DIFENDERE LA VERA FEDE

Il santo Vescovo venerabile Fulton Sheen

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    Caterina63
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    00 12/09/2015 17:50




    Mons. Fulton SHEEN:
    “C’è un uomo inchiodato alla croce”

     

     



    AA A


    Aveva otto anni: vivace e buono. Un giorno serviva la S. Messa all’illustre Vescovo John Spalding: al ragazzino sfuggì di mano l’ampollina del vino, che si ruppe sul pavimento della cattedrale, con un gran fracasso. Fu portato altro vino e la Messa continuò, devota e solenne.
    Il piccolo, in sacristia, si aspettava un terribile rimprovero da parte del Vescovo, che invece, tutto amabile, gli domandò: “Giovanotto, a che scuola andrai quando sarai grande?”.
    Il bambino nominò la scuola superiore cattolica della sua città.
    Il Vescovo sottolineò: “Ho detto, quando sarai grande!”. E aggiunse: “Dì a tua madre che un giorno andrai a studiare a Lovanio e poi diventerai Vescovo come me”. Rientrato in casa, il ragazzino, riferì tutto alla mamma, ma presto dimenticò completamente il discorso.

     

    Sacerdote e docente

    Si chiamava Fulton Sheen, il buon chierichetto, ed era nato a El Paso nell’Illinois (Stati Uniti) l’8 maggio 1895, da una famiglia di origine irlandese. Qualche anno dopo, i suoi genitori si trasferirono a Peoria, centro della diocesi, affinché il loro figli potessero frequentare le scuole cattoliche.
    Ebbene, proprio a Peoria, Fulton, dopo le elementari, intraprese gli studi letterari e filosofici. Al centro della sua giovinezza, già c’era Gesù, che lo occupava e lo avvinceva a Sé, ispirandogli una grande voglia di essere simile a Lui.
    Quando scoprì in modo chiaro la sua chiamata al sacerdozio, entrò in Seminario e studiò con passione teologia: destinazione, diventare un vero “alter Christus”. Nella cattedrale di Peoria, il 20 settembre 1919, a 24 anni, fu ordinato sacerdote.
    Il Vescovo lo inviò a proseguire gli studi all’Università Cattolica di Washinton, ma don Fulton desiderava approfondire il pensiero filosofico di S. Tommaso d’Aquino - la filosofia dell’essere, la filosofia perenne - per confutare, alla luce della ragione e della fede, i gravi errori delle filosofie moderne, tutte negatrici di Dio e dell’uomo, negatrici della Verità.
    Per questo suo desiderio, il Vescovo lo mandò a studiare all’Università di Lovanio, in Europa, dove don Fulton si distinse per la vita sacerdotale esemplare, per l’intelligenza brillante, per un certo fascino che emanava. A Lovanio ottenne il dottorato in filosofia, a Roma quello in Teologia. Ora era davvero diventato un maestro della Verità - della Fede cattolica - “cogitata” nella luce radiosa di Maestro Tommaso.
    Ormai “dottore”, - trentenne - è mandato dal Vescovo come vice-parroco in una parrocchia di periferia. Comincia con la predicazione quaresimale: le prime sere erano pochi gli ascoltatori, ma con il passar dei giorni, crebbero in modo enorme a sentire il giovane predicatore.
    Seguì una Pasqua meravigliosa, con numerose conversioni, con il ritorno ai Sacramenti, da parte di un numero grande di persone. Sì, perché don Fulton predicava per convertire le anime a Cristo, per condurle in Paradiso, e per questo - affinché la sua predicazione fosse efficace - passava lungo tempo in adorazione a Gesù Eucaristico, davanti al Tabernacolo.
    Celebrava il S. Sacrificio della Messa, ogni giorno con più fervore, chiedendo a Gesù di poter conquistare a Lui più anime possibili. Per un anno così: apostolo della Parola, del Verbo di Dio.
    Un anno dopo seppe dal suo Vescovo che era desiderato all’Università cattolica, come docente di filosofia. Per 25 anni, sarà un docente meraviglioso con allievi entusiasti di lui- soprattutto entusiasti della Verità che egli portava a scoprire e a possedere, “reptus”, come S. Agostino, “indagandae veritatis amore”.
    La prima parte della “profezia” di Mons. Spalding si era avverata (“andrai a studiare a Lovanio”, quindi sarai professore). Don Fulton ora ricordava. Non gli bastava però la cattedra: voleva raggiungere più fratelli ancora, da condurre a Gesù, l’unico amore della sua vita.

     

    Cristo in TV

    Iniziò a tenere conferenze in patria e all’estero. I suoi discorsi erano sempre più seguiti: appassionava e conquistava. Nel 1930, fu invitato dalla NEC (la radio degli Stati Uniti), a parlare ogni domenica sera, in un programma intitolato “L’ora cattolica”. La sua voce diventò nota in tutti gli States, ascoltato da cattolici, da protestanti, da atei.
    Si trovò sommerso da migliaia di lettere: persone che gli aprivano l’anima, alla ricerca di Dio; Rispondeva a tutti. E pregava, pregava per loro. Si vide una primavera di conversioni a Gesù, alla Chiesa Cattolica.
    Anche il Papa Pio XI - e il Segretario di Stato, Card. Pacelli - seppero di lui e della sua opera. Nel 1935, il Papa, a esprimergli la sua riconoscenza lo nominò “Prelato domestico” con il titolo di Monsignore. Mons. Fulton si trovò a maneggiare una certa quantità di dollari, offertigli dagli ascoltatori. Lui però aveva le mani bucate, come quelle di Gesù sulla croce, e il denaro finiva alle missioni cattoliche e ai poveri.
    Nel 1950, all’inizio dei programmi TV negli USA, fu chiamato dalla medesima NEC a comparire sui teleschermi. Cominciò con un programma “Vale la pena di vivere”, in cui partiva dalla necessità impellente che tutti - credenti non-credenti, protestanti, ebrei e atei - hanno di dare un senso alla vita. È realtà innegabile che ogni uomo, lasciato solo, può solo dire di se stesso: “Magna quaestio factus sum mihi”, Sono diventato un gran problema per me, e problema insolubile.
    A questo problema, Mons. Sheem offriva risposta: Gesù Cristo, l’unica soluzione, il Cristo Crocifisso e risorto. Ogni settimana era seguito da 30 milioni di persone. Il suo linguaggio era limpido, comprensibile da tutti, di serietà straordinaria, eppure a volte scherzoso, sempre piacevole, anche quando poneva davanti alle più gravi responsabilità.
    Il risultato? Meraviglioso! Conversioni e conversioni a Cristo e alla Chiesa Cattolica.
    Sempre nel 1950 fu nominato direttore nazionale della Società per la propagazione della Fede. Iniziò una lunga serie di viaggi in Asia, in Africa e in Oceania per interessarsi dell’evangelizzazione di popoli.
    Un’altra mirabile possibilità di irradiare Gesù, il suo Vangelo, di far comprendere che solo in Lui ogni anima, ogni popolo trova la sua vera grandezza.
    Gesù nella parrocchia, Gesù sulla cattedra universitaria, Gesù alla radio e in TV, Gesù per le strade del mondo. Sì, perché solo Gesù è il Salvatore del mondo, il Figli di Dio incarnato e crocifisso, il Vivente!

     

    “Un tesoro nell’argilla”

    L’11 giugno 1951 a Roma, per volontà di Papa Pio XII, Mons. Fulton Sheen è consacrato Vescovo. Si avvera in pieno la profezia di Mons. Spalding di 50 anni prima. Nella sua autobiografia scriverà: “L’investitura episcopale può dare un senso di euforia, ma non necessariamente la stima che la gente ti dimostra, corrisponde a quella che il Signore ha di te”.
    La sua autobiografia s’intitola “Un tesoro nell’argilla”, per dire il contrasto tra l’immenso valore del sacerdozio e la fragilità della persona umana cui è conferito. Tuttavia il sacerdote - il Vescovo- è chiamato a agire “in persona Christi”, a essere un Cristo vero, in mezzo al mondo, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

    È Vescovo ausiliare di New York, ma lui commenta con il solito humor: “Non è detto che uno catturi più pesci vestito di violetto che di nero!”. Lui continua a parlare in Tv e a scrivere libri, uno più bello dell’altro, che hanno un grande successo, una fecondità mirabile di bene. Ne citiamo alcuni: “La pace dell’anima”, “La felicità del cuore”, “Il primo amore del mondo”, (sulla Madonna, quest’ultimo), in cui la dottrina si associa spesso alla poesia, sempre in uno stile denso di luce.
    Per lo scrivente, forse il più bello la “La filosofia della religione” in cui mostra come ai nostri giorni la filosofia abbia raggiunto il livello più basso di irrazionalismo con cui guarda con disprezzo assoluto a Dio e alle verità eterne… e poi l’Autore indica il cammino della ragione sana illuminata dalla Fede, alla ricerca e al possesso di Dio, in Cristo, unica Via, unica Verità, unica Vita. È la filosofia di S. Tommaso, che sola ci è di guida per la comprensione dell’uomo, del mondo, di Dio. È la più vera apologetica che porta alla Verità eterna.
    Mons. Fulton Sheen partecipa al Concilio Vaticano II, portando con intelligenza e fortezza questa Verità, al di là di ogni confusione. Nel 1966 è nominato Vescovo di Rochester e sperimenta sulla sua pelle la contestazione alla Verità che ormai dilaga nella Chiesa. La febbre dell’impegno nel mondo sembra impadronirsi di preti e suore, a scapito della preghiera e del rapporto con Dio. Il catechismo e i Sacramenti diventano secondari - o inutili - davanti alle cosiddette urgenze del tempo. È un vento infido che soffia e squassa tutto, cosìché Papa Paolo VI parla di “autodemolizione della Chiesa”.
    Il Vescovo brillante dei teleschermi, noto nel mondo intero, anzi la voce per dire a preti e seminaristi che “innanzi-tutto il sacerdote è chiamato a essere con-vittima e con-redentore con il Signore Gesù offerto sulla croce e sull’altare: non basta alleviare le necessità materiali dei fratelli, occorre annunciare Gesù Cristo, farlo conoscere e amare. Convertire le anime a Lui e questo è frutto di santità, di unione con Dio”.

