DIFENDERE LA VERA FEDE

Se la Messa è noiosa la colpa è nostra clicca qui per approfondire

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    Caterina63
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    00 25/07/2014 23:26

      IL CARDINALE DOLAN: «LA MESSA È NOIOSA? È UN PROBLEMA VOSTRO, NON DELLA MESSA». E SPIEGA PERCHÉ

    Il cardinale Dolan: «La Messa è noiosa? È un problema vostro, non della Messa». E spiega perché

    di Timothy Dolan* 

    “La Messa è così noiosa”.

    Quante volte voi genitori l’avete sentito dire dai vostri figli la domenica mattina? Quante volte i nostri insegnanti e i nostri catechisti l’hanno sentito mentre preparavano i bambini per la Messa? E, ammettiamolo, quante volte noi stessi ce lo siamo detti?

    Cosa dire di fronte a una frase così infelice e quasi sacrilega? Beh, innanzitutto: “No, non è così!”. Uno può trovare la Messa noiosa, ma è un problema suo, non della Messa.
     
    Ci sono nella vita diverse attività importanti che sono “noiose”: le visite dal dentista possono essere tali; le persone che hanno malattie ai reni mi dicono che una dialisi tre volte alla settimana non è un’esperienza entusiasmante; andare a votare non è il massimo del divertimento. Tutte e tre le cose sono però importanti per il nostro stare bene e il loro valore non dipende dal grado di soddisfazione con cui le facciamo. La Messa è ancora più importante per la salute della nostra anima rispetto agli esempi citati. 

    La noia è un nostro problema e, dicono i sociologi, lo è perché siamo ormai abituati a esperienze mordi e fuggi, a fare zapping con il telecomando quando sbadigliamo di fronte a un programma.

    Grazie a Dio, il valore di una persona o di un evento non dipende dal fatto che possano “annoiare” o meno, qualche volta. La gente e gli avvenimenti importanti non esistono per  emozionarci, saremmo dei narcisi o dei ragazzini viziati se lo pensassimo!

    Questo è vero in particolar modo per il Santo Sacrificio della Messa. Noi crediamo che ogni Messa è il rinnovarsi dell’avvenimento più importante e decisivo che sia mai accaduto: l’eterno, infinito sacrificio di lode di Dio Figlio a Dio Padre su una croce, sul Monte Calvario, in un venerdì chiamato “santo” (in inglese “good”, buono, ndr).

    Pensiamoci un attimo: anche i soldati romani erano “annoiati” quando deridevano Gesù e si giocavano a dadi la sua tunica, l’unica cosa che possedeva. 

    Secondo, non andiamo a Messa per cercare uno svago, ma per pregare. Se i fiori sull’altare sono belli, se la musica è piacevole, se l’aria condizionata funziona, se la predica è corta e significativa, se attorno ci sono volti amici… tutto questo di certo aiuta. Ma la Messa è efficace anche se tutte queste cose mancano (e spesso purtroppo è così!).

    Perché la Messa non riguarda noi, ma Dio. E il valore della Messa viene dalla nostra semplice ma profonda convinzione, basata sulla fede, che per un’ora, la domenica, siamo parte di qualcosa che “va al di là”, siamo innalzati verso l’eterno, siamo partecipi di un mistero, unendoci a Cristo nel rendimento di grazie, nell’amore, nel sacrificio di espiazione che offre eternamente al Padre. Quello che fa Gesù funziona sempre e non è mai noioso.  La Messa non è un tedioso compito che assolviamo per Dio, ma un miracolo che Gesù compie con e per noi. 

    Un signore mi ha raccontato che quando era ragazzo il cuore della settimana era per lui il pranzo di famiglia alla domenica. Il cibo era buono perché lo cucinava sua mamma e la tavola era felice perché suo padre era sempre presente. 

    Anche dopo essersi sposato e aver avuto dei figli, alla domenica a pranzo andava con tutta la famiglia da sua madre e da suo padre.  Quando i figli sono cresciuti gli hanno chiesto se era proprio “necessario” andarci, perché a volte lo trovavano “noioso”. “Sì, dobbiamo” rispondeva lui, “perché non andiamo per il cibo, ma per l’amore, perché il papà e la mamma sono là”

    Aveva le lacrime agli occhi mentre lo ricordava, perché quando i suoi genitori erano invecchiati le portate effettivamente non erano più così buone e la compagnia non era più così brillante. Nonostante tutto non era mai mancato una volta: quel pranzo aveva un significato speciale, anche se le lasagne erano bruciate o suo padre si addormentava a tavola.

    E ora, diceva, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere ancora là, perché sua mamma era morta e suo padre era in una casa per anziani. 

    Così adesso sono lui e sua moglie a preparare il pranzo della domenica e spera che i suoi tre bambini un giorno vi porteranno le loro mogli e i loro figli. 

    Lo stesso vale per il pranzo della domenica della nostra famiglia spirituale: la Messa. 

    Alcuni pensano che una partita allo Yankee Stadium sia noiosa, altri pensano lo stesso della musica country. Secondo molti l’amicizia, il volontariato, la famiglia, la lealtà e l'amore per la patria sono cose “del passato”, che non “prendono” più. Bene: sono loro ad avere un problema!

    E poi mi vengono a dire che la Messa è “noiosa”… 

    * cardinale e arcivescovo di New York 




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 27/07/2014 09:49
    [SM=g1740733] In questa visita del Papa San Giovanni XXIII abbiamo un importante documento di "disciplina" cattolica. Il Papa chiede che in Chiesa non si battano le mani neppure al Papa perchè la Chiesa è Tempio di Dio! Ascoltiamo questi brevi passi.

    www.youtube.com/watch?v=xGbsVGrtN68




    [SM=g1740717]


    [SM=g1740722]


    Atto Penitenziale
    valore ed efficacia

    di Fr. Paolo M. Calaon O.P. tratto:
    dal foglietto parrocchiale della parrocchia di
    S. Agata Bolognese (BO)


    [SM=g1740717] [SM=g1740720] Cari Amici, siamo dentro alla Quaresima nell'Anno della Misericordia, un tempo propizio se ne sapremo approfittare. In questo breve video vi offriamo di poter riflettere sull'Atto penitenziale che facciamo all'inizio della Messa.

    gloria.tv/media/e8XkFNRVuPx

    www.youtube.com/watch?v=nQpCaUfvjjg&feature=youtu.be

    Movimento Domenicano del Rosario
    www.sulrosario.org
    info@sulrosario.org



    L’atto penitenziale: Il suo valore

    1. L’atto penitenziale è uno dei momenti dei riti di ingresso della celebrazione eucaristica. Come tale perciò è un momento importante perché aiuta e prepara la comunità radunata alla celebrazione dell’Eucaristia.

    2. Il sacerdote invita i fedeli al pentimento con parole che ne esprimono il valore ed il significato: “Il Signore Gesù che ci invita alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, ci chiama alla conversione. Riconosciamo di essere peccatori e invochiamo con fiducia la misericordia di Dio”.

    3. In questa sua duplice dimensione di “riconoscimento di essere peccatori” e di “abbandono fiducioso alla misericordia di Dio”, siamo radicati profondamente nella tradizione biblica. I Salmi sono una bellissima espressione di questa certezza che anima la Chiesa. Come il Salmo 50: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia, nel tuo grande amore cancella il mio peccato”; nella fiducia che “tu, Signore, sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (Sal 22).

    4. Siamo radicati nella tradizione della Chiesa che sin dai primi secoli, all’inizio della celebrazione eucaristica, fedele all’insegnamento di San Paolo nella Prima lettera ai Corinti (11,28) e della Didaché (fine del primo secolo) “Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro”.

    5. Anticamente il sacerdote ed i ministri, ai piedi dell’altare recitavano, i salmi “graduali” ossia fatti ai gradini dell’altare, mentre i fedeli restavano in silenzio. Oggi tutta l’assemblea radunata esprime tutta riunita il pentimento, attraverso risposte a precise invocazioni, o antiche formule ispirate alla tradizione monastica (il Kyrie eléison, il Signore pietà, il Confiteor, il Confesso a Dio onnipotente). Una novità ricca di significato.

    L’atto penitenziale: La sua efficacia

    1. La conclusione del sacerdote all’atto penitenziale (“Dio onnipotente abbia misericordia di Noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”) è una preghiera che “non costituisce una particolare forma di celebrazione del sacramento della penitenza, né un atto che lo sostituisca ... è un sacramentale che rimette i peccati veniali a coloro che sono veramente pentiti” (A. CUVA, Vivere la Messa, 46).

    Non sostituisce la necessità di ricorrere al sacramento della riconciliazione per la confessione dei peccati gravi. Come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione” (n° 1385).

    2. La dimensione comunitaria unisce la comunità che celebra l’Eucaristia in una umile confessione delle colpe, che risponde all’invito dell’apostolo, “Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti” (Gc, 5,16).

    Ci unisce nel riconoscerci tutti peccatori e ci invita a lasciarci abbracciare dalla misericordia di Dio, e ad impegnarci ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi (cf. PAPA FRANCESCO, Misericordiae vultus, 14).
    Fra Paolo M. Calaon OP.








    [SM=g1740738]


    Cari Amici, la Liturgia con il suo universo celebrativo è la grande educatrice al primato della fede e della grazia... Dopo avervi offerto una breve meditazione sull'Atto penitenziale,vedi sopra , vogliamo offrirvi ora qualcosa di breve ma profondo sulla Liturgia della Parola di Dio nella sua proclamazione, silenzio-ascolto e dialogo.
    Buona meditazione a tutti

    gloria.tv/media/LohFop8bto5

    www.youtube.com/watch?v=E6OjTBv-Qvs

    Movimento Domenicano del Rosario





    [SM=g1740733]


    [Modificato da Caterina63 25/02/2016 00:15]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 04/09/2014 12:25

    CARD. RANJITH: TEOLOGIA DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA. RISPOSTA ALLE OBIEZIONI


     



    Presentiamo un estratto della dissertazione che S.E.R. il Card. Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka), ha tenuto al Convegno "Adoratio2011" (Roma, 20 - 23 giugno 2011). L’intervento completo lo potete trovare qui.



     


    del Card. Malcolm Ranjith
    “Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).
    1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).
    La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
    […]
    OBIEZIONI ALL’ADORAZIONE
    […]
    Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..” (Mysterium Fidei 10). E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede” (ibid 14). Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’” (Mysterium fidei 44). In effetti, l’intera enciclica di Paolo VI è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino” (25, AAS60 (1968) 442-443). Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium fidei 65).
    Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
    2. Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”. Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato” (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra). Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.
    Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.
    Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. E’ forse questa la ragione per cui Lutero non diede molta importanza alla teologia del sacerdozio, specialmente nella sua dimensione sacrificale, come è esposto nella lettera agli Ebrei. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Mediator Dei, 68). Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).
    […]
    E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati. Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso. Proprio questo il papa sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66).
    In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità. In questo, personalmente preferirei l’atmosfera devota e orante della Messa tridentina dove la partecipazione dell’assemblea è più sommessa, pacata e raccolta, il che è rispettoso del grande mistero che avviene sull’altare.Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana” (Sacramentum Caritais, 52). Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
    […]
    Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia (cap. II) e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio (n. 13), ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.
    Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede” (MF 9-10). Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” (Mysterium Fidei, 11). L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione.
    Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium Fidei, 57). Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristica (no. 56-65) e il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium Fidei, 65).
    E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo VI pubblicata ancor prima della conclusione formale del Concilio (8 dicembre 1965), può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI.
    […]
    Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).
    L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione. Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo” (God is near us. Ignatius Press, San Francisco 2003, p. 97).
    E’ in questa luce che dovremmo comprendere la famosa frase di Sant’Agostino: “nemo autem illam Carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando” – o “nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo” (Enarrationes in Psalmos 98,9, CCL XXXIX, 1385). Soltanto l’adorazione infatti apre il nostro cuore verso un senso autentico di partecipazione all’Eucaristia, poiché lo dilata all’esperienza del profondo amore di Dio manifestato nell’Eucaristia e verso un’unione vera e profondamente personale con Cristo al momento della Comunione (“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” – Ap. 3,20).
    In questo senso, le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.
    E’ triste notare come in alcuni luoghi le chiese e i santuari si sono trasformati in piazze da mercato o teatri o sale da concerto. Mi è capitato di entrare un giorno in una cattedrale di un’importante città europea dove vi era gente che aspettava la celebrazione di una Messa nuziale: era come una grande piazza di mercato dove tutti erano impegnati in animata conversazione. Non vi era certo alcun spirito di raccoglimento o il minimo senso di riverenza adorante in preparazione all’Eucaristia. Mi hanno raccontato di una Eucaristia in una chiesa parrocchiale in Germania, dove rappresentavano un dramma teatrale con l’assemblea che partecipava mediante preghiere e scenette, e il parroco faceva il presentatore. Ho chiesto all’amico che mi raccontava la vicenda, che effetto gli aveva fatto, e lui mi ha risposto con le parole “tanto rumore per nulla”.
    […]
    Lasciate che concluda con le belle parole del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, vero apostolo di adorazione: “Oh, se avessimo gli occhi degli angeli per vedere nostro Signore Gesù Cristo, che è qui presente su questo altare e ci guarda, come Lo ameremmo! Mai vorremmo andarcene via da Lui. Vorremmo restare sempre ai Suoi piedi; sarebbe pregustare il Cielo: tutto il resto non avrebbe più gusto per noi” (Il Curato d’Ars,il piccolo catechismo del Curato d’Ars, Tan Books and Publishers Inc. Rockford, Illinois 61105, 1951, p.41).Grazie.

    Roma, 22 giugno 2011
    Malcolm Card. Ranjith Arcivescovo di Colombo
    (traduzione dall'inglese di don Giorgio Rizzieri)









    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 04/09/2014 14:24


    Ci risiamo, oramai si va avanti così da cinquant'anni, quel tentare di eliminare certe prassi citando, a sproposito, il concilio, le riforme, e quant'altro serva per mascherare certi abusi attraverso il presunto riferimento a rubriche inesistenti.

    E' il caso, l'ennesimo forse tanto che oramai ne abbiamo perso il conto, di una domanda rivolta a Famiglia Cristiana la quale ha dato una risposta inquietante.

    la domanda è la seguente:

    "Non è poco riguardoso ricevere Gesù nella Comunione e andare subito via?

    È proponibile almeno nei giorni feriali la liturgia delle ore dopo la Messa?"

     

    la risposta inquietante è la seguente:

     

    "Il Messale prevede che dopo il congedo «ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio» (n. 90). La partecipazione alla Messa impegna soprattutto a glorificare il Signore con la nostra vita. Ciò non esclude che si possa sostare in chiesa per pregare privatamente; e nei giorni feriali anche comunitariamente, magari con la liturgia delle ore. Purché questo non diventi uno strumento di confronto con gli altri. La Messa è già in sé un rito completo che comprende adorazione, ringraziamento, domanda, offerta e assunzione di impegno apostolico. Teniamo presente che il ringraziamento privato alla Comunione era diventato prassi normale e doverosa quando la Comunione aveva luogo fuori della Messa."

     

    Ma che risposta è mai questa?

    Pazienza se a darla è un catechista impreparato o un laico, ma che sia la risposta di un "teologo" sacerdote che risponde in una rubrica specializzata, è davvero triste ed inquietante.

    Innanzi tutto la risposta non risponde affatto alle due domande, e laddove vi rispondesse quando dice: " Ciò non esclude che si possa sostare in chiesa per pregare privatamente; e nei giorni feriali anche comunitariamente, magari con la liturgia delle ore. Purché questo non diventi uno strumento di confronto con gli altri", subito è neutralizzata dalla frase successiva, viene infatti da chiederci: e che c'azzecca aggiungerci: "Purché questo non diventi uno strumento di confronto con gli altri...." ??

    Da quando in qua la eventuale recita delle Ore diventa uno "strumento" di confronto, e confronto in che senso? negativo? e perchè mai dovrebbe essere negativo (quel "purchè non diventi" è negativo) un confronto avanzato con la principale Preghiera di tutta la Chiesa?

    E' stato proprio Paolo VI ad insistere che la Liturgia delle Ore venisse semplificata affinchè anche i laici potessero usarla con il clero, con il proprio parroco, anche prima o dopo la Messa: " Se nel Messale, nel Lezionario e nella Liturgia delle Ore, cardini della preghiera liturgica Romana..." così Paolo VI definisce la Liturgia delle Ore nell'Esortazione Marialis Cultus: cardine della preghiera liturgica Romana.

    E non solo. Nella medesima Esortazione, si sollecitano le famiglie a fare uso della Liturgia delle Ore:

    " Conformemente alle direttive conciliari, i Principi e Norme per la Liturgia delle Ore giustamente annoverano il nucleo familiare tra i gruppi, a cui si addice la celebrazione in comune dell'ufficio divino: È cosa lodevole (...) che la famiglia, santuario domestico della Chiesa, oltre alle comuni preghiere celebri anche, secondo l'opportunità, qualche parte della Liturgia delle Ore, inserendosi così più intimamente nella Chiesa. Nulla deve essere lasciato intentato, perché questa chiara e pratica indicazione trovi nelle famiglie cristiane crescente e gioiosa applicazione..."

    Dunque, spiega Paolo VI: " Conformemente alle direttive conciliari...", e dove qui l'invito è rivolto appunto alle famiglie, che male ci sarebbe se queste iniziassero ad imparare l'uso del breviario proprio cominciando in Chiesa e magari prima o dopo la Messa, uniti al proprio sacerdote e con la comunità?

    Quindi, laddove il teologo risponde, insinuando un pessimo dubbio sull'uso della Liturgia delle Ore dopo la Messa: " purché questo non diventi uno strumento di confronto con gli altri", Paolo VI sottolinea proprio il contrario, riportando come l'uso di tale strumento sia piuttosto un vero atto identificativo della famiglia cristiana, focolare-chiesa domestica.

    E lo fa, lo dice, in conformità proprio del concilio!

     

    Veniamo ora alle altre frasi usate come risposta, dice il teologo di FC:

     

    - "Il Messale prevede che dopo il congedo «ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio» (n. 90)."

    E che c'azzecca questo con la prassi di "fermarsi" per intrattenersi un pò di tempo con Gesù dopo la Messa? ciò che prevede il Messale non è affatto la rinuncia di questa prassi. In quel "ritornare alle proprie opere di bene lodando Dio", non significa mica non fermarsi ad adorare Dio dopo la Messa! L'uno - l'andare - non esclude che "prima" ci si sia intrattenuti, personalmente, con Gesù dentro di noi, anzi, è raccomandato.

    Tra l'altro è lo stesso Pontefice Francesco che risponde quando ha specificato il valore dell'adorazione dopo la Messa e di come anche lui lo fa ogni mattina, intrattenendosi un poco, in silenzio, sollecitando così i fedeli presenti a fare altrettanto.

    E visto che si fa i gradassi nel citare a sproposito le Rubriche, vediamo cosa insegna per davvero la Nota specificata dall'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Pontefice nel giugno 2010:

    " Va notato che la blanda rubrica che si trova sotto i titoli della Praeparatio ad Missam e della Gratiarum Actio nel Messale del 1962 riconosce tali esigenze concrete del sacerdote. Nessun atto di amore è, per definizione, affrettato. Avendo offerto il supremo sacrificio dell’amore di Cristo, è da aspettarsi che un sacerdote sarà mosso a fare quanto possibile per trovare un tempo, per quanto breve, per un atto di ringraziamento dopo la Messa. E si sentirà rafforzato per averlo fatto..." (leggere qui integralmente).

    Dove stanno questi sacerdoti che si fermano - magari con i fedeli o per dare ad essi la testimonianza - dopo la Messa per ringraziare il Signore?

    Il Papa lo fa, ogni mattina, dando l'esempio, ma i parroci lo fanno? Questo teologo che risponde a vanvera, lo fa? Perchè il teologo di FC tace su questo?

    E veniamo alla ciliegina sulla torta. Il fine teologo di FC conclude sparando nuovamente a salve:

    " La Messa è già in sé un rito completo che comprende adorazione, ringraziamento, domanda, offerta e assunzione di impegno apostolico. Teniamo presente che il ringraziamento privato alla Comunione era diventato prassi normale e doverosa quando la Comunione aveva luogo fuori della Messa."

     

    E che c'azzecca con le domande rivolte dal fedele?

    La domanda chiede ragione di una adorazione-ringraziamento al termine della Messa, al termine di un dono ricevuto.

    Che la Messa sia un "rito completo" di adorazione e ringraziamento, non è la stessa cosa che si pone nella domanda del fedele.

    E che significa, inoltre quel: " Teniamo presente che il ringraziamento privato alla Comunione era diventato prassi normale e doverosa quando la Comunione aveva luogo fuori della Messa." ??

    L'ignoranza è scusabile e perdonabile, non quando però si erge a maestro di vita!

    La domanda del fedele non riguardava il cosa fare se si riceve la Comunione al di fuori della Messa!

    Teniamo invece presente che il ringraziamento in forma privata (anche prima non dimentichiamolo mai), durante e dopo la Comunione e che si protrae dopo la Messa, era una prassi raccomandata dai Papi e da tutti i Santi, mai caduta in disuso, anzi, sempre con una raccomandazione vigile e continuata.

    Parole chiari e convincenti, per nulla tirate in ballo da questo teologo, sono quelle di San Giovanni Paolo II che non richiamano solo al culto Eucaristico delle processioni, ma anche a quell'intrattenersi con LUI, leggiamo:

    "Il culto reso all'Eucaristia fuori della Messa è di un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La presenza di Cristo sotto le sacre specie che si conservano dopo la Messa – presenza che perdura fintanto che sussistono le specie del pane e del vino – deriva dalla celebrazione del Sacrificio e tende alla comunione, sacramentale e spirituale. Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche. 

    È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cfr Gv 13,25), essere toccati dall'amore infinito del suo cuore...

    Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l'« arte della preghiera », come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento?

    Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione, sostegno!(..)

    L'Eucaristia è un tesoro inestimabile: non solo il celebrarla, ma anche il sostare davanti ad essa fuori della Messa consente di attingere alla sorgente stessa della grazia. " (Encicl. Ecclesia de Eucharistia)

    Per ultimo bisogna che il sacerdote, dopo d'aver celebrato, faccia il ringraziamento. Dice San Giovanni Grisostomo che "se gli uomini per ogni picciol favore che ci fanno vogliono che noi siamo lor grati e lor ne rendiamo la ricompensa, quanto più dobbiamo noi esser grati con Dio dei gran beni che ci dona, mentr'egli non aspetta da noi ricompensa, ma solo per nostro utile vuol esserne ringraziato?"

    "Si homines parvum beneficium praestiterint, expectant a nobis gratitudinem, quanto magis id nobis faciendum in iis quae a Deo accepimus, qui hoc solum ob nostram utilitatem vult fieri?"

    "Se almeno (segue a dire il santo) non possiamo ringraziare il Signore per quanto Egli lo merita, almeno ringraziamolo per quanto possiamo.

    Ma che miseria e che disordine poi è il vedere tanti sacerdoti, che, finita la Messa, dopo aver ricevuto da Dio l'onore di offerirgli in sagrificio il suo medesimo Figlio, e dopo d'essersi cibati del suo sagratissimo Corpo, appena entrati in sagrestia, colle labbra ancor rosseggianti del suo Sangue, recitata qualche breve orazione tra' denti, senza divozione e senza attenzione, subito mettonsi a discorrere di cose inutili o di faccende di mondo! o pure se n'escono dalla chiesa e si portano per le strade Gesù Cristo che ancora sta nel loro petto colle specie sagramentali...."

    Con costoro bisognerebbe far sempre quel che fece una volta il padre Giovanni Avila, il quale vedendo un sacerdote uscir dalla chiesa subito dopo d'aver celebrato, lo fece accompagnare con due torce da due chierici; i quali, interrogati poi da quel sacerdote che andassero facendo, risposero: Andiamo accompagnando il ss. Sacramento che portate dentro di voi...."

    A questi tali va ben detto ciò che scrisse una volta San Bernardo a Fulcone arcidiacono: Heu quomodo Christum tam cito fastidis! Oh Dio, e come così presto prendi in fastidio la compagnia di Gesù Cristo che sta dentro di te!

    Tanti libri divoti esortano ed inculcano il ringraziamento dopo la Messa; ma quanti son poi quei sacerdoti che veramente lo fanno? Quei che lo fanno si possono mostrare a dito. E la meraviglia si è che alcuni fanno bensì l'orazione mentale, fanno diverse altre divozioni; ma poi poco o niente si trattengono dopo la Messa in trattare con Gesù Cristo.

    Il ringraziamento dopo la Messa (come anche quello all'inizio con l'esame della coscienza) non dovrebbe terminare che colla giornata. Dicea il padre d' Avila che deve farsi gran conto del tempo dopo la Messa. Il tempo dopo la Messa è infatti tempo prezioso da negoziare con Dio e guadagnar tesori di grazie. Diceva Santa Teresa d'Avila: "Dopo la comunione non perdiamo così buona opportunità di negoziare; non suole sua divina Maestà pagar male l'alloggio, se gli vien fatta buona accoglienza..."

