DIFENDERE LA VERA FEDE

Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (5)

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    Caterina63
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    00 21/10/2016 11:22


     Cari amici, e ci auguriamo anche molti sacerdoti e vescovi, dopo il successo dei BEN QUATTRO precedenti thread su questi appelli (con oltre VENTIMILA visite in totale):

    vedi: -  Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità
    Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(2)  e 

    Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità(3)
    - Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (4)

    arriviamo alla QUINTA pagina dedicata a queste suppliche ai nostri Patori, affinchè VIGILINO  attentamente e con pazienza sul gregge loro affidato, sulla diocesi che sono chiamati a servire..... dal canto nostro assicuriamo preghiera e filiazione affettuosa, sempre... nei Cuori di Gesù e Maria.... specialmente in questo Anno del Centenario di Fatima (1917-2017)





    Pio X : i modernisti predicano una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via alla eterna rovina! Attualissimo!!


    “Se i romani pontefici hanno sempre avuto bisogno di aiuto esterno per il compimento della loro missione, questo bisogno è divenuto oggi molto più sensibile, considerate le difficilissime condizioni del tempo, in cui viviamo, e tenuto conto dei continui assalti ai quali la chiesa è esposta da parte dei suoi nemici.
    E qui non dovete, supporre, Venerabili Fratelli, che noi vogliamo alludere agli eventi di Francia, penosi senza dubbio, ma largamente compensati da preziosissime consolazioni: la unione ammirabile di quel venerando episcopato, il generoso disinteresse del clero, e la pia fermezza dei cattolici, pronti ad incontrare ogni sacrificio per la difesa della loro fede e la gloria della loro patria. Sempre più, è dimostrato che le persecuzioni mettono in evidenza e impongono all'ammirazione di tutti le virtù dei perseguitati... No, la guerra che realmente affligge la Chiesa, la guerra che le fa gridare: “Ecce in pace amaritudo mea amarissima” è quella che nasce dalle aberrazioni intellettuali in virtù delle quali le sue dottrine sono bistrattate, e per cui si ripete nel mondo il grido di rivolta, per cui furono cacciati i ribelli dal cielo. 

    E ribelli purtroppo son quelli che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo, vale a dire sfrondato, come essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei Concilii, dalle massime dell'ascetica; sull'emancipazione della Chiesa, però in modo nuovo, senza ribellarsi per non essere tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni, e finalmente sull'adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via alla eterna rovina

    Voi ben vedete, o Venerabili fratelli, se Noi, che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che Ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a questo attacco, che non è eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede ed annientare il cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi critici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla Fede, ma un libro comune; l'ispirazione per loro si restringe alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall'ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della cosidetta scienza critica, che s'impone alla teologia e la rende schiava. Per la tradizione finalmente tutto è relativo e soggetto a mutazioni e quindi ridotta al niente l'autorità dei Santi Padri. E tutti questi e mille altri errori li propalano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici, e perfino in romanzi, e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in una aperta condanna e prendere però gli incauti ai loro lacci.



    Allocuzione concistoriale 17 Aprile 1907






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    RICORDA, INVECE:

    IL TESTO DELL'INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO TOMASH PETA: «IL FUMO DI SATANA È ENTRATO NEL SINODO»

    Il testo dell'intervento dell'arcivescovo Tomash Peta: «Il fumo di Satana è entrato nel Sinodo»
    Di seguito il testo dell’intervento al Sinodo, sabato 10 ottobre, dell’arcivescovo di Astana (Kazakhstan) Tomash Peta.

    «Il Beato Paolo VI disse nel 1972: “Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”.
    Sono convinto che queste del santo pontefice, l’autore dell’Humanae vitae, furono parole profetiche. Durante il Sinodo dello scorso anno, “il fumo di Satana” ha cercato di entrare nell’aula di Paolo VI.
     
    Precisamente ne:
     
    1) La proposta di ammettere alla sacra Comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile;
    2) L'affermazione che la convivenza è un'unione che può avere in se stessa alcuni valori;
    3) L’apertura all’omosessualità come qualcosa dato per normale.
     
    Alcuni padri sinodali non hanno compreso nel modo giusto l'appello di Papa Francesco per una discussione aperta e hanno iniziato a portare avanti idee che contraddicono la Tradizione bimillenaria della Chiesa, radicata nel Verbo eterno di Dio.
     
    Purtroppo, si può ancora percepire l'odore di questo “fumo infernale” in alcuni passi dell’Instrumentum Laboris e anche negli interventi di alcuni padri al Sinodo di quest'anno.

    A mio avviso, il compito principale di un Sinodo consiste nell’annunciare di nuovo il Vangelo del matrimonio e della famiglia e quindi l'insegnamento del nostro Salvatore. 

    Non è consentito distruggere il fondamento, distruggere la roccia.
     
    Lo Spirito Santo, che vince sempre nella Chiesa, illumini tutti noi nella ricerca del vero bene per le famiglie e per il mondo.
     
    Maria, Madre della Chiesa, prega per noi!»
     

     








    RICORDA ANCHE :

    «Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.
    Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.
    Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.

    Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te.
    Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato».

    questa è: PAROLA DI DIO! (Ezech.3,16-21)



    Risultati immagini per Cristo RE
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    Polonia: sabato 19 novembre i vescovi proclameranno l'”Atto di accoglimento di Gesù Cristo come Re e Sovrano”

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    “Nell’anno del 1050esimo anniversario della cristianizzazione della Polonia e quello del Giubileo straordinario della misericordia, noi polacchi ci proponiamo di riconoscere il Tuo regno e assoggettarci alle Tue leggi, affidando e consacrando a Te, Gesù il nostro paese e tutto il nostro popolo” recita il solenne Atto di accoglimento di Gesù Cristo come Re e Sovrano che l’episcopato polacco ha reso pubblico giovedì 27 ottobre e che verrà proclamato sabato 19 novembre a Cracovia e il giorno dopo nella Festività di Cristo Re in tutte le chiese in Polonia.

    Il portavoce della Conferenza episcopale don Pawel Rytel-Andrianik ha precisato al Sir che non essendoci ancora certezza riguardo alla partecipazione alla cerimonia di Cracovia dei rappresentanti delle autorità, nel testo pubblicato ieri le parole a loro riferite sono state messe tra parentesi.

    L’Atto di accoglimento di Gesù Cristo Re, continuando la tradizione di consacrazione dell’umanità al Sacro Cuore di Gesù da parte di Leone XIII e quella della consacrazione al Cristo Re di Pio XI, “è l’inizio dell’opera di rinforzamento in noi della scelta di Gesù” spiega monsignor Andrzej Czaja, presidente dell’apposito gruppo di lavoro dell’episcopato. Nell’ultimo decennio del Novecento in Polonia hanno ripreso vigore i movimenti popolari per l’intronizzazione di Gesù Re della Polonia. L’Atto solenne è quindi la risposta dei vescovi a numerose richieste dettate dalla pietà popolare.





    PERCHÉ MITIZZARE DA PARTE CATTOLICA UN NEMICO DELLA FEDE COME MARTIN LUTERO, PADRE DEL PROTESTANTESIMO?

    «Non comprendo come uomini della Chiesa contemporanea, compresi alcuni tra i più colti, dotti o illustri, mitizzino la figura di Lutero, l’eresiarca, nello sforzo di favorire un’approssimazione ecumenica, direttamente al protestantesimo e indirettamente a tutte le religioni, scuole filosofiche, ecc.
    Non scorgono il pericolo che è in agguato in fondo a questo sentiero, cioè la formazione, su scala mondiale, di un sinistro supermercato di religioni, filosofie e sistemi di tutti gli ordini, in cui la verità e l'errore si presenteranno frazionati, mescolati e messi alla rinfusa?
    Sola assente dal mondo sarà - qualora fosse possibile arrivare fino a questo punto – la verità integra: cioè la Fede cattolica, apostolica, romana, senza macchia né tanfo. Su Lutero – a cui spetterebbe, sotto un certo aspetto, il ruolo di punto di partenza in questa strada verso la baraonda universale 
     pubblico oggi ancora alcuni passi che ben mostrano l'odore che la sua figura di ribelle spargerebbe in questo supermercato, o meglio in questo obitorio delle religioni, delle filosofie e dello stesso pensiero umano».

    Così scriveva Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nell'articolo Lutero si considera divino! pubblicato in Folha de S. Paulo del gennaio 1984.

    Una breve analisi della sua vita e delle sue dottrine inquadra l’impossibilità di confondere Martin Lutero (1483-1546) con la fede cattolica

    leggi l'approfondimento dell'Associazione Tradizione Famiglia Proprietà



     

    [Modificato da Caterina63 02/11/2016 23:14]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 29/10/2016 15:04
     tanto per.... ricordare e meditare.....

    CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
    PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

    CAPPELLA PAPALE

    ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

    Basilica Vaticana
    Sabato, 24 novembre 2012

    [Video]


     

    «Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica».

     

    Cari fratelli e sorelle!

    Queste parole, che tra poco pronunceranno solennemente i nuovi Cardinali emettendo la professione di fede, fanno parte del simbolo niceno-costantinopolitano, la sintesi della fede della Chiesa che ognuno riceve al momento del Battesimo. Solo professando e custodendo intatta questa regola di verità siamo autentici discepoli del Signore. In questo Concistoro, vorrei soffermarmi in particolare sul significato del termine «cattolica», che indica un tratto essenziale della Chiesa e della sua missione. Il discorso sarebbe ampio e potrebbe essere impostato secondo diverse prospettive: oggi mi limito a qualche pensiero.

    Le note caratteristiche della Chiesa rispondono al disegno divino, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica: «È Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche» (n. 811). Nello specifico, la Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.

    Gesù poi invia la sua Chiesa non ad un gruppo, ma alla totalità del genere umano per radunarlo, nella fede, in un unico popolo al fine di salvarlo, come esprime bene il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen gentium: «Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo Popolo di Dio. Perciò questo Popolo, restando uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si compia il disegno della volontà di Dio» (n. 13). L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio. Così, la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia tutto l’universo. Gli Apostoli rendono testimonianza a Cristo rivolgendosi a uomini provenienti da tutta la terra e ciascuno li comprende come se parlassero nella sua lingua nativa (cfr At 2,7-8). Da quel giorno la Chiesa con la «forza dello Spirito Santo», secondo la promessa di Gesù, annuncia il Signore morto e risorto «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). La missione universale della Chiesa, pertanto, non sale dal basso, ma scende dall’alto, dallo Spirito Santo, e fin dal suo primo istante è orientata ad esprimersi in ogni cultura per formare così l’unico Popolo di Dio. Non è tanto una comunità locale che si allarga e si espande lentamente, ma è come un lievito che è orientato all’universale, al tutto, e che porta in se stesso l’universalità.

