervista di V. Messori a J. Ratzinger cap.XI

    2) 7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa

    3) S.Leone Magno, Discorsi, 4,3- pl 54,150,151

    4) Testo ufficiale: Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.

    5) Le gravi affermazioni scismatiche del cardinale Kasper

    6) L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium» - Card. JOSEPH RATZINGER

    Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - Da L'osservatore romano del 4 marzo 2000

    7) S.E.R. Monsignor Josè Francisco Ezequiel Moreira, vescovo di Ayacucho (1826-1874) - Breve discorso tenuto al Concilio Vaticano I il 2 luglio 1870

     






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 20/06/2014 22:39

    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 13 gennaio 1993


     

    1. L’autorità primaria di Pietro in mezzo agli altri Apostoli si manifesta particolarmente nella soluzione del problema fondamentale che dovette affrontare la Chiesa primitiva: quello del rapporto con la religione giudaica, e quindi della base costitutiva del nuovo Israele. Si doveva, cioè, decidere di trarre le conseguenze dal fatto che la Chiesa non era una diramazione del regime mosaico, né una qualche corrente religiosa o setta dell’antico Israele. In concreto, quando il problema si pose agli Apostoli e alla prima comunità cristiana col caso del centurione Cornelio che chiedeva il battesimo, l’intervento di Pietro fu decisivo. Gli Atti descrivono lo svolgersi dell’avvenimento. Il centurione pagano, in una visione, riceve da un “angelo del Signore” l’ordine di rivolgersi a Pietro: “Fa’ venire un certo Simone detto anche Pietro” (At 10, 5). Quest’ordine dell’angelo include e conferma l’autorità posseduta da Pietro: ci vorrà una sua decisione per l’ammissione dei pagani al battesimo.

    2. La decisione di Pietro, peraltro, è rischiarata da una luce datagli in modo eccezionale dall’Alto: in una visione, Pietro è invitato a mangiare delle carni proibite dalla legge giudaica; ode una voce che gli dice: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano!” (At 10, 15). Tale illuminazione, datagli tre volte, come in precedenza per tre volte aveva ricevuto il potere di pascere tutto il gregge di Cristo, mostrava a Pietro che doveva passare sopra le esigenze di osservanza legale circa i cibi e, in generale, sopra le procedure rituali giudaiche. Era un’importante acquisizione religiosa in funzione dell’accoglimento e del trattamento da riservare ai pagani, dei quali si può dire che si presentiva l’arrivo.

    3. Il passo decisivo avvenne subito dopo la visione, quando si presentarono a Pietro gli uomini mandati dal centurione Cornelio. Pietro avrebbe potuto esitare a seguirli, dal momento che la legge giudaica interdiceva il contatto con gli stranieri pagani, considerati come impuri. Ma lo spingeva a superare questa legge discriminatrice la nuova consapevolezza, che si era formata in lui durante la visione. A ciò s’aggiunse l’impulso dello Spirito Santo che gli fece comprendere di dover accompagnare senza esitazione quegli uomini, che gli erano stati inviati dal Signore, abbandonandosi completamente allo svolgersi del disegno di Dio sulla sua vita. È facile supporre che, senza l’illuminazione dello Spirito, Pietro si sarebbe mantenuto osservante delle prescrizioni della legge giudaica. Fu quella luce, a lui personalmente data perché prendesse una decisione conforme alle vedute del Signore, che lo guidò e sorresse nella sua decisione.

    4. Ed ecco che, per la prima volta, Pietro rende davanti a un gruppo di pagani, riuniti intorno al centurione Cornelio, la sua testimonianza su Gesù Cristo e sulla sua risurrezione: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone; ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34-35). È una decisione che, per rapporto alla mentalità giudaica connessa all’interpretazione corrente della legge mosaica, appariva rivoluzionaria. Il disegno di Dio, tenuto nascosto alle precedenti generazioni, prevedeva che i pagani fossero “chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità” (Ef 3, 5-6), senza dover prima essere incorporati alla struttura religiosa e rituale dell’Antica Alleanza. Era la novità portata da Gesù, che Pietro con quel suo gesto faceva propria e traeva ad applicazione concreta.

    5. È da sottolineare il fatto che l’apertura operata da Pietro porta il suggello dello Spirito Santo, il quale scende sul gruppo dei pagani convertiti. Vi è un legame tra la parola di Pietro e l’azione dello Spirito. Leggiamo infatti che “Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso” (At 10, 44). Testimone di questo dono dello Spirito Santo, Pietro ne trae le conseguenze, dicendo ai suoi “fratelli”: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi? E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo” (At 10, 47). Quella risoluzione formale di Pietro, manifestamente illuminato dallo Spirito, rivestiva un’importanza decisiva per lo sviluppo della Chiesa, eliminando gli intralci derivanti dalle osservanze della legge giudaica.

    6. Non tutti erano preparati a cogliere e a far propria la grande novità. Difatti furono sollevate critiche contro la decisione di Pietro da parte dei cosiddetti “giudaizzanti”, che costituivano un nucleo importante della comunità cristiana. Era il preludio delle riserve e opposizioni che ci sarebbero state in futuro verso coloro che avrebbero avuto il compito di esercitare la suprema autorità nella Chiesa (cf. At 11, 1-2). Ma Pietro rispose a quelle critiche riferendo ciò che si era verificato nella conversione di Cornelio e degli altri pagani, e spiegando la venuta dello Spirito Santo su quel gruppo di convertiti con quella parola del Signore: “Giovanni battezzò con acqua; voi invece sarete battezzati in Spirito Santo” (At 11, 16). Siccome la dimostrazione veniva da Dio, – dalla parola di Cristo e dai segni dello Spirito Santo – essa fu giudicata convincente, e le critiche si calmarono. Pietro appare così come il primo Apostolo dei pagani.

    7. È noto che all’annuncio del Vangelo in mezzo ai pagani venne poi chiamato in modo particolare l’apostolo Paolo, “Doctor gentium”. Ma egli stesso riconosceva l’autorità di Pietro quale garante della rettitudine della sua missione evangelizzatrice: avendo iniziato a predicare ai pagani il Vangelo – egli racconta – “dopo tre anni, andai a Gerusalemme per consultare Cefa” (Gal 1, 18). Paolo era al corrente del ruolo tenuto da Pietro nella Chiesa e ne riconosceva l’importanza. Dopo quattordici anni egli va di nuovo a Gerusalemme per una verifica: “per non trovarmi nel rischio di correre e di aver corso invano” (Gal 2, 2). Questa volta si rivolge non solo a Pietro, ma “alle persone più ragguardevoli” (Gal 2, 2). Mostra però di considerare Pietro come capo supremo. Infatti, se nella distribuzione geo-religiosa del lavoro, a Pietro è stato affidato il Vangelo per i circoncisi (Gal 2, 7), egli tuttavia resta il primo anche nell’annuncio del Vangelo ai pagani, come si è visto nella conversione di Cornelio. Pietro in quel caso apre una porta a tutte le genti allora raggiungibili.

    8. L’incidente avvenuto ad Antiochia non implica una smentita di Paolo all’autorità di Pietro. Paolo gli rimprovera il modo di agire, ma non mette in discussione la sua autorità di capo del collegio apostolico e della Chiesa.

    Scrive Paolo nella Lettera ai Galati: “Quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo assieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi (ossia dei convertiti dall’ebraismo). E anche gli altri giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?»” (Gal 2, 11-14). Paolo non escludeva in modo assoluto ogni concessione a certe esigenze della legge giudaica (cf. At 16, 3; 21, 26; 1 Cor 8, 13; 1 Cor 9, 20; Rm 14, 21). Ma ad Antiochia il comportamento di Pietro aveva l’inconveniente di costringere i cristiani provenienti dal paganesimo a sottomettersi alla legge giudaica. Proprio perché riconosce l’autorità di Pietro, Paolo solleva una protesta e gli rimprovera di non agire conformemente al Vangelo.

    9. In seguito, il problema della libertà nei riguardi della legge giudaica fu definitivamente risolto nella riunione degli Apostoli e degli Anziani, tenutasi in Gerusalemme, nella quale Pietro svolse un ruolo determinante. Una lunga discussione oppose Paolo e Barnaba ad un certo numero di farisei convertiti, che affermavano la necessità della circoncisione per tutti i cristiani, anche per quelli provenienti dal paganesimo. Dopo la discussione, Pietro si alzò per spiegare che Dio non voleva alcuna discriminazione e che aveva concesso lo Spirito Santo ai pagani convertiti alla fede. “Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, e nello stesso modo anche loro” (At 15, 11). L’intervento di Pietro fu decisivo. Allora – riferiscono gli Atti – “tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo di loro” (At 15, 12). Così si costatava che la posizione presa da Pietro veniva confermata dai fatti. Anche Giacomo la fece sua (At 15, 14), aggiungendo alle testimonianze di Barnaba e Paolo la conferma proveniente dalla Scrittura ispirata: “Con questo, disse, si accordano le parole dei profeti” (At 15, 15) e citò un oracolo di Amos. La decisione dell’assemblea fu quindi conforme alla posizione enunciata da Pietro. La sua autorità svolse così un ruolo decisivo nel regolamento di una questione essenziale per lo sviluppo della Chiesa e per l’unità della comunità cristiana. In questa luce trova la sua collocazione la figura e la missione di Pietro nella Chiesa primitiva.








     

    [Modificato da Caterina63 20/06/2014 22:40]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 25/06/2014 16:30

    Benedetto XIV 1740-1758, Prospero Lambertini, da Papa soleva uscire la mattina per la sua Roma acquisita per andare a celebrare la prima Messa del mattino in qualunque Chiesa volesse e fosse aperta, non c'era bisogno di avvisare nessuno, altri tempi che forse, grazie al fatto che non c'erano i "Media", gli permetteva di muoversi più liberamente, poi si tratteneva per Trastevere a fermarsi a parlare con la gente.
    Un altro Benedetto, decimo terzo, domenicano, soleva uscire per la città usando una carrozza semplice per recarsi in qualche ospedale e visitare personalmente gli ammalati e per assicurarsi che venissero trattati bene, come se fosse lui stesso li ricoverato, e tutti facevano a gara per fare migliorie in questi ambienti di dolore. Altri tempi, senza dubbio, ma ogni Pontefice ha firmato il proprio Pontificato con gesti propri ed iniziative personali, ciò che oggi disturba è l'uso strumentale che i Media fanno dei gesti di un Pontefice, dimenticando che ognuno di loro, ogni Papa, ha lavorato nella Chiesa, e vi lavora quale Vicario di Cristo, diffondendo e difendendo la sana Dottrina.

     

    Ennesima provocazione (quella nel titolo) di un frasario modernista atto, però, a voler usare certi termini con l'intenzione di modificarne l'originaria sostanza. Già Pio XII denunciava certi slogan in uso: Chiesa si, Cristo no; poi si è passati a Cristo (fatto a "mia immagine") sì, Chiesa con il Papa no. 

    Oggi si dice Chiesa no, Papa - se simpatico - sì.

     

    Abbiamo già espresso in tre articoli l'essenza del papato, del ruolo petrino e di quell'essere Vicario di Cristo:

    prima parteseconda parte e terza parte.

    E abbiamo già espresso in termini storici come da Lutero si è dato vita ad una chiesa a propria immagine, abolendo segni e simboli per sostituirli con il proprio soggettivismo, vedi qui.

     

    Se c'è un punto fermo, ripetitivo fino all'ossessione è proprio il concetto espresso da Benedetto XVI dall'annuncio del suo ritiro in quel dire: "la Chiesa è di Cristo!"

    Perché ripeterlo molte volte prima di ritirarsi?

    Perché è evidente che da dopo il Concilio, volente o dolente, i nemici della Chiesa hanno sposato una personale immagine a seconda del Pontefice regnante, così come quella di un dio, di un Cristo fatto a propria immagine.

    Ha cominciato Paolo VI - volente o dolente - con il suo gesto eclatante nel togliersi la tiara e dismetterla.

    Il Papa sapeva bene che non poteva (e non voleva) abolire un segno che non gli appartiene, ma di certo poteva modificarne l'uso secondo ciò che ritenesse utile o meno utile in quei tempi di regno complesso e difficile.

    Paolo VI, infatti, non vendette le tiare della Sacrestia Pontificia, ma diede via la sua, quella che gli regalarono i milanesi e ne mantenne il segno sullo stemma personale e negli atti ufficiali a firma dei Documenti ecclesiali.

    Papa Montini temeva l'incalzare apparentemente inarrestabile della modernità, ed a costo di immani sacrifici, ricercò costantemente un compromesso con la società moderna, o meglio con i simboli, le immagini di questa, disposto a modificare l'immagine della Chiesa, almeno sotto il suo Pontificato.

     

    In quegli anni, tanto per fare un esempio sui simboli, mentre le femministe bruciavano nelle manifestazioni i reggiseno, certi preti, in preda ad una triste smania di emulazione bruciavano pianete ed abbattevano altari e balaustre a martellate incoraggiati dal gesto montiniano nel dar via la tiara e nel modificare simboli e segni.

     

    Pur volendo ammettere la buona fede di Paolo VI occorre dire che questo suo gesto, mai spiegato in termini ufficiali quali, per esempio, la firma di un Motu Proprio, di fatto si rivelò come un "peccato originale" della sua strategia di rendere il papato più "accessibile" più vicino alla gente, più "umano" e meno divino, insomma, un Pontificato ad personam. 

     

    Ma leggiamo ora un passo di storia indispensabile, come nasce la Tiara?

     

    Ce lo facciamo spiegare da un libro del 1878 scritto dalla Casa editrice dei Salesiani proprio per il sacerdote don Bosco,  che riporta l'incoronazione di Papa Leone XIII

    leggiamo:

    Triregno. È un ornamento del capo, rotondo, chiuso al di sopra,  circondato da tre corone. È questa una magnifica e splendida insegna di onore, di maestà, di giurisdizione del Sommo Pontefice. La sua origine rimonta ai tempi di Costantino, che la diede a s. Silvestro in segno di onore. Era fatto a forma del Pileo dei Romani, berretto, che usavano solamente i liberi e non gli schiavi. Perciò vuolesi che Costantino l’ abbia data a s. Silvestro, appunto per indicare che la Chiesa cessava di essere schiava e tiranneggiata dai persecutori, e cominciava ad essere libera nei suoi spirituali esercizi.

    Quest’ ornamento da prima portava una sola corona, ed era detto Regno. Fu chiamato poscia Triregno quando ebbe aggiunte due altre corone. La seconda corona fu aggiunta da Bonifacio VIII; la terza da Benedetto XII. Sebbene una sola possa esprimere il sommo potere del Papa, tuttavia le tre corone esprimono meglio le tre potestà che egli ha in Cielo, in terra e nel Purgatorio, coelestium, terrestrium, et infernorum. Le tre  corone possono ancora significare che il Papa è Sommo Sacerdote, Signore temporale, e universale Legislatore. Il Triregno è sormontato da un globo su cui sorge una croce. Il globo e la croce posta sul Triregno indica il mondo assoggettato a Gesù Cristo in virtù della Croce, ed è sostenuto dal Papa, perché tutta la terra è alla sua cura affidata.

     

    La tiara, dunque, un segno di libertà della Chiesa! Non di potere temporale, ma di potestà del Cristo attraverso il Suo Vicario in terra.

     

    Sempre dal medesimo testo, che parla dell'incoronazione di Papa Leone XIII, leggiamo la descrizione dell'evento:

    ...allora il Cardinale secondo Diacono, che stava a sinistra del trono, toglieva dal capo del Pontefice la mitra, ed il Cardinale primo Diacono, che stava alla destra, gli imponeva il Triregno, proferendo a voce alta e vibrata le famose parole:  Accipe Tiaram tribus coronis ornatam,et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum.

    Ossia:  Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli.

     Il Triregno imposto al S. Padre Leone XIII fu già donato al Santo Padre Pio IX dalla Guardia Palatina d’ onore.

     L’ atto e le parole suddette fecero correre come un fremito di commozione fra gli astanti, molti dei quali ne rimasero inteneriti fino alle lagrime. Era questo di fatto il punto più bello e più solenne della grandiosa cerimonia, e non poteva non produrre un effetto vivissimo nel cuore di tanti figli devoti ed affezionati alla nostra santissima religione.

     

    Quindi, ad onor del vero, Paolo VI  fu per un certo verso un martire imponendo semmai a sé stesso dei grandi sacrifici  al solo scopo di non porsi in urto frontale - a scanso di mali peggiori - con le nefaste tendenze che allora imperversavano, nella speranza, purtroppo infondata che, finita l'ubriacatura dell'euforia conciliarista,  gradatamente le cose si sarebbero assestate. Ma l'assestamento non ci fu. Anzi, come affermò lo stesso Pontefice: il fumo di Satana entrò nei Sacri Palazzi.

     

    Cosa ci fa credere o interpretare che la deposizione della tiara fu un atto personale di Paolo VI, un sacrificio di rinuncia a sé stesso?

    Il Documento "Romano Pontifici Eligendo", promulgato dallo stesso Pontefice, prevedeva che il suo Successore fosse incoronato, secondo l'uso, dal Cardinale Protodiacono.

    Più precisamente è l'ultimo punto della Costituzione Apostolica che lo esprimeva chiaramente (n. 92): Infine il Pontefice sarà incoronato dal Cardinale Protodiacono e, entro un tempo conveniente, prenderà possesso della Patriarcale Arcibasilica Lateranense, secondo il rito prescritto....

     

    Fu per scelta di "umiltà" che Giovanni Paolo I  disattendendo la "Romano Pontifici Eligendo", rifiutò il rito dell'incoronazione.

    Appare perciò evidente che il gesto di Paolo VI che sarebbe dovuto rimanere isolato, o che al limite non avrebbe dovuto ricadere sulla "incoronazione" del Vicario di Cristo, di fatto venne usato per cominciare dei Pontificati "di stile personale", lasciando così ogni Pontefice "libero" di fare ciò che vuole, avanzare non più secondo una logica giunta a noi per e nella Tradizione, ma in sostanza per avanzare a seconda del proprio e personale stile, umiltà personale se preferite.

    Resta palese che qui sta anche uno dei segnali più inquietanti e drammatici della vera rottura con la Tradizione: Giovanni Paolo I rifiutò di farsi incoronare. Ma non dimentichiamo che fu l'unico Papa di questo tempo ad iniziare l'Omelia per l'inizio di Pontificato con il latino, dicendo:

    " Abbiamo voluto iniziare questa nostra omelia in latino, perché - come è noto - esso è la lingua ufficiale della Chiesa, della quale, in maniera palmare ed efficace, la universalità e la unità" (3 settembre 1978).

    Giovanni Paolo II, suo Successore due mesi dopo, comprendendo bene la gravità della situazione e per evitare probabilmente un problema di incomprensione al suo predecessore, non si fece incoronare ma trasformò detta incoronazione con la "intronizzazione", un concetto più moderno ed anche più collegiale come infatti è l'uso del termine che indica anche la presa di possesso dei nuovi Vescovi e Patriarchi della sede di loro nomina spettante.

     

    Così si espresse Giovanni Paolo II nell'Omelia del sui inizio di ministero petrino il 22 ottobre 1978:

    " Nei secoli passati, quando il Successore di Pietro prendeva possesso della sua Sede, si deponeva sul suo capo il triregno, la tiara. L’ultimo incoronato è stato Papa Paolo VI nel 1963, il quale, però, dopo il solenne rito di incoronazione non ha mai più usato il triregno lasciando ai suoi Successori la libertà di decidere al riguardo.

    Il Papa Giovanni Paolo I, il cui ricordo è così vivo nei nostri cuori, non ha voluto il triregno e oggi non lo vuole il suo Successore. Non è il tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che, forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo del potere temporale dei Papi.

    Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergere in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo..."

     

    " lasciando ai suoi Successori la libertà di decidere al riguardo; Non è il tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che, forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo del potere temporale dei Papi..."

     

    Come è evidente il Papa non ha abolito la tiara, inoltre Giovanni Paolo II aggiunge un elemento alle motivazioni che è quello di una odierna incomprensione del simbolo insito nella tiara e di conseguenza, non è il tempo per portarla e del resto come dargli torto giacché abbiamo perduto la nostra identità di cristiani e stiamo perdendo il senso di Dio? E poichè la tiara è immagine anche di libertà della Chiesa, come abbiamo visto sopra, viene lecito e legittimo  domandarci se non sia questo il tempo in cui la Chiesa subisce pressioni da parte del mondo che, come ben sappiamo, ha per principe Satana, e di conseguenza sta vivendo un tempo di nuove persecuzioni.

     

    In occasione della festività di San Pietro e Paolo però, il 29 giugno d’ogni anno, si usa rivestire della tiara e dei paramenti pontificali la famosa statua bronzea di San Pietro nella Basilica di San Pietro per onorare l'Apostolo di cui i papi si dichiarano successori.

     

    Sia ben chiaro, il problema non è nella tiara in sé, ma in ciò che rappresenta come sopra è stato ben spiegato e del come si stia tentando di affondarlo, ma non per volontà dei Papi o del Concilio, quanto a causa di una certa infiltrazione modernista nel modo stesso di pensare anche dei Papi.

    Non è più importante che si chiami "intronizzazione" ed oggi, con Papa Francesco si è voluto togliere anche questo termine, oramai il danno è stato fatto ma le risorse della Chiesa che è di Gesù Cristo, sono molte e continueranno a difendere questa Istituzione divina con il suo specifico Primato Petrino.

     

    Infatti se è vero che gli stessi significati (i tre poteri) possono essere assunti tranquillamente dalla nuova mitria imposta a Benedetto XVI con le tre strisce dorate, è altrettanto vero che si è imposto ai fedeli e al mondo un cambiamento atto a sminuire, nel segno, la potenza e il valore dei tre poteri di Cristo:

    1 - Re dei re e principi della terra;

    2 - Re e Governatore del cielo, della terra e dell'universo intero;

    3 - Salvatore delle Anime

    distaccandoli sempre di più dall'agire degli uomini e degli Stati. Prova ne è che nel momento in cui Paolo VI fece la sua scelta e Giovanni Paolo I la impose col rifiuto a farsi "incoronare", si è verificato anche il crollo della politica della societas cattolica.

     

    Non escludiamo che tale crisi dei valori e principi non negoziabili sarebbero crollati lo stesso, ma dal momento che la storia non si fa con i se e i ma, ma con dati alla mano, l'unica prova sostenibile che è sotto gli occhi di tutti è il crollo simultaneo avvenuto da ambo le parti anzi, cedendo la prima (con il papato montiniano) ha finito per cedere anche la seconda.

    Come possiamo sostenere questi fatti?

     

    Basta ascoltare la massa dei fedeli sui principi non negoziabili, basta ricordare che nel momento in cui l'Italia cedeva all'aborto e al divorzio si parlava ancora di un popolo cattolico al 90% ma, attenzione, che identificava le proprie scelte moderniste associandole spesso ai "cambiamenti apportati da Paolo VI".

    Il gesto di Paolo VI doveva rimanere contestualizzato nel suo tempo e, ad onor del vero, lo stesso Pontefice si spese senza riserve per denunciare i fraintendimenti associati ai suoi gesti di apertura, nonché alle false interpretazioni e strumentalizzazioni che si davano alla "volontà" del Concilio.

    Ma intanto la rottura con la Tradizione era avvenuta e non si sarebbe più arrestata.

    E non va disgiunto che se fra gli anni 1971 - l'anno in cui fu introdotto il divorzio - e il 1974 l'anno in cui con il referendum l'Italia cattolica si oppose alla legge di Dio sull'indissolubilità del Matrimonio (cfr Mt.19), il 1978, l'anno dei tre Pontefici, l'Italia cattolica (sic) si prestò ad una legge fra le più gravi che Cesare avesse mai varato: l'aborto. La legittimazione della pena di morte all'innocente concepito!

     

    Mi direte cosa c'entrano questi fatti con la tiara, l'incoronazione di un Papa e quant'altro! Semplice: queste leggi devastanti hanno una cosa in comune con l'argomento che stiamo trattando: l'individualismo, il soggettivismo, una personale visione delle cose, escludendo dalla vita degli uomini quei segni e quelle leggi che mettevano Dio avanti a tutto, mettevano Dio al centro!

     

    Venendo infatti ai giorni nostri non possiamo non constatare questo oscillare da un Pontificato ad un altro, non a caso gli stessi Media parlano di "chiese diverse" usando termini aberranti quali: "la Chiesa di Paolo VI; la Chiesa di Giovanni Paolo II; la Chiesa di Benedetto XVI; ed oggi la Chiesa di Francesco...."

    Non esiste più nel gergo, e dunque nel pensiero dei fedeli, la Chiesa nella sua Tradizione; la Chiesa di Gesù Cristo nei suoi tre poteri; la Chiesa dei Successori di Pietro, tanto che Benedetto XVI per tutto il mese, dopo l'annuncio della rinuncia, non ha fatto altro che ripetere che "la Chiesa non è mia o di altri, ma è di Cristo, è sua...".

     

    Oramai si tende ad identificare una Chiesa a seconda del Pontefice eletto continuando ad alimentare una estenuante rottura con quella Tradizione che ha reso grande la Chiesa in ogni tempo, anche nei giorni nostri, e che solo così ha reso alcuni Pontefici tanto grandi da essere ricordati e venerati.

     

    Non è un caso che lo stesso Giovanni XXIII viene ricordato non per la dottrina ma per aver aperto il Concilio Vaticano II (1); lo stesso Paolo VI viene ricordato per tutta una serie di "aggiornamenti e cambiamenti, aperture e ammodernamento della Chiesa" ma guai a mettere nella pastorale, tanto osannata, la sua Enciclica Humanae Vitae lineare con la Tradizione; lo stesso Giovanni Paolo II viene ricordato per i suoi gesti moderni ma guai a mettere in pratica e nella pastorale la sua Evangelium Viate o la Ecclesia de Eucharistia, o la Familiaris Consortio, o la sua denuncia contro coloro che volevano abbandonare il celibato presbiteriale o persino avanzare con le donne prete; al contrario Benedetto XVI è stranamente l'unico Papa della serie che viene ricordato negativamente per aver riportato segni e gesti abusivamente cancellati e per aver ridato asilo alla forma antica della Messa, abusivamente vietata.

     

    Tutto questo ci fa vedere bene come da Giovanni XXIII la Chiesa abbia subito dei cambiamenti che se da una parte li possiamo ritenere lineari con certi cambiamenti epocali (ogni Concilio ha apportato cambiamenti nella Chiesa), dall'altra parte lo stesso silenzio dei Pontefici e gli stessi abusi compiuti da molta Gerarchia non hanno fatto altro che alimentare questa visione delle cose e rafforzare l'aberrazione che ogni Pontefice userebbe la Chiesa a seconda della propria immagine che vuole darle.

     

    Se questi esempi ancora non vi convincono vi invitiamo a rileggervi il Pontificato passionale vissuto da Benedetto XVI e, possiamo aggiungere, alle aberranti affermazioni di non pochi prelati che in questo anno hanno vergognosamente affermato che finalmente oggi, grazie all'atteggiamento liberale di Papa Francesco, ci ritroviamo nell'ennesima "nuova" Chiesa non più oscurantista dove, secondo loro, si stava soffocando. Poverini! Viene da chiedersi cosa si aspettano questi "signori" dal nuovo Pontefice!

    Non possiamo che rispondere con l'articolo del teologo domenicano Padre Giovanni Cavalcoli O.P. su Riscossa Cristiana, già da noi più volte a buona ragione citato, dove dice:

    " Il Papato con Paolo VI non è più Cristo che guida le folle, che compie prodigi, che corregge i discepoli, che caccia i demòni, che minaccia farisei, sommi sacerdoti e dottori della legge, ma è Cristo sofferente, “crocifisso e abbandonato”, inascoltato, disobbedito, contestato, beffato, emarginato, angosciato.

    La forza del Papato postconciliare è la forza di Cristo crocifisso, è il potere della croce. Il Papa deve stare continuamente in croce, fino all’ultimo...."

     

    Se Papa Francesco sarà sostenuto da Vescovi come quello che sparla del Pontificato precedente, ha da stare molto attento ai tradimenti! Non per nulla Santa Caterina da Siena sosteneva che il peggior nemico di un Papa è il suo adulatore!

    Al momento questi modernisti dipingono infatti una "nuova" Chiesa all'insegna non della dottrina, ma dei cambiamenti esteriori e nei gesti apportati dal nuovo Pontefice.

     

    A questo proposito è interessante l'analisi fatta da Sandro Magister con il suo:L'incantesimo di Papa Francesco.

    Spicca la parte iniziale dell'articolo dove leggiamo: " La sua popolarità è in buona misura legata all'arte con cui parla. Tutto gli viene perdonato, anche quando dice cose che dette da altri verrebbero investite dalle critiche. Ma le prime proteste cominciano ad affiorare..."

    L'arte con cui parla Papa Francesco, che è poi il suo stile, nulla toglie alla Dottrina sia del Papato quanto al Catechismo della Chiesa. La Chiesa è di Cristo, Papa Francesco - da buon gesuita - lo sa assai bene e molto più di certi prelati crapuloni e profittatori.

     

    Quanto agli stili dei Pontefici, in verità, non sono affatto una novità del dopo Concilio.

     

    Possiamo partire dai Giardini Vaticani che dal Medioevo ad oggi hanno subito centinaia di cambiamenti apportati ognuno dal Pontefice di turno i quali aggiungevano o toglievano qualcosa; così come gli appartamenti papali dentro i quali ogni Pontefice ha portato la propria firma, trasformazioni superficiali, ma anche radicali a seconda dei gusti, così come non è affatto Francesco il primo Papa a non abitare nel Palazzo Apostolico.

    Il 5 luglio del 2010 Benedetto XVI inaugurava la centesima fontana nei Giardini Vaticani dedicata a san Giuseppe, le precedenti 99 sono a firma dei suoi predecessori che si perdono nel tempo. Così come quando, appena eletto, Benedetto si recò nella sua ex abitazione per organizzare lui stesso il trasloco (libri e pianoforte) preoccupandosi di regolare l'ultima rata dell'affitto. I media l'hanno presto dimenticato.

     

    Come non ricordare anche il Beato Pio IX il quale, appena raggiunto Castel Gandolfo, andava per i vicoli e entrava anche nelle case e spesso sollevava il coperchio della pentola sui fornelli per saggiare la consistenza del brodo. E se vedeva che il cibo non era sufficiente lasciava un po’ di denaro alla famiglia.

    In fondo è stato più facilitato Pio IX che non Papa Francesco il quale farebbe lo stesso se solo potesse, ma l'avvento mediatico non gioca sempre a favore dei Papi.

     

    O possiamo citare il domenicano Benedetto XIII il quale appena eletto e mentre entrava in San Pietro per l'incoronazione, volle scendere dalla sedia gestatoria e senza paramenti ma solo col camice volle entrare fino all'altare, a piedi, come gesto di umiltà. Se fosse accaduto oggi lasciamo immaginare a voi le reazioni che sarebbero scaturite attraverso i Media e le critiche dei conservatori, con gli applausi degli innovatori...

     

    Per non parlare poi delle interviste, la prima fu rilasciata da Leone XIII su "Le Figaro" il 4 agosto 1892, la prima di un Romano Pontefice, concessa tra l'altro a una donna di stampo socialista. Non dimentichiamo che Leone XIII condannò l'ideologia socialista senza mezzi termini nell'Enciclica Rerum Novarum.

     

    Insofferente all’etichetta di corte, secondo la quale il Papa doveva mangiare da solo, come avveniva fin dai tempi di Urbano VIII, San Pio X ammise a tavola prima uno e poi due segretari. Alcuni dignitari fecero notare lo strappo alla regola.

    Pio X rispose: «Ho letto e riletto i Vangeli e gli Atti degli apostoli; ma non vi ho mai trovato che San Pietro mangiasse da solo».

     

    Insomma potremmo continuare all'infinito, e presto vi offriremo anche un articolo di "curiosità papali".

    Qui abbiamo voluto brevemente dimostrare come i cambiamenti nella Chiesa, nella conduzione di un pontificato, non solo ci sono sempre stati, ma che superato l'impatto emotivo sono stati sempre cambiamenti che hanno ringiovanito la Chiesa, rinvigorito la sua struttura umana e di governo. L'interesse mediatico volto spesso a senso unico, purtroppo, penalizza certi cambiamenti usandoli come modifiche all'Istituzione, alla sua ossatura, per la quale si intende tutto l'apparato dottrinale e dogmatico, Istituzione perciò Divina ed immodificabile.

     

    I Media non amano affatto nè i Papi nè il papato, mettiamocelo bene in testa!

    Si alla Chiesa di Cristo e diciamo  "no" alla chiesa a immagine dei Media (2)

     

    Diffidate di quel che dicono e quando parlano del Papa, di cosa dice e fa un Papa. Non facciamo oro di quel che dicono, il papato è cosa seria: E Gesù disse: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.  A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»

    (Mt.16, 13-20)

    La Chiesa è di Cristo, e il Suo Vicario senza dubbio può rendere più bella la Sposa, più giovanile, più snella, una volta più mistica, un'altra volta più umana attraverso le personali iniziative che ritiene più o meno opportune durante il suo regno, ma non può modificarne la struttura e questo, fino ad oggi, nessun Papa l'ha fatto. Chi ha tentato di farlo non c'è mai riuscito perché era illegittimo ed antipapa.

     

    A tale proposito vi offriamo un recente articolo di Padre Ariel, oseremo dire profetico se andrà come lui stesso afferma. (3)

     

    Concentriamoci perciò sulla Dottrina e sul Magistero ufficiale dei Pontefici, il resto lasciamolo alle fantasie dei Media che tali resteranno.

     

    NOTE

     

    1) tre articoli dedicati al vero Giovanni XXIII: parte primaparte seconda sulla vera Pacem in terris, e terza parte sul vero Concilio

     

    2) A questo proposito vi ricordiamo il magistrale Discorso di Benedetto XVI ai Parroci e al Clero di Roma del 14 febbraio 2013, dove spiega benissimo sulla vittoria di un certo falso concilio mediatico.....

     

    3) Dopo il Sinodo, il Papa tornerà ad indossare le scarpette rosse

       




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 02/07/2014 22:52

      MARTEDÌ 9 APRILE 2013 un articolo da rileggere..... da FidesetForma

    TIMORE O PROFEZIA?

     

    di Francesco Colafemmina


    Scrive un lettore, con tutta probabilità proveniente dal blog di Accattoli, dove è stato linkato il post sulla ferula riesumata:
    Dio abbia misericordia di voi........perche', invece di occuparvi della evangelizzazione dei pagani, passate il vostro tempo ad occuparvi di moda e del guardaroba del S. Padre, Vicario di Cristo su questa terra! ......... (e non di Dolce e Gabbana o di Valentino come fate pensare!........Mah! E poi vi domandate perche' la gente si allontana da S. R. Chiesa ! Dio vi perdoni.  - Luigi Franchi
    Caro Luigi, meriti una risposta articolata.

    Per 8 anni Benedetto XVI ha sopportato le critiche di Melloni, Mancuso, Enzo Bianchi e compagnia cantando. Erano solo i cosiddetti "tradizionalisti", meglio i sostenitori di Benedetto e del Papato in genere a indignarsi per queste critiche. Per varie ragioni, ma essenzialmente per una: le critiche mosse a Benedetto XVI nascevano da una perenne ansia di "rinnovamento" di "innovazione" di "rivoluzione". Lo spirito rivoluzionario del Vaticano II, quello spirito che Benedetto XVI ci aveva insegnato a leggere in continuità con la storia della Chiesa precedente il Vaticano II.
    Magari Benedetto era un illuso, o forse esercitava coerentemente il suo ruolo di katechon, ossia di potere frenante, che incarna non se stesso, il proprio pensiero individuale, ma la diacronica forza conservatrice della Chiesa. In ogni caso, un attimo dopo la rinuncia di Benedetto tutte le nubi che si erano radunate sul Vaticano sono improvvisamente svanite. E' tornato il sereno. Ior, Curia, pedofilia, vatileaks, etc. sono tutti casi appartenenti al passato... Come ha detto un sacerdote alla messa di Pasqua "con papa Francesco si respira aria nuova". 
    Ma quest'aria nuova in cosa consiste? Essenzialmente nelle sue innovazioni simboliche:
     
    1. Nome totalmente nuovo (Giovanni Paolo I non fa testo perché omaggiava comunque i predecessori. Per trovare un papa con un nome nuovo bisogna risalire al 914 con Papa Lando)
    2. Croce d'argento (non di ferro) invece che d'oro
    3. Scarpe nere invece che rosse
    4. Talare bianca senza mozzetta, rocchetto e stola
    5. Poltrona bianca al posto del trono
    6. Ferula di Paolo VI al posto di quella di Benedetto
    7. Messe non cantate
    8. Predica fatta senza mitria e in piedi
    9. Paramenti pauperistici e listati di nero al posto delle pianete usate da Benedetto XVI
    10. Prediche ripetitive e succinte 
    11. Volontà di abitare in Santa Marta e non nel Palazzo Apostolico
    12. Volontà di definirsi Vescovo di Roma piuttosto che Sommo Pontefice
    L'elenco è provvisorio. Da questo elenco emerge tuttavia una evidente discontinuità con Papa Benedetto. Discontinuità che per molti versi è non solo con Benedetto, ma con tutti i papi precedenti. Ci tengo a precisare che questa discontinuità non è "notata da quattro scriteriati tradizionalisti" bensì è frutto di una chiara, esplicita, determinata volontà di Papa Francesco. 
     
    Certo, si obietterà, lo stile di Papa Francesco è "sobrio", è "tenero", è "vicino al popolo". Personalmente ritengo si tratti solo di demagogia. Ossia di organizzata e meditata volontà di dare un segno diverso, di offrire una immagine nuova del Papa e del papato in genere. E per far ciò Francesco ha - a prescindere da tutto - il consenso unanime dei media. E' il "liberatore" che si attendeva dopo il "tiranno" Benedetto XVI. 
     
    Magari parla di misericordia senza parlare di conversione, di pentimento, di timore di Dio, di inferno... Magari sembra aver sposato il motto di Lutero "pecca fortiter sed crede fortius", ma, si sa, l'inferno è vuoto e la Chiesa che mostra un Dio irato è solo un vecchio residuo del passato che non fa più paura. Ma allora perché il Papa cita spesso Satana? Forse che Satana è una sorta di interiore démone che si installa come schermo fra noi e l'amore di Dio? Forse il libero arbitrio è una mera parolina magica priva di significato? 
     
    Chissà! Certo deve aver colpito qualcuno il fatto che il Papa abbia baciato i piedi di giovani carcerati - gesto assolutamente encomiabile se non ci si fosse messa di mezzo la demagogia delle immagini - ma non si inginocchi mai dinanzi a Nostro Signore prima della Comunione e faccia una semplice reverenza al momento della consacrazione. Dico deve, perché in realtà autentiche voci di velato dissenso nei confronti di Papa Francesco non ce ne sono. E forse per via di una certa prudenza che è opportuna nonché saggia. 
     
    Ma io oggi preferisco perdere opportunismo e saggezza e affermare che sì, Papa Francesco, non mi ispira autenticità. Non vedo nei suoi gesti l'ingenua assenza di pianificazione che vi vedono gli altri. Non penso che un uomo di 76 anni, già Cardinale e arcivescovo, sia così ingenuo e autentico nelle sue manifestazioni. No, credo sia tutto costruito e pianificato da anni. E mi diverte anche un po' vedere che i commentatori - diventati tutti improvvisamente bergogliani di ferro - prestano ora attenzione ai "tradizionalisti" contestatori di Papa Francesco, limitandosi all'aspetto meramente formale, oserei dire vatican-fashion delle sue innovazioni. 
     
    No, della moda vaticana, posso assicurarle caro Luigi, che non ce ne frega niente. Ci interessa la continuità. La Chiesa fatta né di tante piccole cellule indipendenti, né di "prima" e "dopo". E purtroppo nel caso specifico è Papa Francesco a segnare questa distanza fra un "prima" e un "dopo". Anzi sono i suoi elettori, i vari Sodano (che per anni ha tramato ai danni di Benedetto), i vari Re, Daneels, Lehmann, Hummes... Tutta gente che ha pianificato lo "shock Francesco" per anni.
     
    Lo scrivevo già nel 2009, quando terminavo il mio romanzo La Serpe fra gli Ulivi, e forse è per questo che sono scettico in merito a Papa Francesco. Oggi ho ripreso in mano questa mia opera e alle pagine 278-79 ecco cosa avevo scritto:
     
    "Il cardinale con la sua faccia ieratica e severa, sebbene a volte viscida e maliziosamente malvagia era riuscito ad aggregare notevoli gruppi di vescovi, sacerdoti ed altri membri del collegio. Il loro scopo era mantenere la Chiesa in una condizione di disagio permanente. Indebolire il ruolo del Papa, far perdere credibilità all’ortodossia, diffondere la profonda incoerenza del cattolicesimo, rispetto alla vita privata delle gerarchie. 
    Questo indebolimento costante della Chiesa non poteva essere compiuto apertamente. Se così fosse stato, avrebbero rischiato di apparire come i veri propalatori dell’apostasia. Essi dovevano agire dietro le quinte. Serviva loro un Papa che fosse davvero santo! Un Papa ortodosso, giusto e retto, nella fede e nella dottrina. Di lui si sarebbero serviti per distruggere la Chiesa come il mondo la conosceva. Non era poi così banale il loro programma. 
    Essi avrebbero organizzato dall’interno del Vaticano una puntuale e costante opera, volta a screditare il Papa ortodosso e giusto. A mostrare come le sue decisioni, la sua visione del mondo, la sua stessa fede, fossero superate, vecchie, insostenibili per l’uomo moderno. L’avrebbero messo al centro del discredito mediatico mondiale, creando polveroni attorno a piccoli eventi ecclesiali la cui portata sarebbe stata ingigantita ad hoc.Così preparavano il loro pontificato: quello in cui sarebbe stato eletto il vero Apostata, il vero Antipapa. Costui lo coltivavano blandendolo attentamente. Ne soddisfacevano ogni possibile desiderio, ogni ambizione, purché egli restasse nel silenzio: un cardinale tra i tanti. Al momento opportuno, quando la Chiesa sarebbe stata screditata, maltrattata, umiliata dalle Nazioni e dai loro statisti massoni ed illuminati, quando il Papa santo e retto sarebbe stato cancellato dal cuore dei cristiani, soltanto allora avrebbero attuato il loro piano. Il nuovo papa sarebbe stato latinoamericano."

    Spero solo di non essere stato profetico.

     

    [Modificato da Caterina63 19/08/2014 22:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 07/07/2014 00:17


    "Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!... Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!" (San Paolo)

     

    ...è questo che nasconde lo slogan "il Papa è uno di noi; il Papa cammina con noi", è tutto ciò che di più gradevole vogliamo sentire e vedere del Papa, tranne che nel "primato petrino" che, se proprio non si può eliminare, allora lo si cambi.

     

    A questo servono gli slogan, a cambiare almeno culturalmente ciò che non è possibile eliminare.

     

    Diciamoci la verità, non se ne può più di vedere il Papa trattato come un vip, come un leader, come un superuomo di Nietzsche memoria.

    E c'è del paradossale perchè se nell''800 assistiamo ad un attacco inferocito ed inaudito contro il Pontefice da parte di anticattolici, antipapisti, ateisti, massoni e chi più ne ha più ne metta, quando la maggior parte della gente era battezzata ed era, almeno a parole, cattolica, oggi ci troviamo davanti al paradosso che la maggior parte di coloro che trattano il Papa da superuomo o da leader o da vip, non sono apparentemente antipapisti o anticattolici, ma ancor peggio sono coloro che hanno sposato la cultura etica e immorale del nostro tempo, sono abortisti, divorzisti,  anti-primato-petrino... e naturalmente battezzati e pure cattolici, così dicono!

     

    Sì "anti-primato-petrino" perchè è questo che nasconde lo slogan "il Papa è uno di noi; il Papa cammina con noi", è tutto ciò che di più gradevole vogliamo sentire e vedere del Papa, tranne che nel "primato petrino" che, se proprio non si può eliminare, allora lo si cambi.

     

    A questo servono gli slogan, a cambiare almeno culturalmente ciò che non è possibile eliminare.

     

    E c'è un altro paradosso: se il Papa viene osannato perchè "uno di noi che cammina con noi" come si fa poi a dipingerlo come un supereroe fumettistico? Siamo forse anche noi dei supereroi, superuomini?

     

    Dopo aver approfondito cosa è il Papa, il suo ruolo, di cosa è investito, si legga qui: prima parteseconda parte e terza parte.

    Cerchiamo di capire ora cosa il Papa non è!

     

    Il Papa "è uno di noi"?

     

    Sì e no, tutto sta a capire bene che cosa si vuole intendere perchè, come dice Nostro Signore: « Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?  Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo.  Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo...» (Mt.15,16-20).

     

    Certo che il Papa "è uno di noi" non è mica un alieno! Non è un superuomo, non è un vip, appunto, è "uno di noi" nel senso più pacifico che si possa dire eppure, a ben vedere, c'è dell'insidia in questo slogan.

     

    Primo perchè è usato come slogan e, come si sa, tutti gli slogan sono generati dalle ideologie, oppure diventano ideologie.

     

    Secondo aspetto questo slogan tende a trascinare il ruolo petrino verso il basso, mentre dovrebbe accadere esattamente il contrario: non noi a trascinare il Papa giù, ma lui a trascinarci su, nel trascendente. Se ciò non avviene, e peggio, avviene il contrario, qualcosa non funziona.

     

    Qualcuno potrà dire: ma come siete cavillosi! che male c'è in questa frase? è solo una espressione umana, sentire il Papa vicino a noi, come uno di noi appunto, in fondo poi anche Dio si è fatto uno di noi, o no?!

     

    Oh! Bene, e qui casca l'asino, qui ci porta la discussione: Dio si è fatto come noi! Verissimo, ma la frase del canto salmodico termina dicendo: "per farci come Lui".

     

    Vediamo bene che questa frase usata come uno slogan ci porta pacificamente a riflettere sulla radice di quel "essere - é ", del chi siamo, chi è e cosa è davvero il Pontefice, il ruolo, i ruoli, gli scopi e le funzioni di un ruolo, e alla fine cosa dobbiamo raggiungere.

     

    La maggior parte delle frasi ad effetto, usate come slogan appunto, nascondono delle insidie atte a voler minare il senso vero delle cose, diremo un "adulterare-falsificare" la verità.

     

    Dunque: Dio si è fatto uno di noi, anche il Papa è uno di noi!

     

    Ma Dio, quando si è fatto uomo non solo è finito sulla Croce, ma si è fatto come noi (cfr Fil.cap.2) "per farci come Lui"in che cosa? Nella salvezza. Salvezza in che cosa? Dal peccato! In questo sta la nostra futura "divinizzazione", l'eliminazione del peccato (partendo dal Peccato Originale), lottare per non offendere più Dio con il peccato, e quindi guadagnarsi quel premio che è la santificazione.

     

    L'insidia invece di questo slogan: il Papa è uno di noi; il Papa cammina con noi, sta nel fatto che ci si ferma all'euforia dell'incontro stampato sugli striscioni come si fa ai concerti dei vip o negli stadi osannando la propria squadra o il proprio campione, o l'amato cantante. Non si va oltre, non ci si converte al Cristo, ci si ferma, anzi ci si sdraia restando orizzontali, come a prendere il sole senza fare altro, magari solo a fantasticare su un Cristo fatto a nostra immagine e somiglianza!

    Quando morì Giovanni Paolo II, vuoi per affetto sincero, vuoi in buona fede, vuoi per conclamata ignoranza e pure superbia, la salma del Pontefice veniva accolta al grido: "è stato uno di noi!" in netta contraddizione col "santo subito!" perchè, se quel Papa era riconosciuto come santo due sono i punti da discutere:

    1. o la gente ha perso il significato di cosa voglia dire essere "santi";

    2. se era santo come poi la Chiesa lo ha riconosciuto canonicamente, allora non poteva essere "uno di noi", deve averci per forza superato in qualcosa di trascendente, altrimenti non poteva essere dichiarato santo.

     

    Il Papa "cammina con noi", senza dubbio vero, ma manca il finale anche qui: per condurci dove? Lui cammina con noi verso il baratro in cui il mondo si sta dirigendo, oppure cammina con noi per dirci che dobbiamo cambiare strada?

     

    Ecco, questa domanda la maggioranza dei fan del Pontefice di oggi, non se la pone!

    Non è un giudizio alle intenzioni o alle persone, il nostro, ma è una constatazione di fatto.

     

    Vediamo di spiegare il tutto attraverso il Vangelo così da non rischiare di passare per autoreferenziali.

     

    Il Papa è il Vicario di Cristo, Successore dell'Apostolo Pietro il quale è stato fatto dal Cristo suo Vicario per la sua professione di fede che non veniva dalle sue opinioni personali, ma da una rivelazione del Padre, dice infatti Gesù a Pietro: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.  A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt.16, 17-19)

     

    Quindi, Pietro, certamente è "uno di noi e che cammina con noi" ma non certo per naufragare all'interno dei nostri stagni, al contrario, per tirarcene fuori e quindi, in definitiva, è uno di  noi, cammina con noi, per portarci fuori dal peccato e dall'ateismo, portarci fuori dalle ideologie e dalle nostre personali certezze, per condurci alla "Verità che il Padre gli ha rivelato".

    E' in questa verità che dovrà poi "confermarci", lo dice Gesù: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc.22, 31-32).

    La dinamica è la seguente: Pietro "ascolta" il Padre; ha ricevuto dalla Tradizione autentica il Deposito della fede apostolica, ed anche se (come ognuno di noi) è messo alla prova, vige la promessa della preghiera del Signore che è infallibile e se Pietro, umilmente, riconoscerà tutto questo, allora "una volta ravveduto" confermerà i fratelli - tutti noi battezzati - in questa medesima fede.

     

    Da quel momento in poi Pietro, con i suoi Successori legittimi, non sarà altro - e non farà altro - che ripetere gesti e parole del Suo Maestro.

    Gesti e parole che non sono solo la lavanda dei piedi o gesti caritativi oggi abbondantemente ideologizzati e usati come pietismo, assistenzialismo e moralismo, ma molto di più.

     

    Vediamone alcuni:

     

    - "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada...." (Mt.10,34)

    E' ovvio che con questo non si intende affatto armare interi eserciti e fare le guerre che intendono gli uomini, lo stesso Gesù disse a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv. 18, 36-38), e ancora: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande» (Gv.19,11).

    Gesù intende invece sottolineare che la pace che il mondo intende fare con i suoi compromessi, con le sue leggi contro natura, contro la dignità dell'uomo, con l'uccisione degli innocenti quale è l'aborto, i ricatti economici, lo sfruttamento e così via, non è la pace che intende Lui: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore" (Gv.14,27), la spada che intende portare è quella dello Spirito Santo, come rammenterà poi San Paolo che di armi e di battaglie ben si intendeva: " prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio..." (Efes.6,17).

    La spada che intende portare il Signore è dunque la Parola, Parola che salva, non parola di uomini, ma Parola di Spirito, quella Parola che vinse contro le tentazioni di Satana verso di Lui: "Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui..." (Lc.4,1-13).

    Gesù non è un pacifista, ma in modo pacifico ci ha insegnato come si combattono le tentazioni, la vera guerra che dobbiamo fare in questo mondo.

     

    - «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc.2,17)

    Il Successore di Pietro ha lo stesso compito proprio in quanto Vicario di Cristo. Egli non si rivolge "ai giusti" ossia a coloro che con superbia si ritengono senza peccato o peggio, che giustificano il proprio peccato e vogliono rimanere a sguazzare nel fango in cui sono immersi... il Papa chiama a raccolta (proprio come Gesù raccoglieva le masse del suo tempo) chi, riconoscendo il proprio stato di peccatore, ha compreso la potenza del Cristo e in qualche modo vuole correre ai ripari, vuole cambiare, vuole convertirsi al Cristo e non certo al Papa in quanto essere dissociato dal Cristo e dal Calvario!

    Non ci si converte al Papa di turno, ma al Cristo che è "ieri, oggi e sempre".

    Anche il Papa, a sua volta, ricorre al Cristo (si confessa e riceve i Sacramenti della salvezza), in questo senso è appunto "uno di noi" ma non resta immerso nello stagno del peccato, non giustifica il peccato (magistero dottrinale), adopera la spada della Parola con la docilità e la potenza al tempo stesso tipica dello Spirito Santo che non è spirito di timidezza, come riporta San Paolo; il Papa sollecita in tal senso i malati nello spirito a fare ricorso alla confessione, dunque a non rimanere "uno di noi" nel peccato, piuttosto ad uscirne fuori.