    Questo e non altro dovrebbe insegnare un sacerdote oggi, specialmente quando il fedele gli pone una domanda sensata ed importante per la sua salvezza!

    Per dirla con Nostro Signore:

    «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt.26,38)

     

    Concludiamo offrendovi di scaricare una raccolta di Preghiere - italiano e in latino - da usarsi dopo la Messa, usiamole, negoziamo con Nostro Signore, attiriamoci la Sua benevolenza e Grazia.

    Cliccando qui, invece, troverete altro materiale per Pregare.

     

    Sia lodato Gesù Cristo

    sempre sia lodato

     

     

    Raccolta di Preghiere
    Per intrattenersi con Gesù che ci chiede: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt.26,38)
    PRASSI Preghiere dopo la Santa Messa.doc [78.50 KB]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 17/11/2014 19:38


       
    Galateo in Chiesa per Amore alla Divina Presenza

    (cliccare sulle immagini per ingrandirle)

    Da un libretto del 1906 che riporta nelle prime pagine la spiegazione di cosa è la Messa si legge:

    La struttura della Santa Messa nei suoi elementi essenziali è così composta ed assemblata magistralmente, una volta per tutte, dal Concilio di Trento:

    1) Il popolo viene convocato: Gesù, sono qui per assistere al Tuo Santo Sacrificio nella Messa, voglio essere devoto e seguirti nei gesti che il Sacerdote compie anche per me. Invoco Maria Santissima e gli Angeli con i Santi a pregare per me, perchè questa Messa mi faccia diventare santo/a.

    2) Liturgia della Parola nella quale Dio fa la sua proposta: il popolo accetta. Gesù, sono qui ad ascoltare la Tua parola, rendimi un cuore docile per mettere in pratica i consigli e i suggerimenti che il Sacerdote in tua vece mi darà. Fa che la Tua Parola venga accolta anche da coloro che non credono e che non conoscono la sana dottrina. Gesù, le tre croci che faccio imitando il Sacerdote sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, voglio che imprimano in me la Tua Parola nella mia mente, dalle mie labbra, dentro il mio cuore.

    3) Liturgia della offerta. Gesù, ciò che sta facendo ora il Sacerdote, voglio anch'io unire la mia povera offerta. Ti offro il mio cuore perchè sia tuo per sempre. Ti offro i miei studi, la mia malattia, la mia salute, i miei divertimenti, le mie gioie così come anche ogni pena che soffrirò per tuo amore. Mi dispongo con Maria ai piedi della Croce per accogliere i tuoi sospiri dalla Croce e con Lei non voglio fuggire dal Calvario, ma attendere il compimento di ogni tua parola. Infine mi dispongo affinchè questa offerta produca frutti di conversione e i peccatori siano salvati dalla tua misericordia.

    4) Liturgia del Sacrificio. Gesù è giunto il momento di fare silenzio e di adorarti. Ti adoro nell'Ostia candida, adoro il Tuo Corpo che fu per me crocifisso sul Calvario, abbi pietà di me. Gesù ti adoro nel Mistero di questo Sangue preziosissimo che hai sparso sulla Croce per la mia salvezza, abbi pietà di me e delle anime dei peccatori.

    5) Liturgia della Comunione. Gesù è giunto il momento che tanto aspettavo, unirmi a Te nella Santa Eucarestia. Fa che mi tenga sempre in grazia per goderti un giorno per sempre. Non permettere che mi accosti a Te in stato di grave peccato, donami la perfetta contrizione e fa che la Santa Comunione che sto per ricevere, preservi il mio corpo e la mia anima da ogni pericolo di eterna perdizione, perchè questo anelo dalla tua somma bontà.

    (postilla: se per qualche motivo non fai la Comunione sacramentale, non distogliere la tua attenzione dal fare la comunione spirituale impegnandoti di confessarti al più presto per poter ricevere degnamente Gesù-Ostia, pronuncia con tutto il tuo cuore queste parole: "Gesù, io ti credo realmente presente sull'altare e desidero ardentemente riceverti, ma come sai in questo momento mi è impossibile riceverti sacramentalmente, vieni in me spiritualmente e trasforma la mia anima come vuoi Tu (si faccia silenzio). Ti adoro e ti amo, liberami o Gesù da ogni peccato, accresci in me la vita della Grazia e rendimi forte nella volontà, puro nei desideri. Amen" )

    6) Liturgia di «Missione» con l'ite Missae est. Gesù, la tua benedizione mi accompagni ora nella giornata e mi aiuti a mantenere i propositi  che mi hai suggerito in questa Santa Messa. Fammi missionario della Tua Parola, apostolo della Tua dottrina, fedele della Santa Eucarestia. Tornando a casa ti porto dentro di me, fa che diventi testimone della dignità che hai riversato in me. Vergine Santa, mi accompagni la tua benedizione. San Michele Arcangelo mi sostenga la tua spada. San Giuseppe mi protegga la grazia con la quale proteggesti una volta il Bambin Gesù dalle minacce di Erode, fammi custode di questa Santa Messa perchè possa conservarmi come vero amico di Gesù.

     

    Ora, leggendo queste due paginette descritte ed insegnate nel 1906 e che racchiudono pertanto L'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA DI TUTTI I TEMPI, ci dobbiamo chiedere cosa ci fosse da correggere cinquant'anni orsono e di cosa, invece, si insegna oggi della Messa.

    Ad ogni modo, senza alcun spirito di polemica (siamo Cooperatori della Verità e non politici), vorremo proseguire con voi sulla segnalazione di altri aspetti importanti quale è l'avere una sorta di "galateo", atteggiamenti sempre validi nella Catechesi della Chiesa.

    Seguirà così altra dimostrazione tratta dal un libretto in formato economico del 1958 a cura dell'Opera della Regalità di N.S.G.C. con l'Imprimatur del 3.4.1958 niente meno che la VI Edizione, segno evidente che fu triste leggenda mistificatrice il dire che i fedeli NON conoscevano e non capivano cosa facevano alla Messa....

    Nota: Tutto ciò che segue è tratto dal libretto!

    All'attenzione del Fedele!

    Il testo della Santa Messa è composto da una parte invariabile che si chiama "Ordinario" e di una parte mobile che cambia ad ogni ricorrenza e secondo i momenti liturgici. Ecco perchè il Messale Festivo (e tanto più quello quotidiano) si presentano separati e voluminosi, benchè in carta sottilissima.

    Facilitare la ricerca del "Proprio" di ogni Messa, e nello stesso tempo dare al testo completo delle Messe festive e di precetto, in una edizione popolare ma agile, è lo scopo di questa pubblicazione che grazie alle tante richieste ed al successo già ottenuto, è giunto alla sua sesta edizione.

    INDICAZIONI GENERALI

    Ascolta o Fedele: che cosa è la Santa Messa

    La Santa Messa è il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo che, sotto le apparenze del pane e del vino, si offre per le mani del Sacerdote a Dio Padre sull'altare, in memoria e rinnovazione (incruenta) del Sacrificio della Croce.

    Devi sapere, caro fedele, che la Messa si divide in due parti:

    - Messa detta dei catecumeni o didattica;

    - Messa dei fedeli o sacrificale con rendimento di grazie.

    La prima parte è chiamata dei catecumeni, perchè fin dagli albori della Chiesa vi assistevano coloro che si preparavano a ricevere il Battesimo, perciò detti catecumeni; è detta anche didattica perchè contiene la Parola di Dio, gli insegnamenti di Gesù, dei profeti degli apostoli, e l'omelia.

    Questa parte della Messa sia il catecumeno come il fedele già battezzato e riconciliato con Dio per mezzo del sacramento della Confessione, vi partecipano grazie alle preghiere che il Sacerdote recita ai piedi dell'altare e comprende:

    - l'Introito, l'epistola, il graduale e il vangelo.

    - il Credo attraverso il quale il fedele dà testimonianza della propria fede e il catecumeno si prepara a diventare un vero testimone anche lui.

    La seconda parte detta Messa Sacrificale, a cui anticamente assistevano solo i battezzati, comprende azioni importantissime senza le quali la Chiesa stessa non avrebbe di che vivere:

    - l'Offertorio: il Sacerdote offre il pane e il vino, frutto del lavoro dell'uomo. Il fedele diventa così compartecipe del Sacrificio ed offre insieme al Sacerdote il suo cuore, la sua vita, i suoi affetti, i suoi dolori, tutto il suo essere. Anche tu devi portare spiritualmente la tua offerta da unire a quella del Sacerdote: sarà una malattia, il tuo niente, i tuoi santi propositi, la conversione di qualcuno, il suffragio per un Anima del Purgatorio ma soprattutto sarà il tuo grazie alla Vittima pura, santa ed immacolata che è Nostro Signore che si sacrifica per te. Chiedi al tuo Angelo Custode di farsi tuo latore nel deporre ai piedi dell'altare la tua offerta.

    - la Consacrazione: preceduta dal Prefazio, dal Sanctus e da altre preghiere molto care alla Chiesa e culmina nella transustanziazione del pane e del vino nel vero Corpo e vero Sangue di Gesù Cristo, cioè, nella Vittima del Calvario per la nostra redenzione; si conclude questa parte nell'offerta della Vittima al Padre che il Sacerdote pronuncia nella veste di Cristo. Il fedele si unisce tutto a Gesù rinnovando atti di fede, di amore, di immolazione, si abbandona completamente e fiduciosamente a Gesù ora presente vivo e vero sull'altare, in ginocchio fa contrizione della propria condotta difettosa e si propone di vivere da vero cristiano. Di a Gesù questa preghiera semplice: "Gesù Figlio di Dio, qui vivo e vero in Corpo, Sangue, Anima e divinità: abbiate pietà di me peccatore, salvatemi".

    - la Comunione: è la consumazione del Sacrificio in un rendimento di grazie e di piena gratitudine. E' il Banchetto Eucaristico che ci dà il Pane di vita, Gesù stesso, nostro ausilio e nostra fortezza nel travaglio quotidiano. Il fedele si reca presso l'altare, e messosi in ginocchio, si prepara a ricevere degnamente l'Ostia Santa, è importante che il fedele eviti di distrarsi, il silenzio è fondamentale, la musica sacra che potrà accompagnare i fedeli alla Comunione, aiuta nella meditazione.

    La Santa Messa si conclude così con la Benedizione, l'Ite Missa est e le ultime preghiere che sostengono la devozione del Fedele nella Comunione dei Santi a cominciare proprio dalla Vergine Santa, Regina di tutti i Santi e ausilio del credente.

     

    NORME DI GALATEO

    Il Cristiano in Chiesa

    1. La Chiesa è la Casa di Dio. Ci si va per pregare, per partecipare alla Santa Messa e per ricevere i Sacramenti. Anche Gesù si recava al Tempio per pregare, il fedele deve imitarne il comportamento, si va in Chiesa per lodare Dio, per adorarlo, come fanno gli Angeli alla Sua Divina Presenza, mentre Egli è li vivo e vero dentro al Tabernacolo.

    2. Prima di andare in Chiesa abbi cura della tua persona. Non stai andando ad un incontro mondano fra amici, la chiesa non è infatti un luogo di ritrovo o dove far mostra di sè, in essa i fedeli si ritrovano per condividere la fede in Gesù vero Dio presente nel Tabernacolo. Ci si veste adeguatamente pensando bene che si va a far visita ad una Persona che merita tutta la nostra massima attenzione.

    3. Non profanare il luogo sacro con un abbigliamento indecente. Abbi rispetto non solo per Dio ma anche per coloro che li in adorazione, potrebbero a ragione restare turbati da un vestiario non idoneo per il luogo.

    Entrando in chiesa, se sei in compagnia, smetti di parlare!

    Fai devotamente il segno della Croce utilizzando l'acqua benedetta con una corretta genuflessione: è il segno del Cristiano, un atto di fede importante, è una testimonianza per chi ti vede. Camminando evita di correre!

    4. Non fermarti in fondo alla Chiesa o appoggiato sui muri, alle colonne o agli altari laterali, se sei entrato vai fino in fondo, dove c'è posto, resta inginocchiato al banco per salutare Gesù-Ostia Santa, prima di pregare i Santi infatti è necessario ricordare che bisogna pregare Dio e la Vergine Santa. Vai dunque a salutare Gesù nel Tabernacolo, intrattieniti con Lui qualche minuto, sii composto nella genuflessione, e qui recita le tue Preghiere. Se devi accendere qualche candela votiva fallo con discrezione dopo aver salutato Gesù nel Sacramento, se ti è possibile ricordati dell'offerta ai poveri. Evita di accendere candele durante la Santa Messa, fallo o prima o dopo, così per la Confessione: non recarti all'ultimo minuto tutto di corsa, la Confessione ha bisogno di un tempo per l'esame di coscienza, preparati per tempo, fai tutto con calma e responsabilità.

    5. Evita di distrarti e lasciati rapire dal luogo santo, stai raccolto e se sei in compagnia, non parlare con nessuno. Sia che in visita al Santissimo Sacramento, sia che durante la Messa, evita distrazioni: non voltarti continuamente da tutte le parti per vedere chi sta entrando o uscendo, non metterti a salutare amici e conoscenti, evita di sederti accavallando le gambe e con le braccia conserte, ricordati che sei davanti a Dio. I saluti fra amici si fanno fuori della chiesa, in chiesa si prega.

    6. Se porti dei bambini con te, abbi cura di prepararli a casa spiegando loro dove li stai portando, con amore e dolcezza spiega loro che è importante che in chiesa non si mettano a giocare, nè ad urlare. E' importante infatti che i bambini crescano imparando fin da piccoli che esiste un luogo sacro dedicato a Dio fatto per pregare e dove nel silenzio possiamo ascoltare la voce di Dio che ci parla nel cuore. Educa i bambini al silenzio, alla preghiera, al rispetto per la Casa di Dio.

    7. Non fare rumore trascinando le sedie o spostando i banchi! Le tue preghiere recitale sottovoce per non disturbare gli altri. Durante la Messa per le parti indicate dove è necessario mettersi in ginocchio (per esempio alla Consacrazione) non restare in piedi come un salame perchè non solo è una pessima testimonianza della tua fede, ma eviti alla persona che sta in ginocchio dietro di te di fargli vedere cosa sta facendo il sacerdote, anche questa è una mancanza di rispetto. Ricordati che è san Paolo che ci insegna che nel Nome santo di Gesù ogni ginocchio si pieghi.

    8. L'obolo non è certamente un obbligo, ma se puoi è un dovere cristiano che la Chiesa ha reso come precetto, il 5° quando dice: "Contribuire alle necessità della Chiesa secondo le leggi e le usanze". Come vedi non sei obbligato, ma sta al tuo buon cuore comprendere le necessità che il sacerdote ha nel mandare avanti una chiesa dove tu trovi sempre tutto, adeguatamente, pronto per le tue necessità spirituali ed anche materiali perchè il sacerdote provvede, con una parte degli introiti, anche all'elemosina di chi non ha nulla.

    9. Se hai la possibilità, segui la Messa con il libretto, ti aiuterà a non distrarti e a capire che cosa sta avvenendo. Unisciti sempre alle preghiere di tutti, ricordati che la Messa è il sacrificio di tutta la Chiesa, in terra ma anche in Cielo.

    Durante la settimana abbi cura di prepararti il libretto per la Messa della Domenica, nel frattempo medita dal foglietto precedente la lettura che hai ascoltato, la Messa deve sostenerti per tutta la settimana abbi cura ogni giorno della tua anima. Al Vangelo segnati col pollice con tre piccole croci sulla fronte, sulla bocca e sul cuore, a significare la tua attenzione a ciò che stai per udire, è la parola di Dio. Quando tocca a te rispondere, non essere timido, pronuncia con chiarezza e convinzione le parole che dovrai dire.

    10. Unisciti agli altri quando si canta, anche se sei stonato puoi cantare magari senza alzare troppo i toni, non devi sentirti escluso. Mettici il cuore, associa il gusto.

    Durante la Comunione cerca di essere ordinato, non parlare, non spingere, non dare gomitate, avviati invece con le mani giunte ben sapendo cosa stai andando a ricevere. Inginocchiati con amore, resta raccolto quando torni al tuo posto, resta profondamente inginocchiato perchè la Comunione che hai ricevuto è rendimento di grazie, fai qualche buon proposito, prega per i Defunti, per le Anime del Purgatorio, per la conversione dei peccatori.

    11. Non lasciare la Chiesa prima che il Sacerdote abbia finito e sia tornato in Sagrestia, non scappare come fanno i ladri quando hanno rubato qualcosa.Ricordati che Gesù è dentro di te nella sostanza per almeno quindici minuti prima di sciogliersi in un tutt'uno con il tuo organismo. Recita con somma riverenza le devozioni le Preghiere dopo la Messa. Prima di andartene saluta Gesù nel Sacramento con la genuflessione ed un devoto segno di croce, poi senza correre esci in silenzio e con la gioia nel cuore di aver ricevuto un dono immenso che ora, con l'ite Missae est, sei chiamato a portare nel mondo in cui vivi!

     

    Brevi nozioni di Liturgia

    E' necessario spiegare a te, o fedele, che cosa sono e a cosa servono alcuni oggetti che il Sacerdote usa durante la Liturgia. Tu sai che il luogo dove ci riuniamo per compiere il Culto a Dio è la chiesa, per questo tutto è preparato diligentemente perchè anche tu ne possa trarre beneficio.

    Le parti principali della chiesa sono: l'atrio, la navata (o le navate), il presbiterio (con l'altare e il coro).

    L'Altare è consacrato, per questo il sacerdote lo bacia, è simbolo di Gesù Cristo e contiene  le reliquie dei martiri e su di esso s'immola (in modo incruento) la Vittima divina per mezzo del sacerdote, per questo il luogo sul quale è posto l'altare si chiama "presbiterio", da "presbitero", prete-sacerdote.

    Il Presbiterio è un luogo speciale e particolare, per questo i fedeli non vi ci possono passeggiare come nel resto della chiesa.

    Sull'altare ci sono: il Crocifisso al centro ( o in alto) e ai lati i candelabri, il Tabernacolo nel quale si custodisce il SS. Sacramento, la cui presenza è rivelata da una lampada ad olio sempre accesa. Il Tabernacolo è coperto da un conopeo (una tendina che copre la porticina dello stesso).

    SEGNI E SIMBOLI LITURGICI

    - Il segno della croce: è la professione della nostra fede, non è un semplice simbolo ma è proprio e più specificatamente il segno del cristiano. Deve essere fatto con serietà, con riflessione, con amore, con un gesto di profonda riconoscenza e amore alla Santissima Trinità.

    - la genuflessione: i movimenti del nostro corpo sono importanti, l'inclinazione del capo seguita da una composta genuflessione sono atti di rispetto, di umiltà, di adorazione, di attestazione della nostra fede.

    San Giovanni Bosco raccontava di come riusciva a recuperare la gioventù traviata grazie proprio a questi semplici atti perchè, quando questi gesti entravano davvero nel cuore, cambiavano le persone.

    - Le mani giunte: esprimono la propria sottomissione e l'obbedienza che dobbiamo a Dio, sono il segno della nostra fiducia in Lui e accompagnano le nostre umili suppliche. In questa posizione ci aiutiamo nel raccoglimento e nella Preghiera.

    - Il pane e il vino: sono i frutti del lavoro dell'uomo, ma sono anche figura di tutti i fedeli sparsi nel mondo raccolti in chiesa ed uniti in Cristo, con Cristo e per Cristo il quale, attraverso l'Eucarestia, ha dettato il sacro "vincolo di unità". Per questo, per ricevere l'Eucarestia, è necessario essere in comunione con la Chiesa, aver ricevuto il Sacramento del Battesimo, della Confessione e dell'Eucarestia e mantenersi sempre in grazia.

    - La lampada: la vediamo davanti al SS. Sacramento è l'immagine della nostra vita protesa verso Dio. Essa arde perennemente là dove noi dovremo trovarci sempre (fisicamente o anche spiritualmente) in vigile orazione.

    - Il Cero: trasmuta il suo candore in luce calda e irraggiante. Assurge ad espressione dell'anima perchè il senso della nostra vita sta in quel consumarsi in verità ed amore per Dio.

    - L'Incenso: è il simbolo della preghiera che sale a Dio, è segno di purificazione, è una specie di salmodia come il Gloria che recitiamo per rendere grazie a Dio grande e magnifico.

    Mentre il Sacerdote dice sottovoce questa supplica, quando consegna il turibolo per l'incensazione a lui e dei fedeli dopo l'offertorio, ripetiamo nel cuore anche noi queste parole: "Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, & flammam aeternae caritatis/ Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell'eterna carità"

    - Le Campane: sono il tripudio dell'anima, riempiono gli spazi di note armoniche diffondendosi nello spazio e nel tempo; sono le "messaggere di Dio" quando, suonando, ci richiamano alla Preghiera, ci ricordano che abbiamo un impegno d'amore con Lui.

    VASI SACRI

    - Il Calice, generalmente d'oro o d'argento o dorato, è consacrato dal vescovo. Si usa esclusivamente nella Consacrazione quando il Sacerdote vi consacra il vino della Messa. Il Calice non può essere maneggiato dai fedeli, solo gli addetti al servizio all'Altare possono spostarlo da una parte all'altra dopo la Messa. Occorre imparare il rispetto anche per gli oggetti sacri.

    - La Patena, piattello rotondo d'oro, d'argento o dorato, così prezioso poichè il sacerdote lo usa per deporre l'Ostia prima e dopo la Consacrazione.

    - La Pisside, che serve a conservare le ostie consacrate ed è custodita dentro al Tabernacolo a disposizione sia degli ammalati, quanto per l'adorazione dei fedeli durante le visite al SS. Sacramento.

     

    «Come cresce la fede nel nostro cuore?Metti in opera la fede di cui sei già portatore credendo fermamente che il Padre tuo dei cieli ti ha già esaudito. Allora potrai incominciare a vivere man mano sempre più nella fede.

    Nella liturgia, durante i tempi di orazione, nel lavoro, il tuo cuore si metterà più facilmente a contatto col Signore se tu ricevi da lui l’amore oscuro, spesso poco gratificante, ma quanto divino, l’amore che egli ti dona se gli offri la tua fede e non delle belle idee o i giochi della tua sensibilità.

    Non ho trucchi da insegnarti. Bisogna chiedere a Dio, nella fede viva, che sia lui stesso a insegnarti a pregare. E’ lui che occuperà il tuo cuore, la tua attenzione, anche se tu non hai una immagine precisa sulla quale fissarti. E’ vivo il Signore alla presenza del quale tu stai»

    (tratto da Amore e silenzio, Introduzione alla vita interiore, Meditazioni di Dom Jean Baptiste Porion, certosino)

     

    Alcune regole d'oro per la Santa Eucaristia

    Anima santa, ricordati che alla Messa non ricevi un cibo comune o spirituale, tu ricevi il Dio vivo e vero in spirito, corpo, anima, sangue e divinità: quel Corpo donato per te, quel Sangue versato per te.

    E' questa fede e certezza che deve muovere in te ogni compassione autentica, è Lui il mendicante che bussa alla porta del tuo cuore, se non sei in grado di aprire la porta a Lui, come potrai pensare di poterla aprire poi al tuo prossimo?

    Amando allora te stesso e aprendo così la porta del tuo cuore al Re che per te si è fatto mendicante e Agnello immolato, anche le tue opere saranno oro su piatti d'argento e porterai molti frutti.

    Per questo ti accosterai alla Santa Comunione con ogni santo desiderio a cominciare dalla pulizia della tua anima.

    Inviteresti mai degli ospiti in una casa sporca, al buio, nell'indecenza? Non vestirai forse abiti dignitosi e non metteresti ordine nella tua casa?

    A maggior ragione dovresti così fare quando stai per ricevere Gesù-Ostia-Santa.

    Rendi bella la tua anima con una santa Confessione, rendila invitante con le sante intenzioni, rendila appetibile con il gusto dei divini Comandamenti.

    Inginocchiati all'Agnus Dei: Gesù è il tuo Agnello, immolato per te.

    Resta composto mentre vai a riceverLo, con la mente rivolta a Lui anche il corpo deve assumere la testimonianza in ciò in cui credi.

    Può capitare che dopo aver ricevuto l'Eucaristia, un colpo di tosse, uno starnuto creano una situazione di disagio a causa di piccoli frammenti fuoriusciti dalla bocca. In questi casi, in ginocchio come stai, porta alla bocca i frammenti, non agitarti inutilmente, continua a pregare senza lasciarti distrarre dall'accaduto. L'importante è recuperare ogni frammento nel quale Gesù è sempre tutto presente interamente.

    Dopo la Comunione, dunque, resta raccolto, prega, pensa a Lui che si è fatto cibo per te, prega per qualche anima in difficoltà ma, soprattutto, rendi grazie perché è questo che significa anche "eucaristia", rendimento di grazie.

    Oggi la Comunione viene ricevuta, per indulto, anche alla mano, noi lo sconsigliamo!

    Per ora ti consigliamo di fare ogni sforzo per imparare a comprendere l'importanza di ricevere Gesù direttamente alla bocca, e di questo tema ne parleremo in un altro articolo.