     

    Cerca la Chiesa più odiata

    Diventato Vescovo emerito a 75 anni, nel 1969, continua a tenere conferenze, a scrivere sui giornali e a scrivere libri. Sono ormai più di sessanta, tra cui la famosa sua Vita di Cristo.Le sue conversazioni televisive sono raccolte in volumi, diffusi in tutto il mondo. Solo Dio sa quante persone egli abbia convertito. Nella sua citata autobiografia, ricorda diverse storie in cui la conversione avvenne per incontri casuali o richiesti: si tratta di non cattolici che, grazie a lui, hanno trovato l’unica vera Chiesa di Cristo, o di cattolici da anni lontani dai Sacramenti, di peccatori con gravi colpe.
    Il 20 settembre 1979, Mons. Sheen celebra S. Messa solenne per il suo 60° di sacerdozio, ricordando all’omelia: “Non è che non ami più la vita, ma ora voglio vedere il Signore. Ho passato tante ore davanti a Lui nel SS. Sacramento, ho parlato a Lui nella preghiera e di Lui con chiunque mi volesse ascoltare. Ora voglio vederlo faccia a faccia”. Il 2 ottobre 1979 Papa Giovanni Paolo II, in visita negli Stati Uniti, lo abbraccia a lungo nella cattedrale di S. Patrizio e gli dice: “Lei ha scritto e parlato bene del Signore Gesù!”.
    Va a vedere Dio “faccia a faccia” il 9 dicembre 1979. Abbiamo letto tante pagine di Fulton Sheen ma due ci sono rimaste impresse come un dardo di fuoco che segna oggi che cosa dobbiamo fare, nella confusione dilagante del nostro tempo.
    “Se io non fossi cattolico - diceva nel 1957 - e volessi trovare quale sia oggi, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell’unica Chiesa che non va d’accordo con il mondo. Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo.
    Infatti, se oggi nel mondo Cristo è in qualche Chiesa, Egli dev’essere tuttora odiato come quando viveva sulla terra.
    Se dunque oggi vuoi trovare Cristo, trova la Chiesa che non va d’accordo con il mondo… Cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere Cristo”.

      Lui, da parte sua, il suo compito l’aveva chiaro davanti:

    “Ero uscito di casa per saziarmi di sole. Trovai un Uomo che si dibatteva nel dolore della crocifissione. Mi fermai e gli dissi: “Permetti che ti stacchi dalla croce”. Lui rispose: “Lasciami dove sono, fino a quando ho i miei fratelli da salvare. Gli dissi: “Che cosa vuoi che io faccia per Te?”. Mi rispose: “Và per il mondo e dì a coloro che incontrerai che c’é un Uomo inchiodato alla croce”.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 12/09/2015 17:55
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    “IL MIO AMICO FULTON J.SHEEN, VERO PROFETA”



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    Il ritratto donato da Sheen a Mons.Franco ai tempi della loro collaborazione.
    Il ritratto donato da Sheen a Mons.Franco ai tempi della loro collaborazione.


    Ho da poco
     terminato di leggere un bellissimo libro dal titoloBishop Fulton J.Sheen, Mentor and friend. Autore, il mio caro amico Mons.Hilary Franco, che ebbe il privilegio di lavorare parecchi anni come assistente personale del Venerabile Sheen (per maggiori dettagli, rimando a questa vecchia intervista che feci al Monsignore).


    Il volume, pubblicato alla fine dello scorso anno, è una raccolta di memorie dell’attività e della lunga amicizia tra l’Arcivescovo Sheen e Mons.Franco, un rapporto mantenutosi ben oltre il periodo di collaborazione tra i due – che coprì anche i lavori del Concilio Vaticano II- e che si perpetuò negli anni attraverso una fitta corrispondenza di lettere tuttora gelosamente conservate dal Monsignore. E proprio queste missive, assieme ai ricordi personali raccolti e compilati da Lisa e Geno Delfino, costituiscono l’ossatura di un racconto che non è un semplice memoriale, bensì un formidabile insight, un approfondimento ricco di spunti sulla monumentale figura di Fulton J.Sheen.



    Non intendo
     però fornire una recensione del libro (acquistabilequi), quanto condividerne alcuni estratti dalla seconda parte (strutturata in forma di intervista al Monsignore da parte dell’attivista pro-life T. Patrick Monaghan), eloquenti della grandezza di Sheen e dell’attualità delle sue riflessioni ed intuizioni di protagonista della Chiesa del ‘900, pienamente cosciente della portata dei cambiamenti e delle sfide che la toccarono, e che ancora si ripercuotono pesantemente sulla Barca di Pietro in questo inizio di secolo XXI.

    Una traduzione italiana di un'opera di Sheen donata da questo alla madre di Mons.Franco.
    Una traduzione italiana di un’opera di Sheen donata da questo alla madre di Mons.Franco in occasione della morte del marito. La dedica dice: “Alla mia cara amica Signora Franco, il cui cuore è stato spezzato in due dal dolore, ma la metà del quale è già in Paradiso”.


    Sull’ecumenismo
     correttamente inteso dall’Arcivescovo, Mons.Franco racconta:

    <<Un’altra categoria per cui provava interesse erano i protestanti ed i gruppi ecumenici. Ho sempre detto che l’ecumenismo scorreva nelle sue vene! Senza sosta, parlava a centinaia di persone ed a volte anche a migliaia nella stessa occasione. “Seicento ministri metodisti del Nord Carolina mi hanno invitato a parlare per tre giorni ad una conferenza sulla predicazione e la vita spirituale. Questo non sarebbe stato possibile dieci anni fa”. Poco dopo, scrisse che andava a rivolgersi a ventunomila giovani luterani a Houston, notando che “il potenziale di conversione è grande” laddove Cristo viene predicato. Provava interesse anche nel rivolgersi a varie organizzazioni secolari. “Non sono invitato nelle università cattoliche, ma in quelle secolari, nelle camere di commercio, in istituzioni commerciali. Mentre la Chiesa sta cercando di identificarsi con la cultura…ci sono gruppi in cerca di trascendenza”. Nel 1975 scriveva di dover rifiutare dieci inviti al giorno, molti dei quali provenienti da organizzazioni non religiose>>.

    Insomma
    , un eccezionale apostolo della Chiesa al quale tutte le confessioni protestanti (negli USA storicamente tutt’altro che ben disposte verso i cattolici, come appunto accenna lo stesso Sheen), ebrei e persino svariate associazioni di estrazione laica, si rivolgevano per ascoltare parole di sapienza e verità. Proprio mentre in seno alla Catholica torme di invasati cercavano di farla virare verso il mondo, questo quasi sembrava voler intraprendere la direzione opposta, alla ricerca di quella verità che, se efficacemente predicata, si mostra irresistibile.


    Oggi invece
     dove ci ritroviamo? Eh, ce la dobbiamo vedere con certi cardinaloni teutonici che scrivono della Resurrezione come un mito letterario (per assicurarsi che l’unica conversione d’interesse per le istituzioni commerciali resti quella delle valute) od auspicano che“Lutero sia l’ispiratore delle riforme della Chiesa” (di quei ventunomila luterani raccoltisi attorno a Sheen costui avrebbe fatto un Concilio dogmatico, altro che incontrarli saldamente nella dottrina).

    Un giovanissimo Sheen negli anni '30, quando la sua fama di grande predicatore si diffuse attraverso la radio.
    Un giovanissimo Sheen negli anni ’30, quando la sua fama di grande predicatore si diffuse attraverso la radio.

    Sulla premura dell’Arcivescovo per i sacerdoti:
    <<L’Arcivescovo Sheen scelse di dedicare gran parte del suo tempo e delle sue energie ai sacerdoti, specialmente nell’ultima fase della sua vita. Sarebbe arduo stimare a quante centinaia di ritiri per preti partecipò in quel periodo [negli ultimi dieci anni di vita, giunta al termine nel 1979, ndt]. Una delle espressioni ricorrenti nelle sue lettere per me era che, sebbene trovasse la qualità dei preti generalmente soddisfacente, osservava con dolore che non tutti erano soddisfacenti.

    Tuttavia
     riscontrava una complessiva reattività alla sua predicazione. Chiamava gli estremi tra i preti gli “ultravioletti” e gli “infrarossi”. In realtà, le sue parole erano in qualche modo più descrittive: “A ciascun estremo si trovano gli ultravioletti e gli infrarossi: i nevrotici che intendono cambiare il mondo senza Cristo, e gli psicotici che vogliono conservare la Chiesa ma ignorare il mondo”. Ma, devo comunque reiterare che in questo commento si riferiva ai comportamenti estremi>>.

    Anche qui
    , la ragionevolezza e l’equilibrio contro ogni deriva estremista, si tratti degli smantellamenti di marca modernista o il rischio, insito in certo tradizionalismo sclerotizzato nei formalismi, di raggomitolarsi chiudendo fuori gli uomini, invece di farli entrare.

    Sull’abbigliamento dei sacerdoti:
    <<Dismettendo l’idea che i vescovi debbano apparire “come uno dei ragazzi”, diceva che la Chiesa prospererebbe dall’essere innalzata invece che abbassata. Notava come nella sua esperienza quei preti che rifiutavano di indossare la talare erano spesso preti problematici che in pratica mostravano segni di difficoltà più profonde.

    Una volta
     mi raccontò di un importante arcivescovo che si era lamentato di alcuni seminaristi che stavano causando parecchi grattacapi. Il Giovedì Santo, l’Arcivescovo Sheen si trovava in quel seminario per delle funzioni, e non un singolo seminarista era in talare. Si informò a riguardo, chiedendo a quello stesso arcivescovo perché non dicesse ai suoi seminaristi di vestirsi in maniera appropriata. Non vi fu risposta. In incidenti di questo tipo, Sheen vedeva il grande bisogno di leadership e buoni esempi.
    Parallelamente al declinare dell’utilizzo dell’abbigliamento clericale vi era il declino nei gesti di devozione verso la Santa Eucaristia – come il genuflettersi- e, molto peggio, nel maneggiarla e nelle deviazioni liturgiche>>.

    Come emerge anche dai ricordi di Mons.Franco, per Sheen l'abito faceva, eccome, il monaco.
    Come emerge anche dai ricordi di Mons.Franco, per Sheen l’abito faceva, eccome, il monaco.


    Mons.Franco
     prosegue sulle preoccupazioni di Sheen riguardo ai giovani sacerdoti:

    <<Una delle tante tristi storie raccontatemi dall’Arcivescovo riguardava un giovane prete che era rimasto scandalizzato da una serie di pastori e perciò intendeva lasciare il sacerdozio. L’Arcivescovo lo convinse a restare e, immagino col suo inimitabile modo di fare, continuò ad aiutare il giovane sacerdote. (…) L’Arcivescovo Sheen parlava sempre di ritornare a Cristo, il bisogno di predicare il Vangelo e ritornare a predicare Cristo. “Nessuno parla di Cristo… eppure quando parlo ai non cattolici della Sua Passione, se ne innamorano… Cristo non è crocifisso. E’ abbandonato nell’uliveto. Ciò che vedo mi spezza il cuore. Ora so perché ‘il Pane è spezzato': a significare ciò che abbiamo fatto al Suo cuore”. (…)
    Era molto preoccupato della mancanza di vocazioni mentre osservava diminuire il numero di seminaristi. Mi disse che ciò era dovuto “alla perdita di fede”. Affermò che “la Chiesa deve comprendere che le sue infermità non sono semplicemente psicologiche, ed i professori devono capire che la ‘maturità sociale’ non è un sostituto della riconciliazione”. (…) Mi disse molte volte che considerava i seminari statunitensi come uno dei più seri problemi della Chiesa. (…)
    Posso dire che sopra ogni altra cosa lo preoccupava il fatto che i preti fossero carenti di sfide e leadership. “Essi sono desiderosi di fare di più, ma non vengono accesi”. Questa immagine dell’essere accesi dal fuoco per Cristo era da lui ripetuta spesso; questo era ciò che lui e i suoi colleghi vescovi dovrebbero fare: trasmettere la scintilla ai propri sacerdoti (…) “Il Signore è venuto sulla terra ad accendere un fuoco e sono certo che vorrebbe vedere un po’ di più che del fumo”. Mi diceva dell’importanza di vescovi “pii e preparati”, uomini in grado di leggere i segni dei tempi. Oltre a comprendere in che direzione sta andando il mondo, devono bruciare del fuoco di Cristo e i preti “coglieranno le scintille”.>>

    Sheen (qui con dei missionari domenicani) ebbe tra le sue principali preoccupazioni la retta istruzione dei giovani sacerdoti e religiosi, ai quali i vescovi erano chiamati a trasmettere "il fuoco della fede".
    Sheen (qui con dei missionari domenicani) ebbe tra le sue principali preoccupazioni la retta istruzione dei giovani sacerdoti e religiosi, ai quali i vescovi erano chiamati a trasmettere “il fuoco della fede”.