     

    - "io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi..." (Lc.5,32)

    Se il Successore di Pietro non facesse i viaggi apostolici (così come le udienze, gli incontri e lo stesso magistero) con questa intenzione, sarebbe un antipapa!

    Stiano attenti "i fan" del Pontefice! Certa idolatria atta a venerare la persona del Papa di turno, dalla quale si pretenderebbe appunto una equiparazione - "è uno di noi"-  nello stato di peccato, produrrebbe al Papa stesso immenso dolore e seminerebbe solo vento.

     

    - "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.." (Gv.8,42)

    Anche il Successore di Pietro è un "inviato" dal Padre. Per quanto la elezione di un Pontefice verte su giochi interni e politici, di compromessi e di convenienze, resta palese che il legittimo Pontefice, Vicario del Cristo, viene investito dalla cosìddetta Grazia di Stato attraverso la quale, alla fine dei giochi umani, finisce per vincere la strategia del Signore Gesù che è il Capo della Chiesa, per questo dice infatti: " e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa..."

     

    - "Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre..." (Gv.12,46)

    A questa Luce deve condurre un Pontefice, non certo a se stesso!

    Credere in Cristo attraverso l'opera del suo Vicario in terra. Credere in Cristo perchè è questo che deve fare il Suo Vicario: fare in modo che la gente che si riunisce attorno a lui "non rimanga nelle tenebre" ma vedano il Cristo.

    Attenzione: non un Cristo fatto a "nostra immagine" o ad immagine del Papa... questo è il grave rischio di oggi e di un papismo osannato nei cognomi dei vari Papi: papato montiniano, papato wojtyliano, papato ratzingeriano, papato bergoglioso... sic!

    Gesù usò e cambiò di Simone il nome, non usò il cognome, e su quel cambiamento venne sigillato un papato che è segno di un primato: quello PETRINO.

    Chiunque, dunque, crede in questo Cristo del Vangelo, professato dal Primato Petrino e portato avanti nella Tradizione dai successori, non resta nelle tenebre...

    Perciò il Papa "è uno di noi e cammina con noi" è corretto, ma solo se poi noi lasciamo il nostro stagno fangoso di peccato e cerchiamo, con Pietro, di andare verso la santificazione. Se si pretende invece elogiare o osannare il Papa perchè è uno come noi nel peccato e tutti felici di restare dove siamo, allora no, la frase è una bestemmia!

     

    - "Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo..." (Gv.12,47)

    Sembra che queste parole di Gesù siano state scoperte solo oggi: evviva! abbiamo scoperto una nuova notizia, Gesù non ci condanna! Anche il Papa lo dice "chi sono io per giudicare"? Quindi aveva sbagliato la Chiesa del passato, la vecchia matrigna brutta e cattiva, che condannava tutti!

    Quante volte siamo stati costretti a sentire amenità simili?

    La scena per capire queste parole di Gesù, o per una corretta interpretazione, le troviamo nell'adultera:

    " Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più»" (Gv.8, 1,11).

     

    Anche in questo caso, come in altri, viene omessa dai nostri contemporanei l'ultima frase di Gesù: « va' e d'ora in poi non peccare più».

     

    Gesù non condanna per due motivi: il primo perchè qui la donna si è pentita, e lo dimostra chiaramente con il suo atteggiamento umile e di sottomissione alla legge di Mosè che prevedeva quella pena;

    secondo perchè se la donna non si fosse pentita e l'attenzione di Gesù non fosse stata portata all'attenzione di quel che stava avvenendo, la donna sarebbe probabilmente morta lapidata, morta a causa del suo peccare, dunque è il peccato che l'aveva condannata e Gesù non ci va a mettere il carico da undici!

    Gesù non è venuto a condannare semplicemente perchè siamo stati già condannati dal Peccato Originale che Egli è venuto a rimuovere.

    Quindi Dio si è fatto Uomo, Misericordia Incarnata proprio perchè eravamo condannati e Lui è venuto a salvarci, a tirarci fuori da questa situazione stagnante e devastante.

    E' come quando dice: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada.." (Mt.26,52).

    E' il peccato, le azioni sbagliate che ci condannano, sono le scelte che facciamo che ci condannano o ci salvano, Gesù è venuto a portare quella salvezza che da soli non saremo mai riusciti portare a compimento.

    Che senso avrebbe il Pontificato stesso senza il Cristo?

    Gesù salva e aiuta chi si pente del proprio peccato e chi non usa "la spada", si china su  queste persone senza più difese come l'immagine dell'adultera schiacciata a terra dall'umiliazione, che attende di dover pagare per i suoi sbagli e invece trova davanti la Misericordia Incarnata che tutto le perdona "Neanch'io ti condanno" ma aggiungendole quel monito oggi cancellato dagli aggiornamenti -si veda qui - dei Vangeli: « va' e d'ora in poi non peccare più»....

     

    Il Papa è allora sì " uno di noi e cammina con noi" ma con quel fare tipico di chi è vero ed autentico discepolo del Signore: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più», non dobbiamo peccare più, e se anche ricadiamo nel peccato via, rialziamoci, confessiamoci e ritentiamo la salita, ma mai rilassarci nel peccato.

     

    Se amiamo davvero il Papa, allora, convertiamoci al Cristo, cambiamo la nostra direzione nel mondo, abbandoniamo le opere della carne come ammonisce San Paolo:

    "Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

    E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato...

    Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete..." (Rom.8, 9-13).

     

    Un Pontefice non può che predicare questi pensieri e con lo stesso criterio e con le medesime intenzioni, così come egli rammenta bene le parole di Ezechiele:

     

    «Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.

    Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato» (Ezec.3,16-21).

     

    Infatti così insegna Benedetto XVI:

    "...Il vescovo di Roma siede sulla cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la cattedra è il simbolo della "potestas docendi"....

    Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero.

    Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire.

    La potestà di insegnamento nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell'obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge.

    Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell'obbedienza verso Cristo e verso la sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all'obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo..."

    (Omelia alla Celebrazione Eucaristica e all'insediamento sulla Cathedra romana - 07 maggio 2005)

     

    Il Papa è perciò "uno di noi" che, rivestito della Grazia di Stato, viene per tirarci fuori dallo stagno peccaminoso in cui viviamo, e "cammina con noi" per portarci fuori dalla logica di questo mondo nel quale regna il principe delle tenebre (cfr Gv.16,11), il Papa agisce con le stesse intenzioni paoline: " Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli...." (Ef.2),

    e per finire il Papa stesso è "uno di noi e cammina con noi" alla maniera di Paolo:

     

    " Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, 5 al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

    Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.

    Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!  L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!

    Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo...." (Gal.1, 1-11)

     

    Vi invitiamo a leggere, per la serie, anche questo articolo:

     

    VOGLIONO UNA CHIESA IL CRISTO E IL PAPA A PROPRIA IMMAGINE

     

    e il libro di Gnocchi-Palmaro : Questo Papa "piace troppo"

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    sempre sia lodato




    [Modificato da Caterina63 07/07/2014 00:17]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 26/07/2014 12:27

    Bianchi come Scalfari: usa il Papa per i suoi fini

    di mons. Antonio Livi
    25-07-2014

    Fabio Fazio e Enzo Bianchi

    Nel celebrare oggi la Santa Messa (ieri per chi legge,ndr), mi ha turbato alquanto la prima lettura, tratta dal profeta Geremia: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Va' e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto,in una terra non seminata. Israele era cosa sacra al Signore la primizia del suo raccolto; quanti ne mangiavano dovevano pagarla, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore.
    Io vi ho condotti in una terra da giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio. Neppure i sacerdoti si domandarono: Dov'è il Signore? I detentori della Legge non mi hanno conosciuto, i pastori mi si sono ribellati, i profeti hanno predetto nel nome di Baal e hanno seguito esseri inutili. Stupitene, o cieli; inorridite come non mai! Oracolo del Signore. Perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua» (Libro di Geremia, 2,1-3.7-8.12-13). 

    Ecco che cosa ci comunica oggi la Parola di Dio, inserita nella liturgia della Chiesa. L’argomento di questo “oracolo del Signore” è, appunto, ciò che avviene anche oggi all’interno della Chiesa, che è la “Gerusalemme celeste”, prefigurata da quella Gerusalemme che ha preparato la venuta di Cristo. In questa Gerusalemme che per noi cristiani è la Chiesa, in mezzo al popolo che Dio ha liberato dalla schiavitù d’Egitto e portato a possedere la Terra promessa, ci sono sacerdoti infedeli (e per questo io sono trasalito leggendo queste parole tremende e pensando al rischio che corro io stesso); ci sono detentori della Legge che ignorano colpevolmente l’autore stesso della Legge, che è Dio; ci sono dei pastori che hanno un potere legittimo ma ne abusano, fomentando la ribellione del popolo a Colui che è il “pastore supremo”; e ci sono falsi profeti, i quali distolgono la Chiesa dal culto di Yahvè, vero e unico Dio, per compiacere gli idoli dei pagani, e in definitiva il demonio (Baal).
    Dio però non intende abbandonare il suo popolo all’abominio dell’idolatria e del tradimento dell’Alleanza. Per questo provvede a inviare un vero profeta che si opponga ai falsi profeti. Dio stesso, che è autore principale della Scrittura, assicura che Geremia è un vero profeta, uno che Egli ha veramente “consacrato e inviato” e che ha il carisma per parlare veracemente in nome di Dio. 

    Come non applicare questa pagina biblica, così drammatica, alla situazione attuale della Chiesa? Come non tentare, alla luce della rivelazione divina, una “lettura” dei “segni dei tempi”?  La Parola di Dio è sempre attuale e sempre pertinente alla nostra vocazione personale e alla situazione sociale, ecclesiale, nella quale Dio vuole che viviamo e operiamo per la nostra e per l’altrui salvezza. Questo è il motivo per cui mi vedo costretto (a malincuore davvero!) a mettere in guardia di nuovo i miei fratelli nella fede (che non consiste in opinioni soggettive e arbitrarie, ma è sempre e soltanto “la fede della Chiesa”) da taluni cattivi maestri e falsi profeti che operano all’interno della Chiesa per snaturarla e privarla della sua funzione essenziale, che è la trasmissione integra e fedele della dottrina degli Apostoli e il conferimento della grazia sacramentale. 

    L’attualità mediatica mi costringe e riprendere il discorso sul più noto di questi cattivi maestri e falsi profeti, Enzo Bianchi. Vatican Insider dava ampio risalto il 23 luglio alle sue dichiarazioni (clicca qui) in seguito alla nomina come “consultore” di un organismo pastorale della Santa Sede. Bianchi si lascia andare al più ridicolo trionfalismo, dicendo che papa Bergoglio, dopo averlo ricevuto tre volte, ha deciso di dargli una specie di approvazione ufficiale delle sue opinioni sul papato e sull’ecumenismo. 

    Se si fosse limitato a vantarsi di avere un rapporto privilegiato con il Papa (quello attuale, perché con i predecessori è sempre stato assai polemico), avrebbe solo manifestato troppa vanità, che è una delle tante miserie umane dalle quali siamo tutti afflitti, in maggiore o minor grado. Ma Bianchi non si limita a vantarsi del suo presunto trionfo personale: si spinge oltre, fino a farsi interprete ufficiale del Papa e ad annunciare un programma rivoluzionario, che – guarda caso – è proprio il suo programma di “riforma” della Chiesa, quello che va sostenendo con i libri e le conferenze da decenni. 

    Il programma però non può essere attribuito al Papa, per due ragioni: innanzitutto, perché si tratta di iniziative rivoluzionarie che sarebbero in contrasto con l’intera Tradizione cattolica e persino con la dottrina ecclesiologica del Vaticano II; e poi perché nessuno che abbia rispetto e amore filiale per il Santo Padre si può permettere di “rivelare” alla stampa improbabili progetti pastorali tuttora mai enunciati ufficialmente, in documenti di magistero ordinario, dal Papa stesso.

    In effetti, il ben noto (direi famigerato) programma rivoluzionario di Bianchi è una sistematica richiesta di misure “pastorali” che, con il pretesto dell’ecumenismo, mirano a concedere ai protestanti e agli ortodossi tutta la ragione nella loro secolare polemica contro la Chiesa cattolica. 

    Lutero voleva abolire il magistero ecclesiastico e basare la fede cristiana nella sola Scrittura interpretata con il “libero esame”? Ecco allora che Bianchi si fa capofila dei cattivi teologi che operano per una de-dogmatizzazione della Chiesa cattolica, ossia per la sostituzione della dottrina della fede (sancita dal Magistero) con una esegesi biblica frammentaria e arbitraria. Dopo di che, la pastorale, sganciata dal dogma, resta condizionata da motivi contingenti di convenienza socio-politica (il cosiddetto “annuncio del Vangelo all’uomo di oggi” è in realtà volontario asservimento a quella parte dell’opinione pubblica che sostiene il progetto riformatore, e non certo per amore della Chiesa). 

    I protestanti vogliono abolire tutti i sacramenti, ad eccezione del Battesimo? Ecco che Bianchi giustifica e incoraggia la prassi sempre più diffusa di eliminare la pratica della Confessione e la trasformazione della Santa Messa (basata sul dogma della Transustanziazione quindi sulla “presenza reale” di Cristo che si immola per la redenzione del mondo) in una “cena del Signore”, in una mera riunione di cristiani che celebrano la “memoria” di un evento che si perde nelle nebbie del mito. I protestanti vogliono abolire il culto dei santi e della Madonna? Ecco che Bianchi ignora la dignità altissima di Colei che il Concilio di Efeso (che Bianchi dovrebbe conoscere, visto che parla tanto dell’annuncio cristiano nei primi secoli) definisce dogmaticamente come la “Madre di Dio”, e che anche il Vaticano II, nel capitolo ottavo della Lumen gentium, si limita a parlarne, ove necessario, come “la nostra sorella”. 

    Quanto ai santi, nel calendario liturgico della comunità di Bose si registrano indistintamente – come si legge nella presentazione - «le festività e le memorie dei santi delle chiese cattolica, ortodossa, anglicana, le festività e i sabati ebraici, il calendario liturgico del monastero di Bose. È una possibilità in più per accostarsi alle tradizioni delle chiese cristiane e alla fede del popolo di Israele. Per estendere questa memoria anche agli uomini di altre fedi religiose, abbiamo voluto aggiungere una tavola con le date delle principali ricorrenze islamiche e buddhiste». E così il culto cattolico dei santi (con la dottrina dogmatica circa la loro unione con Dio nella gloria del Cielo e la loro intercessione per noi che siamo ancora viatores) lascia il posto a mere commemorazioni di uomini illustri e anche a eretici e persecutori della Chiesa. 

    Insomma, la “riforma” che Bianchi ha sempre auspicato e che ora (secondo lui) papa Francesco sarebbe intenzionato ad attuare in tempi brevi, sarebbe, nei punti più qualificanti, la riforma stessa di Lutero!

    Non molto diversa la strategia riformatrice adottata da Bianchi nei confronti degli ortodossi, sempre in nome di quello che egli definisce «dovere ecumenico». Gli ortodossi hanno in comune con i cattolici tutti i dogmi (eccetto quello sull’infallibilità del Papa, sancito nel 1870 dal Vaticano I) e tutti sacramenti, e pertanto sono divisi dai cattolici solo per il secolare rifiuto di accettare il primato di Pietro, ossia la funzione del papa come Pastore della Chiesa universale. 

    Il primato del Papa è non solo di “onore” ma anche di “giurisdizione”, a garanzia dell’unità della Chiesa e dello sviluppo omogeneo del dogma. Gli ortodossi riconoscerebbero anche un certo primato d’onore del vescovo di Roma ma non la sua effettiva giurisdizione universale e immediata su tutta la Chiesa. Bianchi allora che cosa fa? Propone (e attribuisce a papa Francesco) una radicale «riforma del papato», in nome di una “sinodalità” che darebbe potere deliberativo a tutti i vescovi del mondo, tramite i loro rappresentanti, su tutte le materie che ora sono di competenza del solo vescovo di Roma. 

    E lancia uno slogan privo di reale contenuto: «Non c’è primato senza sinodalità, e non c’è sinodalità senza primato!». Dico che è uno slogan privo di contenuto reale, perché la “sinodalità” che Bianchi auspica (e che assicura sia intenzione di questo Papa attuare presto come elemento centrale di una «riforma del papato») sarebbe una novità solo se andasse oltre la prassi attuale di consultazione dei vescovi (prassi che si rifà alle disposizioni di Paolo VI subito dopo il Concilio). Ma in tal caso la Chiesa cattolica adotterebbe la medesima “sinodalità” delle “chiese autocefale” dell’Ortodossia, le quali accettano solo disposizioni pastorali e disciplinari decise in comune tra loro nei sinodi di ciascun patriarcato. Del primato di Pietro, inteso come giurisdizione universale e immediata del Papa su tutta la Chiesa, non resterebbe nulla. Anche qui, come nel caso dei protestanti, il progetto ecumenico di Bianchi (che si ispira alle teorie materialmente eretiche di Hans Küng) consiste in definitiva nel dare ragione ai “fratelli separati” e torto alla Tradizione dogmatica della Chiesa cattolica. 

    In entrambi i casi, attribuire a un Papa l’intenzione di abrogare il papato e, così facendo, contraddire i dogmi della fede cattolica (non uno, ma tutti insieme) è qualcosa che difficilmente si concilia con il “senso della fede”, e prima ancora con il buon senso. Bianchi è talmente proiettato verso la “Chiesa del futuro” che non teme di profetizzare, da falso profeta qual è, l’autodemolizione della Chiesa cattolica  ad opera di chi – per volontà di Cristo stesso - ha la missione e la grazia di garantire in ogni tempo e contro ogni attentato la sua indefettibilità. 





    [Modificato da Caterina63 26/07/2014 12:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 19/08/2014 12:54
     una curiosità..............




    UNA CARMELITANA INGLESE DI ORIGINE POLACCA DICE DI AVER PARLATO CON LA MADONNA. E SCRIVE UN LIBRO SULLA RIVELAZIONE

    golpe in Vaticano: il segreto di Fatima secondo sorella Marie

    suor Sofia Marie Gabriel sostiene che la chiesa cattolica si spacchera' per una ribellione dei cardinali... profezia del 1993 pubblicato su il Corriere nel 1993, in tempi non sospetti....

     

     

     Una carmelitana inglese di origine polacca dice di aver parlato con la Madonna. 
    E scrive un libro sulla rivelazione 

    TITOLO: Golpe in Vaticano: il segreto di Fatima secondo sorella Marie - - - -  - - - - - - - - - - - - - 
    DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA . 

    Alcuni giornali inglesi sono usciti con pagine di pubblicita' dedicate al terzo segreto di Fatima, la rivelazione mancante nel colloquio che la Vergine Maria intrattenne con tre bambini in Portogallo nel 1917.
    E' stata la stessa Vergine a svelare il contenuto del segre to custodito in Vaticano per tanti anni e ha scelto, fra i milioni di pretendenti alla sua attenzione, Sofia Marie Gabriel, una suora laica dell' ordine delle carmelitane. Costei si e' affrettata a scrivere un libro sui suoi rapporti speciali con la Madre di Cristo intitolandolo "Visioni soprannaturali della Madonna". Nella pubblicita' , scritta in neretto e a caratteri cubitali, si anticipa il contenuto del terzo segreto di Fatima che si sintetizza in tre parole: "Due Papi rivali". 
    Sorella Marie, polacca di origine ma trapiantata in Gran Bretagna dall' eta' di sei anni, avverte il suo connazionale Karol Wojtyla (che dovrebbe esserne gia' al corrente) dell' immenso pericolo sovrastante. La Chiesa cattolica, avrebbe confidato la Madonna, si spacchera' in due quando, approfittando di uno dei tanti viaggi del Papa, alcuni cardinali si ribelleranno e indiranno un conclave per scegliere un antipapa. 

    Il golpe in Vaticano, che risultera' un vero e proprio scisma, sara' giustificato dai ribelli con le cattive condizioni di salute del Sommo Pontefice. Un buon numero di cardinali crederanno sinceramente nell' incapacita' fisica del Papa polacco a governare la Chiesa in un periodo dominato da una grande controversia. Su questa ragione di dissidio saggiamente sorella Marie glissa, rimandando alla lettura del suo libro, di prossima pubblicazione. 

    La salute dell' attuale Papa, comunque, sara' piu' che altro una scusa per lo scisma, dato che alcune decisioni del Vaticano, nel corso di questo decennio di fine secolo, avranno fornito ragione seria di malcontento. 
    Giovanni Paolo II sara' forse costretto a lasciare Roma e a recarsi in esilio in un altro Paese. Non e' specificato se trovera' rifugio nel palazzo dei Papi ad Avignone. Secondo la visionaria polacca molti governi saranno in dubbio se continuare a riconoscere Wojtyla o l' antipapa. 
    Alcuni riconosceranno quest' ultimo ma la maggioranza dei Paesi continuera' a intrattenere rapporti con Giovanni Paolo II. Non si potra' evitare pero' un periodo di enor me confusione e di pe ricolo nella Chiesa. La visionaria afferma che la Madonna e' venuta allo scoperto perche' il Vaticano non ha rivelato il terzo segreto di Fatima. 

    E' necessario, invece, essere al corrente del futuro golpe in Santa Sede cosicche' i fedeli cattolici possano cominciare a pregare e a chiedere lumi alla divinita' . Sorella Marie non e' mai stata in Vaticano, dove e' custodito il misterioso documento sui tre segreti di Fatima, non ha mai parlato con i cardinali che ne sono al corrente, non ha mai incontrato suor Lucia che ha stilato il documento. La rivelazione, ci tiene a precisare, e' avvenuta su diretto intervento della Vergine. I primi due segreti riguardavano la diffusione del comunismo e le punizioni nel caso che le nazioni non fossero riuscite a estirpare il male e il vizio dalla faccia della terra. 
    Nella pubblicita' , pagata ai giornali dalla Ave Maria Society, un gruppo cattolico privato, sorella Marie viene presentata come una esperta di teologia. A quanto pare oltre che visionaria e' anche profetessa poiche' ha predetto, alla vigilia del lancio della sua opera: "Il mondo intero sara' la mia scuola e io saro' la maestra grazie al mio libro". M. V.

     

    Pagina 11(19 febbraio 1993) - Corriere della Sera

     
     
     
     
      e il 14 febbraio 1993, la notizia usciva così sul giornale:
    mistica inglese svela il 3° segreto di Fatima. " due Papi rivali "

    la donna, che si fa chiamare sorella maria, afferma che il messaggio le e' stato rivelato dalla madonna 12 anni fa. si tratta di anticipazioni da un libro della donna di imminente pubblicazione

     

     

     TITOLO: Mistica inglese svela il 3 segreto di Fatima "Due Papi rivali" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - LONDRA . (r.e.) Due Papi rivali. 
    Questo sarebbe il famoso "terzo segreto" di Fatima secondo quanto scrive il "Sunday Telegraph", anticipando alcuni brani di un libro di imminente pubblicazione, scritto da una mistica britannica che asserisce di aver visto la Madonna. La donna, che si fa chiamare "sorella Maria" afferma che il messaggio le e' stato rivelato dalla Madonna 12 anni fa.

    "Mi ha detto tre semplici parole . scrive la donna nel libro che gia' prima di uscire ha ricevuto prenotazioni per oltre 60 milioni di lire . che lasciano prevedere una grave crisi di fede nella Chiesa cattolica a proposito del Papato. In questo decennio la Chiesa si dividera' in due fazioni rivali. I cardinali ribelli eleggeranno un Papa rivale e il vero Papa potrebbe essere costretto all' esilio in un Paese straniero".

     

    Pagina 11
    (14 febbraio 1993) - Corriere della Sera




     


    VENERDÌ 22 AGOSTO 2014

    Circa le dimissioni di Benedetto XVI

     
    Premetto che considero valide le dimissioni di Benedetto XVI. Quello che sto per raccontarvi me lo ha riferito una mia cara amica, la quale mi ha dato il permesso di pubblicare la notizia a condizione di non svelare il suo nome.
     
    Nel monastero di clausura in cui viveva venivano spesso dei preti modernisti a fare propaganda per “aggiornare” le suore. Uno di questi chiese alle religiose di pregare affinché Benedetto XVI rassegnasse le dimissioni. Successivamente, la mia amica, celando le sue simpatie filo-tradizionali, riuscì ad entrare in maggiore confidenza con quel prete (un autorevole esponente del movimento modernista), il quale le confidò che stavano raccogliendo migliaia di firme tra il clero e le religiose per spingere Papa Ratzinger a dimettersi. Ella allora gli chiese che cosa sarebbe accaduto se il Sommo Pontefice avesse rifiutato di dimettersi, e il prete modernista le rispose che il Papa era già stato informato che se non si fosse dimesso avrebbero fondato una nuova Chiesa separata da Roma. Non sarebbe stata una “piccola Chiesa”, infatti secondo quanto risultava a lui, erano numerosi gli ecclesiastici pronti ad aderire alla nuova Chiesa modernista. Inoltre, il presbitero cripto-scismatico ci ha tenuto a sottolineare che avevano già ottenuto l'appoggio preventivo di coloro che controllano i mass-media, i quali avrebbero dovuto sostenere sui mezzi di informazione la nuova Chiesa. 
     
    Qualche tempo dopo (l'11 febbraio 2013), Benedetto XVI si dimise davvero. La mia amica mi ha rivelato molti altri dettagli che per diversi motivi ritengo prudente non pubblicare.
     
    A questo punto molti di voi potrebbero pensare che visto che le cose sono andate così, allora le dimissione di Papa Ratzinger sono state invalide, perché per essere valide era necessario che fossero libere, spontanee, senza alcun tipo di costrizione. Ma io non posso pensare che Benedetto XVI abbia potuto commettere una colpa così grave, e cioè di rassegnare delle finte dimissioni e di consegnare così la Chiesa nelle mani di un finto Papa (chiunque fosse stato eletto nel successivo conclave).
     
    Dunque, secondo me, Benedetto XVI, vistosi assediato da una marea di congiurati pronti allo scisma, essendo ormai molto anziano (quasi ottantaseienne) e sentendo di non avere più le forze necessarie per governare efficacemente la Chiesa e contrastare l'opera dei modernisti, ha preferito abdicare.
     
    Pertanto, non si è dimesso perché è stato ricattato (altrimenti le dimissioni sarebbero state invalide), ma perché a causa dell'età non sentiva di avere le forze fisiche e spirituali necessarie per contrastare il movimento modernista.





    [Modificato da Caterina63 22/08/2014 11:31]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/08/2014 23:00


    di Padre Ariel S. Levi di Gualdo

    .

    Inzztsptrs uno dei miei colloqui privati con un insigne membro della nostra “Riserva Indiana” [qui], il mio confratello anziano Antonio Livi, più volte ho affrontato temi di carattere dogmatico, storico ed ecclesiologico legati alla figura del Romano Pontefice nella sua duplice veste di dottore privato e di supremo maestro e custode del deposito della fede e della dottrina cattolica. Tema più volte ripreso con un altro confratello anziano ed altrettanto insigne filosofo e teologo, il domenicano Giovanni Cavalcoli, anch’esso punta di diamante della nostra  “Riserva Indiana”.

    Un anno fa espressi ad entrambi questi confratelli una paura manifestata all’epoca solo ad alcuni intimi. A dire il vero, più che manifestarla la sussurrai a bassa voce: «Stiamo forse correndo il rischio di ritrovarci entro breve con due pontefici cosiddetti “emeriti” ed un terzo pontefice eletto?». Qualche amico sorrise, qualcuno mi domandò se per caso si trattava di una delle mie provocazioni attraverso l’uso del paradosso o dell’iperbole, mentre i due confratelli anziani, affinati da decenni di studi filosofici e teologici, oltre che dalla continua dedizione ai ministeri pastorali tramite i quali hanno sempre difeso quella sana e solida fede che oggi pare caduta quasi nell’oblio, ascoltarono con attenzione senza rispondere sul momento, tanto pesante era la portata di quella mia perplessità; ciò che poi mi risposero appresso, non interessa queste righe.

    (.......)

    Da oltre un anno a questa parte aleggia però una pericolosa confusione nella comunità dei credenti che formano il corpo vivo della Chiesa, fomentata ad arte da pensatori, intellettuali e giornalisti principalmente non credenti; a partire ovviamente da Eugenio Scalfari che va e viene dalla Domus Sanctae Martae [quiqui], dove invece non sono riusciti ad accedere, o dove non sono stati invece ricevuti vescovi di diocesi sparse per il mondo costretti a far fronte a situazioni gravissime o persino a sanguinarie persecuzioni inflitte ai fedeli delle loro Chiese locali, demandati per le loro gravi questioni alla Segreteria di Stato od a qualche dicastero della Santa Sede. La domanda è quindi di rigore: quand’è che il Romano Pontefice è infallibile e quando, pur non entrando in causa il dogma e l’istituto della infallibilità, ciò che il Santo Padre ha sancito e stabilito anche attraverso un semplice discorso pubblico — cui di prassi è però sempre seguito un documento chiaro e dettagliato — può essere ed è dottrina vincolante?

    Nel corso di questi ultimi tempi ho bruciato tempo, energie e parole, anche se alla prova dei fatti risultate purtroppo inutili, per spiegare a certi cattolici che dalle file ideologiche della vecchia sinistra radicale sono tornati alla Chiesa dopo il crollo del Muro di Berlino come inconsolabili orfanelli assetati più che mai di ideologia, che avere con la figura del Romano Pontefice, chiunque esso sia, un approccio chiuso come si trattasse dell’intoccabile mito di Che Guevara o di Mao Tse-Tung, oltre a non essere sano sul piano squisitamente umano non è proprio cattolico, perché un simile atteggiamento crea conflitto col presupposto di quella libertà dei figli di Dio che partendo dal Giardino di Eden trova la propria sintesi nella parola dell’Apostolo che ammonisce: «La verità vi farà liberi» [Gv 8, 32]. E per giungere alla verità occorre la libertà, allo stesso modo in cui, viceversa, per giungere alla Verità è necessario uno spirito di libertà. E per essere liberi nella fede bisogna essere liberi dalle ideologie, perché da sempre, l’ideologia, è il veleno mortifero della fede.

    Nessuno, come invece riescono a fare ex comunistelli e comunistelle approdati alla “fede” cattolica con quello spirito ideologico che li ha portati dal culto del vecchio idolo del Che Guevara alla papolatria dura e pura, riesce a seminare danni, sino a rivendicare il diritto a vivere nello sprezzo di quella libertà di cui esigono privare anche gli altri, ed il tutto, niente meno, in nome di Cristo Dio. Insomma: una vera e propria bestemmia.

    Questi soggetti che hanno cambiata solo banda ma non musica e che mai sono stati sfiorati dal mistero della grazia, si sono semplicemente limitati a cambiare bandiera, per avere una nuova tribuna dalla quale sproloquiare, una nuova piazza sulla quale urlare, un nuovo idolo da adorare in modo sempre aggressivo e coercitivo, attaccando sempre e di prassi le persone, incapaci come sono a rispettare le persone e ad attaccare solo le loro idee, visto che il male espresso e mal compreso «chi sono io per giudicare» [quiqui], come scrissi tempo fa vuol dire questo: «Chi sono io per giudicare la profonda coscienza dell’uomo che Dio solo può leggere e giudicare?» [qui].

    E con la Chiesa ed il papato hanno oggi lo stesso approccio chiuso che i giovani militanti della vecchia sinistra radicale avevano con certe figure assurte a simboli intoccabili. Per non parlare dei danni che costoro possono fare all’interno del mondo ecclesiale quando i vescovi decidono di salvare dalla disoccupazione piccoli eserciti di mediocri incapaci a trovarsi od a crearsi un impiego, abilitandoli come insegnanti di religione nelle scuole statali.

    O quando molti parroci, sempre così impegnati in non meglio precisate attività pastorali, delegano a questi personaggi l’organizzazione e la gestione del catechismo per la formazione dei nostri fanciulli e dei nostri giovani; cose alle quali dovrebbero provvedere quanto più possibile e finché possibile i presbiteri, non l’esercito sempre più fitto di pie donne che giocano alle pretesse. Ma d’altronde questo è il dramma ecclesiale e pastorale odierno: molti parroci sono capaci a dare la chiave del tabernacolo anche alle peggiori delle zitelle inacidite che finiscono spesso col sentirsi persino padrone del Santissimo Sacramento, ma a nessuno darebbero mai le chiavi della intoccabile cassa dove conservano i loro preziosi e amati quattrini. E chi vuole prova concreta di quanto ho appena affermato, si metta a girare per le parrocchie e faccia il conto di quanto alto è il numero di sacerdoti che anteponendo la scusa di estenuanti impegni pastorali — ripeto: tutti da verificare — non hanno tempo per insegnare il catechismo ai fanciulli ed agli adolescenti, non hanno tempo per visitare gli infermi e per portare loro la Santissima Eucaristia, delegando al tutto le immancabili “pie donne”.

    Con le migliori intenzioni e con l’uso di tutte le mie modeste capacità, ci ho provato a far ragionare questi papolatri che vedono in Jorge Mario Bergoglio un surrogato ideale del Che Guevara e di Mao Tse-Tung, per non parlare di un vero e proprio sostituto di Nostro Signore Gesù Cristo, anziché vedere e venerare in lui il mistero della Chiesa edificata su Pietro.

    Dialogando con questi soggetti, ho però finito sempre col rimbalzare su un muro di gomma, non di rado sentendomi persino improvvisare per risposta delle lezioni di teologia e di ecclesiologia da persone mosse da ostinata alterigia che nei fatti concreti non conoscono bene ed a fondo neppure il Catechismo della Chiesa Cattolica, presumendo pur malgrado non solo di sapere, ma di correggere col palese errore chi i misteri della fede li serve, li realizza per grazia di Dio e quindi li conosce un po’ meglio di loro, non altro per … dovere d’ufficio sacramentale.

    La comunità ecclesiale ha bisogno da sempre della preziosa opera di quei laici e di quelle laiche ai quali si richiede anzitutto la consapevolezza del proprio essere e la capacità di saper stare sempre al loro posto all’interno della Chiesa. O come disse ad una “pia donna” un mio giovane confratello quando nel corso dell’estate si trovò a sostituire in due parrocchie un parroco che era andato un po’ in vacanza: «Mi dia immediatamente la chiave del tabernacolo; e se proprio vuole fare un servizio utile, tenga presente che i paramenti sacri sono maleodoranti, i camici ingialliti ed il pavimento della chiesa sporco. E non si azzardi a dire che io sono un prete maschilista, perché non intendo affatto pulire io la chiesa mentre lei è illecitamente impegnata a custodire ed a gestire la Santissima Eucaristia». Quando questo confratello mi narrò il fatto risposi: «Hai fatto bene, perché certe inopportune e invadenti beghine sarebbero capaci a mettere la ramazza in mano al vescovo per usare loro al posto suo il bastone pastorale».

    Parlando a tu per tu di questioni dogmatiche col confratello Giovanni Cavalcoli in una pausa durante l’ultimo convegno promosso dall’Associazione Internazionale Tomas Tyn [qui], affermai: «Tu che sei un sacerdote e un teologo anziano correggimi se sbaglio: L’infallibilità risiede nella grazia legata all’istituto di cui il Romano Pontefice si avvale. O per meglio intendersi: non è infallibile la persona in sé e di per sé, ma ciò che la persona-istituzione esprime in materia di dottrina e di fede, per ciò che la persona-istituzione rappresenta per mandato divino ricevuto e non certo per ciò che la persona umanamente è.

    Questo è l’elemento teologico che sfugge purtroppo ai papolatri ideologici o mediatici dei nostri giorni. E non credo che affermare questo sia un giocare a questioni di lana caprina, perché l’uomo, come Pietro dimostra e come i Vangeli ci narrano, può essere anche debole, fragile e inadeguato; sulla scia emotiva può atteggiarsi anche a leone, ma al primo odore di pericolo tirare fuori il pelo del coniglio e fuggire spaventato di fronte al pericolo affermando “Non conosco costui” [Mt 26,69-75], od affermando in modo diverso: “Sono vecchio e stanco e non ce la faccio più”. Eppure, al di là di tutto questo, l’ufficio ch’egli ricopre è edificato su un mistero di fede, su un dogma fondante della Chiesa per la quale Pietro e tutti i suoi successori hanno ricevuto le chiavi del Regno assieme al potere di legare e di sciogliere [Mt 16:14-18], ed all’occorrenza, nell’adempimento del loro ufficio apostolico i pontefici — tutti, inclusi i peggiori che la storia della Chiesa abbia avuto — saranno assistiti dalla potenza dello Spirito Santo, che per loro tramite parlerà e guiderà la Chiesa, sempre. Questo è il vero dogma di fede della infallibilità, tutto il resto è solamente idolatria da parte di persone più o meno cattoliche, più o meno in buona fede, più o meno ignoranti in materia di dottrina, ma che con rara prepotenza osano spesso imporre le loro idee opinabili come se fossero le vere, autentiche e sole dottrine della Chiesa, in massimo sprezzo e violazione alle leggi della Chiesa stessa» [C.I.C. can. 227, vedere qui].

    Personalmente marcio per Cristo e se per Cristo devo all’occorrenza combattere lo faccio con la certezza di fede che «Εν τούτῳ νίκα, in hoc signo vinces». E alla testa di ogni “battaglia” c’è la suprema guida di Pietro, che è segno vivente e pietra viva sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa; e ciò fino a quando Pietro veste i suoi panni di guida suprema e di supremo pastore della Chiesa universale, non certo quando Simone si esprime ed esterna come “dottore privato” o, come si direbbe in altro linguaggio, quando agisce o parla in veste di privato cittadino.

    Sempre parlando di Simone: la libertà concessa ai figli di Dio mi consente di esprimere tutte le dovute perplessità sulle numerose espressioni monche o ambigue attraverso le quali egli seguita ad esprimersi come “libero cittadino” [qui].

    Pertanto, nel più fedele ossequio al deposito della fede, al magistero e alla dottrina cattolica, è del tutto lecito — volendo anche doveroso — sostenere che quanto Simone afferma in sua veste di dottore privato, o per così dire di libero cittadino, non è dottrina vincolante della Chiesa. E ciò non perché lo spiega il filosofo metafisico e teologo Antonio Livi [vedere articolo già richiamato, qui] o perché lo affermo io o chicchessia, ma perché lo dice la dottrina cattolica, con buona pace del fitto e pericoloso esercito di nuovi papolatri emotivi o mediatici che sono usciti dalla propria dimensione di orfani della sinistra radicale scoprendo d’incanto il loro nuovo Che Guevara, il loro nuovo Mao Tse-Tung.

    Vincolante è il magistero, lo sono i documenti del sommo magistero e tutto ciò che Pietro esprime in materia di dottrina e di fede, non certo le interviste a braccio rilasciate a giornalisti più o meno miscredenti, oltre che fieri e orgogliosi di essere tali, sentendosi viepiù legittimati nella propria miscredenza proprio in virtù della amichevole considerazione a loro concessa da Simone.

    Pietro ha sempre parlato attraverso le sue encicliche, le sue locuzioni, le sue omelie, attraverso i vari atti ufficiali del proprio sommo magistero; oggi Simone risponde invece a giornalisti e intervistatori, ad uno dei quali, di recente, ha persino parlato di un nuovo istituto, quello del “papato emerito”, anche se il giornalista non gli aveva chiesto proprio nulla a tal proposito.

    Domanda rivolta al Santo Padre da Johannes Schidelko dell’Agenzia Cattolica tedesca:
    «Grazie. Santità, quale tipo di rapporto c’è tra lei e Benedetto XVI? esiste un abituale scambio di opinioni, di idee, esiste un progetto comune dopo questa enciclica?»

    Risponde il Santo Padre:

    «Ci vediamo … Prima di partire sono andato a trovarlo. Lui, due settimane prima, mi ha inviato uno scritto interessante: mi chiedeva l’opinione … E, abbiamo un rapporto normale perché torno a questa idea: forse non piace a qualche teologo – io non sono teologo – ma penso che il Papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli è il primo emerito, questo. Pensiamo, eh sì, come lui ha detto, “sono invecchiato, non ho le forze” … Ma è stato un bel gesto di nobiltà e anche di umiltà e di coraggio. Ma, io penso: 70 anni fa i vescovi emeriti, anche, erano un’eccezione: non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono una istituzione. Io penso che “Papa emerito” sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca … ma, la salute forse è buona, ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto di Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no. Vediamo. Ma lei potrà dirmi: “E se lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?”. Ma, farei lo stesso, eh? Farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che èistituzionale, non eccezionale. Il nostro rapporto è di fratelli, davvero, ma io ho detto anche che lo sento come avere il nonno a casa per la saggezza: è un uomo con una saggezza, con lenuances, ma, che mi fa bene sentirlo. E, anche, mi incoraggia abbastanza. Questo è il rapporto che abbiamo con lui [testo integrale su Radio Vaticana, qui]».

    Dinanzi a questa risposta sorge di nuovo un quesito: ha parlato Pietro, od ha parlato Simone? Bisogna infatti notare che per quanto l’espressione in questione sia stata pronunciata dal Santo Padre, al momento, per noi cattolici, questo istituto del “Papa emerito” non esiste; e non esisterà sin quanto non sarà sancito con un documento ufficiale, inserito nel codice di diritto canonico e assunto come disciplina vincolante della Chiesa.

    Noi che nel concreto viviamo nel pronto soccorso della «Chiesa ospedale da campo», sappiamo bene quanto sia sempre più alto il numero di sacerdoti sofferenti dinanzi a Simone che a cadenza ciclica comunica a braccio ai giornalisti progetti di decisioni futuribili, o dando loro risposte connesse a delicati e articolati temi legati alla dottrina e al diritto interno della Chiesa, mentre i vescovi per un verso, i presbiteri per altro verso, devono subire l’umiliazione di apprendere il tutto dalle colonne di giornali sostenuti dalle sinistre anticattoliche, abortiste, amoreggianti con l’eutanasia e con l’omosessualismo, o dalle colonne di giornali sostenuti dalle lobby massoniche, come se gli uomini chiamati attraverso i tre gradi del sacro ordine a servire fedelmente la Chiesa ed a collaborare con Pietro fossero solo un inutile fanalino di coda, messo là come accessorio estremo.

    O forse qualcuno pensa che ci si possa davvero avvalere di questo pernicioso esercito di laici non cattolici, di eretici pentecostali, di miscredenti di varia fatta e di figure legate mani e piedi alle logge massoniche, per produrre del bene all’interno della Chiesa e per poi trasmetterlo al mondo attraverso l’opera pastorale della Chiesa? Non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa ha ricevuto dal Verbo di Dio questo preciso mandato: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» [Mc16,15-16, qui]. Chi poi volesse approfondire questo discorso può sempre leggere con attenzione la Dichiarazione Dominus Jesus, molto esaustiva a tal proposito [testo: qui].

    Meno male che sono solo un povero peccatore e un piccolo prete, perché se avessi l’autorevolezza dell’Apostolo Paolo che rimproverò Pietro ad Antiochia [Cf. Gal 2,1-2,7-14, qui, Cf. Catechesi di San Giovanni Paolo II sull’autorità di Pietro, qui], o la santità di San Bernardo di Chiaravalle o di Santa Caterina da Siena, credo che a tal proposito scriverei molto di più, forse persino in termini più severi. È che purtroppo mi mancano del tutto i due presupposti fondamentali e imprescindibili: l’autorevolezza paolina e la santità dei dottori della Chiesa Bernardo e Caterina.

    Dinanzi a tutto questo è pienamente legittimo replicare che non basta un semplice precedente storico, anche se di portata straordinaria, per certi versi anche traumatica come la abdicazione dal sacro soglio di Benedetto XVI, per comunicare tramite un giornalista all’intera orbe chattolica l’esistenza di un istituto avente tra l’altro a che fare con un dogma fondante del mistero della Chiesa: «Tu es Petrus» [cf. Mt 16:14-18].
    O per caso è lecito alzarsi una mattina e dichiarare l’esistenza di un nuovo istituto parlando a braccio in modo amabile con i giornalisti, a partire da quel corrispondente tedesco che tra l’altro, a tal proposito, faccio notare che non aveva domandato proprio alcunché su quello specifico tema? O dobbiamo forse dedurre che basta la prassi per modificare dottrine e leggi che fanno parte della traditio chatolica edificata sulla Rivelazione e sul depositum fidei?

    In questo clima di totale confusione è evidente a chiunque voglia vedere la realtà quanto vi sia una grande ricerca, più o meno sensazionale e spasmodica, di “parole nuove” destinate di prassi a piacere, ma nessuna ricerca, purtroppo, di parole chiare e inequivocabili destinate non sempre a piacere, perché fondate su quei misteri della fede che ci pongono dinanzi alle nostre responsabilità e che ci ricordano in modo deciso che non è possibile servire due padroni [Cf. Lc 16, 13, qui].

    Viene pertanto da chiedersi: e se Benedetto XVI si fosse arrestato lungo la Via Dolorosa, dicendo più o meno di essere troppo anziano e di avere le spalle non idonee per portare la croce perché colpito da artrite reumatoide? Si potrebbe pertanto ipotizzare — sulla scia del precedente inaugurato da Benedetto XVI — che il suo successore tenda a passeggiare alle pendici del Colle Vaticano nell’attesa di familiarizzare con il dato storico del martirio del Principe degli Apostoli [Cf. Clemente di Roma, lettera ai Corinzi, V]; o con l’idea che nella cima di quel Colle c’è quella croce sulla quale Pietro finirà inesorabilmente crocifisso a testa all’ingiù e dinanzi alla quale non sarà possibile dire: «Ho problemi al femore e non posso salire, è bene dunque che lo faccia un altro che abbia le gambe più giovani e sane delle mie, anche perché grazie a Dio, da clericali maliziosi quali siamo, contro la Via Dolorosa e contro la Croce ci siamo inventati l’istituto del “papa emerito” che alla buona occorrenza ci può venire in soccorso!».

    Detto questo ritengo superfluo ribadire la mia devota e filiale obbedienza al regnante pontefice, l’ho già fatto in vari articoli, incluso quello dedicato alla teologia della speranza e al fondamento di fede del ministero petrino [quiquiqui], oltre ad avere pubblicamente richiamato più volte certi cattolici o presunti tali che si sono lasciati andare non a critiche rispettose, legittime e come tali riconosciute e tutelate dalla stessa legge della Chiesa [vedere i già richiamati cann. 218, 386, 2 C.I.C. vedere qui], ma ad aggressioni rivolte al Romano Pontefice in modo spesso insolente e per questo del tutto inaccettabili. E non ribadisco l’ovvio perché a questo punto potrei correre il rischio di dare l’impressione che intendo mettere le mani avanti o porre in qualche modo a riparo me stesso. Mentre in verità non è così: chi conosce me o chi legge quanto scrivo dovrebbe sapere che vivo perennemente allo scoperto, in tutti i sensi, perché lo spirito pavido e omissivo non sono certo due onorevoli capisaldi sui quali edificare e portare avanti il ministero sacerdotale come fosse un qualsiasi “quieto impiego”, o peggio come se fosse un trampolino di lancio per una rispettabile ed a tratti anche ambita carriera [Prete disoccupato, con riferimento alla postfazione, quiqui].

    Le alternative non sono molte: o in questo preciso momento storico Pietro accetta di salire verso la croce in catene coi piedi sanguinanti, oppure, dopo bagni di folla e frasi ad effetto più o meno monche e dai significati più disparati e ambigui, anche questo Pietro potrebbe correre il rischio di finire col dire che l’età, la salute e le forze non gli consentono più di andare avanti. E in un lasso di tempo tutt’altro che lungo la Chiesa di Dio potrebbe ritrovarsi con due pontefici così detti emeriti ed un terzo eletto; e se anche questo terzo non si deciderà a prendere il toro per le corna in modo deciso, forse si potrebbe correre il rischio di finire come l’impero romano nel periodo della sua massima decadenza, quando uno appresso all’altro si susseguivano imperatori, sino al punto che il popolo non conosceva più neppure i loro nomi.

    Tra le evidenze prodotte da quelle apostasie dalla fede non più striscianti ma ormai palesi, che in seno alla Chiesa si sono sviluppate nel corso dell’ultimo mezzo secolo, con gli eretici che ormai perseguitano in modo aperto i figli devoti alla Chiesa e al deposito della fede cattolica, da una parte preghiamo che Simone vesta presto i panni di Pietro, dall’altra che la misericordia di Dio ci salvi attraverso la potenza dello Spirito Santo, oppure che ci conceda la grazia di collassare quanto prima. Una volta che la Chiesa sarà infatti implosa su se stessa e decimata dalla peste di quella apostasia che nei concreti fatti è assai peggiore della grande pestilenza del 1348, potremo lavorare sulle ceneri a ricostruire tutto da capo, come più volte avvenuto nel corso della nostra storia, quando le pestilenze uccidevano solo i corpi, al contrario di quelle odierne che uccidono le anime «come un’onda libera» che le porta via, mentre la voce di Cristo grida sempre più disperata: «Vieni, vieni con me … vieni appresso a me», cadendo sempre più nel nulla, in questo nostro diabolico Andamento Lento … [qui].




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 31/08/2014 14:16


    “... il papa non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all'obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo.... restituire alla verità – che in definitiva è Cristo – il suo primato e il suo splendore". 
    (Benedetto XVI Omelia in Laterano 7 maggio 2005 )

     

    "Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità.

    E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero.
    Di qui errori d’ogni genere, che penetrano negli animi e si infiltrano nelle strutture sociali, tutto sconvolgendo con grave rovina dei singoli e dell’umana convivenza. Eppure Dio ci ha dato una ragione capace di conoscere le verità naturali. Seguendo la ragione seguiamo Dio stesso, che ne è l’autore e insieme legislatore e guida della nostra vita; se invece o per insipienza o per infingardaggine o, peggio, per cattivo animo, deviamo dal retto uso della ragione, con ciò stesso ci allontaniamo dal sommo bene e dalla legge morale.

    Possiamo, certamente, attingere con la ragione le verità naturali, come si è detto; questa conoscenza però - soprattutto per quanto concerne la religione e la morale - non tutti possono facilmente conseguirla, e se la conseguono, ciò spesso avviene non senza mescolanza di errori. 
    Le verità poi che trascendono la capacità naturale della ragione non possiamo in alcun modo raggiungerle senza l’aiuto di una luce soprannaturale. Per questo il Verbo di Dio, che «abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16), per amore e compassione del genere umano, «si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv 1,14), per illuminare «ogni uomo che viene al mondo» (Gv 1,9) e condurre tutti non solo alla pienezza della verità, ma ancora alla virtù e all’eterna beatitudine. 
    Tutti perciò sono tenuti ad abbracciare la dottrina dell’evangelo. Se la si rigetta, vengono messi in pericolo i fondamenti stessi della verità, dell’onestà e della civiltà".
    (San Giovanni XXIII enciclica Ad Petri Cathedram 20 giugno 1959)

     

    Era il 9 ottobre dell’anno scorso, quando il quotidiano Il Foglio pubblicò un lungo articolo, scritto da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, intitolato Questo Papa non ci piace. Si scatenò un vespaio di violentissime critiche ai due autori, ancor prima di leggere il testo, perché si attaccò prima di tutto il titolo, certamente provocatorio.

    È accaduto lo stesso anche lo scorso marzo, quando in concomitanza del primo anniversario dell’elezione di papa Francesco, uscì il libro Questo Papa piace troppo. Un’appassionata lettura critica, che raccoglie gli articoli pubblicati su Il Foglio, scritti dal duo Gnocchi e Palmaro e dal direttore Giuliano Ferrara, dedicati al pontefice regnante.

    Sulla scia delle “appassionate letture critiche”, vogliamo analizzare alcuni fatti attraverso la dimensione più importante del messaggio cristiano-cattolico, che supera e rende quasi inutile la popolarità mediatica: l’annuncio evangelico e la conversione.

    È evidente che il Pontefice regnante piace moltissimo a credenti e atei, tuttavia non si riesce a riscontrare, nel “mare” dei simpatizzanti di papa Francesco, un aumento – come dovrebbe accadere – di conversioni, benché vi sia qualcuno che abbia affermato il contrario.

     

    Riteniamo che non sia colpa del Papa, ma dei mass-media – che propagano una caricatura dall’attuale vescovo di Roma – e della stessa gente, poiché si rifiuta di accettare che il fine di ogni pontefice è convertire a Cristo ai suoi sacramenti, non adattare la Chiesa ai capricci mondani.