    Sia lodato Gesù Cristo + sempre sia lodato



     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 04/12/2014 17:59
      Se tocca a un africano riportare ordine nella liturgia

    di Nicola Bux*

    26-11-2014

    Liturgia

    Lunedì 24 novembre il papa ha nominato il nuovo Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. Si tratta del cardinale Robert Sarah, originario della Guinea Conakry, fino ad oggi presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum e prima ancora segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Il cardinale Sarah è stato anche protagonista al recente Sinodo straordinario sulla famiglia, prendendo posizione contro le proposte del cardinale Kasper in fatto di ammissione all'Eucarestia dei divorziati risposati. Sostituisce il cardinale Antonio Canizares. Per capire il compito e le sfide che attendono il cardinale Sarah abbiamo chiesto il giudizio di un noto liturgista come don Nicola Bux.

    L'uomo che prega è l'uomo per eccellenza: è l'atto supremo di autocoscienza della fede. Il culto è l'atto più grande che egli possa compiere, perché lo ricollega all'origine, a Colui che è il creatore e il salvatore dell'uomo. 

    Ma il culto cattolico, soffre attualmente dello squilibrio tra la forma comunitaria, cresciuta a dismisura dopo il Concilio, e la forma personale, annichilita di fatto proprio dal soverchio comunitarismo, che uccide la partecipazione devota. Questo è uno dei problemi, che  il cardinal Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, dovrebbe affrontare. La forma comunitaria, infatti, esprime la comunione, che non è una fusione: l’altro rimane un altro, non viene assorbito né diminuito, analogamente al mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura divina, ma allo stesso tempo tre persone.  

    Soprattutto, poi, il culto serve a far incontrare Dio all'uomo: è la sua mission, serve a introdurre l'uomo alla Presenza divina: questo, oggi, nel tempo della scristianizzazione, non è più evidente. Presenza evoca qualcosa a cui avvicinarsi, quasi toccare, ma che mi supera, perché sono peccatore. Allora, scatta la reazione di Pietro: «Allontanati da me, perché sono un peccatore». Presenza evoca il “sacro”: la liturgia è sacra, a motivo della Presenza divina. E questo “sacro” sembra crollato, travolgendo nella crisi anche la Chiesa, come ha scritto Benedetto XVI. 

    Così, molti cattolici, in specie i giovani, evadono pian piano dalle 'liturgie-intrattenimento' – litur-tainment, le chiamano in America, dove il sacerdote imita il conduttore televisivo, – e ricercano il mistero nel maestoso rito bizantino o nel sobrio rito romano antico. Molti vescovi cominciano ad accorgersi del fenomeno. È un nuovo movimento liturgico, nell'attuale passaggio di generazione. Beato chi se ne sarà accorto in tempo! Di tutto questo, la Congregazione per il Culto Divino deve tener conto. 

    Questa Congregazione, però, è anche preposta alla “disciplina dei sacramenti”. E qui suoneremo un tasto dolente: ovvero l'indisciplina diffusa, la mancanza di fedeltà al rito, che può anche toccare la validità stessa dei sacramenti (cfr. Giovanni Paolo II,Vicesimus Quintus Annus, 1988), inficiando nella liturgia i diritti di Dio, nonché dei fedeli. Nella liturgia, la fede e la dottrina, infatti, sono mediate dal rito: per preces et ritus, dice la Costituzione liturgica (n.48); la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi. Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio dell'arte, rendendole capaci di comunicare all'uomo il 'sacro', perciò queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica. Il cardinal Sarah, che è stato segretario a Propaganda Fide, lo sa bene.  

    *Consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti








    Una immagine che spiega i 4 Fini della Santa Messa.

    Immagine segnalata da Don Alessandro Loi

    I canoni del Concilio di Trento sul santissimo sacrificio della Messa sintetizzano, in poche linee, la dottrina perenne della Chiesa:

    Can. 1. Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto significa semplicemente che Cristo ci viene dato in cibo: sia anatema.      

    Can. 2. Se qualcuno dirà che con le parole: “Fate questo in memoria di me” [Lc 22,19; I Cor 11,24] Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrano il suo corpo e il suo sangue: sia anatema [cf * 1740].

    Can. 3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non un sacrificio propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non deve essere offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità: sia anatema [cf *1743].

    Can. 4.Se qualcuno dirà che col sacrificio della Messa si bestemmia o si attenta al sacrificio di Cristo consumato sulla croce: sia anatema [cf. *1743].

    Can. 5. Chi dirà che celebrare le messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un’impostura: sia anatema [cf. *1744].

    Can. 6. Se qualcuno dirà che il canone della Messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo: sia anatema [cf *1745].

    Can. 7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, i paramenti e gli altri segni esterni di cui si serve la chiesa cattolica nella celebrazione della Messa, sono piuttosto provocazioni dell’empietà, che manifestazioni di pietà: sia anatema [cf *1746].

    Can. 8. Se qualcuno dirà che le Messe nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente sono illecite e, quindi, da sopprimere: sia anatema [cf 1747].

    Can. 9. Se qualcuno dirà che il rito della chiesa romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice l’acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo: sia anatema [cf *1746; *1748s].






    [Modificato da Caterina63 04/12/2014 19:36]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 13/01/2015 12:13

      La tutela dell’Eucarestia, bene sommo della Chiesa



    Il significato autentico del canone 1367 del Codice di diritto canonico, su cui recentemente si è pronunciato il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi


    del cardinale Vincenzo Fagiolo

     
    Con il canone 1367 del Codice di diritto canonico (CIC) è stato interpretato altresì il canone 1442 del Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO), riguardando il primo la sola Chiesa latina (cfr. can. 1 CIC). L’organo della Santa Sede competente – oltre al legislatore, cioè il papa – ad interpretare autenticamente le leggi sia della Chiesa latina sia delle Chiese orientali è il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. 
    Sia il 1367 che il 1442 sono canoni che sanzionano pene per delitti commessi da fedeli battezzati (cfr. can. 11 CIC; can. 1490 CCEO) contro la religione (cfr. cann. 1364-1369 CIC).

    Sanzionano infatti la pena della scomunica per coloro che profanano le specie consacrate del pane e del vino nelle quali è presente Cristo Signore, in corpo, sangue, anima e divinità (cfr. can. 897 CIC; can. 698 CCEO). Nella Chiesa latina tale scomunica è 
    latae sententiae, vi si incorre ipso facto: cioè per il fatto stesso del commesso delitto; quindi la scomunica è automatica (cfr. can. 1367 CIC). Nelle Chiese orientali cattoliche è scomunica “maggiore” ferendae sententiae, vi si incorre cioè dopo che è stata inflitta dalla competente autorità (cfr. 1442 CCEO). Va però notato che non ogni profanazione delle specie eucaristiche costituisce delitto, ancorché vi sia peccato. Il delitto lo configurano tassativamente tre specifici atti, che la legge penale indica con tre verbi: abicit,abducitretinet (cfr. cann. 1367 CIC e 1442 CCEO). È stabilita la scomunica per chi getta in terra (abicit) le specie eucaristiche, per chi le asporta (abducit) e/o le conserva (retinet) a scopo sacrilego. 

    Il dubbio che ha preso in esame e al quale ha risposto il citato Consiglio non riguarda né il secondo (abducit) né il terzo (retinet) tipo di profanazione delle specie eucaristiche, ma soltanto il primo (abicit). 

    Il tradimento di Giuda, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova

    Il tradimento di Giuda, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova

    Incorre nella scomunica «qui species consecratas abicit» (chi getta in terra le specie consacrate). Inesatta la traduzione italiana di questo primo comma del canone 1367, che leggiamo nell’edizione del Codice di diritto canonico edito dall’Ueci. Lo si fa notare perché è il testo che comunemente viene consultato in Italia: «Chi profana le specie consacrate» (testo della traduzione italiana) non è la stessa cosa da «qui species consecratas abicit». Nel primo caso la profanazione è generica e può riferirsi ad ogni forma di profanazione; nel secondo è specifica e contempla solo il fatto di chi getta in terra le specie consacrate (abicit)Ed è proprio questo gesto specifico che il citato Consiglio ha preso in esame.

    E lo ha fatto anche perché le traduzioni nelle altre lingue presentano notevoli sfumature. Ma l’interpretazione data non è stata una semplice chiarificazione linguistica o di spiegazione dei termini, bensì una dichiarazione che ha forza di legge (cfr. can. 16 § 2 CIC; can. 1498 § 2 CCEO). È stato stabilito che il termine 
    abicit non va inteso soltanto nel senso troppo restrittivo di gettar via le specie consacrate. Era quanto si voleva sapere dai proponenti il dubbio.
    Questo dubbio è espresso con molta chiarezza nel testo latino pubblicato dall’
    Osservatore Romano (9 luglio 1999), che però ne riporta una traduzione italiana poco fedele. Il problema che il dubbio solleva non è infatti sapere «se la parola abicere debba intendersi come l’atto di gettare via» ma «se il verbo abicere sia da intendersi tantum (=solamente) come l’atto di gettar via» le specie consacrate.

    È chiaro che il verbo 
    abicere significa l’atto di gettar via e come tale chi lo commette volontariamente incorre nella scomunica perché ha commesso il delitto della profanazione delle specie consacrate. Ma incorre nella stessa scomunica chi pur non gettando per terra dette specie, le profana, fa sacrilegio con atti che sono di disprezzo, di sfregio, di repulsione offensiva, di trattamento umiliante? Tali atti non solo equivalgono moralmente e giuridicamente al gesto del gettare via, ma addirittura lo superano quanto ad intenzione e fatto profanatorio.
    Il problema così impostato viene ampliato sotto il profilo morale e sotto l’aspetto giuridico. Ci si chiede pertanto se i gesti che sembrano più gravi di quello del gettare via, siano da giudicare anche delitti, oltre ad essere peccati. La domanda è pertinente, in base al principio che le leggi che stabiliscono le pene si debbono interpretare in senso restrittivo (cfr. can. 18 CIC; can. 1550 CCEO). Se il canone contempla solo il gesto del gettare via, perché indicare con lo stesso verbo anche altri gesti, sia pure sacrileghi? Sono peccati ed anche delitti? Considerarli anche delitti non è un’estensione indebita che la legge penale vieta?

    La questione non è nuova; già prima dell’attuale Codice, in riferimento al canone 2320 del Codice piano-benedettino promulgato nel 1917, Conte da Coronata sosteneva che nei detti casi c’era certamente peccato grave, ma non delitto; e a favore di questa sua tesi cita, tra gli altri, il Cappello (cfr. 
    Institutiones Iuris Canonici IV, Roma 1951, p. 338). Secondo però R. Santucci commette delitto non solo chi dal tabernacolo getta via, per terra (abicit) le specie consacrate, ma altresì colui che pur lasciandole nel posto adeguato, idoneo, liturgico, le «copre di sputo o in qualunque modo le tratta in maniera empia e blasfema» (cfr. II diritto penale secondo il Codice di diritto canonico, Subiaco 1930, p. 46).

    Questa opinione, criticata da Conte da Coronata, come troppo severa, perché contraddice al principio della stretta interpretazione delle leggi penali, poteva essere sostenuta, già al tempo del vecchio Codice, con la motivazione dell’estensione delle leggi penali quando hanno la medesima ragione nella finalità della legge, poiché solo in tale modo si evitano situazioni di ingiustizia o di assurdo legale (cfr. Michiels, 
    Normae Generales Iuris Canonici I, Romae 1949, pp. 547-552). Sotto questo profilo sembra perciò legittimo il dubbio sulla dimensione non formalistica ma sostanziale della legge, soprattutto nel caso della norma canonica che rifiuta ogni positivismo ed è sempre orientata a far prevalere i valori che più giovino al bene delle anime, che è la regola suprema della comunità fondata da Gesù Cristo (cfr. can. 1752 CIC).

    La questione viene così vista non esclusivamente nell’ambito tecnico-giuridico, ma anche sotto l’aspetto pastorale che la inquadra meglio nel mistero della Chiesa, che trascende, non eliminandolo, l’aspetto formale, tecnico, giuridico. È questa la comprensione giusta della norma canonica, non fine a se stessa ma sempre a servizio della persona umana inserita nel mistero salvifico di Cristo, dove l’uomo divenuto, mediante il battesimo, persona nella Chiesa, trova nella duplice mensa del pane della Parola e del pane eucaristico, le fonti principali della grazia che lo santifica.

    Essendo quindi l’Eucarestia presenza del Verbo incarnato, la stessa è centro e vertice degli altri sacramenti, fonte della vita e dell’edificazione della Chiesa (cfr. 
    Lumen gentium n. 26), ed apice della vita cristiana (cfr. LG n. 11). Una politica (passi la parola) legislativa canonica non può prescindere da queste fondamentali verità e da questi misteri di grazia, e per quanto possa essere attenta alle esigenze tecnico-giuridiche che sostanno alla costruzione dell’ordinamento canonico, deve, con la difesa della verità della fede e la tutela dei mezzi efficaci di grazia – al centro dei quali c’è il sacramento dell’Eucarestia perché ha in sé l’autore della grazia –, insegnare anche con la norma giuridica a difendere, anche con il complesso delle leggi penali, il supremo bene che il Signore ha dato alla Chiesa. Dire che queste considerazioni sono puramente d’ordine spirituale, morale, è affermare verità esatte, ma sostenere che esulano dal campo del diritto canonico significa non conoscere lo spirito, la natura e la finalità dell’ordinamento legislativo della Chiesa ed è fare ad esso l’offesa più grave.

    Ce lo ha confermato lo stesso legislatore quando ha promulgato nel 1983 il nuovo Codice di diritto canonico: «In tal modo gli scritti del Nuovo Testamento ci consentono di percepire ancor più l’importanza stessa della disciplina e ci fanno meglio comprendere come essa sia più strettamente congiunta con il carattere salvifico dello stesso messaggio evangelico» (costituzione apostolica 
    Sacrae disciplinae, 25 gennaio 1983, in Codice di diritto canonico, Roma, Ueci, 1983, p. 25). 

    È da queste considerazioni dogmatiche e teologiche che dobbiamo far discendere e ricavare la ragione fondamentale che legittima sotto il profilo strettamente ecclesiastico – e perciò anche giuridico – la risposta data al dubbio dal Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Il verbo abicit del canone latino 1367 e del canone orientale 1442 non va inteso solo nel senso stretto di gettare via, dal tabernacolo o pisside, le specie consacrate e nemmeno nel senso generico di profanazione, bensì nel significato più esteso, di ogni gesto che manifesta disprezzo, sfregio, repulsione odiosa... verso l’augusto sacramento dell’altare, che «è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l’unità del popolo di Dio e si compie l’edificazione del Corpo di Cristo» (can. 897 CIC).

    In questa tutela dell’Eucarestia ogni fedele deve saper cogliere anche il bene della persona profanante: la tutela delle specie consacrate è l’esigenza suprema che, anche attraverso la norma canonica, la Chiesa particolarmente avverte e con scopi medicinali e salvifici assicura irrogando le pene, nella consapevolezza che nel sacramento dell’Eucarestia è racchiuso tutto il bene del singolo fedele come della comunità. Teologicamente e pastoralmente giustificata appare questa interpretazione data dalla Santa Sede. Nell’azione pastorale, la Chiesa, sacramento di salvezza, è guidata da princìpi dottrinali e da norme; queste come regole che attuano e rendono vitali i princìpi per il bene dei fedeli. 




    PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS INTERPRETANDIS 

    Patres Pontificii Consilii de Legum Textibus Interpretandis, in plenario coetu diei 4 iunii 1999, dubio, quod sequitur, respondendum esse censuerunt ut infra: 
    D. Utrum in can. 1367 CIC et 1442 CCEO verbum «abicere» intelligatur tantum ut actus proiciendi necne. 
    R. Negative et ad mentem. 
    Mens est quamlibet actionem Sacras Species voluntarie et graviter despicientem censendam esse inclusam in verbo «abicere». 
    Summus Pontifex Ioannes Paulus II in Audientia diei 3 iulii 1999 infrascripto Praesidi impertita, de supradicta decisione certior factus, eam confirmavit et promulgari iussit. 

    Iulianus Herranz 
    Archiepiscopus titularis Vertarensis, praeses 

    Bruno Bertagna 
    Episcopus titularis Drivastensis, a secretis 



    I padri del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, nella sessione plenaria del 4 giugno 1999, hanno ritenuto di dover rispondere come segue al dubbio proposto: 
    D. Se nei canoni 1367 CIC e 1442 CCEO la parola «abicere» debba intendersi solamente come l’atto di gettar via. 
    R. Negativamente e «ad mentem». 
    La «mente» è questa: qualunque azione volontariamente e gravemente spregiativa è da considerarsi inclusa nella parola «abicere». 
    Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’udienza concessa al sottoscritto presidente il 3 luglio 1999, informato della suddetta decisione l’ha confermata ed ha ordinato che venga pubblicata. 

    Julián Herranz 
    arcivescovo titolare di Vertara, presidente 

    Bruno Bertagna 
    vescovo titolare di Drivasto, segretario 




     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 20/03/2015 17:02

    venerdì 17 febbraio 2012




      Mons. Athanasius Schneider, La nuova evangelizzazione e la Santa Liturgia. Le cinque piaghe del corpo mistico e liturgico
    Quel che la Chiesa ha sempre insegnato e che il nostro cuore desidera.


    4° Incontro per l'Unità Cattolica - 15 gennaio 2012

    Intervento di Monsignor Athanasius Schneider
    Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria d’Astana,
    Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan


    Per parlare correttamente della nuova evangelizzazione è indispensabile portare innanzitutto il nostro sguardo su Colui che è il vero evangelizzatore, Nostro Signore Gesù-Cristo il Salvatore, il Verbo di Dio fatto uomo. Il figlio di Dio è venuto su questa terra per espiare e riscattare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato per eccellenza dell'umanità consiste nel rifiuto di adorare Dio, nel rifiuto di riservargli il primo posto, il posto d'onore. Questo peccato degli uomini consiste nel fatto che non si presta attenzione a Dio, nel fatto che non si possiede più il senso delle cose, nel fatto che non si vuol vedere Dio, nel fatto che non ci si vuole inginocchiare davanti a Dio.

    Di fronte ad un simile atteggiamento, l'incarnazione di Dio è imbarazzante, ugualmente e di riflesso imbarazzante è la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico, imbarazzante la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle chiese. L'uomo peccatore vuole in effetti mettersi al centro, tanto all'interno della Chiesa che al di fuori della celebrazione eucaristica, vuole esser visto, vuol farsi notare.

    È la ragione per cui Gesù eucaristia, Dio incarnato, presente nei tabernacoli sotto la forma eucaristica, si preferisce piazzarLo di lato. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all'altare al momento della celebrazione di fronte al popolo è imbarazzante, perché il viso del prete se ne troverebbe nascosto. Dunque l'immagine del Crocifisso al centro come pure Gesù eucaristia nel tabernacolo similmente al centro dell'altare, sono imbarazzanti. Conseguentemente la croce e il tabernacolo sono piazzati di lato. Durante la celebrazione, chi assiste deve poter osservare in permanenza il viso del prete, di colui a cui piace mettersi letteralmente al centro della casa di Dio. E se per sbaglio Gesù eucaristia è quanto meno lasciato nel suo tabernacolo al centro dell'altare, perché il ministero dei beni culturali persino sotto un regime ateo, ha vietato di spostarlo per ragioni di conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso durante tutta la celebrazione liturgica, gli gira senza scrupolo le spalle.

    Quante volte bravi fedeli adoratori del Cristo, nella loro semplicità ed umiltà, avranno esclamato : « Benedetti voi, Monumenti storici! Per lo meno voi ci avete lasciato Gesù al centro della nostra Chiesa. »
    È solo a partire dall'adorazione e dalla glorificazione di Dio che la Chiesa può annunciare in maniera adeguata la parola di verità, cioè evangelizzare. Prima che il mondo ascoltasse Gesù, il Verbo eterno fattosi carne, predicare e annunciare il regno, Gesù ha taciuto e ha adorato per trent'anni. Ciò resta per sempre la legge per la vita e l'azione della Chiesa così come di tutti gli evangelizzatori. « È dal modo di curare la liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa», ha detto il cardinal Ratzinger, nostro attuale Santo Padre e Papa Benedetto XVI. Il concilio Vaticano II voleva richiamare alla chiesa la realtà e l'azione che dovevano prendere il primo posto nella sua vita. È ben per questo che il primo documento conciliare è dedicato alla liturgia. In esso il concilio ci dà i seguenti principi: Nella Chiesa e da qui nella liturgia, l'umano deve orientarsi al divino ed essergli subordinato, ed anche ciò che è visibile in rapporto all'invisibile, l'azione in rapporto alla contemplazione, e il presente in rapporto alla città futura, alla quale aspiriamo (cf.Sacrosanctum Concilium, 2). La nostra liturgia terrestre partecipa, secondo l'insegnamento del Vaticano II, al pregustare la liturgia celeste della città Santa, Gerusalemme (cf. idem, 2)

    Per questo, tutto nella liturgia della Santa Messa deve servire ad esprimere in maniera più netta la realtà del sacrificio di Cristo, cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, d'espiazione, che l'eterno Sommo-Sacerdote ha presentato al Padre Suo.

    Il rito e tutti i dettagli del Santo Sacrificio della Messa devono incardinarsi nella glorificazione e nell'adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza del Cristo, sia nel segno e nella rappresentazione del Crocifisso, che nella Sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e soprattutto al momento della consacrazione e della santa comunione. Più ciò è rispettato, meno l'uomo di pone al centro della celebrazione, meno la celebrazione somiglia ad un circolo chiuso, ma è aperta anche in maniera esteriore sul Cristo, come una processione che si dirige verso di lui col prete in testa, più una tale celebrazione liturgica rifletterà in modo fedele il sacrificio d'adorazione del Cristo in croce, più ricchi saranno i frutti provenienti dalla glorificazione di Dio che i partecipanti riceveranno nelle loro anime, più il Signore li onorerà.

    Più il sacerdote e i fedeli cercheranno in verità durante le celebrazioni eucaristiche la gloria di Dio e non la gloria degli uomini, e non cercheranno di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li onorerà lasciando partecipare la loro anima in maniera più intensa e più feconda alla Gloria e all'Onore della Sua vita divina. Nel momento attuale e in diversi luoghi della terra, sono numerose le celebrazioni della Santa Messa delle quali si potrebbero dire le seguenti parole, inversamente alle parole del Salmo 113,9: « A noi, o Signore, e al nostro nome dai gloria » ed inoltre a proposito di tali celebrazioni si applicano le parole di Gesù : « Come potete credere, voi che ricevete la vostra gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo ? » (Giovanni 5, 44).

    Il Concilio Vaticano II ha emesso, riguardo ad una riforma liturgica, i seguenti principi:
    1. Durante la celebrazione liturgica, l'umano, il temporale, l'attività, devono orientarsi al divino, all'eterno, alla contemplazione e avere un ruolo subordinato in rapporto a questi ultimi (cf. Sacrosanctum Concilium, 2).
    2. Durante la celebrazione liturgica, si dovrà incoraggiare la presa di coscienza che la liturgia terrestre partecipa della liturgia celeste (cf. Sacrosanctum Concilium, 8).
    3. Non deve esserci alcuna innovazione, dunque alcuna nuova creazione di riti liturgici, soprattutto nel rito della messa, tranne se ciò è per un frutto vero e certo in favore della Chiesa, e a condizione che si proceda con prudenza sul fatto che eventuali forme nuove sostituiscano in maniera organica le forme esistenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 23).
    4. I riti della Messa devono esser tali che il sacro sia espresso più esplicitamente (cf.Sacrosanctum Concilium, 21).
    5. Il latino deve essere conservato nella liturgia e soprattutto nella Santa Messa (cf.Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
    6. Il canto gregoriano ha il primo posto nella liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 116).
    I padri conciliari vedevano le loro proposizioni di riforma come la continuazione della riforma di S. Pio X (cf. Sacrosanctum Concilium, 112 e 117) e del servo di Dio, Pio XII, e in effetti, nella costituzione liturgica, la più citata è l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII.

    Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa, tra gli altri, un principio importante della dottrina sulla Santa liturgia, e cioè la condanna di ciò che chiama archeologismo liturgico, le cui proposizioni coincidevano largamente con quelle del sinodi giansenista e protestantizzante di Pistoia del 1976 (cf. « Mediator Dei », n° 63-64) e che di fatto richiamano le idee teologiche di Martin Lutero.
    Perciò già il Concilio di Trento ha condannato le idee liturgiche protestanti, specialmente l'esagerata accentuazione di banchetto nella celebrazione eucaristica a detrimento del carattere sacrificale, la soppressione dei segni univoci della sacralità in quanto espressione del mistero della liturgia (cf. Concilio di Trento, sessio XXII).

    Le dichiarazioni liturgiche dottrinali del magistero, come nel caso del Concilio di Trento e dell'enciclica Mediator Dei, che si riflettono in una prassi liturgica secolare, anzi da più di un millennio, costante e universale, queste dichiarazioni dunque, fanno parte di quell'elemento della santa tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in grandi danni sul piano spirituale. Queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, il Vaticano II le ha riprese, come può constatarsi leggendo i principi generali del culto divino nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.