    «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «fate discepoli i popoli tutti», dice il Signore (Mt28,19). Con queste parole Gesù invia gli Apostoli a tutte le creature, perché giunga dovunque l’azione salvifica di Dio. Ma se guardiamo al momento dell’ascensione di Gesù al Cielo, narrata negli Atti degli Apostoli, vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione, pensano alla restaurazione di un nuovo regno davidico, e domandano al Signore: «è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6). E come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti e donando loro la promessa e un compito: promette che saranno ricolmi della potenza dello Spirito Santo e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere, per aprirsi al Regno universale di Dio. E agli inizi del cammino della Chiesa, gli Apostoli e i discepoli partono senza alcuna sicurezza umana, ma con l’unica forza dello Spirito Santo, del Vangelo e della fede. È il fermento che si sparge nel mondo, entra nelle diverse vicende e nei molteplici contesti culturali e sociali, ma rimane un’unica Chiesa. Intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono «la» Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale. E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlano della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale della Catholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità.

    Nel solco e nella prospettiva dell’unità e universalità della Chiesa si colloca anche il Collegio Cardinalizio: esso presenta una varietà di volti, in quanto esprime il volto della Chiesa universale. Attraverso questo Concistoro, in modo particolare,  desidero porre in risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si esprime nelle varie culture dei diversi Continenti. È la Chiesa di Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto armonioso al Dio vivente.

    Saluto cordialmente le Delegazioni ufficiali dei vari Paesi, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli laici delle diverse Comunità diocesane e tutti coloro che partecipano alla gioia dei nuovi membri del Collegio Cardinalizio, ai quali sono legati per il vincolo della parentela, dell’amicizia, della collaborazione. I nuovi Cardinali, che rappresentano varie Diocesi del mondo, sono da oggi aggregati, a titolo tutto speciale, alla Chiesa di Roma e rafforzano così i legami spirituali che uniscono la Chiesa intera, vivificata da Cristo e stretta attorno al Successore di Pietro. Nello stesso tempo, il rito odierno esprime il supremo valore della fedeltà. Infatti, nel giuramento che tra poco voi farete, venerati Fratelli, stanno scritte parole cariche di profondo significato spirituale ed ecclesiale: «Prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana». E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa indica «che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio». Mentre la consegna dell’anello sarà  accompagnata dal monito: «Sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa».

    Ecco indicata, in questi gesti e nelle espressioni che li accompagnano, la fisionomia che voi oggi assumete nella Chiesa. D’ora in poi voi sarete ancora più strettamente e intimamente uniti alla Sede di Pietro: i titoli o le diaconie delle chiese dell’Urbe vi ricorderanno il legame che vi stringe, come membri a titolo specialissimo, a questa Chiesa di Roma, che presiede alla carità universale. Specialmente mediante la vostra collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, sarete miei preziosi cooperatori, anzitutto nel ministero apostolico per l’intera cattolicità, quale Pastore dell’intero gregge di Cristo e primo garante della dottrina, della disciplina e della morale.

    Cari amici, lodiamo il Signore, che «con larghezza di doni non cessa di arricchire la sua Chiesa sparsa nel mondo» (Orazione) e la rinvigorisce nella perenne giovinezza che le ha dato. A Lui affidiamo il nuovo servizio ecclesiale di questi stimati e venerati Fratelli, affinché possano rendere coraggiosa testimonianza a Cristo, nel dinamismo edificante della fede e nel segno di un incessante amore oblativo. Amen.





     

    Scrittura e Parola di Dio non sono la stessa cosa. La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito, la Parola di Dio è la pienezza di significato che assumono quando sono predicati sotto la sua azione. La Scrittura è la stessa, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso vicendevolmente inaccettabile.

    di padre Riccardo Barile O.P.

    Nell’intervista del 28 ottobre sulla Civiltà Cattolica in vista del viaggio a Lund per l’inizio del cinquecentesimo anniversario della Riforma, Papa Francesco, alla domanda «Che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana?», risponde a tamburo battente: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”». La Nuova BQ ha già commentato la categoria “riforma”, aggiungendo qualcosa - ma molto poco - su “Scrittura” perché questa categoria sembra più condivisibile. E invece è più insidiosa di “riforma”.

    Su “Scrittura” Papa Francesco così si spiega: «La seconda parola è “Scrittura”, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».

    La frase andrebbe precisata, ma con una premessa di metodo: il Papa non è una “macchina dogmatica”, ma una persona normale e bisogna concedergli di dare risposte a braccio o risposte che tengono conto del tipo di comunicazione nel quale si trova: ora è evidente che una intervista non è né una enciclica né una definizione dogmatica e richiede un linguaggio immediato. Il pericolo viene dopo: costruire delle teorie o delle prassi a partire da questo linguaggio come se non fosse una intervista, ma una enciclica o una disposizione canonica. Proprio per evitare questo, credo siano necessarie alcune precisazioni.

    La frase riportata passa immediatamente da “Scrittura” a “Parola di Dio”: non sono la stessa cosa! La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito Santo; la Parola di Dio è la pienezza di significato che questi vengono ad assumere quando sono letti, predicati, commentati sempre sotto l’azione dello Spirito. Ora la Scrittura è la stessa per protestanti e cattolici, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso è vicendevolmente inaccettabile.

    Infatti l’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini (30.09.2010) di Benedetto XVI ha ricordato la complessità della nozione cattolica della Parola di Dio e, al suo interno, il posto delle Scritture. Al n. 7 è spiegato che “Parola di Dio” è un’espressione “sinfonica”, che indica: a) il Logos fatto carne, cioè la persona di Gesù Cristo; b) la creazione come «libro della natura» in cui l’unico Verbo si esprime; c) l’intera storia della salvezza sino alla pienezza dell’incarnazione e del mistero pasquale; d) la parola predicata dagli Apostoli e «trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa»; e) «infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento».