    Sull’assenza
     di devozione e gli oltraggi al Santissimo Sacramento:<<Qualunque mancanza di rispetto per l’Eucaristia e la celebrazione della Messa gli facevano orrore. In quanto prete, la sua vita ruotava attorno all’Eucaristia, “la fonte e l’apice” della vita cristiana. Anche quando molto debilitato, si alzava per celebrare la Messa ed andare ad adorare il suo Signore nella sua cappella personale. E’ lì che fu trovato quando morì. Credo che questo contestualizzi tutto. (…) L’Arcivescovo osservava, nei suoi viaggi attraverso gli Stati Uniti, disturbanti deviazioni liturgiche. Questo era un insulto verso Nostro Signore e causa di grande sofferenza per l’Arcivescovo Sheen, il quale sapeva che le persone soffrivano molto a causa di tali scandali.

    Sì, insisteva
     sulla presenza visibile del tabernacolo nelle chiese. Una volta mi raccontò che, in un noto monastero dove era stato invitato per un ritiro, nella chiesa non vi era il Santissimo Sacramento. “Ho annunciato che non avrei svolto il ritiro a meno che la Presenza Eucaristica fosse ristabilita”. Fu ristabilita per il ritiro. Ciò accadde anche in altre chiese.

    Mi disse
     che troppi seminaristi rifiutavano di genuflettersi di fronte al tabernacolo. Lamentava il fatto che la gente si sedesse a parlare dopo la Comunione e che “il Signore è messo da parte in un angolo oscuro; in alcuni casi particole consacrate vengono portate in sacrestia e mescolate ad ostie non consacrate, ecc. (…) enfatizzava il bisogno, per la legislazione della Chiesa, di ristabilire la venerazione per il Santissimo Sacramento>>.

    L'Arcivescovo celebra la Messa, al cui centro sta l'Eucaristia, "fonte e apice della vita cristiana".
    L’Arcivescovo celebra la Messa, al cui centro sta l’Eucaristia, “fonte e apice della vita cristiana”.


    Sui ribellismi
     degli ordini femminili:

    <<Ciò che accadde alle religiose dopo il Vaticano II fu causa di grande angoscia per l’Arcivescovo. E’ una cosa che mi ripeteva costantemente! Credo che la sola altra questione che gli causava più dolore fossero le offese alla Santa Eucaristia. Era convinto che le suore “ci hanno considerevolmente deluso”. (…) Una volta chiese: “Quando, oh, quando verrà ricordato [da parte dei clerici adibiti a trattare il problema] alle sorelle che appartengono meno al mondo che alla Chiesa?”.

    Nel 1973
    , mi disse che normalmente rifiutava di offrire ritiri alle suore a causa della situazione. Quando li offriva, era solo per quelle suore che si presentavano tutte negli abiti della propria congregazione. (…) Cominciava sempre i suoi discorsi parlando a “sorelle riconoscibili”, e notava che i laici amavano sentir dire ciò. Non gli andò mai a genio che le suore non vestissero i propri abiti, in modo da non identificarsi con la missione della propria congregazione ed essere così un segno nel mondo. (…) Come spiegava a quel tempo, per molte “lo standard è il conformarsi al mondo, non a Cristo”. Era convinto che la seduzione del secolarismo costituisse la maggiore tentazione per i cattolici degli USA. (…)

    Riguardo
     alle suore e alla secolarizzazione, Sheen scrisse così nel 1972: “La vita spirituale nei nostri tempi comincia con un ‘no’ al mondo. I cristiani russi sono passati per la prova del comunismo, i tedeschi quella del nazismo e noi quella del secolarismo. Solo coloro che hanno detto ‘sì’ al trascendente hanno il potere di dire ‘no’. Le autorità nei primi secoli non erano dei sognatori. Erano guerrieri. Andarono nel deserto per vedersela col Demonio e dirgli ‘no’. Oggi le persone sono così affamate di pane e noi gli diamo Rice Krispies”>>.


    Sui deragliamenti
     dell’educazione religiosa dopo il Concilio:

    << [Sheen] era molto preoccupato riguardo l’educazione religiosa. Negli anni ’70 cominciò a mettermi in guardia sul deterioramento della catechesi. Le sue osservazioni erano profonde e profetiche. (…) Nel 1973 mi disse che era necessaria una lettera del Santo Padre che ristabilisse Cristo nella catechesi poiché i libri in uso per l’istruzione religiosa partivano dalla comunità, non da Cristo. Mi parlava di testi che “seguono Marx e non Marco”, ad intendere che eludevano Cristo o lo utilizzavano per altri fini. “Il marxismo è infine penetrato nella Chiesa”. Per lui, la catechesi fu uno dei “più grandi problemi” seguiti al Concilio. In tal senso, osservò in maniera profetica che la Chiesa negli Stati Uniti non necessitava un “rinnovamento”, bensì una “ri-Cristificazione”.

    Nel 1976
     lo invitarono ad una conferenza sulla catechesi intitolata ‘Gesù oggi’. Riscontrò che i film presentati alla conferenza riguardavano il cantare e l’abbracciarsi…tutto meno che l’Eucaristia! Non è incredibile? Quando così arrivò il suo turno di parlare, cominciò dicendo che era “turbato da un ‘Gesù oggi’ distinto dal ‘Gesù Cristo, lo stesso ieri e per sempre”. Predicò Cristo come faceva sempre! I partecipanti alla conferenza risposero con un prolungato applauso che dovette essere interrotto dopo un buon minuto”. (…) Era profondamente consapevole del fatto che durante quegli anni di confusione erano soprattutto i fedeli a soffrire. “Il cuore di Cristo è spezzato! Così come quelli dei fedeli”. Questo era riferito a coloro ai quali veniva detto che non esisteva più un obbligo domenicale. Sì, è vero, la gente soffriva. E lui soffriva poiché, come diceva spesso, le persone erano molto ricettive, ma non ricevevano insegnamenti. Ne era conscio perché andava ad incontrare le persone, predicava loro Cristo e le vedeva rispondere alla predicazione del Vangelo. Diceva sempre che la gente vuol essere innalzata e non trascinata verso il basso>>.

    Qui con Paolo VI, Sheen fu legato da filiale e profonda devozione a tutti i Papi della sua vita, che di lui ebbero tutti infinita stima.
    Qui con Paolo VI, Sheen fu legato da filiale e profonda devozione a tutti i Papi della sua vita, che per lui provarono infinite stima e riconoscenza grazie al suo servizio alla Chiesa.


    Sulla burocratizzazione
     e la mondanizzazione dei clerici americani (e, viene fondatamente da dire: non solo quelli):

    <<Nel 1970, mi confidò una grande preoccupazione riguardo il futuro. Al centro di essa stavano i suoi fratelli vescovi. Vedeva la debolezza di un alto numero di loro, debolezza che minava la loro autorità come successori degli apostoli. In quel periodo critico, incontrò vescovi che cercavano di evitare problemi e decisioni difficili, delegando la propria autorità ad altri, fallendo nell’insegnamento e nella disciplina, ascoltando cattivi consiglieri e dimostrando apatia. “Così tanti hanno paura di non essere amati”, mi diceva. (…) Diceva che “la Chiesa negli USA sta andando alla deriva – non necessariamente verso un abisso- ma comunque alla deriva. In tanti si riposano sui loro remi, perché nessuno ha indicato loro la direzione. Fissiamo il giroscopio che registra ogni cosa che passa, ma non il radar bloccato in un punto”.

    Era timoroso
     che la conferenza episcopale si stesse appesantendo di pratiche burocratiche e si stesse allontanando dalla centralità di Cristo per dirigersi verso questioni politico-sociali. Ricordo una discussione su una ricerca sociologica del 1970 commissionata dai vescovi i cui risultati furono però scoperti dalla stampa ben prima che i vescovi li visionassero. Diceva che il pericolo nello sponsorizzare tale tipo di indagini era che la dottrina e la moralità diventassero un fatto numerico. “La maggioranza” decide! (…) “Il potenziale per la conversione è grande, se solo annunciassimo Cristo invece che inezie sociologiche e scienze politiche”. (…) “Il nostro paese è pronto per la disciplina e il sacrificio di sé, ma nessuno ne parla”. (…)

    Osservava
     il declino della cristianità nella nostra nazione, proprio lo stesso di cui stiamo facendo esperienza oggi. Al tempo, disse che eravamo prossimi ad entrare in un “nuovo mondo” la cui natura era difficile da scorgere, ma che non sarebbe stata più cristiana: “…siamo alla fine del cristianesimo – ma non della cristianità”. Con cristianesimo intendeva le questioni politiche, economiche e sociali di una nazione governata secondo l’etica del Vangelo.>>

    Infine, sulle possibili soluzioni a tale deriva:

    <<Credeva che la Chiesa fosse la sola autorità morale rimasta nel mondo. Per cui si può immaginare quanto gli premeva che la Chiesa avesse dei leader forti, pii e ben istruiti! “Più la Chiesa agisce divinamente, più eserciterà influenza. Il problema è che tantissimi sacerdoti non hanno dimestichezza con l’autorità comune, vale a dire il Magistero, e così i fedeli diventano confusi”. Diceva molte cose simili a Papa Francesco, ad esempio che la Chiesa restava chiusa in se stessa, “non sufficientemente attenta ai problemi del mondo ed in special modo all’evangelizzazione di quelli al di fuori della Chiesa”. Nel 1972 parlava di tre possibilità di rinnovamento per la Chiesa. La prima erano “le avversità”. La seconda era una guida potente “in alto che lascerà crescere nel raccolto il grano e il loglio, ma che ci dirà quale è l’uno e quale l’altro”. La terza era il bisogno di un santo, come San Filippo Neri>>.

    Instancabile predicatore fino alla fine della sua vita.
    Instancabile predicatore fino alla fine della sua vita.