     

    Se Papa Francesco, vedendo le folle che lo invocano e l’applaudono, notasse che non c’è quel salto di qualità – il ritorno alla Chiesa – che egli sicuramente auspica e desidera, soffrirebbe enormemente. Una sofferenza che alla gente – quella stessa gente che lo rincorre e lo cita a sproposito secondo i dettami mediatici – non importerebbe affatto.

     

    «Penso che Bergoglio – scrive il giornalista Marcello Veneziani su Il Giornale di pochi mesi fa – abbia triplicato il target: ha conquistato la simpatia pop di quanti amano il personaggio Francesco a prescindere dal messaggio cristiano; poi è benvoluto da laici e atei-chic perché bastona il clero, per usare una sua espressione, e apre al profano. Infine, Francesco piace a quei credenti che lo vedono parlare al cuore delle genti, con semplicità.

    La speranza è che qualcuno delle prime due categorie, strada facendo, scopra la fede e non si fermi alla simpatia verso Bergoglio. Il pericolo, invece, è la delusione dei credenti verso un Papa che umanizza il divino e insegue il presente.

    Francesco non è un eresiarca, finora non ha mai deviato dalla Dottrina e non ha violato la Tradizione; si è tenuto più modestamente al di qua, nella precettistica parrocchiale. Familiarizza con Dio, Gesù e i santi, vede il diavolo in agguato, si presenta come un travet della fede, desacralizza la religione e la rende vicina, comune, a volte banale.

    Tutto sommato è un bene per la Chiesa la svolta di Papa “Simplicio” ma è presto per dire se il Papa abbia riacceso la fede oltre il tifo pop o ateo-chic. La cristianità può accontentarsi di dire, come in un famoso film di Woody Allen, “basta che funzioni”?» (1).

    Facciamo un esempio partendo da un fatto concreto.

    Ha spopolato sui social-networks la foto che ritraeva il Pontefice mentre mangiava alla mensa interna del Vaticano dopo essersi servito da solo.

    Alcuni commenti, su certe pagine di Facebook, non erano solo ridicoli e assurdi, ma addirittura imbarazzati:

    “finalmente un papa come noi (2), sei dolcissimo Bergoglio!

    Grazie, mettetene ancora di queste foto che ritraggono il papa in una sfera quotidiana normale...

    Francesco sei come noi! sei tutti noi!....

    Finalmente è finita l’era dei papi che si fanno servire...”, et similia.

    Il problema non sta nelle esibizioni di giubilo, legittime quanto si vuole, ma nelle affermazioni che sono davvero imbarazzanti.

    Non possiamo non chiederci infatti cosa e come, e in quale posizione dovrà farsi fotografare il futuro Pontefice per ricevere le medesime attenzioni. Sarà fotografato in bagno per sottolineare che egli è davvero “uno di noi”, ossia, ne abbiamo finalmente la prova filmata e documentata? Si dovrà fotografare mentre lava le scale o la macchina, o persino mentre si rifà il letto, per poter dire “e sì, è davvero uno di noi, è come noi”?

    Abbiamo l’età giusta per ricordare cosa fu il ciclone neo eletto Giovanni Paolo II, e a chi non piaceva nei suoi modi, nel suo rompere i protocolli e le routine, nel suo improvvisare? Parlano le foto ed anche molti ricordi personali e televisivi, ma a quanto pare non è bastato, era necessario che un suo Successore facesse dell’altro, in una parola: nulla!

    Perché di nulla stiamo parlando!

    Lo ha detto Papa Francesco nell’intervista sull’aereo che lo riportava dalla Corea:

    «Ma, io cerco di essere libero, no? Ci sono appuntamenti di ufficio, di lavoro, no? Ma poi la vita, per me, è la più normale che possa fare. Davvero, mi piacerebbe potere uscire, ma non si può, non si può … Ma no, no, non è per la precauzione: non si può perché se tu esci, la gente ti viene intorno … e non si può: è una realtà. Ma dentro, io, a Santa Marta faccio una vita normale di lavoro, di riposo, di chiacchiere…».

    È fondamentale spiegarlo: il Papa sta cercando di rimanere se stesso il più possibile, ciò che era stato per quindici anni come arcivescovo di Buenos Aires, quando i giornali ovviamente non si interessavano di lui, quando la gente non lo rincorreva e, come si dice a Roma, nessuno se lo filava.

    Ora che è il romano pontefice sta cercando di fare circa le stesse cose che faceva da cardinale-arcivescovo. Il risultato di tale atteggiamento? Il “normale” diventa l’eccezionale.

    Eppure tutti i Papi – a cominciare dallo stesso S. Pio X – hanno cercato di mantenere le personali caratteristiche, una volta eletti al soglio petrino, ed è colpa dei mass-media se i fatti vengono presentati come un’eccezione solo per l’attuale pontefice.

    Questo Papa, dicevamo, piace, ma non converte.

    A questo punto, alcuni nostri lettori potrebbero porci questa domanda: “Ma chi siete voi per giudicare?”. La domanda sembra incalzare oramai sull’onda emotiva delle frasi estrapolate ed usate come slogan, in certi casi pure come mannaie per censurare la critica. La nostra, invece, non è un giudicare, ma una constatazione di fatto.

    In questo anno e mezzo di grandi e piccole discussioni sui fatti papali, sulla crescente simpatia da parte di laicisti, spesso anticattolici, nulla è cambiato sul piano della conversione; anzi, usano il Pontefice per rimanere tranquillamente nella loro postazione di a-cattolici e persino tranquilli nei propri errori e peccati.

    A tre mesi dall’elezione di Papa Francesco, molti rimasero allibiti e meravigliati che si fosse fatto il primo sondaggio di gradimento. Tre mesi sono pochi, un’assurdità, per fare una diagnosi, eppure fu fatta sbandierando numeri ipotetici (o patetici come è stato) e per nulla veritieri su una sorta di flusso di fedeli verso i confessionali grazie “all’effetto Bergoglio”.

    È proprio il tempo, ulteriormente trascorso, a dare ragione a quanto stiamo sottolineando: la gente non si sta convertendo alla Chiesa, ma sta sperando che la Chiesa cambi, si adegui al mondo moderno, secolarizzato e anticattolico.

     

    La conversione, è bene ribadirlo, non è più una questione di grandi numeri – come accadde al tempo degli Apostoli, oppure quando grandi santi missionari (per esempio San Patrizio e altri) evangelizzavano interi popoli – e sicuramente Papa Francesco è riuscito a far breccia in molti cuori aridi. Purtroppo, molta della sua popolarità, al momento, è fondata non sull’affetto filiale che si deve al successore di Pietro, ma sull’entusiasmo mediatico, dunque facciamo nostra l’osservazione, citata poc’anzi, da Veneziani:

     

    «La speranza è che qualcuno delle prime due categorie, strada facendo, scopra la fede e non si fermi alla simpatia verso Bergoglio. Il pericolo, invece, è la delusione dei credenti verso un Papa che umanizza il divino e insegue il presente».

    Il Signore Gesù, in fondo, piaceva; piaceva soprattutto a coloro che da Lui venivano avvicinati in qualche modo, cioè piaceva a chi si sentiva coinvolto; piaceva quando moltiplicava pani e pesci, quando guariva e sollevava la dignità dell’uomo, ma ciò che non piaceva era quello che diceva.

    Non piaceva, però, quando affermava la verità su se stesso; non piaceva a tal punto che fu questo il principale atto di accusa per condannarlo a morte; e non piaceva quando parlava della legge da osservare, dei comandamenti da applicare; sulla indissolubilità del matrimonio; non piaceva quando parlava di inferno e di demoni, quando parlava di sacrificare la propria vita. E ciò che non piace, si sa, è meglio aggiornarlo, cambiarlo, modificarlo - si legga qui: quello che Gesù avrebbe dovuto dire -.

    Ciò che si riflette di bene o di male, di positivo o negativo sul Pontefice, è sempre quella cartina tornasole che ci fa capire cosa la gente pensa del Cristo: e voi chi dite chi io sia? (3)

    Anche oggi, nella Chiesa, non è che si “odia” il Cristo, al contrario, Egli è conosciuto, ricercato, amato, tuttavia il problema è il seguente: quale immagine del Cristo adoriamo, veneriamo, ricerchiamo ed infine seguiamo? E così si riflette sul Suo Vicario, il Pontefice: quale immagine del Papa preferiamo, veneriamo, ricerchiamo?

    Sembra di udire San Paolo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole (2Tim. 4,3-4)”. I falsi maestri sono, in questo caso, i mass-media.

    La gente rifiuta di ascoltare la verità e preferisce volgersi alle favole che, in questo caso, sono le interpretazioni mediatiche sul Pontefice. È per questo che la gente non si converte. Semplicemente perché non vuole ed usa così i mass-media come maestri, che spesso raccontano “favole” su ciò che il Papa dice e fa, e alla gente in fondo piace, perché non si va a toccare la loro coscienza e tutto può rimanere come è, aggiungendo quelle emozioni che nella vita ci vogliono: incontrare un papa che piace, il papa piacione!

    Ancora una volta, come accadeva in passato, sotto Pio IX, Pio XII ed oggi: riflettiamo sul Papa i nostri sentimenti e perciò cambiamo l’immagine del Papa asservendola alle nostre priorità, al soggettivismo, come è accaduto e avviene oggi con il Cristo.

    Per questo, Cristo, finì però sulla Croce.... per questo da allora si tende non a farsi discepoli del Cristo “vivo e vero” nei Sacramenti della Chiesa, ma di seguire tante immagini del Cristo a seconda delle nostre necessità mentali, emozionali, sentimentali.

    Sempre dall’intervista sull'aereo fu fatta questa domanda al Papa:

    A Rio, quando la folla gridava “Francesco, Francesco”, lei rispondeva “Cristo, Cristo”. Oggi lei come gestisce questa immensa popolarità? Come la vive?

    (risponde il Santo Padre Francesco)

    “Ma, non so come dire … Io la vivo ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice: quello lo faccio davvero, no?, e augurando al popolo di Dio il meglio. La vivo come generosità del popolo, quello è vero. Interiormente, cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli per non credermela, eh?, perché io so che questo durerà poco tempo, due o tre anni, e poi … alla Casa del Padre … E poi – non è saggio che ho detto questo – ma la vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa il vescovo che è il pastore del popolo, per manifestare tante cose. La vivo più naturalmente di prima: prima mi spaventava un po’, ma faccio queste cose, eh? Anche, mi viene in mente: ma, non sbagliare, perché tu non devi fare torto a questo popolo e tutte queste cose, no? Un po’ così …”.

     

    Quando il Papa risponde a braccio, è davvero una sofferenza ascoltarlo, ed è facile fraintendere, ad ogni modo le parole chiave di questa risposta sono le seguenti:

    • ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice;
    • la vivo come generosità del popolo;
    • cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli per non credermela;
    • la vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa il vescovo che è il pastore del popolo, per manifestare tante cose...

    In sé, è impeccabile quel che dice, ma come vengono recepite queste risposte? Come le interpreta la gente? Cosa vuole davvero dal Papa?

    Papa Francesco lo ha spiegato su se stesso: non è teologo, egli si sente più un pastore di anime, non un curatore delle forme, ma un curatore di stili di vita al di la delle forme. Gli interessa solo uno stile, quello del Cristiano. Tale “stile” però comporta, se vogliamo parlare di stile di vita, tutta una serie di dottrine, di Comandamenti, da accogliere e mettere in pratica, altrimenti si resta sull’onda delle emozioni, ci si ferma alla generosità, al fideismo, ci si ferma all’uso di una certa papolatria per manifestare tante cose per poi non cambiare nulla, restare inamovibili nel proprio peccato e nella propria condizione ( su una certa papolatria suggeriamo di leggere questo articolo).

    Si osanna il Papa come si osanna una celebrità, un cantante, un super-eroe, per poi andarsene – alla fine dello spettacolo – riprendendo a vivere nei propri peccati quotidiani.

    Chi ci può confermare che quanto diciamo è vero? I fatti.

    Secondo le statistiche mediatiche, le folle che seguono il Papa sono migliaia; dunque dovremmo avere migliaia di conversioni, ma dove sono queste folle di convertiti? Nelle Messe della domenica non si vedono, nei confessionali qualcosa si muove, ma è negli standard; purtroppo assistiamo invece ad un aumento di questi “piacioni del papa piacione” che usano il Papa per continuare a naufragare nei peccati e per pretendere che la Chiesa cambi le sue dottrine.

    Lo vediamo fra i politici che, dicendosi cattolici-adulti, nonché vantandosi di essere amici di papa Francesco – per esempio l’attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino –continuare tranquillamente, dopo gli abbracci e i baci con il Papa, a remare contro la Legge divina sull’etica e sulla morale. Costoro dovrebbero rammentare che Giuda baciò in una certa drammatica occasione. Si dica lo stesso da parte dei Vescovi e di certi Cardinali i quali pretenderebbero una svolta dottrinale a riguardo della comunione ai divorziati-risposati, e la pretendono dal Pontefice, continuando ad ingannare i fedeli sull'insegnamento vero della Chiesa.

    Una volta, il non cattolico che si definiva “amico del Papa”, si convertiva punto e basta.

    Due rabbini di Roma, dopo aver conosciuto i papi della loro epoca – rispettivamente San Pio V e il venerabile Pio XII – si fecero battezzare. Due amicizie benedette che portarono a Cristo. Eppure oggi pare non sia così. Si vanta la familiarità con papa Francesco per restare “serenamente” peccatori, per continuare – come nel caso dei pentecostali – ad attaccare la Chiesa cattolica proprio nelle sue dottrine, per diffondere la cultura della morte, per attaccare il culto mariano e quello dell'Eucaristia.

    A Gesù non interessavano i numeri, bensì le persone, singolarmente; delle folle “aveva compassione”, non si trattava di pietismo, ma di quella consapevolezza che quelle folle “erano pecore senza pastore”; cioè, avevano bisogno di essere pasturate con-passione, pasturate con il cibo della Parola, con i Comandamenti, con Legge divina.

     

    Senza dubbio, il grande successo degli ultimi Papi sulle folle, ci fa capire che la politica non sa più pasturare adeguatamente queste folle, non sa nutrirle, e la gente lo sa, lo comprende, ha bisogno del Buon Pastore, ha fame di verità, ma questo non basta.

     

    «Se alcune scelte – scrive la giornalista Costanza Miriano – del Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché. Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi.

     

    Quindi: che problema ho io?

     

    È come quando ai miei figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro intima convinzione, perché la filippica  che si beccherebbero li allontanerebbe dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.

    Cosa ci dà fastidio, dunque, e perché? Il problema è il nostro?

    Perché fatico a capire che quando il Papa dice che il bene è una relazione non sta affatto facendo concessioni al relativismo, ma mettendo l’accento sulla carità? Perché dimentico che quando un Papa dice che bisogna obbedire alla coscienza non parla di assecondare pensieri ed emozioni spontanei ma intende certo tendere una mano ai lontani, sapendo che per la nostra dottrina è la coscienza il luogo nel quale “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi” (Catechismo della Chiesa Cattolica, niente di meno), e che la coscienza va sempre rettamente formata?» (4).

    Per Costanza Miriano, dunque, Papa Francesco è un papa che piace e converte.

    Noi lo speriamo e lo auspichiamo, ma purtroppo non vediamo – non ci sono – folle convertite. Ciò che vediamo sono oceani di battezzati che vivono da pagani.

    In linea di principio, condividiamo il suo ragionamento; siamo d’accordo sul fatto che queste folle, un domani – le vie della Provvidenza sono infinite – potranno convertirsi, ma ci sembra che, in verità, siano le folle ad avere l’intenzione di “convertire” il Papa alle loro necessità. In particolare a quelle necessità per “vivere serenamente” il vizio e il peccato. È ovvio che ciò non avverrà. Passerà del tempo, ma arriverà il momento in cui si dovrà seguire il Vicario di Cristo non più nei salotti mediatici, né nelle triplici gite sulla papamobile in piazza San Pietro, ma sul Getsemani, davanti al Pretorio e sul monte Calvario.

    Del resto, il vero discepolo di Cristo, chierico o laico, non può rigettare nessuna delle pagine del Vangelo, nulla vi può aggiungere, ma neppure togliere, figuriamoci un Papa, ed infatti è stato chiaro Papa Francesco nella prima intervista in aereo di ritorno dal Brasile.

    Alla domanda come mai non avesse affrontato con i giovani le questioni etiche e morali, il Papa rispose:

    " non era necessario parlare di questo, bensì delle cose positive che aprono il cammino ai ragazzi. Non è vero? Inoltre, i giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa!"

    Ma - rincalza la giornalista Patricia Zorzan:

    ¿Cuál es la postura de su Santidad, puede hablarnos? [Qual è la posizione di Vostra Santità, ce ne può parlare?]

    Il Papa Francesco risponde:

    "La de la Iglesia. Soy hijo de la Iglesia. [Quella della Chiesa. Sono figlio della Chiesa!]"

    Dunque la posizione del Papa è quella della Chiesa, come mai allora i Media sono convinti del contrario e, con essi, anche molti che si dicono cattolici?

    Così come quando un altra giornalista, sempre di ritorno dal Brasile, gli chiese:

    Vorrei sapere se Lei, da quando è Papa, si sente ancora gesuita …

    e il Papa rispose chiaramente:

    "E’ una domanda teologica, perché i gesuiti fanno voto di obbedire al Papa. Ma se il Papa è gesuita, forse deve far voto di obbedire al Generale dei gesuiti… Non so come si risolve questo … Io mi sento gesuita nella mia spiritualità; nella spiritualità degli Esercizi, la spiritualità, quella che io ho nel cuore. (..)

    Non ho cambiato di spiritualità, no. Francesco, francescano: no. Mi sento gesuita e la penso come gesuita. Non ipocritamente, ma la penso come gesuita."

     

    La Chiesa cambia, perché, glielo si rimprovera, dicono che non è stata fedele alle sue origini. Le si rimprovera tutto, tanto i suoi cambiamenti quanto la sua immutabilità. Occorrerebbe tuttavia scegliere, o piuttosto comprendere.

     

    I cambiamenti della Chiesa sono le evoluzioni e gli adattamenti della vita, non certo alle forme di peccato, ma al progresso legittimo e utile. Per esempio, una volta i libri si scrivevano a mano e lo facevano i monaci, poi è arrivata la stampa e il lavoro è passato dai monaci alle stamperie e poi alle case editrici, ma nessuno pretenderebbe oggi di far tornare i monaci per trascrivere a mano i testi, sarebbe follia. Un altro esempio è l’uso delle candele prima dell’arrivo della corrente elettrica, chi vorrebbe tornare oggi nelle caverne e all’uso del lume della candela?

    Così come molte questioni inerenti al protocollo e all’ufficio papale, questi si sono evoluti nel tempo e continueranno a cambiare. In questo senso ci si evolve e ci si adatta a certi cambiamenti naturali e culturali.

    L’immutabilità della Chiesa invece è la fissità del tipo e delle caratteristiche della vita, ossia che riguarda quello stile di vita inaugurato dal Cristo e che per questo ci diciamo “cristiani”.

    Ricordiamo che:

    «L’intransigenza (dottrinale) della Chiesa è una conseguenza della sua certezza e della necessità del suo insegnamento. Fare delle concessioni sarebbe per lei come abbandonare ciò che non le appartiene, il Bene divino, lo strumento di salvezza degli uomini; sarebbe dunque tradire».

    «Alla domanda: affermare che il Papa è infallibile non significa fare di un uomo Dio?

    Non più di quanto un flauto; quando suona molto bene, non si faccia un virtuoso!

    Il pensiero dogmatico del Papa, nella misura in cui è suo proprio, non ci interessa in alcun modo; per quanto certo, non è questo che fonda la nostra fede. Alcuni Papi hanno scritto volumi di teologia che vengono discussi come gli altri, e che hanno molto minor autorità nella Chiesa che quelli del semplice frate Tommaso d'Aquino. Se è vero che il Papa è un uomo come tutti gli altri, il suo ruolo non è come tutti gli altri. Il “nostro Papa” non è un superuomo (si legga Nietzsche); è un debole mortale che deve essere aiutato.

    Non beneficia di alcun miracolo psicologico. Avendo la Chiesa delle sue proprie definizioni, non è più sicuro di noi; è tenuto, come noi, ad aderirvi come a una cosa che lo oltrepassa e di cui non è altro che lo strumento. Solamente, il Cristo “ha pregato per lui”: questo è sufficiente. Noi crediamo alle promesse di Gesù Cristo, abbiamo questa fede, poste tutte le condizioni della fragilità umana, nella custodia onnipotente. (...)

    L’infallibilità della Chiesa – dunque romano Pontefice – non è altro che la sua vitalità dottrinale custodita, tramandata e manifestata alla sua ora dallo Spirito Santo che risiede in lei, come il vigore del germe è custodito e manifestato dal “genio della specie” in una discendenza vivente. (...)

    Questa dell’infallibilità – si riferisce al riconoscimento al Concilio Vaticano I – è per noi un punto di partenza, perché è il Cristo pienamente manifestato e riconosciuto nella sua rappresentazione temporale. Ecco perché rispondo sempre a quelli che affermano che la Chiesa sta morendo: no, ti sbagli! la Chiesa comincia. Ci sarà sempre la Chiesa, per quanto essa dovesse evolversi, perché solo per Lei, e a Lei, il Cristo ha chiuse le porte della morte, degli inferi; e ci sarà sempre un Papa fino a quando esisterà la Terra, fino al ritorno glorioso del Cristo, che viene sulle “nubi del cielo” e allora il papato morirà, ma come muoiono, all’alba, nel grande irradiamento che ha inizio, le stelle che si accendono per ultime».

    La Chiesa è molto lontana da una contentezza ottimista; non è forse l’eterna “brontolona” che le nostre debolezze fanno sempre disperare, e per la quale anche le nostre debolezze si esasperano? (...)

    Abbiamo dovuto riconoscere che la morale evangelica, messa in opera nella Chiesa e dalla Chiesa nelle società cristiane, è alla base del processo di civilizzazione. (...)

    La Chiesa è perseguitata perché rivendica dei diritti e impone dei doveri. Perché si teme la sua potenza e ci si irrita per le sue pretese. Ogni secolo mette alla prova la Chiesa: ed è per questo che essa esiste; e anche, poiché essa esiste, ogni secolo la conferma, aggiungendo un nuovo ornamento alla sua giovane eternità. (...)

    La notte che scenderà sulla nostra civiltà, se la Chiesa se ne ritira, sarà più oscura di quella da cui la Chiesa l’ha un tempo tratta... La civiltà e la morale sono un prestito che il cristianesimo fa al mondo moderno...

    Se il movimento “laico” avrà il sopravvento, e gli uomini di domani non sapranno riprendersi e fermarsi in tempo, allora sarà  la stessa violenza degli eventi a spalancarci il mondo dello Spirito... La Verità può infatti vincere l’errore concedendogli partita vinta, come un fine politico usa il partito avverso consegnando momentaneamente ad esso il potere. Ma la vittoria finale è del Cristo» (5).

     

    Sia lodato Gesù Cristo.

    Sempre sia lodato.

     

    NOTE

    1) Marcello Veneziani il 13 marzo 2014: Il Papa che funziona ma non basta

    2) per l'affermazione "un papa come noi" vi rimandiamo a questi approfondimenti:

    Vogliono una Chiesa il Cristo e il Papa a propria immagine

    “Bergoglio sì, papato no!”

    Il Papa è uno di noi sì ma non equivochiamo

    3) si legga anche qui: “Voi chi dite che io sia?”

    4) di Costanza Miriano: Francesco, un papa che ci converte

    5) Fr. Antonin Gilbert Sertillanges O.P.

    da Catechismo per i non credenti - 1930 -  ESD 2007

     

    in questa breve galleria, qui, sintetizziamo l'insegnamento del Santo Padre Francesco, quello vero, quello taciuto dai Media, quello che deve davvero portarci alla conversione a Cristo-Amore.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 16/09/2014 12:03

      Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice


    Dal quaderno n 3905 del 2 marzo 2013 de "La Civiltà Cattolica", pp. 445-462. L'autore insegna diritto canonico nella Pontificia Università Gregoriana, di cui è stato rettore e - ricordiamo - ciò che passa per questa rivista è ufficialmente sostenuto dal Pontefice.

    di Gianfranco Ghirlanda S.I.





    Cause della vacanza della Sede Romana


    La vacanza della Sede Romana si ha in caso di cessazione dall’ufficio da parte del Romano Pontefice, che si verifica per quattro ragioni: 1) morte; 2) certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale; 3) notoria apostasia, eresia o scisma; 4) rinuncia.
    Nel primo caso la Sede Apostolica è vacante dal momento della morte del Romano Pontefice; nel secondo e nel terzo dal momento della dichiarazione da parte dei Cardinali; nel quarto dal momento della rinuncia.

    Per quello che riguarda la morte, sono da seguire le procedure stabilite per la sua sepoltura nella Costituzione apostolica "Universi dominici gregis" (Udg), 22 febbraio 1996, nn. 27-32 (1), mentre, prima di soffermarci sul caso della rinuncia, è da accennare qualcosa riguardo a quello della certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale.
    Il c. 333, § 2, afferma che il Romano Pontefice, nell’adempimento del suo ministero (munus) di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi, e anzi con tutta la Chiesa (2).

    Questa affermazione deriva da ciò che è affermato nel c. 330, cioè dalla stretta unione che per volontà del Signore si ha tra il Romano Pontefice e i Vescovi. Tale stretta unione comporta non solo la comunione gerarchica dei Vescovi col Romano Pontefice, ma anche la comunione del Capo col Corpo.

    Il "munus" del Capo è esercitato per il bene di tutta la Chiesa a tutela dell’unità della comunione ecclesiale.

    Il Pontefice rappresenta il Collegio dei Vescovi e la Chiesa nel senso che ha potestà su tutti i Vescovi e su tutta la Chiesa, ma proprio a garanzia e tutela dell’integrità della fede che Cristo ha depositato nella Chiesa per mezzo degli Apostoli, della verità e santità dei sacramenti istituiti da Cristo, della struttura fondamentale della Chiesa stabilita da Cristo e dei doveri e diritti fondamentali di tutti i fedeli, nonché di quelli propri di ogni loro categoria.

    Allora, se il Romano Pontefice non esprimesse quello che già è contenuto nella Chiesa, non sarebbe più in comunione con tutta la Chiesa, e quindi con gli altri Vescovi, successori degli Apostoli. La comunione del Romano Pontefice con la Chiesa e con i Vescovi, secondo il Vaticano I (3), non può essere comprovata dal consenso della Chiesa e dei Vescovi, in quanto non sarebbe più una potestà piena e suprema liberamente esercitata (c. 331; "Nota Explicativa Praevia" 4). Il criterio allora è la tutela della stessa comunione ecclesiale. Lì dove questa non ci fosse più da parte del Papa, egli non avrebbe più alcuna potestà, perché ipso iure decadrebbe dal suo ufficio primaziale. È il caso, ammesso in dottrina, della notoria apostasia, eresia e scisma, nella quale il Romano Pontefice potrebbe cadere, ma come «dottore privato», che non impegna l’assenso dei fedeli, perché per fede nell’infallibilità personale che il Romano Pontefice ha nello svolgimento del suo ufficio, e quindi nell’assistenza dello Spirito Santo, dobbiamo dire che egli non può fare affermazioni eretiche volendo impegnare la sua autorità primaziale, perché, se così facesse, decadrebbe ipso iure dal suo ufficio. Comunque in tali casi, poiché «la prima sede non è giudicata da nessuno» (c. 1404), nessuno potrebbe deporre il Romano Pontefice, ma si avrebbe solo una dichiarazione del fatto, che dovrebbe essere da parte dei Cardinali, almeno di quelli presenti a Roma. Tale eventualità, tuttavia, sebbene prevista in dottrina, viene ritenuta totalmente improbabile per intervento della Divina Provvidenza a favore della Chiesa (4).

    La certezza e la perpetuità della pazzia, come la totalità dell’infermità mentale, devono essere appurate attraverso accurate perizie mediche. La cessazione dall’ufficio primaziale sarebbe solo dichiarata da parte dei Cardinali, almeno di quelli presenti a Roma; quindi anche in questo caso non si avrebbe un atto di deposizione (5).

    Il c. 332, § 2 prevede esplicitamente la rinuncia: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti».

    Poiché per la stessa natura del primato nessuna autorità umana conferma l’elezione del Romano Pontefice, nessuna autorità umana può confermare la rinuncia del Romano Pontefice. La conferma che nel Medioevo dava l’Imperatore, prima quello romano cristiano, poi di Bisanzio, quindi dei Franchi, infine di Germania, non toccava l’essenza dell’elezione e il conferimento della potestà, in quanto l’eletto era già considerato Papa, ma questi non veniva consacrato Vescovo, e quindi non dava inizio solenne al suo Pontificato prima di tale conferma.

    Il c. 332, § 2 richiede per la validità della rinuncia che essa sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata.

    La rinuncia dev’essere libera, perché, secondo il c. 188, la rinuncia a un ufficio per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o per errore sostanziale o con simonia, "ipso iure" è invalida. Il Concilio Ecumenico o il Sinodo dei Vescovi o il Collegio dei Cardinali non possono spingere il Romano Pontefice alla rinuncia: si cadrebbe nel conciliarismo, e la rinuncia sarebbe invalida (6).

    Il c. 332, § 2 dice solo che la rinuncia dev’essere «debitamente» («rite») manifestata. A noi sembra che non si possa pienamente applicare il c. 189, § 1, perché il Romano Pontefice non deve comunicare a nessuno la sua rinuncia, in quanto nessuna autorità umana gli ha conferito l’ufficio. A nostro parere, è sufficiente che la rinuncia sia fatta pubblicamente, almeno davanti a due testimoni, per iscritto o oralmente (c. 189, § 1). Nel caso attuale di rinuncia di Benedetto XVI, essa è stata fatta pubblicamente nel
    Concistoro; quindi, dopo le ore 20 del 28 febbraio è stato convocato il conclave per vacanza della sede apostolica.

    È evidente che il Papa che si è dimesso non è più Papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di Vescovo emerito di Roma, come ogni altro Vescovo diocesano che cessa.


    Governo durante la vacanza della Sede Romana


    Circa il governo della Chiesa universale durante la sede vacante riportiamo quanto di più importante dispone la Udg:

    – viene formata la Congregazione generale dei Cardinali, cioè di tutto il Collegio, presieduta dal Decano del Collegio (7) o dal Sottodecano o dal Cardinale elettore più anziano, in caso di mancanza dell’uno o dell’altro, fino all’inizio dell’elezione (nn. 7; 9); le riunioni di essa, preparatorie all’elezione, si fanno quotidianamente per rendere possibile al Cardinale Camerlengo (8) di sentire il parere del Collegio e dargli le comunicazioni necessarie o opportune e per permettere ai Cardinali di esprimere i loro pareri sui problemi che si presentano, di chiedere spiegazioni su questioni dubbie e di fare proposte (n. 11); nello stesso tempo tutti i Cardinali dovranno prestare giuramento circa l’osservanza della Costituzione apostolica "Universi dominici gregis" e circa il mantenimento del segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo abbia attinenza con l’elezione del Romano Pontefice (n. 12);

    – viene formata una Congregazione particolare, costituita dal Cardinale Camerlengo e da tre Cardinali, detti Assistenti, uno per ciascun ordine, estratti a sorte, che vengono rinnovati ogni tre giorni, sempre attraverso elezione; durante il periodo dell’elezione del Romano Pontefice, le questioni più importanti sono trattate dall’assemblea dei Cardinali elettori, mentre gli affari ordinari vengono trattati da una Congregazione particolare (nn. 7; 8);

    – i Cardinali assumono collegialmente il governo ordinario delle cose che non possono essere differite e di quelle che riguardano l’elezione del nuovo Pontefice (n. 2; cfr n. 6); non hanno alcuna potestà su quegli affari che spettavano al Romano Pontefice finché era nell’ufficio, in quanto sono riservate soltanto al futuro Pontefice, a meno che la stessa Udg non determini diversamente (n. 1; cfr nn. 3-6; 25; c. 359); non possono disporre circa i diritti della Sede Apostolica e della Chiesa Romana (n. 2); non possono correggere o modificare le leggi emanate dal Romano Pontefice, sotto pena di nullità dell’atto (n. 3);

    – il Collegio dei Cardinali è l’unico organo competente per interpretare e decidere a maggioranza assoluta i punti dubbi o controversi circa la Udg (n. 5);

    – tutti i capi e i membri dei Dicasteri della Curia Romana, quindi anche il Cardinale Segretario di Stato, cessano dalla carica; non, invece, il Camerlengo della Chiesa Romana, sul quale incombe la cura e l’amministrazione dei beni e dei diritti temporali della Santa Sede (n. 17), e il Penitenziere maggiore; essi disbrigano gli affari ordinari, proponendo al Collegio dei Cardinali quelli di cui avrebbero dovuto riferire al Romano Pontefice (n. 14) (9);

    – il vicario generale della diocesi di Roma, il Cardinale arciprete della Basilica vaticana e il vicario generale per la Città del Vaticano non cessano dal loro ufficio (n. 14);

    – i segretari dei Dicasteri si occupano del governo ordinario, ma hanno bisogno della conferma del Romano Pontefice entro tre mesi dalla sua elezione (Pb, art. 6);

    – il sostituto della Segreteria di Stato, il segretario per i rapporti con gli Stati e i segretari dei Dicasteri della Curia Romana rimangono nel loro ufficio, ma rispondono dei loro atti al Collegio dei Cardinali (Udg 20);

    – non cessano l’incarico e le relative potestà dei rappresentanti pontifici (n. 21);

    – i Dicasteri non hanno potestà su quegli affari che, sede piena, non avrebbero potuto trattare se non dopo averli sottoposti al Romano Pontefice, oppure in virtù di speciali e straordinarie facoltà, che solitamente lo stesso concede ai capi o ai segretari dei Dicasteri (n. 24);

    – il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e la Rota Romana continuano a trattare i loro affari secondo le leggi proprie (n. 26);

    – per il diritto stesso il Concilio ecumenico viene interrotto, finché il nuovo Pontefice non abbia ordinato di proseguirlo o non l’abbia sciolto, e l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi è sospesa, come l’incarico assegnato in esso ai membri, finché il nuovo Pontefice non abbia deciso o il suo scioglimento o la sua continuazione; dev’essere interrotta qualsiasi riunione, congregazione o sessione, e non dev’essere compilato o preparato alcun decreto o canone, o promulgati quelli già confermati, pena la nullità (n. 34; cc. 340; 347, § 2).


    Elezione del Romano Pontefice


    Il corpo elettorale – Il c. 349 e Udg Introd. e 33 sanciscono che l’elezione del Romano Pontefice spetta unicamente al Collegio dei Cardinali, a norma del diritto particolare. I Cardinali elettori non devono essere più di 120 (Udg 33).

    Dall’elezione sono esclusi i Cardinali che hanno già compiuto, prima del giorno in cui inizia la vacanza della Sede Apostolica, gli ottanta anni di età, ma Udg permette che essi partecipino alle riunioni preparatorie del conclave (Introd.). La disposizione si deve intendere nel senso che, se un Cardinale compie Ottanta anni il giorno stesso della vacanza della Sede Apostolica, ha diritto a partecipare al conclave. Se, invece, gli ottanta anni li compie mentre si svolge il conclave, per quella volta il Cardinale mantiene il diritto di eleggere il Pontefice (Udg 33).

    Subito dopo che un Cardinale è creato e pubblicato nel concistoro, ha il diritto di eleggere il Pontefice, anche se non avesse ancora ricevuto il berretto e l’anello e non avesse pronunciato il giuramento di fedeltà (n. 36).

    Luogo e modo di elezione – L’elezione del Romano Pontefice deve avvenire nel conclave, ma non per la validità dell’elezione stessa (n. 41; Introd.). Dal momento della vacanza della Sede Romana, dovranno essere attesi almeno 15 giorni e al massimo 20 affinché i Cardinali assenti possano giungere a Roma; trascorsi i 20 giorni, i Cardinali presenti procederanno all’elezione (n. 37).

    Per conclave si intendono quei luoghi:

    a) dove i Cardinali eleggono il Romano Pontefice: la Cappella Sistina;

    b) dove essi e gli altri ufficiali, inservienti e conclavisti dimorano giorno e notte fino all’avvenuta elezione, senza contatti con l’esterno: la "Domus Sanctae Marthae";

    c) dove si svolgono le celebrazioni liturgiche: Basilica di San Pietro, Cappella Paolina, Cappella Sistina (Introd.; nn. 41-43).

    Questa è una prima innovazione rispetto alla disciplina precedente, secondo la quale tutte queste attività erano svolte nella Cappella Sistina e nei locali immediatamente adiacenti ad essa, che venivano chiusi per non permettere alcuna comunicazione degli elettori con l’esterno.

    Norme dettagliate sono comunque date circa i membri del conclave, l’ingresso in esso, gli spostamenti dalla "Domus Sanctae Marthae" alla Cappella Sistina, il giuramento di serbare il segreto e il suo oggetto, proibendo ogni tipo di comunicazione con l’esterno ecc. (nn. 44-61).

    Riportiamo qui solo le norme fondamentali circa l’elezione del Romano Pontefice, che in modo particolare danno le garanzie per cui si abbia la certezza morale e legale che essa è stata fatta in modo legittimo. Infatti, «la legittimità dell’elezione del Romano Pontefice» è da tenersi in modo definitivo da parte dei fedeli, perché verità connessa per necessità storica con la rivelazione, anche se non può essere dichiarata come divinamente rivelata (10) . Ciò è importante per togliere nei fedeli qualsiasi dubbio circa la legittimità dell’elezione, a meno che non fosse portato un fatto che anche solo mettesse in dubbio la validità dell’elezione, poiché un Papa dubbio è da considerarsi nullo.

    Abolita l’elezione per acclamazione o ispirazione e per compromesso, unico modo per la liceità e validità dell’elezione è quello per scrutinio (n. 62; Introd.). Norme molto dettagliate vengono date per regolare le procedure di prescrutinio e di scrutinio delle votazioni a tutela della legittimità e validità dell’elezione (nn. 64-70).

    Si richiede la maggioranza dei 2/3 dei voti, computati sulla totalità degli elettori presenti; un suffragio in più è richiesto soltanto se il numero dei Cardinali non può essere diviso in tre parti uguali (n. 62; Introd.).

    Se dopo un certo numero di scrutini non si riesce ad arrivare all’elezione (n. 74), Benedetto XVI, cambiando l’Udg 75, ha stabilito che, dopo un giorno di preghiera e di dialogo tra i Cardinali, avrà luogo il ballottaggio tra i due che nell’ultimo scrutinio hanno ottenuto il maggior numero di voti, i quali non avranno voce attiva, e risulterà eletto colui che ha riportato i 2/3 dei voti (11).

    L’elezione fatta in modo e forma diversi da quelli stabiliti è nulla e invalida senza bisogno di alcuna dichiarazione, e non dà alcun diritto all’eletto (n. 76). In dottrina si afferma che, in caso di dubbio positivo e insolubile circa la legittima elezione, l’eletto si ritiene non avere potestà.

    Incorre nella scomunica "latae sententiae":?
    – chi nell’elezione perpetrasse il delitto di simonia (n. 78);?
    – chi ricevesse da qualsiasi autorità civile l’incarico di proporre in qualsiasi maniera il «veto» o la cosiddetta «esclusiva» (n. 80);

    – chi facesse patteggiamenti, accordi, promesse o prendesse impegni di qualsiasi genere riguardo all’elezione (n. 81).?
    Inoltre, sono da considerare nulle tutte le capitolazioni pattuite, cioè obblighi da adempiere nel caso di elezione al pontificato supremo (n. 82). I Cardinali elettori sono tenuti per giuramento, quindi «graviter onerata ipsorum conscientia», al segreto su tutto ciò che in qualche modo riguarda l’elezione del Romano Pontefice, sia durante sia dopo l’elezione, a meno che non sia stata concessa una speciale ed esplicita facoltà dallo stesso Pontefice (nn. 53; 60; Introd.).


    Accettazione della legittima elezione e consacrazione episcopale


    Disciplina canonica – Approfondire il rapporto tra legittima elezione accettata e consacrazione episcopale, che ci dice qual è l’origine della potestà del Romano Pontefice, è importante per determinare la specificità di essa e la sua perdita nei casi di certa e perpetua pazzia o infermità mentale, di notoria apostasia, eresia o scisma e di rinuncia (12).

    In Udg Introd., con riferimento in nota al c. 332, § 1, viene dichiarato che è dottrina di fede («doctrina est fidei»), quindi di istituzione divina, che la potestà del Sommo Pontefice deriva dallo stesso Cristo. Questo innanzitutto vuol dire che al Romano Pontefice non conferisce la sua suprema potestà personale nessuna autorità umana, né civile né ecclesiastica, come potrebbe essere il Collegio Cardinalizio o un Concilio Ecumenico o un Sinodo dei Vescovi, in quanto il Romano Pontefice è sottoposto solo a Cristo, di cui è Vicario universale e visibile qui in terra.

    Poi si dice che si deve ritenere come dottrina certa («pro certo est habendum») che tale suprema potestà viene attribuita con la legittima elezione accettata dal Romano Pontefice insieme alla consacrazione o ordinazione episcopale. Quindi, si fa una chiara distinzione tra la qualificazione teologica della prima affermazione e quella della seconda: la prima è di fede, perché dipendente dall’istituzione divina; la seconda no.

    Se il testo proponesse che la potestà suprema del Romano Pontefice è conferita dalla consacrazione episcopale, non ci sarebbe bisogno di affermare che è di fede che essa deriva direttamente da Cristo; quindi, secondo la logica dell’affermazione, si deve almeno dedurre che l’intenzione di essa è che l’elezione accettata non abbia la portata di una semplice designazione del nome del Romano Pontefice e indicazione dell’estensione universale della potestà, che, invece, questi avrebbe già ricevuto nella consacrazione episcopale, se fosse già Vescovo, o che riceverà nella consacrazione, se non lo fosse ancora.

    In stretta relazione con quanto sopra è Udg 88, che dice che «actu acquirit et exercere potest» la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale. Quindi, l’eletto l’acquista già in atto, per questo la può esercitare. Invece, senza che venga aggiunto niente riguardo alla potestà, se l’eletto non è Vescovo, dev’essere subito («statim») ordinato Vescovo. Riguardo alla potestà, si può oggettivamente dedurre soltanto che l’eletto deve subito essere ordinato Vescovo per avere la potestà «in atto» e così poterla esercitare.

    Al testo definitivo del c. 332, § 1 Cic 1983 si arrivò dopo la Congregazione Plenaria dei membri della Commissione di riforma del Codice, tenutasi dal 20 al 29 ottobre 1981 (13).

    Come segno di incertezza dottrinale, in sede di Commissione di riforma del Codice, ci fu un’ampia discussione (14). Due erano le linee che dividevano i membri.
    Una prima affermava che basta l’accettazione della legittima elezione affinché l’eletto, sebbene non sia ancora Vescovo, riceva la piena e suprema potestà di giurisdizione. Gli argomenti su cui si insisteva erano che questa dottrina:

    1) è stata sancita dalla tradizione ecclesiastica e proposta da Pio XII (15);

    2) dà ragione del fatto che nel Medioevo non pochi Pontefici hanno compiuto veri e propri atti di suprema giurisdizione prima della loro consacrazione episcopale 16;

    3) è congruente con la dottrina del Vaticano II, che non volle dirimere la questione dell’unità delle funzioni (munera) e della distinzione tra potestà di ordine e potestà di giurisdizione (17), e con l’indirizzo della Commissione Dottrinale nel Vaticano II circa il momento in cui il Romano Pontefice riceve la suprema potestà (18).

    L’altra linea dottrinale presente nella Commissione affermava che l’accettazione dell’elezione non è sufficiente affinché l’eletto ottenga la piena e suprema potestà, ma è necessaria anche la consacrazione episcopale. Gli argomenti portati erano i seguenti:

    1) la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" (Lg) ha abolito la distinzione tra potestà di ordine e potestà di giurisdizione, insegnando l’unità tra consacrazione e giurisdizione, e quindi che la potestà ecclesiastica deriva dalla consacrazione;

    2) in questo modo viene evitata una scissura tra Chiesa carismatica e Chiesa giuridica;

    3) se la consacrazione è richiesta per essere membro del Collegio episcopale, tale requisito "a fortiori" vale per il Capo del Collegio.

    Dopo tale discussione la Commissione giunse a una nuova formulazione del canone (1980), in cui si affermava che il Romano Pontefice "iure divino" ottiene la piena e suprema potestà dall’elezione da lui accettata insieme alla consacrazione (19). Tuttavia, dopo la discussione nella Plenaria del 1981 si arriva così alla formulazione definitiva del c. 332, § 1: «Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l’eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell’accettazione. Che se l’eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo» (20).

    Il canone rimane quindi sul piano puramente disciplinare; infatti non si trovano più le parole «iure divino» e non si dice più che riceve la potestà primaziale dal momento della consacrazione episcopale se l’eletto che accetta non avesse il carattere episcopale, come nella redazione precedente. Queste parole vengono sostituite da quelle che si trovano nella Rpe 88: «Che se l’eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo».

    Sul carattere puramente disciplinare sia del c. 332, § 1, sia di Rpe, sia di Udg, è concorde la maggioranza degli autori; soltanto alcuni sembrano propendere nel senso di una soluzione di carattere dottrinale.

    In conseguenza di quanto stabilito nel n. 88, Udg 89 dispone che i Cardinali elettori prestino atto di ossequio e di obbedienza al neoeletto Sommo Pontefice, siano rese grazie a Dio, il primo dei Cardinali Diaconi annunci al popolo il nome del nuovo Pontefice, il quale, infine dà subito la benedizione Urbi et Orbi.

    Tuttavia si aggiunge espressamente: «Se l’eletto è privo del carattere episcopale, soltanto dopo che sarà stato solennemente ordinato Vescovo gli viene prestato l’omaggio e viene dato l’annuncio».

    Questo lo si disponeva anche in Rpe 89, ma notiamo che viene aggiunto «solennemente» («sollemniter»).

    Ci chiediamo che significato dare a questa aggiunta e se essa non entri in conflitto con quanto è disposto nel n. 88, che l’eletto non Vescovo deve essere «subito» («statim») ordinato Vescovo, il cui senso più ovvio è che la consacrazione episcopale avviene nel conclave stesso. Infatti, solo dopo ciò è dato l’annuncio al popolo e il consacrato dà la benedizione "Urbi et Orbi".

    Dopo la promulgazione della Rpe si era fatto osservare che la consacrazione episcopale del Romano Pontefice, evento di tanta importanza per tutta la Chiesa, non poteva avvenire senza alcuna solennità pubblica. D’altra parte, se l’eletto volesse essere consacrato con solennità e partecipazione di popolo, dopo alcuni giorni dalla sua elezione, chi glielo potrebbe impedire? Questa questione era stata posta nella Plenaria del 1981, senza alcuna obiezione contro (21).

    Allora, se l’aggiunta del «sollemniter» nel n. 89 indica, come sembra essere più ragionevole, una solennità pubblica con partecipazione di popolo, lo «statim» del n. 88 assume il senso che l’eletto dev’essere consacrato «al più presto». Ma, allora, entra in contraddizione con questo il fatto che l’annuncio al popolo è dato dopo la consacrazione.

    Non possiamo che prendere atto della poca chiarezza e scarsa coerenza della Udg su questo punto.

    Riguardo alla conclusione del Conclave, nella Udg 91 si dice: «Il Conclave avrà fine subito dopo che il nuovo Sommo Pontefice eletto abbia dato l’assenso alla sua elezione, a meno che egli disponga diversamente. Fin da quel momento potranno accedere al nuovo Pontefice il Sostituto della Segreteria di Stato, il Segretario per i Rapporti con gli Stati, il Prefetto della Casa Pontificia e chiunque altro debba trattare con il Pontefice eletto di cose che al momento sono necessarie».

    È da notare la rielaborazione di questo testo e una rilevante omissione, rispetto allo stesso numero della Rpe, dove si stabiliva che il conclave si concludeva dopo l’ordinazione dell’eletto che non fosse Vescovo. Questo in ordine agli effetti canonici di cui al n. 56 della stessa Costituzione, cioè agli effetti derivanti dalla chiusura del conclave, riguardanti la comunicazione con i Cardinali elettori e con gli altri conclavisti e l’ingresso di estranei nel conclave. Inoltre, solo dopo la consacrazione potevano accedere al nuovo Pontefice il Sostituto della Segreteria di Stato, il Segretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, il Prefetto della Casa Pontificia e chiunque avesse da trattare con lui affari necessari.

    Udg 91, senza fare alcuna distinzione se il nuovo Pontefice eletto sia Vescovo oppure no, stabilisce in modo assoluto che il conclave si conclude con l’accettazione dell’elezione da parte sua, a meno che, con un vero atto potestativo personale, egli non disponga di procrastinare la fine del conclave. Fin dalla conclusione del conclave, che di fatto dipende solo dalla volontà del nuovo Pontefice eletto, questi, anche se non fosse ancora consacrato Vescovo, può già provvedere agli affari necessari e urgenti che si presentassero prima della sua consacrazione episcopale, esercitando, quindi, una potestà primaziale previamente ricevuta.

    Questo è coerente con il «sollemniter» di cui al n. 89, inteso nel senso di una consacrazione episcopale pubblicamente celebrata con concorso di popolo, e quindi differita di un qualche tempo. In tale tempo, infatti, potrebbe esserci la necessità di trattare gli affari urgenti. Se l’ordinazione fosse fatta immediatamente nel conclave, non ci sarebbe bisogno di trattare subito tali affari necessari, anche prima della consacrazione episcopale.

    Soprattutto questo ci dà ragione dell’importanza del fatto che in Udg 88 si dica che se l’eletto è già Vescovo «actu» acquista e può esercitare la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale. Se non è Vescovo, secondo i nn. 88 e 89 al più presto dev’essere solennemente consacrato, proprio perché la potestà ricevuta sia in atto e quindi egli la possa esercitare. Allora, sul piano disciplinare, in modo generale si stabilisce che la potestà piena e suprema il Romano Pontefice la eserciti solo se attualmente convergono i due elementi dell’accettazione della legittima elezione e della consacrazione episcopale. Tuttavia, secondo il n. 91, tale potestà può essere eccezionalmente esercitata anche se non fosse ancora intervenuta la consacrazione episcopale.

    In questo modo si stabilisce una coerenza tra i nn. 88 e 91, ma rimane l’incongruenza che l’annuncio al popolo viene dato solo dopo la consacrazione episcopale. Dobbiamo dire che questo, però, è un aspetto secondario nella complessità degli elementi implicati nella questione.

    Riflessione dottrinale – Per cercare di venire a una sintesi tra la dottrina tradizionale sancita nei cc. 109 e 219 Cic 1917 e la dottrina del Vaticano II sull’episcopato, dobbiamo partire da una prima considerazione fondamentale.

    Lg 22a, ripreso alla lettera dal c. 330 Cic 1983, afferma: «Come san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente («pari ratione») il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono uniti tra loro».

    Si pone una stretta unione tra il Romano Pontefice e i Vescovi, sulla base della relazione tra Pietro e gli Apostoli. Tuttavia, come spiega la "Nota Explicativa Praevia" [Nep] 1, il Concilio vuole affermare un parallelismo tra Pietro e gli altri Apostoli da una parte, e il Romano Pontefice e i Vescovi dall’altra, che non implica la trasmissione delle potestà straordinarie degli Apostoli ai loro successori, né l’uguaglianza tra il Capo e i membri del Collegio, ma solo una proporzionalità tra la prima relazione, cioè tra Pietro e gli Apostoli, e la seconda, cioè tra il Papa e i Vescovi. Per questa ragione, continua a spiegare la Nep 1, la Commissione Dottrinale, accogliendo la proposta del Modo 57 (22), stabilì che nella Lg 22a si dicesse «pari ratione», che esprime la proporzionalità tra le due relazioni, in luogo di «eadem ratione», che invece avrebbe espresso la uguaglianza tra di esse.

    Poiché la successione apostolica dei singoli Vescovi non è una successione personale a un singolo Apostolo, essa non comporta la trasmissione delle potestà straordinarie proprie degli Apostoli, come quella di essere tutti ugualmente fondamento della Chiesa e fondatori di Chiese, e quella dell’infallibilità personale. Il Romano Pontefice è l’unico Vescovo che succede a un Apostolo, Pietro, per cui a lui sono trasmesse le prerogative personali di quest’ultimo. Gli altri Vescovi, in quanto Collegio, succedono al Collegio degli Apostoli, ma secondo un’analogia di proporzionalità.