    È chiaro che la Sacra Scrittura è nella Parola di Dio, ma il testo della Scrittura come tale non è tutta la Parola di Dio, la quale comprende la rivelazione di Dio nel mondo e la tradizione ecclesiale, cioè le definizioni dogmatiche; il patrimonio dei concili anche nel non strettamente definito; le tradizioni di vita discrete ma forti come l’obbedienza, la castità, la devozione mariana ecc. È chiaro che a questo punto la Parola di Dio in Lutero e nella Chiesa Cattolica non possono coincidere ed è chiaro che a questo livello la Chiesa Cattolica ha ben poco da imparare da Lutero.

    Veniamo ora al nocciolo del problema partendo da uno scritto/esempio base di Lutero: il De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (1520). Qui egli rivede tutto il sistema sacramentale con una sorta di rasoio: “Questo sacramento ha o non ha una esplicita istituzione testuale nella Scrittura del Nuovo Testamento?”. Il risultato è che si salvano solo due sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) ed un terzo a metà e poi ripudiato (Penitenza).

    Lutero dunque usa la Scrittura facendola diventare Parola di Dio con tre procedimenti molto poco cattolici.

    - Il primo è che di fatto considera il cristianesimo una “religione del Libro”, mentre «nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» ma «la “religione della Parola di Dio”, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Verbum Domini 7). Se nel cristianesimo tutto dipendesse solo dalle Scritture, bisognerebbe estromettervi Cristo che non scrisse nulla...

    - Il secondo è che, limitandosi alla sola Scriptura, si suppone di arrivare a una primitiva purezza scevra da interpretazioni storiche o attuali, cioè si suppone di agire nel “vuoto ermeneutico”: ora tale vuoto ermeneutico non si dà, perché ogni volta che si cita una Scrittura, che la si accosta ad un’altra, che da qui si passa a come devono essere la Chiesa o la vita cristiana ecc., la si interpreta. E così Lutero, alla interpretazione “papista” dei padri e dei concili spesso da lui sbeffeggiata, sostituisce... la sua!

    - Infine le due operazioni di cui sopra generano un uso in cui la Scrittura è come “esterna” alla Chiesa, quasi per costruire e giudicare la Chiesa dal di fuori.

    Certo, si può concedere la buona fede o la non piena avvertenza di arrivare a questi risultati, ma se «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo», è così che l’ha messa, con criteri cattolicamente discutibili per non dire inaccettabili.

    Se non possiamo prendere esempio da Lutero quanto alla “Parola di Dio”, possiamo prendere esempio da lui quanto allo zelo verso la “Scrittura” nel tradurre la Bibbia in tedesco e con ciò avviando a un più diretto contatto con il testo biblico. È vero che a quei tempi la Chiesa cattolica sembrò un poco in ritardo, ma va ricordato il ministero ecclesiale che in un mondo di analfabeti aveva formato dei credenti i quali attraverso la parola viva e le immagini avevano acquisito una conoscenza biblica di certo superiore all’attuale. E poi anche Lutero non fu uno stinco di santo, a volte piegando i testi alle sue teorie. Ad esempio, per provare che l’Eucaristia come promessa e testamento del Signore dà tranquillità quale che sia il nostro turbamento interno, citò il Salmo 22,5 così: «Tu hai preparato davanti ai miei occhi una mensa contro tutti i miei tormenti»: ora il testo parla di “nemici” e non di “tormenti”, ma a Lutero facevano comodo i tormenti e non si fece scrupolo di una traduzione irrispettosa (Un sermone sul Nuovo Testamento cioè sulla santa Messa - 1520, n. 37).

    Dunque lo zelo verso le Scritture sarebbe di Lutero mentre la Chiesa Cattolica ne sarebbe un poco lontana? Assolutamente no. Però la Chiesa Cattolica si accosta alle Scritture in un modo diverso che mi piace collegare a due citazioni autorevoli.

    La prima è di san Bonaventura († 1274): «Tutta la Scrittura è come una cetra; l’ultima corda da sola non fa armonia, ma insieme alle altre. Similmente, un luogo della Scrittura dipende da un altro, anzi mille luoghi si riferiscono ad un luogo solo» (Collationes in Hexaemeron 19,7). Estendendo l’immagine bonaventuriana, la Scrittura deve fare armonia non solo al suo interno, ma anche con questo mondo, con le definizioni conciliari, con quanto nella vita cristiana è saldamente acquisito o maturato (ad esempio i tre gradi dell’ordine sacerdotale che nel NT non sono così chiari) ecc.: «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (Verbum Domini7).

    La seconda citazione è di un teologo dei nostri tempi, Yves Congar († 1995): «La Chiesa non riceve il contenuto della sua fede dalla Scrittura: essa ve lo ritrova, il che è ben diverso ... la realtà stessa è molto più profonda di qualunque enunciato» (Vera e falsa riforma nella Chiesa. Jaca Book, Milano 1972, p. 377). È una affermazione ardita, che sembra negare la 1Cor 15,3-4: «(...) Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (...) fu sepolto (...) è risorto il terzo giorno secondo le Scritture». In realtà non è semplice trovare nell’AT dei testi esatti che parlino della morte, sepoltura e risurrezione non di qualcuno ma di Gesù Cristo: se Paolo ve li trova è perché prima ha trovato il Cristo vivente nella Chiesa. E questo procedimento vale per tanti altri contenuti di ieri e di oggi.