    Dai ricordi
     e dalle citazioni del Venerabile Sheen raccolte da Mons.Franco si mostrano dunque luminosi il suo amore per la Chiesa di Cristo, la lucidità e la capacità di leggere le cause profonde dei problemi e i segni del tempo, l’umiltà di un grande intelletto combattente per la Verità contro i facili compromessi col mondo, unicamente interessato a portare quante più anime al Signore e non ad innalzarsi nella vanagloria e l’autocompiacimento. Tutte qualità che oggi sembrano latitare in molti clerici, per i quali pregare ed augurarsi si conformino all’esempio dell’Arcivescovo Sheen, come descritto ancora una volta da Mons.Franco:


    <<Era davvero un “ponte” tra l’uomo e Dio. Possedeva questo dono divino del trasmettere una grande autorevolezza e visione nella sua predicazione e nella conversazione. Insegnava in modo profondo, deciso ed incisivo, così che l’ascoltatore riusciva a rendersi conto delle proprie mancanze e cadute, sollecitando pentimento in coloro che lo ascoltavano. Poi, all’improvviso, vedevi apparire nei suoi occhi quell’irreprimibile scintillio ed un sorriso gentile. Era un segno di come il giudizio di Dio è sempre temperato dalla misericordia e il perdono, e sapevi che, quando ascoltavi predicare il Vescovo Sheen, stavi ricevendo qualcosa di vero e duraturo>>.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 12/09/2015 21:03

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    Una giovinezza accanto al primo televangelista: Fulton Sheen. Con mons.Hilary Franco

    </header>
    hugyu

     

    UNA GIOVINEZZA ACCANTO AL PRIMO TELEVANGELISTA:

    FULTON SHEEN

    Un incontro a New York con mons. Hilary Franco

    Assistente al Concilio (e anche dopo) del celebre vescovo tele-predicatore americano. Poi per 26 anni alla Congregazione per il Clero. Oggi parroco nei dintorni di New York, in un paese sullo Hudson

     

    Sulle rive mozzafiato dello Hudson, con l’assistente di Fulton Sheen. A 30 anni dentro il Concilio. Incontri con i periti ragazzini: Ratzinger e Kung. Il primo “televangelista”: Fulton Sheen, “ci fosse lui si arresterebbe la pletora dei denigratori della Chiesa”. Questa Chiesa atona che non sa più comunicare. Sheen diceva: “Nei primi 5 minuti nessuno ti ascolta”: aveva capito tutto su come si evangelizza. Reagan venne a Roma solo per vedere il papa; e scattò la gelosia di Pertini. La contestazione post-conciliare negli Usa ci fu perchè “i vescovi non sapevano bene il latino”. Negli anni ’70 noi di lingua inglese avevamo gran voglia di strafare… col nuovo messale. Noi cattolici americani non ci siamo fatti influenzare dal protestantesimo, al contrario degli europei

    Al Concilio lavoravo con Fulton Sheen che era membro di tre commissioni anti preparatorie. Ovviamente era tutto in latino e le sue idee erano magnifiche, tanto è vero che poi si sono realizzate nel Concilio. Il Concilio è stata un’esperienza straordinaria. C’erano degli esperti, come un certo Joseph Ratzinger, che era l’esperto del cardinal Frings. A quel tempo c’era ancora tanto da maturare in lui e in tutti noi. C’era Hans Küng… Una volta mi ricordo che lui non era venuto alla sessione prima dell’ultima nel ’65 e gli dissi: <<Ho visto che hai scritto un libro, Il Concilio giorno per giorno. Ma come hai fatto a scrivere un libro se non sei mai venuto? Non t’ho visto mai>>. E lui mi sorrise e disse: <<Senti, ma tu lo sai come facciamo a scrivere questi libri? Ci sediamo al tavolo della colazione (mima il suo interlocutore spaparanzato sulla sedia mentre, con un sorriso sardonico, legge le pagine spalancate di un quotidiano, n.d.a.), mettiamo assieme tutti i giornali della mattinata e si scrive un libro>>. Vabbè, tanto per dare un’istantanea del Concilio, che dovrebbe essere visto nella sua interezza, ma purtroppo è stato mal capito tantissime volte.

    Dal nostro corrispondente da New York

    Luca Dombrè

    SULLE RIVE MOZZAFIATO DELLO HUDSON. CON L’ASSISTENTE DI FULTON SHEEN

    Mons. Hilary Franco

    La prima volta che sentii parlare della figura di monsignor Hilary Franco fu durante una conversazione con padre Walter Tonelotto, responsabile della Radio Maria italiana a New York di cui ho raccontato precedentemente su queste pagine. Il sacerdote italiano ne descrisse la grande umanità e buona disposizione e mi suggerì che potevo contattarlo per richiedergli un’intervista con un’autorevole personalità del cattolicesimo americano. Per darmi un’idea di ciò, mi disse che, negli anni ’60, il monsignore era stato a lungo assistente del Servo di Dio Fulton J. Sheen, vescovo famosissimo (non tanto in Italia, quanto nel mondo anglosassone) della cui causa di beatificazione si sta attualmente occupando. Poi mi raccontò anche di un episodio descritto in una biografia di Giovanni Paolo II del giornalista polacco-americano Tad Szulc, dove si riferiva che agli inizi degli anni ’80 monsignor Franco fu inviato a Mosca da papa Wojtyla per recapitare in persona alcune missive all’allora segretario generale del PCUS Leonid Brežnev. Circostanza mai ufficialmente confermata dal prelato statunitense, che glissò ammettendo di essersi trovato nella capitale sovietica per “fare jogging attorno al Cremlino”.

    Iniziai così a documentarmi sul personaggio, prima di chiamarlo per organizzare un incontro. E se quest’ultimo episodio poteva risultare alquanto interessante specie in un’ottica di aneddotica storico-politica (ma tutto sommato incidentale nell’approfondimento di un cammino spirituale), in realtà il valore più considerevole risiedeva nella prima informazione datami da padre Walter. Nel mio approfondimento, infatti, compresi presto la grandezza di Fulton J. Sheen e l’influenza incredibile che fu capace di esercitare durante il suo lungo apostolato. Non capirne la maestosità significherebbe omettere dal ritratto della storia della Chiesa americana del ‘900 un soggetto capitale (i dettagli li scopriremo più avanti in questo articolo). Un vero maestro, dunque, specie per monsignor Franco che lo affiancò per lunghi anni trovando in lui una guida pastorale ed umana che ne ha indelebilmente segnato il percorso. Percorso, quello di Hilary Franco, che lo ha visto protagonista e testimone di mezzo secolo di storia della Chiesa Cattolica, come perito nella preparazione del Concilio Vaticano II e poi nella Congregazione per il Clero, solo per citare due tra gli incarichi del suo lungo curriculum.

    Lo Hudson, sul quale si affaccia la parrocchia di Sant’Agostino di mons.Franco

    Tento di telefonare al monsignore un paio di volte una mattina di lunedì. Non ricevendo risposta, lascio un messaggio in segreteria. Il giorno successivo è lui stesso a richiamarmi. Il suono, la cadenza, il tono di una voce molte volte possono fornire un’anticipazione esaustiva per descrivere il carattere di una persona. Nel caso del mio interlocutore, fin dal primo istante trovo conferma del ritratto datomi da padre Walter di una persona di estrema cortesia e disponibilità. Parla un italiano impeccabile, conseguenza, come si vedrà, non certo solo dei decenni trascorsi in Vaticano. Si dice contento di potermi dedicare un po’ del suo tempo per rilasciarmi un’intervista in cui, gli anticipo, verranno toccati diversi argomenti. Ci accordiamo così per il sabato di quella stessa settimana.

    Dovrò raggiungerlo nella sua parrocchia ad Ossining, piccola cittadina sulle rive del fiume Hudson a circa tre quarti d’ora di treno da Manhattan. Giunto quel giorno, mi alzo prestissimo per poter arrivare puntuale all’appuntamento stabilito per le 10 antimeridiane. Le previsioni del tempo dicono che non è ancora finito Ottobre, ma sarà già ora di veder cadere la neve in uno di quegli sbalzi meteorologici così tipici di New York. Supero senza problemi l’abituale ordalia dei cambi di servizio della metropolitana nel fine settimana e arrivo con buon anticipo alla pittoresca stazione di Grand Central. Avviandomi al treno che mi porterà su oltre Harlem e il Bronx, mi concedo una tipica colazione newyorchese ‘on the go’ (caffè e bagel alla crema di formaggio), guastata dalla vista di una gigantografia di Susan Sarandon (che qualche giorno prima aveva dato sfoggio della sua dotta cultura liberal definendo Benedetto XVI “un nazista”) testimonial di un nuovo negozio di abbigliamento giapponese sulla Quinta Avenue.

    Decido per direttissima che boicotterò senza remore la ditta nipponica nonostante gli appetibili sconti promozionali di cui avevo pensato di approfittare. “Piuttosto muoio assiderato”, mi dico. Prendo così posto in carrozza ripassando lo schema di domande preparate per poter rendere un quadro quanto più soddisfacente del monsignore, del suo mentore spirituale Fulton J. Sheen e di diversi aspetti del cattolicesimo americano ed europeo degli ultimi cinquant’anni.

    Nel tragitto non posso fare a meno di incantarmi ad osservare il repentino cambio di scenografia dai casermoni di Harlem al pacifico panorama del fiume nocciola contornato dalla policromia da tipico autunno delle foreste nordamericane. Arrivo alla stazione di Ossining in orario svizzero e prendo un taxi che, in pochi minuti, mi porta alla parrocchia dedicata a Sant’Agostino, la cui chiesa si affaccia in posizione elevata sull’Hudson, un’ubicazione mozzafiato per bellezza paesaggistica e la pace che trasmette. In chiesa vi sono solo due persone a pregare e chiedo ad una signora dove posso trovare il monsignore.

    La parrocchia dell’ex assistente del vescovo Sheen, a nord di New York City

    Mi dice che è impegnato con le confessioni, e così mi siedo nell’atrio in attesa, osservando i ritratti di papa Wojtyla e del vescovo Sheen, avvolto in un silenzio davvero dell’altro mondo, se solo penso allo strepito sopportato ogni giorno a così pochi chilometri di distanza. Solo pochi minuti e finalmente monsignor Franco sbuca da una porta della sacrestia. E non mi ero sbagliato al telefono: mi accoglie con calore e subito mi chiede se può darmi del tu. “Ci mancherebbe!”, rispondo come sorpreso da questa volontà di mettere da parte i formalismi di sorta ed instaurare un rapporto verace, che inaugura mentendo sulla propria età (<<Ho 39 anni!>>).