    Quindi, secondo la dottrina del Vaticano II e del Codice, tra i due analogati, cioè Pietro e gli Apostoli, da una parte, e il Papa e i Vescovi, dall’altra, vige una proporzionalità, in modo tale che tra di essi c’è una similitudine, ma nello stesso tempo anche una differenza. Per questo la relazione tra il Romano Pontefice e i Vescovi non è la stessa che vigeva tra Pietro e gli Apostoli, ma è simile, in modo tale che dev’essere affermata una stretta relazione di uguaglianza tra il Sommo Pontefice e i vescovi, ma anche una disuguaglianza per cui il Romano Pontefice è Capo del Collegio non per una potestà che questi gli demandi, ma per una potestà che riceve direttamente da Cristo in modo personale e specifico (Nep 1) e che egli può sempre liberamente esercitare (Nep 4).

    Paolo VI, nel suo discorso di apertura del terzo periodo conciliare (23), considera ciò che unisce sul piano sacramentale i Vescovi e il Romano Pontefice: l’essere costituiti nell’ufficio episcopale per il peculiare carattere sacerdotale ricevuto con l’ordinazione sacramentale, che ha conferito mirabili e gravissime potestà, e la partecipazione alla gerarchia di ordine. In tale visione d’insieme, di unità e di comunione, Paolo VI fa spiccare la funzione primaziale del Romano Pontefice come Moderatore della Chiesa Cattolica e Vicario di Cristo, che lo differenzia da tutti gli altri Vescovi (24). Il primato di giurisdizione e la prerogativa dell’infallibilità personale del Romano Pontefice è la fonte di quell’insieme di rapporti intercorrenti tra i Vescovi e il Papa, chiamati vincoli della comunione gerarchica, che uniscono i Vescovi con la Sede Apostolica (25).

    Allora, c’è un’uguaglianza tra il Romano Pontefice e tutti gli altri Vescovi sul piano sacramentale, che costituisce la comunione sacramentale, ma simultaneamente c’è anche una disuguaglianza, che costituisce la "hierarchica communio," e che, non avendo la propria fonte nella comune consacrazione sacramentale, non può che essere di natura giurisdizionale.

    La difficoltà maggiore che sorge dall’affermazione che la potestà primaziale del Romano Pontefice viene dalla consacrazione episcopale e non dall’accettazione dell’elezione sarebbe quella che, da una parte, non si vedrebbe come spiegare quanto affermato dalla Lg 22a, dalla Nep 1 e da Paolo VI e, dall’altra, che, nell’eventualità che il Papa cessi dal suo ufficio non a causa di morte, non perderebbe mai tale potestà, in quanto conferita da un atto sacramentale che comporta un carattere indelebile.

    Certamente non è privo di difficoltà anche affermare che la potestà primaziale viene dall’accettata elezione e la può esercitare liberamente, limitando il riferimento alla consacrazione episcopale solo al fatto che l’eletto non Vescovo deve avere l’intenzione di riceverla. Da questo ne potrebbe derivare che l’eletto non Vescovo, anche solo laico, sarebbe Capo di un Collegio di cui non sarebbe membro e sarebbe all’apice della gerarchia cattolica, la quale è senza dubbio costituita dal sacramento dell’Ordine, e quindi la potestà gerarchica dev’essere comunque in una diretta o indiretta relazione con esso.

    Sant’Alberto Magno afferma che, se non si tiene conto della consacrazione episcopale, si ha un «summus», che non è «pontifex», ma se non si tiene conto della missione divina che si ha nell’accettazione dell’elezione distintamente dalla consacrazione, si ha un «pontifex», che non è «summus», in quanto egli lega il «summus» alla «iurisdictio universitatis potestatis», che discende dal Signore direttamente, in quanto il Sommo Pontefice succede personalmente a Pietro (26). Questo ha i suoi effetti sull’esercizio della potestà ricevuta nell’accettazione-elezione.

    Papi eletti non Vescovi, prima della loro consacrazione hanno compiuto atti di suprema giurisdizione. Questo vuol dire che avevano la coscienza di poterlo fare, perché consapevoli di aver ricevuto tale suprema potestà nell’accettazione dell’elezione.

    Deve qui intervenire una considerazione circa la natura della Chiesa. La Chiesa, secondo Lg 8a, per l’analogia che c’è tra il suo mistero e il mistero del Verbo incarnato, è una realtà complessa risultante da un duplice elemento umano e divino. L’elemento umano e quello divino sono indissolubilmente uniti, in modo tale che quello umano-visibile serva allo Spirito di Cristo per la crescita del corpo, ma rimangono distinti. L’elemento umano-visibile è l’organismo sociale, cioè la Chiesa come comunità-società (società giuridicamente organizzata). Ma proprio perché l’analogia di attribuzione con il Verbo incarnato è basata su quella di proporzionalità, l’elemento umano-visibile, nel suo stesso essere al servizio dell’elemento divino-invisibile, cioè dello Spirito di Cristo che costituisce la Chiesa come comunione, conserva una certa autonomia di attuazione, diversa da quella che nel Verbo incarnato si riscontra nella relazione tra la sua natura umana e la sua natura divina, unite ipostaticamente.

    Nella Chiesa la dimensione più profonda, interiore, divina, è quella della comunione nella fede e nei sacramenti, in quanto queste sono le realtà che costituiscono la Chiesa nella sua essenza di mistero di salvezza. La dimensione esterna della Chiesa, come società, è al servizio della sua dimensione interiore, perché la salvezza, in coerenza con l’economia dell’Incarnazione, continui a essere comunicata agli uomini attraverso atti percepibili, secondo le necessità storiche e ambientali degli uomini.

    Quando un non Vescovo è eletto al Sommo Pontificato, per l’accettazione della legittima elezione riceve la piena e suprema potestà, che è indivisibile, e che, distinguendolo costitutivamente da ogni altro Vescovo, lo fa essere Capo della Chiesa universale e del Collegio episcopale; ma il principio di economia, cioè del retto esercizio del suo ministero, determina l’esercizio di tale potestà prima della consacrazione episcopale: consacrazione che è necessaria perché l’eletto sia integrato nel Collegio, e la potestà che ha ricevuto sia veramente episcopale, quella del Vescovo di Roma.

    Sulla base dei fatti storici di cui siamo a conoscenza, sembra che l’esercizio della potestà suprema non sia mai stato nel compiere atti che riguardano la natura più profonda della Chiesa, la fede e i sacramenti, ma piuttosto nel compiere atti amministrativi o penali riguardanti la disciplina della Chiesa come società visibile. Disciplina, però, che sempre, direttamente o indirettamente, è al servizio della fede e dei sacramenti. Tali atti furono compiuti per provvedere a necessità insorgenti prima della consacrazione episcopale. Al di là della soluzione dottrinale del problema dell’origine della potestà dei Vescovi, il Vaticano II ha voluto stabilire una stretta relazione tra la dimensione sacramentale e quella giurisdizionale del ministero episcopale, considerando quest’ultimo nella sua dimensione collegiale. Questo si riflette nella stretta relazione in cui il c. 332, § 1 Cic 1983, a differenza del c. 219 Cic 1917, mette l’accettazione dell’elezione al Sommo Pontificato con la consacrazione episcopale: «Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale».

    Questo fa sì che se l’eletto è già Vescovo, come dice Udg 88, ottiene tale potestà «actu» nell’accettazione della sua elezione, quindi la può esercitare in pienezza. Infatti, cumulandosi l’accettata elezione con la consacrazione, la potestà che l’eletto riceve è immediatamente integrata nella dimensione ontologico-sacramentale dell’episcopato e del Collegio episcopale.

    Se l’eletto non è Vescovo, dispone Udg 88, deve essere subito (al più presto) ordinato Vescovo, per restringere al massimo il tempo che intercorre tra la comunicazione della suprema potestà e la consacrazione episcopale, a meno che la solennità della consacrazione, prevista dalla Udg 89, non richieda un certo intervallo di tempo. In questo caso, già conclusosi il conclave, l’eletto può trattare, a norma della Udg 91, gli affari urgenti necessari riguardanti la Chiesa universale.


    Conclusione


    Non devono meravigliarci alcune incongruenze che in qualche misura si riscontrano nella disciplina e nella dottrina sulla vacanza della Sede Apostolica, in quanto intrinseche al mistero stesso della Chiesa e dei suoi elementi strutturali essenziali, dove spesso intervengono elementi in tensione tra di loro, che vanno spiegati all’interno di questa tensione intrinseca e forse ineliminabile.

    L’esserci poi soffermati abbastanza a lungo sulla questione della relazione tra l’accettazione della legittima elezione e la consacrazione episcopale, quindi dell’origine della potestà del Romano Pontefice, è stato necessario proprio per comprendere più a fondo che colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo Vescovo, non è più Papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione.



    NOTE


    (1) Cfr AAS 88 (1996) 305-346.

    (2) Cfr Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale "Pastores gregis", 16 ottobre 2003, n. 56, in AAS 96 (2004) 825-927.

    (3) Costituzione "Pastor aeternus", cap. IV, in Denzinger-Schönmetzer, 3074.?

    (4) Cfr F. J. Wernz P. Vidal, "Ius canonicum", t. II, "De Personis", Romae, 1933, 517 s.

    (5) Cfr ivi, 516.

    (6) La deposizione di Giovanni XXIII, che si trovava a Pisa, e di Benedetto XIII, che si trovava ad Avignone, avvenuta nel 1415 da parte del Concilio di Costanza (14141418), durante il grande scisma d’Occidente (iniziato nel 1378), fu legittima, in quanto ambedue erano antipapi, essendo stati eletti illegittimamente, o almeno era dubbia la validità dell’elezione. Invece Gregorio XII, che si trovava a Roma e che era il legittimo e vero Papa, rinunciò liberamente nello stesso anno 1415, ma solo dopo che il Concilio di Costanza accettò di essere da lui di nuovo convocato, prima della sua rinuncia. Esiste il caso di Papa dubbio. Se si tratta di un dubbio positivo e insolubile circa la legittimità dell’elezione, la dottrina afferma che il Papa dubbio è Papa nullo (cfr F. M. Cappello, "Summa Iuris canonici", t. I, Roma, 1961, 297 s); infatti questi non ha mai ricevuto la potestà, in quanto per natura sua la giurisdizione postula dei sudditi che devono obbedire, ma nessuno è tenuto a obbedire a un superiore incerto. Si avrebbe un Papa senza sudditi.

    (7) Attualmente il card. Angelo Sodano.

    (8) Attualmente il Segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, è anche Cardinale Camerlengo.

    (9) Cfr Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica "Pastor bonus" (Pb), 28 giugno 1988, art. 6, in AAS 80 (1988) 841-912.

    (10) Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale "Inde ab ipsi", 29 giugno 1998, n. 11, in AAS 90 (1998) 544-551; Id., "Professio fidei et iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo", 9 gennaio 1989, in AAS 81 (1989) 104-106.

    (11) Cfr Motuproprio "Constitutione apostolica", 11 giugno 2007, in AAS 99 (2007) 776 s.

    (12) Per una trattazione esaustiva di questa tematica, cfr il nostro articolo «Accettazione della legittima elezione e consacrazione episcopale del Romano Pontefice secondo la Costituzione apostolica "Universi dominici gregis" di Giovanni Paolo II», in "Periodica" 86 (1997) 615-656.

    (13) Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, "Congregatio Plenaria diebus 2029 octobris 1981 habita", Città del Vaticano, 1991, 365 s.

    (14) Cfr "Communicationes" 8 (1976) 94-96; 9 (1977) 114-116.

    (15) Tale dottrina è chiaramente espressa nei cc. 109 e 219 Cic 1917 (cfr le fonti di quest’ultimo canone), confermata da Pio XII con la Costituzione apostolica "Vacantis Apostolicae Sedis", 8 dicembre 1945, n. 101, in AAS 38 (1946) 97; col motu proprio "Cleri sanctitati", 2 giugno 1957, c. 163, in AAS 49 (1957) 480; con la sua allocuzione al II Congresso Internazionale per l’Apostolato dei Laici, 5 ottobre 1957, in AAS 49 (1957) 924.

    (16) Sulla questione ci sono stati interventi magisteriali e autoritativi da parte di almeno sei Romani Pontefici, compresi tra l’XI e il XX secolo, che indicano l’accettazione dell’elezione al Sommo Pontificato come il momento della ricezione, da parte dell’eletto, della suprema e piena potestà sulla Chiesa universale, anche se nella prospettiva della successiva consacrazione episcopale, se l’eletto non fosse ancora Vescovo. Anche per gli eletti non Vescovi, cfr il nostro articolo «Accettazione della legittima elezione e consacrazione episcopale», cit., 636-639.

    (17) Senza entrare nella complessa questione, basti fare riferimento ai Modi 199 e 200 presentati al n. 28 del "textus emendatus" dello schema "De Ecclesia" (cfr "Acta Synodalia", III/I, 225). Per tutto il dibattito conciliare circa la questione dell’origine e dell’esercizio della potestà dei Vescovi, cfr il nostro libro "Hierarchica Communio. Significato della formula nella Lumen Gentium", Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1980; per i Modi 199 e 200, in particolare p. 418 s.

    (18) Dalle risposte date al Modo 35 e ai Modi 62 e 65, rispettivamente al n. 21 e 22 del "textus emendatus" dello schema "De Ecclesia", si evince che la Commissione Dottrinale condivideva la dottrina tradizionale contenuta nei cc. 109 e 219 Cic 1917 ("Acta Synodalia", III/VIII, 61; 69).

    (19) Cfr "Communicationes" 9 (1977) 116; 13 (1981) 47.

    (20) Cfr ivi, 13 (1981) 47.

    (21) Cfr Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, "Congregatio Plenaria diebus 20-29 octobris 1981 habita", cit., 360; 362; 364.

    (22) Cfr "Acta Synodalia" III/VIII, 66.

    (23) Cfr ivi, III/I, 147 s.?

    (24) Cfr ivi, III/I, 140 s.?

    (25) Cfr ivi, 144-148, e anche nota 29.

    (26) "In IV Sent." D. 24, a. 40, ad aliud.

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    > La Civiltà Cattolica





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 16/09/2014 12:11

      Regnante ed "emerito". L'enigma dei due papi


    È una novità senza precedenti nella storia della Chiesa. Con molte incognite ancora insolute e con seri rischi già in atto. Un'analisi di Roberto de Mattei 

    di Sandro Magister




    ROMA, 15 settembre 2014 – Che la figura di "papa emerito" sia una novità senza precedenti nella storia della Chiesa, "istituita" dallo stesso Benedetto XVI nell'atto della sua rinuncia, l'ha riconosciuto lo stesso papa Francesco, nella conferenza stampa sull'aereo che lo riportava dalla Corea a Roma, lo scorso 18 agosto.

    Ciò non toglie che dal punto di vista sia giuridico che dottrinale non sia affatto assicurato che tale nuova figura comparsa nella gerarchia cattolica abbia un reale fondamento.

    "I secoli diranno se è così o no. Vedremo", ha detto prudentemente Francesco, pur personalmente entusiasta dell'innovazione.

    Tra i teologi e i canonisti, infatti, i giudizi continuano a essere molto discordi.

    Già due giorni dopo l'annuncio dell'abdicazione, Manuel Jesus Arroba, docente di diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense, mise in guardia dall'uso dell'appellativo: "Giuridicamente di papa ce n’è soltanto uno. Un 'papa emerito' non può esistere".

    Ma è stato soprattutto un luminare del diritto canonico come il gesuita Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana, a confutare la fondatezza della figura del "papa emerito" in un lungo e argomentatissimo saggio pubblicato il 2 marzo 2013 su "La Civiltà Cattolica" e quindi – come per tutti gli articoli di questa rivista – stampato con il previo controllo e l'autorizzazione della segreteria di Stato vaticana:

    > Cessazione dall'ufficio di romano pontefice

    Al termine del suo saggio padre Ghirlanda tirava questa conclusione:

    "L’esserci soffermati abbastanza a lungo sulla questione della relazione tra l’accettazione della legittima elezione e la consacrazione episcopale, quindi dell’origine della potestà del romano pontefice, è stato necessario proprio per comprendere più a fondo che colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione".

    E quindi escludeva che il dimissionario potesse continuare a fregiarsi del nome di "papa", sia pure emerito:

    "È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa".

    Poi, però, fu lo stesso Ratzinger ad attribuirsi la qualifica di "papa emerito" e a portarne  in un certo senso le insegne continuando a vestire l'abito bianco.

    Anticipò enigmaticamente il senso di questa sua decisione nell'ultima delle sue udienze generali da papa, il 27 febbraio 2013, vigilia della sua effettiva abdicazione:

    "Chi assume il ministero petrino non ha più alcuna dimensione privata. […] La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro".

    C'è chi ricorda che Pio XII, quando predispose la lettera di dimissioni da far scattare qualora i tedeschi fossero arrivati da lui per arrestarlo, diceva ai suoi più stretti collaboratori: "Quando i tedeschi varcheranno quella linea, non troveranno più il papa ma il cardinal Pacelli".

    Ma per Benedetto XVI non era così. Rinunciando, non pensava affatto di poter tornare ad essere "il cardinal Ratzinger". Era ed è sua ferma convinzione che della sua elezione a papa c'è qualcosa che resta "per sempre".

    Ed è ciò che alcuni studiosi hanno cercato di individuare e di giustificare.

    Come il professor Valerio Gigliotti, docente di storia del diritto europeo nell'università di Torino, nel volume "La tiara deposta" di cui www.chiesa ha dato conto lo scorso aprile:

    > Il terzo corpo del papa

    O come don Stefano Violi, professore di diritto canonico nella facoltà teologica dell'Emilia Romagna, in un saggio sulla "Rivista teologica di Lugano” dal titolo: "La rinuncia di Benedetto XVI tra diritto, storia e coscienza".

    Secondo Violi, abdicando, Benedetto XVI avrebbe sì lasciato l'esercizio attivo del ministero petrino, ma non l'ufficio, il "munus" del papato, irrinunciabile proprio perché affidatogli per sempre con l'elezione a vescovo di Roma e a successore di Pietro.

    Chi conosce il Ratzinger teologo sa che egli mai sottoscriverebbe un simile sdoppiamento dell'ufficio papale, che a suo giudizio può essere solo accettato o rifiutato in blocco.

    Nulla però egli ha mai detto per chiarire in che cosa allora possa consistere il suo essere "papa emerito" anche dopo l'abdicazione.

    L'aggettivo "emerito", preso in prestito dai vescovi dimissionari, non aiuta a capire.

    Un vescovo resta vescovo per sempre, in forza del carattere indelebile del sacramento dell'ordine, anche dopo che non governa più alcuna diocesi.

    E anche un successore di Pietro resta vescovo per sempre, dopo le sue dimissioni. Ma come può restare ancora "papa", dopo che ha rinunciato a tutto, non solo a una parte, di ciò che costituisce lo specifico petrino?

    Questo silenzio di Ratzinger lascia libero corso non solo a congetture di dottrina che egli certamente non condivide – come l'invenzione di un carattere indelebile impresso dall'elezione a papa, quasi fosse un atto sacramentale – ma anche al disorientamento di non pochi fedeli, tentati di ritenere che nella Chiesa cattolica possano esserci due papi – magari di diverso grado ma pur sempre più d'uno – e parteggiare per l'uno contro l'altro.

    La riflessione che segue entra nel vivo della questione e mette in luce la serietà della posta in gioco, sotto il profilo storico, canonico e dottrinale.

    Roberto de Mattei, 66 anni, cinque figli, è professore di storia del cristianesimo all'Università Europea di Roma. Dirige la rivista "Radici Cristiane" e l'agenzia di informazione "Corrispondenza Romana". È stato vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche dal 2003 al 2011. È autore del volume "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta", già tradotto in inglese, francese, tedesco e polacco.

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    UNO E UNO SOLO È IL PAPA

    di Roberto de Mattei



    Tra le molteplici e poliedriche dichiarazioni di papa Francesco degli ultimi tempi ve n’è una che merita di essere valutata in tutta la sua portata.

    Nella conferenza stampa tenuta il 18 agosto 2014 a bordo dell’aereo che lo riportava in Italia dopo il suo viaggio in Corea, il papa ha tra l’altro affermato:

    "Penso che il papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito. […] Settant'anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono una istituzione. Io penso che 'papa emerito' sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca, la salute forse è buona ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto che di fatto istituisce i papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, vedremo. Lei potrà dirmi: 'E se lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?'. Farei lo stesso, farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale". 

    L’istituzionalizzazione della figura del papa emerito sembrerebbe dunque un fatto acquisito.

    Alcuni scrittori cattolici come Antonio Socci, Vittorio Messori e don Ariel Levi di Gualdo, hanno rilevato il problema posto da questa inedita situazione, che sembra accreditare l’esistenza di una “diarchia” pontificia. Un taglio rivoluzionario con la tradizione teologica e giuridica della Chiesa operato, paradossalmente, proprio dal papa della “ermeneutica della riforma nella continuità”.

    Non a caso la "scuola di Bologna", che si è sempre distinta per la sua opposizione a Benedetto XVI, ha salutato con soddisfazione la sua rinuncia al pontificato, non solo per l’uscita di scena di un pontefice avverso, ma proprio per quella “riforma del papato” che egli avrebbe inaugurato con la scelta di assumere il titolo di papa emerito. 

    L’ermeneutica “continuista” di Benedetto XVI si è capovolta così in un gesto di forte discontinuità, storica e teologica.

    La discontinuità storica scaturisce dalla rarità dell’abdicazione di un papa, in duemila anni di storia della Chiesa. Ma la discontinuità teologica consiste proprio nell’intenzione di istituzionalizzare la figura del papa emerito.

    *

    Sono soprattutto autori di linea progressista i primi che si sono affrettati a fornire una giustificazione teorica della novità. Come don Stefano Violi, docente di diritto canonico presso la facoltà teologica dell’Emilia Romagna, con il saggio "La rinuncia di Benedetto XVI tra storia, diritto e coscienza" (“Rivista teologica di Lugano”, XVIII, 2, 2013, pp. 155-166). E come Valerio Gigliotti, docente di diritto europeo all’Università di Torino, con il capitolo che conclude il suo volume "La tiara deposta. La rinuncia al papato nella storia del diritto e della Chiesa" (Leo S. Olschki, Firenze, 2013, pp. 387-432).

    Secondo Violi, nella "Declaratio" con cui l'11 febbraio 2013 annunciò la sua abdicazione, Benedetto XVI distingue il ministero petrino, "munus", la cui essenza sarebbe eminentemente spirituale, dalla sua amministrazione od esercizio.

    “Le forze – scrive Violi – gli appaiono inidonee all’amministrazione del 'munus', non al 'munus' stesso”. La prova dell’essenza spirituale del "munus" sarebbe espressa dalle seguenti parole della "Declaratio" di Benedetto XVI:

    “Sono ben consapevole che questo ministero (munus) per la sua essenza spirituale deve essere compiuto (exequendum) non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”.

    In questo passo, secondo Violi, Benedetto XVI distingue non solo tra "munus" ed "executio muneris", ma anche tra una "executio" amministrativo-ministeriale, che si compie con l’azione e la parola ("agendo et loquendo") e una "executio" che si esprime con la preghiera e il patire ("orando et patiendo"). Benedetto XVI dichiarerebbe di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, ma non all’ufficio, al "munus" del papato: “Oggetto della rinuncia irrevocabile infatti è la 'executio muneris' mediante l’azione e la parola ('agendo et loquendo'), non il 'munus' affidatogli una volta per sempre”.

    Anche Gigliotti ritiene che Benedetto XVI, cessando di essere sommo pontefice, abbia assunto un nuovo status giuridico e personale.

    La scissione tra l’attributo tradizionale della "potestas" e quello nuovo del "servitium", tra la dimensione giuridica e quella spirituale del papato, avrebbe aperto la via “a una nuova dimensione mistica del servizio al popolo di Dio nella comunione e nella carità”. Dalla "plenitudo potestatis" si passerebbe a una "plenitudo caritatis" del papa emerito: uno status “che è terzo rispetto sia alla condizione precedente l’elevazione al soglio di Pietro sia a quello di suprema direzione della Chiesa: è il ‘terzo corpo del papa’, quello della continuità operativa nel servizio della Chiesa tramite la via contemplativa”.

    *

    A mio giudizio, gli ammiratori di Benedetto XVI devono respingere la tentazione di accreditare queste tesi per volgerle a loro vantaggio.

    Tra i cattolici di orientamento conservatore, infatti, alcuni già cominciano a mormorare che, in caso di aggravamento della crisi religiosa in corso, l’esistenza di due papi permetterebbe di contrapporre il papa emerito Benedetto XVI al papa in esercizio Francesco.

    Si tratta di una posizione diversa da quella sedevacantista, ma caratterizzata dalla stessa debolezza teologica.

    Nei tempi di crisi non bisogna guardare agli uomini, che sono creature fragili e passeggere, ma alle istituzioni e ai princìpi incrollabili della Chiesa. Il papato, in cui per molti versi si concentra la Chiesa cattolica, si fonda su una teologia di cui occorre recuperare i capisaldi. C’è soprattutto un punto da cui non si può prescindere. La dottrina comune della Chiesa ha sempre distinto tra potere di ordine e potere di giurisdizione. Il primo è ricevuto attraverso i sacramenti, il secondo per missione divina, nel caso del papa, o per missione canonica nel caso dei vescovi e dei sacerdoti. Il potere di giurisdizione deriva direttamente da Pietro, che lo ha ricevuto a sua volta immediatamente da Gesù Cristo; tutti gli altri nella Chiesa lo ricevono da Cristo attraverso il suo vicario, "ut sit unitas in corpore apostolico" (S. Tommaso d’Aquino, "Ad Gentes" IV c. 7). 

    Il papa non è dunque un supervescovo, né il punto di arrivo di una linea sacramentale che dal semplice prete, passando per il vescovo, ascende al sommo pontefice. L’episcopato costituisce la pienezza sacramentale dell’ordine e dunque al di sopra del vescovo non esiste alcun carattere superiore che possa venire impresso. Come vescovo il papa è uguale a tutti gli altri vescovi.

    Ciò per cui il papa sovrasta ogni altro vescovo è la missione divina che da Pietro si trasmette ad ogni suo successore, non per via ereditaria, ma attraverso l’elezione legittimamente svolta e liberamente accettata. Infatti, colui che sale al soglio pontificio potrebbe anche essere un semplice sacerdote, o addirittura un laico, che dopo l’elezione sarà consacrato vescovo ma che è papa non dal momento della consacrazione episcopale, ma dall’atto con cui accetta il pontificato. 

    Il primato del papa non è sacramentale ma giuridico. Esso consiste nel potere pieno di pascere, reggere e governare tutta la Chiesa, ossia nella giurisdizione suprema, ordinaria, immediata, universale e indipendente da ogni altra autorità terrena (art. 3 della costituzione dogmatica del Concilio Vaticano I "Pastor Aeternus").

    Il papa, in una parola, è colui che ha il supremo potere di giurisdizione, la "plenitudo potestatis", perché governa la Chiesa. È per questo che il successore di Pietro è prima papa e poi vescovo di Roma. È vescovo di Roma in quanto papa e non papa in quanto vescovo di Roma.

    Il papa cessa ordinariamente dal suo incarico con la morte, ma il suo potere di giurisdizione non è indelebile e irrinunciabile. Nel supremo governo della Chiesa esistono infatti i cosiddetti casi di eccezione, che i teologi hanno studiato, come l’eresia, l’infermità fisica e morale, la rinuncia (cfr. il mio saggio "Vicario di Cristo. Il primato di Pietro tra normalità ed eccezione", Fede e Cultura, Verona, 2013, pp. 106-138).

    *

    Il caso della rinuncia fu trattato soprattutto dopo l’abdicazione dal pontificato di Celestino V, papa dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294. In quell’occasione si aprì un dibattito teologico tra chi riteneva invalida quella rinuncia e chi ne sosteneva il fondamento giuridico e teologico.

    Tra le numerose voci che si levarono per ribadire la dottrina comune della Chiesa vanno ricordate quelle di Egidio da Viterbo detto Romano (1243-1316), autore di un puntuale trattato "De renunciatione papae", e del suo discepolo Agostino Trionfo d’Ancona (1275-1328), che ci ha lasciato una imponente "Summa de potestate ecclesiastica", in cui viene diffusamente affrontato il problema della rinuncia (q. IV) e della deposizione del papa (q. V). Agostiniani entrambi, ma allievi di san Tommaso d’Aquino, sono ricordati come autori pienamente ortodossi, tra i sostenitori più ferventi del primato di giurisdizione del pontefice contro le pretese del re di Francia e dell’imperatore di Germania dell'epoca. 

    Sulla scia del Dottore Angelico (Summa Theologica, 2-2ae, q. 39, a. 3) essi illustrano la distinzione tra "potestas ordinis" e "potestas iurisdictionis". La prima, che deriva dal sacramento dell’ordine, presenta un carattere indelebile e non è soggetta a rinuncia. La seconda ha natura giuridica e, non recando impresso il carattere indelebile proprio dell’ordine sacro, è soggetta a venir meno in caso di eresia, rinuncia o deposizione. Egidio ribadisce la differenza che sussiste tra "cessio" e "depositio", alla seconda delle quali il sommo pontefice non può essere sottoposto se non per grave e persistente eresia. La prova decisiva del fatto che la "potestas papalis" non imprime un carattere indelebile è il fatto che, “se così fosse, non vi potrebbe essere successione apostolica fino a che un papa eretico rimanesse in vita” (Gigliotti, p. 250).

    Questa dottrina, che è stata anche prassi comune della Chiesa per venti secoli, può essere considerata di diritto divino, e come tale immodificabile.

    Il Concilio Vaticano II non ha rifiutato esplicitamente il concetto di "potestas", ma lo ha accantonato, sostituendolo con un nuovo equivoco concetto, quello di "munus". L’art. 21 della "Lumen Gentium", poi, sembra insegnare che la consacrazione episcopale conferisce non solamente la pienezza dell’ordine, ma anche l’ufficio di insegnare e governare, laddove in tutta la storia della Chiesa l’atto della consacrazione episcopale è stato distinto da quello della nomina, ovvero del conferimento della missione canonica. 

    Questo equivoco è coerente con l’ecclesiologia dei teologi del Concilio e del postoncilio (Congar, Ratzinger, de Lubac, von Balthasar, Rahner, Schillebeeckx…) che hanno preteso ridurre la missione della Chiesa a una funzione sacramentale, ridimensionandone l’aspetto giuridico.

    Il teologo Joseph Ratzinger, ad esempio, pur non condividendo la concezione di Hans Küng di una Chiesa carismatica e de-istituzionalizzata, si è allontanato dalla tradizione quando ha visto nel primato di Pietro la pienezza del ministero apostolico, legando il carattere ministeriale a quello sacramentale (J.Auer-J. Ratzinger, "La Chiesa universale sacramento di salvezza", Cittadella, Assisi, 1988).

    *

    Questa concezione sacramentale e non giuridica della Chiesa affiora oggi nella figura del papa emerito.

    Se il papa che rinuncia al pontificato mantiene il titolo di emerito, vuol dire che in qualche misura resta papa. È chiaro infatti che nella definizione il sostantivo prevale sull’aggettivo. Ma perché è ancora papa dopo l’abdicazione? L’unica spiegazione possibile è che l’elezione pontificia gli abbia impresso un carattere indelebile, che non si perde con la rinuncia. L’abdicazione presupporrebbe in questo caso la cessione dell’esercizio del potere, ma non la scomparsa del carattere pontificale. Questo carattere indelebile attribuito al papato può essere spiegato a sua volta solo da una visione ecclesiologica che subordini la dimensione giuridica del pontificato a quella sacramentale. 

    È possibile che Benedetto XVI condivida questa posizione, esposta da Violi e Gigliotti nei loro saggi, ma l'eventualità che egli abbia fatta propria la tesi della sacramentalità del papato non significa che essa sia vera. Non esiste se non nella fantasia di qualche teologo un papato spirituale distinto dal papato giuridico. Se il papa è, per definizione, colui che governa la Chiesa, rinunciando al governo egli rinuncia al papato. Il papato non è una condizione spirituale, o sacramentale, ma un “ufficio”, ovvero un’istituzione.

    La tradizione e la prassi della Chiesa affermano con chiarezza che uno e solo uno è il papa, e inscindibile nella sua unità è il suo potere. Mettere in dubbio il principio monarchico che regge la Chiesa significherebbe sottoporre il Corpo Mistico a una intollerabile lacerazione. Ciò che distingue la Chiesa cattolica da ogni altra chiesa o religione è proprio l’esistenza di un principio unitario incarnato in una persona e istituito direttamente da Dio.

    La distinzione tra il governo e l’esercizio del governo, inapplicabile all’ufficio pontificio, potrebbe semmai valere per comprendere la differenza tra Gesù Cristo che governa invisibilmente la Chiesa e il suo vicario che esercita, per delega divina, il governo visibile.

    La Chiesa ha un solo capo e fondatore, Gesù Cristo. Il papa è il vicario di Gesù Cristo, Uomo-Dio, ma a differenza del fondatore della Chiesa, perfetto nelle sue due nature umana e divina, il romano pontefice è persona solamente umana, privo delle caratteristiche della divinità.

    Oggi noi tendiamo a divinizzare, ad assolutizzare, ciò che nella Chiesa è umano, le persone ecclesiastiche, e invece ad umanizzare, a relativizzare, ciò che nella Chiesa è divino: la sua fede, i suoi sacramenti, la sua tradizione. Da questo errore scaturiscono gravi conseguenze anche sul piano psicologico e spirituale.

    Il papa è una creatura umana, sia pure rivestita di una missione divina. L’impeccabilità non gli è stata attribuita e l’infallibilità è un carisma che può esercitare solo a precise condizioni. Egli può errare dal punto di vista politico, dal punto di vista pastorale e anche dal punto di vista dottrinale, quando non si esprime "ex cathedra" e quando non ripropone il magistero perenne e immutabile della Chiesa. Ciò non toglie che al papa debbano essere resi i massimi onori che possono essere tributati a un uomo e che verso la sua persona si debba nutrire un’autentica devozione, come sempre fecero i santi.

    Si può discutere sulle intenzioni di Benedetto XVI e sulla sua ecclesiologia, ma è certo che si può avere un solo papa alla volta e che questo papa, fino a prova contraria, è Francesco, legittimamente eletto il 13 marzo 2013.

    Papa Francesco può essere criticato, anche severamente, con il dovuto rispetto, ma deve essere considerato sommo pontefice fino alla sua morte o a una sua eventuale perdita del pontificato.

    Benedetto XVI ha rinunciato non a una parte del papato, ma a tutto il papato e Francesco non è papa part-time, ma è interamente papa.

    Come egli eserciti il suo potere è, naturalmente, un altro discorso. Ma anche in questo caso la teologia e il "sensus fidei" ci offrono gli strumenti per risolvere tutti i problemi teologici e canonici che in futuro dovessero sorgere.

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    Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

    11.9.2014
    > Diario Vaticano / Quaranta nuovi vescovi in Italia e cinque cardinali di curia in meno
    Tanti sono quelli che supereranno i limiti di età entro il 2015. Un'occasione d'oro per papa Francesco per rimodellare a suo piacimento l'episcopato italiano e per diminuire il peso dei curiali in un futuro conclave

    8.9.2014
    > Comunione ai risposati. Il sì "in pectore" di Francesco
    Il papa ha dato il via libera alla discussione. Non dice da che parte sta tra i favorevoli e i contrari, ma appare molto più vicino ai primi che ai secondi. Un teologo australiano spiega perché

    3.9.2014
    > Diario Vaticano / In arrivo il nuovo ministro degli esteri
    Sostituirà il francese Dominique Mamberti. La riforma complessiva della curia è ancora lontana. Ma intanto Francesco fa saltare un'altra testa della congregazione per il clero, da cui ha già rimosso il cardinale Piacenza

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    Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

    > SETTIMO CIELO

    Ultimi tre titoli:

    Le fiammeggianti memorie del convertito che Paolo VI voleva far cardinale

    Una donna al top in Vaticano. Ma nelle nomine dei vescovi non deve metter becco

    Santi sì, ma con festa facoltativa

     



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    15.9.2014




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 28/09/2014 21:02
      due articoli del 2013, marzo, uno prima dell'elezione del nuovo Papa e perciò interessante..... perchè nessuno può dire che era contro Bergoglio   il secondo è subito dopo l'elezione del Papa e le riflessioni sono allarmanti..... ma non per "colpa" del nuovo Pontefice....


    EMINENTISSIMI CARDINALI,

    NON RIUNITEVI IN CONCLAVE:

    ELEGGERESTE UN ANTIPAPA


    L'articolo in formato pdf


    PREMESSA

    Anche queste considerazioni sul prossimo Conclave, come già le precedenti sulla Rinuncia di Papa Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (Perché Papa Ratzinger-Benedetto XVI dovrebbe
    ritirare la sua Rinuncia: non è ancora il tempo di un nuovo Papa perché sarebbe quello di un antipapa
    ), hanno la necessità di essere precedute dagli stessi concetti, che delineano il problema in quella che è soltanto un’ipotesi di lavoro, un delineamento il più possibile rigoroso di una tesi scientifica la cui coerenza con la dottrina petrina è e vuole restare l’unica sua ragion

    d’essere.
    Mentre quelle considerazioni vertevano sulla difesa in sé della Vicarietà come munusincancellabile, le presenti metteranno maggiormente in luce la pericolosità che si corre, riducendolo a termine, di dare spazio al conciliarismo, la qual cosa causerebbe un’inclinazione ulteriore a interpretare il dogma petrino in un’ermeneutica larga, progressista, sostanzialmente
    antidogmatica e comunque ipodogmatica, come segnalo nel mio recente Il domani – terribile o radioso? – del dogma, ermeneutica contro la quale la Chiesa non può che mantenere a propria difesa un muro alto come il cielo.

    1. PIETRO E IL PRIMO TENTATIVO DI SCENDERE DALLA CROCE

    Sull’Appia antica, all’incirca all’incrocio con la via Ardeatina, ai tempi della prima persecuzione di Nerone, gli Atti di Pietro, pur apocrifi, narrano comunque di un Pietro fuggiasco, che, impaurito, terrorizzato dalla ferocia neroniana scatenata come fuoco contro la nuova setta dei Cristiani, temendo di presto perdere la vita, corre sulla strada che porta a Brindisi, per poi lì imbarcarsi verso Israele, verso Ierusalem, ma si imbatte in GESÙ, che cammina in direzione contraria, verso l’Urbe: «Quo vadis, Domine?», «Dove vai, Signore?», stupefatto gli dice. E GESÙ: «Vado a morire al posto tuo, Simone».

    Papa Celestino V, a suo tempo, concepì a proprio frutto una legge, oggi recepita nel canone 332.2 del Codice di Diritto Canonico, che permette al Papa di recedere, per sua insindacabile e assoluta volontà, dal triplo mandato di munus docendi, regendi et sanctificandi datogli personalmente da Cristo: « Tu sei Pietro, e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa » (Mt 16, 18). Il beato Celestino V usò assolutamente del potere conferitogli di monarca assoluto, ma di ciò, certo non volendo, abusò, perché – non è mai stato studiato a fondo questo istituto, proprio per il poco utilizzo che ebbe nella storia – vi è una legge metafisica, da lui e dai suoi consiglieri non consideata come dovevasi, che mostra che tale atto mette in contraddizione il papato con se stesso, e ciò non è possibile.
    Aggiungo che le circostanze dell’elezione del beato monaco Pietro da Morrone al Trono più alto potrebbero un giorno essere riconosciute essere state talmente lesive della libertà del soggetto da inficiare l’elezione stessa e dunque rendere nulle sia l’elezione che la successiva Rinuncia.

    2. VERO E FALSO CONCETTO DI “POTERE ASSOLUTO DEL PAPA”

    Vi è una legge metafisica, dicevo. Infatti, nemmeno Dio usa assolutamente del suo potere assoluto, né lo potrebbe, ma solo relativamente, come ben spiega san Tommaso, che in primo luogo ricorda: « Nulla si oppone alla ragione di ente, se non il non-ente » e spiega: «Dunque, alla ragione di possibile assoluto, oggetto dell’onnipotenza divina, ripugna solo quello che implica in sé simultaneamente l’essere e il non-essere. Ciò, infatti, è fuori del dominio della divina onnipotenza, non per difetto della potenza di Dio, ma perché non ha la natura di cosa fattibile o possibile. Così, resta che tutto ciò che non implica contraddizione, è contenuto tra quei possibili rispetto ai quali Dio si dice onnipotente » (S. Th., I, 25, 3).
    Solo la nozione ‘Dio’ degli Islamici è una nozione assolutista, perché per essa Dio sarebbe onnipotente nel senso che può persino – per tale sua illimitata potenza – “volere non essere Dio”. San Tommaso mostra che Dio, Essere tutto in atto, non può volere ciò che ripugna all’essere: lui, l’Essere, non può voler non essere (e neanche lo può pensare).

    Solo un Papa, si dice, può avere il potere di rinunciare al proprio ministero, ma tale potere non l’ha neanche il Papa, perché sarebbe l’esercizio di un potere assoluto che contrasta con l’essere di se stesso medesimo, di voler non essere il proprio essere, di voler non essere quel che si è, e si vedrà fra poco che l’elezione papale conferisce uno status sostanziale, non accidentale, e che precisamente per ciò è indistruttibile.
    Infatti, imporre a sé di non essere sé, è impossibile, come si è visto essere impossibile all'essere e persino a Dio, perché, come a Dio, ciò implica la contraddizione dell’essere.
    Un occhio non può dire a se stesso di accecarsi, né un piede di rattrappirsi, né un’anima, libera per definizione, di annullarsi. Essi ricevono da “altri da sé” vista, moto e vita, e da altri ancora ne riceveranno l’annichilimento. Certo, altri sono i datori di vista, moto e vita e altri i distruttori, come nel caso di un Papa i datori del suo status sono i cardinali elettori e Dio il suo rapitore, ma, come si vede, i soggetti: occhio, piede, anima o Papa che siano, per quanto perfetti in ciascuna delle specifiche loro forme di occhio, piede, anima e Papa, sono del tutto impotenti in quanto a ricevere o viceversa a vedersi sottrarre il proprio specifico status.
    Preciso: in realtà a togliere il proprio specifico status è sempre e solo Dio: « Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta » (1 Sam 2, 6). Che vuol dire: il Signore, attraverso i cardinali elettori, innalza al “quasi sacramento” della vicarietà, e il Signore, con la morte, quella vicarietà toglie. Con la propria volontà lo status di Vicario di Cristo nessuno può né da sé darselo, né da sé toglierselo: vita e morte nostre sono nelle mani del Signore e non mai nelle nostre. Anche vita e morte di un Papa. Anche vita e morte dello status di Papa.

    Cosa vuol dire infatti “essere Papa”? Ecco cosa vuol dire: come il sacerdote riceve uno status, un marchio – l’ordine del sacerdozio – che rimane in eterno, perché riceve dal vescovo la partecipazione al sacerdozio di Cristo che è sacerdozio eterno, e dunque, ricevendo il sacerdozio di Cristo lo deve ricevere tutto intero, con tutta la sua eternità, così anche la papalità riceve da Dio un munus spirituale: la vicarietà di Cristo Capo della Chiesa in eterno, che solo Dio può togliere. E Dio la toglie solo con la morte. Ma la toglie solo al corpo che muore, non all’anima che non muore. È solo in questo senso che si dice che Dio fa scendere dalla Croce: perché il corpo ha smesso di soffrire, ma l’anima rimane in eterno sigillata nella vicarietà – per sua natura eterna – di GESÙ Cristo. 
    Questo vale per tutti i sacramenti, in quanto tutti i sacramenti trasformano l’uomo in una realtà sostanzialmente diversa da quella precedente al sacramento, e a essa superiore. Ma a maggior ragione vale per la vicarietà, che è ‘ad instar sacramenti’, ‘quasi un sacramento’, nel senso che è più che un sacramento: è il fondamento di tutti gli altri sacramenti, perché Cristo, in Mt 16, 18, dopo la professione (che vedremo) di amore eterno e sommo datogli dall’Apostolo, compie verso di lui e solo verso di lui due atti perentori, univoci e personali: gli cambia il nome (da “privato” a “pubblico”) e gli conferisce con esso “il potere delle chiavi”, il munus clavium, col quale lo investe dell’infallibilità (di dottrina e di santificazione), così trasmettendogli un potere assoluto, monarchico, universale, pieno e immediato. Tale supersacramento, o trans-sacramento, non ha eguali, perché esso è il fondamento di tutti gli altri: senza di esso, si noti, non si avrebbe, della Chiesa, né santificazione, né governo (da cui l’unità), né dottrina (a causa dell’infallibilità unicamente petrina). Questa “trans-sacramentalità” va difesa a tutti i costi.
    Anche dimostrando infondato il recente suo Rifiuto: Pietro non può recedere dall’essere Pietro e tornare Simone, non può recedere dal rapporto “trans-personalizzato” posto da Dio con lui, perché la qualità sostanziale di cui è stato investito non può più non essere quella che da Dio (e successivamente dai cardinali elettori) è stata posta in essere. Il carattere impresso a Simone con il nome “Pietro” è eterno, come eterno è d’altronde l’amore dato da Simone a Cristo.
    Simone è trasformato in “Chiesa”: egli è la Chiesa. La Chiesa senza Pietro è nulla. Pietro la riassume in sé tutta.

    I poteri che implicano l’eternità possono essere interrotti solo materialiter, nonsubstantialiter, infatti chi è consacrato sacerdote rimane sacerdote in eterno, che egli sia post mortem eletto al Regno dei Cieli o gettato nelle fiamme perenni, e, per il caso del Papa, chi è eletto Vicario di Cristo resta Vicario di Cristo in eterno, a meno che si voglia credere che non sia eterno l’amore garantito a Cristo con le parole di Mt 16,16: « “Simone di Giovanni, mi ami tu?” “Signore, tu lo sai che ti amo”. ».
    Nella Chiesa esiste un solo sacerdozio in Cristo, come sappiamo, ma i gradi di sacerdozio sono due: uno universale, al quale partecipano tutti i battezzati, e uno sacramentale, conferito con l’Ordine. Ma anche questo grado di sacerdozio, metafisicamente parlando, si distingue, nel pur unico sacramento, in due gradi giurisdizionali: uno è quello di tutti i chierici e vescovi, l’altro quello conferito al Vicario di Cristo, al Papa, in virtù della sua vicarietà: egli solo è rappresentante di Cristo in terra. Dunque quello papale non è eo ipso un sacramento, ma è ad instar sacramenti, a guisa di un sacramento, più di un sacramento, il fondamento dei sacramenti, perché Cristo stesso lo ha voluto per sua stessa natura “pieno, immediato, universale” (cfr. Can. 331).
    Il Papa, inoltre, riceve da Dio ad personam un vincolo mistico tra sé e il Corpo mistico della Chiesa che lo lega a essa con un laccio divino unico, che non ha assolutamente nessun altromembro della Chiesa: esso è il medesimo e identico laccio con cui ad essa con il suo amore divino – e dunque legame divino – è legato Cristo stesso.
    La Chiesa ne è tanto consapevole, che, giusto in questi giorni (il 22 febbraio!), fin dal IV secolo celebra la festa della Cattedra di Pietro, fondamento su cui poggia e in cui è raccolta l’unità della sua dottrina e di essa stessa medesima.
    Questo vincolo, tre volte stretto all’essere dal laccio perentorio della risposta « Signore, tu lo sai che ti amo » alla perentoria domanda di Cristo: « Simone di Giovanni, mi ami tu? », lo può togliere solo la morte. Ma è un’interruzione materiale: l’amore proclamato, dunque affermato come ‘fatto presente nell’essere’, nell’essere rimane in eterno. È il carisma di Pietro.


    3. LA RINUNCIA DI UN PAPA DAVANTI ALLA LEGGE CANONICA
    E DAVANTI ALLA LEGGE METAFISICA DELL’ESSERE

    La rinuncia del ministero petrino non è permessa metafisicamente, e nemmeno misticamente, perché nella metafisica è legata al laccio dell’essere, che non permette che una cosa contemporaneamente sia e non sia, e nella mistica è legata al laccio del Corpo mistico che è la Chiesa, per il quale la vicarietà assunta con il giuramento dell’elezione pone l’esseredell’eletto su un piano ontologico sostanzialmente diverso da quello vescovile: dal piano già alto del sacerdozio sacramentale di Cristo lo pone sul piano ancor più metafisicamente e misticamente alto – e unico – di Vicario di Cristo.
    Dunque la legge è sovrastata dalla metafisica: la storia (la legge positiva, fosse anche canonica, appartiene alla storia) è sovrastata dalla metafisica, dall’ontologia, ossia dalla verità delle cose, dalla legge naturale, ovvero, in primis, dalla legge del principio di non-contraddizione, cui tutto deve sempre e assolutamente obbedire.

    Il Papa Benedetto XVI ha voluto giustificare il suo atto per « essere stato chiamato da Dio a salire sul Monte » (Angelus di domenica 24-2-13), ma, con il rispetto più profondo per il teologo e per il Papa, teologo e Papa dovranno sovvenirsi che Dio “chiama” solo con atti esterni e ben distinguibili da quelli che potrebbero essere scambiati per impulsi della propria volontà, proprio per non permettere né al soggetto né a chi gli è attorno di confondere una scelta divina e soprannaturale con una scelta umana e soggettiva: questi atti esterni e oggettivi sono la nascita, la morte, eventi naturali, circostanze storiche manovrate da terzi (come un’elezione papale), e mai fatti come voci interiori, sogni o anche molto ponderate e ragionevolissime valutazioni, le quali comunque, se avvenute, debbono poi essere sempre suffragate da avvenimenti oggettivi.

    Il Santo Padre sostiene che « resta in modo nuovo presso il Signore Crocifisso nel recinto di san Pietro » (Udienza generale del pontificato, giovedì 27-2-13), ma, Dio mi perdoni, va detto invece che questo « modo nuovo » confligge esplicitamente e palesemente, lo dice la stessa espressione, con il semper et ubique di Leriniana memoria (criterio recepito dal Vaticano I, Cost. Dogm. Dei Filius), cui deve essere improntato ogni atto magisteriale che vuol avere un qualche fondamento in Magistero, Sacra Scrittura e Tradizione. Tale « modo nuovo » è una figura incompossibile con la dottrina cattolica, adattando con evidente arbitrarietà al caso specifico attuale – un Pontefice che vuole sottrarsi a un ruolo di governo per il quale ritiene inidonea la sua indole di studioso; ma allora perché non rifiutare l’elezione, a suo tempo, come pare abbia fatto il cardinale Siri, e forse per ben due volte? Il canone 332.1 gliene dava la più ampia facoltà – una legge canonica che già di suo fuoriesce in tutto dall’ordinamento metafisico. Perché dico “evidente arbitrarietà”? Perché neanche l’Altissimo Soggetto che oggi lo ha congetturato e deciso lo ha saputo supportare con un qualche precedente, anche solo analogico.
    Egli, nella citata Udienza generale, specifica il « modo nuovo » nell’« esercizio passivo del ministero petrino », figura appunto del tutto nuova di ministero, che dovrebbe a suo dire avvicinarsi alla via di san Benedetto da Norcia, di cui porta il nome pontificale, ma tralascia che la via indicata dal grande Patrono d’Europa, distinta in « attiva e passiva », era tracciata per la vita ritirata di preghiera del monachesimo, non per il carisma di triplice e universalemunus tutto proiettato sulla res publica Ecclesiæ che si è visto attinente al Vicario di Cristo: non vi è e non vi può essere un “governo passivo”, ciò è solo una contraddizione in termini: o si governa o non si governa, e il Papa, in quanto Papa, ha il compito specifico di governare, non di pregare. E di ciò si rendeva conto Papa Gregorio Magno, chiamato all’altissimo incarico dal suo stato di benedettino, e se ne lamentava, accettando però la chiamata e adoperandosi fortemente per il suo migliore risultato, tanto da essere chiamato, appunto,Magnus, Grande.