    In conclusione, il Concilio Vaticano II ha chiesto di aprire più largamente i tesori della Bibbia perché in questo modo la liturgia, la predicazione e la teologia santamente vigoreggiano (SC 24,51; DV 24). Quando però parla dei rapporti della Chiesa Cattolica con il mondo della Riforma (UR 21), sempre vede l’accordo su la “Sacra Scrittura” e il disaccordo su la “Parola di Dio”, dichiarando che vi sono divergenze sul modo magisteriale e cattolico di «esporre e predicare la parola di Dio scritta». Questa distinzione del Vaticano II, fin qui illustrata, mi pare un saggio criterio interpretativo delle parole di Papa Francesco e di dove possiamo o non possiamo prendere esempio da Lutero riguardo alla Bibbia.

    Resta inteso che la convergenza su le «Sacre Parole / Sacra Eloquia» è l’avvio al dialogo «per il raggiungimento di quella unità che il Salvatore offre a tutti gli uomini». Anche se il raggiungimento dell’unità significherà accettare una “Parola di Dio” “cattolica”. Altrimenti è meno peggio restare correttamente (e dolorosamente) separati che scorrettamente uniti.

     





    Lutero precursore del nazismo. Parola del cardinale Koch
    di Francesco Agnoli
    02-11-2016

    Il cardinale Kurt Koch

    Interrogato sull'antisemitismo di Lutero e sul suo violentissimo opuscolo Degli ebrei e delle loro menzogne (clicca qui), il cardinale è andato giù ancora più pesante: "Queste frasi possono essere lette come un’anticipazione dell’Olocausto".

    Lutero come uno dei nonni del nazismo? Un precursore dell'Olocausto? E' vero o si tratta di un giudizio storico infondato?

    Si potrebbe anzitutto ricordare che un analogo giudizio lo aveva già espresso il cardinale bavarese Joseph Ratzinger, nel suo celebre "Rapporto sulla fede" (1984), con Vittorio Messori, a proposito del collaborazionismo di molti protestanti nei primi tempi del nazismo: "Il fenomeno dei «Cristiani Tedeschi» (cioè i protestanti che appoggiarono l'ascesa di Adolf Hitler, ndr) mette in luce il tipico pericolo al quale si trovava esposto il protestantesimo nei confronti dei nazisti. La concezione luterana di un cristianesimo nazionale, germanico, anti-latino, offrì a Hitler un buon punto di aggancio, alla pari della tradizione di una Chiesa di Stato e della fortissima sottolineatura dell’obbedienza nei confronti dell’autorità politica, che è di casa presso i seguaci di Lutero".

    Torniamo a chiederci: le cose stanno davvero così? La risposta, benchè ignorata spesso dal grande pubblico, è oggi piuttosto chiara agli storici: sì, proprio così.

    Il quotidiano cattolico Avvenire, il 13 gennaio 2016 raccontava di un mea culpa pronunciato da alcuni pastori protestanti, memori del fatto che “lo stesso pogrom scatenato in Germania, Austria e Cecoslovacchia durante la cosiddetta «notte dei cristalli» fu voluto proprio nel giorno del compleanno di Lutero. «Il 10 novembre 1938 – scriveva allora il vescovo evangelico-luterano di Eisenach, Martin Sasse – bruciano in Germania le sinagoghe. Dal popolo tedesco viene finalmente distrutto il potere degli ebrei sulla nuova Germania e così viene finalmente incoronata la battaglia del Führer, benedetta da Dio, per la piena liberazione del nostro popolo»”. In quello stesso giorno i nazisti assalivano i palazzi vescovili cattolici di varie città, accomunando ebrei e "papisti" nello stesso odio.

    Due celebri storici come Robert Cecil e Michael Burleigh ricordano che mentre già “nel primo periodo in molte diocesi cattoliche la NSDAP (cioè il partito nazista, ndr) è trattata con spiccata ostilità”, molti protestanti sono da tempo contagiati da nazionalismo, statalismo e antisemitismo, per non cedere, almeno in parte, “a un partito politico che sfruttava abilmente questi pregiudizi” (Robert Cecil, "Il mito della razza nella Germania nazista. Vita di Alfred Rosenberg", Feltrinelli, Milano 1973; Mìchael Burleigh, "In nome di Dio", Rizzoli, Milano, 2007).

    Così accade che nelle elezioni per il Landtag prussiano del 1924, 8 pastori protestanti si candidino nel NSDAP; nel 1930 sono 120 (su circa 18.000) i pastori protestanti membri del partito nazista, di contro a 0 ecclesiastici cattolici. A Dachau, il primo campo di concentramento, in funzione dal 1933, vengono internati 411 sacerdoti cattolici e 36 pastori protestanti (Steigmann-Gall, "Il santo Reich", Boroli, Milano, 2005; Otto dov Kulka, Paul Mendes-Flohr, "Judaism and Christianity under the impact of National Socialism", Gerusalemme, 1987).