    Penso per un istante che dovrei sentirmi in soggezione di fronte non a un monsignore “qualunque”, bensì uno che è stato intimo collaboratore di un prossimo beato (<<Ti do già una notizia in anteprima – mi dice mentre ci apprestiamo a prendere posto per la conversazione a un tavolo con vista giardino-: posso ufficializzarti che l’anno prossimo Fulton J. Sheen verrà beatificato>>) e di un futuro santo come Giovanni Paolo II. Ma l’impaccio dura giusto il tempo per il monsignore di farmi sentire immediatamente a mio agio; e arriva dunque il momento di metterci comodi per cominciare una chiacchierata che durerà per circa un’ora e un quarto.

     

      continua.........








    Fraternamente CaterinaLD

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    00 12/09/2015 21:05


    DIALOGO CON MONSIGNORE

    A 30 ANNI DENTRO IL CONCILIO. INCONTRI CON I PERITI RAGAZZINI: RATZINGER E KUNG

    Monsignore in una trasmissione radiofonica a parlare di Sheen, con l’arcivescovo di NY Dolan

    Monsignore, vorrei innanzitutto chiederle alcuni accenni alla sua storia personale per far capire ai nostri lettori chi è Hilary Franco.

    La mia origine è italiana, perché papà e mamma erano italiani. Mamma era innamorata della cultura italiana. Insegnò italiano per 41 anni e ci proibiva di parlare inglese a casa, per cui ad un certo punto mi sono trovato ad avere un’altra lingua, appunto quella italiana, senza che me ne accorgessi. Mia madre campò fino a 98 anni e fino a tre mesi prima di morire era sempre il boss della famiglia. Non voleva che parlassimo in dialetto calabrese, di cui io ero innamorato. Per impararlo, nel periodo in cui fui ordinato sacerdote quando avevo 22 anni (credo uno dei più giovani sacerdoti ordinati), andavo dal Bronx, dove vivevamo, a Stanford nel Connecticut, dove c’erano degli immigrati calabresi.

    Questo mi aiutò tantissimo, perché poi la vita mi portò a viaggiare in Australia diverse volte e lì ebbi modo di parlare le tre lingue: inglese, italiano e il dialetto. Pochi lo sanno, ma il 26% della popolazione australiana è di origine italiana, per cui era un privilegio potermi esprimere in tre idiomi una volta là. Ho studiato qui negli Stati Uniti, poi dopo dovevo andare al Collegio Americano del Nord a Roma, al tempo ancora in via di ricostruzione dopo la guerra. Più che ricostruito, fu rimodellato e il cardinale Spellman ritenne che il seminario romano fosse la scelta migliore dicendomi: <<Devi andare dove ci sono dei miei grandi amici>>. I suoi grandi amici erano non solo il papa Pio XII, ma anche il cardinale Borgongini Duca e soprattutto il cardinal Ottaviani, con cui erano molto legati. E così, finita la mia preparazione seminaristica lì, fui ordinato e l’anno dopo, a 23 anni, discussi la mia tesi di laurea in Teologia Biblica sui primi tre capitoli della Genesi in ebraico, un’esperienza bellissima.
    Dopo, il mio sogno era quello di stare con il popolo di Dio in parrocchia e all’inizio rimasi nel Bronx e successivamente fui mandato a Staten Island. E poi venne fuori questa incredibile cosa al tempo della preparazione del Concilio Vaticano II, quando fui nominato assistente del famoso vescovo della televisione americana Fulton J. Sheen, e così andai a vivere nel cuore di Manhattan al 109 East sulla 38ma strada e Park Avenue. Lì si aprì naturalmente un nuovo mondo: sai, conoscere tutto l’ambiente dei mass media fu un’esperienza che non si può calcolare. Fui con lui dal 1962 al ’67 quando andò a Rochester.

    Mons.Franco, il primo a sinistra con una oleografia di Sheen: è attivamente impegnato per la sua beatificazione. Che ci annuncia in anteprima avverrà nel 2012

    Devo poi dire che intanto, durante i miei giorni liberi, studiavo per la seconda laurea in sociologia alla Fordham University e lavoravo con Fulton Sheen che era membro di tre commissioni anti preparatorie del Concilio. Ovviamente era tutto in latino e le sue idee erano magnifiche, tanto è vero che poi si sono realizzate nel Concilio.

    Il Concilio è stata un’esperienza straordinaria. C’erano degli esperti, come un certo Joseph Ratzinger, che era l’esperto del cardinal Frings. A quel tempo c’era ancora tanto da maturare in lui e in tutti noi. C’era Hans Küng… Una volta mi ricordo che lui non era venuto alla sessione prima dell’ultima nel ’65 e gli dissi: <<Ho visto che hai scritto un libro, Il Concilio giorno per giorno. Ma come hai fatto a scrivere un libro se non sei mai venuto? Non t’ho visto mai>>.
    E lui mi sorrise e disse: <<Senti, ma tu lo sai come facciamo a scrivere questi libri? Ci sediamo al tavolo della colazione (mima il suo interlocutore spaparanzato sulla sedia mentre, con un sorriso sardonico, legge le pagine spalancate di un quotidiano, n.d.a.), mettiamo assieme tutti i giornali della mattinata e si scrive un libro>>. Vabbè, tanto per dare un’istantanea del Concilio, che dovrebbe essere visto nella sua interezza, ma purtroppo è stato mal capito tantissime volte.

    In quelli che venivano dagli Stati Uniti c’era una certa mancanza di preparazione. Prima di tutto, erano pochi quelli che comprendevano la lingua. Non c’era la traduzione simultanea per cui era un lavoro enorme per noi che eravamo lì nella Segreteria Generale con l’allora arcivescovo Pericle Felici, visto che dovevamo presentare i documenti ai 2500 prelati, soprattutto per me che dovevo farlo per i vescovi americani. Fu un lavoro improbo, ma bellissimo, una grande esperienza. Poi, dopo il Concilio, ritornato qui rimasi nella diocesi di New York e fui inviato a Mount Vernon, e mi auguravo finalmente di realizzare il mio sogno di stare con il popolo di Dio, che è stato sempre il mio desiderio dall’inizio della mia ordinazione. E invece, dopo appena sei mesi, fui chiamato alla Nunziatura a Washington e successivamente da lì venni chiamato a Roma. Mi dissero “per due anni”.

    A quel tempo noi sacerdoti credevamo nell’obbedienza. Gli anni passavano, il lavoro era enorme, avevo la responsabilità nel dicastero per il mondo di lingua inglese. Era un lavoro importante perché era l’immediato dopo-Concilio, una situazione eccezionale. Tu pensa che il mio predecessore era un ungherese e mi ricordo quando andai lì e gli dissi: <<Monsignore, ma lei conosce bene la lingua?>>. <<No -dice- io non conosco la lingua>>. <<Come? Lei non conosce l’inglese… è responsabile per i paesi di quella lingua. E’ mai stato nei paesi dove si parla?>>. <<No, io a parte la mia origine ungherese, da qui a Frascati ti posso parlare di tutto!>>. Era un altro mondo, capisci, che veniva fuori dopo il Concilio ed era molto importante avere persone che potessero unire i vari versanti del mondo cattolico. Fino al Concilio, c’erano ancora quei formulari in latino, ricordo di averli visti, dove si metteva il nome della diocesi in latino, il rescritto e poi finiva lì, non c’era nient’altro.
    E poi, figurati, un americano a capo della Congregazione per il Clero, che era la più potente congregazione al tempo, il cardinale John Joseph Wright… fu una vera rivoluzione, nel senso buono della parola. Intanto scorrevano gli anni, allora mia mamma, con la sua arguzia, mi disse: <<Senti, io non ti vedo mai – papà era morto relativamente giovane a 69 anni-, vorrei stare un po’ con te. Adesso capisco che volevano dire i tuoi superiori quando ti hanno detto ‘due anni’. Volevano dire ‘anni romani’, cioè ‘anni eterni’>>. E difatti quei due anni diventarono 26. Poi, finalmente, dopo aver insistito per ritornare in mezzo al popolo, tornai e grazie a Dio sono qui oggi.

    IL PRIMO “TELEVANGELISTA”: FULTON SHEEN. “CI FOSSE LUI SI ARRESTEREBBE LA PLETORA DEI DENIGRATORI DELLA CHIESA”

    Sheen al Concilio

    Perfetto, un quadro decisamente esauriente. Partiamo allora da Fulton J. Sheen, vescovo ausiliare di New York negli anni ’50-’60, una figura straordinaria molto poco nota al pubblico italiano che, al massimo, può avere in mente don Mazzi quando pensa al cattolicesimo televisivo (qui mi trattengo dallo sparare facili proiettili sulla Croce Rossa evitando di nominare anche Ravasi, mentre il Monsignore esclama a bassa voce un serafico “Beh, insomma, con tutto il rispetto…”, n.d.a.), in cui l’Italia non ha grosse tradizioni (a parte forse Padre Mariano), mentre Fulton Sheen fu addirittura un pioniere della telepredicazione già ai primordi della tv, definito da Time “il primo televangelista”, nonché vincitore di un Emmy nel 1952. In questo senso un personaggio unico e anche molto americano.
    Specie sotto questo aspetto di star della comunicazione, Fulton Sheen ci permette di fare alcune considerazioni strettamente legate alla contemporaneità, dove media e internet rappresentano un elemento di mutazione dell’umanità e del linguaggio umano. Vedendo alcune delle sue trasmissioni sono rimasto rapito dal 
    carisma e dal portamento nobile da antico principe della Chiesa (il mantello, la teatralità di certi gesti, la conoscenza dei tempi retorici, ecc.), tratti che, a mio avviso, mostrano unaspetto sintomatico della santità: la chiarezza con cui si esprime incanta (ad esempio inquesto link) i suoi ascoltatori facendo sembrare la fede qualcosa di epico, un’epopea senza eguali, guidandoli così al cuore della Verità. 
    Oggi sembrano mancare questi grandi santi (penso a un altro oratore poderoso come san Vincenzo Ferrer) che nell’era della comunicazione potrebbero convertire masse immense. A suo parere, c’è speranza che il Signore ci doni figure di tale statura di cui, diciamocelo, abbiamo un disperato bisogno?