    Come errore concreto nel pensiero e nell'azione dell'archeologismo liturgico, il papa Pio XII cita la proposizione di dare all'altare la forma di una tavola (cf. Mediator Dei n° 62). Se già papa Pio XII rifiutava l'altare a forma di tavola, si immagini come avrebbe a fortiori rifiutato la proposizione di una celebrazione come intorno ad una tavola « versus populum » !

    Se la Sacrosanctum Concilium al n° 2 insegna che, nella liturgia, la contemplazione deve avere la priorità e che tutta la celebrazione della messa deve essere orientata verso i misteri celesti (cf. idem n° 2 et n° 8), vi si trova un'eco fedele della seguente dichiarazione di Trento che diceva: « E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.» (sessio XXII, cap. 5).

    I citati insegnamenti del magistero della Chiesa e soprattutto quello di Mediator Dei sono stati riconosciuti senza alcun dubbio anche dai padri conciliari come pienamente validi; di conseguenza essi devono continuare ancor oggi ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa.

    Nella lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica unita al Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, il papa fa questa dichiarazione importante: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso ». Dicendo questo, il papa esprime il principio fondamentale della liturgia che il Concilio di Trento e papa Pio XII hanno insegnato.

    Se si guarda senza idee preconcette e in maniera obbiettiva la pratica liturgica della stragrande maggioranza delle chiese in tutto il mondo cattolico nel quale è in uso la forma ordinaria del rito romano, nessuno può negare in tutta onestà che i sei principi liturgici menzionati dal Concilio Vaticano II sono rispettati poco o niente addirittura. Ci sono un certo numero di aspetti concreti nell'attuale pratica liturgica dominante, nel rito ordinario, che rappresentano una vera e propria rottura con una pratica religiosa costante da oltre un millennio. Si tratta dei cinque usi liturgici seguenti che si possono considerare come le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di piaghe, perché rappresentano una violenta rottura col passato, perché mettono apertamente meno l'accento sul carattere sacrificale che è quello centrale ed essenziale della messa, mettono avanti il banchetto; tutto ciò diminuisce i segni esteriori dell'adorazione divina, perché esse mettono meno in rilievo il carattere del mistero in ciò che ha di celeste ed eterno.

    In ordine a queste cinque piaghe, si tratta di quelle che - ad eccezione di una (le nuove preghiere dell'offertorio) - non sono previste nella forma ordinaria del rito della messa, ma sono state introdotte in modo deplorevole dalla pratica.

    La prima piaga, la più evidente, è la celebrazione del sacrificio della messa in cui il prete celebra volto verso i fedeli, specialmente durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro dell'adorazione dovuta a Dio. Questa forma esteriore corrisponde per sua natura più al modo in cui ci si comporta quando si condivide un pasto. Ci si trova in presenza di un circolo chiuso. E questa forma non è assolutamente conforme al momento della preghiera ed ancor meno a quello dell'adorazione. Ora questa forma, il concilio Vaticano II non l'ha auspicata affatto e non è mai stata raccomandata dal magistero dei papi post-conciliari. Papa Benedetto XVI nella sua prefazione al primo tomo della sua Opera Omnia scrive: «l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo. ».

    La forma di celebrazione in cui tutti portano il loro sguardo nella stessa direzione (conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche evocata dalle rubriche del nuovo rito della messa (cf.Ordo Missae, n. 25, n. 133 et n. 134). La celebrazione che si dice « versus populum » certamente non corrisponde all'idea della Santa Liturgia tal quale è menzionata nelle dichiarazioni di Sacrosanctum Concilium n°2 e n° 8.

    La seconda piaga è la comunione sulla mano diffusa dappertutto nel mondo. Non soltanto questa modalità di ricevere la comunione non è stata in alcun modo evocata dai Padri conciliari del Vaticano II, ma apertamente introdotta da un certo numero di vescovi in disobbedienza verso la Santa Sede e nel disprezzo del voto negativo nel 1968 della maggioranza del corpo episcopale. Solo successivamente papa Paolo VI l'ha legittimata controvoglia, a condizioni particolari.

    Papa Benedetto XVI, dopo la Festa del Corpus Domini 2008, non distribuisce più la comunione che a fedeli in ginocchio e sulla lingua, e ciò non soltanto a Roma, ma anche in tutte le chiese locali alle quali rende visita. Attraverso ciò egli donò all'intera Chiesa un chiaro esempio di magistero pratico in materia liturgica. Se la maggioranza qualificata del corpo episcopale, tre anni dopo il concilio, ha rifiutato la comunione nella mano come qualcosa di nocivo, quanti più Padri conciliari l'avrebbero fatto ugualmente!

    La terza piaga, sono le nuove preghiere dell'offertorio. Esse sono una creazione interamente nuova e non sono mai state usate nella Chiesa. Esse esprimono meno l'evocazione del mistero del sacrificio della croce che quella di un banchetto, richiamando le preghiere del pasto ebraico del sabato. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa d'Occidente e d'Oriente, le preghiere dell'offertorio sono sempre state espressamente incardinate al sacrificio della croce (cf. p. es. Paul Tirot, Storia delle preghiere d'offertorio nella liturgia romana dal VII al XVI secolo, Roma 1985). Una tale creazione assolutamente nuova è senza nessun dubbio in contraddizione con la formulazione chiara del Vaticano II che richiama « Innovationes ne fiant … novae formae ex formis iam exstantibus organice crescant » (Sacrosanctum Concilium, 23).

    La quarta piaga è la sparizione totale del latino nell'immensa maggioranza delle celebrazioni eucaristiche della forma ordinaria nella totalità dei paesi cattolici. È una infrazione diretta contro le decisioni del Vaticano II.

    La quinta piaga è l'esercizio dei sevizi liturgici di lettori e di accoliti donne, così come l'esercizio degli stessi servizi in abito civile penetrando nel coro durante la Santa Messa direttamente oltre lo spazio riservato ai fedeli. Quest'abitudine non è giammai esistita nella Chiesa, o per lo meno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla messa cattolica il carattere esteriore di qualcosa di informale, il carattere e lo stile di un'assemblea piuttosto profana. Il secondo concilio di Nicea vietava già, nel 787, tali pratiche, redigendo questo canone: « Se qualcuno non è ordinato, non gli è permesso fare la lettura dall'ambone durante la santa liturgia », (can. 14). Questa norma è stata costantemente rispettata nella Chiesa. Solo i suddiaconi o i lettori avevano il diritto di fare la lettura durante la liturgia della Messa. Al posto dei lettori e accoliti mancanti, sono uomini o ragazzi in veste liturgica che possono farlo, e non donne, essendo un dato di fatto che il sesso maschile sul piano sacramentale dell'ordinazione non sacramentale dei lettori ed accoliti, rappresenta simbolicamente il primo legame con gli ordini minori.

    Nei testi del Vaticano II, non è fatta alcuna menzione della soppressione degli ordini minori e del suddiaconato, né dell'introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium n° 28, il concilio fa la differenza tra « minister » e « fidelis » durante la celebrazione liturgica, e sancisce che l'uno e l'altro hanno diritto di fare ciò che loro spetta in ragione della natura della liturgia. Il n° 29 meziona i « ministrantes », cioè gli addetti al servizio dell'altare che non hanno ricevuto alcuna ordinazione. In opposizione a costoro ci sarebbero, scondo i termini giuridici dell'epoca, i «ministri », cioè coloro che hanno ricevuto un ordine maggiore o minore che sia.

    Con il Motu proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI afferma che entrambe le forme del Rito romano sono da guardare e trattare con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera che accompagna il Motu proprio, il Papa auspica che le due forme si arricchiscano reciprocamente. Inoltre, auspica che nella nuova forma "appaia, più di quanto non sia avvenuto finora, il senso del sacro che attira molte persone verso il vecchio rito."

    Le quattro ferite liturgiche o usi infelici (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano e l'intervento delle donne per il servizio di lettura e quello di accolito) non hanno di per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa e sono inoltre in contraddizione con i principi liturgici del Vaticano II. Se si ponesse fine a questi usi, si ritornerebbe al vero insegnamento del Vaticano II. E allora le due forme del Rito romano si avvicinerebbero enormemente così che, almeno esternamente, non si dovrebbe constatare una rottura fra di loro e, quindi, nessuna rottura tra la Chiesa di prima del Concilio e quella del dopo.

    Per quel che riguarda le nuove preghiere dell'Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisca con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria o almeno che permetta il loro uso ad libitum. Così, non è solo esteriormente, ma interiormente, che la rottura tra le due forme sarebbe evitata. La rottura nella liturgia, è appunto quel che la maggior parte dei padri conciliari non ha voluto ; lo testimoniano gli atti del Concilio, perché in duemila anni di storia della liturgia nella Santa Chiesa, non c'era mai stata rottura liturgica e, pertanto, non deve mai essercene. Invece ci deve essere una continuità come deve essere per il Magistero.
    È per questo che c'è bisogno oggi di nuovi Santi, di una o più Santa Caterina da Siena. Abbiamo bisogno della "vox populi fidelis" che reclama la soppressione di questa rottura liturgica. Ma il tragico della storia, è che oggi, come al momento dell'esilio di Avignone, una larga maggioranza del clero, soprattutto del clero alto, si accontenta di questo esilio, di questa rottura.

    Prima che possiamo aspettarci frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve innanzitutto instaurarsi un processo di conversione all'interno della Chiesa. Come si può chiamare gli altri a convertirsi fino a quando, tra chi la reclama, nessuna conversione convincente a Dio non è ancora avvenuta perché, nella liturgia, non sono sufficientemente rivolti a Dio, sia interiormente che esteriormente? Si celebra il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della fede, l'atto di adorazione più sublime in un cerchio chiuso, guardandosi a vicenda.

    Manca la necessaria "conversio ad Dominum", anche esternamente, fisicamente. Perché durante la liturgia si tratta Cristo come se non fosse Dio e non Gli si mostrano i segni esterni chiari di un'adorazione dovuta a Dio solo, non solo nel fatto che i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi ma che la prendono nelle loro mani come un cibo ordinario, prendendolo e mettendolo loro stessi in bocca. C'è il pericolo di una sorta di arianesimo o un semi-arianesimo eucaristico.

    Una delle condizioni necessarie per una fruttuosa nuova evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa sul piano del culto liturgico pubblico, osservando almeno questi due aspetti del culto divino, vale a dire:

    1. Che su tutta la terra la Santa Messa sia celebrata, anche nella forma ordinaria, nella "conversio ad Dominum", interiormente e necessariamente anche esternamente.
    2. Che i fedeli pieghino il ginocchio davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come San Paolo lo domanda, evocando il nome e la persona di Cristo (cfr. Phil 2, 10) e che Lo ricevano con il più grande amore e il massimo rispetto possibile, come è suo diritto in quanto Vero Dio.
    Dio sia lodato, Papa Benedetto ha iniziato, con due misure concrete, il processo di ritorno dall'esilio avignonese liturgico, attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del rito tradizionale per la comunione.

    C'è ancora molto bisogno di preghiera e forse di una nuova Santa Caterina da Siena perché seguano gli altri passi, in modo da guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con lo stesso amore, rispetto, senso del sublime che hanno sempre rappresentato la realtà della Chiesa e del suo insegnamento, specialmente attraverso il concilio di Trento, papa Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei, il concilio Vaticano II nella sua costituzione Sacrosanctum Concilium e papa Benedetto XVI nella sua teologia e liturgia, nel suo magistero liturgico pratico e nel Motu proprio citato.

    Nessuno può evangelizzare se non ha prima adorato, e parimenti se non adora in permanenza e non dà a Dio, il Cristo Eucaristia, la vera priorità nella maniera di celebrare e in tutta la sua vita. In effetti, per riprendere le parole del card Joseph Ratzinger : « È nel modo di trattare la Liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa ».

    _________________________
    [Fonte: Réunicatho] - Traduzione dall'originale francese di Maria Guarini
     







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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/08/2015 19:10

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    Il cardinale Robert Sarah: “Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”

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    Il cardinale Robert Sarah

    Il cardinale Robert Sarah

    Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

    Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta. “Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

    Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”





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    00 27/08/2015 12:53
    INVITIAMO i nostri lettori e Visitatori a meditare sulla bella intervista rilasciata da mons. Nicola Bux al Blog amico: "Scuola Ecclesia Mater".

    Ecco un breve passo di Don Bux:

    La Chiesa è attraversata da una crisi di fede, che genera confusione e, come ho già detto mesi fa, porta all’affermazione di un pensiero non cattolico. Senonché, Gesù ha detto che chi è sapiente, sa estrarre dal tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13, 52). L’idea di una nuova Chiesa, ha attraversato la storia: dagli gnostici ai catari, da Gioacchino da Fiore a Lutero, da Giansenio agli attuali novatori.
    Il pensiero di sant’Agostino ha portato a coniare il detto: Novum Testamentum in Vetere latet, Vetum Testamentum in Novo patet (il Nuovo Testamento è adombrato nell’Antico, e questo trova compimento nel Nuovo): È difficile applicare questo al Vaticano II rispetto ai venti concili che l’hanno preceduto? Appare ragionevole chi sostiene che con questo concilio abbiamo una nuova visione di Chiesa? La Chiesa del Signore è sempre la stessa

    _______
    buona lettura

    http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/08/nuova-intervista-esclusiva-di-don.html 


    mercoledì 26 agosto 2015

    Nuova intervista esclusiva di don Nicola Bux su liturgia, motu proprio Summorum Pontificum, matrimonio e divorziati risposati

    Dopo una prima intervista concessaci lo scorso marzo, don Nicola Bux, che ringraziamo, ce ne ha concessa un’altra sui temi oggi più dibattuti riguardo all’applicazione del m.p.Summorum Pontificum e su quelle che saranno le problematiche all’attenzione del prossimo Sinodo ordinario, in ottobre, sulla famiglia.
    Caro don Nicola, ti ringrazio di aver concesso al nostro blog una tua nuova breve intervista.Permettimi di cominciare, entrando subito nel vivo.

    1. Si è sostenuto che il m.p. del 2007 del papa Benedetto XVI, Summorum Pontificum, mirasse alla pacificazione liturgica tra gli amanti del rito antico e quelli del rito nato a seguito delle riforme di papa Montini. Si è però obiettato che tale atto del papa-teologo, in verità, non abbia portato ad alcuna pacificazione, ma anzi abbia generato o, secondo alcune visioni accentuato, pure da un punto di vista pastorale, delle fratture esistenti nelle comunità ecclesiali, anche all’interno di una stessa parrocchia! In effetti, talora si è lamentato che una diversa celebrazione, compiuta peraltro pure in giorni diversi, non faciliti l’unità pastorale. Basti pensare, ad es., ad alcune feste e ricorrenze liturgiche che sono celebrate in giorni diversi nel rito antico e nel rito riformato. Ecco, come giudichi ad otto anni dalla sua entrata in vigore il m.p. papale? Può farci un bilancio? Davvero è riuscito nel suo intendimento di pacificazione liturgica? E come coniugare, da un punto di vista pastorale, l’unità se si celebrano le feste – o per lo meno alcune feste – in giorni diversi?


    R. L’atto benedettiano, a ben leggere, postula il reciproco arricchimento tra le due forme – come egli tecnicamente le ha definite – dell’unico rito romano: pertanto, potremmo definirlo un atto aperto allo sviluppo, com’è giusto che sia ogni intervento riformatore. Lo stesso Ratzinger aveva auspicato, da cardinale, nuovi prefazi e i nuovi santi in calendario. Il messale romano ha sempre conosciuto tali progressive integrazioni. È paradossale che gli attuali sostenitori della riforma paolina siano diventati così ‘reazionari’ da sostenerne l’intangibilità. Ne parlo perché convinto della opportunità della riforma liturgica, non di taluni epigoni che qui e là ha raggiunto. Ogni studioso della liturgia conosce le tappe del suo sviluppo organico nella storia: il punto è proprio sull’“organico”.
    La Sacrosanctum Concilium sostiene che le forme nuove devono scaturire da quelle esistenti ed essere con quelle coerenti (23). Proprio su questo punto, però, i sostenitori del messale tridentino hanno da ridire: davvero la Messa del Novus Ordo è in continuità con quella precedente? La struttura evidentemente è la medesima: due parti, parola ed eucaristia, con due premesse – l’introduzione penitenziale e l’offertorio (abbastanza falcidiato, confrontandolo con quello bizantino) – , uno sviluppo, costituito dai riti di Comunione, e la conclusione con la benedizione e il congedo. D’altro lato, come detto per l’offertorio, più che per la semplificazione avvenuta, questa parte, come le altre, sopportano spesso l’insulto della cosiddetta creatività, di cui la costituzione liturgica non parla mai, ma solo di adattamenti a determinate condizioni. Ora, uno sguardo equilibrato, dovrebbe portare gli uni e gli altri ad ammettere una ‘riforma della riforma’: espressione di Joseph Ratzinger, mutuata, credo, dal grande studioso tedesco Klaus Gamber.
    Lo squilibrio è dovuto al fatto che la riforma postconciliare è stata come un pasto frettoloso: perciò non è stata assimilata, e qui e là è rimasta inapplicata o rigettata. Se fosse avvenuto come con le riforme di Pio X e Pio XII, che furono graduali, non sarebbe accaduto. Nel post concilio si lascio spazio alla sperimentazione, ma questa fu preso come definitiva.
    Quanto alla pacificazione, da quello che ha osservato il cardinal Sarah, la situazione non è uniforme: pare che là dove i guasti sian stati maggiori, il m.p. abbia preso più piede – America del Nord, Paesi Bassi, Africa e Asia – mentre dove non è accaduto, la conflittualità è più evidente. Il fatto è che sempre più giovani seminaristi e sacerdoti si interessano al Vetus Ordo e desiderano impararlo: tempo dieci anni, passata questa generazione, ciò sarà più evidente e imponente.Come conciliare i due calendari? Non accade già ora che in una diocesi o in una parrocchia si celebri una memoria o una festa, che non si celebra nell’altra, in quanto titolare o dal grado maggiore? Nelle chiese orientali, che vivono a gomito su uno stesso territorio, la differenza di calendario non è un problema. E poi, non si sostiene nella Chiesa odierna che la diversità è ricchezza e che l’unità non è uniformità? Bisogna studiare di più e avere pazienza, la pazienza dell’amore, come scrive l’Apostolo (cfr. 1 Cor 13,4).


    2. Una seconda domanda: si è molto discusso, soprattutto a partire dal m.p. - che ha avuto il merito quantomeno di riportare in auge temi che, forse con sufficienza, si ritenevano esauriti – della c.d. ermeneutica della continuità in ambito liturgico (e non solo). Del resto, uno dei temi cari al pontificato di papa Ratzinger era appunto quello di rileggere i documenti conciliari alla luce della Tradizione bimillenaria della Chiesa, pena una sostanziale incomprensione di quei testi e la conclusione che gli stessi siano in decisa rottura con ciò che la Chiesa ha creduto sempre ed ovunque – secondo la nota affermazione di S. Vincenzo di Lerins. Orbene, ancora oggi c’è chi lamenta come i documenti del Vaticano II debbano, al contrario, leggersi facendosi quasi astrazione dal magistero anteriore e, quindi, tanto per fare un esempio la Sacrosantum Concilium prescindendo dalla Mediator Dei di Pio XII, che pure aveva “preparato la strada” al documento conciliare del 1963.
    E proprio questi “profeti della discontinuità” (se vogliamo chiamarli così) lamentano che tale operazione sia come leggere il Vangelo alla luce dell’Antico Testamento.Tu, don Nicola, condividi questo punto di vista? Cosa risponderesti a questi “profeti della discontinuità”? Possibile che ancor oggi non si riesca a fare una lettura piana e pacifica dei documenti conciliari alla luce della Tradizione della Chiesa, nonostante il magistero di Benedetto XVI? Perché tante resistente? Quali le ragioni, secondo te, di questa non accettazione di tale chiave di lettura? E quali, se esistono, le eventuali soluzioni?


    R. La Chiesa è attraversata da una crisi di fede, che genera confusione e, come ho già detto mesi fa, porta all’affermazione di un pensiero non cattolico. Senonché, Gesù ha detto che chi è sapiente, sa estrarre dal tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13, 52). L’idea di una nuova Chiesa, ha attraversato la storia: dagli gnostici ai catari, da Gioacchino da Fiore a Lutero, da Giansenio agli attuali novatori. Il pensiero di sant’Agostino ha portato a coniare il detto: Novum Testamentum in Vetere latet, Vetum Testamentum in Novo patet (il Nuovo Testamento è adombrato nell’Antico, e questo trova compimento nel Nuovo): È difficile applicare questo al Vaticano II rispetto ai venti concili che l’hanno preceduto?
    Appare ragionevole chi sostiene che con questo concilio abbiamo una nuova visione di Chiesa? La Chiesa del Signore è sempre la stessa, in quanto Egli è lo stesso ieri, oggi e sempre: sarebbe paradossale che così non fosse per il Suo corpo che la Chiesa.
    Il fastidio verso la Tradizione, penso sia dovuto alla non comprensione del fatto che tradere sia un verbo di movimento e significa trasmettere ciò che si è ricevuto, integralmente, come dice Paolo a proposito dell’eucaristia, ma questo deposito, nel frattempo, come tutti i depositi – penso a quelli in banca – ha fruttificato e si è arricchito. Il discorso cosiddetto sull’ermeneutica del Vaticano II, fatto il 22 dicembre 2005, all’esordio del suo pontificato, da Benedetto XVI è talmente chiaro e ragionevole, che solo un pregiudizio impedisce di accettarlo.
    Causa di tale pregiudizio è l’ignoranza, dovuta alla mancanza di studio: se questo ci fosse, ci si accorgerebbe che i documenti del Vaticano II, a parte la maggiore o minora rilevanza di questo o di quello, e di certi passaggi, non enunciano nuove dottrine. Papa Giovanni parlò di aggiornamento: sull’interpretazione di questa parola è stato scritto molto, ma la mente di quell’uomo così tradizionale e così nuovo, impedisce di pensare che desse a quel termine un altro contenuto. Basta leggere il suo Giornale dell’Anima, per trovarlo intriso di quel ‘devozionismo’, tanto vituperato dai novatori. La soluzione è un confronto paziente e senza pregiudizi, come stiamo facendo con un gruppo di amici studiosi.Aggiungo: «La mancanza di chiarezza nel rapporto tra livello dogmatico e livello liturgico, che è rimasta poi anche durante il Concilio, deve forse essere qualificata come il problema centrale della riforma liturgica; in base a questa ipoteca si spiega gran parte dei singoli problemi con i quali, da allora, abbiamo a che fare» (J. RATZINGER, Opera omnia, vol. 11, Teologia della liturgia, V. Forma e contenuto della celebrazione eucaristica, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 414-415). Questa riflessione dell’allora cardinal Joseph Ratzinger appare del tutto coerente con l’argomento alla ribalta della cronaca ecclesiale e non solo – la comunione ai divorziati risposati – per le sue implicazioni dogmatiche e liturgiche, oltre che canoniche e pastorali.


    3. Il prossimo ottobre, come noto, si svolgerà in Vaticano il Sinodo ordinario sulla famiglia. Tra i profili, che saranno oggetto di discussione, vi è la questione – sostenuta da diversi prelati, tra i quali il card. Kasper (e non solo lui) – circa l’ammissione dei divorziati risposati al sacramento dell’Eucaristia, sebbene conviventi col nuovo coniuge non certo ut frater et soror. Ora, comprendo che si tratta di una tematica delicata, ma si è proposto di superare – a quanto ci è dato comprendere – il problema dottrinale (giacché la Scrittura afferma, senza mezzi termini, che l’adultero non può ereditare il Regno di Dio! E l’adultero – nell’ottica della Bibbia – non è solo colui che tradisce il proprio coniuge …) insistendo sia dal punto di vista teologico con la distinzione tra divorziato con colpa (a cui sarebbe addebitabile la separazione ed il divorzio) e divorziato senza colpa (che avrebbe subito il divorzio e, quindi, meriterebbe rifarsi una vita) sia dal punto di vista canonico con la modifica delle norme canoniche sul processo di nullità matrimoniale volte ad una “semplificazione” della procedura di nullità (ad es., si parla con insistenza della proposta di abolire la c.d. doppia sentenza conforme). Per modello si è insistito più volte sull’esperienza delle Chiese ortodosse.
    Ora chiedo a te come liturgista di dirci come stiano le cose presso le Chiese ortodosse e cioè se e come avviene, in quell’esperienza, questa riammissione ed eventualmente con quali limiti. Come teologo, quindi, ti chiedo una sorta di giudizio prognostico in merito al Sinodo e se cioè ritieni davvero che la materia su cui s’intenderebbe deliberare sia nella disponibilità dei Padri sinodali e dello stesso Papa.