    Si aggiunga che sino al 1937, a fronte di nessuna associazione cattolica ufficialmente schieratasi con il regime, sono svariati i gruppi protestanti apertamente filo-nazisti: la Lega protestante (Evangeliascher Bund), i Cristiani Tedeschi (Deutsche Christen), il Gruppo di lavoro dei pastori nazionalsocialisti (Nationalsozialistischer Evangelischer Pfarrerbund), il Soccorso delle donne protestanti (Evangelische Frauenhilfe)…

    Vi sono protestanti che aderiscono al nazismo ingenuamente, vedendo in quel partito la speranza per risolvere la questione sociale e lavorativa; altri lo fanno in funzione anti-comunista; altri ancora vedono nel nazismo un bastione anti-cattolico e il realizzarsi del nazionalismo, dell’antisemitismo e dell’idea di Stato propri dell'eroe nazionale Martin Lutero, l'uomo che Johann Gottlieb Fichte, uno dei padri del nazionalismo moderno tedesco, ha definito "il tedesco per eccellenza".

    Scrive a tal riguardo lo storico Emilio Gentile: “Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all’obbedienza al potere statale quale espressione della volontà divina” (Emilio Gentile, "Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi", Feltrinelli, Milano, 2010; si veda anche Robert Ericksen, Susannah Heschel, "Theologians under Hitler", New Haven, 1985).

    E' assai importante - sia per comprendere l’adesione di molti gruppi protestanti al nazismo, sia per capire come mai il regime nazista cerchi, sino al 1937, un rapporto privilegiato con le chiese protestanti, tentando persino di unificarle in un’unica chiesa del Reich -, tener presente il fatto che nella cultura nazionalista e protestante tedesca, in cui Stato, chiesa e nazione quasi coincidono, i cattolici sono visti da secoli molto negativamente, come una sorta di “religione estranea”, nemica della “causa nazionale”, uno “stato nello Stato”, causa il loro legame con la “Chiesa romana”, il loro universalismo anti-nazionalista, la loro presenza politica.

    Va ricordata anche la stima di Hitler, e dei suoi amici Eckart e Rosenberg verso il nazionalismo germanico di Lutero, considerato come colui che avrebbe liberato la Germania dal “giogo papale romano”, dandole un nuovo senso patriottico. Parlando del monaco agostiniano, Hitler dichiara in alcune occasioni: “Ma Lutero ha avuto il merito di insorgere contro il Papato e contro l’organizzazione della Chiesa …”; “Perciò non si rimpiangerà mai abbastanza che a una personalità della potenza di Lutero non siano succeduti che pallidi epigoni. Altrimenti non sarebbe stato possibile, in Germania, ristabilire la Chiesa cattolica su basi così salde da permetterle di sussistere sino ai nostri giorni”... (A. Hitler, "Conversazioni a tavola", Goriziana, Gorizia, 2010 p.47 e 381).

    Tornando a Lutero, e al suo ruolo di battistrada del nazismo, lo storico del nazismo, di fede pretestante, William L. Shirer, nel suo "Storia del Terzo Reich" (Einaudi, Torino, 1974, vol. II), definisce l'ex monaco agostiniano “ardente antisemita e antiromano”, lo considera il fondatore del nazionalismo germanico e di una componente ineliminabile della cultura nazista: “E’ difficile comprendere la condotta della maggioranza dei protestanti tedeschi nei primi anni del nazismo, se non si tiene conto di due cose: la loro storia e l’influsso di Martin Lutero. Il grande fondatore del protestantesimo fu tanto un appassionato antisemita quanto un feroce sostenitore dell’obbedienza assoluta all’autorità politica. Egli voleva che la Germania venisse liberata dagli ebrei…”.

    Anche in Austria, accade con il nazismo quello che è successo in Germania: mentre due cancellieri cattolici ed anti-nazisti, Engelbert Dollfuss e Kurt Alois von Schuschnigg, finiscono uno ucciso e l'altro internato in un campo di concentramento, all'entrata di Hitler nel paese, nel 1938, "uno dei primi a salutare il ritorno a casa di Hitler fu il principale portavoce della minoranza protestante austriaca, che il 13 marzo dichiarò, 'in nome dei più di 333.000 tedeschi protestanti dell'Austria': 'Dopo un periodo di repressione che ha riportato in vita i tempi più terribili della Controriforma, dopo cinque secoli delle più profonde sofferenze, tu sei venuto come il liberatore di tutti i tedeschi...'" (Michael Burleigh, nel suo In nome di Dio, Rizzoli, 2007).


    [Modificato da Caterina63 02/11/2016 23:55]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 14/11/2016 10:04
    I cardinali Brandmuller, Burke, Caffarra e Meisner

    Non è per ostilità a papa Francesco né uno scontro conservatori-progressisti. È solo la preoccupazione di pastori per la grave confusione cretasi nella Chiesa a causa di alcune parti della "Amoris Laetitia". Così 4 cardinali hanno formalmente espresso a papa Francesco cinque "Dubia", e in mancanza di risposta, questo eccezionale documento viene reso pubblico per continuare la riflessione. In gioco non c'è solo la comunione ai divorziati risposati ma l'intero edificio della morale cattolica.

    di Walter Brandmuller, Raymond Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner

    Non è per ostilità a papa Francesco né uno scontro conservatori-progressisti. È solo la preoccupazione di pastori e collaboratori del Papa per la grave confusione cretasi nella Chiesa a causa di alcune parti dell'esortazione apostolica "Amoris Laetitia". Così quattro cardinali - Raymond L. Burke, Walter Brandmuller, Carlo Caffarra, Joachim Meisner - hanno formalmente espresso a papa Francesco cinque "Dubia" (dubbi), che riguardano sia la tanto discussa questione della comunione ai divorziati risposati, sia soprattutto il valore delle norme morali che riguarda proprio la concezione della vita cristiana. I "Dubia" sono stati inviati al Papa due mesi fa, ma non essendoci stata risposta, questo eccezionale documento viene reso pubblico così che possa continuare la riflessione sui problemi sollevati. In gioco c'è l'intero edificio della morale cattolica.