    Dunque, qui c’è da dire che è un po’ difficile ripetere il successo di Fulton Sheen, che era una sorta di erede naturale di questa tradizione di cui parlavi. Prima di tutto lui aveva già un programma radiofonico, che poi nel ’52 l’ha visto spostarsi anche in televisione, una “zona mediatica” che, con lui, veniva conquistata per la prima volta da un cattolico. Se noi pensiamo seriamente alla storia degli Stati Uniti e del cattolicesimo americano, dobbiamo inquadrare questo rapporto – e questa è una cosa che forse dico per la prima volta- proprio nell’attività di Fulton Sheen. Con questa sua attività mediatica, in radio e poi in tv per tanti anni, ha presentato il cattolicesimo come non era mai stato fatto in precedenza. Anzi, fino a quel tempo, c’erano stati non solo quelli che avevano perseguitato il cattolicesimo in questo paese, ma anche tutta la pletora di movimenti anticattolici che abbiamo avuto nella storia. Tutti costoro si sono fermati davanti a quest’uomo. Arriverei a dire anche un’altra cosa: se nel 2002, ai tempi dello scandalo che si è scatenato qui sulla pedofilia, ci fosse stato un Fulton Sheen in televisione, la questione sarebbe stata trattata differentemente. I mass media hanno massacrato la Chiesa: non puoi condannare una categoria di persone solo perché lo 0,97% (manco l’uno, in alcuni posti siamo arrivati al tre) sono stati coinvolti negli abusi, quando questi sono avvenuti anche in tante altre categorie (pastori protestanti, boy scouts, ‘Big Brothers organizations’, dottori, infermieri), com’è possibile? Se avessimo avuto qualcuno come Fulton Sheen, la cosa sarebbe stata affrontata in maniera molto diversa, tanto per dare un’idea della grande influenza che ha avuto quest’uomo non solo sui cattolici, ma sul mondo americano.
    Per farti un altro esempio: in una trasmissione in tv in fascia di ‘prime time’ il tema era “Cosa ci aspettiamo dai giovani americani del domani?” oppure in un’altra parlò delle tre parole che i Greci avevano per indicare l’amore. La sera i giovani, invece di scappare a casa per la partita di football, andavano a casa per vedere Fulton Sheen. Non so se rendo l’idea. Proprio ieri, su una barca che faceva il giro di Manhattan, ho incontrato un giovane sacerdote sudafricano, credo sui quarant’anni, che lavora nel corpo diplomatico. Quando ha saputo della mia esperienza con l’arcivescovo Sheen, è venuto da me e si è presentato dicendomi che la sua vocazione sacerdotale è dovuta a Fulton J.Sheen. Una delle prime cose che aveva letto da giovane prima di diventare sacerdote quando era ancora un avvocato fu The priest is not his own (‘Il sacerdote non appartiene a se stesso’, n.d.a.).
    E io gli ho risposto: “Ah, interessante, perché tutta la ricerca scritturale di quel libro è stata fatta da chi le parla”. Ma a parte ciò, lui era stato chiamato dal Signore attraverso prima quel libro e poi anche The life of Christ, un capolavoro che ancora oggi fa testo. Insomma, queste sono cose che volevo dire perché inquadrano l’importanza di Fulton Sheen nel mondo non solo americano e non solo in quello cattolico. Avere una audience che era al 40% cattolica, 30% ebrea e 30% protestante è indicativo dell’influenza che quest’uomo ha avuto nei mass media. Mi viene da citare un altro episodio.
    Uno di quelli che furono da lui convertiti fu Thomas Watson Sr., il fondatore dell’IBM, che veniva spesso ad ascoltare la nostra Messa in cappella sulla 38ma strada e scendeva in sala da pranzo con noi per la prima colazione. Un giorno, questo ‘cosetto’ di grande intelligenza mi disse: <<Padre, oggi alle 10 vi manderò il mio autista per portarla con l’arcivescovo a vedere il mio computer>>. Allora, eravamo agli inizi degli anni ’60, il quartier generale dell’IBM era a Manhattan e così andammo là a vedere questo enorme auditorium tutto pieno di scaffali metallici e di tecnici vestiti di bianco. A un certo punto, Watson si voltò verso di me, che ero il più giovane del gruppo, e mi disse: <<Padre, un giorno tutto quello che vede qui e anche di più sarà contenuto nella sua tasca>>.
    Ed ora nella mia tasca ho proprio un I-phone, ecco! Anche questo aneddoto, insomma, è per ricordare l’influenza che Fulton Sheen ha avuto anche su grandi personaggi del tempo. Ma chiedo scusa se mi sono dilungato e sono stato prolisso…





      continua..............

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 12/09/2015 21:07


    No, anzi, era importantissimo sottolineare quale rilevanza abbia avuto Fulton Sheen.

    Per non parlare del Concilio. Mentre quando erano chiamati ad intervenire gli altri relatori molti cercavano di dileguarsi, che so, andandosene al caffè, non appena il presidente di turno annunziava il nome di Fulton Sheen TUTTI, TUTTI i padri conciliari tornavano al loro scranno a sentirlo parlare, lui ben preparato, naturalmente in latino. Anche questo per dire della sua importanza non solo a livello americano, ma mondiale, ecco.

    Sempre per rimanere sulla questione Chiesa e comunicazione oggi…

    Non vedo un altro Fulton Sheen.

    Ecco, non al momento.

    No, absolutely not! Volendo contare su una scala da uno a cento – tu hai menzionato qualcuno, ma non ne parliamo proprio-, gli altri arrivano al due, nientedimeno. Un abisso. La comunicazione è qualcosa di eccezionale, meraviglioso, con tanti retroscena, e il boom televisivo ha contribuito ai grossi successi di Fulton Sheen. C’era Milton Berle, che allora era il personaggio più popolare della tv, e con l’arcivescovo si volevano un bene matto. Lui era ebreo e la gran parte delle barzellette sugli ebrei che conosco le imparai da lui. Jack Benny che diceva sempre di avere 39 anni ed era una battuta che gli avevo suggerito io. Per questo mi permetto di dire che ho 39 anni anch’io. C’erano Jackie GleasonMaureen O’Hara, insomma tutti questi personaggi.

    QUESTA CHIESA ATONA CHE NON SA PIÙ COMUNICARE. SHEEN DICEVA: “NEI PRIMI 5 MINUTI NESSUNO TI ASCOLTA, AVEVA CAPITO TUTTO SU COME SI EVANGELIZZA

    Il Sacrificio: Alter Christus

    Dicevamo della capacità della Chiesa di comunicare oggi. Il problema è questo: spesso e volentieri, a tutti i livelli della gerarchia, dal semplice prete fino anche al cardinale, gli uomini di Chiesa vengono come posseduti da questo demone mediatico per cui devono parlare, parlare, parlare anche quando non hanno nulla di nuovo da dire, esprimendosi come un qualunque opinionista sugli argomenti più disparati. La faccenda, quindi, è che però non parlano della questione più importante, cioè evangelizzare, mantenere vivo nel mondo lo scandalo cristiano, che non fa mai stare “in pace” gli uomini. Come facciamo a farli tornare a parlare dell’Essenziale con la “E” maiuscola?

    Dunque, Fulton Sheen mi diceva sempre: <<Ricordati che i primi cinque minuti quando tu parli – e da allora in poi ho sempre fatto questo- nessuno ti ascolta. Allora devi raccontare qualcosa, o una barzelletta o qualcosa che attiri l’attenzione. Poi, nei secondi e terzi cinque minuti, tu devi dare l’essenziale, ma farlo in modo che rimanga. Questo è il segreto>> (in quest’altro link, come in tutti quelli rintracciabili su internet, si trova la conferma di questa strategia retorica. Qui in particolare parla del diavolo in una strepitosa lezione che andrebbe mostrata obbligatoriamente in ogni seminario, n.d.a.). Io, cioè, non posso mettermi a leggere un discorso – per carità, posso anche leggerlo, ma bisogna saperlo fare- ma non recitare monotonamente, perché la gente si mette a dormì. Non possiamo fare questo. E poi bisogna mettere l’essenziale in quei dieci minuti. <<Dopo – mi diceva sempre –, forget about it! (questa è una ricorrente espressione newyorchese per indicare un responso categorico. Molti ricorderanno Johnny Depp darne una spiegazione in ‘Donnie Brasco’, dove in italiano l’idioma veniva tradotto ‘che te lo dico a fare’, n.d.a.)>>. E’ fondamentale capire questo.

    Purtroppo oggi abbiamo degli ‘speakers’ che non sono all’altezza. ‘Comunicare’ significa trasferire l’ispirazione che il Signore mi ha fornito nella mia preparazione a qualcuno con cui sono in comunicazione. Se io non riesco a comunicare, vale a dire se questa persona non riceve, è meglio che mi metta a fare un’altra cosa, tipo vedere una partita di calcio, ecc. Tu giustamente hai parlato anche di alta gerarchia: io assolutamente non riesco a capire questo modo di comunicare così afono, senza anche quell’entusiasmo che è necessario. E se non c’è questo, non raggiungiamo niente, soprattutto tra i giovani. Per dirne un’altra: ogni anno Sua Eccellenza ed io venivamo invitati da Jackie Gleason per il suo compleanno a Miami Beach da dove trasmetteva il suo programma, allora popolarissimo, per cominciarlo con una parola dell’arcivescovo. Questi iniziava come al solito con una battuta per poi arrivare alla sostanza. Una di queste sere, appunto, iniziò a parlare con quel suo fare meraviglioso, come dicevi prima ‘da principe della Chiesa’, e disse: <<Ero dietro le quinte e Jackie, guardandomi, mi ha detto: “Arcivescovo, lei sta ammirando le ballerine”. E io gli ho risposto: “Non perché sono a dieta, vuol dire che non possa dare un’occhiata al menù”>>. Ci fu un applauso lunghissimo, non puoi capire. Una battuta così detta da un santo. Viene da pensare a quelle di san Filippo Neri. Allora uno si dice: “Possibile che siamo diventati così limitati?”. Poi, comunque, dopo arrivava sempre con la stangata sulla sostanza, così la gente si ricordava sia la battuta, sia l’essenziale.

    Con l’altro potente e carismatico “comandante in capo” della chiesa cattolica americana, un’altra figura eminentemente pacelliana: il suo arcivescovo metropolita di New York Francis Spellman (negli ultimi anni della sua vita), del quale fu ausiliare

    Bene. Continuiamo a parlare della figura di Fulton Sheen: documentandomi, ho scoperto che Sua Eccellenza usò parole di fuoco contro il regime di Stalin e il sistema sovietico in generale, che cadde, come sappiamo, durante il papato di Giovanni Paolo II. Entrambi sono due esempi clamorosi di grandi comunicatori nella Chiesa del ‘900. Lei ha lavorato con entrambi: che cosa li accomunava?