    R. Gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde nozze, in quanto nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo scambio della coppa comune di vino, che non è quello consacrato. Inoltre, tra i cattolici si suol dire che gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il divorzio dal primo coniuge: in verità non è proprio così, perché non si tratta dell’istituzione giuridica moderna. La chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto da essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di “sciogliere e legare”, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista (per quanto scoraggiata) anche la possibilità di un terzo matrimonio.
    Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze, nei casi di scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente (v. il mioMito e realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi).La verità è che bisogna considerare il matrimonio nel rito ortodosso essenzialmente come una sorta continuazione, rivestita di forme liturgiche, del matrimonio così com’era concepito dal diritto giustinianeo, stante la volontà delle chiese ortodosse – almeno a partire da una certa epoca (un esempio di questo cedimento è rappresentato dalla raccolta del c.d. Nomocanone in 14 titoli redatto dal patriarca di Costantinopoli, Fozio, nell’883) – di vivere in armonia con le autorità civili, ricevendone favori e concessioni, pure a costo di alterare il messaggio evangelico  (v. Cyril Vasil’, Separazione, divorzio, scioglimento del vincolo matrimoniale e seconde nozze. Approcci teologici e pratici delle Chiese ortodosse, in Robert Dodaro (a cura di), Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena, 2014, pp. 94-95).Le seconde (e terze) nozze, dunque, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate con un rito speciale, definito “di tipo penitenziale”, tanto è vero che le preghiere proprie del rito delle seconde nozze non hanno nulla del tono festivo delle preghiere del rito abituale del matrimonio (il primo), giacché «non contengono – è stato opportunamente sottolineato da Andrea Palmieri – invocazioni di prosperità, ma richieste di perdono» e le immagini bibliche ricorrenti evocate in esse - e questo mi sembra significativo - «non sono quelle delle coppie benedette, ma quelle dei peccatori» (Il rito per le seconde nozze nella Chiesa greco-ortodossa, ed. Ecumenica, Bari, 2007, p. 111).
    Tuttavia, il carattere penitenziale non è da intendersi legato  - nota Basilio Petrà – tanto alla celebrazione in se delle seconde nozze, quanto alla debolezza ed alle proclività al peccato dell’essere umano, che non ritiene potercela fare senza ricorrere alle seconde nozze (così in Divorzio e seconde nozze nella tradizione greca. Un’altra via, Cittadella ed., Assisi, 2014, p. 167).Poiché nel rito delle seconde nozze mancava, almeno in antico, il momento dell’incoronazione degli sposi (che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio), le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma volendo semplificare al massimo e secondo le categorie teologiche e liturgiche occidentali, per usare la terminologia latina, un sacramentale, che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale.
    Il rito delle seconde nozze si applica, significativamente, pure nel caso di sposi rimasti vedovi.La non sacramentalità delle seconde nozze troverebbe conferma, secondo taluni, nella scomparsa della comunione eucaristica dai riti matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita comune; ciò appare come un tentativo di ‘desacramentalizzare’ il matrimonio, forse per l’imbarazzo crescente che le seconde e terze nozze inducevano, a motivo della deroga al principio dell’indissolubilità del vincolo, che è direttamente proporzionale al sacramento dell’unità: l’Eucaristia. A tal proposito, il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha scritto che, proprio la coppa, elevata a simbolo della vita comune, «mostra la ‘desacramentalizzazione’ del matrimonio ridotto ad una felicità naturale. In passato, questa era raggiunta con la Comunione, la condivisione dell’Eucaristia, sigillo ultimo del compimento del matrimonio in Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme» (mia traduzione da The Mystery of Love, in For the Life of the World. Sacraments and Orthodoxy, New York 1973, pp. 90-91). Come rimarrebbe in piedi questa ‘essenza’?
    Dunque, si tratta di un “qui pro quo”, imputabile alla scarsa o nulla considerazione per la dottrina in ambito cattolico, per cui si è affermata l’opinione, meglio l’eresia, che la Messa senza la Comunione non sia valida. Tutta la preoccupazione della comunione per i divorziati-risposati, che poco ha a che fare con la visione e la prassi orientale, è una conseguenza.La verità è, come nota l’arcivescovo Cyril Vasil’, riprendendo l’osservazione di un altro autore, Pierre L’Huillier, le chiese ortodosse «non hanno praticamente mai elaborato una dottrina chiara dell’indissolubilità del matrimonio», permettendo un certo lassismo, che ha condotto ad un’impropria espansione delle cause legittime di divorzio a paragone di quelle previste dalla più antica normativa canonica orientale (Cyril Vasil’, op. cit., p. 115).In ogni caso, volevo concludere che il sinodo, che si terrà in ottobre, per statuto, non ha prerogative dottrinali, che appartengono solo al papa ed al concilio unito al pontefice.


    4. Un’ultima domanda: Mons. Livi, in un recente contributo sul blog Disputationes Theologicae (qui, di recente, la seconda parte del contributo) ha sostenuto che, in fondo alla proposta kasperiana – che sarà oggetto di discussione in sede sinodale – riguardo al tema dei c.d. divorziati risposati ed agli omosessuali, sia possibile ravvisare l’assalto finale del pensiero gnostico-massonico alla Chiesa di Cristo.
    Ed in vista del Sinodo, è notizia di pochi giorni fa, rilanciata anche dal nostro blog, è in programma a Roma dal 10 al 12 settembre prossimi una conferenza, organizzata dall’associazione liberal International Academy for Marital Spirituality, a cui dovrebbe partecipare, ed anzi dovrebbe introdurre i lavori, il card. Óscar Rodríguez Maradiaga, che è attualmente una delle personalità più vicine al papa e rappresenta un po’ l’ala liberal all’interno dell’assise sinodale. Oltre ovviamente ad altre personalità.
    Ecco, condividi l’opinione di Mons. Livi e come ritieni possa coniugarsi l’indivisibile unione di un uomo e di una donna – secondo la nota definizione tomistica dell’unione coniugale come “individua coniunctio maris et feminae” – nel nostro tempo nel quale vi è un’esaltazione della libertà individuale – oserei dire quasi un’ubriacatura – anche da un punto di vista pastorale?


    R. Stimo mons. Livi, e non dubito che siamo in presenza della riedizione riveduta e corretta, per dir così, dello gnosticismo che ha sempre combattuto l’Incarnazione del Verbo, caratteristica originale del cristianesimo cattolico. Non so, però, se si tratti dell’assalto finale. Nel primo secolo della nostra èra, sentir parlare della risurrezione della carne, del corpo e dell’anima dell’essere umano, era quanto di più antitetico alla mentalità pagana potesse esserci.
    E se il Cristo fosse una sembianza di Dio? – dissero non pochi cristiani, quando ancora vivevano gli apostoli - è possibile che Dio sia venuto nella carne? E Giovanni dice: “Ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto in carne, è da Dio; e ogni spirito che non confessa Gesù, non è da Dio; ed è quello dell’Anticristo, di cui avete udito che viene e che ora è già nel mondo” (I Gv 4,2-3). Col suo Vangelo l’apostolo testimone oculare, ribatte all’eresia, chiamata docetismo (dal greco dokêin).
    Due secoli dopo si dirà da altri cristiani seguaci del prete Ario: il Cristo è soltanto uomo; altri al contrario ribatteranno, è solo Dio.
    Il dibattito cristologico sembrava concluso nel V secolo col concilio di Calcedonia, in realtà è continuato a fasi alterne fino a Bultmann e ai teologi razionalisti, e quanti altri che hanno distinto e/o separato il “Gesù storico” dal “Gesù della fede”. Ed oggi ancora si ripropone: c’è chi vorrebbe abolirla o ridurla, l’incarnazione e la divinità di Cristo, per dialogare meglio con ebrei e musulmani. A pensare che per sostenere la fede nell’incarnazione, Atanasio più volte è stato in esilio, Cirillo, Ambrogio, Pier Crisologo hanno sopportato scherni, insulti e persecuzioni!L’unione sacramentale tra l’uomo e la donna, secondo l’Apostolo, è un mistero grande in rapporto all’unione tra Cristo e la Chiesa: il mistero-sacramento, che permane grazie all’incarnazione del Verbo: «poiché siamo membra del corpo di Cristo», e in questa luce san Paolo, fa comprendere il passo di Genesi 2,24: «i due saranno una sola carne» (Ef. 5, 30-32). Dunque, il matrimonio, col diventare una sola carne, permette ai coniugi di entrare in quel mistero e di santificarsi. Ecco cosa deve essere messo al centro del prossimo sinodo, se è vero che la sacra liturgia con i santi sacramenti, costituisce la fonte e il culmine della vita spirituale e morale della Chiesa.


    Grazie don Nicola ancora una volta per la tua attenzione nei riguardi del nostro blog per questa tua seconda intervista esclusiva.


    R. Grazie a voi!




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 07/10/2015 19:34





      IL BELLISSIMO RITORNO DI ANTONIO MASTINO SU PAPALEPAPALE.COM

    SONO TORNATO A MESSA

    le-porte-della-chiesa-in-cui-sono-riuniti-tutti-i-protagonisti-di-lost-si-aprono-e-christian-shepard-scompareA proposito. Sto intanto ritornando a rispettare il precetto festivo, presenziando, con uno spirito nuovo, alla divina liturgia domenicale. Non andavo a messa da tanto.

    Ecco, di quest’ultimo dettaglio vorrei dirvi: è il mio personale “dito di Dio”.

    Ieri sera, domenica, ho deciso di andare a messa nella parrocchia più vicina, qui a Roma, col proposito di replicare ogni domenica successiva. Ma vi dico la verità: mi pesava, pigrizia e noia preventive cercavano di dissuadermi in ogni modo. Mi spiego meglio: non era la messa in sé che mi disturbava, ma quello a cui è stata ridotta. Già sapevo cosa mi aspettava: audio a tutto volume da rompere i timpani; schitarrate; canzonacce stonate; le deliranti innumerevoli generalissime megalomani “preghiere dei fedeli” che non credi trovino in paradiso qualcuno disposto ad ascoltare senza sbadigliare e men che meno ad accondiscendere; prediche logorroiche e sconclusionate, purtroppo anche sgrammaticate opera del solito prete straniero di passaggio, mentre la gente chatta sull’IP; squallore generale; sfilza di letture lette da laici senza un minimo di espressione, dizione, devozione, a cantilena come si fa alle elementari col sussidiario tanto che alla fine non capisci e non segui più niente; gente tutta in piedi quando si fa la consacrazione a una velocità supersonica sicché s’è fatto tardi dopo mezzora di predica. Insomma, le solite robe che sapete e infastidiscono voi pure.

    Mi sono detto: «Signore, io a messa ci vado, ma non credere mi diverta e ne sia particolarmente edificato, lo faccio giusto per riguardo a te, avendoti dato la parola, ma per me resta un atto penitenziale». Con questo spirito, lento pede, mi sono recato per una volta puntuale in parrocchia: a Santa Maria Goretti. Un nome una garanzia, quella parrocchia!… ‘na volta e due che c’ero stato!… attacchi di bile ogni volta.

    Appena ci sono entrato, ho pensato: “Tutto è rimasto tale e quale come l’avevo lasciato mesi fa: facciamoci coraggio!”. Poi ho pensato anche: “Per una volta sono in chiesa non per occuparmi del contesto e criticarlo, ma per me stesso e per Dio”.

    Dio che sembra avermi proprio ascoltato questa volta, e m’ha dato il benvenuto con quella sua solita malcelata, raffinata, un po’ tagliente ironia che gli conosco.

    Inizio della messa. Ok, c’era la chitarra e una voce un po’ stridula e troppo alta che cantava. Ma in aggiunta, stavolta, c’era anche l’organo: il risultato finale non era male e un che di solenne, per la prima volta, s’è diffuso in quel disadorno tempio. La gente non è tanta come le altre volte, è di meno: c’era una partita importante. In cambio, molti sono asiatici e latinoamericani.

    Il prete è spagnoleggiante, dall’italiano incerto, è giovane e barbuto, ma sembra un buon prete, molto mite.

    Questo mi colpisce, ed è la seconda sensazione strana: quelle solite preghiere liturgiche dell’introito, le stesse che ormai straccamente recitiamo mnemonicamente senza rifletterle e averlo mai fatto, stavolta io – ma ho la sensazione anche tutt’intorno – le recito gustandone ogni singola parola, e mi paiono bellissime, e lo faccio con una strana, gioiosa commozione, un singulto a ogni frase quasi. E tutto ciò mi meraviglia: le sento, le vivo. Ecco, in questo senso si “partecipa” alla liturgia, mi dico. Non mi sfibrano come le altre volte: ecco, mi dico, l’ironia di Dio, forse. O forse, mi dico, è perché per la prima volta sto partecipando “con un cuore nuovo”. Molte volte, in questi ultimi tempi, avevo domandato a Dio di strapparmi il cuore “di pietra” e di trapiantarmi un “cuore nuovo”: di carne.

    SINO A SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA

    311451_2563787264295_1575938301_nIniziano le letture dei fedeli, e ritorna l’ironia di Dio.

    Prima lettura: una bella signora legge, e lo fa con una dizione perfetta, cinematografica e non mi sfugge nessuna parola, non mi distraggo. Una lettura fatta bene: un miracolo! Non finisce mica qui: un ragazzo esile si accosta all’ambone, e con le parole di Dio, inizia un canto biblico sublime. Che quasi mi ferisce dentro. Sono più attento e vivo che mai. Dio mi stava regalando momenti di bellezza, dopo essermi preventivamente lamentato dell’assenza di bellezza alla sua mensa: era il suo modo di ringraziarmi per aver accettato l’invito, da quel Dio gentile che è. E ironico.

    Nel mentre, pensavo al Sinodo, a quel che si dice sui media, allo squallore che c’è fuori, agli scandali costruiti a tavolino, alla barca di Pietro sballottata grottescamente, senza rispetto sulle agenzie giornalistiche, come quel Cristo – ne vedo il suo volto, alle spalle del prete – ricoperto di ridicolo e sputi e beffe mentre il mondo lo processava avendo già deciso di condannarlo, lo vedo ridotto a una parodia di “re” con una corona di spine e un mantello rosso e buttato in pasto al pubblico ludibrio. Mentre «nessuno si è accorto che intorno a lui l’universo gli faceva infamia, e era una grande colata di sudore e amore», dirà di lui la poetessa pazza Alda Merini.

    Ascolto con viva apprensione quella bella signora dalla bella dizione come mai s’era sentita dacché io ricordi. E mi pare il simbolo della chiarezza che Dio vuole stabilire in questo giorno fatale, su tale questione epocale, per la prima volta nella storia dell’uomo messa in dubbio, anzi negata con livore e saccenza: “Parola di Dio”, che ci parla ancora oggi, come agli ebrei del tempo, per bocca dei suoi oracoli, e dice:

    Dopo che Dio aveva creato gli animali e lasciato all’uomo l’onere di dargli un nome, perché gli facessero compagnia, valutato che non ne ricavava grande aiuto…

    Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (…) Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

    Eppure queste qui sono parole che per tutta la nostra vita abbiamo sentito, ma oggi, oggi in questo tempio, in un silenzio assordante, assumono una potenza nuova, inaudita, che sgomenta, come a sentirle la prima volta. Perché Dio stesso, con poche parole, inequivocabilmente, abolisce tutte le ideologie del mondo, che, oggi, proprio oggi, stanno assaltando la sua Chiesa, penetrandola con una caparbietà subdola e spaventosa, aggredendola da fuori e soprattutto da dentro, sicché o implode o esplode. Sembrano quasi scandalose queste parole di Dio stesso, oggi, capaci di sfidare il mondo e persino di vincerlo contro ogni speranza.

    “Rendiamo grazie a Dio”, veramente! Stavolta la risposta riturale alla lettura non è stata meccanica: era sentita… “ti ringrazio… grazie per averlo detto: non siamo soli!”. Speriamo contro ogni speranza.

    POSSA IO VEDERE I MIEI FIGLI E FIGLI DEI FIGLI

    E quando sento cantare con grande potenza dal ragazzo esile all’ambone le parole di Dio nel salmo, sogno, sogno e agogno di essere premiato così come Dio promette a chi è fedele all’ordine delle cose da lui stabilito:

    Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.

    Beato chi teme il Signore

    e cammina nelle sue vie.

    Della fatica delle tue mani ti nutrirai,

    sarai felice e avrai ogni bene.  

    La tua sposa come vite feconda

    nell’intimità della tua casa;

    i tuoi figli come virgulti d’ulivo

    intorno alla tua mensa.

     (…) Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!

    Mio Dio! C’è un’immagine più bella e desiderabile di questa? Sentite: “La tua sposa come vite feconda… i tuoi figli come virgulti d’ulivo”. E ti immagini i tuoi giovani forzuti figli venuti belli e forti intorno al tavolo di mezzogiorno dove c’è il tuo sudore che si è trasformato in loro nutrimento. Perché possano sperimentare essi stessi questa gioia e tu contemplare con orgoglio i figli dei tuoi figli. E questa bellezza struggente, virile e sensuale, cosa c’entra con le languidezze disgustose e flaccide che il mondo di questi giorni ci propone e vorrebbe imporre anche alla sposa di Cristo, la Chiesa, conciata come una femmina pubblica avanti negli anni e canzonata nella piazza del villaggio? La vite, la sposa, e i virgulti d’ulivo, i figli come benedizione di Dio, intorno alla mensa del padre loro: bellissimo! Cosa desiderare di più?

    Bellissimo! Di una bellezza che fa vibrare d’improvviso tutte le vetrate della chiesa di Santa Maria Goretti, persino le mura sembrano scosse: mi pare di sentire fuori l’ira funesta del Demone devastato d’odio e d’invidia che s’abbatte sul santo edificio, vorrebbe all’istante irrompere con l’oscenità e la ribellione dei disperati in quel momento di sublime verità, profanandolo. Ma i vetri del tempio, ripieno di Spirito Santo come ossigeno nei polmoni, reggono ai colpi e non cedono, egli non vi irrompe. C’è una grande pace invece. E la mia commozione è sempre più grande: penso ai vetri e alle mura del Vaticano, e coltivo la stessa speranza. Anzi: in quel momento ci credo. Che almeno il Tempio di Pietro, laddove vigile dorme il suo sonno terreno l’Apostolo, sia preservato dall’attacco di Lucifero e delle sue legioni terrene e ultraterrene, dai suoi sacerdoti apostati.

    COME ASCOLTARLO PER LA PRIMA VOLTA

    Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo



    Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo e volendolo svincolare.

    Poi è il momento del Vangelo. Il sacerdote con grande umiltà e modestia si appresta a leggerlo, e lo senti anche tu che lui pure, mai quanto oggi, sta sentendo quanto legge, e pur con la sua sobrietà quelle parole lo riempiono di fervore, come le stesse leggendo e pronunciando per la prima volta: gli confermano per voce del Messia direttamente qual è la via, e così deve sentirsi meno solo anche lui in questo mondo e in questa Chiesa, adesso. Ed è come se anche noi per la prima volta ci accorgessimo tutti che veramente quella “parola del Signore” è di Gesù, che davvero ha detto così:

    … alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie (…)

    Gesù disse loro: «(…) dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

    A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

    Il silenzio è totale nell’edificio, per la prima volta non si sente tossire, non squillano cellulari, tutto resta immobile come sospeso: stanno davvero tutti ascoltando, e capisci che nello stesso momento, con un certo imbarazzo, paragonano automaticamente quelle parole di Lui, così chiare, con quante in libera uscita se ne sentono dalla televisione, da certi vescovi mondanizzati, sull’uomo e la donna, sul matrimonio, sul divorzio. “Ma davvero ha detto così Gesù!! Ma allora?…”, perché i suoi stessi sacerdoti lo smentiscono, lo censurano addirittura, lo liquidano con sufficienza? Che senso ha tutto questo? I loro pensieri meravigliati prendono quasi consistenza visibile librandosi nell’aria.

    Le parole di Lui per mezzo del suo servo infatti assumono una inedita potenza, rombano nell’aria eppure… restano sommesse, ma implacabili, definitive, totali. Sento davvero la voce del Cristo, ne avverto la volontà immutabile, ma senza arroganza. E quasi mi viene da piangere. Di gioia.

    PAROLA DEL SIGNORE, SCUSATE TANTO…

    GiannelliIl prete si appresta a tenere la sua predica: ricorda a tutti che oggi si aprirà il sinodo sulla famiglia, e ripete le frasi forti di Dio: “uomo e donna… nessuno osi dividerli”. Lo fa con molto garbo, sommessamente, quasi a scusarsi, come  se…

    …come si imbarazzasse di quanto sta scritto ed è il ribaltamento esatto del pensiero del mondo. O meglio: lo fa, si potrebbe dire, con un certo timore… paura ecco, paura del frastuono del mondo, della morte civile che è decretata per chi non si sdraia sulla linea, paura dello “scandalo”, tanto allo stato attuale risultano “eversive” quelle parole, e io stesso percepisco e probabilmente lui pure, il pericolo, il presentimento che qualcuno ormai ebbro degli inganni dello spirito del mondo qui e adesso tra l’assemblea dei fedeli balzi in piedi a ribellarsi, svillaneggiare il prete e gridare ai “tempi nuovi, nuova chiesa”, a respingere furioso le parole di Cristo stesso (del quale poco dopo si ciberà con indifferenza triturandolo tra i denti superbamente, ingoiando la sua condanna), quelle Sue parole che… che vuoi che siano rispetto a quelle dei tuttologi e degli opinionisti alla moda, laici e clericali, che imperano sui media, a cominciare da quelli cattolici ufficiali, compresi L’Avvenire e L’Osservatore che in questi giorni hanno persino inneggiato alle “moltitudini” di genti, come fosse l’esodo del popolo eletto, che domanderà di ripudiare moglie o marito… e tanti applausi: finalmente!, dicono ebbri di malignità… poter fornicare con la benedizione se non “di Dio”, della Chiesa. Satana si è vestito da prete, da vescovo e a tempo perso fa anche il giornalista “cattolico”.

    Una cosa è certa: in questa domenica tutti hanno sentito con le loro orecchie, ora sanno inequivocabilmente qual è la volontà di Gesù. Da adesso in poi nessuno potrà congetturare: è il momento del libero arbitrio: o si sta con Lui o deliberatamente ci si mette contro di Lui. Lo stesso vale per il Sinodo. Benché molti vescovi si reputino immuni dalla volontà di Dio, ma non da quella di Scalfari.

    GESÙ A BORDO CHE FA FINTA DI DORMIRE

    1560719_264638083695729_1640643154_nMentre ascolto e penso tutto questo,guardo le volte di questa mia chiesa di quartiere, che non ho mai amato e mai ho sentito come casa mia: ma stavolta no, mi sento in famiglia, le guardo queste volte, e mi sono infinitamente care. Sembrano le volte della pancia di una grande nave, perduta in mezzo all’oceano in tempesta.

    E mi sento sulla barca di Pietro con Gesù a bordo che fa finta di dormire. E il mio panico si placa e muta in risata quando il Messia apre un occhio, mi squadra e dice, a bassa voce: “Non temere: ci sto qua io non vedi? Scciii… zitto, zitto… vediamo che fanno gli altri, e Pietro. Tu fa finta di niente”.

    Nonostante tutto, mi sono detto, questa barca qui, sola nel mare magno della mondanità perduta, minacciata dai flutti e dalle falle, tormentata e sbatacchiata dalle tempeste, frenata e respinta da tutti i venti contrari, questa barca qui dentro la quale stasera ci sono anche io di nuovo, non solo non affonderà, ma continuerà ad andare, e finché la barca va… Tanto dopo la tempesta viene sempre il sereno.

    Piccolo gregge, piccola Chiesa che, nonostante tutto, nonostante quel che dice la gente, percossa, ridicolizzata, svergognata e anche martirizzata ogni giorno di più come sei, continui a vivere, pulsare, a combattere per essere fedele a te stessa e al tuo Signore, alla sua Parola, contro tutto e tutti, apparentemente contro la stessa ragione. E lo fai con mitezza, submissa voce, un po’ triste, forse tremando un po’ di paura, ma in fondo serena. Sperando ogni giorno di più: che lo Sposo venga a salvare la sua Sposa: perché il mondo non separi ciò che Dio ha unito.

    Insomma, avevo paura di annoiarmi a messa, oggi. Ma Dio, grato per la visita, ha montato tutto questo splendido spettacolo… mi verrebbe la tentazione di dire… “per me”. Non solo mi ha divertito: mi ha edificato. Ritornerò di certo domenica prossima.

    p.s.

    Un altro miracolo è successo oggi: alla Consacrazione, per la prima volta in questa parrocchia, ho visto che la grande maggioranza si è inginocchiata. Tutti fanno la comunione, specialmente le poche giovani ginocchia che non si sono piegate nemmeno alla consacrazione, tutti salvo io che sto in quarantena penitenziale e qualche altro derelitto. Massì, rido: è il popolo variopinto, confuso, incosciente e irresponsabile di Dio, che a quanto pare si sente la coscienza pulita. Beati loro, perché non sanno quel che fanno, e molto gli sarà perdonato. Io invece so, e devo starci attento se non voglio mangiare la mia condanna.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 11/11/2015 20:05


    Eucarestia: trasparenza del volto redentore di Gesù


     



    stellamatutina-santa-eucarestiaL’Eucarestia ci presenta la trasparenza del Volto Redentore di Nostro Signore Gesù Cristo. Il fondamento teologico e ontologico di questa affermazione ci è dato dalla Verità di Fede della Presenza reale  di Gesù, il Verbo Incarnato, che, per il mistero della transustanziazione, sotto le apparenze del Pane e del Vino consacrati, è presente realmente nel Santissimo Sacramento, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità1.