    Questo documento, che esce contemporaneamente su testate di tutto il mondo (per l'Italia in esclusiva su La Nuova Bussola Quotidiana e sul sito www.chiesa.espressonline.it del vaticanista Sandro Magister), si compone di quattro parti: una spiegazione rivolta ai lettori del senso di questa iniziativa; la lettera inviata a papa Francesco che accompagnava i "Dubia"; i "Dubia"; il commento ai singoli "Dubia". Ve li proponiamo in questo ordine:

    - RIVOLGERSI AL PAPA: UN ATTO DI GIUSTIZIA E DI CARITA'
    Abbiamo constatato un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione, in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa, anche tra vescovi, legati al capitolo ottavo di "Amoris laetitia". Per questo è stato necessario rivolgersi al Papa. Egli non ha risposto, un invito a continuare la riflessione. Che oggi rendiamo pubblica.

    - LA LETTERA AL PAPA: SANTITA', PER IL BENE DELLA CHIESA FACCIA CHIAREZZA
    A seguito della pubblicazione della Vostra Esortazione Apostolica "Amoris laetitia" sono state proposte da parte di teologi e studiosi interpretazioni non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII. Sono i fedeli a chiedere che venga fornita una corretta interpretazione.

    - IL TESTO DEI "DUBIA": CINQUE DOMANDE SU CUI SI GIOCA LA MORALE CATTOLICA
    Dopo "Amoris Laetitia" è possibile accostarsi all'Eucaristia per i divorziati risposati? Continua a essere valida l'esistenza di norme morali assolute? Esiste anxora la condizione di peccato grave abituale? Vsle ancora che un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto non può diventare soggettivamente onesto?

    - IL CONTESTO: I QUATTRO CARDINALI SPIEGANO I "DUBIA"
    Dopo la pubblicazione di "Amoris laetitia", si è sollevato un ampio dibattito, in particolare attorno al capitolo ottavo. Per molti questi paragrafi insegnano un cambio nella disciplina della Chiesa rispetto ai divorziati risposati, mentre altri li considerano ambigui ma in continuità col precedente magistero. Ma la vera posto in gioco è la concezione stessa della vita cristiana.

     


    Rivolgersi al Papa, un atto di giustizia e di carità

    Abbiamo constatato un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione, in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa. Abbiamo notato che anche all’interno del collegio episcopale si danno interpretazioni contrastanti del capitolo ottavo di "Amoris laetitia".

    La grande Tradizione della Chiesa ci insegna che la via d’uscita da situazioni come questa è il ricorso al Santo Padre, chiedendo alla Sede Apostolica di risolvere quei dubbi che sono la causa di smarrimento e confusione.

    Il nostro è dunque un atto di giustizia e di carità. 
    Di giustizia: colla nostra iniziativa professiamo che il ministero petrino è il ministero dell’unità, e che a Pietro, al Papa, compete il servizio di confermare nella fede.

    Di carità: vogliamo aiutare il Papa a prevenire nella Chiesa divisioni e contrapposizioni, chiedendogli di dissipare ogni ambiguità.

    Abbiamo anche compiuto un preciso dovere. Secondo il Codice di diritto canonico (can. 349) è affidato ai cardinali, anche singolarmente presi, il compito di aiutare il Papa nella cura della Chiesa universale.

    Il Santo Padre ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa.

    E pertanto informiamo della nostra iniziativa l’intero popolo di Dio, offrendo tutta la documentazione.

    Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema “progressisti-conservatori”: sarebbe totalmente fuori strada. Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica.

    Vogliamo sperare che nessuno ci giudichi, ingiustamente, avversari del Santo Padre e gente priva di misericordia. Ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo nasce dalla profonda affezione collegiale che ci unisce al Papa, e dall’appassionata preoccupazione per il bene dei fedeli. 

    Card. Walter Brandmüller

    Card. Raymond L. Burke

    Card. Carlo Caffarra

    Card. Joachim Meisner 



    «Santità, per il bene della Chiesa faccia chiarezza»

    Papa FrancescoAl Santo Padre Francesco

    e per conoscenza a Sua Eminenza il Cardinale Gerhard L. Müller

     

    Beatissimo Padre,

    a seguito della pubblicazione della Vostra Esortazione Apostolica "Amoris laetitia" sono state proposte da parte di teologi e studiosi interpretazioni non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII. Inoltre i mezzi di comunicazione hanno enfatizzato questa diatriba, provocando in tal modo incertezza, confusione e smarrimento tra molti fedeli.

    Per questo, a noi sottoscritti ma anche a molti Vescovi e Presbiteri, sono pervenute numerose richieste da parte di fedeli di vari ceti sociali sulla corretta interpretazione da dare al cap. VIII dell’Esortazione.

    Ora, spinti in coscienza dalla nostra responsabilità pastorale e desiderando mettere sempre più in atto quella sinodalità alla quale Vostra Santità ci esorta, con profondo rispetto, ci permettiamo di chiedere a Lei, Santo Padre, quale supremo Maestro della fede chiamato dal Risorto a confermare i suoi fratelli nella fede, di dirimere le incertezze e fare chiarezza, dando benevolmente risposta ai "Dubia" che ci permettiamo allegare alla presente.

    Voglia la Santità Vostra benedirci, mentre Le promettiamo un ricordo costante nella preghiera.