    Dopo appena un mese dalla sua elezione al Soglio, ricordo che Giovanni Paolo II venne a parlarmi proprio nel mio ufficio (conservo ancora delle fotografie bellissime di quell’incontro), e di chi parlammo? Solo di Fulton Sheen, del quale era innamorato fin dai tempi del Concilio. Wojtyla all’epoca era appena stato nominato vescovo ausiliare e tutti i vescovi dell’Est europeo accorrevano al banco di Sheen, anche perché in quei territori la Chiesa necessitava finanziamenti (per costruire seminari, ecc.) e lui era sempre generosissimo nello spendersi per i bisogni della Chiesa, non solo perché era direttore nazionale della Propagazione della Fede. C’era tra i due questa incredibile corrispondenza d’amorosi sensi. Giovanni Paolo II fa la sua prima visita a New York il 4 Ottobre 1979, proprio nell’anniversario della prima visita di un papa agli USA. Che fu quella di Paolo VI il 4 Ottobre 1965, verso la fine del Concilio, per 24 ore sole. Con Fulton Sheen tornammo apposta per coprire l’evento per la CBS. Dicevo: ovviamente Wojtyla si ferma anche nella cattedrale di San Patrizio, gremitissima per la prima visita del nuovo papa, come puoi immaginare. C’è tutta la gerarchia ecclesiastica locale, il cardinale di New York allora era Terence Cooke (dichiarato a sua volta Servo di Dio nel 1992, n.d.a.). Ma lui non si ferma da Cooke e va immediatamente a salutare Fulton Sheen che sta sulla destra con gli altri vescovi. E nella sua santità – lo posso dire, poiché il Santo Padre aveva una grande venerazione per lui – l’arcivescovo (che morirà appena due mesi dopo, il 9 Dicembre) cerca di inginocchiarsi davanti al papa e il papa lo prende, come aveva fatto col cardinale WyszyÅ„ski il giorno della sua intronizzazione, e lo abbraccia dicendogli delle parole che rimangono scolpite nella memoria: <<Lei ha scritto e parlato benissimo del Signore Gesù Cristo. Lei è un figlio leale della Chiesa>>. Io tra l’altro ho l’intenzione di pubblicare un libro di mie memorie su di lui, e di lui conservo ancora 64 lettere che mi inviava ogni mese quando ero a Roma. E in queste è possibile scorrere la storia della Chiesa americana post-conciliare dove parla con incredibile chiarezza, dicendo pane al pane vino al vino, papale papale, insomma. Sit sermo vester:estestnonnonSpero un giorno di poterle pubblicare, vedremo, con l’aiuto del Signore e della Sua Santissima Madre.




       continua............
     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 12/09/2015 21:09

    REAGAN VENNE A ROMA SOLO PER VEDERE IL PAPA. E SCATTÒ LA GELOSIA DI PERTINI

    Il Sacrificio della Messa di Sheen

    Soffermandoci ancora su Giovanni Paolo II e il suo ruolo, ancora dibattuto dagli storici, decisivo nei processi che portarono all’implosione dell’Impero del male. Al di là dell’episodio, pare da lei mai ufficialmente confermato (qui il Monsignore capisce al volo e ripete un eloquentissimo “no, no, no”, n.d.a.), delle lettere che il Pontefice le affidò personalmente per essere recapitate nelle mani di Brežnev tra l’agosto 1980 e il febbraio 1981in che misura l’incessante attività del papa polacco nelle controversie tra la sua nazione e l’URSS fu importante al dissolvimento della sanguinaria e disumana illusione comunista? Qual è la sua opinione a riguardo?

    Ritengo che già solo il fatto che, non appena eletto papa, volle tornare quasi immediatamente nella sua patria, con la ‘scusa’ che era la sua patria, fu già di per sé qualcosa di sconvolgente. Gli esponenti del governo polacco rimasero scioccati, perché nessuno se l’aspettava; ma lui, che era un uomo di polso che non aveva paura di niente e di nessuno, volle andare. Lo stesso nel 1979, per il suo viaggio pastorale in Turchia, quando tutti gli dissero: <<Ma Santità, è pericoloso, assolutamente non conviene>>, perché c’è sempre un team che fa prima un sopralluogo e poi riferisce delle condizioni logistiche. Era anche il periodo del terrorismo in Italia, dunque immagina le tensioni. Ebbene, lui ci guardò: <<In questo momento tutti hanno paura. Se anche il papa ha paura…?>>. Qualcuno suggerì anche l’uso del giubbotto antiproiettile e lui scoppiò in una risata enorme.
    Poi parlando anche di quest’altra corrispondenza d’amorosi sensi che aveva con Reagan: ricordo quando il presidente americano venne per un giorno soltanto a Roma e solo per incontrarsi con Giovanni Paolo II durante uno dei periodi cruciali della Guerra Fredda. Tra l’altro subirono gli attentati alla loro vita più o meno nello stesso periodo (Reagan il 30 Marzo 1981, mentre il papa neanche due mesi dopo il 13 Maggio, n.d.a.e il giorno di quello al pontefice io ero nel mio ufficio col finestrone che dava proprio su piazza San Pietro. Resi la mia testimonianza a Marvin Kalb della NBC per lo speciale 60 Minutes: The man who shot the Pope (trasmesso nel 1982, n.d.a.). Comunque, tra i due c’era veramente una sintonia particolare, non solo per via degli attentati subiti, ma perché riuscirono a fare ciò che nessuno prima di loro era riuscito a fare riguardo la questione della Guerra Fredda. Hai letto in alcune biografie su Giovanni Paolo II… ho fatto quello che dovevo fare… e lì io vedo assolutamente la mano della Provvidenza.

    Quindi il suo ruolo fu capitale.

    Sì, sì, completamente. C’è stato chi ha parlato dell’Ostpolitik, Casaroli, ecc. Questo lo lasciamo da parte, per carità, non c’entra proprio niente. Era lui, lui personalmente che ha guidato in modo eccezionale questo fatto straordinario della storia contemporanea, parliamoci chiaro. Sai, dopo 70 anni di comunismo, non era una cosa molto semplice. Io già vidi allora, nella calda estate del 1980, alcune cose che facevano presagire quello sviluppo e che naturalmente riportai al papa. Ripeto: ci fu una eccezionale sintonia di intenti con Reagan. Come, del resto, al tempo di Giovanni XXIII, la crisi dei missili cubani fu scongiurata dalla Pacem in terris, perché sembrava che Kruscëv e Kennedy nonpotessero più tornare indietro, ma con l’intervento di quell’enciclica e un po’ con le nostre manovre diplomatiche contribuimmo ad evitare una terza guerra mondiale. Ma stavo dicendo: Reagan venne per un giorno con sua moglie Nancy, e lo ricordo anche perché si sfiorò l’incidente diplomatico. Ci fu Pertini che disse: <<Non è possibile, il presidente americano viene in Italia e non mi viene a trovare (fa vibrare quasi impercettibilmente la voce come ad imitare quella dell’allora presidente della Repubblica, n.d.a.)>>. Allora dovemmo correre ai ripari e si propose che Reagan si recasse a pranzo al Quirinale. Lui era venuto esclusivamente per parlare col papa, dunque non era venuto in Italia, ma nella Città del Vaticano. Però per far contento Pertini… Mi ricordo che la signora Nancy, poveretta, disse: <<Ma come faccio a cambiarmi?>>. <<Mah – dico-, troveremo una stanza, ce ne stanno a migliaia>>.

    LA CONTESTAZIONE POST-CONCILIARE NEGLI USA CI FU PERCHÈ “I VESCOVI NON SAPEVANO BENE IL LATINO”

    Il giorno della sua consacrazione episcopale, negli anni ’50

    Ora, tornando al Concilio: la questione delle sue conseguenze (abusi liturgici, incancrenimento di teologie via via più intaccate da ideologie anti e post-cristiane, il caso Lefebvre, ecc.) è una pagina, oserei dire una ferita per tanti motivi ancora aperta e di cui abbiamo scritto spesso sul nostro sito. Ci interessa sapere da lei come questo quadro si sia sviluppato negli USA, patria delle contestazioni liberal degli anni ’60 non solo all’esterno, ma anche all’interno della Chiesa stessa. Cosa accadeva nella Chiesa americana di quegli anni?

    Dunque, noi ci troviamo davanti ad un problema di media. Noi americani avevamo dei vescovi fantastici, in gamba, ma pochi esperti a livello teologico. C’erano grandi menti: ho citato Joseph Wright, l’arcivescovo di Chicago Meyer e altri veramente preparati. Ma la maggior parte non lo era, soprattutto perché, anche se avevano studiato il latino, c’era in genere poca dimestichezza con quella lingua, per cui dovevano lasciare le loro interpretazioni a chi si presentava come ‘perito’, ma in realtà non lo era. Era perito in un altro senso, non so se mi spiego (ride, n.d.a.). C’era insomma gente che si era accaparrata questa nomea di ‘perito’ e non lo era assolutamente. Ma non solo: avevano delle idee completamente fuori dal seminato e hanno voluto interpretare un Concilio eccezionalmente pregnante, e lo dico perché ogni parola fu preparata con attenzione. Basta pensare solo al famoso ‘Schema 13‘ della Gaudium et spes che ci dice che ci fu una preparazione non indifferente. E questa, secondo me, è stata la ragione: tornando in patria, i vescovi americani si sono trovati davanti questi che non erano stati presenti al Concilio e si davano le arie di grandi esperti. Siccome in quel periodo ci fu un interesse soprattutto nel costruire le infrastrutture (scuole cattoliche, chiese) in concomitanza anche con l’influenza enorme di Fulton Sheen nello stimolare questo attivismo, quasi non ci fu il tempo di insistere su alcuni aspetti essenziali che erano stati messi ben in evidenza e nella direzione giusta dal Concilio. Invece furono deviati da questo tipo di personaggi, e adesso stiamo cercando di rabberciare il tutto, ma non è facile.

    Era insomma una Chiesa che, come quella europea, attraversava grossi sconvolgimenti.

    Eh! Tu pensa che io avevo a che fare con qualcosa che si chiamava Il Catechismo olandese. La competenza del nostro ufficio era la revisione dei testi catechistici (penso anche a quello canadese) e proprio per questa situazione dovemmo istituire il Direttorio Catechistico Generale, dove c’era da affrontare un’impresa ciclopica.





      continua..........

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 12/09/2015 21:12

    NEGLI ANNI ’70 NOI DI LINGUA INGLESE AVEVAMO GRAN VOGLIA DI STRAFARE… COL NUOVO MESSALE

    Nell’ottobre 1979, Giovanni Paolo II nella cattedrale di NY tira spedito ad abbracciare per primo mons.Sheen, del quale aveva grande venerazione. Monsignore morirà due mesi dopo, a 84 anni

    Bene, a questo torneremo dopo, ma nel frattempo mi interessava sapere cosa accade, invece, nella Chiesa americana odierna, che, al contrario, pare avere incarnato un ruolo guida dell’ortodossia, ad esempio nel campo della morale e del recupero di pratiche liturgiche come l’Adorazione Eucaristica o la stessa Messa Tridentina. Dove è diretta la Chiesa americana oggi? Può davvero avere un ruolo guida per il cattolicesimo mondiale?

    Senz’altro, lo può avere, ma soprattutto nel mondo di lingua inglese. La nuova traduzione del Messale Romano che diventerà norma il 27 Novembre, la prima domenica di Avvento, è un avvenimento straordinario di sviluppo della situazione. Negli anni tra il ’70 e il ’72 c’era voglia di fare e di strafare tra noi di lingua inglese, ma i risultati delle traduzioni del Nuovo Messale non ci convinsero mai davvero. Questo perché si volle una pubblicazione affrettata, mentre le traduzioni italiana, spagnola, francese, erano state più ligie alla lettera latina. Io non ho mai digerito, per esempio, quell’ “also with You” (con il Tuo Spirito), dove ‘also’ non è liturgicamente proprio. C’è tutta questa voglia di fare cose buone, ma non sarà facile. C’è bisogno di una leadership e ora col nuovo presidente della Conferenza Episcopale, l’arcivescovo di New York Timothy Dolanritengo che le cose possano prendere la direzione giusta in questo senso.