    Sta forse entrando subdolamente nel Ministero sacro una nuova forma di ministero? Si direbbe di sì: quello “attivo”, a termine, e quello “passivo”, « ultimo tratto di strada » dopo l’“attivo”, come se di quest’ultimo si possa prevedere un “dopo”. Tutto ciò – lo dico solo per dare un nome alle cose, lontano da me ogni desiderio di scandalo – è solo un gigantescomonstrum, una terribile figura ministeriale, ripeto, incompossibile con la realtà. Giuridicamente, metafisicamente, misticamente, un qualcosa che non si sa dove collocare, perché il luogo logico dove dovrebbe trovarsi, se per ipotesi essa si trovasse ancora nella realtà, è sbarrato dal principio di non-contraddizione visto sopra allorché è stato congetturato come possibile: è stato congetturato possibile, ma non lo era, e volendolo egualmente, chi lo ha in tal modo voluto ha forzato la realtà, ha creato una irrealtà, una nuvola, per così dire, che però di suo non si trova in nessun luogo.

    4. IL CONFLITTO TRA LEGGE CANONICA E LEGGE METAFISICA
    GENERA RELATIVISMO E PERDITA DEL SENSO DI AUTORITÀ

    Non considerare questi fatti è a mio parere un colpo micidiale al dogma, rinunciare è perdere il nome universale di Pietro e regredire nell’essere ‘privato’ di Simone, ma ciò non può metafisicamente darsi, perché il nome di Pietro, di Cephas, di Roccia, è dato su un piano divino a un uomo che, ricevendolo, non è più solo se stesso, ma “è Chiesa”: « Tu sei Pietro, e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa » (Loc. cit.). Rinunciare, poi, è far decadere nel relativismo e nel transeunte un munus, un carisma, di per sé, come visto, assoluto. Tanto più grave, il colpo, se dato da un uomo di Chiesa, da un Papa, che ha fatto della battaglia contro il relativismo un punto d’onore: la rinuncia è una esplicita e dichiarata «desistenza dell’autorità », come la chiamava Romano Amerio, con quel che segue: soggettivismo, imperio di sé, arbitrarietà, liquefazione e perdita, alla fine, in questa omologazione ai principi liberali ultimi della “società liquida” in cui stiamo con gran difficoltà vivendo, dell’attaccamento, dell’amore al dogma.

    Il dogma rigetta il colpo, e non ne risente, perché l’atto non è stato formalizzato dogmaticamente, ma ne risente la Chiesa nel suo ambito umano, che difatti accusa il colpo nella sua confusione estrema, nella prostrazione e nel turbamento massimi subito corsi per tutta la cattolicità.
    Perdita ulteriore dell’identità delle cose, per cui un Papa può affermare come « modo nuovo » quello che sarebbe solo un « modo proibito »; un « esercizio passivo del ministero petrino » quello che di suo sarebbe in realtà, drammaticamente, solo un « esercizio mancato ». 
    Per non parlare dei nomi con cui si sarebbe deciso di appellare il Papa “dismesso”: « Papa emerito », « Sommo Pontefice emerito », o, come suggerisce il gesuita Gianfranco Ghirlanda, « vescovo di Roma emerito », come se un padre di famiglia possa smettere di fare il padre di famiglia (ma, ricorda Marcello Veneziani, « semel abbas, semper abbas »: una volta padre, sei sempre padre: la paternità nessuno se la può togliere), e in ogni caso ‘emerito’ significa ‘per meriti’, ma ciò confligge con la chiamata, con l’elezione al Soglio, che non è meritoria, non è vocazionale, ma imposta e accettata, e, una volta rinunciata, stride pensare che si possa riverire il rinunciatario
    ‘per i meriti acquisiti’ nell’esercizio di un potere ricevuto.

    Tutto questo solo per dire, con i primi esempi che vengono, che allorché si dissuggella il principio di non-contraddizione, da tale prima falsificazione delle cose si è costretti a passare a una sequela di altre alterazioni sempre più inverosimili che non avrà fine se non con il ripristino della verità prima, di quella verità dissuggellata.

    5. ULTIMA CONSEGUENZA DEL NON RISPETTO DEL PRINCIPIO
    DI NON-CONTRADDIZIONE SARÀ DOMANI LA CREAZIONE,
    FORSE IMPREVISTA E NON VOLUTA, DI UN ANTIPAPA

    Senza contare che si sta realizzando la probabilità che, lasciando che una legge positiva permanga nell’ordinamento canonico malgrado sia in patente contrasto con una legge metafisica che le è superiore e che deve governarla, ciò porta a conseguenze ancor più gravi della gravità dell’atto compiuto a mezzo di quella legge: non potendo in realtà dimettersi il Papa autodimessosi, il Papa subentrante, suo malgrado, in realtà, metafisicamente parlando, che vuol dire nella realtà più vera e che di per sé sorpassa ogni legge storica, non sarà che un antipapa. Ma regnante sarà lui, l’antipapa, non il vero Papa, ora “dimesso”. Siamo tornati ai secoli atri di Guiberto e di Maginulfo, ma ribaltati; dunque ora, di quelli, questo nostro secolo parrebbe anche peggiore.
    “Peggiore”, perché in questo secolo, al contrario dei precedenti, tutto ciò si sta compiendo operando in una specie di “terra di mezzo”, come dico anche nel mio recente Il domani – terribile o radioso? – del dogma (p. 197), nella quale il magistero fluttua da cinquant’anni, ovvero dal concilio Vaticano II, tra il sì e il no, nel dire senza dire, nel grigio acquoso della non-identificazione delle cose, delle dottrine, dei costumi e degli atti, senza prendere posizione ma prendendo una nuova posizione, e questa rinuncia papale è simbolicamente paradigmatica di quella universale rinuncia sotterranea al magistero che in tutta la Chiesa ha caratterizzato questo cinquantennio: che alla fine del cinquantennio il risultato sia un Papa che crede di non essere più Papa e che tutti si nascondono come Papa e d’altro canto un antipapa neanche identificato come tale è sufficiente per riconoscere in tutta la sua universalità il magistero di questo drammatico periodo come magistero ipodogmatico e dedogmatizzante, come magistero rinunciatario di sé: una agonizzante, se non morta, maceria di sé.

    E si noti bene: la rinuncia del Papa è stata accettata da tutti, ovvero da tutti i cardinali e vescovi del mondo (tranne, a essere proprio precisi, che dal cardinale Stanisław Dziwisz, ex segretario particolare di Giovanni Paolo II, che subito affermò: « Non si scende dalla croce »), da tutti i fedeli del mondo, da tutti i movimenti ecclesiali del mondo (tranne Militia Christi, che seppe militare contro) e persino – e più ancora – da tutti i relativisti “laici”, cioè agnostici e atei, massoni e non massoni, del mondo. Nessuno dei cardinali e dei vescovi – tranne il suddetto – si è levato a obiettare l’ingiustizia metafisica e mistica dell’atto, nessuno ha alzato la sua voce per gridare e denunciare il vuoto di realtà che esso produceva nel magistero, nell’identità delle cose e nel concetto primario di autorità. Come faccio notare inIl domani del dogma, dal concilio Vaticano II in qua il linguaggio del magistero è universalmente atono, ipodogmatico, sotto il necessario livello di qualità “aletica”, ossia «conduttrice sana di verità » (p. 237), per il quale è stato istituito. Ma che vi sia quasi universalmente un’omologazione all’errore è dovuto al ruolo dei media e dalla oggi distorta e interessata obbedienza al Trono.


    6. IL VERO ATTO DI CORAGGIO, SCANDALO DEL MONDO,
    È NON SCENDERE DALLA CROCE A NESSUN COSTO, E,
    PER I CARDINALI ELETTORI, NON FARVI SALIRE NESSUN ALTRO:
    L’UNICO PAPA REGNANTE È ANCORA BENEDETTO XVI.

    Il Santo Padre Benedetto XVI ha compiuto e formalizzato il suo atto di rinuncia, si è «ritirato sul Monte ». Ora i cardinali elettori stanno per riunirsi in Conclave. Ma non tutto è perduto: fino a che non viene eletto, la Chiesa non subisce il rovescio di un nuovo antipapa, la sciagura di una « desistenza dell’autorità » tale da trovarsi con due autorità, di cui una metafisicamente e misticamente del tutto nulla. E l’altra, e uso un eufemismo, ma mi si intenda, come minimo in conflitto col principio di non-contraddizione.
    Inoltre, come accennato all’inizio, se i cardinali elettori desistessero dal riunirsi in Conclave, spunterebbero sul nascere gli argomenti con cui la Rinuncia porta a diminuire la distanza tra il Papa e il corpo dei vescovi, argomenti vicini al conciliarismo, alla flessione dell’autorità papale e all’eresia antipapale degli Ortodossi, fatto, questo, da considerare ultimo nell’ordine delle considerazioni, ma solo nel senso che con “ultimo” si intende ‘il più grave’.

    Con nell’animo queste considerazioni, non le “dimissioni”, ma il loro ancora possibile ritiro diventa sì un atto di soprannaturale coraggio, e Dio solo sa quanto la Chiesa abbia bisogno di un Papa soprannaturalmente, e non umanamente, coraggioso. Un Papa cui non inneggino i liberali di tutta la terra, ma gli Angeli di tutti i Cieli.
    Un Papa martire in più, giovane leoncello del Signore, porta più anime al Cielo che cento Papi dimissionati (quanti potrebbero essere da oggi in futuro i Papi).

    Atto dunque dettato da argomenti soprannaturali, riconoscendo che dalla Croce gloriosa non si scende perché comunque non si può scendere, meglio: perché, pur tentati, non c’è la strada per scendere, e la strada che si intravvede esservi non è vera, non è reale, ma è una strada di nuvole, è strada di niente, e tanto più non può scendere e percorrere quella strada inconsistente la persona del Papa: la propria libertà, in specie se libertà di Papa, è affissata, è inchiodata alla volontà divina, unica, potente e vera Realtà che sulla Croce mistica ha voluto con sé il suo Vicario.

    Enrico Maria Radaelli
    Director of Department of Æsthetic Phylosophy
    of International Science and Commonsense Association (Rome)
    www.enricomariaradaelli.it


    su Riscossa Cristiana del 19 marzo 2013

     

     

    SpdMI modernisti stanno organizzando un’operazione in grande stile per accaparrarsi il Papa giocando sulla carta, sempre molto efficace, della simpatia universale che Papa Francesco ha suscitato nei suoi confronti per le sue parole, i suoi gesti e i suoi precedenti da Cardinale che ce lo fanno vedere come un uomo semplice e umile, vorremmo dire “francescano”, fortemente sensibile ai bisogni dei poveri e contrario agli atteggiamenti della prepotenza, dell’avarizia e della mondanità.

    Dopo aver mandato avanti Vito Mancuso, i modernisti di recente ci hanno propinato altri due eminenti e famosi rappresentanti del più raffinato modernismo: Leonardo Boff sul sito comunista Bandiera Rossa ed Hans Küng sul sito Leggioggi. La mossa è abile e nel contempo perfida, tutta intrisa del loro caratteristico secolarismo, che li porta ad argomentare non come uomini di fede, consapevoli di quello che è il ministero petrino, il carattere sacramentale e il fine soprannturale della Chiesa, nonché le vere esigenze evangeliche della dottrina, dell’etica e della vita cristiane, ma con lo stesso stile col quale si ragiona di politica, di affari, in una prospettiva  meramente umana e terrena, senza alcuna apertura o comprensione per l’autentica realtà della Chiesa Sposa di Cristo Crocifisso, come ha già detto con chiarezza Papa Francesco. Inoltre non mancano le velate minacce di insuccesso mondano, cosa che alla Sposa di Cristo avvezza a seguire il suo Sposo Crocifisso, non desta particolare preoccupazione. Essa sa comunque che il suo Sposo ha vinto il mondo e che pertanto essa attende serenamente la vittoria.

    Ma già queste parole del Papa sono cadute nel vuoto per i modernisti, i quali, come  è loro abitudine, si stanno costruendo un Papa ad usum delphini senza rendersi conto di quanta delusione proveranno tra poco, delusione che li trasformerà da dolci ed entusiasti adulatori in feroci e sarcastici nemici, anche se noi come cattolici, dobbiamo sempre sperare e pregare per la loro conversione.

    Qualcosa di simile successe anche quando fu eletto Benedetto XVI. Immediatamente dopo la sua elezione Hans Küng, il quale aveva lavorato insieme con Ratzinger come perito al Concilio Vaticano II, per cui c’era stata una vecchia amicizia, si precipitò dal Papa ed ebbe con lui un colloquio di due ore nel quale molto probabilmente egli, ricordando la vecchia amicizia, tentò di avvicinare il Papa ai modernisti.

    Sennonchè però già da molti anni Ratzinger si era opposto ad essi soprattutto nella loro tendenza rahneriana, per cui non ci fu nulla da fare. Allora Küng, su tutte le furie, si scagliò contro il Papa, riprendendo la sua vecchia abitudine che gli aveva causato l’intervento da parte di Roma, la quale gli tolse il titolo di “docente cattolico”.

    E’ questo del resto il tradizionale metodo degli eretici, i quali o attaccano il Papa direttamente spesso con insulti e calunnie, oppure cercano di portarlo dalla loro parte. Esempio famoso di questo atteggiamento fu quello di Giordano Bruno, il quale venne in Italia dall’estero con l’intento e la speranza di convincere il Papa delle sue idee. Ma, come sappiamo, mal glie ne incolse, anche se naturalmente e giustamente la Chiesa oggi ha abbandonato una tale severità.

    Ma la perfidia dell’operazione dei modernisti consiste nel tentativo assurdo di squalificare Papa Ratzinger presentato come un retrivo legato al potere della Curia Romana, dalle visuali ristrette ed insensibile al grido dei poveri, mentre ogni speranza è volta nel nuovo Papa, così come si fa quando caduto un dittatore ci si getta nelle braccia, non si sa con quanto sincerità, del nuovo regime che ha cacciato quello precedente. Dal che noi vediamo con quanta miopia questi modernisti prendono in considerazione e valutano l’operato e il dovere del Sommo Pontefice.

    Così, in questo quadro meschino di considerazioni, le dimissioni di Papa Ratzinger, secondo Boff, sarebbero state causate dal “fallimento della sua teologia” arretrata ed autoritaria, come se il Magistero pontificio fosse il riflesso delle personali idee più o meno discutibili  dello stesso Papa e non l’espressione del Magistero perenne, universale ed infallibile della Chiesa.

    In realtà, come ho spiegato di recente su questo sito, Benedetto XVI, come appare da molti segni e prove e non dalla fantasia morbosa ed ipocrita di Boff, si è trovato impari all’impresa di continuare a guidare una Chiesa all’interno della quale i modernisti hanno dato la scalata al potere, sino a giungere di recente, come testimonia per esempio l’affare Gabriele, all’interno stesso della Segretaria di Stato. Tali modernisti, anche se non lo vogliono riconoscere, sono alleati ed espressione del grande potere finanziario massonico corruttore e corrotto internazionale, oppressore delle grandi masse di poveri nel mondo, compresa l’America Latina.

    In tal modo Papa Ratzinger si è trovato nell’impossibilità di continuare il suo ministero, che era in procinto di esprimersi con un’enciclica sulla fede, la quale certamente avrebbe smascherato le mene dei corruttori della Chiesa, cosa per loro evidentemente insopportabile e che li ha spinti a bloccare il Papa.

    Naturalmente se questi mestatori hanno fermato un Papa, certamente non potranno fermare il Papato, e per questo a Papa Benedetto è succeduto Papa Francesco, ma i modernisti non si illudano che il nuovo Papa smentisca o cambi quella linea di dottrina e di governo, che non ha caratterizzato Ratzinger in quanto persona privata, ma il Magistero della Chiesa come tale, chiamato nella perennità e nell’universalità della sua dottrina a sfidare i secoli e a guidare l’umanità alla pienezza finale del Regno di Dio.

    D’altra parte, non pensino i modernisti che Ratzinger ora stia zitto, anche se egli con tanta umiltà e forte spirito religioso, ha detto di volersi ritirare nella solitudine e nel silenzio per prepararsi al finale incontro col Signore. Tuttavia Ratzinger, rivolgendosi ai fedeli, pochi giorni prima di lasciare il ministero, ha detto bensì loro di “lasciare il mondo”, ma non la Chiesa, cosa che evidentemente significa che egli, considerando la sua grande cultura di teologo e la sua lunga e ricca esperienza di pastore, certamente sente ancora la responsabilità di dare un suo contributo al bene della Chiesa nella piena comunione e sottomissione al nuovo Vicario di Cristo. E sono certo che quest’ultimo, con l’umiltà che lo caratterizza, sarà ben contento di sentire i pareri del Papa emerito.

    Potremmo aggiungere che un elemento sul quale i modernisti certamente cercheranno di far leva sono le recenti lodi fatte dal Papa al Card. Kasper per un suo libro dedicato alla misericordia divina, tema evidentemente fondamentale dell’etica cristiana, e dal quale il Papa ha preso spunto per offrirci alcune sagge parole.

    Occorre a tal riguardo notare subito, al fine di sventare una probabile mossa dei modernisti, che le lodi di Papa Francesco non vanno certamente alla teologia di Kasper nel suo complesso, e questo è molto importante, giacchè purtroppo il Kasper, prima di essere elevato al cardinalato, scrisse alcune opere di cristologia contenenti tesi non conformi alla dottrina della fede, come ho illustrato e documentato nel mio libro “Il mistero della Redenzione”[1].

    Il difetto della cristologia di Kasper riguarda in modo particolare la concezione della Redenzione, nella quale non emerge il tradizionale aspetto espiatorio e riparatore dell’opera di Cristo come soddisfazione vicaria data al Padre per il peccato dell’uomo e quindi per la remissione dei peccati, come dice il Concilio di Trento: “satisfecit pro nobis”.

    Questa, che è la più grande opera di misericordia che il Padre ha compiuto nel Figlio e nello Spirito Santo per la salvezza dell’uomo, è invece interpretata da Kasper, con esplicito riferimento ad Hegel, in modo dialettico, ossia come ritorno di Dio a Dio nella sintesi dialettica che si opera sulla base dell’autoalienazione di Dio. Traducendo in termini teologici, la croce di Cristo appare in questa visuale come Dio che nega sé stesso, mentre l’accettazione che il Padre fa del sacrificio di Cristo, si presenta sempre in modo dialettico come la ricongiunzione di Dio Figlio con Dio Padre.

    Ora è evidente che in questa visuale non si salva la visione cattolica della misericordia divina, che invece appare non come un mistero di fede, ma come il risultato di un processo dialettico per lo più basato su di una contraddizione tra Dio e Dio che mette in crisi quella che è la semplicità e l’unità della natura divina, nonché l’amore che unisce il Padre al Figlio, anche se il Padre ha chiesto al Figlio di sacrificarsi per la salvezza del mondo.

    Dobbiamo allora osservare che la vera misericordia nel senso cristiano non è una semplice solidarietà con i poveri o una compassione per i sofferenti, cosa che si nota anche in altre religioni come per esempio il buddismo. Infatti nel citare le parole di Kasper, il Papa presenta la misericordia come semplice sentimento umano, il che naturalmente non è sbagliato, però non è ancora sufficiente e questo è testimoniato dal fatto che il Pontefice riprende per conto proprio il discorso di Kasper e lo approfondisce in un senso autenticamente cristiano.

    Questo significato cristiano della misericordia è legato all’opera della riparazione, che è innanzitutto quella di Cristo, che si offre al Padre al nostro posto non perché noi siamo esentati dal dovere di collaborare a quest’opera riparatrice, ma per il semplice fatto che Cristo, essendo Dio, è solo Lui in grado di compensare adeguatamente il Padre per l’offesa infinita del peccato.

    Invece purtroppo nella cristologia di Kasper, mancando il concetto della riparazione, viene compromesso anche il significato autentico della misericordia cristiana, la quale, come insegna San Tommaso, ha condotto il Padre celeste a darci in Cristo la possibilità di riparare ai nostri peccati. Pertanto l’opera della misericordia comporta certamente l’attenzione ai sofferenti e ai bisognosi, ma da un punto di vista cristiano va intesa soprattutto come opera di liberazione dell’uomo dalle tenebre del peccato.

    In questa visuale San Tommaso poteva dire che la più grande opera di misericordia è condurre il fratello dalle tenebre dell’errore alla luce della verità, anche se è chiaro che in certe circostanze, nelle quali l’uomo è afflitto dalla fame del cibo materiale, occorre innanzitutto sovvenirlo in questo nell’intento ultimo di soddisfare la sua fame di Dio.

     

     


    [1] Ed. ESD, Bologna, 2004.



    [Modificato da Caterina63 02/10/2014 13:39]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 30/09/2014 15:39


      due articoli diversi e distanti, ma entrambi uniti dalle domande sempre più agguerrite....




    Diario Vaticano / "Seguo quello che i cardinali hanno chiesto"

    I vincoli del preconclave sul governo di Francesco. Gli accordi legati all'elezione di un papa sono illeciti e invalidi. Ma in pratica ci si va molto vicino 

    di Sandro Magister




    CITTÀ DEL VATICANO, 1 luglio 2014 – "Parimenti, vieto ai cardinali di fare, prima dell'elezione, capitolazioni, ossia di prendere impegni di comune accordo, obbligandosi ad attuarli nel caso che uno di loro sia elevato al pontificato. Anche queste promesse, qualora in realtà fossero fatte, sia pure sotto giuramento, le dichiaro nulle e invalide".

    Questo stabilisce la costituzione apostolica "Universi dominici gregis" che regola l’elezione del papa, emanata da san Giovanni Paolo II nel 1996 e tuttora in vigore.

    Storicamente vengono definiti "capitolazioni" o "capitolati elettorali" gli accordi tra i cardinali riuniti in conclave mirati a vincolare il futuro pontefice ad alcuni atti che potrebbero risultare restrittivi della sua libertà d'azione.

    Il primo capitolato entrato nella storia sembra essere stato quello del 1352 nel conclave avignonese che vide l’elezione di Innocenzo VI, il quale però, una volta eletto, lo dichiarò invalido.

    E in effetti più volte i papi, dopo l'elezione, rinnegarono i patti stipulati con gli ex colleghi cardinali.

    Patti che a volte impegnavano l'eletto a prendere provvedimenti per l’effettivo bene della Chiesa, ma in altri casi rispondevano invece a interessi personali o di gruppo. Tanto che alla fine si decise che dovessero essere formalmente proibiti. 

    La proibizione entrò in opera con le regole per i conclavi promulgate da un altro papa santo, Pio X, nella costituzione apostolica "Vacante Sede Apostolica" del 1904 che così recitava:

    "Ugualmente proibiamo che i cardinali, prima che procedano all'elezione, stipulino capitolazioni ovvero stabiliscano qualche cosa di comune consenso, all'osservanza dei quali s'impegnano se sono assunti al pontificato. Tali cose, se 'de facto' succedessero, pure con annesso giuramento, le dichiariamo nulle e irrite".

    Questa disposizione – che non prevede però nessuna pena per chi la trasgredisca, ferma restando la piena libertà del nuovo papa rispetto a questi accordi – è stata ribadita da tutti i successivi documenti sul conclave, fino a quello, come abbiamo visto, emanato da papa Karol Wojtyla.

    Gli eventuali capitolati pattuiti prima o durante un conclave sono quindi non solo formalmente proibiti in quanto illeciti, ma anche praticamente inefficaci, perché comunque l'eletto non è tenuto a rispettarli, quand'anche li abbia concordati. 

    Nelle cronache di questi ultimi decenni si ricorda però che nel conclave dell'ottobre del 1958 alcuni porporati della curia romana si sarebbero assicurati che, in caso di elezione, il patriarca di Venezia Angelo Roncalli avrebbe scelto quale segretario di Stato monsignor Domenico Tardini. Ed effettivamente così avvenne la sera stessa dell'elezione di Giovanni XXIII.

    Nel successivo conclave del 1963 i cardinali centroeuropei si sarebbero decisi a candidare il cardinale di Milano Giovanni Battista Montini con un "capitolato elettorale" che includeva la continuazione del Concilio Vaticano II.

    Nel 1978 si raccontò invece che il cardinale Giuseppe Siri, se eletto papa, avrebbe dovuto comunque prendere in considerazione la proposta di garantire la carica di segretario di Stato al concorrente cardinal Giovanni Benelli. Mentre – sempre si raccontò – il patriarca di Venezia Albino Luciani sarebbe stato eletto papa, come effettivamente avvenne, con la concomitante certezza che non avrebbe nominato segretario di Stato il temuto Benelli.
      
    Nel conclave che ha eletto Jorge Mario Bergoglio non risulta vi siano stati patti formali o giurati tra i cardinali.

    Cionondimeno più volte papa Francesco si è professato vincolato da alcune indicazioni fornite dai cardinali nel corso delle riunioni di preconclave.

    Lo ha ribadito di recente, in modo più articolato del solito, nell’intervista data a Franca Giansoldati su "Il Messaggero" del 29 giugno. 

    In essa ha detto:

    "Sul programma [di governo ecclesiastico] seguo quello che i cardinali hanno chiesto durante le congregazioni generali prima del conclave. Vado in quella direzione. Il consiglio degli otto cardinali, un organismo esterno, nasce da lì. Era stato chiesto perché aiutasse a riformare la curia. Cosa peraltro non facile perché si fa un passo, ma poi emerge che bisogna fare questo o quello, e se prima c'era un dicastero poi diventano quattro. Le mie decisioni sono il frutto delle riunioni preconclave. Nessuna cosa l'ho fatta da solo".

    Alla domanda se in questo avesse seguito un "approccio democratico", il papa ha inoltre risposto:

    "Sono state decisioni dei cardinali. Non so se un approccio democratico, direi più sinodale, anche se la parola per i cardinali non è appropriata".

    Questo quanto detto da papa Bergoglio. Stando alle forme, non vi sarà stato un capitolato o una capitolazione che dir si voglia. Ma nella sostanza vi si è andati vicini.

    Il consiglio degli otto cardinali che Francesco ha creato in ossequio a questo mandato è riunito proprio in questi giorni in Vaticano.

    __________


    L'intervista di papa Francesco a "Il Messaggero", riprodotta integralmente da "L'Osservatore Romano":

    > Cambio d'epoca

     



    __________
    1.7.2014 







    Prove di scisma?
     

    di F. R.





    Abbiamo appreso dal web la prossima uscita del nuovo libro di Antonio Socci [Non è Francesco. Ed. Mondadori, in uscita per i primi di ottobre], giornalista cattolico, autore di preziosi volumi di carattere apologetico, personaggio pubblico dalla vena proficuamente polemica in difesa della fede (pro veritate), palesata in alcuni interventi durante trasmissioni televisive, di fronte all’attacco dei nemici della Chiesa, col solito tormentone di luoghi comuni, vecchi e stravecchi e mai seriamente argomentati.

    Chiaramente non possiamo condividere tutto del Socci/pensiero, ma gli vanno sicuramente riconosciuti dei meriti in quest’epoca di estrema confusione.

    Ora il testo che abbiamo citato in apertura avrà ad oggetto uno scottante argomento di attualità in ordine alla convivenza dei "pontefici", uno in carica l'altro emerito.

    Stando a quanto scritto dai media l’autore si proporrebbe niente meno che di smontare la legittimità canonica dell’elezione di Bergoglio; ovviamente, allo stato attuale, non siamo qui a disquisire di un testo che non abbiamo neppure sfogliato, ci ripromettiamo tuttavia di leggerlo, appena possibile, per averne contezza e poter cosí debitamente affrontare la tematica in questione; al momento, possiamo solo riflettere su alcuni aspetti correlati alla questione.

    In realtà, come ben sanno i lettori di Una Vox, l’obiezione immediata alla rinuncia ed al conseguente conclave, fu tempestivamente sollevata dal prof. Radaelli, il quale spostava il dibattito a livello metafisico, ravvisando l’esistenza di uno iato tra la realtà spirituale, secondo quanto voluto ed ordinato da Dio e quella fattuale, determinatasi dai comportamenti e dalle scelte degli uomini; in questo caso specifico, parafrasando il professore, ci troveremmo di fronte ad un conclamato “abuso di potere spirituale”, al punto da generare l’ipotesi di una vera e propria illegittimità elettiva del successore di Pietro, dopo BXVI; un vero antipapa.

    Questo terrificante scenario sembra ricevere implicita conferma alla luce del tempestoso uragano, di nome Bergoglio, che con tutta l’irruenza del primo ed apparentemente innocuo “buonasera” ha investito il globo cattolico, partendo dall’Argentina. In realtà - anche se ora e quasi timidamente, qualcuno dell’alto clero si “affaccia” per rappresentare all’attuale Pontefice la mancata corrispondenza di alcune sue posizioni, tacitamente ammesse e/o distrattamente/volutamente, ma comunque colpevolmente (visto i nefasti esiti di confusione!), ambigue, poco chiare o per lo meno contraddittorie (nei confronti del Magistero perenne della santa Chiesa) - resta il fatto che anche l’ala del modernismo moderato si sorprende o finge di esserlo, di fronte al vento di novità che soffia con violenza sulla barca di Pietro. 
    Sgomento generale.

    Il libro di Socci può essere inquadrato in questo contesto. L’autore sono ormai settimane che non nasconde pubblicamente le proprie perplessità e finanche il proprio dissenso nei confronti delle posizioni politico-strategiche del Papa e del proliferare omiletico di eretiche imprecisioni presenti nelle quotidiane meditazioni in santa Marta.
    Ma il libro di Socci, che è un giornalista noto ed accreditato del mondo cattolico, esponente di CL, “peserà” e, ad avviso di chi scrive, non farà altro che trasformare l’uragano Bergoglio in uno tsunami.
    In realtà lo scrittore toscano, in questa sua “svolta, apparentemente, tradizionalista” prende posizione contro Francesco, ma si schiera neanche tanto velatamente a favore di Benedetto XVI, identificandolo come attuale regnante.

    Ora il passaggio è importante perché, come succede spesso quando le persone pensano di poter irrimediabilmente non trovare soluzioni per il tempo presente, ci si rivolge al passato, “ai nostri tempi” - fuga dalla realtà certamente non evangelica: Cristo insegna a vivere il giorno con un minimo di sapiente e prudente pianificazione dell’avvenire, obbligando in primis alla ricerca del Regno e della sua giustizia ed abbandonando il resto alla Provvidenza) – illudendosi di trovare un appiglio o una soluzione solitamente utopistica…; ebbene, di fronte alla tempesta Bergoglio, molti cattolici, i vecchi “normalisti” - quelli che, spesso semplicemente per disinformazione o poca curiosità intellettuale, neppure s’erano accorti che c’era stato un Concilio - rimpiangono Benedetto, il defensor traditionis, a loro dire, come panacea di tutti i mali presenti.

    Come sanno bene i lettori di Una Vox, in realtà Benedetto non rappresenta affatto la restaurazione in Cristo del pensiero degli uomini di Chiesa. È vero, con lui abbiamo avuto cose buone, la “liberalizzazione della Santa Messa” - con ciò stesso dimostrando l’inesistenza di una possibile abrogazione di un rito della Santa Chiesa, cosa del resto nota al semplice buon senso (valga per tutti questo esempio: se da domani il Papa abolisse il Padre Nostro sostituendolo con preghiere alternative e vagamente simili: sarebbe un abuso, un’impossibilità! E allora è chiaro che ognuno, malgrado l’eventuale imposizione, sarà libero di continuare a pregarlo)  - ed al contempo l’inesistenza delle scomuniche destinate ai vescovi tradizionalisti, rimesse senza che di fatto né di diritto, almeno al momento in cui tale remissione ha avuto luogo, sia cambiato nulla nella diversità di posizioni.

    Detto questo, ribadiamo, non è con Benedetto XVI che si avrà nuovo splendore. Del resto proprio alcune sue determinazioni: il discorso di “addio”, quello che spiegava il fraintendimento conciliare attribuito ai media; la voglia di novità espressa in uno dei suoi ultimi “Angelus” ed il gesto stesso delle dimissioni, sono state chiavi di apertura all’evento Francesco. Quello che forse molti ignorano infatti è che Francesco è in perfetta continuità col modernismo postconciliare; si obietta: non è vero, c’è frattura evidente con i precedenti GPII e BXVI; ebbene, questo sì, per certi versi, forse è così, ma in fondo la matrice è la stessa; Francesco rappresenta il precipitato ecumenico/lassista/sentimentalista delle aspirazioni dei Padri conciliari, così come difese, promosse o anche solo tollerate dai pontefici regnanti. 
    Non avremmo Francesco, se Benedetto non avesse rinunciato; non avremmo Francesco, se GPII non lo avesse nominato cardinale. Bastano queste piccole evidenze.

    Tutto quanto premesso e precisato, ci si domanda se questa mossa, il rimpianto di Ratzinger e la contestazione di Bergoglio, possa essere tutta una tattica studiata ad arte per creare un imponente scisma interno. 
    No, Socci non c’entra; al massimo egli rappresenta l’ala spavalda del “rammarico dei bei tempi”, inconsapevole esecutore di portati altrui. Ma perché proprio ora, proprio al ridosso del Sinodo che dovrebbe “scardinare i cardinali”, posti uno contro l’altro, ora più che mai, per disputarsi le vesti di Cristo sul matrimonio cristiano?

    Ed in questo contesto, se fosse davvero così… se avessimo Papa contro Papa o il revival di BXVI… che posto avrà la santa Tradizione?

    Non si illudano i pro Ratzinger di vederla collocata in un posto differente dal folclore popolare.




    <header class="entry-header">

       LA PROVOCAZIONE:

    Antonio Socci spiega perché “Non è Francesco”

    </header>

    Le regole forse violate durante il Conclave. L’elezione di Bergoglio nulla, e la grande rinuncia di Ratzinger, che pure ha voluto restare papa emerito. L’autore cattolico ci dice tutto del suo ultimo libro. E non solo…

    di Gianluca Veneziani

    «Vi state sbagliando, chi avete eletto non è, non è Francesco». Si potrebbe sintetizzare così, parafrasando il verso di una celebre canzone di Lucio Battisti, il nuovo libro del giornalista e scrittore Antonio Socci (Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta, Mondadori, pp. 296, euro 18), dedicato a Papa Benedetto XVI, rivolto a Papa Francesco e destinato ai tanti lettori, credenti e non, desiderosi di saperne di più sull’inedita convivenza tra due pontefici in Vaticano. Secondo l’autore, Jorge Mario Bergoglio non è Francesco in un doppio senso: atteggiamenti pastorali e scivoloni dottrinali lo tengono distante dal modello di vita e dall’ortodossia cattolica di san Francesco; e soprattutto – ed è qui lo scoop del libro – irregolarità procedurali durante il Conclave renderebbero nulla la sua elezione al pontificato, privandolo in sostanza anche del nome Francesco.

    7184NveirCLSocci, partiamo dal primo aspetto. Bergoglio – Lei sostiene nel saggio – porta il nome del fraticello d’Assisi, senza però emularne né la vicinanza agli ultimi né la fedeltà alla dottrina. Ci spieghi meglio.

    In un capitolo riporto le lettere di san Francesco a governanti, magistrati, laici e sacerdoti del suo tempo e suggerisco un paragone tra i due Francesco: il semplice confronto fa percepire la diversità dei due approcci. San Francesco, ai potenti, non parlava di pace o ambiente, ma li esortava a professare la fede cattolica, per la salvezza delle loro anime e dei loro popoli. Allo stesso modo, rivolgendosi ai preti, non faceva alcun cenno alla retorica sociale di sostegno alle classi popolari, ma diceva che la cosa fondamentale era tributare il massimo onore “al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo” e amministrare bene l’Eucaristia. Questo è il san Francesco vero, non quello delle figurine, l’icona mediatica inventata nel ’900. Quanto alle frequentazioni, mi pone almeno qualche interrogativo che Bergoglio riceva costantemente Scalfari, telefoni a Pannella e trovi tempo da dedicare a Maradona, ma non accolga il capo dei Francescani dell’Immacolata – ordine di cui anzi ha deciso il commissariamento – , faccia saltare la visita all’ospedale Gemelli, con i malati in attesa sotto il sole, e non risponda agli appelli di una madre, come Asia Bibi, che marcisce in un carcere pakistano per la semplice “colpa” di essere cristiana.

    Quanto al secondo significato del titolo del saggio, quali sono le ragioni che invaliderebbero l’elezione di Bergoglio?

    Premetto che nel libro non intendo emettere sentenze, ma porre problemi. Non voglio decidere io chi sia il papa e chi no, perché il responso ultimo lo può dare solo la Chiesa. Mi chiedo tuttavia se, essendosi verificate alcune circostanze, si possano configurare i termini di applicazione dell’articolo 76 della Universi Dominici Gregis (la Costituzione apostolica che stabilisce le regole del Conclave, ndr), il quale afferma: “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritta nella presente Costituzione […], essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta”. Ebbene, nel caso dell’elezione di Bergoglio, secondo me ci sono state almeno tre violazioni della procedura. Uno: la votazione precedente a quella in cui è stato eletto Bergoglio – come raccontato dalla giornalista Elisabetta Piqué e poi confermato da alcuni cardinali – è stata annullata perché un porporato aveva involontariamente deposto nell’urna due schede attaccate (una con il nome del suo prescelto e una bianca). Ebbene, quell’annullamento dello scrutinio non doveva avere luogo perché l’articolo 69 della Costituzione apostolica stabilisce che in nessun caso può essere annullata la votazione “qualora nello spoglio dei voti gli Scrutatori trovassero due schede piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore”. Due: durante la conta seguita a quella votazione le schede sono state aperte, al punto da scoprire un foglietto vergato e l’altro bianco. Ciò è impedito dalle norme, che prevedono che le schede vengano aperte solo durante lo scrutinio. Tre: dopo l’annullamento della suddetta votazione, quel 13 marzo 2013 si è proceduto a una quinta votazione (proprio quella in cui è stato eletto Bergoglio), laddove la Costituzione apostolica prevede che si debbano fare solo quattro votazioni al giorno, due al mattino e due al pomeriggio. Vorrei chiarire che non si tratta di semplici cavilli, ma di questioni sostanziali, che determinano la realtà, cioè l’elezione o meno di un Papa. Su queste basi fondate, mi domando: “Possiamo ritenere l’elezione di Bergoglio non valida?”. E di questa situazione, ci tengo a sottolineare, Bergoglio non ha alcuna responsabilità. Semmai ne è la parte lesa.

    Alcuni commentatori, come Maurizio Crippa su “Il Foglio”, hanno attaccato il suo libro definendolo «un plot improbabile oltre i confini della decenza», e messo in discussione il capitolo sull’invalidità dell’elezione del Papa, in quanto non terrebbe conto che nella procedura dell’elezione annullata è stato seguito correttamente l’art. 68 della Costituzione apostolica. Come risponde?

    Quanto a Crippa, mi pare che non abbia nemmeno letto il libro. Quanto alla sua argomentazione, non è esatta, perché l’articolo 68 – quello che lui cita – riguarda i casi generici in cui nell’urna si trova una scheda in più: allora sì, succede che “se il numero delle schede non corrisponde a quello degli elettori, bisogna bruciarle tutte e procedere subito a una nuova votazione”. La vicenda di cui sopra riguarda invece il caso specifico in cui un cardinale inserisce per sbaglio due schede attaccate nell’urna. Allora, come recita la Costituzione apostolica, in nessun caso viene annullata la votazione. L’articolo 68 e 69 non sono dunque in contraddizione: il primo serve a evitare che un cardinale voti due volte, falsando l’elezione. Il secondo scongiura invece il rischio che un cardinale saboti l’elezione, di volta in volta aggiungendo una scheda in più per annullare automaticamente lo scrutinio.

    Veniamo alle critiche che Lei muove all’approccio di Bergoglio nei confronti dei fedeli e dei media. Da un lato, Le parla di un «culto della personalità» del pontefice, alimentato da telecrazia e demoscopia, fenomeno che lo stesso Papa ha definito «francescomania». Dall’altro, ricorda le parole di Bergoglio molto critiche verso «i Capi della Chiesa lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani». Non c’è tuttavia il pericolo che Francesco si compiaccia e divenga oggetto dell’adulazione, che lui stesso denuncia?

    È lo stesso Gesù nel Vangelo a dire “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno tutti bene di voi” e “Beati voi, quando diranno ogni sorta di male contro di voi, per causa mia”. Qualunque cristiano dovrebbe essere molto cauto, quando viene troppo acclamato dal mondo. In pochi mesi, ad esempio, l’immagine di Papa Francesco è stata lanciata su tutte le copertine di giornali laicisti e anti-cattolici. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme. Se un anticlericale e un antipapista come Scalfari gloria di continuo Francesco, c’è qualcosa che non va. E il pontefice dovrebbe essere in grado di rifiutare gli applausi tendenziosi di chi prova a tirargli la tonaca da una parte e dall’altra. Anche perché i primi a trovarsi a disagio sono i cattolici, che si sentono dire da anti-cattolici convinti: “Il Papa la pensa come noi”. Ciò significa lasciare il proprio gregge allo sbando. E questo un pontefice non lo può fare.

    Come si possono spiegare le ripetute affermazioni incaute di Bergoglio sui temi dottrinali? Con una mancata preparazione teologica, con una leggerezza dovuta al fatto di parlare spesso a braccio o con un tentativo voluto di compiacere il mondo e le sue derive?

    Probabilmente, c’è una combinazione dei primi due elementi. Quanto al terzo, di sicuro Bergoglio preferisce dire cose gradite ai media laicisti e mantenersi sul politically correct. Trovo però sorprendente, riguardo al rigore dottrinale, che lui abbia teorizzato il pensiero incompleto. Cosa voglia dire non lo so, ma mi sembra preoccupante. Gli ho sentito negare due volte la moltiplicazione dei pani e dei pesci, derubricandola a una parabola, l’ho sentito rampognare coloro che fanno discorsi ortodossi, e l’ho sentito dire perfino che “Dio non è cattolico”, un’espressione mai ascoltata in duemila anni di cristianesimo. Se così fosse, ne deriverebbe che anche il suo portavoce sulla Terra, il Papa, non è cattolico. Ma come si fa a essere Papa, se non si è cattolico?

    Oltre alle parole del Papa, pesa anche il suo silenzio su alcuni argomenti scottanti. Bergoglio parla malvolentieri di etica e principi non negoziabili, accusando chi lo fa di esserne ossessionato, e tace sui cristiani perseguitati in Iraq e Siria. Questa sua reticenza si potrebbe definire un silenzio colpevole sugli innocenti (i feti uccisi, i cristiani massacrati ecc…)?

    Non voglio ergermi a giudice, ma sinceramente rimango sconcertato. L’aborto fa ogni anno 50 milioni di vittime in tutto il mondo, più i 50 milioni di donne che subiscono questo trauma. Gli ultimi due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno suonato forte l’allarme su questo dramma. Vuol dire forse che sono ossessionati? Allo stesso tempo, sento dire Bergoglio che la vera piaga della Chiesa è la maldicenza delle parrocchie. Mi verrebbe da ipotizzare di conseguenza che Papa Francesco sia a sua volta ossessionato dal tema della maldicenza, che non mi sembra esattamente il primo dei mali dell’umanità. Quanto ai cristiani cacciati e condannati a morte, durante la prima offensiva dell’Isis ad agosto, Bergoglio non ha mai usato l’espressione “cristiani perseguitati”, per non urtare la suscettibilità del mondo musulmano. Anche la sua posizione sul rifiuto a prescindere dell’uso della forza non è compatibile con la realtà. I predecessori di Francesco prevedevano l’uso della forza per difendere gli inermi da un ingiusto aggressore. Non puoi andare a convincere un terrorista con un’omelia. Puoi provare magari a parlare con il Califfo, ma difficilmente riuscirai a farlo desistere dai crimini solo con il dialogo.

    Lei nel libro allude anche ad alcune deviazioni liturgiche da parte di Papa Francesco: il trasformare le messe in musical, il non genuflettersi davanti al Tabernacolo. Anche qui si tratta di una rinuncia alla forma che intacca la sostanza?

    Sui riti cantati e i cori da stadio, mi riferisco soprattutto alla celebrazione di Rio de Janeiro durante la Giornata Mondiale della Gioventù. Anche il non inginocchiarsi durante l’Eucaristia o il rimanere in piedi durante la celebrazione del Corpus domini sono cose che lasciano stupiti. Mi è stato detto che Bergoglio non si inginocchia perché ha problemi all’anca. Eppure in tante altre occasioni, anche meno importanti, io l’ho visto inginocchiarsi…

    Ultimamente Francesco ha ripreso un’immagine di Benedetto XVI sulla Chiesa come barca che sta per affondare, sballottata dalla tempesta. E ha invitato a «remare tutti insieme sulla barca di Pietro», aggiungendo «io stesso remo». Il Papa rema come tutti i fedeli, ma non dovrebbe essere invece il timoniere della barca?

    La metafora della barca risale a Paolo VI, ancor prima che a Ratzinger. Papa Montini diceva che la barca della Chiesa rischiava il naufragio per cause dottrinali, per la perdita della fede, per l’attacco del mondo. Bergoglio invece non spiega cosa voglia dire quell’espressione né quale sia la causa dell’imminente naufragio. Perciò mi chiedo: a quale tempesta Francesco fa riferimento?

    Il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante il conclave del 2013.

    Il cardinale Jorge Mario Bergoglio durante il conclave del 2013.

    Bergoglio ha scelto il nome Francesco, ma ha disgregato l’ordine dei Francescani dell’Immacolata. È un gesuita, ma non si attiene al voto dei gesuiti, che rifiutano di accettare cariche ecclesiastiche. È la conferma di un atteggiamento incoerente da parte del Papa, di un suo dire che non corrisponde al fare?

    Francesco, in un’omelia in Corea, ha criticato i religiosi che non rispettano il voto di povertà. Bene, ma anche lui aveva fatto voto di non accettare cariche ecclesiastiche, eppure è diventato pontefice. Infatti padre Sorge, già direttore diCiviltà cattolica, è rimasto stupito dalla sua scelta di accettare il Papato. In passato, è vero, un gesuita come il cardinal Martini aveva accolto la nomina cardinalizia, ma solo perché il Papa glielo aveva imposto per obbedienza (è questa, infatti, l’unica deroga possibile al voto). Nessuno invece ha imposto a Bergoglio di accettare la carica di Papa. Nel suo caso, dunque, quel voto che fine ha fatto?

    Il suo libro si occupa anche di Ratzinger e della sua rinuncia al papato. Quali possono essere, secondo Lei, le vere cause delle sue dimissioni? Forse la minaccia – a lui paventata – di uno scisma, della nascita di una Chiesa separata da Roma?

    Sinceramente non ho mai capito bene quel passaggio. Dubito che sia stata una scelta dettata solo dalla vecchiaia: Ratzinger è un uomo perfettamente in salute, se si considera che ha 86 anni, e non è certo la prima volta che un Papa raggiunge un’età come la sua…

    Come spiega, invece, la decisione di Ratzinger di rimanere papa emerito, conservando il grado, il titolo di «Sua Santità», la veste bianca e perfino lo stemma? È la dimostrazione che in realtà non esistono due pontefici, ma esiste ancora solo un papa, cioè Joseph Ratzinger?

    «i tratta in effetti di una decisione inedita: tutti i papi che hanno rinunciato al pontificato prima di lui sono tornati cardinali, lui è rimasto papa emerito. E questa è una novità anche a livello giuridico, visto che non esiste una figura canonica del “papa emerito”. D’altronde, è singolare anche la sua declaratio, ossia il discorso con cui ha annunciato di lasciare il soglio petrino. Alcuni canonisti hanno scoperto che, in quel discorso, Ratzinger non fa alcun riferimento all’articolo che disciplina le dimissioni dal papato. Insomma: Benedetto XVI non ha inteso rinunciare al papato, ma solo al suo esercizio attivo. Questo potrebbe significare che lui è rimasto papa a tutti gli effetti. E la stessa rinuncia, in base alla formula pronunciata, sarebbe dunque invalidata. È evidentemente un groviglio giuridico e teologico da dipanare al più presto.

    Lei parla anche della possibilità che lo stesso Bergoglio si ritiri, una volta venuta fuori la storia sull’irregolarità della sua elezione. Si aspetta davvero che Francesco faccia un passo indietro e torni in Argentina?

    Tale possibilità l’ha alimentata lui stesso, ad esempio con gesti significativi come il rinnovo del passaporto argentino. Questo e altri segnali hanno fatto parlare dell’ipotesi che lui a 80 anni si ritiri e, a fronte della difficoltà di condurre la Chiesa, possa romanticamente tornare a Buenos Aires. Si tratta di un’ipotesi non peregrina.

    Si svolge questo mese il Sinodo sulla famiglia. Si aspetta che emerga e vinca la linea proposta dal cardinale Kasper, e secondo alcuni appoggiata da Bergoglio, sulla possibilità di accedere all’Eucaristia per i divorziati risposati?

    Durante l’ultimo Concistoro, l’85% dei cardinali ha bocciato questa linea, che forse coincide anche con la posizione di Bergoglio. Dovesse ora affermarsi, sarebbe una prospettive estremamente traumatica, che smentirebbe il Vangelo, San Paolo e il magistero stesso della Chiesa.

    Da ultimo, le chiedo del suo travaglio interiore nello scrivere questo libro. È pronto ad affrontare, oltre ai lupi – cioè i nemici di sempre (progressisti e tradizionalisti) – anche i gufi che magari si augurano, come lei scrive, il suo «suicidio professionale», e gli avvoltoi e gli sciacalli, che si avventeranno sul libro e sull’autore per farlo a pezzi?

    Sono da sempre abituato a scrivere quello che la mia coscienza mi dice. Nel 2006 scrissi un libro sul segreto di Fatima, e mi piovvero addosso invettive, contumelie. Poi però Papa Benedetto XVI mi diede ragione. Nel 2011 preannunciai suLibero che Benedetto si sarebbe dimesso, una volta compiuti gli 85 anni. Anche in quel caso ricevetti attacchi, cattiverie. Poi però la mia anticipazione si rivelò vera. Stavolta sta succedendo la stessa cosa: mi insultano ancora prima di leggere il libro. Tra qualche tempo però, chissà…

    © L’intrapedente (4 ottobre 2014)



    [Modificato da Caterina63 04/10/2014 17:47]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 11/10/2014 15:12

    NON CRITICAVAMO IL PAPA, MA L’ARIA MALSANA DI KASPER. PARLA FESSIO, S.I.



    di Matteo Matzuzzi


    Ma chi mai ha attaccato il Papa! Noi abbiamo criticato le tesi di Kasper, il che è un po’ diverso, dice al Foglio padre Joseph Fessio, gesuita fondatore della casa editrice Ignatius Press, che pochi giorni prima dell’apertura del Sinodo aveva mandato in stampa un libro dal titolo Remaining in the Truth of Christ, tradotto in italiano in Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella chiesa cattolica (Cantagalli). Cinque cardinali, professori e vescovi che smontavano la relazione teologica tenuta da Walter Kasper in sede concistoriale.

    Il porporato tedesco se l’era presa male, aveva definito quel libro un’opera contro il Papa, che aveva sposato appieno le sue tesi. “Il libro non contiene in alcun modo tesi contro il Papa, ma contiene – ed è questo che si riprometteva di fare – una revisione scientifica completa delle proposte controverse fatte dal cardinale Kasper. Il suo discorso è durato due ore (molto tedesco!) e ha molte cose di grande valore. Tuttavia, alla fine ha fatto due proposte concrete.

    E c’è stata una reazione negativa molto forte in concistoro da parte di molti cardinali rispettati”, osserva padre Fessio S.I., che per la tesi di dottorato a Ratisbona ebbe l’allora professor Joseph Ratzinger come relatore. “Non è dunque una sorpresa che quando la presentazione del testo di Kasper è diventata pubblica (nonostante la segretezza richiesta ai partecipanti del concistoro), diversi cardinali e molti altri abbiano deciso che ci dovesse essere una risposta pubblica. Lo stesso Kasper – aggiunge – ha detto di non aver proposto una soluzione definitiva, ma piuttosto, dopo aver ricevuto l’approvazione del Papa, di aver posto alcune domande e aver offerto considerazioni per eventuali risposte”.

    Padre Fessio con l'allora cardinale Ratzinger.

    Padre Fessio con l’allora cardinale Ratzinger.

    Ebbene, “in tre dei libri da noi pubblicati, abbiamo presentato risposte ben documentate e argomentate alla proposta. Precisamente ciò che aveva chiesto il cardinale Kasper. Il cardinale Carlo Caffarra, qualche giorno fa, ha detto che il Papa ha chiesto un dibattito, “e un dibattito c’è solo se non parla uno soltanto”. A giudizio del fondatore della Ignatius Press, “vi è una sproporzione tra i giudizi espressi sulla proposta di Kasper. Sono a conoscenza di almeno dieci cardinali che hanno criticato pubblicamente la proposta del presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e solo uno (il cardinale Reinhard Marx) che l’ha pubblicamente appoggiata. Certamente la sua proposta può essere definita una ventata d’aria. Ma se l’aria sia fresca o malsana, questo è precisamente l’oggetto del dibattito in corso”.