    Il Concilio di Trento ha scolpito in tre termini luminosi la concretezza della fede nella Presenza reale di Gesù vivo e vero nell’Eucarestia, affermando che Egli è presente veramente, realmente, sostanzialmente (“vere, realiter, substantialiter“), anatematizzando chi invece affermasse che nell’Eucarestia non siano presenti realmente il «corpo e sangue insieme con l’anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, e perciò tutto Gesù Cristo», ma vi sia presente Gesù «soltanto in segno, o in figura, o in potenza (in virtute2.


    Una conferma luminosa di questa perenne dottrina di fede sul Mistero Eucaristico, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, si è avuta, più recentemente, nell’Enciclica eucaristica Mysterium Fidei  del Sommo Pontefice Paolo VI, che ci parla della presenza di Gesù Cristo definita «”reale” […] per antonomasia perché è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente» (MF 40).


    Lo stesso Sommo Pontefice Paolo VI, inoltre, qualche anno dopo, ha donato alla Chiesa il Credo del Popolo di Dio, nel quale, riprendendo l’insegnamento del Concilio di Trento, riaffermava ancora una volta che noi crediamo nell’Eucarestia e «crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale».


    Il più recente Catechismo della Chiesa Cattolica, infine, ha ribadito a chiare lettere l’insegnamento della Verità di Fede nella Presenza reale del Verbo Incarnato nel Sacramento dell’Eucarestia, riaffermando espressamente «la nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto la specie del pane e del vino» (n.1378), e presentandola chiesa quale «luogo privilegiato dell’adorazione della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento» (n. 2691).


    La verità della Presenza reale di Gesù nell’Eucarestia è una «verità di fede – scrive il Padre Spiazzi – nota a tutti i credenti fin dagli anni del catechismo. Verità a cui ci si è abituati, tanto che spesso non ci si accorge più della sua bellezza e profondità, come non ci accorge dell’aria che si respira, della luce per mezzo della quale si vedono i colori, le cose. È quando viene a mancare la capacità visiva che si capisce la grandezza e il perché della luce; e quando non si riesce più a respirare, quando, come si suol dire, manca l’aria, che si valuta la necessità dell’aria»3. Per questo non è difficile ammettere che, spesso, in molti, si perda di vista il volto di Gesù nell’Eucarestia, non riflettendo che in Essa il Corpo adorabile di Gesù «esiste con tutte le sue parti – scrive il Beato Giacomo Alberione – perciò possiamo considerare nell’Eucarestia la faccia mansueta del Salvatore, la sua fronte serena, i suoi occhi misericordiosi, il suo cuore ardente di carità, il suo sangue sparso sulla croce, i suoi piedi, le sue mani con le ferite dei chiodi»4.


    In effetti, nel Sacramento dell’Eucarestia noi abbiamo una presenza di Cristo «che non è solo simbolica – scrive ancora lo Spiazzi -, non è il solo segno efficace [Sacramento] della presenza spirituale di Cristo e della sua unione intima con i fedeli che appartengono al suo corpo mistico», né si tratta di una presenza più in generale che «si confonde con quest’altra forma di presenza di Cristo nella Chiesa, appunto come capo del corpo mistico e principio della illuminazione e santificazione dei credenti», ma si tratta di una presenza particolare e speciale che è presenza «sostanziale e personale»5.


    Noi parliamo qui, dunque, della trasparenza del volto di una persona viva e vera; parliamo, cioè, della trasparenza del Volto personale di Gesù nell’Eucarestia, e lo riconosciamo soprattutto come Volto del Redentore, e, anzi, come Volto Redentore che si irradia dal Mistero Eucaristico. Se vogliamo, infatti, noi possiamo intravvedere nell’Eucarestia il volto leggiadro di Gesù Bambino nella sua culla e nella sua infanzia, o il volto trasfigurato di Gesù nel Tabor, o il volto pensoso di Gesù adulto nella vita pubblica, o il volto radioso di Gesù Risorto. Ebbene, pur non escludendo nessuno di questi volti, e anzi includendoli tutti, dobbiamo affermare, però, che l’Eucarestia ci presenta soprattutto,  e specificatamente, il volto Redentore di Gesù. Con questo si vuol dire che, in trasparenza trascendente, il volto divino di Gesù nell’Eucarestia è particolarmente, e più precisamente, il Volto Redentore.


    Noi sappiamo bene, infatti, che l’Eucarestia è il Sacramento del Mistero pasquale, è il «memoriale» della Passione e Morte di Cristo, è il «Sacramentum Passionis Christi», come insegna espressamente l’Aquinate6: in esso «recolitur memoria passionis  Eius», con il riscontro anche visibile, su ogni altare, dell’Ostia e del Sangue, che richiamano la realtà concreta sia della Vittima, sia della mistica mactatio sacrificale posta al cuore di ogni Santa Messa, come insegna la Teologia dommatica dei grandi maestri della Fede.


    L’Eucarestia, in effetti, è inscindibilmente Sacrificio e Sacramento: è il Sacrificio di Gesù che si immola sull’altare rinnovando misticamente la mactatio del Calvario; è il Sacramento del Corpo e Sangue di Gesù immolato che resta presente realmente, vivo e vero, in ogni Tabernacolo eucaristico. In quello e in questo, quindi, ossia nel Sacrificio e nel Sacramento, Gesù è realmente presente e operante primariamente come Redentore. Per questo il Volto eucaristico di Gesù non può non essere, trasparentemente, se non il Volto Redentore.


     


    _________


    1. Riguardo all’aspetto teologico, si veda il magistrale trattato, il più vasto e approfondito, di A. PIOLANTI, Il Mistero Eucaristico, Roma 1983, 680pp.
    2. Concilium Tridentinum, Sessio XIII, cap. 1, can. 1; DS 1636, 1651.

    3. R. SPIAZZI, Il Mistero Eucaristico nella comunità cristiana, Napoli 1968, p. 58.
    4. G. ALBERIONE, Sacerdote, ecco la tua meditazione, Roma 1975, p.112.
    5. R. SPIAZZI, op. cit., p. 72
    6. San TOMMASO, Summa Theologica, III, q. 73, a. 3, ad 3; vedi pure q. 83, a 1.

    FONTE: P. STEFANO M.MANELLI, FI, Eucarestia, trasparenza del volto redentore di Gesù, Frigento 2011, pg. 4-7.Casa Mariana Editrice © 2011





    DALL'ALTARE MAGGIORE ALLA «TAVOLA DA PRANZO», COSÌ SI È PERSO IL SACRIFICIO DELLA MESSA

     
    "gli specialisti sanno molto bene che esaltare "l’altare rivolto al popolo" non significa richiamarsi ad una pratica della Chiesa delle origini" (mons. K. Gamber)
    Perché, come si sostiene, il carattere sacrificale della Messa sarebbe meno chiaramente espresso quando il prete è girato verso il popolo?
    La domanda può essere ribaltata: dal momento che gli specialisti sanno molto bene che esaltare "l’altare rivolto al popolo" non significa richiamarsi ad una pratica della Chiesa delle origini, perché non ne traggono le inevitabili conseguenze? Perché non sopprimono i "tavoli da pranzo" eretti con una sorprendente coralità nel mondo intero?
     
    Molto probabilmente perché questa nuova posizione dell’altare corrisponde, meglio dell’antica, alla nuova concezione della Messa e dell’Eucaristia.
    È molto chiaro che oggigiorno si vorrebbe evitare di dare l’impressione che la "tavola santa" (come viene chiamato l’altare in Oriente) sia un altare per il sacrificio. Senza dubbio è la stessa ragione per la quale, quasi dappertutto, si pone sull’altare un mazzo di fiori (uno solo), come sulla tavola da pranzo di una famiglia in un giorno di festa, insieme a due o tre ceri: questi quasi sempre a sinistra, il vaso dal lato opposto.
     
    L’assenza di simmetria è voluta: non bisogna creare dei punti di riferimento centrali, come quando si mettevano i candelieri alla destra ed alla sinistra della croce che stava in mezzo; qui si tratta solo di una tavola da pranzo.
     
    Non ci si mette dietro l’altare del sacrificio, ci si mette davanti; già il sacrificatore pagano faceva cosí, il suo sguardo era diretto verso la raffigurazione della divinità a cui si offriva il sacrificio; anche nel Tempio di Gerusalemme si faceva così: il sacerdote incaricato di offrire la vittima stava davanti alla "tavola del Signore", come si chiamava il grande altare dell’olocausto nel cuore del Tempio (cfr. Malachia 1, 12), e questa "tavola del Signore" era collocata di fronte al tempio interno ov’era custodita l’Arca dell’Alleanza, il Santo dei Santi, il luogo in cui dimorava l’Altissimo (cfr. Salmi 16, 15).
     
    Un pranzo si consuma con il padre di famiglia che presiede, in seno alla cerchia famigliare; mentre invece, in tutte le religioni, esiste una apposita liturgia per il compimento del sacrificio, liturgia che prevede che il sacrificio si compia all’interno o davanti ad un santuario (che può essere anche un albero sacro): il liturgo è separato dalla folla, sta davanti ai presenti, di fronte all’altare, rivolto alla divinità. In tutti i tempi, gli uomini che hanno offerto un sacrificio si sono sempre rivolti verso colui al quale il sacrificio era diretto e non verso i partecipanti alla cerimonia.
     
    Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origene si fa interprete della concezione della Chiesa delle origini: "Colui che si pone dinanzi all’altare dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete consiste nell’intercedere per i peccati del popolo". Ai giorni nostri, in cui il senso del peccato sparisce sempre piú, la concezione espressa da Origéne sembra essersi largamente perduta.
     
    Lutero, lo si sa, ha negato il carattere sacrificale della Messa: egli non vi vedeva altro che la proclamazione della parola di Dio, seguita da una celebrazione della Cena; da qui la sua preoccupazione di vedere il liturgo rivolto verso l’assemblea.
     
    Certi teologi cattolici moderni non negano direttamente il carattere sacrificale della Messa, ma preferirebbero che questo passasse in secondo piano al fine di poter meglio sottolineare il carattere di pasto della celebrazione; questo, il piú delle volte, a causa di considerazioni ecumeniche a favore dei protestanti, dimenticando però che per le Chiese orientali ortodosse il carattere sacrificale della divina liturgia è un fatto indiscutibile.
     
    Solo l’eliminazione della tavola da pranzo e il ritorno alla celebrazione all’"altar maggiore" potranno condurre ad un cambiamento nella concezione della Messa e dell’Eucaristia, e cioè alla messa intesa come atto d’adorazione e di venerazione di Dio, come atto d’azione di grazia per i suoi benefici, per la nostra salvezza e la nostra vocazione al regno celeste, e come rappresentazione mistica del sacrificio della croce del Signore.
     
    Questo, tuttavia, non esclude, come abbiamo visto, che la liturgia della Parola sia celebrata non all’altare, ma dal seggio o dall’ambone, com’era un tempo durante la Messa episcopale. Ma le preghiere devono essere tutte recitate in direzione dell’Oriente, e cioè in direzione dell’immagine di Cristo nell’àbside e della croce sull’altare.
     
    Visto che durante il nostro pellegrinaggio terreno non ci è possibile contemplare tutta la grandezza del mistero celebrato, e ancor meno lo stesso Cristo, né l’"assemblea celeste", non basta parlare ininterrottamente di ciò che il sacrificio della messa ha di sublime, bisogna invece fare di tutto per mettere in evidenza, agli occhi degli uomini, la grandezza di questo sacrificio, per mezzo della stessa celebrazione e della sistemazione artistica della casa del Signore, in particolar modo dell’altare.
     
    Allo svolgimento della liturgia e alle immagini, si può applicare ciò che dice dei "veli sacri" lo Pseudo Dionigi l’Areopagita, nella sua opera Sui nomi divini (1, 4): questi veli "che [ancora adesso] nascondono lo spirituale nell’universo sensibile, e il sovraterreno nel terreno, che conferiscono forma e immagine a ciò che non ha né forma né immagine… Ma il giorno verrà che, essendo divenuti incorruttibili e immortali e avendo raggiunto la pace beata accanto a Cristo, saremo, come dice la Scrittura, presso il Signore (cfr. I Tessalonicesi 4, 17) tutti pieni di contemplazione per la sua apparizione visibile".
     






    [Modificato da Caterina63 20/03/2016 00:06]
    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/03/2016 23:47
    Ite Missa est dalla Messa alla missione

    Quante volte, purtroppo, siamo così abituati ai riti ed alle parole tanto da perdere il senso di ciò che diciamo e di ciò che facciamo? In questo breve video vogliamo aiutarci a comprendere che il saluto, il congedo alla fine della Messa non è un arrivederci e grazie, ma un vero e proprio mandato, dalla Messa alla missione, con un continuo rendimento di grazie per il dono ricevuto della Parola e dell'Eucaristia.

    Ite Missa est: www.youtube.com/watch?v=wB5KwlLFPsU

    Vi ricordiamo gli altri brevi approfondimenti per imparare meglio a vivere la Messa con profitto:

    Atto penitenziale: www.youtube.com/watch?v=nQpCaUfvjjg
    Liturgia Parola di Dio: www.youtube.com/watch?v=E6OjTBv-Qvs
    La Preghiera dei Fedeli nella Messa: www.youtube.com/watch?v=Ba_Fk1IPohc
    Scambio di pace: www.youtube.com/watch?v=eSxxUniKbAI


    Movimento Domenicano del Rosario


    Atto penitenziale



    Parola di Dio nella liturgia della Messa



    La preghiera dei fedeli



    scambio di pace



    Ite Missa est



    [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


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    00 02/06/2016 12:22
    ALLELUIA!!!!!! sono anni che lo si dice, sono anni che Ratzinger-Benedetto XVI l'ha detto e c'ha provato, ma sono anche anni che nessuno lo ha ascoltato e lo ascolta...... Cardinale Sarah: è arrivato il momento di fare DOCUMENTI SERI CON IMPRIMATUR per portare le chiese locali e le parrocchie AD OBBEDIRE.... le parole dette così, nel vento, nel vento restano e non servono a nulla

    Card. Sarah: Dopo l'offertorio la Messa deve essere celebrata "ad orientem". E' questo ciò che veramente volevano i Padri Conciliari"

     
     

    Il Card. Sarah incoraggia la "messa ad orientem"
    di Marie Malzac avec Famille Chrétienne, da La Croix del 27.05.2016
     
    In occasione di un'intervista con Famiglia Cristiana, il cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, è tornato sulla questione della nuova traduzione del Messale Romano, ma ha anche molto insistito sulla necessità, secondo lui, di riscoprire la Messa "tutti rivolti nella stessa direzione: verso il Signore che viene", con il sacerdote "con le spalle al popolo".
    " 'Con-vertirsi' è di 'rivolgersi a Dio'. Sono profondamente convinto che i nostri corpi devono essere coinvolti in questa con-versione", ha detto il Cardinale. "Non si tratta, come a volte si dice, di celebrare con le spalle ai fedeli o meno: Il problema non è lì. Si tratta di essere tutti rivolti verso l'abside, che simboleggia l'Oriente, dove troneggia la Croce del Signore risorto"
    Questo modo di celebrare, ha detto il cardinale Sarah, "è legittimo e conforme alla lettera e allo spirito del Concilio". "Come capo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, voglio ricordare che la celebrazione versus orientem è autorizzato dalle rubriche, che specificano i tempi in cui il celebrante deve voltarsi verso i fedeli"

    Il cardinale Sarah cita anche un articolo pubblicato da L'Osservatore Romano, nel mese di giugno 2015, in cui ha proposto "che i sacerdoti e i fedeli si voltino ad Orientem almeno 
    durante il rito della penitenza, durante il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica".
    "A più di cinquant'anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, è urgente leggere veramente i suoi testi! Il Concilio non ha mai chiesto di celebrare rivolti al popolo!" ribadisce nuovamente il cardinale. Secondo il capo del dicastero responsabile per la liturgia, si tratta semplicemente di un 'mezzo' che si trova dalla Chiesa per realizzare la partecipazione necessaria dei fedeli alla liturgia voluta dai Padri conciliari.Ma durante l'offertorio, è "essenziale" guardare "ad orientem" . 
    Tuttavia, "celebrare di fronte alle persone è diventata una possibilità, ma non un obbligo." "La liturgia della Parola può giustificare il faccia-a-faccia tra lettori e gli ascoltatori, il dialogo e la pastorale del sacerdote verso il suo gregge. Ma non appena si raggiunge il momento in cui ci si rivolge a Dio - dal dell'offertorio in poi - è essenziale che il sacerdote e fedeli guardino insieme verso Oriente ". "Questo si adatta perfettamente a ciò che volevano i Padri conciliari".

    In questa intervista, il cardinale Sarah chiede il ritorno al sacro e si rammarica del fatto che molte liturgie siano diventate "intrattenimento".
    "Spesso il sacerdote non celebra più l'amore di Cristo mediante il Suo sacrificio, ma un incontro tra amici, un pasto conviviale, un momento di fraternità. Nel cercare di inventare liturgie creative e di festa si corre il rischio di un culto troppo umano, per soddisfare i nostri desideri e le mode del momento", denuncia il cardinale "Se le stesse celebrazioni eucaristiche si trasformano in autocelebrazioni umane, il pericolo è immens: perché Dio sparisce."





    Non andare a Messa la Domenica è davvero così grave?

     

    Spesso si sente dire dai preti che non andare a Messa la domenica è peccato mortale. Ma come si può paragonare un peccato del genere con l’omicidio o l’adulterio o la truffa a danno dei poveri che sembrano cose assai più gravi del non andare alla Messa che può rientrare, a seconda dei casi, nel peccato di superficialità, di ignoranza o di dimenticanza e che in fondo non lede la fede né il comportamento morale del cristiano?

    Santa Messa

    Come lei ben sa, andare a Messa la domenica rientra nel Terzo Comandamento del Decalogo: «Ricordati di santificare le feste».

    Certamente uno può avere tanti motivi per non andare alla Messa domenicale, e forse tra questi possiamo mettere anche, come dice lei, la sbadataggine o la dimenticanza, ma è certo che un vero cristiano, cioè uno che crede le cose che ha insegnato Gesù Cristo, non si dimentica di Lui, del suo Sacrificio, della sua opera di Salvezza che vive e persiste integra ed efficace nel sacramento dell’Eucaristia che si celebra in ogni Santa Messa.

    Che la Chiesa abbia tratto un precetto formale dal divino Comandamento è stato necessario. Non si può amare Dio solo a parole o solo nel servizio e nell’esercizio della carità sociale, come si pensa oggi: bisogna amare anche Dio per Se stesso, perché è Dio e perché ci ha detto, nella sua Seconda Persona, cioè Gesù Cristo, che è presente nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

    Ora il modo più semplice, seguendo la tradizione biblica che santificava il sabato, di rendere un I culto minimo, ma almeno sufficiente a Dio è quello di santificare la domenica, cioè il giorno della Risurrezione del Signore, con la partecipazione alla Santa Messa.

    Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha sottolineato caldamente questo aspetto dell’appartenenza alla Fede cristiana nella Lettera Apostolica Dies Domini del 31 maggio 1998: «Sembra più che mai necessario ricuperare le motivazioni dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale, perché a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile della domenica nella vita cristiana.

    Così facendo, ci muoviamo sulle tracce della perenne tradizione della Chiesa, vigorosamente richiamata dal Concilio Vaticano II quando ha insegnato che, nel giorno della domenica, “i fedeli devono riunirsi in assemblea perché, ascoltando la parola di Dio e partecipando all’Eucaristia, facciano memoria della Passione, della Risurrezione e della Gloria del Signore Gesù e rendano grazie a Dio che li ha rigenerati per una speranza viva per mezzo della Risurrezione di Gesù Cristo dai morti (cf. 1Pt 1,3)” (Se 106)» (n. 6).

    Lei dice che non andare a Messa non lede la fede, né il comportamento morale del cristiano. Evidentemente lei ha perso il senso del valore profondo, mistico, spirituale, soprannaturale della Santa Messa.

    È proprio nella Santa Messa, e solo nella Santa Messa, a meno di un dono straordinario ed imprevisto dall’alto, che il cristiano rinnova e rafforza la sua fede e la sua virtù morale e se gli capita, per propria colpa, di non andarvi, perde una grazia specialissima ed unica di crescere nella fede e di perfezionarsi nella virtù. “Ogni lasciata è persa”, dice il vecchio proverbio.

    Dunque la Messa non è una semplice manifestazione comune, qui c’è traccia di antiche ideologie politiche che Si servivano di incontri o manifestazioni pubbliche per esprimere il loro credo storico-sociale, la Messa è mistero soprannaturale, divino, istituito da Cristo stesso per nostra redenzione e non c’è surrogato umano che , possa sostituirlo, né chimico, né biologico, né psicologico, né sociale.

    La Messa è un “unicum” al quale il cristiano dovrebbe tendere come il pesce all’acqua e ogni vivente all’ossigeno. Se uno vive la realtà della fede non potrebbe più vivere senza la Messa. Il languore e la tiepidezza dipendono, questo sì, dal peccato originale, attuale, abituale, ripetuto e alla fine incancrenito in concezioni totalmente erronee che mettono al primo posto i peccati contro l’uomo e al secondo i peccati contro Dio.

    Se è vero che è grave commettere l’omicidio, l’adulterio e l’oppressione dei poveri, tanto più è vero che è grave dimenticarsi di Dio che è il Bene, tutto il Bene, il sommo Bene e l’origine di ogni altro bene.

    Dal rinnovato amore a Dio si riusciranno a vivere anche gli altri Comandamenti che tutelano l’amore del prossimo. Viceversa se non si ama Dio, anche l’amore del prossimo subirà la stessa fine, cioè la dimenticanza e l’oblio.

     

    Redazione Papaboys (Fonte www.stellamatutina.eu)

      

    [Modificato da Caterina63 15/06/2016 23:08]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 28/02/2017 11:16
       MEMENTO HOMO... NON E' IL TEMPO DELLA TRISTEZZA

    _017-memento-homo-1

    Cari Amici, ci viene offerto un’altro Tempo di grazia, Tempo propizio quello della Quaresima, quello del “Memento Homo….”. Il Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris è una nota locuzione latina, che tradotta letteralmente significa: “Ricordati uomo, che sei polvere e polvere ritornerai“, che viene spesso presentata come “tetra”, come tristezza, come angoscia. Ma è davvero così?

    Senza dubbio vale il detto che “la verità fa male”, ma fa male quando, mettendoci davanti alla realtà dei fatti che rifiutiamo di “vedere”, la percepiamo come angoscia, come un ostacolo alla nostra GIOIA, alla serenità che pretendiamo di dover possedere senza che alcuno ci venga a “disturbare” con LA VERITA’ sul nostro stato.

    E quale è il nostro stato? Quello di persone fatte di carne ed ossa in deterioramento, perché contaminati e afflitti dal Peccato. Poi abbiamo in questo corpo l’Anima che non deteriora, ma sarà destina o all’Inferno o in Paradiso. E sia ben chiaro che quando qualcuno viene a dirci: “ma io non ci credo”, non è che la verità cambia.

    Forse pensiamo poco alla più grande umiliazione alla quale si sottopose Gesù Cristo per noi: la spoliazione divina per “indossare, incarnare” la nostra umanità che contaminata dal peccato era destinata alla morte. Chiunque nasce a questo mondo, deve passare per la morte (altra cosa accadde alla Vergine Maria, ma di questo ci occuperemo in altro ambito, ad ogni modo per Lei si parla di “Dormizione”, per i meriti di Gesù), non si scappa.

    _017-memento-homo-3Credenti o non credenti, è questo il nostro destino, ed è meglio apprendere questa Verità, a questo serve il Tempo della Quaresima. L’Amore di Dio per noi, il quale avrebbe potuto salvarci in tanti altri modi, nella Sua sconfinata Sapienza sapeva che questo era l’unico e vero modo per dirsi pienamente “Uomo, come noi”, fino alla morte, e per riscattarci da questa atroce ignominia generata NON da Dio quando fece la Creazione, ma “a causa dell’invidia del Demonio, la morte entrò con il Peccato Originale“.

    Ignominia, certamente, perché non era questo che Dio aveva preparato per l’Uomo. Le parole “quia pulvis es et in pulverem reverteris” compaiono nella versione latina della Bibbia (Genesi 3,19) allorché Dio, dopo il peccato originale, scaccia Adamo dal giardino dell’Eden condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte: “Con il sudore della fronte mangerai il pane finché non tornerai alla terraperché da essa sei stato tratto: polvere sei e polvere ritornerai!”.