    Sempre legato a ciò: lei ha lavorato per un periodo lunghissimo in Vaticano nella Congregazione per il Clero, dunque l’aggiornamento intellettuale e pastorale del clero era una delle materie di diretto interesse del suo ruolo. E’ nei seminari che si può dire risieda l’origine della sciatteria catechistica e liturgica che ha di fatto svuotato le chiese quando non la fede facendo allontanare fedeli frastornati, in quanto non è raro che vi si insegnino dottrine o idee in contrasto variamente grave col Magistero, la Dottrina, la Tradizione, ecc. In questo quadro rientra anche un’altra malattia mondana che ha infettato la Chiesa con effetti devastanti: la political correctness, l’esasperato riflesso di annacquare e addomesticare alla vulgata modaiola la testimonianza, pur di non suscitare fastidio, anzi quasi riducendo la fede a qualcosa di cui vergognarsi in pubblico. Insomma, il famoso relativismo su cui batte senza sosta Benedetto XVI. In tal senso i seminari americani stanno cambiando?

    Stanno cambiando. Tempo fa abbiamo avuto un’opera di correzione da parte di un gruppo di vescovi che avevano il compito di andare a revisionare quello che succedeva nei seminari e, grazie a Dio, devo dire che lo hanno fatto con un buon risultato. Naturalmente adesso bisogna riempirli, questi seminari, questo è il problema. Ma sono convinto che raccoglieremo buoni frutti.

    NOI CATTOLICI AMERICANI NON CI SIAMO FATTI INFLUENZARE DAL PROTESTANTESIMO. AL CONTRARIO DEGLI EUROPEI

    Sheen con Pio XII

    Nell’affermarsi di una tendenza ad uniformarsi alle opinioni del mondo, quanto ha contato e conta nella Chiesa Cattolica statunitense la forte presenza del protestantesimo?Verrebbe infatti da pensare che tanti abusi siano dovuti anche a questa influenza, se si fa, ad esempio, un parallelo col Nord Europa, dove sono stati toccati livelli indescrivibili di follia e apostasia, di cui noi abbiamo scritto parlando ad esempio della situazione austriaca.

    Devo dire che non siamo mai stati influenzati da questa vicinanza al protestantesimo, assolutamente no. Tant’è vero che si può dire il contrario. Ad esempio, qui vicino c’è una chiesa anglicana, ben tenuta…

    Scusi la domanda: ma chi ci va alla chiesa anglicana?

    Ecco, è interessante questo fatto. Se vai nel centro di Ossining troverai tre o quattro chiese di varia denominazione. Noi qui abbiamo 35 acri affacciati sull’Hudson. In questo spazio ce ne andrebbero una ventina di quelle chiese! Non ci sono fedeli. Quando il rettore mi chiese di andare alla sua installazione, gli dissi di sì, eravamo anche diventati buoni amici. Non è sposato, è molto vicino alla Chiesa Cattolica, potrebbe, non si sa mai… Mi chiese di indossare gli abiti corali, e quando andai al piano di sopra dove eravamo tutti i rappresentanti eccelsiastici, vidi che sotto non c’era nessuno, poco o niente. Tant’è vero che mi voltai e vidi che c’erano in maggioranza persone della mia parrocchia a cui avevo chiesto di venire. C’è insomma sempre stato questo ecumenismo positivo, ma, come dicevo, non possiamo assolutamente dire di essere stati influenzati negativamente dal protestantesimo come in Europa.

    E quale è la sua opinione riguardo al Nord Europa, invece?

    Ah, qui è un guaio. Un guaio grosso, perché ritengo sia stato l’immediato ‘misunderstanding’ del post-concilio che ha rovinato tutto. Basterebbe solo il Catechismo olandese per rappresentare la situazione, che da lì si è espansa ed è stata cosa facile avere quegli esiti. Ci fu un grande sforzo per mettere nelle diocesi importanti d’Olanda delle persone valide di cui ci si poteva fidare, ma… è una cosa triste, veramente. Basta pensare a tutti i missionari che quel paese ha dato: erano i massimi esportatori di missionari al mondo. San Damiano di Molokai, per dirne uno. Una Chiesa gloriosa, tutti questi missionari che andavano in giro per il mondo a fare un lavoro eccezionale. Poi è successo il crac.

    Come dicevo prima, in alcuni articoli da noi pubblicati sulla situazione del clero austriaco, abbiamo evidenziato come questo crac delle Chiese nordeuropee di cui lei parla non abbia neanche più a che fare con deviazioni ideologiche, ma semplicemente con i soldi, il ‘posto fisso’ nella gerarchia ecclesiale.

    E’ vero. Ad esempio, mi è venuto a visitare un sacerdote polacco che è parroco nella diocesi di Utrecht e mi ha confermato in qualche modo un quadro di questo genere. Menomale che ci sono questi missionari che vanno dalla Polonia all’Olanda. Pure lui, poveretto, non è che avesse tanta gente nella sua parrocchia.

    L’amatissimo Benedetto XVI ci offre la possibilità di chiudere circolarmente la nostra conversazione. Abbiamo iniziato parlando di Sheen e della necessità della Chiesa del XXI secolo di affrontare la sfida della comunicazione. In questo senso come e quando crede raccoglierà i suoi frutti il progetto di rievangelizzazione fortemente voluto dal papa?

    E’ una domanda non semplice a cui rispondere. Prima di tutto vorrei mettere in risalto una verità lapalissiana: non ci dobbiamo mai dimenticare che questa è la Chiesa di Gesù Cristo, non è la Chiesa di nessuno, né di un papa del 1200 o del ‘300 o qualunque altro.Noi, essendo la Chiesa di Gesù Cristo, ed essendo Lui, se non erro, la Seconda Persona della Santissima Trinità, quindi Dio stesso, non dobbiamo avere nessun problema riguardo il futuro della Chiesa. “Sarò con voi fino alla fine dei giorni”. Tutti parlano di questo problema delle vocazioni… Per carità, noi preghiamo per le vocazioni. In questa parrocchia ho stabilito ogni giovedì, dalle 9 di mattina fino alle 7 di sera, l’Adorazione, seguita da un Benedizione Solenne, dove preghiamo anche per le vocazioni. Queste sono un problema, ma i corsi e i ricorsi della storia di Giambattista Vico ci dicono che ci sono stati momenti in cui non avevamo preti, altri momenti che ne avevamo tantissimi… nessun problema, è la Chiesa di Cristo, per cui non c’è assolutamente bisogno di salvarla. Chi siamo noi? Ci diamo delle arie da salvatori… ce n’è uno di Salvatore, ed è Lui. Questo non significa che non dobbiamo fare nulla, dobbiamo fare del nostro meglio, certo.
    Io ad esempio un po’ ce l’ho con Radio Maria, nel senso che tempo fa ho detto loro: <<Per carità, facciamo tutto quello che abbiamo fatto finora, va benissimo. Ma non dobbiamo predicare al coro. Dobbiamo andare fuori>>.
    Quando Fulton Sheen andò a Rochester interruppe la pubblicazione del giornale diocesano, The Courier. A cosa serve il giornale diocesano? Adesso sarò un po’ iconoclasta: serve solo a mettere tre volte in una pagina la fotografia del vescovo ed è finita lì. Chi è che lo legge? Nessuno. Che cosa ha fatto allora Fulton Sheen? Ha comprato con i fondi di quel giornale una pagina del NY Times. E’ più facile che uno si vada a leggere della diocesi di Rochester dopo aver letto tutte le altre notizie. Finché non comprenderemo questo, non lasceremo mai un solco nella vita del mondo di oggi. Io perché accetto di andare quando mi invitano continuamente, soprattutto Fox News, per cui parlo da esperto di cose cattoliche (per loro, ad esempio, ho commentato sia la morte di Giovanni Paolo II che l’elezione del nuovo papa)? Lo faccio, perché ritengo sia essenziale. Noi dobbiamo uscire fuori. Ci hanno voluto relegare nelle sacrestie. Noi non siamo gente di sacrestia, dobbiamo andare fuori e proclamare. Proprio come è successo nel Cenacolo, quando quei disgraziati avevano paura anche solo di nominare il nome di Cristo, a un certo punto. Ma dopo escono fuori e vanno ad annunciare il Vangelo in tutte le lingue. E’ questo quel che dobbiamo fare. Uscire fuori dal seminato del nostro piccolo mondo, e il nostro microcosmo deve diventare macrocosmo.

    Dobbiamo urlarlo dai tetti.

    That is correct.

     

    POST SCRIPTUM

    Mons.Hilary Franco, nella sua canonica

    A conferma della sua eccezionale disponibilità, al termine del nostro colloquio il monsignore si offre di darmi uno passaggio in macchina alla stazione. Usciamo all’aperto che stanno iniziando a cadere lievi i primi fiocchi di neve. Nel tragitto si torna a parlare di cosa voglia dire fare apostolato, e sottolineo come l’intenzione di chi scrive su questo sito è, tra le altre, anche tentare di promuovere un’idea “sana” dell’ortodossia che prenda le giuste distanze da certo tradizionalismo con tendenze ad un estremismo purista.
    Segregato in sacrestia e con gli occhi foderati di merletti.
    “Cattolici della tradizione” dove la tradizione va intesa come equa misura nel discernimento della retta dottrina e non come crisma furioso di giudizio. Monsignor Franco mi racconta perciò un ultimo aneddoto che ricollega direttamente a queste considerazioni.
    Un giorno, incontrando alcuni studenti cattolici alla Sapienza di Roma, chiese quale fosse secondo loro la virtù più importante. <<La fede>>, disse qualcuno.
    E lui rispose: <<No>>. <<La speranza>>, osservò un altro. <<No>>, ripetè il monsignore. <<La carità>>, suggerì un terzo. <<Neanche>>. Allora una ragazza gli disse: <<Monsignore, sa che farò domani? Andrò in Vaticano a dichiarare che lei è un eretico!>>, scherzò la giovane vedendo negata l’importanza delle Virtù Teologali. Così il monsignore rispose: <<La virtù più importante è l’equilibrio. Senza di esso non si può combattere con profitto la buona battaglia>>.

    Tempo dopo, uno di quei ragazzi lo incontrò di nuovo e gli disse: <<Monsignore, ma lo sapeva che esiste una Madonna dell’Equilibrio?>>. <<Cosa? Di che parli?>>. <<Sì, a Frattocchie!>>, precisamente nell’abbazia circestense dove nel 1967 un monaco trappista, ossessionato durante le sue meditazioni dalla parola “equilibrio”, rinvenne in un solaio un’immagine della Madonna in antica posizione di preghiera, appunto in posa di perfetta stabilità. E’ in questo modo che monsignor Franco mi saluta regalandomi il ritratto tascabile di questa Nostra Signora della provincia romana. Non sono dunque solo sul treno che fa ritorno nello stomaco del gigante, mentre la neve tramutatasi ormai in tormenta rende quasi impossibile riconoscere la sagoma del fiume affogato nella nebbia.









    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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