    Quel che ha teorizzato Kasper, prosegue padre Fessio, non è nulla di nuovo: “Aveva già proposto la stessa cosa in una lettera pastorale scritta in Germania nel 1993. Solo che all’epoca fu respinta con decisione dal cardinale Ratzinger, allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, con l’approvazione di Papa Giovanni Paolo II. Kasper – aggiunge il nostro interlocutore – ha anche preso pubblicamente le distanze da Ratzinger sulla Dominus Iesus, con Giovanni Paolo II che diede pieno appoggio al documento”. “Non trovo inusuale – spiega – che molti cattolici intelligenti, inclusi molti cardinali, trovino gli argomenti di Ratzinger più convincenti di quelli di Kasper”.

    E comunque, dice padre Fessio, quello del riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati “è certamente un tema minore se si considera il numero delle famiglie cattoliche che potrebbero essere ricomprese in questa fattispecie. Il chiaro intento del Sinodo è un altro, e cioè di affrontare una più vasta, significativa e pressante questione: la difficoltà di comunicare e di vivere profondamente la bellezza dell’impegnativo insegnamento di Cristo sul matrimonio e la famiglia in una cultura ormai decristianizzata, secolarizzata, consumista, edonista e individualista che ha le radici in occidente, ma è stata esportata ovunque nel mondo”. E comunque, bisognerà aspettare cosa dirà il Papa, la sua decisione finale, che non arriverà prima della conclusione del Sinodo ordinario del prossimo anno.

    Proprio padre Joseph Fessio S.I. ha ipotizzato che Francesco abbia mandato Kasper in avanscoperta, tentando di “scuotere il nido di calabroni”. “La mia era sottile ironia. Io credo che il Papa voglia una discussione franca e aperta. Così ho suggerito, con un po’ d’ironia, che forse abbia intenzionalmente voluto scuotere il nido”. Poi si vedrà.

    © FOGLIO QUOTIDIANO (11/10/2014)




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    IL PAPA È SOLO IL VICARIO Strategie di sopravvivenza in tempi di “eclissi del Papato” secondo il pensiero di padre Calmel

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    Padre-Roger-Thomas-Calmel(di Cristiana de Magistris) 

    Quando, negli anni del Concilio Vaticano II e dell’immediato post-Concilio, venti rivoluzionari soffiavano sulla Chiesa di Cristo, un teologo domenicano, padre Roger-Thomas Calmel, levò il suo vessillo contro-rivoluzionario e, con la sua penna e con la sua parola, fece sentire la sua voce che invitava i fedeli alla resistenza nella fedeltà inflessibile alla Tradizione di sempre con un atteggiamento spirituale di pace e finanche di gioia nella prova.

    Il messaggio di padre Calmel non ha mai cessato di essere attuale. Ma torna di particolare interesse quando – ed è il nostro caso – su verità “sempre, ovunque e da tutti” affermate inizia ad aleggiare il soffio funesto del dubbio, a partire dai vertici della gerarchia cattolica.

    Padre Calmel, spirito profetico come pochi negli ultimi 50 anni, aveva previsto questa tragica possibilità ed aveva messo in guardia i fedeli fornendo loro le armi per rimanere fedeli alla Chiesa di sempre ed evitare in tal modo la tentazione del sedevacantismo o quella ancor più funesta della disperazione.

    Poiché si tratta di una crisi dell’autorità, dal momento che gli errori vengono propugnati da chi avrebbe il compito di condannarli, il punto di partenza, fondamentale ed imprescindibile, è comprendere a fondo fin dove arrivi il potere dell’Autorità, a partire dal suo vertice, il Papa.

    Padre Calmel precisa anzitutto che il Capo della Chiesa è uno solo, Nostro Signore Gesù Cristo, che “è sempre infallibile, sempre senza peccato, sempre santo […]. È lui il solo Capo, perché tutti gli altri, compreso il più alto, non hanno autorità se non da Lui e per Lui”. Salendo al cielo, questo Capo invisibile ha lasciato alla sua Chiesa un Capo visibile come suo Vicario, il Papa, “che solo gode della giurisdizione suprema”. “Se però il Papa è il Vicario di Gesù, […], egli è soltanto il Vicario: vicens regens, tiene il posto di Gesù Cristo, ma resta altro da Lui”. Evidentemente il Papa ha prerogative del tutto eccezionali, custodendo i mezzi della grazia, i sacramenti, e la Verità rivelata. Gode, in certi casi ben circoscritti e determinati, dell’infallibilità. Per il resto, “può mancare in molti casi”.

    La storia della Chiesa – a parte un manipolo di Papi santi e un numero ridotto di papi indegni – è piena di Papi mediocri e manchevoli. Ciò non deve né spaventare né sorprendere. Al contrario, è proprio nella debolezza, e talvolta anche nell’indegnità, dei papi che risalta la signoria del nostro Salvatore, il Quale rimane il solo Capo della Chiesa, sulla quale esercita il suo governo “tenendo in mano anche i Papi insufficienti e contenendo la loro insufficienza in limiti invalicabili”.

                Ora, avverte padre Calmel, perché questa fiducia nel Capo invisibile della Chiesa sia così profonda da superare tutte le possibili deficienze del suo Vicario in terra, occorre che la nostra vita spirituale “sia riferita a Gesù Cristo e non al Papa; che la nostra vita interiore, la quale abbraccia – non serve dirlo – anche il Papa e la gerarchia, sia fondata non sulla gerarchia e sul Papa, ma sul divino Pontefice […] dal Quale il Vicario visibile supremo dipende ancor più degli altri sacerdoti.

                E ciò per una ragione a tutti evidente e quanto mai elementare: La Chiesa – scrive quest’illustre figlio di san Domenico – non è il corpo mistico del Papa. La Chiesa, col Papa, è il corpo mistico di Cristo. Quando la vita interiore dei cristiani è sempre più orientata a Gesù Cristo, essi non cadono nella disperazione, anche quando soffrono fino all’agonia delle manchevolezze d’un papa, sia egli un Onorio I o i papi antagonisti della fine del Medio Evo; sia egli, nel caso limite, un papa che manca secondo le nuove possibilità offerte dal modernismo”. Quand’anche un papa giungesse al limite estremo di cambiare la Fede “o per accecamento o per spirito di chimera o per un’illusione mortale” (tra le tante offerte dal modernismo), ebbene “il papa che arrivasse a questo punto non toglierebbe al Signore Gesù il suo governo infallibile, che tiene in mano anche lui, papa sviato, e gli impedisce di impegnare fino alla perversione della fede l’autorità ricevuta dall’alto”.

                Ma anche in questi sventurati casi, la vita interiore dei cristiani non può escludere il Papa, senza con ciò cessare di essere cristiana. Un’autentica vita interore, centrata necessariamente su Gesù Cristo, include sempre il suo Vicario e l’obbedienza a lui dovuta, ma “questa obbedienza, lungi dall’essere incondizionata, è sempre praticata alla luce della fede teologale e della legge naturale”.

    E qui entra in gioco lo spinoso problema dell’obbedienza al Vicario di Cristo. Spinoso, nota ancora una volta padre Calmel, solo per chi ignori o voglia ignorare gli articoli della Fede cattolica riguardanti il Sommo Pontefice. Occorre anzitutto ricordare che ogni cristiano vive “per mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, grazie alla sua Chiesa, che è governata dal Papa, al quale obbediamo in tutto ciò che è di sua competenza. Non viviamo affatto per mezzo e per il Papa, quasi ci avesse lui acquistato la redenzione eterna; ecco perché l’obbedienza cristiana non può né sempre né in tutto identificare il papa con Gesù Cristo.

    Un cristiano che voglia incondizionatamente esser gradito al Papa, in tutto e sempre “è necessariamente abbandonato al rispetto umano” e si “espone a molte superficialità e complicità”.

    È pur vero, riconosce il teologo domenicano, che si è spesso predicato un’obbedienza al Vicario di Cristo che ha più il lezzo del servilismo che il profumo della virtù, talvolta per far carriera, o per preparare la propria testa al cappello cardinalizio, o per dare lustro al proprio Ordine o alla propria Congregazione. Ma, notiamo bene, “né Dio né il servizio del Papa hanno bisogno della nostra menzogna: Deus non eget nostro mendacio”. 
    Occorre sempre ricordare la subordinazione dell’obbedienza alla Verità e dell’autorità alla Tradizione. Il Papa, come tutti gli uomini di Chiesa, non può usare legittimamente della sua autorità se non per definire o chiarire verità che sono sempre state insegnate. Se si allontanasse da questo sentiero, cesserebbe il dovere della nostra obbedienza e varrebbe il monito di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini (At 5,29)[1].

    Il Papa – in quanto papa – non è sempre infallibile e – come uomo – non è mai impeccabile. Non bisogna scandalizzarsi se prove, talvolta molto crudeli, sopraggiungono alla Chiesa proprio da parte del suo capo visibile. Non bisogna scandalizzarsi se, benché soggetti al Papa, non possiamo tuttavia seguirlo ciecamente, incondizionatamente, in tutto e sempre”. Ma che fare allora se una situazione di tal genere divenisse la triste e sventurata realtà? In tal caso bisogna ancor più fortemente orientare la propria vita interiore all’unico Redentore e Signore del mondo, nutrendosi della Tradizione apostolica, con i suoi dogmi, del suo immortale Messale e del Catechismo, oltre che della preghiera e della penitenza.

    D’altro canto, la Rivelazione non ha mai insegnato che il Vicario di Cristo è immune dall’infliggere alla Chiesa prove di tal genere. Ed il modernismo, imperante da cinquant’anni, certamente è un terreno fertile per farle germogliare.
    Ma, se ciò avvenisse – come pare stia avvenendo –, benché una sorta di smarrimento e di vertigine assalga l’anima dei fedeli, bisogna ricordare che la Chiesa è la Sposa di Cristo ed è Lui che – nonostante gli umani cedimenti – la guida nella sua ineffabile e spesso a noi incomprensibile provvidenza.

    Padre Calmel paragona lo stato della nostra vita interiore sopraffatta da una simile prova alla preghiera del Signore Gesù nel Getsemani, quando disse agli apostoli mentre avanzava la soldataglia: Sinite usque huc (Lc 22,51). È come se il Signore dicesse: Lo scandalo può arrivare fino a questo punto; ma lasciate e, secondo la mia raccomandazione, vegliate e pregate… Col mio consenso a bere il calice, vi ho meritato ogni grazia, mentre eravate addormentati e mi avete lasciato solo; vi ho ottenuto in particolare una grazia di forza soprannaturale, che sia a misura di tutte le prove, anche della prova che può venire alla Santa Chiesa da parte del Papa. Io vi ho reso capaci di sfuggire a questa vertigine”.

    L’anima cristiana che fondi la propria vita interiore sulla Tradizione perenne non ha da temere, anche in quella che padre Calmel ritiene la peggiore delle prove per la Chiesa: il tradimento del suo Vicario.

    Con l’ottimismo proprio delle anime sante, pur riconoscendo l’immane tragedia che attanaglia la Sposa di Cristo, egli ritiene tuttavia una grazia vivere in questi tempi di prova, nei quali la sofferenza più grande dei figli della Chiesa è esattamente quella di non poter seguire il Papa come desidererebbero. “Noi siamo figli docili del Papa, ma ci rifiutiamo di entrare in complicità con le direttive papali che inducono al peccato”.

    Il cardinal Caietano non esita ad affermare che “Bisogna resistere al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa”. Si tratta, in questi casi, di una sorta di “eclissi del Papato”.

    Questa prova però, nota padre Calmel, non potrà essere “né totale né troppo lunga” e – soprattutto – “noi abbiamo la grazia di santificarci” in questa eclissi nella quale la Chiesa resta la Sposa di Cristo, nonostante tutto. Com’era sua abitudine, elevava lo sguardo verso il Cielo e diceva: “Abbiamo la grazia di soffrire e di resistere senza farne una tragedia. La Vergine Santa ci difende”.

    Dunque, che cosa fare?

    I veri figli della Chiesa, quanto più desiderano rivedere la loro Madre rivestita del suo glorioso splendore, a partire dal suo Capo visibile, tanto più devono mettere la loro vita, con la grazia di Dio e conservando la Tradizione, sul solco dei Santi. “Allora il Signore Gesù finirà con l’accordare al gregge il pastore di cui esso si sarà sforzato di rendersi degno. All’insufficienza o alla defezione del Capo non aggiungiamo la nostra negligenza personale. Che la Tradizione apostolica viva almeno nel cuore dei fedeli anche se, sul momento, languisce nel cuore e nelle decisioni di chi ne è il responsabile a livello di Chiesa. Allora certamente il Signore ci userà misericordia”. Quella vera.

     

    [1] Il 15 aprile 2010, Benedetto XVI, commentando questo passo degli Atti, nell’omelia ha detto: “San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro “ordinamento”: deve obbedire a Dio.  L’obbedienza a Dio è la libertà, l’obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all’istituzione”.




    [Modificato da Caterina63 17/10/2014 13:20]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 07/11/2014 11:11
      farà bene rimeditare su un articolo del Socci del 15 febbraio 2014


    IL RITIRO RIDIMENSIONATO

    Tra Francesco e Benedetto 
    c’è un segreto sul papato 

    "Non può esserci un Pontefice emerito", aveva detto padre Lombardi. E invece... È un mistero. Illuminato da alcune parole di Ratzinger: "Sempre e per sempre"



    Papa Francesco e Papa Ratzinger

    Papa Francesco e Papa Ratzinger

    È stato ricordato, l’11 febbraio scorso, l’anniversario della «rinuncia» al papato di Benedetto XVI. Il 28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E qual è la vera natura del «ritiro»  di Benedetto XVI. Nei casi precedenti infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone. 

    E il papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche. Visti i precedenti lo stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda «e se decidesse di chiamarsi Pontefice Emerito?», rispose testualmente: «Lo escluderei. “Emerito” è il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del ministero petrino è meglio tenere le cose separate».

    Le ultime parole famose. Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio «Papa emerito» o «Romano Pontefice Emerito», conservando il titolo di «Sua Santità». Egli non avrebbe più indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca semplice. In questi giorni inoltre Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito. Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro. 

    Che significa tutto questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose teologiche, non certo di beni mondani). Dunque può esserci solo una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa ragione? 

    L’unica spiegazione ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i limiti della sua decisione: «Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore». Attenzione, sottolineo quell’espressione «sempre e per sempre», perché il Papa poi la spiegò così: «Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…) non appartiene più a se stesso».

    Poi aggiunse testualmente: «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo». È incredibile che una frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua Benedetto XVI afferma che rinuncia «all’esercizio attivo del ministero», ma tale ministero petrino, per quanto lo riguarda, è «per sempre» e non è revocato. Nel senso che la sua rinuncia riguarda solo «l’esercizio attivo» e non il ministero petrino. 

    Quale diverso significato possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che tipo di «ritiro» sia stato quello di Benedetto XVI. Sempre in quel discorso del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra «esercizio attivo» ed «esercizio passivo» del ministero petrino. Disse infatti: «Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio». 

    Di fatto a queste parole, alle espressioni «per sempre» e «ministero non revocato», si sono aggiunti poi gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI, della veste, del titolo «Sua Santità» e dello stemma pontificio. Peraltro perfettamente riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet: «Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà». Si tratta di una situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino tre per volta. 

    Non c’erano mai stati invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto «due papi» considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato «papa emerito», e che si tratta di una figura del tutto inedita. Qual è infatti il suo status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo «esercizio attivo» del ministero petrino? Benedetto XVI, parlando ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani l’enciclica “Lumen fidei”. Però colpisce il fatto che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi è il Papa? 

    C’è forse un segreto, fra loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un papa. Ma allora? Si aprono problemi nuovi e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla loggia di San Pietro solo come «vescovo di Roma», senza paramenti pontifici o la mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).

    Di certo chi oggi tenta di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a Benedetto. La preghiera costante di Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di questo momento storico. Tuttavia non si può fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul suo status attuale. 

    Nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione, anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe. Pubblicò infatti un saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: «È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa». 

    In ogni caso non «papa emerito». E invece Benedetto ha scelto di essere proprio «papa emerito». Deve esserci una ragione assai seria per decidere di «permanere» così. E le conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi deve intenderli e a tutta la Chiesa. Segnala che egli continua a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere quanto disse nella sua messa d’insediamento: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi».

    di Antonio Socci






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 13/11/2014 20:11


      Il Papa disorienta molti vescovi





    Perché gioca su più piani e spesso si contraddice anche


    13.11.2014

    Quest'anno ha festeggiato 40 anni di cronache vaticane, Sandro Magister. I suoi primi articoli su L'Espresso risalgono infatti al 1974. E ancora oggi, da quelle colonne ma anche dal sito del settimanale, continua a raccontare l'Oltretevere e la Chiesa tutta in maniera documentatissima ma senza riverenze di sorta.

    E lui, nativo di Busto Arsizio, classe 1943, laureato in filosofia e teologia alla Cattolica, di romani pontefici ne ha seguiti tanti. Sull'ultimo, papa Francesco, le sue cronache si distinguono dal mainstream dei vaticanisti, e non esitano a sottolinearne le contraddizioni.

    Domanda. Magister, papa Bergoglio, in questi mesi, ha goduto un successo planetario ma sono emerse anche alcune decisioni che hanno dato da pensare. Per esempio, lui che si è presentato come Vescovo di Roma, al Sinodo sulla famiglia ha richiamato persino i codici del canone che affermano il potere petrino.

    Risposta. È vero, nel suo discorso conclusivo.

    D. Ha delineato una visione condivisa e aperta del governo della Chiesa, ha commissariato i Francescani dell'Immacolata con metodo piuttosto duri e ha di fatto messo la mordacchia alle conferenze episcopali...

    R. Alcune, fra cui quella italiana, sono, di fatto, annichilite.

    D. E parlando ai movimenti popolari è parso riecheggiare certe analisi di Toni Negri sul lavoro, come lei ha scritto nel blog Settimo cielo, quando poi accetta il «licenziamento» di 500 fra calligrafi, pittori e stampatori dei quali l'Elemosineria vaticana ha deciso di non avvalersi più.

    R. In effetti quella vicenda stride un po'...

    D. ...come stridono le dure prese di posizione ultragarantiste, sulla giustizia e sul carcere, con la sua scelta di far carcerare preventivamente l'ex-nunzio di Santo Domingo, in attesa del giudizio per pedofilia.

    R. È andata così.

    D. Ecco, lei che è un vaticanista di lungo corso, che idea si è fatto?

    R. Che le contraddizioni ci sono e rappresentano un giudizio fondato, basato sull'osservazione di parecchi mesi, inerenti la personalità di Jorge Bergoglio.

    D. E che conclusioni trae?

    R. È una persona che, nell'arco della sua vita e ora anche da pontefice, agisce su diversi registri contemporaneamente, lasciando varchi aperti e, a una prima lettura, molte contraddizioni. Ma quelle che lei hai ricordato non sono peraltro le uniche.

    D. Segnaliamone di altre...

    R. Quella di un Papa loquacissimo, che telefona, che accosta le persone più diverse e più lontane, ma tace sul caso di Asia Bibi.

    D. La pachistana condannata a morte per apostasia da tempo in carcere...

    R. Esatto, sulla cui vicenda papa Francesco non ha speso una parola. Così come è stato per le ragazze nigeriane rapite, per l'incredibile atto compiuto pochi giorni fa in Pakistan su quella coppia di sposi cristiani, bruciati in una fornace.

    D. Sono storie che riguardano il rapporto con l'Islam, su cui torneremo. Ma queste contraddizioni qualcuno comincia a definirle «gesuitismo», nel senso di un pensiero cangiante.

    R. In questi termini è una qualifica dispregiativa e non accettabile, anche se è vero che la spiritualità dei gesuiti ha mostrato storicamente di sapersi adattare alle situazioni più diverse e, a volte, in contrasto fra loro.

    D. E contrastante è apparsa la gestione del recente Sinodo.

    R. Una gestione accuratamente calcolata dal Papa e non lasciata al caso come si è voluto far credere, e che registra altri elementi contrastanti.

    D. Per esempio?

    R. Bergoglio che ha detto, e ripetutamente, di non voler transigere sulla dottrina, di stare con la tradizione delle Chiesa. Ma poi ha aperto discussioni, come quelle sulla comunione ai risposati, che effettivamente toccano i capisaldi del magistero.

    D. Perché?

    R. Perché è inesorabile che la comunione ai risposati arrivi all'accettazione delle seconde nozze e quindi allo scioglimento del vincolo sacramentale del matrimonio.

    D. Non sono un vaticanista, ma la sensazione, dall'esterno è che stia diffondendosi un po' di sconcerto e non solo nelle gerarchie. Peraltro anche in settori non certamente definibili come tradizionalisti...

    R. Questo è indubbio. Ci sono esponenti di notevole rilievo e non certo lefebvriani che lo fanno capire, anche se non lo esprimono in termini drastici e oppositivi. Neppure il cardinal Raymond Leo Burke, l'ex prefetto della segnatura apostolica recentemente rimosso, l'ha fatto, perché non c'è una corrente pregiudizialmente ostile al pontefice. Certo, ci sono manifestazioni evidenti di disagio.

    D. Facciamo qualche esempio?

    R. Prendiamo l'episcopato degli Stati Uniti, ossia i vescovi di uno dei più numerosi popoli cattolici del globo. Quella conferenza episcopale, negli ultimi anni, ha espresso una linea coerente e battagliera sul terreno pubblico, anche nei confronti di certe decisioni di Barack Obama sui temi etici. Una linea condivisa da numerosi prelati di rilievo. Un collettivo, più che una somma di singoli, un nucleo dirigente, diciamo.

    D. E dunque gli americani?

    R. Sono piuttosto a disagio. Lo sono cardinali e arcivescovi come Timothy Dolan a New York, Patrick O'Malley a Boston, José Gomez a Los Angeles o Charles Chaput a Philadelpia. Un episcopato da cui proviene lo stesso Burke, che non è certo confinabile a marginali circuiti tradizionalisti, ma continua ad essere parte di una delle Chiese nazionali più solide.

    D. E anche la Cei, si diceva prima, appare un po' in difficoltà.

    R. Ce n'è di difficoltà, a mettersi al passo di questo papa. Con un presidente, Angelo Bagnasco, che sembra più in difficoltà di tutti.

    D. Anche perché si era apertamente indicato il suo successore nell'arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, creato cardinale da Bergoglio.

    R. E invece, mi risulta che anche Bassetti sia fra i vescovi italiani a disagio.

    D. Fra gli italiani, i più espliciti sono stati forse il milanese Angelo Scola e il bolognese Carlo Caffarra.

    R. Lo sono stati intervenendo prima e durante il Sinodo. Ma era inevitabile considerando la decisione del papa di affidare al cardinal Walter Kasper l'apertura della discussione, e quindi in pratica l'apertura delle ostilità.

    D. Perché?

    R. Perché Kasper ripropone oggi, tali e quali, le tesi sconfitte nel 1993 dal binomio Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, ques'ultimo nelle vesti di prefetto del Sant'Uffizio.

    D. Sì, il Papa ha lanciato Kasper, ha fatto segretario speciale del sinodo monsignor Bruno Forte che, durante i lavori ha pesato, tanto da suscitare anche le reazioni di qualche padre sinodale, ma poi, alla fine, Francesco è intervenuto bacchettando gli uni e gli altri. Quasi un vecchio dc contro gli opposti estremismi.

    R. È un altro dei moduli espressivi ricorrenti di questo pontefice: la reprimenda di una parte e all'altra. Però, a voler fare un inventario, le sue bacchettate ai tradizionalisti, ai legalisti, ai rigidi difensori dell'arida dottrina, appaiono molto più numerose e mirate. Quando invece se la prende con i buonisti, non si capisce mai a chi si riferisca.

    D. Il Sinodo ha lanciato sempre più il direttore della Civiltà cattolica, padre Antonio Spadaro.

    R. Si atteggia ormai a portavoce del Papa e la rivista dei gesuiti, che era avviata a un progressivo declino (già con lui direttore, che si occupava molto di web e di socialnetwork), oggi è espressiva del vertice supremo vaticano. Specie dopo la prima grande intervista col papa gesuita. Mentre il ghostwriter di Francesco è Manuel Fernandez, il rettore dell'Università Cattolica di Buenos Aires, che il papa ha fatto arcivescovo. È con Fernandez che Francesco ha scritto la Evangeli Gaudium, così come in precedenza aveva scritto con lui il documento di Aparecida in Brasile, nel 2007, quando l'allora arcivescovo di Buenos Aires condusse in porto la conferenza dei vescovi latino-americani, documento che per molti è l'anticipazione di questo papato.

    D. A fronte di un grande consenso, c'è anche chi, come lo scrittore Antonio Socci, contesta persino la validità dell'elezione del papa. Ha letto il suo libro Non è Francesco (Mondadori)?

    R. L'ho letto in una sera, d'un fiato, per quanto siano oltre 300 pagine. E non per la tesi dell'invalidità dell'elezione, a causa dell'annullamento di uno scrutinio in conclave, a motivo di una scheda bianca in più. Una tesi a mio parere inconsistente.

    D. E allora perché la lettura è risultata interessante?

    R. Per quello che sta determinando il successo del libro, tanto da spingerlo ai vertici delle classifiche, sopravanzando gli stessi libri di e su Bergoglio. E cioè perché ricostruisce, con fatti e parole incontestabili, le contraddizioni che abbiamo citato.

    D. Un libro di cui nessuna parla, quasi rischiasse di incrinare la popolarità di Francesco, che è enorme. A dispetto di questo consenso, però, non aumenta la pratica religiosa e, anzi, cresce l'avversione, anche pubblica, al cattolicesimo. Bergoglio sì, il resto no.

    R. Anche la popolarità dei predecessori, non dimentichiamolo, è stata fortissima. Giovanni Paolo II ha conosciuto un successo mondiale e non solo negli anni dell'affronto della malattia. E anche Benedetto XVI, tra il 2007 e il 2008, raggiunse i vertici nei sondaggi, anche se lo si dimentica. Il suo viaggio negli Usa fu il culmine, con una grande e positiva accoglienza anche da parte dell'opinone pubblica laica.

    D. E dunque qual è la differenza?

    R. Che i predecessori erano popolari soprattutto dentro la Chiesa, anche se contestati aspramente da punte robuste della pubblica opinione non cristiana. Mentre la popolarità più appariscente di Francesco è fuori, anche se non provoca ondate di convertiti. Anzi, con lui c'è un certo compiacimento nella cultura estranea o ostile al cristianesimo.

    D. In che senso?

    R. Nel vedere che il capo della Chiesa si sposta verso le loro posizioni, che sembra di comprendere e persino accettare. La vicenda dei ripetuti colloqui con Eugenio Scalfari è esemplificativa: il papa accetta che il fondatore di Repubblica, una volte il più duro contestatore del pontefice, pubblichi di questi colloqui tutto quello che vuole.

    D. Anzi, Scalfari stesso ha dichiarato di aver pubblicato anche quello che Bergoglio non aveva detto.

    R. Esatto. Ma, in tutto ciò, non c'è alcun avvicinamento al cristianesimo. Il cristianesimo messo sulla bocca di Bergoglio non è più provocante, non fa problema come prima, lo si può trattare con cortesia, superiorità, distacco. Il cristianesimo conta meno. Basti pensare che al presidente del consiglio, Matteo Renzi, cattolico, di cosa faccia la Cei non importa nulla. Insomma, da una situazione di confronto o di conflitto, siamo passati al disinteresse.

    D. Col mondo musulmano, papa Francesco è silente. E anche il segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenendo recentemente all'Onu, è stato molto prudente. Alcuni parlano di una grande cautela e, quando lo fanno, citano il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, che provocò reazioni e anche morti.

    R. È una cautela spinta all'estremo che però, in concreto, non vedo quali vantaggi produca, non mi pare che si risolva in un aiuto, anche minimo o parziale, ai cristiani di quelle regioni. La cautela si può capire, se si misura sulla proporzialità dell'effetto, vale se produce minore danno. La situazione mi ricorda il silenzi di Pio XII sugli ebrei.

    D. Una polemica storica, anche recente...

    R. Papa Pacelli fece di tutto per salvare gli israeliti, anche personalmente in Vaticano, ora lo sappiamo. Ma esitò a denunciare apertamente la cosa temendo che accadesse come in Olanda, dove alla denuncia di alcuni vescovi seguirono persecuzioni anche peggiori.

    D. Però questo silenzio permane.

    R. Salvo il cardinale Jean-Louis Tauran, prefetto del dialogo interreligioso, che non risparmia giudizi anche severi.

    D. Il punto qual è?

    R. È che ci sono potentati come l'Isis, con cui ci si affretta troppo a dire che l'islam non c'entra, ma che sono invece nutriti di un islamismo radicale, che non ha risolto la questione della razionalità e quindi del rapporto tra fede e violenza. Cioè proprio ciò che aveva denunciato papa Ratzinger a Ratisbona. E infatti l'unico vero dialogo tra cristianesimo e islam è nato da quel discorso, con la successiva lettera dei 138 saggi musulmani.

    D. Anche se la visita alla Moschea Blu di Istambul, l'anno dopo, fu considerata una riparazione di Benedetto XVI.

    R. Ratzinger poté fare quel gesto, proprio per aver detto quelle cose Ratisbona. Il suo giudizio non era enigmatico, si capiva benissimo, l'aveva espresso con chiarezza cristallina.

    D. E Francesco è chiaro?

    R. Talvolta no. Quando a Betlemme si ferma davanti al muro che divide i territori da Israele e resta in silenzio assoluto: non si sa cosa intenda dire. E quando a Lampedusa grida «vergogna», non è chiaro chi e perché debba vergognarsi. L'Italia che ha salvato migliaia e migliaia di vite? Perché non lo dice? Spesso ci sono parole e gesti che sono volutamente lasciati nell'indeterminatezza.

    D. Non c'è il tempo per parlare delle vicende vaticane, come quella di Ettore Gotti Tedeschi, che fu rimosso dallo Ior sotto la segreteria del cardinal Tarcisio Bertone, ma di cui è emersa, a più riprese, la correttezza. Anche con l'archiviazione da parte della magistratura italiana.

    R. Gli si nega una riabilitazione. Ha chiesto un colloquio al papa ma gli è stato rifiutato.

    D. La Chiesa «ospedale da campo» a volte tiene le porte serrate.

    R. È così.

    © Riproduzione riservata di Italia oggi







    Amici del Papa, ma molto interessati
    di Riccardo Cascioli
    14-11-2014
    Sinodo dei vescovi

     

    Dal blog Rossoporpora.org curato dal  vaticanista Giuseppe Rusconi, veniamo a sapere dell’esistenza del “Cenacolo degli amici di Francesco”, intendendosi per Francesco l’attuale Papa. Si tratta di un gruppetto di giornalisti e intellettuali - che potremmo anche definire ultras - guidati dal vaticanista del GR1 Raffaele Luise e formatosi poco dopo l’elezione al pontificato di papa Bergoglio. 

    Di tutte le possibili interpretazioni che si danno del magistero di papa Francesco, quella del Cenacolo – e di Raffaele Luise - è sicuramente tra le più progressiste. Non a caso per la prima uscita pubblica tre sere fa a Roma, relatori principali sono stati l’immancabile cardinale Walter Kasper e il cardinale Francesco Coccopalmerio. Vista l’affluenza di pubblico alla serata, probabilmente con il nome Cenacolo si fa riferimento al numero di adesioni (non più di una ventina i presenti in tutto).

    Per la sintesi degli interventi rimando a quanto riportato da Rusconi. Qui merita però mettere in rilievo un aspetto di questo Cenacolo, e dell’attività di Luise che non perde occasione - anche nei suoi servizi per la Rai – di incitare alla rivoluzione nella Chiesa spazzando via quei focolai di resistenza al cambiamento radicale che papa Francesco intende portare a compimento. Per Luise – lo ha detto nell’occasione - «ci si trova di fronte a un pontificato e a un uomo straordinario che riprendono quella primavera che era sfiorita negli ultimi cinquant’anni. Vanno anche oltre, alle fonti del cristianesimo, a Gesù». Da cancellare sono «1700 anni di Chiesa costantiniana» e viste le forti resistenze all’interno della Chiesa, il Cenacolo si presenta come una sorta di “guardia presidenziale” per fare avanzare la rivoluzione.

    Ma alla fine, stringi stringi, sembra che anche questi rivoluzionari siano interessati soprattutto a cambiare la dottrina che riguarda la morale sessuale (e poi dicono che la Chiesa è fissata con il sesso): in particolare puntano alla legittimazione dell’omosessualità. Luise in questo è un grande attivista e sembra che si sia preso l’incarico di portare il maggior numero di vescovi possibili su questa posizione. 

    Nel marzo scorso fece rumore un convegno organizzato a Lucca in cui Luise duettò con il vescovo di quella diocesi, monsignor Italo Castellani (clicca qui). Parlando di omosessualità questi si spinse a sostenere la necessità nella Chiesa di un «cambiamento» e di un «trapasso» culturale, di un affronto della questione in termini di «diversità come una ricchezza». E per essere più chiaro se ne è uscito con un’immagina poetica: «Se tutti i fiori fossero uguali, i prati perderebbero la loro bellezza». 

    E visto che il clima era favorevole, Luise s’è lasciato andare a un’esposizione dell’argomento senza farsi scrupolo: «Ci sono 486 specie animali che contemplano l'omosessualità. Quindi questa non è una caratteristica puramente umana. Non è una devianza, ma fa parte della natura. L'omosessualità è un'attitudine umana. Quindi ci troviamo di fronte a una grande sfida, fuori e dentro la Chiesa". E a proposito di Chiesa, Luise non ha fatto misteri: «Ci sono tanti gay, attivi e passivi, anche in alto». E sa sicuramente di cosa sta parlando.

    Tanto è vero che il Cenacolo e chi lo sostiene ritiene che sia venuto il tempo di fare un ulteriore passo avanti, ed è stato audacemente il cardinale Coccopalmerio a dirlo: parlando anche di omosessualità, se ne è infatti uscito sostenendo che – visto che al Sinodo si sono valorizzati gli elementi positivi delle coppie «non regolari» - sarebbe stato il caso di «invitarne qualcuna» già nello scorso ottobre, ma si potrà magari «recuperare» nella prossima occasione. Sì, proprio così: se a decidere fosse il cardinale Coccopalmerio, al prossimo Sinodo sulla famiglia tra un anno sarebbero ospiti anche coppie di divorziati risposati e coppie omosessuali.

    Questo lo scriviamo perché si sappia dove si vuole andare a parare.

    P.S.: Della serata con Kasper e Coccopalmerio ha riferito anche il sito specializzato de La StampaVatican Insider, ma con una curiosità che non è sfuggita agli osservatori: ha evitato di dire chi aveva organizzato l’incontro, e ha glissato sull’intervento di Coccopalmerio. Per l’intervento del cardinale si può capire che forse l’ha sparata troppo grossa anche per una testata che pure ha sempre tifato per Kasper. Quanto all’oscuramento del Cenacolo, due sono le ipotesi: rivalità interne al gruppo degli ultras di papa Francesco, oppure anche a Vatican Insider si rendono conto che certi “guardiani della rivoluzione” sono proprio impresentabili. Il futuro ci dirà. 


    SI LEGGA ANCHE QUESTO DI MAGISTER

    19.11.2014

    Come Francesco si fa amici i pentecostali

    In America latina strappano alla Chiesa cattolica milioni di fedeli. Ma il papa ha per loro soltanto parole di amicizia. È il suo modo di fare ecumenismo, qui svelato in due suoi videomessaggi







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    Le parole di Papa Francesco che spiazzano fan e criticoni

    18 - 11 - 2014Matteo Matzuzzi  LE FORMICHE</header>
    Le parole di Papa Francesco che spiazzano fan e criticoni

    Gli ultimi interventi di Bergoglio che stranamente non hanno eccitato la grande stampa...

    Il Papa parla chiaro su aborto ed eutanasia, tuona contro quella “falsa compassione che ritiene una conquista scientifica produrre un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono”, o usare “vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre”. Poi apre un Convegno sulla complementarietà tra uomo e donna e in dieci minuti chiarisce che “viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico. Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili”.

    “IL DIRITTO DEI BAMBINI E’ DI AVERE UN PAPA’ E UNA MAMMA”

    Parole forti – come quelle sul dovere dei medici cattolici di fare obiezione di coscienza in “particolari circostanze” o sul diritto dei bambini di avere “un papà e una mamma” – che però sui giornali trovano pochissimo spazio: qualche boxino, una decina di righe e stop. Cosa ben diversa da quanto accaduto in seguito alle grandi interviste in cui il Papa diceva “chi sono io per giudicare?” a proposito degli omosessuali o parlava di lobby gay in Vaticano e del dramma della pedofilia nella Chiesa.

    LE COMUNITA’ GAY E IL PAPA “PERSONA DELL’ANNO”

    Molti sono rimasti sorpresi dalla tre giorni di Francesco spesa a tuonare contro quella “falsa compassione” frutto di un distorto “pensiero dominante”. Innanzitutto, chi aveva già ascritto Bergoglio tra i progressisti desiderosi di annacquare duemila anni di storia della chiesa alla luce delle “mutate condizioni” in cui ci si trova oggi, secolo ventunesimo e terzo millennio. Il Papa che dice no alle adozioni da parte dei gay, finirebbe ancora sulla copertina del mensile della comunità omosessuale americana “The Advocate” addirittura come persona dell’anno? Forse, a essere rimasta sorpresa sarà stata anche la “fazione” sinodale che aveva inserito – tentando di farli approvare dalla maggioranza dei due terzi dei padri – aperture più o meno forti sui divorziati risposati e soprattutto sulle coppie formate da persone dello stesso sesso.

    CONSERVATORI E TRADIZIONALISTI CRITICI

    Ma a essere stati colti in contropiede sono anche i cosiddetti conservatori, declinati un po’ in tutte le diverse sfaccettature, compresi i tradizionalisti. Si tratta del “settore” da sempre più perplesso verso il nuovo corso targato Francesco, soprattutto riguardo i suoi presunti silenzi su quei princìpi non negoziabili che tanto spazio avevano avuto nell’agenda dell’ultimo trentennio. 

    LA LUNA DI MIELE E’ FINITA?

    I due discorsi, che comunque riguardavano temi già toccati da Francesco in particolari circostanze del suo pontificato, potrebbero rappresentare uno spartiacque. Come rivelava qualche tempo fa il vaticanista John Allen, “la luna di miele è finita”, osservando come ora si è aperta una fase del pontificato in cui inevitabilmente il Papa deluderà con i suoi interventi parte del coro entusiasta che ne aveva lodato atti e parole in questi mesi.






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    Il papa non lo sa, ma a Bose preparano la sua fine

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    bianchi

    di Sandro Magister

    Il servizio pubblicato lo scorso 3 novembre in www.chiesa ha suscitato la prevedibile irritazione dei due personaggi in oggetto:

    > L’ecumenismo riscritto da Enzo Bianchi e Alberto Melloni

    Ma ha anche dato spunto a ulteriori critiche al progetto ecumenico coltivato da entrambi e in particolare dal priore di Bose, fresco di nomina a consultore del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.

    L’autore della seguente nota è sacerdote della diocesi di Bari, docente di liturgia e consultore della congregazione per il culto divino e della congregazione per le cause dei santi.

    *

    L’ECUMENISMO NON CATTOLICO DI ENZO BIANCHI

    di Nicola Bux

    La “decostruzione del papato nella sua forma attuale” – come ha fatto notare Sandro Magister – è cara al priore di Bose, secondo cui non c’è più da sperare nell’unità tra le grandi Chiese tradizionali, in quanto la loro divisione su chi abbia il primato sarebbe proprio ciò che impedisce l’unità dei cristiani oggi:

    “Nell’Evangelo c’è scritto che i discepoli incominciarono a litigare per sapere chi fosse il primo. Mi sembra che questo litigio sia continuato nella storia della Chiesa e costituisca ancora uno dei nodi centrali della questione dell’unità. Si ignora che ogni tradizione è limitata e parziale e che solo tutti insieme è possibile giungere alla piena verità” (E. Bianchi, “Ricominciare”, Marietti, Genova, 1999, p 73-74).

    In realtà, Gesù risolse la discussione pre-pasquale tra i discepoli stabilendo egli stesso il primato di Simone-Cefa.

    Inoltre, chi è veramente cattolico sa che non esistono “Chiese tradizionali” ma l’unica Chiesa che quei cristiani autonomamente costituitisi in Chiese e comunità tra il primo e secondo millennio devono giungere a riconoscere presente nella tradizione apostolica condivisa con Roma e da lei suggellata.

    Bianchi, quindi, dissimula un’idea relativista dell’unità della Chiesa; né nasconde di condividere la visione di Jean-Marie Tillard, secondo cui la Chiesa è fatta solo dall’insieme di “Chiese sorelle”. Per evidenziare l’erroneità di tale concetto, la congregazione per la dottrina della fede ha emesso il 30 giugno 2000 una nota:

    > Nota sulla espressione “Chiese sorelle”

    Inoltre, Bianchi invoca il fatto che il papa non debba decidere nulla da solo, ma poi vorrebbe attribuire a lui il potere “di ridare unità alla Chiesa” (”Ricominciare”, pp. 72-73).

    Invece, il teologo ecumenico Max Thurian ha descritto così le conseguenze ecumeniche del Credo comune alle confessioni cristiane:

    “L’unità visibile dei cristiani non potrà esser compiuta che nel riconoscimento delle celebrazioni eucaristiche e dei ministeri che strutturano la Chiesa, nella successione apostolica e in comunione col vescovo di Roma. […] Per la Chiesa cattolica, la pienezza dell’apostolicità si trova nella successione dei vescovi dopo gli apostoli e nella loro comunione grazie al ministero di Pietro proseguito dal vescovo di Roma”(”Avvenire”, 29 giugno 1997).

    Per Bianchi, al contrario, il riconoscimento del primato papale è il reale impedimento all’unità della Chiesa.

    Non so se papa Francesco conosceva tutto questo, quando lo scorso 22 luglio  ha nominato il priore di Bose consultore del dicastero ecumenico della Santa Sede.

    Le idee di Enzo Bianchi esprimono quell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura” che costituisce il filo rosso dell’edizione bolognese, in più volumi, dei “Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta”, sulla quale a detta delle autorità vaticane “permangono le riserve di carattere dottrinale”.

    A questo, l’arcivescovo Agostino Marchetto ha puntualmente e in modo documentato fatto il contrappunto. E il papa lo ha definito “il miglior interprete del concilio Vaticano II”.

    Dunque, non dovrebbero esservi dubbi su chi non la conta giusta.

    <<<  >>>



    [Modificato da Caterina63 21/11/2014 00:32]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 22/11/2014 23:36
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      Servizio vigili del fuoco. Il Santo Padre Francesco ed il nuovo incendio mediatico: le offerte ai preti



    </header>

    «SERVIZIO VIGILI DEL FUOCO»


    IL SANTO PADRE FRANCESCO


    ED IL NUOVO INCENDIO MEDIATICO:


    LE OFFERTE AI PRETI


     


    […] a tutti i non pochi sacerdoti con funzione di parroci che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae, indirizzata direttamente a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco, Città del Vaticano, accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa parrocchiale, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

     

    Autore Padre Ariel
    Autore
     Padre Ariel S. Levi di Gualdo da l'Isola di Patmos - vedi qui -

     

    Nella sua omelia mattutina il Santo Padre ha detto: «Quante volte vediamo che entrando in una chiesa ancora oggi c’è lì la lista dei prezzi: per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza».

    Chi desidera leggere tutto il resoconto può collegarsi direttamente al sito de La Repubblica [vedere qui] divenuta ormai organo ufficioso della Santa Sede, non ultimo anche per avere un saggio di come certi discorsi finiscono poi riportati dalla grande stampa.

    Pare che il Santo Padre tenda ad una certa parzialità che lo induce a vedere le cose da destra ma non da sinistra. A questo si aggiunga che appena l’audience tende a calare, il Santo Padre se ne esce fuori con qualche frase ad effetto che fa subito il giro del mondo; e per giorni e giorni sono garantite le prime pagine dei giornali, che delle sue parole espresse non di rado con scarsa chiarezza prendono di prassi ciò che vogliono e con tutto il possibile beneficio d’inventario, specie quando il Santo Padre dice cose sacrosante e giuste, ma espresse però in modo sbagliato, creando così non pochi problemi di comunicazione e di recezione dei suoi stessi messaggi, perché i media finiscono col fargli dire ciò che lui non ha neppure mai pensato.

    Vigili del fuoco vaticano 3
    I Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano montano il comignolo sul tetto della Cappella Sistina prima del conclave dei cardinali

    Siccome ciò non può essere casuale, c’è da chiedersi: chi è il regista di certe strategie pubblicitarie, visto che di tali si tratta?

    E “spara” oggi che ti “sparo” domani, se le sparate non dovessero più sortire effetto nei media assuefatti a tutte le peggiori droghe, tanto da richiedere dosi sempre maggiori di stupefacenti sempre più potenti, a che cosa dobbiamo prepararci?

    Ripeto: ancora una volta il Santo Padre ha detto una cosa giusta espressa però nel modo sbagliato; ancora una volta ha puntato lo sguardo a destra senza però cogliere minimamente tutti i risvolti che si trovano a sinistra. Proprio come quel famoso «Chi sono io per giudicare?» lasciato tronco a metà, grazie al quale abbiamo potuto assistere per la prima volta nel corso della storia all’esaltazione di un pontefice sulle copertine delle riviste gay di tutto il mondo, mentre sacerdoti e teologi presto costretti a calarsi nel ruolo di pompieri, spiegavano ciò che di giusto il Santo Padre intendesse dire con quella frase; e ciò spiegandolo non solo ai devoti fedeli, ma soprattutto ad un esercito di tracotanti ed aggressivi sodomiti impenitenti fieri ed orgogliosi d’essere tali, che su quella frase male compresa ci venivano a fare lezioni di ecclesiologia e di nuova morale cattolica [solo un esempio tra i tanti, qui] E lo abbiamo spiegato, il tutto, procacciandoci in risposta gli sberleffi dei laicisti e le aggressioni verbali di certi cattolici intransigenti o presunti tali che ci accusavano invece di «arrampicarci sugli specchi», di «difendere l’indifendibile» o di giocare ai «sofismi».

    vigili del fuoco vaticano 5
    Vigili del fuoco dello Stato della Città del Vaticano

    Inoltre, questo nuovo sport pontificio di prendersela periodicamente con i preti, stride parecchio col fatto che poi, al tempo stesso, egli parta senza esitare da Roma per andare a Caserta ad abbracciare gli eretici pentecostali, meritevoli peraltro del progressivo svuotamento delle chiese cattoliche nei paesi del Latino America, dove in alcune regioni, Argentina inclusa, si sono registrati cali di fedeli che sfiorano anche la percentuale del 30% … 
    … mi verrebbe voglia di affermare in tono grave che tutto questo grida quasi vendetta al cospetto di Dio, specie se consideriamo che per traghettare la barca di Pietro il Romano Pontefice Vescovo di Roma ha bisogno di noi preti brutti, sporchi e cattivi, non certo dei pastori pentecostali verso i quali è corso sorridente con l’abbraccio aperto ed il sorriso stampato in faccia, tra l’altro soprassedendo del tutto sul fatto che i membri di questa sètta sono degli straordinari procacciatori di quattrini e di ricchi creduloni da spennare come tacchini americani prima della grande Festa del Ringraziamento.

    Non so né posso sapere con quale genere di angelici fedeli il Santo Padre abbia avuto pastoralmente a che fare prima come sacerdote poi come vescovo; potrei presumere che non abbia avuto a che fare con quelli della Gerusalemme Terrena ma piuttosto con quelli della Gerusalemme Celeste, dove non c’è bisogno di pane, visto che in essa si vive di solo spirito nella beatifica contemplazione della eterna gloria di Dio.

    Io che invece ho sempre svolto i miei ministeri pastorali con gli uomini e le donne della Gerusalemme Terrena, mi sono ritrovano di fronte a tali forme di ingratitudine e di insensibilità verso la figura del sacerdote che benedico tutt’oggi Dio per avermi colmato dei necessari doni di grazia in virtù dei quali, se devo correre, mi prodigo a farlo soprattutto per ingrati, avari, egoisti … che dopo avere spremuto il prete come un limone ne gettano via la buccia, perché come ci insegna il Signore: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mc 2, 17]. E per un pastore in cura d’anime, tentare di curare certi malati comporta spesso dolori, amarezze e delusioni che lasciano talvolta dolorosi segni addosso come marchi a fuoco, perché non pochi sono i malati che rifiutano il medico e qualsiasi cura, o che sfruttano il medico solo quando hanno bisogno.

    Ho trascorso ore ed ore ad ascoltare ed a raccattare i pezzi di mogli umiliate e abbandonate da mariti sulla via dei sessant’anni che fatti quattro soldi hanno preso il largo con la segretaria di venticinque; a raccogliere i pianti di genitori con figli ingestibili dediti ai peggiori vizi; a confortare famiglie colpite dalla una grave malattia di un loro congiunto ed a visitare e confortare il malato periodicamente in ospedale. Ho fatto alcune centinaia di chilometri per andare a visitare qualche ergastolano in un carcere di massima sicurezza, dopo avere impiegato tempo ed energie a chiedere il permesso di visita al magistrato di sorveglianza, non essendo cappellano di quel carcere e non avendo quindi per legge diritto di accesso. Ho dedicato giorni e giorni alla preparazione di certe omelie e catechesi per il conforto e la edificazione del Popolo di Dio. Sono sceso dal letto in piena notte per portare i Sacramenti ad un morente, ho fatto cinquanta chilometri all’andata e cinquanta al ritorno per andare a celebrare una Messa — senza che alcun buon fedele si domandasse se forse non era il caso di pagare le spese della benzina al prete — trascorrendo poi gran parte della giornata ad amministrare le confessioni ed infine, quasi di prassi, tornando a casa mi sono messo a lavorare fino alle due della notte, per poi alzarmi il mattino alle 7 e non certo a mezzogiorno. Non ho mai detto di no a nessuno che mi abbia cercato per un proprio problema impellente, ed a quanto mi è dato sapere non sono poche le persone che —  grazie a Dio e bontà loro — vanno dicendo in giro che sono un buon prete affermando in tal senso di averlo sperimentato per loro esperienza personale …

    … c’è però un dato di fatto triste: quando nel bisogno mi ci trovo io, quando devo pagare delle bollette per dei costi di fornitura che non riesco a pagare, quando devo provvedere alle mie dignitose necessità e non certo ai miei vizi e lussi, due sole sono le porte alle quali posso andare a battere cassa: quella di mia madre e quella di mio fratello. Mi domando e vi domando: è giusto che una madre di 75 anni che riesce a vedere il figlio prete due o tre volte all’anno di sfuggita, debba arrotondare tutti i mesi le mie entrate consentendomi così di dedicarmi pastoralmente a persone che a fronte di qualsiasi bisogno umano e spirituale ritengono che per loro sia tutto quanto un diritto dovuto, ma che verso il cosiddetto “prete-limone” da spremitura ritengono però di non avere alcun genere di dovere? Penso che solo per questo mia madre — donna dura e dal carattere non facile — si guadagnerà il paradiso, avendomi dato tutto senza mai chiedermi niente; ma gli altri, quelli che dal prete pretendono e prendono tutto senza mai nulla dare in cambio, beneficeranno della stessa sorte felice, in quel loro sommo egoismo che genera una incorreggibile mancanza di generosità? O per dirla in altre parole: è giusto che io assista dei veri e propri eserciti di ingrati privi di riconoscenza verso il sacerdote, grazie ai soldi dell’onesto e duro lavoro dei miei familiari che me lo permettono?
    Questo il motivo per il quale mi piacerebbe tanto chiedere al predicatore di Santa Marta — sempre ammesso che non sia troppo impegnato a parlare con l’ateo Eugenio Scalfari o con gli eretici della sètta pentecostale — se per caso sono diventato prete per risultare una tassa a vita per mia madre e per mio fratello, anziché per servire con i necessari mezzi la Chiesa universale ed il Popolo che Dio le ha affidato; quel popolo che da sempre servo senza alcun risparmio di me stesso, fino a non facile prova contraria. O più semplicemente vorrei chiedergli: in che modo si può vivere nel 2014 con 750 euro al mese di stipendio percepiti dall’Ente Sostentamento Clero, con tutte le spese vive da pagare per il proprio mantenimento e con i cosiddetti fedeli sempre a mano tesa per i loro bisogni umani e spirituali, che però non hanno la minima bontà di remunarare il gravoso servizio pastorale del sacerdote, sempre sulla base del principio che a loro tutto è dovuto mentre invece al prete non è dovuto niente?
    Perchè casomai non fosse chiaro: il fatto che io non abbia mai tempo per visitare o per dedicarmi ad una madre ormai anziana che pure mi mantiene, pur avendo sempre tempo per dedicarmi invece ad un fitto esercito formato anche e soprattutto di devoti e fedeli ingrati, per me me è stato ed è un problema oggettivo che più volte si è mutato in gravoso e doloroso quesito per la mia coscienza soggettiva, io che una coscienza ce l’ho e che la mia vita di prete la vivo sulla mia pelle e sul mio sangue e non certo sulle frasi popolari ad effetto pronunciate da un Sommo Pontefice che ha scelto di vivere dentro un albergo per essere più a contatto con la realtà, ma che dal rapporto con la realtà — stando fedelmente a certi suoi discorsi — sembra essere più distaccato di quanto invece non lo sono mai stati i suoi recenti predecessori che vivevano nel tradizionale appartamento a loro riservato nel Palazzo Apostolico.

    incendio
    Vigili del fuoco all’opera

    E siccome esercito da sempre anche il delicato ministero di confessore e direttore spirituale di numerosi sacerdoti sparsi per l’Italia, lo so bene io, nel segreto inviolabile del foro interno e nella segretezza del foro esterno, i dolori a volte lancinanti che vivono molti miei confratelli che oggi si sentono sempre di più bastonati e trascurati da chi invece dovrebbe seguirli e sostenerli … lo so io, quel che mi hanno detto molti di loro, quanto appunto il Santo Padre correva ad abbracciare gli eretici pentecostali, dopo avere ripetutamente bacchettato il proprio clero e dato ai preti degli untuosi, cosa vera ma come sempre vera solo parzialmente, perché ormai la parzialità sembra divenuta un presupposto della pastorale di questo pontificato [vedere qui]. Anche in questo caso una domanda al Santo Padre sarebbe di rigore: posto che i peggiori untuosi sono da sempre a bivaccare dentro la curia romana e sino al più alto livello dentro il vicariato di Roma, in un anno e mezzo, lui che ha potere di legare e di scogliere, quanti ne ha sbattuti fuori da casa sua, di untuosi? Perchè prima di dire ai preti sparsi per il mondo che certi preti sono untuosi, buon gusto ed equilibrio pastorale vorrebbero che fossero eliminati anzitutto gli untuosi di lusso che lui stesso si ritrova in casa propria e che ad oggi non sono stati ancora toccati, anzi, sotto il suo pontificato, non pochi dei più untuosi in assoluto hanno fatto anche strepitose carriere, altri si sono affacciati direttamente con lui alla loggia centrale di San Pietro divenendo dei veri intoccabili.