    Scrive Sant’Alfonso M. de Liguori nel suo Apparecchio alla morte, per “ben morire”: “E quel gentiluomo conosciuto come persona divertente e anima della compagnia, ora dov’è? Se entrate nella sua stanza, ora non c’è più; se cercate il suo letto, è stato occupato da un altro, le sue vesti, le sue armi, altri se le sono già prese e divise; se volete vederlo affacciatevi a quella fossa, dove si è trasformato in sozzura, in ossa prive di carne e così sarà anche per te, e in quella stanza nella quale tu avrai esalato l’ultimo respiro e sarai stato giudicato da Gesù Cristo, si ballerà, si mangerà, si giocherà e si riderà come prima, e l’anima tua allora, dove sarà?

    Senza dubbio, chi vorrebbe sentirsi fare questi discorsi? Ricordate Pietro quando Gesù gli annuncia della sua passione e morte, come risponde? «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»… (Mt.16,21-23) Pietro non stava negando la realtà dei fatti, al contrario, proprio perché aveva ben compreso il dramma annunciato, RIFIUTA che ciò possa accadere a Colui che ha imparato ad amare. Come anche a dirgli: “Signore, non è possibile che TU DEBBA MORIRE, E’ IMPOSSIBILE…”, ma Gesù lo ammonisce: “questi pensieri non vengono da Dio, ma dal Demonio che gode nel vedere gli uomini immersi e afflitti NELLA MENZOGNA.” Un vero Cristiano ragiona con la logica di Dio, la logica del Regno di Dio che non è di questo mondo, per comprenderlo dobbiamo fare lo sforzo di cambiare la prospettiva della vita: non più orizzontale, ma in verticale, verso il Cielo. Non è per nulla che oggi, nel Rito della imposizione delle Ceneri, il sacerdote ci ricorda anche un’altra formula, quella con le parole di Gesù, le prime pronunciate nella sua predicazione: “CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO” (Mc.1,15)

    _017-memento-homo-4Ricordiamo bene infatti che Gesù non ha detto di sé “io vi dico la verità” ma ha detto: IO SONO LA VERITA’, la via e la vita…” una bella differenza che cambia tutto e che trasforma ciò che è tristezza (dolore, sofferenza, morte) in un PASSAGGIO verso il quale andare, allora, CON SERENITA’. Non vi diciamo, ora e subito, con “gioia” perchè questa gioia la possiamo comprendere solo quando, nella Comunione dei Santi, con loro e come loro, avremo compreso perché San Francesco d’Assisi chiama la Morte “SORELLA”…. Sora nostra Morte corporale…”, attenzione “corporale”, mentre la morte dell’anima è la dannazione eterna, e questa non è “sorella”, ma il dramma di una destinazione eterna lontani dalla vera Gioia. Per questo Gesù non impone MA INVITA alla conversione, dicendoci che cosa è la Verità.

    E’ dunque la morte dell’Anima a doverci preoccupare e farci attivare per la conversione, non la morte corporaleEcco perché la Chiesa ha sempre fatto uso di immagini apparentemente tetre come teschi, scheletri, per ricordarci il Memento mori, il momento della morte, che Gesù ha sconfitto rendendola un “passaggio”. Diciamo “apparentemente” perché queste immagini sono la verità oggettiva della nostra sorte terrena, e il ricordarcelo, memento-ricordati, non può che essere salutare per noi, per staccare un poco dalle abitudini quotidiane, dalle vicende terrene e pensare davvero a NOI stessi e alla nostra vera destinazione, il Regno di Dio che non è di questo mondo.

    San Lorenzo Giustiniani afferma che ognuno, giunto all’arrivo, sarebbe disposto a sacrificare le ricchezze, gli onori, i piaceri in cambio di una sola misera ora, ma questa ora non gli sarà data. Il sacerdote assistendo al letto già sta dicendo “parti anima di cristiano da questo mondo” – profisiscere anima Christiana de hoc mundo – , mentre l’anima nostra sta per uscire dal corpo, come un uccello bianco lotta per liberarsi dal gabbio del corpo; ma noi non saremo in grado di indirizzarla dove vogliamo, volerà dove avrà meritato: in Paradiso, al Purgatorio (finché esisterà il mondo) o all’Inferno. E poi l’ingiusto si accorgerà che gli è preclusa la possibilità di compiere alcun bene: per questa ragione esclamerà, tra le lacrime: “come sono stato stolto! tempo perso! vita stessa persa! anni persi nei quali avrei potuto farmi santo, ma non l’ho fatto, ed ora non c’è più tempo di farlo“.

    “Ma a che serviranno questi lamenti e questi sospiri? – chiede sant’Alfonso – all’ora che sta per chiudersi la scena, la lampada è sul punto di spegnersi, e il morente si avvicina al momento decisivo dal quale dipende l’eternità. Conviene allora pensare e dire con amore: Gesù mio, Voi avete speso tutta la Vostra vita per salvare l’anima mia…. ora, aiutatemi!” Basti ricordare il Buon Ladrone del quale diceva Santa Teresina del Bambin Gesù, sorridendo: “è stato molto astuto scippando dal Cuore di Dio che stava per essere trafitto, l’indulgenza totale per la sua salvezza, a tal punto da guadagnarsi direttamente il Paradiso”. Ma questa astuzia, questa furbizia, vale solo fin quando saremo in vita, dopo la morte, ogni opportunità sarà conclusa, impossibile.

    Come dice il Siracide: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà...” (Sir.15,16-20), in tal senso la “morte” sta per “dannazione eterna” dal momento che – la morte naturale – non la scegliamo noi, ma possiamo scegliere se vivere l’eternità in Dio o se morire nell’eternità lontani da Dio, perché al di fuori di Dio c’è solo pianto, tristezza, dolore, morte, l’inferno eterno. Tanto per rendere l’idea vi offriamo di leggere, o scaricare, cliccare qui, la famosa Lettera dall’Inferno, con tanto di approvazione ecclesiastica.

    Ritorniamo così all’inizio: ma questo Tempo, non è troppo cupo, tetro, triste e… lugubre? Senza dubbio molto dipende da che cosa abbiamo capito fino a qui! Lugubre non è forse un’Anima che si danna per l’eternità all’inferno? Se avessimo la costanza di occuparci delle vite dei Santi, comprenderemo quanto, questo Tempo, sia invece di profonda ed autentica gioia! L’unico vero Dio si è incarnato, si è fatto come noi “per farci come Lui”, per salvarci, per renderci liberi ed eternamente felici: può esserci tristezza in tutto ciò?

    Certo è che se per “gioia” intendiamo la felicità “di questo mondo”, allora non abbiamo capito nulla di che cosa sia la vera felicità, la vera gioia… Certo è che da quando nella Chiesa è stato fatto entrare un Gesù Cristo “compagnone e piacione”, festaiolo, dialogante, da discoteca o da “figlio dei fiori”…. beh! è naturale che ostica sarà la comprensione autentica di questo Tempo e della vera gioia che infonde. Gesù non ci ha solo detto cosa fare, ma ci ha insegnato, sulla sua pelle, come fare. In questo Tempo, che fu prima della Passione e Morte, Gesù andò per quaranta giorni in ritiro, da qui nasce il Tempo della “Quaresima”, quaranta giorni prima della vittoria finale, ma prima della vittoria, prima della Risurrezione, c’è la Croce. E la gioia ci è data dal fatto che la Risurrezione sarà eterna, la Croce durerà solo per questo “Tempo” che viviamo sulla terra, come insegna Sant’Agostino.

    _017-memento-homo-2Cosa è allora questa gioia? LA SALVEZZA!

    Siamo stati SALVATI, guadagnati alla gioia eterna e Qualcuno ha pagato per noi un prezzo altissimo: Gesù Cristo, il Signore, sulla Croce, con la Sua vita per la nostra. Siamo nel Centenario di Fatima, la Vergine del Santo Rosario si presentò con il volto “triste”, racconta Suor Lucia, e con tristezza disse ai tre pastorelli: “Tante anime VANNO ALL’INFERNO perché non c’è chi si sacrifichi per loro”, ed ecco la richiesta di una Madre che viene a chiedere aiuto a noi, per salvare altre anime: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?“…

    C’è di che meditare per tutta la Quaresima ed oltre. La Vergine Santa si presenta “triste” nel denunciare la morte dei peccatori, ma poi ecco fiorire la speranza di trovare Anime pronte ad ascoltarla e ad accogliere il progetto di Amore di Dio, per salvare quante più Anime sarà possibile salvare, che tanto siamo costati a Gesù. Maria ha trovato queste tre Anime e tante, tante ancora, noi da che parte vogliamo stare? La vogliamo aiutare? Vogliamo amare davvero Gesù?

    Avviandoci su questo percorso senza dubbio accidentato, stretto, sassoso, doloroso (il nostro Calvario) sappiamo però di non essere soli a portare la croce…. al contrario, siamo nella Comunione dei Santi a cominciare da Maria Santissima, la nostra Regina! Se intraprendiamo il sentiero quaresimale con la Verità, allora scopriremo la gioia vera, scopriremo la vera letizia, comprenderemo la gioia e la felicità che i Santi ci hanno raccontato attraverso le loro storie, non condividendoci semplicemente dei racconti, ma per rendercene partecipi e per aiutarci a seguirli, a fare come loro, ognuno nel proprio stato e nel proprio ruolo che ricopre nel mondo e nella società.

    E’ certo che bisognerebbe approfondire che cosa è IL TEMPO… non è solo un aspetto scientifico e terreno, di certo non è vero che “ci appartiene”. Non ne abbiamo ora qui lo spazio, ma, in questa società in cui vantiamo solo “diritti”, faremo bene a pensarci. Il tempo non è roba nostra, ma ci è donato come tante altre cose e, di questo tempo, dovremo rendere conto di come lo avremo speso…

    Nel Tempo della Quaresima, vissuto fin dal primo secolo della Chiesa, San Giovanni Crisostomo esortava i Cristiani con queste parole: “Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà con la pratica della Preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose, colloca la Fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così Lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della Sua presenza“. (Omelia VI sulla Preghiera, PG64,466)

    Ricordiamoci allora che la Quaresima non è un Tempo “lugubre o triste”, al contrario, è l’inizio di un Tempo PROPIZIO, PROPIZIO per acquisire l’autentica felicità che solo una vera conversione a Cristo ci può dare.

    C’è un esercizio che possiamo cominciare a fare: prendete un vero Crocifisso, ma non di quelli stilizzati moderni che non dicono nulla, piuttosto uno VERO, sul quale è riprodotto l’Uomo DEI DOLORI di Isaia 53… e prendiamoci del tempo per meditarLo, adorarLo, teniamoGli compagnia, stacchiamo ogni contatto con il mondo materiale per dedicarci a quel mondo spirituale che è e sarà la nostra Patria eterna, del quale il Cristo è Re, Signore e Padrone. Qualcuno giustamente consiglia: spegniamo la TV e accendiamo il cervello….


    Da questo Crocefisso, San Padre Pio ricevette le stimmate

    Da questo Crocefisso, San Padre Pio ricevette le stimmate

    PREGHIERE

    Cominciamo allora a Pregare Gesù usando le parole di Sant’Alfonso:

    “Tutto quanto mi ricordo di aver fatto in peccato, mi dà rimorso di coscienza. Il male è stato molto, il bene compiuto troppo poco e troppo pieno di imperfezioni e di tiepidezze, di amor proprio e di distrazioni. Non permettete che io perda più questo tempo che Voi mi date per Vostra misericordia.

    Ricordatemi sempre, amato mio Salvatore, l’Amore che mi avete portato, e le pene che avete patito per me, fate che io mi scordi di tutto affinchè, in questa parte di vita che mi resta, io non pensi ad altro che amarVi e compiacerVi, datemi la santa perseveranza, affido tutto ai meriti del Vostro Sangue e confido nella Vostra intercessione o Maria, cara Madre mia! Amen”.

    O se preferite l’altra stupenda Preghiera a Gesù Crocefisso:

    Eccomi o mio amato e buon Gesù: alla Santissima tua presenza, prostrato, Ti prego col fervore più vivo a stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offenderti mentre io con tutto l’amore e con tutta la compassione vado considerando le tue cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di te, o buon Gesù, il santo profeta Davide: “Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa!”.

    lo ti adoro, o Croce Santa, che con le venerabili membra di Nostro Signor Gesù Cristo, fosti adorna ed aspersa del Suo preziosissimo Sangue. Adoro te, mio Dio, posto in essa e te, o Croce Santa per amor Suo. Amen.

    Meditiamo sulle cinque piaghe che Gesù patì per noi:

    In unione con il Cuore immacolato di Maria saluto ed adoro la S. Piaga della tua mano destra, o Gesù, e metto in questa Piaga tutti i sacerdoti della tua S. Chiesa. Da’ loro, ogni volta che celebrano il S. Sacrificio, il Fuoco del tuo Amore divino, affinché possano comunicarlo alle anime che sono loro affidate. Amen. Gloria al Padre …

    lo saluto ed adoro la S. Piaga della tua mano sinistra, ed in essa metto tutti coloro che sono nell’errore e tutti i miscredenti, queste povere anime che non ti conoscono. Per amor di queste anime manda Gesù, molti operai nella tua vigna, affinché esse trovino il cammino verso il tuo SS. Cuore. Amen. Gloria al Padre …

    lo saluto ed adoro le S. Piaghe dei tuoi piedi sacri, e vi metto tutti i peccatori incalliti che preferiscono vivere per il mondo; ti raccomando soprattutto coloro che moriranno oggi. Non permettere, Gesù, che il tuo Preziosissimo Sangue vada perduto per loro. Amen. Gloria al Padre …

    lo saluto ed adoro le S. Piaghe della tua sacra testa, e metto in queste tue SS. Piaghe i nemici della S. Chiesa, tutti coloro che oggi ancora ti battono a sangue e ti perseguitano nel Tuo Corpo mistico. Ti prego, Gesù, convertili, chiamali come hai chiamato Saulo per farne un San Paolo, affinché ci sia presto un solo ovile ed un solo Pastore. Amen. Gloria al Padre …

    lo saluto ed adoro la S. Piaga del tuo SS. Cuore, ed in essa metto, Gesù, la mia anima e tutti coloro per cui tu vuoi che io preghi, soprattutto coloro che soffrono e sono afflitti, tutti coloro che sono perseguitati ed abbandonati. Da’ loro, o SS. Cuore di Gesù, la tua luce e la tua grazia. Riempili tutti del tuo Amore e della tua vera Pace. Amen. Gloria al Padre …

    Padre celeste, io Ti offro, per mezzo del Cuore immacolato di Maria, nell’unione con lo Spirito Santo, il Tuo Figlio dilettissimo, e me con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, con tutte le intenzioni del Suo Sacratissimo Cuore trafitto e in nome di tutte le creature sofferenti. Amen.

    Laudetur Jesus Christus e Santa Quaresima a tutti

    altri link utili:

    – Stazioni della Quaresima, cosa sono e come farle;

    – La Velatio delle immagini in Quaresima;

    – La Via Crucis con Benedetto XVI;

    – La Messa glorifica Dio….

    – Ho peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni;

    – Mio Dio, che non si bestemmi il Tuo Nome per causa mia;

    – Anima devota, per la Settimana Santa;

    – Galateo in Chiesa, per Amore alla Divina Presenza;

    – Il Santo Rosario, in latino e in italiano

    – Allontanatevi da me voi tutti, operatori di iniquità…

             


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 24/08/2017 20:58

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI ALLA 68.ma SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE

    Aula Paolo VI
    Giovedì, 24 agosto 2017

    [Multimedia]


     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

    Do il benvenuto a tutti voi e ringrazio il Presidente, Sua Eccellenza Mons. Claudio Maniago, per le parole con cui ha presentato questa Settimana Liturgica Nazionale, a 70 anni dalla nascita del Centro di Azione Liturgica.

    Questo arco di tempo è un periodo in cui, nella storia della Chiesa e, in particolare, nella storia della liturgia, sono accaduti eventi sostanziali e non superficiali. Come non si potrà dimenticare il Concilio Vaticano II, così sarà ricordata la riforma liturgica che ne è sgorgata.

    Sono due eventi direttamente legati, il Concilio e la riforma, non fioriti improvvisamente ma a lungo preparati. Lo testimonia quello che fu chiamato movimento liturgico, e le risposte date dai Sommi Pontefici ai disagi percepiti nella preghiera ecclesiale; quando si avverte un bisogno, anche se non è immediata la soluzione, c’è la necessità di mettersi in moto.

    Penso a san Pio X che dispose un riordino della musica sacra[1] e il ripristino celebrativo della domenica,[2] ed istituì una commissione per la riforma generale della liturgia, consapevole che ciò avrebbe comportato «un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò – come egli stesso riconosceva – è necessario che passino molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico [...] riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come ripulito dallo squallore dell’invecchiamento».[3]

    Il progetto riformatore fu ripreso da Pio XII con l’Enciclica Mediator Dei[4] e l’istituzione di una commissione di studio;[5] anch’egli prese decisioni concrete circa la versione del Salterio,[6] l’attenuazione del digiuno eucaristico, l’uso della lingua viva nel Rituale, l’importante riforma della Veglia Pasquale e della Settimana Santa.[7] Da questo impulso, sull’esempio di altre Nazioni, sorse in Italia il Centro di Azione Liturgica, guidato da Vescovi solleciti del popolo loro affidato e animato da studiosi che amavano la Chiesa oltre che la pastorale liturgica.

    Il Concilio Vaticano II fece poi maturare, come buon frutto dall’albero della Chiesa, la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (SC), le cui linee di riforma generale rispondevano a bisogni reali e alla concreta speranza di un rinnovamento: si desiderava una liturgia viva per una Chiesa tutta vivificata dai misteri celebrati. Si trattava di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera, avendo premura «affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, attivamente» (SC, 48). Lo ricordava il Beato Paolo VI nello spiegare i primi passi della riforma annunciata: «E’ bene che si avverta come sia proprio l’autorità della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale […]; e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola di preghiera, che sta per cominciare».[8]

    La direzione tracciata dal Concilio trovò forma, secondo il principio del rispetto della sana tradizione e del legittimo progresso (cfr SC, 23), [9] nei libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI, ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio, e ormai da quasi 50 anni universalmente in uso nel Rito Romano. L’applicazione pratica, guidata dalle Conferenze Episcopali per i rispettivi Paesi, è ancora in atto, poiché non basta riformare i libri liturgici per rinnovare la mentalità. I libri riformati a norma dei decreti del Vaticano II hanno innestato un processo che richiede tempo, ricezione fedele, obbedienza pratica, sapiente attuazione celebrativa da parte, prima, dei ministri ordinati, ma anche degli altri ministri, dei cantori e di tutti coloro che partecipano alla liturgia. In verità, lo sappiamo, l’educazione liturgica di Pastori e fedeli è una sfida da affrontare sempre di nuovo. Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva ai Cardinali riuniti in Concistoro: «E’ venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio».[10]

    E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile.

    Il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani, sulla cui responsabilità e autorità conto molto nel momento presente; sono coinvolti anche gli organismi nazionali e diocesani di pastorale liturgica, gli Istituti di formazione e i Seminari. In questo ambito formativo si è distinto, in Italia, il Centro di Azione Liturgica con le sue iniziative, tra cui l’annuale Settimana Liturgica.

    Dopo aver ripercorso con la memoria questo cammino, vorrei adesso toccare alcuni aspetti alla luce del tema su cui avete riflettuto in questi giorni, cioè: “Una Liturgia viva per una Chiesa viva”.

    - La liturgia è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio pasquale I). Senza la presenza reale del mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità liturgica. Come senza battito cardiaco non c’è vita umana, così senza il cuore pulsante di Cristo non esiste azione liturgica. Ciò che definisce la liturgia è infatti l’attuazione, nei santi segni, del sacerdozio di Gesù Cristo, ossia l’offerta della sua vita fino a stendere le braccia sulla croce, sacerdozio reso presente in modo costante attraverso i riti e le preghiere, massimamente nel suo Corpo e Sangue, ma anche nella persona del sacerdote, nella proclamazione della Parola di Dio, nell’assemblea radunata in preghiera nel suo nome (cfr SC, 7). Tra i segni visibili dell’invisibile Mistero vi è l’altare, segno di Cristo pietra viva, scartata dagli uomini ma divenuta pietra d’angolo dell’edificio spirituale in cui viene offerto al Dio vivente il culto in spirito e verità (cfr 1 Pt 2,4; Ef 2,20). Perciò l’altare, centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione,[11] viene dedicato, unto con il crisma, incensato, baciato, venerato: verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso;[12] sopra l’altare viene posta l’offerta della Chiesa che lo Spirito consacra sacramento del sacrificio di Cristo; dall’altare ci sono elargiti il pane della vita e il calice della salvezza «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera eucaristica III).

    - La liturgia è vita per l’intero popolo della Chiesa.[13] Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo – come insegna l’etimologia – un’azione per il popolo, ma anche del popolo. Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio stesso compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo, accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che fluisce dai santi segni. La Chiesa in preghiera raccoglie tutti coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo, senza scartare nessuno: sono convocati piccoli e grandi, ricchi e poveri, fanciulli e anziani, sani e malati, giusti e peccatori. Ad immagine della “moltitudine immensa” che celebra la liturgia nel santuario del cielo (cfr Ap 7,9), l’assemblea liturgica supera, in Cristo, ogni confine di età, razza, lingua e nazione. La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: «L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio».[14] Non dobbiamo dimenticare, dunque, che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare, da valorizzare e incoraggiare in armonia con la liturgia.[15]

    - La liturgia è vita e non un’idea da capire. Porta infatti a vivere un’esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi, e non ad arricchire il proprio bagaglio di idee su Dio. Il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».[16] Le riflessioni spirituali sono una cosa diversa dalla liturgia, la quale «è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero».[17] C’è una bella differenza tra dire che esiste Dio e sentire che Dio ci ama, così come siamo, adesso e qui. Nella preghiera liturgica sperimentiamo la comunione significata non da un pensiero astratto ma da un’azione che ha per agenti Dio e noi, Cristo e la Chiesa.[18] I riti e le preghiere (cfr SC, 48), per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano pertanto una scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù. Ciò è in linea con la catechesi mistagogica praticata dai Padri, ripresa anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta della liturgia, dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti alla luce dei testi e dei riti degli odierni libri liturgici.

    La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile. Perciò, celebrando i santi misteri ricorda Maria, la Vergine del Magnificat, contemplando in lei «come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere» (SC, 103).

    Infine, non possiamo dimenticare che la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano, che, pur essendo il più esteso, non è il solo. L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con Cristo e in Cristo, a gloria del Padre e per la salvezza del mondo.

    Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio i responsabili del Centro di Azione Liturgica a proseguire tenendo fede all’ispirazione originale, quella di servire la preghiera del popolo santo di Dio. Infatti, il Centro di Azione Liturgica si è sempre distinto per la cura prestata alla pastorale liturgica, nella fedeltà alle indicazioni della Sede Apostolica come dei Vescovi e godendo del loro supporto. La lunga esperienza delle Settimane Liturgiche, tenutesi in numerose diocesi d’Italia, insieme alla rivista “Liturgia”, ha aiutato a calare il rinnovamento liturgico nella vita delle parrocchie, dei seminari e delle comunità religiose. La fatica non è mancata, ma neppure la gioia! E’ ancora questo l’impegno che vi chiedo oggi: aiutare i ministri ordinati, come gli altri ministri, i cantori, gli artisti, i musicisti, a cooperare affinché la liturgia sia “fonte e culmine della vitalità della Chiesa” (cfr SC, 10). Vi chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica


    [1] Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903: ASS 36 (1904), 329-339.

    [2] Cfr Cost. ap. Divino afflatu, 1 novembre 1911: AAS 3 (1911), 633-638.

    [3] Motu proprio Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913) 449-450.

    [4] 20 novembre 1947AAS 39 (1947) 521-600.

    [5] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica, 71, “Memoria sulla riforma liturgica” (1946).

    [6] Cfr Pii XII, Motu proprio In cotidianis precibus, 24 marzo 1945: AAS 37 (1945) 65-67.

    [7] Cfr Sacrae Congr. Rituum, Decretum Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio 1951: AAS 43 (1951) 128-129; Id., Decretum Maxima Redemptionis, 16 novembre 1955: AAS 47 (1955) 838-841.

    [8] Udienza generale del 13 gennaio 1965.

    [9] «La riforma dei riti e dei libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della costituzione Sacrosanctum Concilium e fu attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr Sacrosanctum Concilium, 25). Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr ibid., 23); perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale “ad normam Sanctorum Patrum” (cfr ibid., 50; Institutio generalis Missalis Romani, Prooemium, 6)» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4).

    [10] «Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa. Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo - pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli - abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio» (Alloc. Gratias ex animo, 27 giugno 1977: Insegnamenti di Paolo VI, XV [1977], 655-656, in italiano 662-663).

    [11] Cfr Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299Rito della dedicazione di un altare, Premesse, nn. 155, 159

    [12] «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio).

    [13] «Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell’unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (SC, 23).

    [14] Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8.

    [15] Cfr SC, 13; Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 122-126AAS 105 (2013), 1071-1073.

    [16] Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima, Parrocchia romana di Ognissanti, 7 marzo 2015.

    [17] Omelia nella Messa a S. Marta, 10 febbraio 2014.