    E non tocchiamo il tasto dolente dei “poveri” tanto cari alla omiletica del Santo Padre,perché sono convinto che egli ignori totalmente di quanto spesso, alla fine delle Sante Messe, appena giunti in sacrestia, siamo presi d’assalto e molestati con pianti da attori professionisti da parte di “poveri” che vengono a chiederci danaro con in tasca i telefoni cellulari che noi non abbiamo, che nelle proprie case hanno mega maxi schermi al plasma che noi non abbiamo, che fumano le sigarette di marca che noi non possiamo permetterci, che ci vengono a chiedere di pagargli la bolletta della luce mentre nelle loro case trionfano tutti gli strumenti elettronici di ultima generazione che noi non possediamo, o che perlomeno sia io sia molti miei confratelli non abbiamo perché non possiamo assolutamente permetterci. E vuole sapere, il Santo Padre, questo genere di arroganti accattoni che rivendicano il diritto ad avere tutto il superfluo, che si acquistano il voluttuario e che poi vanno alla Caritas ad esigere rifornimenti di generi di prima necessità, in che modo ci bacchettano quando giustamente gli diciamo di no? Sbattendoci in faccia che … «Papa Francesco non è una bestia come voi preti, lui ama i poveri!». E da me, più di uno, si è sentito rispondere: «Bene, allora vai in Vaticano ed i soldi per comprarti le sigarette e per rifarti la carica del tuo nuovo telefono cellulare da 500 euro, chiedili al Santo Padre, perché io uso da due anni un telefono cellulare che a suo tempo ho comprato in un discount e che ho pagato 48 euro».

    Tutt’altra cosa i veri poveri che vivono con tale disagio e vergogna la propria situazione che dobbiamo essere noi a capire che hanno bisogno, perché non sono neppure capaci a chiedere aiuto; e dinanzi a quelle persone, ripetutamente, mi onoro in sacerdotale coscienza di essere rimasto io senza i soldi per poter poi provvedere al mio necessario, nella ferma convinzione di non avere compiuto nulla di eroico ma fatto solo il mio dovere di prete.

    In fede e verità posso e debbo dire che purtroppo, non una sola delle non poche persone che io ho aiutato nel corso degli anni, si è mai premurata di domandarmi se avevo bisogno di qualche cosa; perché come poc’anzi dicevo il prete è un limone dal quale spesso si prende tutto il succo e si getta poi via la buccia, perché il prete è colui che «deve» e basta, ed al quale nulla è invece dovuto.

    Il Santo Padre, così premurosamente toccato dalla sensibilità di un popolo riguardo il quale andrebbe anzitutto stabilito se è veramente il Popolo di Dio oppure se è semplicemente popolo e basta, se non peggio popolo giacobino, è informato di quanto alto sia il numero di preti che hanno trascorso la propria vita a servire gli altri, spesso privando se stessi pure del necessario, che nella vecchiaia si sono ritrovati ammalati, soli e totalmente abbandonati? E quale popolo ha gridato allo scandalo, dinanzi a vecchi preti morti senza che fosse neppure tutelata la loro umana dignità?

    Qualcuno ha spiegato al Santo Padre come mai la Conferenza Episcopale Italiana ha destinato una parte del cospicuo importo dell’Otto per Mille che percepisce dallo Stato attraverso il gettito fiscale dei contribuenti, per coprire tutti i preti con una polizza sanitaria stipulata con la Cattolica Assicurazione? La Conferenza Episcopale lo ha fatto per un motivo molto semplice: perché nel tempo sono stati non pochi i preti che navigando in situazioni economiche tutt’altro che floride, sono morti prima di riuscire ad avere una visita specialistica o prima di fare delle analisi cliniche. E coloro che non avevano fratelli o sorelle di buon cuore che li hanno assistiti, sono andati incontro ad una brutta morte dimenticati nella corsia di un reparto di geriatria dall’esercito di persone che per tutta la vita loro hanno assistito come dei veri padri premurosi.

    vigili del fuoco città del vaticano 7
    Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano nel cortile di San Damaso

    Ma veniamo ai “tariffari” per i quali si è levato solenne da Santa Marta l’ennesimo grido di disappunto che ha sortito l’effetto di far passare il Santo Padre per giusto castigatore dei cattivi costumi del clero, ed i suoi preti per degli irredimibili sporcaccioni. È vero: molte diocesi hanno stabilito non dei prezzari, ma delle offerte minime da lasciare alle parrocchie in occasione di certe celebrazioni, ad esempio per i matrimoni. E sulla parola “matrimoni” apriamo adesso il capitolo dolente …

    … il Santo Padre lo sa che cosa è, specie da Roma in giù, un matrimonio? Il Santo Padre, così preoccupato di un non meglio precisato popolo che si scandalizza, è informato che nessuno si scandalizza invece che una sposa spenda di media non meno di 1.000 euro solo per l’acconciatura del parrucchiere, che il servizio del fotografo costa di media sui 1.500 euro, stampa delle foto ed album del matrimonio escluse, che la ripresa filmica del matrimonio ammonta a circa 3.000 euro? È informato, il Santo Padre, che certe spose entrano in chiesa con un vestito che costa 10.000 euro e che sarà indossato solo quella volta e poi mai più? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono tra i 5.000 ed i 10.000 euro per le sole bomboniere da regalare a invitati ed amici e che organizzano pranzi di nozze per una media di 150/250 invitati al costo di 80/100 euro a persona, ammontanti all’incirca a 15.000/25.000 euro per il solo pranzo di nozze? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono 5.000 euro solo per cinque minuti di fuochi artificiali?

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    Un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano davanti al Papazzo del Governatorato

    Ma soprattutto, il Santo Padre, è mai stato informato da qualche esponente di questo popolo scandalizzato dai preti, che le persone che fanno queste spese folli, che dentro le chiese facevano attaccare ai cineoperatori fari a giorno che succhiavano corrente a vortice, al povero parroco sottoposto tra l’altro a spese e consumi, non dicevano neppure «grazie!»? E lo sa, il Santo Padre, perché molti degli esponenti di questo popolo scandalizzato dai preti, che pure per un matrimonio hanno speso l’equivalente del costo d’acquisto di un appartamento, non dicevano neppure «grazie!»? Semplice il motivo: ma perché … «la Chiese deve!» e «i preti non devono chiedere niente», anzi «dovrebbero essere poveri».

    Ecco perché giustamente molte diocesi hanno stabilito delle quote minime di offerta da lasciare alla parrocchia in occasione della celebrazione di certi Sacramenti, soprattutto per i battesimi ed i matrimoni. E non l’hanno fatto perché i preti sono assatanati di soldi ma per evitare che certi parroci, dinanzi a persone che per un matrimonio hanno bruciato 100.000 euro di spese, non riconoscessero al prete neppure la dignità riconosciuta anche all’ultimo parrucchiere gay che gioca a fare il grande stilista acconciatore, lasciando al primo anche la mancia per il ragazzo di bottega, ed al secondo, ossia al brutto e sporco prete, cattivo e affamato di soldi, la bolletta della luce della chiesa da pagare, ed ancora ripeto: senza neppure un «grazie», perché «la Chiesa deve» e perché «i preti dovrebbero essere poveri».

    Domandi il Santo Padre a molti parroci, quante volte è accaduto che gli sposi hanno dato 1.000 euro in compenso a organista, violinista e soprano, mentre al parroco o al rettore della chiesa che ha osato dirgli: «Ma una piccola offerta per le spese di mantenimento della chiesa, la volete lasciare?», hanno risposto andando a dire in giro per mezzo mondo che «il prete ha osato chiedere persino i soldi». E chiudiamo qua il discorso, senza toccare neppure la voce spese dei fioristi per l’addobbo della chiesa.

    Queste le persone, questo il popolo che si scandalizza e che ancora una volta ha trovato autorevole voce di protesta e di condanna verso i preti da parte del Santo Padre che pare davvero intenzionato a piacere a tutti, soprattutto ai non cattolici, meno che ai suoi devoti e fedeli servitori, ai quali dispensa periodiche frustate che non hanno né la profondità, né l’amore, né lo spessore pastorale di una enciclica scritta in toni decisi e duri, ma veramente e profondamente amorevoli, come la Ad catholici sacerdotiidel Sommo Pontefice Pio XI [vedere qui]. Certe “pastorali” del Santo Padre Francesco sembrano fatte più per piacere e compiacere tutti gli irriducibili anticlericali di questo mondo, anziché risultare preziose ed efficaci per la correzione del clero, che specie di questi tempi non è affatto esente da inadeguatezze, errori e vizi d’ogni mala sorta, avarizia e attaccamento al danaro inclusi.

    poste vaticane
    Cari Parroci, indirizzate le bollette della luce e del gas delle vostre chiese al Sommo Pontefice Francesco,Domus Sanctae Martae, Città del Vaticano

    Alla fine dello scorso inverno un mio confratello, parroco di una chiesa del nord dell’Italia, dove il clima invernale è particolarmente duro, mi disse con grande preoccupazione: «… ad aprile ho chiesto un prestito alla banca per pagare il gas del riscaldamento». Questo santo uomo di Dio, con una temperatura spesso al di sotto dello zero, nella propria canonica teneva il riscaldamento spento ed aveva messo una brandina nella grande cucina dove c’era una vecchia stufa a legna; e lì in pratica viveva d’inverno, bruciando la legna da lui stesso raccolta in giro con le sue mani. Però teneva acceso il riscaldamento della chiesa per riscaldare i fedeli e quello delle due sale parrocchiali dove facevano il catechismo i bambini. Anche i genitori di quei bambini che andavano al catechismo facevano parte del popolo scandalizzato di cui parla il Santo Padre nella sua nuova omelia ad effetto; ed anche loro, per festeggiare la Prima Comunione dei loro bimbi, hanno speso tanto e quanto hanno voluto, ma nessuno si è però domandato se il parroco aveva o no i soldi per pagare la bolletta del gas, sempre sulla base del solito principio: «La Chiesa non deve chiedere ma solo dare» … «i preti devono essere poveri» … e poi, è lo stesso Santo Padre che animato da grande anelito ha detto subito: «Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri» [vedere qui] …

    … e lo stesso Santo Padre concedeva poco tempo dopo “in affitto” la Cappella Sistina in uso alla Porsche per un evento di beneficienza a favore dei poveri [vedere qui]. Anche in questo caso sorge però una domanda: i parroci delle parrocchie povere che non hanno a loro disposizione una Cappella Sistina da dare in affitto a ricchi privati per scopi benefici al fine di ricavarne danaro per le mense dei poveri, potrebbero ricavare qualche cosa affittando le loro chiese, per esempio a …

    A questo mio confratello che domandò un prestito alla banca per pagare il gas usato in inverno per riscaldare i fedeli ed i loro figli ed a tutti i non pochi sacerdoti che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea pertinente sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae indirizzata a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

    Copertina - Ariel S. Levi di Gualdo - prete disoccupato
    Prete disoccupato, omelie sul Vangelo [chi lo desidera può anche richiederlo scrivendo a isoladipatmos@gmail.com]

    Chi legge certi miei scritti e certi miei libri, vi troverà indicato e spiegato, ed in modo anche molto severo, quanto sia per sua natura devastante un prete attaccato al danaro, un prete avido e avaro, un prete non generoso, un prete nato in una famiglia povera entrato in seminario con le pezze attaccate addosso e mantenuto agli studi dal buon cuore della diocesi e dei benefattori, che alla sua morte lascia eredità milionarie agli amati nipoti; e chi vuole approfondire questo discorso può procurarsi il mio libro «Prete disoccupato, omelie sul Vangelo» [vedere qui], ed andare a leggere l’omelia nella quale parlo dell’obolo della vedova e nella quale le mie critiche a certi malcostumi economici e finanziari del clero sono precise e severe, ma con una differenza: sono fatte con spirito pastorale e mirate a indurre certi miei confratelli alla riflessione ed alla salvezza delle proprie anime, non sono mirate a far sì che la anticlericale Repubblica o che la massonica Stampa esaltino certe sparate a zero fini purtroppo a se stesse. Detto questo devo però vedere, analizzare e parlare di tutti i risvolti della situazione, senza sorvolare sulla mancanza di generosità da parte di certi fedeli o presunti tali, che per organizzare le feste che seguono alla celebrazione di certi Sacramenti spendono somme di danaro davvero scandalose e che al tempo stesso, se non sono richiamati od obbligati a farlo, non lasciano neppure un centesimo alla chiese parrocchiale per le molte spese che questa deve sostenere, anzi, come già ho detto: con rara strafottenza non ti dicono neppure grazie … 
    … ebbene mi domando e domando, a questi fedeli o pseudo tali, il Santo Padre non intende proprio tirare le orecchie, impegnato com’è a tagliarle invece direttamente a noi preti?

    Esercitando la libertà riconosciuta ai figli di Dio e concessa anche ai sacerdoti, in questo mio articolo ho sollevato tutte le perplessità del caso sul Sommo Pontefice che si esprime a mezze frasi od attraverso frasi non sempre felici come dottore privato; e che come tale è criticabile con tutto il più profondo e devoto rispetto, senza che mai la sua apostolica autorità sia messa minimamente in discussione, ed in specie quando parla come supremo custode del deposito della fede, che è naturalmente tutt’altra cosa, rispetto ai predicozzi confezionati per la gioia ed il gaudio della stampa laicista, anticlericale e massonica, forse per la presumibile opera ed il devastante suggerimento di qualche “stratega” gesuita che lo consiglia a dir poco male?





    SUGGERIAMO ANCHE QUESTO ARTICOLO:  Il papa che non amava i sacerdoti

     







    [Modificato da Caterina63 24/11/2014 20:16]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 25/11/2014 19:06

      La “squadra di Bergoglio”





    great reformerNel controverso libro di Antonio Socci, “Non è Francesco”, c’è un passaggio che in questi giorni trova conferma dall’Inghilterra. Non si tratta di questioni legate alla legittimità dell’elezione del Papa, ma della presenza di una lobby di cardinali “riformisti” che per eleggere Bergoglio ha lavorato prima e durante il conclave. In modo discreto, ma molto organizzato.


     


    Lo racconta Austen Ivereigh, già addetto stampa del Card. Murphy-O’Connor, nel suo libro intitolato “Il Grande Riformatore”. Secondo quanto riporta il britannico “Telegraph” la parte decisiva nell’elezione di Bergoglio l’avrebbe svolta un piccolo gruppo di cardinali europei. Gli stessi che avrebbero cercato di eleggere il cardinale argentino già nel 2005, durante il conclave che poi vide l’elezione di Joseph Ratzinger.


    Secondo Ivereigh proprio il card. Murphy-O’Connor, pur avendo già compiuto 80 anni, e quindi senza possibilità di entrare nel conclave del marzo 2013, avrebbe svolto un ruolo chiave insieme al card. Kasper. In particolare l’ex arcivescovo di Westminster avrebbe svolto un azione di lobbyng presso i cardinali elettori nord-americani.


    Una volta assicurati da Bergoglio che non si sarebbe tirato indietro (“in questo momento di crisi della chiesa un porporato non può rifiutare”), il “team Bergoglio” ha organizzato una serie di cene e di incontri prima del conclave in cui, tra l’altro, hanno rassicurato i cardinali che i 76 anni dell’arcivescovo di Baires non avrebbero costituito un problema sotto nessun punto di vista. “Anche perchè i papi – aggiunge Ivereigh nel suo racconto – ora possono dimettersi”.


    Bisogna dire che Ivereigh non fa nessuna grande rivelazione, ma racconta la normale amministrazione prima di un conclave. Nel 2005 i liberal ci avevano provato, ma andò male. Questa volta, invece, sembra gli sia andata benone. Lo Spirito Santo si serve di tutto, e il buon Dio può decidere di donare un papa, o di infliggerlo, utilizzando vicende molto umane. A noi non resta che ricordare che comunque la barca di Pietro è sempre in buone mani. Quelle di Cristo.




      aggiornamenti mercoledì 17 dicembre 2014

    Il Grande Riformatore: Francesco e la creazione di un Papa radicale

     
    Ha fatto scalpore l'azione, evidentemente arrivata in porto, della Lobby riformista all'interno della Chiesa. Ne abbiamo parlato qui, riprendendo gli echi da La stampa e dai media anglofoni nonché nella traduzione del precedente articolo tradotto da From Rome qui. Sempre da From Rome, pubblichiamo il testo che segue che fa il punto della controversa vicenda. L'originale qui
    Il libro è ora in vendita anche in Italia (Mondadori).

    Il Grande Riformatore: Francesco 
    e la creazione di un Papa radicale

    di Frà Alexis Bugnolo
     
    Il numero di cardinali implicati nello scandalo del patteggiamento di voti potrebbe salire a 30
     
    9 dicembre 2014: Nel mezzo dello scandaloso caso del "Team Bergoglio", in un momento in cui il mondo cattolico è agghiacciato non solo dalle accuse del Dr. Austen Ivereigh nel suo nuovo libro, The Great Reformer (Il Grande Riformatore), ma anche dall'inconsistenza e dalle contraddizioni delle smentite a tali accuse, provenienti dalle fonti più autorevoli: il portavoce ufficiale del Cardinal Murphy-O’Connor e quello del Papa, Padre Federico Lombardi, S. J., è opportuno analizzare le testimonianze fornite dal Dr. Ivereigh nel suo testo.
     
    Dopo aver acquisito una copia cartacea dell'edizione americana del libro, il blog From Rome è ora in grado di farlo; tuttavia, per chiarire le ripercussioni legali e l'affidabilità del testimone, procediamo in modo forense. Ciò richiederà di prendere in considerazione in primo luogo gli atti contestati, quindi la confessione del capo della cospirazione e infine le prove lampanti che supportino l'affidabilità di quanto si può leggere nel libro del Dr. Ivereigh.

    Il Decreto Papale che criminalizza il patteggiamento di voti 
     
    Nel decreto papale Universi Dominici Gregis, promulgato da Papa Giovanni Paolo II nel 1996, il patteggiamento di voti è proibito sotto pena di scomunica automatica (vale a dire, immediatamente applicata, senza necessità di dichiararla). Il reato è descritto in questi termini nel testo originale e ufficiale in latino:
    81. Cardinales electores praeterea abstineant ab omnibus pactionibus, conventionibus, promissionibus aliisque quibusvis obligationibus, quibus astringi possint ad suffragium cuidam vel quibusdam dandum aut recusandum.
     
    Questa è la traduzione in inglese più adeguata del testo latino secondo il blog From Rome: 
    81. Let the Cardinal electors, moreover, abstain from all pacts, agreements, promises and any other obligations you like, by which they might be constrained to give or refuse support (suffragium) for anyone (sing. & plural).
    [La traduzione della versione inglese – che verte correttamente quella latina – del blog Chiesa e postconcilio è la seguente:
    81. Inoltre, i cardinali elettori si astengano da ogni patto, accordo, promessa e qualsiasi altro tipo di obbligazione in ragione di cui siano costretti a dare o rifiutare il loro sostegno (suffragium) a chicchessia (sing. e plur.), N.d.T.]
    Per comprendere il senso di questa proibizione, ricordiamo che Papa Giovanni Paolo II rimase personalmente molto scandalizzato dai pettegolezzi che marcarono il conclave in cui egli stesso venne eletto. Per impedire equivoci futuri, stabilì una pena per una pratica molto frequente nel corso di elezioni: il patteggiamento di voti. Questo è, quindi, il motivo per cui nel decreto papale, la UDG, insista che i cardinali elettori procedano in modo religioso e scelgano, dopo molte preghiere, l'uomo che più piaccia a Dio onnipotente e che sia più utile per la Chiesa nell'epoca in cui vivono (cfr. i paragrafi che precedono e seguono il n. 81).

    Dunque, il testo latino tramite il quale Papa Giovanni Paolo II descrive le attività proibite contiene parole molto importanti: la prima è ogni, la seconda descrive tali attività: pactionibus, conventionibus, promissionibus (patto, accordo, promessa), e l'ultima stronca definitivamente ogni genere di attività umana che implichi un obbligo morale: aliisque quibusvis obligationibus (e qualsiasi altro tipo di obbligazione).

    Consideriamo ora la moralità dell'atto di chiedere l'elezione di un potenziale candidato: innanzitutto, bisogna avere qualche certezza sulla convenienza e sulla volontà del candidato (n. 1: l'accordo e il patto); poi, bisogna cercare persone disposte a patteggiare i voti (accordo e patto) e far sì anche che garantiscano il loro sostegno (n. 2: promessa e patto). Infine, i pianificatori del patteggiamento di voti presentano ai potenziali elettori – a parole o tramite segni – le ragioni per cui un candidato meriterebbe il sostegno o il voto (proposta di accordo) e ottengono parole o segni di accordo (n. 3: accordo e promessa o obbligazione) sul fatto che egli sia considerato degno dei voti degli elettori. Ciascuno di questi tre passi è reso illegale dal Decreto Papale. Dato che quest'ultimo non esclude alcun tipo di obbligazione e, al contrario, li include tutti, tanto quelli più impegnativi – come le promesse fatte sotto giuramento – quanto quelli più leggeri – come ad esempio quelli segnalati da un ammiccamento –, essi sono tutti proibiti.

    Si noti che dal momento che il Decreto Papale è generico nella sua proibizione, la promessa di un voto ha lo stesso grado di illecito dell'adesione a una cospirazione per patteggiare i voti, dato che si tratta di promettere di votare per un candidato escludendo tutti gli altri candidati. Tuttavia, si noti anche che tale decreto penalizza solo i cardinali elettori. I cardinali che non hanno più diritto al voto a causa dell'età avanzata non incorrerebbero quindi nella pena anche se collaborassero alla richiesta di voti.

    Quando il voto è stato patteggiato, quando si è già a conoscenza del fatto che il candidato in questione raggiungerà un certo numero di voti ai primi scrutini e si possiede la certezza della sua elezione o non elezione alla votazione in corso, è possibile confrontare il numero dei voti con quelli promessi.

    La confessione del reato

    Il 12 settembre 2013, il Catholic Herald ha rivelato che il Cardinal Murphy-O’Connor ha confessato di avere già un'idea di chi sarebbe stato eletto. Nel reportage egli ammette che il Cardinal Bergoglio sapeva già che sarebbe stato proposto come candidato ancor prima dell'inaugurazione del conclave, e che dopo in conclave stesso ha riconosciuto di persona il ruolo fondamentale dei cardinali inglesi nella campagna per la sua elezione. Nell'intervista in questione, il cardinale inglese confessa tanto l'elemento della conoscenza come quello della certezza, che egli non avrebbe potuto ragionevolmente possedere se non per mezzo di un patteggiamento di voti nello stretto senso del termine.

    La testimonianza comprovante e la prova

    Si noti che il mero fatto che il leader confesso e riconosciuto dal Papa del "Team Bergoglio" fosse il Cardinal Murphy-O’Connor – un cardinale anziano NON elettore – prova la consapevolezza, da parte degli altri membri del "Team Bergoglio" stesso, dell'esistenza della pena imposta dal paragrafo 81 dell'UDG. La testimonianza fornita dal Dr. Austen Ivereigh nella sua apparizione alla BBC il 12 marzo 2013, alle 17:03 ci rivela che Ivereigh e Murphy-O’Connor si erano incontrati precedentemente per discutere insieme gli affari del conclave, e che Ivereigh era a conoscenza della pena imposta dal paragrafo 81 dell'UDG. Anche se nei giorni scorsi Ivereigh si è mostrato ignaro delle implicazioni di tale paragrafo, si può sospettare che ne sia stato informato dallo stesso Cardinal Murphy-O’Connor nel mese di marzo 2013.

    La storia della cospirazione secondo la versione di Ivereigh

    Vi consiglio calorosamente di procurarvi una copia del libro di Ivereigh poiché la testimonianza che contiene sarà per anni un documento di ingente portata storica. Prendiamo ora in considerazione la prova.
    Nel capitolo intitolato "Conclave" (capitolo 9, pagg. 349-367 [dell'edizione americana, N.d.T.]) troviamo queste accuse:

    "Avevano imparato la lezione già nel 2005", all'inizio della pagina 355. — Questa dichiarazione fa pensare a una forte motivazione e alla previsione della necessità di ostentare un sostegno massiccio per il Cardinal Bergoglio al primo voto: ma questo era un obiettivo che non si poteva raggiungere senza una campagna di patteggiamento di voti e senza le attività proibite e sanzionate connesse ad esso.

    "In primo luogo si sono assicurati il suo consenso. Quando gli si chiese se era disponibile, disse che in questo tempo di crisi della Chiesa nessun cardinale avrebbe potuto rifiutare la proposta" (ibid.). — Questa gesuitica risposta è esattamente quella che ci si aspetterebbe da un cardinale gesuita: una siffatta affermazione è moralmente equivalente a un assenso, e nel contesto della proposta del lancio di una campagna equivale anche a un patto. Si tratta di un'offesa passibile di scomunica in ragione dell'offerta di una campagna elettorale. Un uomo coscienzioso che osservi le norme del conclave avrebbe dovuto aggiungere un'espressione di ripudio di una campagna organizzata, almeno come atto di carità nei confronti dei suoi promotori, affinché non entrassero in collisione con le disposizioni papali. 

    L'attendibilità di quanto Ivereigh ha denunciato è considerevole, perché nessuno si azzarderebbe a indire una campagna senza il consenso del candidato: sostenere che il "Team Bergoglio" non abbia chiesto alcun segno di disponibilità al cardinale argentino equivarrebbe a ritenere folli i suoi membri, ed è meno caritatevole accusare un cardinale sano di follia che accusare un cardinale mondano di prudenza ragionevole.

    Ivereigh aggiunge poi tra virgolette una citazione che è stata rimossa dalla testimonianza del Cardinal Murphy-O’Connor al Catholic Herald lo scorso anno. Ma il semplice fatto che queste parole siano riportate tra virgolette difende l'onestà della narrazione contro le accuse di basarsi su dicerie.

    "Poi si sono messi al lavoro cenando con vari cardinali per promuovere il loro uomo… (ibid.). — Ciò è stato confermato, nel caso dei cardinali Murphy-O’Connor e O’Malley, nel reportage del Wall Street Journal report del 6 agosto 2013. Le recenti smentite del Dr. Ivereigh non negano quest'attività, che egli, ritrattandosi, definisce ora come "suggerire" Bergoglio come candidato.

    "… Il loro obiettivo era quello di assicurarsi almeno venticinque voti per Bergoglio al primo scrutinio. Un anziano cardinale italiano aveva previsto su quanti voti potevano contare ancor prima che il conclave iniziasse". — Questa dichiarazione, di cui non è stato mai smentito o ripudiato alcun punto, conferma le accuse di una violazione del paragrafo 81 della UDG, senza possibilità di svicolare, poiché non si può prevedere il numero dei voti se questi non sono stati promessi e, se sono stati promessi, sono stati anche richiesti, e tanto coloro che li hanno richiesti come coloro che li hanno promessi erano entrati in una sorta di obbligazione o patto o accordo di voto per un candidato specifico al primo scrutinio, e di non votare per altri candidati.

    Eccovi servita un'accusa formale ed esplicita di una violazione formale ed esplicita del paragrafo 81 dell'Universi Dominici Gregis.

    Il Dr. Ivereigh parla poi della certezza che si aveva a proposito dell'adesione dei diciannove cardinali latinoamericani, e aggiunge:

    "Il cardinale spagnolo Santos Abril y Castello, arciprete di Santa Maria Maggiore a Roma ed ex-nunzio apostolico in America Latina era molto sollecito nel patteggiamento a favore di Bergoglio all'interno del blocco iberico" (ibid.).  —Quest'accusa non è mai stata smentita da nessuno, nemmeno dal cardinale spagnolo.

    Ivereigh menziona in séguito altri cardinali che hanno collaborato: il Cardinal Christoph Schonborn di Vienna e il André Vingt-Trois di Parigi.

    Menziona anche altri cardinali in modo da far pensare che possano aver partecipato promettendo i loro voti: il Cardinal Laurent Monsengwo Pasinya di Kinshasa e il Cardinal Sean O’Malley.
    Infine, alle pagine 356-355, il Dr. Ivereigh conferma quest'interpretazione della testimonianza che egli offre, scrivendo:
    Per questa ragione, e poiché i promotori di questa campagna si mantenevano cautamente dietro le quinte, il carrozzone bergogliano che cominciò a marciare durante la settimana delle congregazioni passò inosservato ai media, tanto che ancor oggi la maggior parte dei vaticanisti crede che non ci sia stato alcun tentativo organizzato pre-conclave di far eleggere Bergoglio.
    Numerosi cardinali sono implicati

    Fino ad ora, sono stati pubblicamente implicati quattro cardinali: Murphy-O’Connor di Westminster, Danneels del Belgium, Kasper e Lehmann della Germania; tuttavia, il testo di Ivereigh ha menzionato altri tre cardinali come membri del team: Schonborn di Vienna, Vingt-Trois di Paris e Santos Abril y Castello di Santa Maria Maggiore.
    Un totale di sette cardinali nel team.
    Altri due Cardinali, nominati esplicitamente, sono sospettati di aver promesso i loro voti: il Cardinal Laurent Monsengwo Pasinya di Kinshasa e il Cardinal Sean O’Malley.
    Inoltre, ed è incredibile pensarlo, tutti i cardinali della Spagna e dell'America Latina potrebbero aver promesso i loro voti – sarebbero quindi più di venti da aggiungere al computo totale, senza considerare i cardinali africani.
    In tutto sono trenta i cardinali che potrebbero aver partecipato: quanti di essi erano elettori, sono tuttora scomunicati. *
    Impressionante.
    Ancor più sorprendente è il fatto che gli elementi portanti di questo racconto non sono stati, ad oggi, smentiti da nessuno dei partecipanti. Gli unici fatti negati sono la richiesta del consenso di Bergoglio alla campagna elettorale da parte dei quattro cardinali e quanto afferma il Dr. Ivereigh riguardo al loro agire. Nulla è stato negato dagli altri, e alcune alterazioni nella cronologia dei fatti presentata potrebbe essere una conseguenza implicita delle affermazioni contenute nella smentita di Padre Lombardi. I fatti smentiti, tuttavia, sono quelli che le prove presentate qui sopra mostrano di essere innegabili.
    ________________________
    NOTE
    * Anche se qualcuno di essi non avesse votato per Bergoglio al primo ballottaggio, ciò non lo esimerebbe automaticamente dall'accusa di essersi impegnato a farlo.
    ===============
    Cliccare qui per leggere il nostro reportage completo sul Team Bergoglio e per avere una lista degli altri reportage dei principali organi d'informazione su questo caso.




    IMPRESSIONANTE ARTICOLO DI ALDO MARIA VALLI A MO DI PROFEZIA...... 

    Leggenda del benigno imam che sanò lo scisma cattolico sulla famiglia

     

    di Aldo Maria Valli | 09 Gennaio 2015 ore 06:30

     

     

    Sono passati duecento anni, ma sembra ieri. Quei fatti segnarono in maniera indelebile la chiesa cattolica, ma non solo. Io, per comprensibili ragioni, li ho studiati, e sono in grado di ricostruirli in maniera piuttosto fedele.

    Correva dunque l’anno 2014 e il Papa di allora, Francesco, chiamò a raccolta i suoi vescovi per discutere i temi legati alla pastorale della famiglia. Desiderava un confronto aperto, franco, sincero, e i vescovi lo presero sul serio. Talmente sul serio che la discussione si fece infuocata e sfociò in contrapposizioni nette. Fu così che il Sinodo sulla famiglia divenne lo Scisma sulla famiglia. Da una parte c’erano i pastori che si riconoscevano nella linea del Papa Francesco: predicavano misericordia, apertura, accoglienza, comprensione, disponibilità. Dicevano che la chiesa non doveva giudicare, ma accompagnare e sostenere. Gesù, spiegavano, non è venuto per i sani, ma per i malati. La chiesa sia dunque un ospedale da campo nel quale curare le ferite di tutti. Dall’altra parte c’erano i pastori che invece predicavano rigore, rispetto della tradizione, intransigenza, severità, inflessibilità. Pensavano che obbligo indefettibile della chiesa fosse applicare e perpetuare la retta dottrina, senza sconti e senza cedimenti allo spirito del mondo. Spiegavano che Gesù ha parlato chiaro quando ha detto: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.

    Si riferivano, con questa citazione, al problema dell’indissolubilità del matrimonio, che in quel sinodo, divenuto poi scisma, fu il più dibattuto assieme alla questione se concedere o meno la comunione ai divorziati risposati civilmente e alla domanda circa l’atteggiamento da tenere nei confronti delle unioni fra persone omosessuali.

    Erano temi, come si può capire, che oggi non suscitano più dibattiti né tanto meno contrasti, ma allora, due secoli fa, erano al centro di dispute infinite, nelle quali la chiesa cattolica finì col perdersi.

    Fu così che dal sinodo si scivolò, inevitabilmente, nello scisma, passato alla storia come il grande Scisma sulla famiglia. Inutile fu il tentativo di mediazione proposto dal presidente della Repubblica italiana, il quale, in segno di rispetto per la sede di Pietro, cercò di ricondurre le parti alle ragioni dell’unità. Il disaccordo si fece così profondo, e la disputa così rovente, che i contendenti, a un certo punto, si scagliarono reciproche scomuniche, con tanto di bolle e controbolle. Così da una parte, sotto la guida di Papa Francesco, si costituì la chiesa cattolica apostolica romana misericordiosa (in sigla: Carm), e dall’altra, sotto il Papa Pietro II (un cardinale americano) la chiesa cattolica apostolica romana intransigente (in sigla: Cari).

    Da allora, dopo un primo periodo di accuse e recriminazioni senza costrutto, la Carm e la Cari non mancarono di tentare qualche forma non dirò di riconciliazione ma almeno di dialogo. A questo scopo fu costituita un’apposita Commissione ecumenica per il dialogo tra i fratelli separati (Cedfs), che arrivò a elaborare, attraverso sottocommissioni riconosciute da entrambe le chiese, alcuni documenti caratterizzati da segnali distensivi. Nei fatti, tuttavia, la separazione rimase netta.
    Dal lontano 2014, come sappiamo, si sono succeduti otto papi da una parte e sette dall’altra (sto parlando di quelli regnanti, lasciando ovviamente da parte i dieci emeriti), e si può dire che tutti, in un modo o nell’altro, pur riconoscendo la necessità di continuare a pregare per l’unità, non hanno fatto che ribadire e confermare in modi sempre più solenni le rispettive posizioni, segnate da un lato dai richiami alla misericordia e dall’altro dagli appelli all’intransigenza.

    Capirete perché, mosso da spirito di generosità e di umana benignità, nel nome dell’unico Dio, ho pensato, dopo aver ascoltato il parere di una serie di esperti, di prendere un’iniziativa che possa consentire alla Carm e alla Cari, finalmente, di sancire con un gesto comune la reale volontà di riconciliazione.

     
    Non è vero che da parte nostra, come hanno scritto alcuni giornali, ci sono secondi fini. C’è solo, direi, compassione nel senso letterale del termine. E poi non sta forse scritto “nessuno di voi crede completamente fino a che non ami suo fratello come se stesso”? E ancora: “Se qualunque parte è malata, il corpo intero condivide l’insonnia e la febbre”?

    Dunque, ho deciso. Domani, nel duecentesimo anniversario dello Scisma sulla famiglia, il Papa Francesco VIII e il Papa Pietro VII saranno ricevuti qui, da noi, in quella che fu la basilica di San Pietro e ora, ormai da più di un secolo e mezzo, è la Grande Moschea Bianca di Roma. In quanto imam supremo, avrei potuto richiedere atti di sottomissione e di obbedienza. Invece, nella mia magnanimità, ho posto soltanto due semplici condizioni. Che entrambi i papi, prima di entrare nella moschea per lo storico incontro e l’altrettanto storico abbraccio, compiano, in segno di purificazione, le rituali abluzioni presso le due fontane della piazza (Francesco VIII nella fontana di sinistra, Pietro VII in quella di destra) e poi, ovviamente, in segno di povertà, austerità e rispetto per il luogo sacro, si tolgano le scarpe.

    Il mio cuore è colmo di speranza in queste ore di vigilia. Ma, sia detto fra noi e senza offesa: che siano misericordiosi o intransigenti, a questi cristiani cattolici bisogna insegnare proprio tutto!



     

    [Modificato da Caterina63 11/01/2015 00:10]
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    Caterina63
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    00 22/03/2015 21:14
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      Il papa che abbandonò i gay al loro destino



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    Il papa “abbraccia” i gay dissero i laudatores, lo stesso dissero i detractores, con animo opposto. Un equivoco pazzesco! Li stava abbandonando invece, ebbene sì!


     


    *Per gentile concessione del quotidiano LA CROCE (clicca su). Il mio articolo è apparso nel numero 35, di venerdì 28 febbraio 2015 col titolo (vedi foto) “Cronache grasse da un venerdì di Quaresima”.


     .


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    di Antonio Margheriti Mastino


    Arriva un momento in cui bisogna scegliere l’oggettività, per un attimo; un momento in cui è necessario dire parole crude e crudeli. Perché la verità dei fatti è sempre più cruda e crudele delle contrapposte rappresentazioni più o meno ideologiche dei medesimi, quasi sempre farsesche più che atroci.



    LAUDATORES ET DETRACTORES



    Il n° 48 del quotidiano LA CROCE, del 19 marzo 2015 sul quale il mio pezzo è comparso, alla pg. 5

    Il n° 48 del quotidiano LA CROCE, del 19 marzo 2015 sul quale il mio pezzo è comparso, alla pg. 5



    Non v’è dubbio, è difficile per un cattolico che scrive di Chiesa dire di papa Francesco. Sembra non esistere una via di mezzo tra l’adulazione e la demolizione, una via della ragione. Ci si deve orientare tra le opposte tifoserie da curva sud di sacrestia, violente talora, dove l’unica vittima che resta sull’arena è appunto la ragionevolezza. Talora in compagnia della decenza. Allora certe volte occorre recuperare un minimo di oggettività, avventurarsi nella missione impossibile di “capire” un gesuita, qualsiasi gesuita degno di questo nome.


    Perché il problema vero che le tifoserie – quella progressista che lo tira per la mantellina, quella tradizionalista che lo spintona – il problema che hanno con Bergoglio è di comprensione. Comprendere cosa un gesuita è, comprendere la storia privata di questo gesuita in particolare. Avere il coraggio di capire e spiegare oggettivamente questo fenomeno che è Bergoglio, secondo ragione e in piena libertà – giacché ci si è dimenticati che il cattolicesimo è la patria della libertà, e della ragione – senza farsi coinvolgere e confondere dagli ottimismi sfrenati e irrazionali dei laudatores, da una parte, e i pessimismi esagitati e altrettanto irrazionali dei detractores, dall’altra. I quali di certo ripagheranno un tale sforzo non capendo gli uni, disprezzando i secondi. Dal momento che li unisce, come in tutti gli estremi che si toccato, un dato: i progressisti sperano che un papa distrugga la Chiesa per aver ragione; i tradizionalisti che la distrugga per dire “ve l’avevamo detto”. L’oggetto del loro risentimento è la Chiesa com’è nel suo complesso: i tradizionalisti non accettano quel che è diventata, i progressisti quel che non è diventata. Per questo vogliono aver ragione, ma rifiutano la ragionevolezza. E con essa la realtà delle cose.



    IL GAUCHO



    La famiglia di Bergoglio

    La famiglia di Bergoglio



    Sono appena passati due anni da quella “fine del mondo” con la quale si presentò Bergoglio in Piazza San Pietro. E da allora ad oggi, il fatto più clamoroso che ha segnato questo pontificato, fu quella frase aerea del papa sui gay: «Chi sono io per giudicare?», che è la madre di tutti gli eccessi e il padre di tutti gli equivoci, e non solo perché il seguito, «ma io sono figlio della Chiesa», ossia accetto il Catechismo, non interessò a nessuno, né a destra né a sinistra. Il vero problema è che nessuno capì veramente cosa Bergoglio stava dicendo e cosa stava davvero facendo, proprio perché ben pochi conoscono realmente l’uomo Bergoglio e la sua storia, gesuitica fin nelle midolla.


    Non si può capire Bergoglio fuori dalla sua indole e dal contesto che lo ha partorito, prescindendo dalle cose che lo imbarazzano e lo ripugnano anche. Non si può capire senza prendere in esame il contesto sociale patriarcale dell’Argentina proletaria, fatto di santissime madri e venerabili padri di famiglia emigrati sovente dall’Italia povera e derelitta, rurale che andavano a incontrarsi con le mitologie virilistiche degli spagnoleschi gauchos della Pampa. È un contesto maschilista, virilistico, decisamente eterosessuale. Ed è questo il punto: Bergoglio è assolutamente, totalmente, perdutamente eterosessuale, e partecipa con la decenza che si conviene a un prete, alle sue mitologie, ai gusti, le idiosincrasie. A Bergoglio non solo piacciono – castamente, s’intende! – le donne, non solo: prova fastidio per qualsiasi effeminatezza. Lo imbarazzerebbe.


    Restò noto quel fatterello che poi divenne di pubblico dominio dove Francesco ricevendo alcune vescovesse anglicane, quando s’allontanavano, faceva istantaneamente pervenire ai collaboratori il suo commento circa l’avvenenza o meno di queste, ora «troppo brutta» ora «bella donna» e il suo compiacimento o meno – a secondo della vescovessa – era scolpito in faccia, immortalato dall’impenitente fotografo ufficiale.



    “PERVERSIONE”



    Questo è il Bergoglio umanissimo, “pampero” e se volete “italiano”, e fa una certa simpatia. Ed è qui il punto. Un particolare rivelatore è riscontrabile nei suoi precedenti cardinalizi, dove l’unica volta che andò a testa bassa contro il pensiero unico dominante fu quando in Argentina qualcuno propose il “matrimonio” gay: si scagliò pubblicamente contro e rimase con i palchi rotti dalla reazione mediatica radical. Ne rimase traumatizzato e da allora cambiò strategia, ed evitò con cura ogni corpo a corpo su certi temi, come poi ha continuato a fare da papa.


    Ma è un altro l’indizio rivelatore: quando il cardinale accettò di fare il libro intervista “El Jesuita” – titolo non casuale, da lui stesso scelto, ebbene allorché dovette rispondere sui preti pedofili e gay, Bergoglio sempre usò la parola “perversione”: arrivò a dire che se entrarono in seminario fu per copertura, perché «la perversione ce l’avevano già da prima».


    Ecco, questo nel suo profondo, in base alla sua educazione crede veramente papa Francesco degli omosessuali: che siano vittime di una perversione. Nell’accezione di malattia, certo: ma morale. Dal distacco col quale ne parla, rispondendo alle domande, quasi avverti una sorta di insopprimibile, inconscia ripugnanza per quell’argomento, lontanissimo dal suo mondo. Tutto eterosessuale. Ed è qua l’altro punto.



    REPULSIONE



    Il Gaucho della Pampa

    Il Gaucho della Pampa



    In che contesto, sul famoso aereo papale, Bergoglio pronunciò la famigerata frase “sui gay”? Lo fece allorquando gli fu chiesto della lobby gay in Vaticano più in generale; e, nello specifico, su mons. Ricca che aveva appena promosso. Era venuto fuori subito dopo la nomina a prelato dello IOR, che Ricca aveva avuto in America Latina trascorsi omosessuali, e che in pratica il suo era un curriculum a luci rosse, si scrisse. Tutto vero, e il papa ne aveva preso atto. Ma con una serie di raffinati gesuitismi che pochi percepirono, liquidò la questione con un “ho visto le carte, non c’è niente”. E non mentiva: le carte che gli avevano date erano pulite, erano state ripulite. Poi lo sporco era riemerso, ma troppo tardi. E tuttavia lui non ne voleva più sapere di riesaminare la questione, di approfondire. Ma perché era parziale e partigiano? Perché non poteva ammettere di aver preso una cantonata? Assolutamente no! Proprio perché ne provava repulsione: manipolare faccende scabrose attinenti a questioni, per dirla all’argentina, di “maricones”, di pederasti è qualcosa che lo ripugna, c’è proprio un rifiuto istintivo. Se ne sentirebbe invischiato e inzozzato: non può nemmeno immaginarlo!


    Le sue orecchie eterosessuali di vecchio gaucho della Pampa non possono tollerare la cacofonia dell’omosessualità, delle sue pratiche almeno. E cosciente di questo suo istintivo rifiuto, così politicamente scorretto, si sforza pubblicamente di mostrare l’atteggiamento opposto. Ma il suo imbarazzo è visibile, lo è il fastidio per certe domande sui “maricones”, è chiaro nella fretta con cui vuol liquidare simili faccende, si potrebbe dire anche i termini improvvidi con cui su quell’aereo disgraziato le liquidò.


    Per lui è inconcepibile come si possa parlare tanto, dentro la Chiesa, di gay, e il troppo parlarne lo irrita perché lo disturba: il parlarne certamente, ma soprattutto l’argomento. Che altro non è, in fondo, che “perversione”. Così pensa, ma oggi, da papa, non può e non vuole dirlo. Fatto sta che laicisti e progressisti strombazzarono ai quattro venti l’avvenuta “apertura” ai gay, mentre bigotti e tradizionalisti gridarono invece allo scandalo. Gli uni e gli altri non solo non avevano capito cosa Bergoglio provava e cosa aveva appena detto, non solo. Non avevano capito soprattutto cosa stava in quel momento facendo. Una gran cosa, troppo grande per essere compresa. Ed è il punto cruciale di questa riflessione.


    Il papa “abbraccia” i gay dissero i laudatores, lo stesso dissero i detractores, con animo opposto. Un equivoco pazzesco! Li stava abbandonando invece, ebbene sì! Vengo a spiegarmi.


    Se c’è una cosa che a Bergoglio ripugna, dicevo, è proprio l’omosessualità, e proprio perché lo ripugna cerca di affrontarla svicolando dal problema. Su quell’aereo di ritorno da Rio non disse infatti la frase che i media riportarono, ma disse “se cercano davvero Gesù…”. Un imperativo fondamentale per aggiungerci poi quel “chi sono io per giudicare?”. Se cercano Gesù. Ossia, è sottinteso: se l’hanno davvero trovato naturaliter rinunceranno a proseguire nella loro condotta sessuale, che rientra tra i non troppi peccati, cinque o sei, che gridano la vendetta del cielo.


    Papa Bergoglio, riaffermando che egli crede quello che insegna la Chiesa (lo disse) e ritiene che le gente conosca questo insegnamento, di fatto sta reagendo al problema come fece san Paolo: li sta abbandonando a se stessi, i gay. Dopo, ovviamente, aver loro ricordato che la Chiesa ha le braccia aperte – in quanto madre – ma che oltre non potrà andare e non andrà. Li sta lasciando alle loro illusioni. San Paolo infatti una sola volta condanna “i sodomiti e gli effeminati”, dopodiché non ne parla più. È un gesto eminentemente paolino il suo. Prova ne sia che mai più ha ripreso l’argomento.


    E in questo contesto davvero risultano surreali se non ridicole, patetiche, le copertine delle riviste gender che intruppavano il papa “uomo dell’anno” nell’avanguardismo dei diritti gay: se avessero ancora importanza le parole a questo mondo, se la logica avesse un ruolo, gli omosessualisti dovrebbero guardarsi intorno e tremare dinanzi alla solitudine desolata in cui li ha lasciati il papa con quel gesto paolino e a suo modo alto, e come tutte le cose alte, incompreso e frainteso. Come s’addice alla dittatura imperante del superficiale mediatico. Fuori, ma anche dentro la Chiesa.



    IL GESUITA TOTALE



    1300-libro-bergoglioDifficilmente i dati qui riportati potranno essere smentiti, se raffrontati a tutta la vita e la personalità di Bergoglio. Ma poi c’è un altro fatto, non meno importante, e anzi decisivo: è di un gesuita, gesuita in tutto, fino in fondo all’anima che parliamo. Se non si parte da lì non si sbroglia la matassa.


    Se si vuol capire davvero come la pensa, si deve leggere il più vero dei libri su di lui, quello dell’amico rabbino Skoka, perché è lì che Bergoglio, ancora cardinale, si racconta così bene che tutti i concetti espressi li ritroviamo oggi in ogni suo discorso da papa.


    Sull’omosessualità dice: «La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione poiché è al servizio della gente. E se qualcuno mi chiede un consiglio, ho il diritto di darglielo. A volte il ministro religioso richiama l’attenzione su certi punti della vita privata o pubblica perché è la guida dei fedeli. Non ha il diritto di intromettersi nella vita privata di nessuno, certo.» Ed ecco, già allora, la frase che poi diventerà famosa: «Se nella creazione Dio ha corso il rischio di renderci liberi, chi sono io per intromettermi? Condanniamo l’eccesso di pressione spirituale, che si verifica quando un ministro impone le direttive, la condotta da seguire, in modo tale da privare l’altro della sua libertà. Dio ci ha lasciato addirittura la libertà di peccare. Occorre parlare con chiarezza dei valori, dei limiti, dei comandamenti, certo, ma l’ingerenza spirituale, pastorale, non è consentita…». Chiaro.


    Anche se ci sarebbe molto da discutere sul “diritto di peccare” che teologicamente è un falso, purtroppo gesuiticamente è un dato oggettivo, ma intanto abbiamo un dato certo: considera l’omosessualità un “peccato”, e ha ragione a sottolineare che una “ingerenza spirituale” non è consentita.  Ha ragione riguardo alla coscienza, perché quella è terra santa dove la coscienza dell’individuo può incontrare in solitudine il suo Dio e riconoscere la verità, nessuno può violarla o forzare le tappe. È il luogo della libertà totale, cristianamente intesa, dove Dio lascia la sua creatura libera di abbracciarlo o no.