    [18] «Ecco perché ci fa tanto bene il memoriale eucaristico: non è una memoria astratta, fredda, nozionistica, ma la memoria vivente e consolante dell’amore di Dio. […] Nell’Eucaristia c’è tutto il gusto delle parole e dei gesti di Gesù, il sapore della sua Pasqua, la fragranza del suo Spirito. Ricevendola, si imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati da Lui» (Omelia nella solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, 18 giugno 2017: L’Osservatore Romano, 19-20 giugno 2017, pag. 8).


    ecco l'ottima analisi del domenicano Padre Riccardo Barile

    RIFLESSIONI SULL'INTERVENTO DEL PONTEFICE
     

    In un importante discorso ai partecipanti alla Settimana liturgica nazionale, il Papa ha affermato che "la riforma liturgica è irreversibile". C'è chi si è spaventato vedendovi una legittimazione degli abusi. Timori senza fondamento ma nel cammino della riforma c’è anche il motu proprio Summorum Pontificum: anch'esso partecipa della “irreversibilità” dato che ha creato una nuova situazione liturgica attualmente operante che non può essere taciuta. Perché il Papa non ne ha accennato nel suo discorso? 

    di fr. Riccardo Barile OP

    Il 24 agosto scorso nell’Aula Paolo VI Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla 68.ma Settimana Liturgica Nazionale organizzata dal CAL (Centro di Azione Liturgica). Alcune espressioni hanno suscitato perplessità, disagi, forse anche paure. E ovazioni. È necessaria una analisi più approfondita per evitare reazioni emozionali.

    IL DISCORSO COME TALE

    È un discorso/saluto molto classico e documentato, senza frasi a braccio e con molte citazioni pertinenti. Quasi tutte le questioni formali hanno spazio equilibrato: si parla della liturgia ma anche del suo prolungamento nei «pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare»; si parla di liturgia popolare ed esperienziale, ma anche della «disciplina che la regola»; si è nell’orizzonte della liturgia romana ma senza dimenticare che «la ricchezza della Chiesa in preghiera in quanto “cattolica” va oltre il Rito Romano».

    È un discorso relativo al CAL, che compie 70 anni di fondazione (ottobre 1947) e così si spiega l’esposizione del cammino della riforma liturgica a cominciare da san Pio X. Ed è un discorso relativo al programma della Settimana “Una liturgia viva per una Chiesa viva”, formula commentata con ampiezza: la liturgia «è “viva” in ragione della presenza viva di Colui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita»; la liturgia «è vita per l’intero popolo della Chiesa», raccoglie tutti ed esprime «la pietas di tutto il popolo di Dio»; la liturgia «è vita e non un’idea da capire», è una «esperienza iniziatica, ossia trasformativa del modo di pensare e di comportarsi» e di conseguenza «esce incontro al prossimo».

    QUALCHE ANALISI E QUALCHE PRECISAZIONE

    1. Il Magistero. L’excursus storico sul cammino della riforma si conclude così: «Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile». La frase ha spaventato qualcuno, quasi sanzionasse l’esistente come tale e non permettesse revisioni. Ciò che la frase vuol dire è che non è pensabile un radicale cammino all’indietro e che nell’insieme questa è stata la strada giusta della Chiesa. Tra parentesi, nel cammino della riforma, non citato, c’è anche il motu proprio Summorum Pontificum e ci si domanda se non partecipa anch’esso della “irreversibilità”... La frase comunque non ha solennità definitoria e soprattutto è impossibile che blocchi future riforme. Tra l’altro, se è possibile intervenire dogmaticamente su alcuni particolari (ad esempio la non ordinazione delle donne o il pane e il vino come materia esclusiva per l’Eucaristia), non è possibile “fissare” uno spirito liturgico, che si evolve con i tempi, con le persone e sotto l’influsso dello Spirito Santo.

    2. La centralità dell’altare. L’insieme delle espressioni non pregiudicano il volgersi ad oriente (un oriente teologico, cioè l’abside). È un discorso ideale che non tocca determinazioni locali: l’importante è che l’altare sia al centro dell’attenzione e rituale e partecipativa: localmente può essere nel centro della chiesa, in presbiterio rivolto al popolo, in presbiterio rivolto all’abside. Il discorso non contiene determinazioni locali.

    3. Il clericalismo. «Per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale». Il clericalismo può essere un pericolo vero - oggi lo è veramente? e se sì, non lo è forse più da sinistra che da destra? -, ma risulta dannoso fermarsi qui e non esplicitare in positivo il ruolo del sacerdote che è icona di Cristo capo dell’assemblea: in liturgia non c’è democrazia... il prete non deve solo avere l’odore delle pecore ma essere modello del gregge...

    4. L’accoglienza di tutti. La liturgia accoglie tutti «senza scartare nessuno... è inclusiva e non esclusiva», evita di «omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo». Il discorso è correttissimo in quanto si precisa che i “tutti” sono «coloro che hanno il cuore in ascolto del Vangelo». Tuttavia, proprio perché oggi si pongono problemi di accoglienza eucaristica, sarebbe stato auspicabile ampliare il discorso sul fatto che non tutte le situazioni di vita sono compatibili con il Vangelo. Non solo: se la liturgia non omologa, sarebbe stato desiderabile dichiarare che la comunità cristiana accoglie anche quanti hanno una sensibilità più tradizionale liturgica, non relegandoli nella categoria dei nostalgici e degli immaturi...

    I SILENZI

    1. Un mancato sviluppo: il valore della normativa liturgica (le rubriche). Abbiamo già posto in evidenza un cenno alla “disciplina”. Si afferma che «il compito di promuovere e custodire la liturgia è affidato dal diritto alla Sede Apostolica e ai Vescovi diocesani». Per contro la indisciplina e i “fermenti disgregatori” sono relegati in nota 10 a una accorata “lamentazione” dell’ultimo Paolo VI. Non si sottolinea invece che è un problema attuale che defigura la riforma: gli abusi e il non intervento episcopale sugli abusi. E ciò capita perché è sparita - non è più promossa? - la convinzione che la normativa, tramite la Chiesa, garantisce il “senso di Cristo” delle parole e dei gesti. E se è vero che la liturgia - come ribadito nel discorso - insegna e fa entrare dentro al mistero di Cristo attraverso le parole e i gesti o riti, cambiare questi e quelle significa, poco o tanto, cambiare Gesù Cristo e la Chiesa. D’altra parte Papa Francesco al suo primo giovedì santo infranse la normativa (entusiasmi degli inizi poi rientrati modificando la normativa); d’altra parte tra i relatori alla settimana e dunque tra i presenti all’udienza c’era qualcuno che non ha mai conosciuto la fila allo sportello per farsi approvare la “propria” liturgia...

    2. Un silenzio totale: il motu proprio Summorum Pontificum e sul suo autore Benedetto XVI. Non se ne accenna mai. Eppure anche questa è normativa vigente e cammino della riforma. Anzi, il motu proprio ha creato una nuova situazione liturgica attualmente operante e influente che non può essere taciuta e che non si limita ai gruppi che celebrano con il Messale del 1962 e altri libri liturgici analoghi.

    Il motu proprio ha infatti messo in moto un movimento di riflessione e di prassi, che non può essere ignorato, anche se, pro bono pacis, è meglio non parlare di riforma della riforma. Di che cosa si tratta? Solo qualche esempio.

    Si tratta di accentuare il rispetto della normativa.

    Si tratta di accentuare il fatto che la liturgia è una terra santa che comporta un senso del sacro cristiano, che è primariamente rivolta alla lode e all’adorazione di Dio e a ricevere la salvezza della Redenzione del Signore Gesù; la comunità e l’accoglienza certo devono esserci, ma si creano appunto a partire da queste basi.

    Si tratta non di rivedere la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, ma certi presupposti mentali della riforma, ad esempio l’antichismo: riportare tutto agli inizi, all’antico, senza rispettare le giuste evoluzioni di crescita; l’essenzialismo: mantenere solo essenziale, con operazioni depauperanti e impossibili (cf certe architetture squallide) perché non si riuscirà mai a far vivere le essenze pure, operazioni che sono la morte della liturgia; oppure il ruolo della Parola di Dio sulla quale, scrive un libro liturgico (OLM 3), poggia fondamentalmente la liturgia: no, la liturgia poggia fondamentalmente su Gesù Cristo presente e operante in modo sacramentale, che parla attraverso le letture proclamate, ma che fa anche altre cose ecc.

    Si tratta di ripensare certe realizzazioni della riforma e soprattutto lo spirito con il quale è stata attuata: ad esempio la riduzione quasi totale della lingua latina e del canto gregoriano, oppure l’altare verso il popolo come condizione sine qua non per celebrare bene.

    Per tutto questo non ci vogliono tanto modifiche delle leggi, ma modifiche di spirito e di mentalità per celebrare in modo più rispettoso e più in armonia con la tradizione precedente.

    Il silenzio totale su questa nuova sensibilità non può essere dimenticanza. Che cosa significa? 

    ANDARE OLTRE CON SPERANZA

    Forse il presente discorso va letto riandando con la memoria a certi fatti accaduti.

    Pio XII nella Mediator Dei (20.11.1947) sponsorizzò il mantenimento della lingua latina in liturgia e scrisse che è fuori strada chi prevede di restituire all’altare l’antica forma di mensa ed eliminare le vesti di colore nero (nn. 48.50): poi oggi...

    Paolo VI in una accorata lettera dell’11.10.1976 a mons. M. Lefebvre arrivò a dire che la proibizione di celebrare secondo il vecchio rito (codificato oggi col Summorum Pontificum come Forma Straordinaria ndr) non era una questione cerimoniale, ma di ecclesiologia e di vera tradizione da salvaguardare e dunque lui non si sentiva di annullare la proibizione: poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI concessero che...

    Questi fatti lasciano intravvedere che i documenti e i discorsi, per quanto importanti, non sono tutto e la liturgia cresce non solo come nostra evoluzione, ma per opera dello Spirito.

    La conclusione è che il futuro sarà di quanti celebrano bene e con spirito nuovo, attenti a rispettare la normativa e attenti a vivere la liturgia come un roveto ardente che ci avvicina alla terra sacra del Dio tre volte santo, dove riceviamo un messaggio di liberazione che non è più l’uscita dall’Egitto, ma la morte e risurrezione di Gesù che con il suo sacrificio rimette i peccati e ci porta con lui da questo mondo al Padre. Ma già oggi in silenzio è da questa mentalità e da questo spirito che la Chiesa è feconda, è da qui che nascono le vocazioni: santi laici, santi monaci, sante e non girovaganti monache, santi preti. I quali, senza clericalismo e con la gioia del popolo di Dio, stanno già mettendo in pratica quanto il Romano Pontefice ha detto.

    «Vi chiedo per favore di pregare per me». Così conclude il discorso Papa Francesco. Non omettiamo di farlo: è più decisivo dell’analisi del discorso stesso.

     

      si  legga anche qui:

    FOCUS di Claudio Crescimanno

     

     

    Riconciliazione liturgica o riforma irreversibile? Il fronte progressista è arroccato in una posizione conservatrice per cui la riforma conciliare non si può toccare. Però 50 anni fa si toccò la messa gregoriana che di anni ne aveva 1500. La posta in gioco è grande: la forma liturgica esprime la fede. E oggi si stanno compiendo epocali cambiamenti di contenuti dottrinali bimillenari che produrranno un cambiamento di contenuto della Messa e dei Sacramenti. 

    -LA TRAVERSATA DEL DESERTO di A. Zambrano







    [Modificato da Caterina63 05/09/2017 20:19]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 14/09/2017 08:44
      FOCUS
    di padre Riccardo Barile OP
     

    Il motu proprio di Papa Francesco sulla revisione dei testi liturgici non mette in discussione i principi delle traduzioni e raggiunge una maggior precisione in relazione ai Vescovi e alle Conferenze Episcopali. Inoltre sembra introdurre una buona disciplina. Ma essendo una materia con larghi margini opzionali non si deve introdurre il doppio binario che le leggi si applicano per "i nemici" mentre per gli "amici" si interpretano.

    Magnum principium” è l’inizio della Lettera Apostolica in forma di motu proprio con la quale viene modificato il can. 838 del Codice di Diritto Canonico, data dal Romano Pontefice Francesco il 3 settembre e le disposizioni della quale entreranno in vigore il 1° ottobre. Tratta delle traduzioni e degli adattamenti liturgici. Nell’edizione ufficiale il motu proprioè accompagnato da una nota sulle fonti del can. 838 e da una successiva nota per “Una chiave di lettura” del segretario della Congregazione per il culto divino.

    Se tramite il sito vaticano un cristiano medio accede ai testi, si troverà sommerso da rimandi a documenti e precisazioni giuridiche e verbali da rimanerne sconcertato come Renzo di fronte al latinorum di don Abbondio o alle grida maneggiate dal dottor Azzeccagarbugli.

    Cerchiamo di semplificare. In liturgia dopo il Vaticano II sono avvenute tra le altre due operazioni: le traduzioni dei testi e alcuni adattamenti, cioè qualche testo nuovo nei vari Messali linguistici o qualche adattamento di certi riti. Ad esempio il Messale attuale italiano ha dei Prefazi di nuova composizione che non sono tradotti dal Messale tipico latino, oppure prevede la possibilità di più monizioni prima del Padre nostro mentre il Messale latino ne prevede una sola. Queste operazioni hanno anche instaurato un certo tipo di rapporto tra le Conferenze Episcopali e la Santa Sede per via della debita approvazione di traduzioni e modifiche, un rapporto che a volte ha registrato delle tensioni. Comunque il procedimento è stato regolamentato da vari documenti ed è confluito nel Diritto Canonico, appunto nel canone 838.

    Ora tale canone viene riformato perché «alcuni principi trasmessi fin dal tempo del Concilio siano più chiaramente riaffermati e messi in pratica». La frase lascia intendere che nel frattempo qualcosa non ha funzionato o c’è stata qualche confusione. Dove e come? Per rispondere alla domanda è opportuno conoscere di prima mano il canone 838 mettendo in evidenza le relative correzioni (in sottolineato le novità aggiunte, in corsivo le frasi eliminate).

    «Can. 838 - § 1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall’autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano» (il paragrafo non ha subito variazioni).

    «§ 2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici [e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti],rivedere (recognoscere) gli adattamenti approvati a norma del diritto dalla Conferenza Episcopale, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque» (variazione importante).

    «§ 3. Spetta alle Conferenze Episcopali prepararefedelmentele versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici [e pubblicarle, previa autorizzazione della Santa Sede.],approvarle e pubblicare i libri liturgici, per le regioni di loro pertinenza, dopo la conferma (post confirmationem) della Sede Apostolica» (variazione importante; si noti anche l’aggiunta di “fedelmente”).

    «§ 4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti» (il paragrafo non ha subito variazioni).

    Quale è il senso delle modifiche? Dopo il Vaticano II c’è stato un ondeggiamento di terminologia tra “recognoscere” e “confirmare” applicati a volte a materie diverse e tradotti diversamente in italiano con “rivedere, confermare, approvare” ecc. (ondeggiamento minuziosamente documentato nelle note allegate al motu proprio). Ora invece si affina la terminologia secondo la mens originaria del Vaticano II, precisando di conseguenza anche il rapporto tra la Santa Sede e le Conferenze Episcopali.

    Mentre infatti prima tutte le operazioni di traduzione e di adattamento esigevano la recognitio/revisione della Santa Sede, ora si distingue da una parte tra traduzioni e adattamento e dall’altra parte tra confirmatio/conferma e recognitio/revisione, per cui:

    - le traduzioni dei testi liturgici del Messale latino sono lasciate alla responsabilità delle Conferenze Episcopali e avranno bisogno solo di una confirmatio/conferma della Santa Sede per essere promulgate. Ciò significa una maggior autonomia delle Conferenze Episcopali e un controllo meno minuzioso della Santa Sede, se non per alcuni testi importanti quali le preghiere eucaristiche, le formule decisive sacramentali o poco altro ancora;

    - invece per gli adattamenti, cioè i nuovi testi, i nuovi riti o le modifiche dei riti esistenti per adattarli a una determinata cultura, è richiesta la recognitio/revisione della Santa Sede. La recognitio, come precisato il 28.4.2006 dall’autorità competente, «non è una generica o sommaria approvazione e tanto meno una semplice “autorizzazione”. Si tratta, invece, di un esame o revisione attenta e dettagliata». È naturale e prudente che Roma vigili su queste “novità”, che novità non dovrebbero essere in modo assoluto, ma un nuovo modo di esprimere la tradizione.

    Come valutare il tutto? Quale riflusso avrà il motu proprio nella vita liturgica della Chiesa?

    1. Si è raggiunta una maggior precisione, chiarezza terminologica e fedeltà rispetto a certi testi della costituzione liturgica Sacrosanctum concilium soprattutto in relazione ai Vescovi e alle Conferenze Episcopali, ai quali con terminologia e scelte fluttuanti veniva riconosciuta nella sostanza più iniziativa e più autonomia di quanto ne riconoscesse il precedente can. 838. Infatti in SC, quanto alla lingua, l’uso e l’estensione del volgare spettava ai Vescovi con la conferma della Sede Apostolica, ma tradurre e approvare le traduzioni spettava ai soli Vescovi (SC 36, § 3-4), anche se altrove per i rituali dei sacramenti si richiedeva la “revisione” della Sede Apostolica (SC 63); l’adattamento culturale dei riti parte dai Vescovi, aveva bisogno del “consenso” della Sede Apostolica, ma questa poteva autorizzare i Vescovi a permettere e dirigere “esperimenti preliminari” (SC 40). La nuova formulazione del motu proprio cerca di riformulare il tutto con più chiarezza. Va anche considerato che le lingue liturgiche sono tante e non sempre a Roma è possibile revisionare i testi come si revisiona l’italiano, il francese, l’inglese ecc. In ogni caso non è stata lasciata una totale autonomia alle Conferenze Episcopali, prevedendo di norma «una costante collaborazione piena di fiducia reciproca» tra queste e la Congregazione per il Culto Divino.

    2. Non sono stati messi in discussione i principi delle traduzioni e degli adattamenti, anzi si è ribadito che il senso originale deve essere reso «pienamente e fedelmente / mantenendo l’integrità e l’accurata fedeltà / congruente con la sana dottrina»; i libri liturgici tradotti «anche dopo gli adattamenti, sempre rifulgano per l’unità del Rito Romano».

    3. In sostanza il motu proprio sembra introdurre una buona disciplina, che dovrebbe fugare i sospetti di una certa dietrologia di chi sa quale colpo di mano, dal momento che la supervisione romana resta in ogni caso assicurata.

    4. Non bisogna tuttavia illudersi che le buone traduzioni e i buoni adattamenti si ottengano solo con le leggi, dal momento che siamo in una materia con larghi margini opzionali, dove il risultato finale dipenderà sempre in gran parte dall’incontro tra chi sta davanti con chi sta dietro allo sportello e in questo incontro spesso capita quanto Giovanni Giolitti († 1928) cinicamente ma realisticamente sentenziava: «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano». La vera soluzione è la diffusione di uno spirito nuovo, attento alla tradizione, attento al mondo ma non mondano, uno spirito fatto sorgere dallo Spirito Santo, e allora ci saranno buone traduzioni e buoni adattamenti.

    5. In Italia sembra che per ora si ponga solo il problema di una revisione delle traduzioni o della conferma di alcuni (pochi) testi nuovi, ma non di radicali adattamenti ai riti, essendo di fatto la liturgia italiana quella “romana” per eccellenza (Milano a parte).

    In cauda venenum”, dicevano gli antichi, e se non proprio veleno, almeno è inevitabile in coda una puntura di spillo. A meno da un mese dal pronunciamento sulla “irreversibilità” della riforma liturgica, si è ritoccato qualcosa, per cui la domanda è: ma che cosa è irreversibile e che cosa non lo è? La risposta sembra essere: è irreversibile il testo del Concilio, che qui è stato recuperato con maggior fedeltà. Benissimo.

    Ma SC 36 § 1-2 dice che «l’uso della lingua latina (...) sia conservato nei riti latini» e per motivi pastorali ritiene utile l’uso della lingua volgare «specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti»: ora ciò comporterebbe un uso maggiore del latino nella liturgia attuale. Perché non riabilitare anche questo numero della SC invece di prevedere delle traduzioni di tutto? Ma se così non è, allora la risposta è che “irreversibile” non è il testo, ma lo “spirito del Concilio” e qui potrebbero cominciare i guai perché lo “spirito del Concilio” ognuno lo cucina a suo modo e, se e quando può, lo impone agli altri.

    Non intendo proseguire su questa strada e affermo che il motu proprio mi va più che bene. Soltanto, dopo tanto parlare di traduzioni, sarebbe auspicabile una qualche maggior diffusione della messa in latino del Messale di Paolo VI, almeno alcune parti ogni tanto come la preghiera eucaristica o almeno per alcuni gruppi di fedeli più sensibili a questi valori. Il che risulterebbe un utile complemento al fervore delle traduzioni e degli adattamenti e formerebbe una mentalità tradizionale moderna e non legata soltanto alla forma straordinaria del rito romano. Per ora è un discorso al quale pochi sono sensibili, purtroppo: «...mah! Sogni di là da venire!», come sospiravano le due adolescenti in “L’amica di nonna Speranza” di Guido Gozzano.





    Un sacerdote risponde

    Se l'espressione del Prefazio "quando l'umanità intera entrerà nel tuo riposo" escluda l'esistenza dell'inferno

    Quesito

    Caro Padre Angelo,
    Vorrei sapere il significato di questo passo del prefazio: “È veramente giusto benedirti e ringraziarti, Padre santo, sorgente della verità e della vita, perchè in questo giorno di festa ci hai convocato nella tua casa. Oggi la tua famiglia, riunita nell'ascolto della parola e nella comunione dell'unico pane spezzato, fa memoria del Signore risorto nell'attesa della domenica senza tramonto, quando l'umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e loderemo senza fine la tua misericordia.
    Con questa gioiosa speranza, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo a una sola voce l'inno della tua gloria” (Prefazio X domeniche tempo ordinario).
    Quando andavo a catechismo da piccolo (una quindicina di anni fa) mi dicevano sempre che si può finire al purgatorio, all’inferno e in paradiso.
    Leggendo questo passo in un messalino mi sembra di capire che finalmente la Chiesa pensa alla salvezza per tutti. È così o il discorso è più complesso? Se è così, l’inferno da chi sarebbe popolato?
    Grazie per l’attenzione e per il suo blog.
    Matteo


    Risposta del sacerdote

    Caro Matteo,
    1. l’espressione che mi hai riportato sottintende questo: “quando l'umanità intera (dei salvati) entrerà nel tuo riposo”.
    La Chiesa sa bene che alla luce dell’insegnamento del Signore purtroppo non tutti si salveranno perché ad alcuni verrà detto: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34) e ad altri: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25,41).

    3. Quel prefazio, come hai riportato, si recita preferibilmente di domenica quando “la famiglia del Signore si riunisce”.
    Si sa che non è tutta la famiglia del Signore perché alcuni volontariamente hanno deciso di non parteciparvi.
    Ma intanto quelli che sono a Messa, anche se non sono tutti, costituiscono “la famiglia del Signore”.
    Si tratta della riunione dei credenti che “sparsi per quattro venti” (come dicono le antiche liturgie eucaristiche) rendono visibile la Chiesa e possono dire “noi siamo la Chiesa”, “siamo la famiglia del Signore”.
    Ebbene questa convocazione, mentre “fa memoria del Signore risorto”, è in attesa della riunione della più grande famiglia di tutti i credenti, di ogni epoca e di ogni luogo, che avverrà quando tutti saranno entrati definitivamente in  Paradiso.

    4. Pertanto l’espressione del Prefazio non va intesa materialmente perché si tratta di una figura retorica, e precisamente di quella figura retorica che corrisponde alla sinèddoche.
    Sinèddoche è una parola greca che significa mettere insieme o anche ricevere insieme, che indica il tutto per la parte, come quando si dice che la parrocchia conta tremila anime. Qui per anima s’intende la persona, la quale di per sé è più dell’anima, perché è il composto di anima e corpo.

    5. Sinèddoche può significare anche il contrario e cioè il tutto per la parte come quando si dice di una persona che è andata in America, intendendo dire che è andata negli Stati Uniti, e cioè in una particolare nazione di quel continente.
    Così è anche per l’espressione del Prefazio “quando l’umanità intera”, e cioè l’intero popolo dei salvati.

    6. Sicché rimane vero quanto hai imparato da piccolo e pérdono significato le altre domande.
    Devo precisare tuttavia una tua espressione, quella in cui dici: “mi sembra di capire che finalmente la Chiesa pensa alla salvezza per tutti”.
    Bisogna dire che la Chiesa spera la salvezza per tutti e opera per la salvezza di tutti.
    Ma la Chiesa sa, alla luce delle parole del Signore, che purtroppo non tutti si salveranno. Gesù infatti ha detto: “perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano” (Mt 7,13).

    Con l’augurio che anche tu possa essere nel novero di quell’umanità intera che entrerà nel riposo del Signore e potrà contemplare in eterno il suo volto, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
    Padre Angelo







    [Modificato da Caterina63 25/02/2018 13:40]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)