    Ha ragione Francesco, non perché questo è ciò che esattamente insegna la Chiesa ma perché è così che la vedono i gesuiti. E Bergoglio è gesuita prima che cattolico, e la sua è l’esegesi gesuitica del Vangelo.



    MASCHI PIÙ MASCHI



    23893331_bergoglio-il-papa-nero-gesuita-dentro-francesco-fuori-un-ossimoro-1Si deve ancora leggere bene Bergoglio gesuita per capire Bergoglio papa. Dice sempre nel dialogo con il rabbino: «L’omosessualità è sempre esistita. L’isola di Lesbo, per esempio, era nota per ospitare donne omosessuali. Ma non era mai successo nella storia che si cercasse di darle lo stesso status del matrimonio. Veniva tollerata oppure non tollerata, era apprezzata o non apprezzata, ma mai equiparata.»


    Poi ha un’intuizione degna di un grande antropologo dinanzi ai tanti periodi storici da Basso Impero: «Sappiamo che durante alcuni cambiamenti epocali il fenomeno dell’omosessualità registrava una crescita. Ma nella nostra epoca è la prima volta che si pone il problema giuridico di assimilarla al matrimonio, cosa che giudico un disvalore e un regresso antropologico. Uso queste parole perché il tema trascende la questione religiosa, è prettamente antropologico. Di fronte a un’unione privata, non c’è un terzo o una società danneggiati. Se invece le si attribuisce la categoria di matrimonio e le si dà accesso all’adozione, ciò implica il rischio di danneggiare dei bambini. Ogni individuo ha bisogno di un padre maschio e una madre femmina che lo aiutino a plasmare la propria identità. E lo ribadisce: «Insisto, la nostra opinione sul matrimonio fra persone dello stesso sesso non ha un fondamento religioso, ma antropologico. Quando Mauricio Macri, sindaco di Buenos Aires, non è ricorso in appello contro la sentenza pronunciata da un giudice di prima istanza che autorizzava le nozze omosessuali, sentii che dovevo dire qualcosa, per dare un orientamento, e mi vidi obbligato a esprimere la mia opinione. È stata la prima volta in diciotto anni da vescovo che ho richiamato l’attenzione di un pubblico funzionario».


    Il fatto che Bergoglio ritenesse le unioni gay un problema più antropologico che religioso, non attenua la sua critica, la rende anzi più radicale e allarmata. Sta dicendo: non è problema che deve scandalizzare solo i cattolici, ma tutti, l’uomo, l’umanità, gli uomini ragionevoli.



    CHIRURGIA PIÙ CHE TEOLOGIA



    È così che ragiona un gesuita… al gesuita non interessano le questioni religiose, teologiche, ma quelle umane e antropologiche: fu uno dei motivi per cui venne reiteratamente chiesta ai papi la soppressione di quel controverso Ordine. Non erano dispute teologiche le loro, ma politiche ed antropologiche, ecco perché poi vennero riammessi nella comunione ecclesiale una volta passata, con la Rivoluzione Francese, la tempesta politica che li aveva travolti e inabissati, sino all’atto clamoroso della soppressione, obtorto collo, per mano di un papa francescano, Clemente XIV. Se fossero state dispute teologiche e fossero stati soppressi in quanto eretici, nessun papa li avrebbe riammessi nella Chiesa.


    Bergoglio è un gesuita fino in fondo all’anima, dunque, ha in orrore i famigerati peccati “contro natura”, e di qualsiasi altro tipo, dal furto alla corruzione, sino a quelli della carne. Ma come un chirurgo non vomita dinanzi alla ferita purulenta e incancrenita di un paziente e con freddezza professionale cerca di sanarla, così agisce Bergoglio: non affronta il problema dal punto di vista religioso, ma antropologico appunto. La carne viva dell’uomo, prima ancora dello spirito: la gerarchia degli interventi così è stabilita dalla sua formazione gesuitica.


    Sempre in quel libro Bergoglio dice: «Un sacerdote di mia conoscenza diceva che Dio ci ha fatti uomo e donna perché amassimo e ci amassimo. Di solito, nell’omelia per il matrimonio dico allo sposo che deve rendere lei più donna, e alla sposa che deve rendere lui più uomo…» ed è vero, è una espressione ripetuta più volte, lo ha fatto nell’omelia per i matrimoni che ha officiato da papa.



    ADDIO E COSÌ SIA!



    L'equivoco pazzesco

    L’equivoco pazzesco



    In sostanza, a Bergoglio non importa nulla di come vivrai la tua vita privata: se tu non vuoi ascoltare il Vangelo, ti lascia alle tue “libere scelte”, non ti correrà certo dietro, ti abbandona e per lui il discorso è chiuso, non se ne interessa più di te. Dio vede e provvede. Se poi nel frattempo ti sei sfasciato le corna contro le tue illusioni e fai retromarcia, certo non ti sbatte la porta in faccia Bergoglio: le porte della Chiesa restano aperte.
    Bergoglio va avanti per la sua strada, con il Vangelo alla mano ma senza usarlo come un randello. La libertà che ti concede è tutta qui: o resti e ascolti il Vangelo, o sei libero di andartene incontro ai tuoi idoli, nessuno ti darà la caccia. Non ci importa nulla – ti dice – la pelle e l’anima sono le tue. Non gli interessa parlare con o di chi, battezzato, naviga e vive contro natura. Di chi ha elevato il peccato a sistema di vita, facendosene corrompere: la parola “corruzione” è la più ricorrente nei discorsi di Bergoglio ed è quella più abominevole per lui: in Italia pensiamo che significhi solo i politici che rubano, ma ogni persona che pecca è soggetta alla “corruzione”, ossia al peccato che si fa sistematico e orienta deviandola una vita. E un’anima.

    Nella Lettera ai Romani (cap.1-24) leggiamo: «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen». Amen: così sia, significa. “Così sia”, dice Bergoglio dinanzi alle rimostranze dei gay orgogliosi. “Amen”. Fate come vi pare, non mi importa nulla. “Amen”, fine cioè.

    Bergoglio applica alla lettera questo brano, lo vogliamo capire o no?

    Il papa inserisce il problema dell’omosessualità non in un contesto di affettività, ma di menzogna che viene mascherata dalle “nuove idolatrie” del nostro tempo. Una di queste nuove idolatrie è l’edonismo: l’adorazione della creatura è per lui idolatria e disonore verso Dio, e in questo se “affettività” c’è, è, per Bergoglio, del tipo più prossimo al rapporto mercenario. Egli sa che uno dei fondamenti dell’omosessualità è proprio “adorare la creatura”, un’adorazione neppure delle essenze, ma della materia e della forma che la compongono,  e che difficilmente a un simile livello di amoralità e materialismo può verificarsi fra l’uomo e la donna uniti in matrimonio.

    GENERALI SI NASCE E LUI LO NACQUE

    Insomma per capire il Bergoglio papa è necessario leggersi e studiare il Bergoglio gesuita, non si scappa! Il gesuita però non modernista, attenzione: lui è proprio ignaziano ma con un grado in più: se Ignazio era capitano e poi è diventato generale della Compagnia, lui è stato sempre un generale, e non solo della Compagnia, ma anche nella Chiesa di Buenos Aires, come da se stesso racconta. Quindi non avremo mai un Bergoglio papa “dottrinale”, ma un generale “della santa Chiesa Gerarchica” (altro motto ignaziano da lui ripetuto spesso), e non da dietro una scrivania o da dentro il palazzo apostolico lavorando sui testi, ma nel famoso campo di battaglia, dove non sceglie le trincee o la prima fila, i tiratori scelti, no: preferisce stare e agire dall’ospedale da campo per occuparsi dei feriti. Ecco allora l’abitare a Santa Marta, eccolo allora con i suoi modi spartani ed improvvisati, bruschi spesso. Governa da vero gesuita, altro che da francescano per giunta modernista!

    Questo è il vero Bergoglio. È un gesuita puro, all’ennesima potenza, ignaziano a modo suo: sant’Ignazio agiva sulle truppe con la dottrina, ma anche con il concetto antropologico del “Cristo Uomo”  (ricordiamo la canzone Capitan Gesù) che guida le truppe all’assalto. Bergoglio usa lo stesso metodo ma in modo moderno: aggrega, confonde e disperde, assalta non con la dottrina ma con l’antropologia: se Benedetto diede la priorità alla ragione dell’uomo, Bergoglio è attento alla carne viva dell’uomo. Se, buttandola in medicina, il primo fu il celebre professore di Anatomia Patologica che insegna ai medici cosa la malattia e il corpo umano sono, il secondo è il semplice medico militare che prova direttamente a prestare le prime cure al corpo del singolo malato.

    È un moralista? Sì e no. Sì se ascoltiamo il ritratto che ne fanno i media; no, se lo vediamo attraverso la storia gesuitica: se facciamo caso infatti i media non hanno mai e poi mai parlato di Bergoglio gesuita. Per il resto disprezza profondamente non il peccatore che cade in un peccato occasionale, ma la corruzione nella quale sono precipitati coloro che si sono assuefatti al peccato, tanto da farne un sistema di vita. Questo non è moralismo: è essere cattolici.

    È il cuore di questa sua storia totalmente gesuitica sta tutto negli Esercizi Spirituali ignaziani, le uniche ferie che Bergoglio si è sempre preso.

    p.s.

    Poi ci sarebbe un altro piccolo particolare, ma fondamentale, per capire l’istintiva repulsione di Bergoglio per le faccende omosessuali: una certa sana “misoginia”. E, qui pure, la si può capire e spiegare solo nello jato del gesuitismo. Il più virilistico ma anche il più misogino degli Ordini religiosi, tant’è che rimase l’unico a non avere un ramo femminile. Erano e si sentivano militari e generali. Maschi. Ma ne parleremo, forse, in altra occasione.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 27/08/2015 20:45
      riportiamo questo articolo perchè lo interpretiamo NON contro Papa Francesco ma additando gravi lacune a Radio Vaticana che ne dovrebbe promuoverne l'immagine, e del come lo fa malamente....

    SUGGERIAMO ANCHE QUESTO VIDEO CHE SUFFRAGA QUANTO DETTO IN QUESTO ARTICOLO 
    https://vimeo.com/137685511 


    QUANDO LA 100ma UDIENZA DI UN PAPA DIVENTA UNA “VATICANATA”…


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    Lo sappiamo, siamo a volte nefandi e sembra che vogliamo sollevare solo quanto di più becero ci sia nel pensiero modernista nelle membra (non nella Chiesa in quanto Sposa di Cristo, una, santa ed apostolica, quale professiamo nel Credo, la differenza è di vitale importanza) della Chiesa, ma “qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare” e non per gloriarci in esso, ma per mettere in guardia da certa mediaticità velenosa.

    Radio Vaticana festeggia la centesima Udienza generale di Papa Francesco – vedi qui – e noi ce ne rallegriamo, ma non possiamo tacere lo sporco e il becero marketing attraverso il quale lo fa.

    485236948Il trionfo è nei numeri e nelle “transenne che esplodono di fedeli urlanti; negli applausi e multi colori….”, nel mate, nel cambio dello zucchetto, negli oggetti lanciati, per non parlare delle interviste.

    Alla domanda sul Papa emerge uno spaccato per nulla confortante, trionfa il “Papa piacione”, allegro, buono, sorridente, simpatico, semplice, umile, persino “coraggioso” (in che cosa sarebbe coraggioso?) e quant’altro ma nessuno, nessuno ha detto: vado dal Papa PER LA SUA FEDE!

    Tra tutti gli attributi dati al Papa, nessuno ha parlato di “testimone della fede”, testimone di Cristo… nessuno ha detto “perchè mi sono convertito a Cristo grazie a lui”.

    Altra domanda: se lei potesse dire qualcosa al Papa, cosa direbbe?

    1. – Ti voglio bene.
    2. – Di continuare a chiederci di essere nella Chiesa pieni di gioia.
    3. – Di continuare così, che va bene.
    4. – Di ringraziarlo per quello che fa per tutti noi, tutti i giorni.

    Non possiamo non chiederci in che senso quel “continuare a chiederci di essere nella Chiesa pieni di gioia – Di continuare così, che va bene….” ??

    ma perchè se il Papa non te lo chiedeva tu eri e saresti rimasto un musone?

    di continuare “così che va bene” in che senso? ti sei convertito a Cristo? hai abbandonato il peccare? Ti confessi di più? Queste et-similia dovrebbero e sarebbero dovute essere le domande di Radio Vaticana, e non altro…

    1. – E’ una brava persona!
    2. – E’ assolutamente uno di noi. Vorrei dirgli di continuare come sta facendo.
    3. – Il suo amore per il popolo.

    C’è stato forse un Papa, almeno fra gli ultimi Dodici, da quando c’è stata la Questione Romana che non sia stato una “brava persona”? Forse che gli altri Papi non hanno avuto “amore per il popolo”?, ebbè, però “è uno di noi eh!”, gli altri erano “extraterrestri, non venivano “dal nostro mondo”, mah! misteri del pensare umano.

    Per concludere è fondamentale ritornare a fare una precisazione, saremo antipatici per questo, ma non possiamo tacere.

    In questo articolo dell’anno scorso: Ordine mediatico: non svuotate quella piazza – vedi qui – avevamo già dato prova della falsità di informazione della stampa vaticana quando si tratta di riferire i numeri riguardanti le visite al Papa (a questo Papa, perchè poi con Benedetto XVI in effetti giocavano con i numeri al ribasso, facevano il contrario) che sono oramai fisse alle “migliaia” quando le foto stesse chiariscono che da circa un anno la Piazza san Pietro è vuota, ossia, nella normalità, i pellegrini non superano più da un anno l’obelisco della piazza il chè, a conti fatti, non superano l’ordine delle 300-400, 500 via, a voler essere generosi, persone e non espressi in migliaia, ma in centinaia, ed anche quando l’udienza avviene nell’Aula Paolo VI, questa non è più gremita come nei primi mesi di pontificato. Questa Aula contiene, quando è piena, anche seimila persone, il chè non sta avvenendo più.

    Il perchè lo avevamo spiegato nell’articolo linkato, ma a quanto pare l’ordine di scuderia dell’ufficio Marketing di Papa Francesco, non demorde ed è perentorio: TRIONFALISMO!

    Sia ben chiaro: a noi fa e farebbe piacere continuare a vedere che i Pontefici che si alternano di questi tempi drammatici, raccolgano pieno consenso popolare, affetto, abbracci, ma senza per questo ingannare la gente; senza per questo far trionfare il papa mediatico, un papismo mediatico conducente all’idolatria della persona del Papa (a prescindere da chi regna in quel momento), conducente ad una papalatria becera e velenosa che non conduce alla conversione delle genti, ma al trionfalismo come del resto svela la stessa attenta critica di un pastore valdese – vedi qui – che ha detto quanto non è possibile per noi ignorare:

    “Francesco resta pur sempre un papa “che ha scommesso tutto sulla sua forza mediatica”, come già i papi precedenti …. cioè per un “cristianesimo di massa che non chiede altro che di avere un divo che unisca, come potrebbe essere un divo dello spettacolo”, un papa, quindi, che “si ripropone come modello autoritario indiscutibile, com’è nella sua natura e nella sua origine”.

    Ma Gesù non ha fondato un “cristianesimo di massa e di consenso”, non è stato un “divo” ad unire, ma UN DIO morto in Croce e risorto, lo spettacolo non è quello disegnato dal marketing vaticano, ma dalla CROCIFISSIONE, lo spettacolo scandaloso, lo scandalo per eccellenza.

    Auguriamo al Pontefice altre ed oltre 100 Udienze, ma auspicando una calata di toni folcloristici ed un successo di conversioni vere, magari anche silenziose, ma vere.

    E ricordiamo a Radio Vaticana che stanno rendendo al Papa un pessimo servizio, anzi, un servizio piegato su se stessi, all’insegna della vanità umiliando di continuo, per altro, la fatica e la croce dei Pontificati precedenti a questo quando, pur di bastonare Benedetto XVI, i numeri che lanciavano delle sue Udienze, erano al ribasso.

    Non dimentichiamo poi che (e questo vale per tutti i pontificati passati, presente e futuri) i pellegrini dell’Udienza del Mercoledì sono per la maggior parte gruppi di persone, comunità e parrocchie, che hanno prenotato la loro presenza mesi e mesi prima e che ci sia, oggi – dopo il trionfo dell’Anno della Fede dove tutto era stato prenotato – un calo vistoso della presenza italiana è un dato oggettivo indiscutibile, l’aumento proviene dall’America latina ed è del tutto normale come quando i polacchi animavano numeri e presenze durante il pontificato di Giovanni Paolo II (oggi scomparsi dalla piazza), i tedeschi-bavaresi quello di Benedetto XVI, e così oggi i connazionali di Francesco. L’udienza è poi in italiano, sfido chiunque dei presenti all’udienza di lingua straniera a ripeterci che cosa hanno capito del Discorso del Papa. Cara Città del Vaticano, non è così che si fa “comunicazione”, non è mentendo o facendo a gara con chi la spara più grossa sul VIP di turno, che si fa comunicazione santa!










    [Modificato da Caterina63 30/08/2015 12:57]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 28/08/2015 17:51
    <header class="entry-header">

    NON È POSSIBILE “LA CHIESA CHE VORREI…”. NEPPURE PER UN PAPA.


    </header>

    Nessun cattolico, papa compreso, può imporre una propria immagine di “Chiesa”.

    La Chiesa che Jorge Mario Bergoglio pretende non è possibile.

    A spiegarlo sono Gesù, tutti i Papi della Chiesa e specialmente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

    Nell’intervista ad Elisabetta Piquè pubblicata dall’Osservatore Romano (perciò è ufficiale) il 9 dicembre 2014 – vedi qui – intitolata “il coraggio di parlare – umiltà di ascoltare“,  Papa Francesco ha detto:

    “Nel caso dei divorziati risposati, ci siamo chiesti: Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro? Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!

    Allora bisogna aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza cristiana di questa? O se viene uno di quei truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.”

    Il discorso in sé è corretto e non fa una piega, desideri belli e sogni, sì, sogni perché purtroppo le conclusioni a cui arriva il Papa sono sbagliate.

    Apriamo queste porte, e sta bene, ci sta, ma non si può curare un male con un altro male, è questo che Papa Francesco non ascolta.

    Dice il Papa: “Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza cristiana di questa?”

    ma questa non è la vera testimonianza cristiana! Ci fa specie che un Papa non lo comprenda!

    La vera testimonianza cristiana sarebbe se questa persona dicesse: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti, infatti ho lasciato la compagna con la quale convivevo dopo aver divorziato con la vera moglie, e Gesù e la Vergine Santa mi stanno aiutando molto, mi sento forte e coraggioso, so di aver fatto la scelta giusta, ora posso nutrirmi dell’Eucaristia perché non vivo più in adulterio – ricordi? – è il sesto comandamento che io purtroppo avevo calpestato senza rendermene conto, ma ora ho capito ed ho posto rimedio....»

    Se del resto codesta persona dice al figlioccio: ” mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto..” se riconosce lo sbaglio dovrebbe riconoscere anche il rimedio, il Papa stesso dovrebbe dirlo che per rimediare ad un peccato non si porta come esempio il peccato di altri, ma cerca di risolvere il peccato RINUNCIANDO al peccato, allo stato di peccato in cui vive.

    Ma non che il Papa per giustificare il padrinato a chi non ha le carte in regola dice: “O se viene uno di quei truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.”

    Ma che risposta è mai questa? Neppure questa è la soluzione.Non si cura un male con un altro male, sono entrambi peccati gravi, nessuno dei due può fare il padrino, questa è la risposta che deve dare un sacerdote, e per di più un Papa.

    Non si prende per padrino un politico corrotto, un mafioso  o altro di cui si conoscono le malefatte o la nomina, ma non si prende neppure un divorziato risposato dal momento che il matrimonio è civile – fatto per altro dopo un divorzio con il Matrimonio Cristiano-Sacramento -, tanto è vero che la Chiesa specifica che il divorziato che subisce il divorzio e non si risposa e vive in continenza, può fare da padrino, da madrina se è una donna, e può ricevere anche l’Eucaristia.

    Quindi stiamo attenti a dire con facilità “le porte sono chiuse”, perché non è propriamente così.

    Il Papa si domanda: “Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro? Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere….”

    e propone persino  che: “Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!”

    ma se – rispondendo bene – riconoscendo che “dare loro la Comunione non è la soluzione”, allora non è soluzione neppure che essi “diano la comunione” ad altri, è un controsenso: se non la possono ricevere perché si riconosce loro uno stato di adulterio (che significa falsificare, e in questo caso essi stanno vivendo falsificando il matrimonio cristiano), come si può pensare che possano PRENDERLA pure con le mani per darla ad altri?

    0024 chiesa di Bergoglio4Santità, non è corretto dire che queste persone “non possono fare….” quasi che sia la Chiesa una matrigna che vieta qualcosa ai suoi figli, dovrebbe sapere che sono “loro” ad essersi IMPOSTI delle chiusure scegliendo una via sbagliata.

    Oppure che ogni Papa che arriva si mette a modificare la disciplina della Chiesa a seconda della moda del momento perché, siamo chiari, il divorzio è la moda del nostro tempo, è la “non-cultura” contro la Famiglia, è una scelta sbagliata!

    E’ come sta avvenendo per la droga: siccome sono tanti che usano le droghe, allora legalizziamole! Ma non è questa la soluzione.

    Lei, Santo Padre, in un’altra intervista sul senso del peccato o di ciò che è peccato oggi, saggiamente ha risposto che “ma guardi, ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, la Parola di Dio, i Dieci Comandamenti non è che cambiano, non si possono cambiare...”,

    ma ad una risposta così saggia, c’è davvero una contraddizione in termini in ciò che poi ha detto alla Piquè.

    La Chiesa ha tolto, con il nuovo Diritto Canonico del 1983 la scomunica ai divorziati e lo ha fatto proprio per venire incontro a loro e soprattutto a chi dei due subisce il divorzio, ma le Norme che disciplinano la ricezione dei Sacramenti valgono per TUTTI, divorziati compresi perché vengono dal Vangelo.

    La Chiesa non li scomunica, ma sono loro a mettersi fuori da certi servizi con il loro rifiuto ad applicare le parole di Gesù: “avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”…” (Mc.10,2-12)

    Gesù è chiaro a tal punto che, quando i discepoli – rientrati a casa – lo interrogano di nuovo sull’argomento, rincara la dose proprio per non creare equivoci: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

    0024 chiesa di Bergoglio1Se il sesto Comandamento ha ancora lo stesso valore di “ieri” e si vive in adulterio, nessuno può ricevere i Sacramenti e non per cattiveria la Chiesa scelse questa severità, ma perché amando le persone vuole evitare loro, come dirà San Paolo, di “mangiare e bere la propria condanna”(1Cor.11,29) e non ce lo stiamo inventando noi, spiegava infatti san Giovanni Paolo II:

    “In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: « Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione ». Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, « si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale » (Ecclesia de Eucharistia n.36)

    Se un divorziato si sposa civilmente è ovvio che convive in uno stato di adulterio e di conseguenza se persiste in quello stato, non può accedere alla Confessione perché il suo stato di cose e il suo RIFIUTO a lasciare quella situazione precludono ogni possibilità a ricevere l’assoluzione, di qui il problema da loro creato di non poter ricevere la comunione;

    se dunque ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, il senso dello stato di peccato di un divorziato risposato che convive con la compagna – o la divorziata che risposata convive così con il nuovo compagno, resta invariato, sono in uno stato di peccato e pure mortale.

    E questo vale per tutti, anche per chi sposato regolarmente in Chiesa tradisse il proprio coniuge, non può accedere alla comunione se non è pentito, se non ha lasciato l’amante e, se coscienzioso, non deve pretendere neppure di fare da catechista, da padrino o madrina, dare la comunione, ecc…sono regole scritte nei Vangeli che valgono per tutti e non solo per i divorziati-risposati!

    Al contrario si sta rischiando di creare delle categorie di PRIVILEGIATI e dove i privilegiati non sono persone che danno una testimonianza impeccabile allo stile di vita che Gesù ci chiede, ma categorie di privilegiati che vivendo in stato di peccato  e di peccato mortale vengono coccolati, vezzeggiati e pure premiati.

    Ancora diceva Giovanni Paolo II alla Sacra Rota nel dicembre 1995:

    “A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

    Neppure un Papa può modificare questa verità e deve attenersi a quella obbedienza del Vangelo senza ingenerare false illusioni nelle coscienze dei fedeli erranti.

    Ammettere pertanto alla Comunione persone che non hanno alcuna intenzione di recidere lo stato vizioso in cui convivono, richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo.

    Gesù, in dialogo coi farisei a proposito del divorzio, allude al binomio “divorzio” e “misericordia” (cfr Mt 19, 3-12). Accusa i farisei di non essere misericordiosi, dato che secondo la loro subdola interpretazione della Legge avevano concluso che Mosè avrebbe concesso un presunto permesso di ripudiare le loro mogli. Gesù ricorda loro che la misericordia di Dio esiste contro la nostra debolezza umana. Dio ci dona la sua grazia perché possiamo essere fedeli alla Sua legge e non usa affatto misericordia perché noi restiamo tranquillamente nel peccato.

    Abbiamo già ricordato che “adulterio-adulterare” viene dall’etimologia “falsificare”, per questo l’adulterio è inserito nei Comandamenti ed è un peccato mortale, perché si falsifica un sacramento, si falsifica uno status, si falsifica la legge naturale, perché falsificando si finisce per diventare ipocriti come lo erano, appunto i farisei ammoniti da Gesù anche sul divorzio.

    L’ipocrisia può diventare un vizio, ci si abitua a vivere nella falsificazione, nella falsità.

    E così l’ipocrita è uno che sovverte i valori; mette in primo piano ciò che deve stare sotto, ossia i valori esterni e il proprio io empirico, e pone in secondo piano, funzionale ai primi, i massimi valori, quelli interiori, dello spirito e divini. Da qui la sua doppiezza, slealtà ed incoerenza, che sfocia nel tentativo di servire due padroni; quello vero, ossia Dio, al quale non può sfuggire e quello che si è imposto o alla seduzione del quale ha ceduto, il proprio io, sorgente della sua ambizione e del suo egoismo.

    Rimedio di fondo è dunque l’umiltà, con la quale riconosciamo la nostra dipendenza da Dio nelle piccole come nelle grandi cose, in modo che l’utile sia ordinato all’onesto, il mezzo al fine; all’apparire corrisponda l’essere, alla parola corrispondano i fatti, l’esterno manifesti l’interno e su di esso si fondi, il materiale sia ordinato allo spirituale e l’uomo a Dio.

    Pretendere così la Comunione in uno stato di falsità-adulterio è spingersi a quella auto-condanna di cui parla san Paolo, per questo la Chiesa da sempre ha compreso dalla Scrittura stessa che è meglio non dare la comunione a chi vive in stato di peccato e che non abbia compiti nella Chiesa che sono destinati a chi da testimonianza di una vita coerente alle leggi del Vangelo.

    Per concludere…  la chiesa che sogna Papa Francesco, dalle sue parole sopra riportate, non è realizzabile, non sarebbe cattolica, non è volontà divina la quale si è già espressa e quindi non può contraddirsi.

    Ricordiamo che durante il pontificato di San Giovanni Paolo II ci fu già un Sinodo sulla famiglia (1980), seguito dall’esortazione apostolica Familiaris consortio che offriva le soluzioni migliori al problema:

    “Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

    La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

    La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]).

    Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.

    Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.”

    0024 chiesa di Bergoglio5A queste parole di Giovanni Paolo fece una eco meravigliosa Benedetto XVI nel Discorso tenuto a Milano per l’incontro con le Famiglie, disse il Papa per queste persone divorziate-risposate:

    “E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno…” (2 giugno 2012)

    Ricapitolando:

    alle domande di Papa Francesco avevano già risposto Giovanni Paolo II che lui stesso ha canonizzato e Benedetto XVI ancora vivente. E allora dubbi e perplessità ottenebrano la nostra mente: o Papa Francesco non ha mai letto questi Testi – e noi non lo vogliamo credere possibile -, o Papa Francesco li conosce ma non gli interessano, li ritiene superate o peggio, sogna di realizzare una sua visione di Chiesa…. e francamente anche questo non vogliamo crederlo.

    0024 chiesa di Bergoglio3Non sono poche le persone che, confuse da molte interviste del Papa, ci chiedono come regolarsi. Semplice: con il Magistero della Chiesa e con la Scrittura che abbiamo sopra esposto.

    Si tratta di non usare questa verità come una spada, percuotendo ora i divorziati-risposati con accanimento o con disprezzo, al contrario, CARITA’ NELLA VERITA’, dare la verità con carità, invitando queste persone ad abbandonare le loro pretese e a dedicarsi, per noi, per la Chiesa, per loro stessi e con noi: “ a frequentare il sacrificio della Messa (imparando magari a fare la Comunione spirituale che non sostituisce l’Eucaristia, ma più è fatta con sacrificio e più se ne ricevono benefici e grazie), a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio….”

    e possono anche essere veri testimoni CON LA LORO RINUNCIA se vissuta con vera sofferenza e non quale pretesa: “che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio”

    e questo discorso VALE PER TUTTI, per chiunque sa – dopo un retto esame della coscienza – di non essere idoneo a ricevere l’Eucaristia, vale cioè anche per quei cristiani che pur vivendo i Sacramenti oggettivamente in modo legale, soggettivamente però vivono sostenendo l’eresia del nostro tempo favorendo per esempio l’aborto, favorendo i divorzi altrui, sostenendo l’agenda gender e l’omosessualità, sostenendo l’eutanasia, sostenendo ciò che è contrario alla legge naturale, chiunque sostiene questa cultura della morte non può ricevere la Comunione Eucaristica, ma non può neppure fare da Catechista, ne può PRETENDERE ciò che per altro nega alla verità e invece promuove la menzogna quando sostiene l’eresia culturale del nostro tempo.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 09/10/2015 09:00



    foto di Don Tullio Rotondo.
    Don Tullio Rotondo

    IL PAPA E' INFALLIBILE IN CERTE OCCASIONI E NON E' IMPECCABILE . 
    LA TEOLOGIA CATTOLICA NON E' UN GIOCO DA RAGAZZI , E' COMPLESSA E VA STUDIATA A FONDO ALTRIMENTI PER DIFENDERE QUALCOSA DI APPARENTEMENTE VERO SI DEVONO NEGARE TANTE COSE VERE .... E CI SI ALLONTANA DALLA VERITA'!! Alcuni , p. es., interpretando male la dottrina cattolica pensano che il Papa sia sempre infallibile ... NON E' VERO!! IL PAPA E' INFALLIBILE IN CERTE OCCASIONI E NON E' IMPECCABILE ...

    Ecco come la Scrittura stessa documenta, un errore di un Papa ...

    Galati 2:11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto.
    Galati 2:12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi.
    Galati 2:13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.
    Galati 2:14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?

    Galati 2:15 Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori,
    Galati 2:16 sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno».

    NE' PIETRO NE' I SUOI SUCCESSORI SONO SEMPRE INFALLIBILI ED E' PROPRIO QUESTO CIO' CHE DICE LA CHIESA NELLA PASTOR AETERNUS :

    "Questa Santa Sede ha sempre ritenuto che nello stesso Primato Apostolico, posseduto dal Romano Pontefice come successore del beato Pietro Principe degli Apostoli, è contenuto anche il supremo potere di magistero. Lo conferma la costante tradizione della Chiesa; lo dichiararono gli stessi Concili Ecumenici e, in modo particolare, quelli nei quali l’Oriente si accordava con l’Occidente nel vincolo della fede e della carità. Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: "La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. 

    Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mantenere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religione cristiana" [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est]. Nel momento in cui si approvava il secondo Concilio di Lione, i Greci dichiararono: "La Santa Chiesa Romana è insignita del pieno e sommo Primato e Principato sull’intera Chiesa Cattolica e, con tutta sincerità ed umiltà, si riconosce che lo ha ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, Principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché spetta a lei, prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede, qualora sorgessero questioni in materia di fede, tocca a lei definirle con una sua sentenza". Da ultimo il Concilio Fiorentino emanò questa definizione: "Il Pontefice Romano, vero Vicario di Cristo, è il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i Cristiani: a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il supremo potere di reggere e di governare tutta la Chiesa".

    Allo scopo di adempiere questo compito pastorale, i Nostri Predecessori rivolsero sempre ogni loro preoccupazione a diffondere la salutare dottrina di Cristo fra tutti i popoli della terra, e con pari dedizione vigilarono perché si mantenesse genuina e pura come era stata loro affidata. È per questo che i Vescovi di tutto il mondo, ora singolarmente ora riuniti in Sinodo, tenendo fede alla lunga consuetudine delle Chiese e salvaguardando l’iter dell’antica regola, specie quando si affacciavano pericoli in ordine alla fede, ricorrevano a questa Sede Apostolica, dove la fede non può venir meno, perché procedesse in prima persona a riparare i danni [Cf. S. BERN. Epist. CXC]. 
    Gli stessi Romani Pontefici, come richiedeva la situazione del momento, ora con la convocazione di Concili Ecumenici o con un sondaggio per accertarsi del pensiero della Chiesa sparsa nel mondo, ora con Sinodi particolari o con altri mezzi messi a disposizione dalla divina Provvidenza, definirono che doveva essere mantenuto ciò che, con l’aiuto di Dio, avevano riconosciuto conforme alle sacre Scritture e alle tradizioni Apostoliche. Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapendo che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore in forza della divina promessa fatta dal Signore, nostro Salvatore, al Principe dei suoi discepoli: "Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli".

    Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno.

    Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di legare al supremo ufficio pastorale.

    Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.

    Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema."

    Dato a Roma, nella pubblica sessione celebrata solennemente nella Basilica Vaticana, nell’anno 1870 dell’Incarnazione del Signore, il 18 luglio, venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.

    ---------------------

    E NEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA SI AFFERMA 

    “L'infallibilità si attua quando il Romano Pontefice, in virtù della sua autorità di supremo Pastore della Chiesa, o il Collegio dei Vescovi in comunione con il Papa, soprattutto riunito in un Concilio Ecumenico, proclamano con atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale, e anche quando il Papa e i Vescovi, nel loro ordinario Magistero, concordano nel proporre una dottrina come definitiva. A tali insegnamenti ogni fedele deve aderire con l'ossequio della fede” (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 185).
    “Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del Collegio dei Vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro soprattutto in un Concilio Ecumenico. Quando la Chiesa, mediante il suo Magistero supremo, propone qualche cosa da credere come rivelato da Dio e come insegnamento di Cristo, a tali definizioni si deve aderire con l'ossequio della fede. Tale infallibilità abbraccia l'intero deposito della rivelazione divina” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 891)

    ..... DUNQUE IL PAPA NON E' SEMPRE INFALLIBILE!!
    ...INFATTI ...ECCO 
    LA CONDANNA DI PAPA ONORIO NEL CONCILIO DI CONSTANTINOPOLI III .... 

    Il santo e universale sinodo disse: Alla perfetta conoscenza e conferma della retta fede sarebbe stato sufficiente questo pio e ortodosso simbolo della grazia divina. Ma poiché non restò inattivo colui che fin dall'inizio fu l'inventore della malizia e che, trovando un aiuto nel serpente, per mezzo di esso introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli istrumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Fara; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell'antica Roma; a Ciro, che fu vescovo di Alessandria, e a Macario, recentemente vescovo di Antiochia, e a Stefano, suo discepolo; trovati, dunque, gli istrumenti adatti, non si astenne, attraverso questi, dal suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell'errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio; e cercò in tutti i modi di toglier di mezzo con ingannevole invenzione la perfezione dell'incarnazione dello stesso ed unico signore Gesù Cristo, nostro Dio, e introdusse, quindi, funestamente una carne senza volontà e senza operazione propria, benché fornita di vita intellettuale.
    http://www.intratext.com/IXT/ITA0135/_P1.HTM#BI

    Altri errori papali famigerati sono quelli di Giovanni XXII e di Liberio.
    Su Liberio che arrivò anche a condannare s. Atanasio si veda qui …http://gloria.tv/media/2qaZTd5rNn4 
    Giovanni XXII – ha scritto il cardinale Schuster – «ha delle gravi responsabilità innanzi al tribunale della storia (…)», perché «offrì alla Chiesa intera lo spettacolo umiliante dei principi, del clero e delle università che rimettono il Pontefice sulla retta via della tradizione teologica cattolica, mettendolo nella dura necessità di disdirsi» (Idelfonso Schuster o.s.b., Gesù Cristo nella storia. Lezioni di storia ecclesiastica, Benedictina Editrice, Roma 1996, pp. 116-117). La ritrattazione dei suoi errori rilasciata da Giovanni XXII è in Denz. Hun. 990-991. ... inoltre ritrattazioni di loro precedenti affermazioni dovettero eseguire: Pio VII dopo che ebbe firmato il trattato di Fontainebleau e Pasquale II. http://www.corrispondenzaromana.it/la-filiale-resistenza-d…/ 

    Per quanto riguarda Pio VII cfr. il testo in Enchiridion dei Concordati. Due secoli dei rapporti Chiesa-Stato, EDB, Bologna 2003, nn. 44-55 ; la ritrattazione si ebbe con queste parole «Di quel foglio, benché da noi sottoscritto, diremo a Vostra Maestà quello stesso ch’ebbe a dire il nostro Predecessore Pasquale II nel consimile caso di uno scritto da lui segnato contenente una concessione a favore di Errico V, della quale la di lui coscienza ebbe ragione di pentirsi, cioè ‘come riconosciamo quello scritto per mal fatto, così per mal fatto lo confessiamo, e coll’aiuto del Signore desideriamo che immediatamente si emendi, acciò niun danno alla Chiesa, e niun pregiudizio all’anima nostra ne risulti’» (Enchiridion, cit., n. 45, pp. 16-21). 
    Preghiamo che Papa Francesco non debba macchiarsi di errori di questo genere .


      

    Un libro contro la tentazione del sedevacantismo

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    (di Emmanuele Barbieri)

    In un’ora storica di profonda confusione all’interno Chiesa, vanno prendendo piede le teorie di coloro che sostengono l’esistenza di una “Sede vacante”, ovvero dell’assenza di Pontefici legittimi da cinquant’anni a questa parte. Per i “sedevacantisti”, la data di inizio di questa inedita situazione è l’approvazione finale degli atti del Concilio Vaticano II.

    All’eresia conciliare seguirebbe, automaticamente, la perdita del pontificato di Paolo VI e dei suoi successori, fino a Papa Francesco. Queste teorie vengono esposte sui blog, con stile aggressivo e torrenziale, da personaggi generalmente carenti di qualsiasi preparazione teologica e canonica, e soprattutto privi di quello spirito di autentico amore alla Chiesa che imporrebbe, quanto meno, la prudenza nel trattare problemi tanto gravi e complessi Un serio contributo alla discussione viene ora dal recente libro True or False Pope? Refuting Sedevacantism and Other Modern Errors (www.trueorfalsepope.com) di due giuristi americani, John Salza e Robert Siscoe.

    Quest’opera di settecento pagine, con un’introduzione di mons. Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, si presenta come un’ampia e documentata confutazione della posizione sedevacantista. Basandosi sulle citazioni originali di Papi, Concili ecumenici e Dottori della Chiesa, gli autori mostrano come i sedevacantisti, per giustificare le loro teorie hanno spesso manipolato le dichiarazioni di Pontefici e teologi, smascherando le tattiche di cui spesso si servono per difendere l’indifendibile.

    Uno dei punti centrali è la negazione, da parte sedevacantista, delle proprietà principali della Chiesa; la visibilità, l’indefettibilità e l’infallibilità. Adelantelafe, uno dei migliori blog cattolici, in lingua spagnola, riporta un’ampia intervista a Salza e Siscoe (http://adelantelafe.com/entrevista-salza-siscoe-desenmascaran-al-sedevacantismo/) in cui si accenna a questo punto.

    «Nel libro – spiegano gli autori – trattiamo due errori distinti del sedevacantismo. Il primo è il semplice errore di credere che i Papi, dopo Pio XII , non siano stati veri Papi. Il secondo errore, che consegue immediatamente al primo (e in certe occasioni lo precede), è di credere che tutta la Chiesa su cui hanno regnato i Papi recenti sia una falsa Chiesa.
    Per chiarire meglio, il secondo errore non si limita a sostenere che esiste un “disorientamento diabolico della gerarchia superiore”, come affermò Suor Lucia, ma una diserzione totale della suprema gerarchia. Non si tratterebbe semplicemente di un’infiltrazione sovversiva nella Chiesa, ma una distruzione completa della Chiesa visibile e la sua sostituzione con una nuova Chiesa. Questa posizione non si può mantenere senza negare gli attributi essenziali della Chiesa, in particolar modo gli attributi della visibilità e dell’indefettibilità
    ».

    «Coloro che hanno abbracciato la posizione sedevacantista in buona fede – aggiungono gli autori del volume –, non si rendono conto di essere stati condotti all’errore grazie a citazioni parziali o male intese, da una cattiva teologia e da apologisti della sede vacante senza scrupoli, che disgraziatamente sembrano più preoccupati a “dimostrare” la loro posizione che la verità».

    Siscoe e Salza sottolineano come i sedevacantisti hanno perduto la fede nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, in maniera analoga a coloro che avevano perduto la fede durante la Passione di Cristo. La posizione sedevacantista costituisce quindi una reazione alla crisi della Chiesa destinata a cadere nel neo-protestantesimo. Non a caso i sedevacantisti sono divisi in una pluralità di fazioni e di sette che si contrappongono l’una all’altra, scomunicandosi reciprocamente e talvolta eleggendo i propri Papi. Ci troviamo di fronte, per i nostri autori, ad uno dei grandi errori religiosi del nostro tempo. Per questo il loro volume merita di essere letto con attenzione.  

    (Emmanuele Barbieri)



    [Modificato da Caterina63 06/01/2016 19:33]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 17/07/2016 23:44

    La povertà secondo Francesco. Virtù e vizio insieme

    È caposaldo del magistero del papa. Che la esalta come valore salvifico ma nello stesso tempo la condanna come nemico da combattere. Un filosofo analizza questa non risolta contraddizione del pontificato 

    di Sandro Magister




    ROMA, 11 luglio 2016 – La ricezione dei maggiori atti magisteriali di papa Francesco spazia tra due estremi.

    Da un lato c'è il coro quasi universale di plauso di cui gode la sua enciclica ecologista "Laudato si'", specie al di fuori del cattolicesimo.

    Sul lato opposto c'è la disputa sempre più conflittuale, in questo caso soprattutto dentro la Chiesa, attizzata dall'esortazione apostolica postsinodale "Amoris laetitia".

    Mentre nel mezzo c'è la tranquilla accoglienza, senza eccessi né pro né contro, di quell'altro caposaldo del pontificato di Francesco che è esplicitato soprattutto nell'esortazione "Evangelii gaudium" ed è condensato nella formula della "Chiesa povera per i poveri".

    Da un paio di mesi, però, è uscito un libro che, senza fare rumore ma riscuotendo un'attenzione crescente per la chiarezza e l'acume della sua analisi, mette a fuoco proprio tale questione:

    > F. Cuniberto, "Madonna povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo", Neri Pozza Editore, Vicenza, 2016


    L'autore, Flavio Cuniberto, insegna estetica all'università di Perugia. I suoi studi spaziano dalla filosofia alla letteratura moderna e contemporanea, specie tedesca, con incursioni nel platonismo, nell'ebraismo, nel pensiero islamico e con un particolare interesse alle questioni della modernità.

    Nella povertà esaltata da Jorge Mario Bergoglio, il professor Cuniberto vede una doppia contraddizione, la prima di natura teologica, la seconda di carattere pratico.

    Nel primo caso egli osserva che Francesco, nel momento stesso in cui eleva la povertà a categoria teologica, sul modello della "kenosis" del Figlio di Dio fatto uomo, la tratta in realtà come condizione materiale più che spirituale, in un senso marcatamente sociologico: la povertà delle "periferie" e degli esclusi dalla ricchezza.

    La seconda contraddizione è invece tra la povertà come valore salvifico e nello stesso tempo come nemico da combattere, per vincere il quale Bergoglio indica inoltre dei rimedi che "ricalcano vecchi schemi terzomondisti" scollegati dalla realtà.

    Non occorre, infatti, essere dei sostenitori del capitalismo liberista – come non lo è il professor Cuniberto – per riconoscere che esso ha comunque strappato dalla povertà una massa sterminata di persone, entrate a far parte delle nuove classi medie.

    Ed è proprio questo, ad esempio, uno dei dati di fatto che papa Francesco non vede.

    Il 12 luglio 2015, richiesto a bruciapelo da un giornalista tedesco, sul volo di ritorno dal Paraguay, di spiegare perché non parli mai delle classi medie, Francesco ha effettivamente ammesso lo "sbaglio" di trascurarle nelle sue analisi, ma ha aggiunto che a suo giudizio queste classi "diventano sempre più piccole", schiacciate dalla polarizzazione fra i ricchi e i poveri.

    Ecco qui di seguito come il professor Cuniberto analizza e confuta queste contraddizioni in alcuni passaggi del libro, che naturalmente è molto più argomentato ed è tutto da leggere.

    __________



    La povertà: nemico da combattere o tesoro prezioso?

    di Flavio Cuniberto


    Discutibile sul piano teologico-esegetico, questa interpretazione della povertà [fatta da papa Francesco] genera un groviglio che è molto simile a un rompicapo.

    Se infatti la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall'inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l'obiettivo primario dell'azione missionaria, il significato cristologico della povertà ne fa però, contemporaneamente, un valore, e anzi il valore supremo ed esemplare. Se la beatitudine, cioè il possesso del Regno, è annunciata ai poveri, se l'esistenza stessa del povero possiede una "forza salvifica" a cui il cristiano deve attingere (perché attinge così a Cristo stesso), diventa difficile pensare alla povertà come a un semplice nemico da combattere, a una semplice passività da eliminare.

    Perché combattere la povertà e e sradicarla, quando è al contrario un "tesoro prezioso", e addirittura la via verso il Regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso? Scarti sociali da integrare o figure misteriose dell'Incarnazione? Il discorso sembra avvitarsi in questa contraddizione senza fondo.

    Supponiamo – è ovviamente una visione utopica – che l'azione missionaria orientata dall'"opzione per i poveri" ottenga alla fine lo scopo dichiarato di liberare i poveri dalla propria condizione di esclusione sociale, ossia in breve di eliminare la povertà. Che ne sarebbe, a quel punto, della povertà come modello cristico, della povertà come misteriosa risorsa spirituale a cui attingere la grazia di Cristo? Della povertà senza la quale non si entra nel Regno dei cieli? La fonte si seccherebbe, il modello verrebbe sacrificato a un ideale – tutto illuministico e moderno – di progresso generalizzato, che abolendo le sacche di povertà porterebbe finalmente sulla terra la Nuova Gerusalemme dei liberi e degli uguali. È davvero questo l'obiettivo della "Evangelii gaudium"? L'eliminazione della povertà materiale?

    *

    Ma accantoniamo la questione per passare a un secondo e non meno formidabile groviglio. La "Evangelii gaudium" nei nn. 186-204 si misura direttamente col sistema socio-economico del tardo capitalismo, indicato come la "causa strutturale" della povertà di massa. Qui la tesi del documento si fa drastica e può essere riportata a una formula secca: la causa essenziale della povertà è la disuguaglianza, l'"inequità", "la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito" (191). […]

    La sostanziale ingenuità del discorso è in parte mascherata da quello che sembra un attacco ad alzo zero ai "dogmi liberisti": non possiamo più confidare, leggiamo, "nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato" (204). […] È la classica tesi "terzomondista" (che sia una tesi marxista classica è tutto da vedere: l'elogio marxiano della borghesia imprenditrice e modernizzatrice introduce una sfumatura complessa che sfugge al facile paradigma).

    Qui però non si tratta di avviare una disputa economico-teorica su vantaggi e gli svantaggi del modello liberista, o sui vantaggi e gli svantaggi del modello capitalista "corretto" nel senso della solidarietà sociale. […]

    La questione riguarda piuttosto il tenore complessivo dell'analisi proposta dal documento: analisi che appare sorretta da una strumentazione teorica e lessicale stranamente arretrata rispetto alla situazione geo-economica a cui si riferisce. […]

    La tesi secondo la quale la corsa al profitto da parte dei "mercati" provocherebbe al tempo stesso disuguaglianza crescente e impoverimento crescente è infatti una tesi troppo facile, che ignora i meccanismi sottili della cosiddetta globalizzazione. Il luogo comune che vuole da una parte un mondo ricco sempre più ricco e un mondo povero sempre più povero può condurre a una falsa diagnosi. […]

    Dobbiamo constatare infatti che la globalizzazione, ossia la modernizzazione, del pianeta persegue in realtà un obiettivo opposto a quello denunciato dal documento pontificio.

    La logica dell'economia di mercato è più sottile dello schema "affamante". E lo è in quanto poggia, come è noto, sul paradigma della crescita illimitata: la logica del profitto crescente implica un sistema di consumi crescenti, dove la crescita dei consumi è resa possibile e al tempo stesso necessaria dal progresso continuo e inarrestabile delle tecnologie. […] E poiché il livello medio dei consumi nell'Occidente avanzato è già elevatissimo – e i margini di crescita sono limitati – il grande capitale globalizza le proprie strategie in vista di una comunità la più larga possibile di consumatori evoluti. […] In altri termini, la globalizzazione economico-finanziaria presuppone non già l'esclusione delle masse, ma al contrario la loro crescente inclusione nelle dinamiche del consumo, appunto, di massa. […]

    È un processo che comporta un aumento e non una riduzione della forbice sociale: la crescita diffusa dei livelli di consumo comporta una crescita dei profitti e una concentrazione crescente degli stessi nelle mani di ristrette élite finanziarie.

    Ma il luogo comune secondo cui il crescere del divario sociale comporta di per sé un impoverimento della fascia inferiore è un "topos" errato, o meglio arretrato rispetto agli attuali orizzonti dell'economia globalizzata.

    Nei paesi del cosiddetto BRICS e affini si va formando un esteso e crescente ceto medio, paragonabile, per il livello dei consumi, al ceto medio delle società occidentali. Nel corso degli ultimi decenni decine di milioni di cinesi, di indiani, di turchi, ecc. sono usciti da una condizione di atavica povertà – consumi a un livello minimo, di pura sussistenza o meno – per accedere a una condizione di relativo benessere (secondo i parametri occidentali) e comunque di non povertà. […]

    *

    Riassumendo. Il problema non è quale sia la strategia più efficace per combattere la povertà eliminandone le cause strutturali. La risposta infatti è semplice: nelle condizioni attuali è la modernizzazione, su basi tecnologiche e capitalistiche, della struttura economica.

    Il problema è piuttosto un altro: ossia è come valutare un'uscita dalla povertà che si realizza, appunto, nelle forme imposte dalla modernizzazione e dalla globalizzazione degli stili di vita. […] È come valutare la forma di vita – non più povera ma meno povera – generata dal processo di modernizzazione, […] un processo che pare inarrestabile, e che tende a spazzare via ogni fattore di resistenza etico-religioso, oltre che politico. […]

    A questa domanda la "Evangelii gaudium" non dà risposta, o meglio: non la dà perché non si pone la domanda. […]

    La diagnosi, in apparenza molto severa, che l'esortazione propone dell'Occidente capitalista finisce così per essere un'analisi tranquillizzante: perché, rilanciando vecchi slogan di facile consumo, sembra ignorare i meccanismi sottili del mercato e la natura subdola delle strategie messe in opera dall'Occidente capitalista per realizzare l'auspicato Villaggio Globale, una massiccia, onnipervasiva propaganda mediatica, il cui fine è di proporre-imporre come buoni, desiderabili, necessari, oggetti di consumo ideati e commercializzati al solo scopo di alimentare la "crescita" dei consumi stessi, e per conseguenza la crescita dei profitti. […]

    Su questo aspetto della "macchina" tecno-economica la "Evangelii gaudium" tace, come se la povertà non si declinasse anche in termini di schiavitù mentale, di consumo coatto. […] Nell'elogiare i nuovi media il magistero non si accorge di elogiare il Cavallo di Troia escogitato dal grande capitale per espugnare le roccaforti dell'antica povertà e convertirla alla religione del consumo.

    __________


    Due recenti servizi di www.chiesa su povertà e ricchezza nelle parole e nei gesti di papa Francesco, e sulla sua visione politica:

    > Benvenuti i ricchi. Francesco li accoglie a braccia spalancate (11.3.2016)

    > "Il popolo, categoria mistica". La visione politica del papa sudamericano(20.4.2016)

     




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)