    Roma, 19 settembre 2016

    Card. Walter Brandmüller

    Card. Raymond L. Burke

    Card. Carlo Caffarra

    Card. Joachim Meisner



    Cinque domande su cui si gioca la morale cattolica

    I "DUBIA" PRESENTATI AL PAPA

    1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L’espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell’esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?

    2. Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale "Amoris laetitia" (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?

    3. Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?

    4. Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?

    5. Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?



    I quattro cardinali spiegano i "dubia"

    I "dubia" (dal latino: "dubbi") sono questioni formali poste al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede chiedendo chiarificazioni circa particolari temi concernenti la dottrina o la pratica. Ciò che è particolare a riguardo di queste richieste è che esse sono formulate in modo da richiedere come risposta "sì" o "no", senza argomentazione teologica. Non è nostra invenzione questa modalità di rivolgersi alla Sede Apostolica; è una prassi secolare.

    Veniamo alla concreta posta in gioco.

    Dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale "Amoris laetitia" sull’amore nella famiglia, si è sollevato un ampio dibattito, in particolare attorno al capitolo ottavo. Nello specifico, i paragrafi 300-305 sono stati oggetto di divergenti interpretazioni.

    Per molti – vescovi, parroci, fedeli – questi paragrafi alludono o anche esplicitamente insegnano un cambio nella disciplina della Chiesa rispetto ai divorziati che vivono in una nuova unione, mentre altri, ammettendo la mancanza di chiarezza o anche l’ambiguità dei passaggi in questione, nondimeno argomentano che queste stesse pagine possono essere lette in continuità col precedente magistero e non contengono una modifica nella pratica e nell’insegnamento della Chiesa. Animati da una preoccupazione pastorale per i fedeli, quattro cardinali hanno inviato una lettera al Santo Padre sotto forma di "dubia", sperando di ricevere chiarezza, dato che il dubbio e l’incertezza sono sempre altamente detrimenti alla cura pastorale. 

    Il fatto che gli interpreti giungano a differenti conclusioni è dovuto anche a divergenti vie di comprendere la vita cristiana. In questo senso, ciò che è in gioco in "Amoris laetitia" non è solo la questione se i divorziati che sono entrati in una nuova unione – sotto certe circostanze – possano o meno essere riammessi ai sacramenti. Piuttosto, l’interpretazione del documento implica anche differenti, contrastanti approcci allo stile di vita cristiano.

    Così, mentre la prima questione dei "dubia" concerne un tema pratico riguardante i divorziati risposati civilmente, le altre quattro questioni riguardano temi fondamentali della vita cristiana.

     

    LE DOMANDE AL PAPA

    Dubbio numero 1:

    Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L’espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell’esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?

    La prima domanda fa particolare riferimento ad "Amoris laetitia" n. 305 e alla nota 351 a piè di pagina. La nota 351, mentre parla specificatamente dei sacramenti della penitenza e della comunione, non menziona i divorziati risposati civilmente in questo contesto e neppure lo fa il testo principale.
    Il n. 84 dell’esortazione apostolica "Familiaris consortio" di Papa Giovanni Paolo II contemplava già la possibilità di ammettere i divorziati risposati civilmente ai sacramenti. Esso menziona tre condizioni:

    - Le persone interessate non possono separarsi senza commettere una nuova ingiustizia (per esempio, essi potrebbero essere responsabili per l’educazione dei loro figli);
    - Essi prendono l’impegno di vivere secondo la verità della loro situazione, cessando di vivere insieme come se fossero marito e moglie ("more uxorio"), astenendosi dagli atti che sono propri degli sposi;
    - Essi evitano di dare scandalo (cioè, essi evitano l’apparenza del peccato per evitare il rischio di guidare altri a peccare).

    Le condizioni menzionate da "Familiaris consortio" n. 84 e dai successivi documenti richiamati appariranno immediatamente ragionevoli una volta che si ricorda che l’unione coniugale non è basata solo sulla mutua affezione e che gli atti sessuali non sono solo un’attività tra le altre che la coppia compie. 

    Le relazioni sessuali sono per l’amore coniugale. Esse sono qualcosa di così importante, così buono e così prezioso, da richiedere un particolare contesto: il contesto dell’amore coniugale. Quindi, non solo i divorziati che vivono in una nuova unione devono astenersi, ma anche chiunque non è sposato. Per la Chiesa, il sesto comandamento "non commettere adulterio" ha sempre coperto ogni esercizio della sessualità umana che non sia coniugale, cioè, ogni tipo di atto sessuale al di fuori di quella compiuta col proprio legittimo sposo.

    Sembra che, se ammettesse alla comunione i fedeli che si sono separati o divorziati dal proprio legittimo coniuge e che sono entrati in una nuova unione nella quale vivono come se fossero marito e moglie, la Chiesa insegnerebbe, tramite questa pratica di ammissione, una delle seguenti affermazioni riguardo il matrimonio, la sessualità umana e la natura dei sacramenti:

    - Un divorzio non dissolve il vincolo matrimoniale, e i partner della nuova unione non sono sposati. Tuttavia, le persone che non sono sposate possono, a certe condizioni, compiere legittimamente atti di intimità sessuale. 

    - Un divorzio dissolve il vincolo matrimoniale. Le persone che non sono sposate non possono realizzare legittimamente atti sessuali. I divorziati e risposati sono legittimamente sposi e i loro atti sessuali sono lecitamente atti coniugali.

    - Un divorzio non dissolve il vincolo matrimoniale, e i partner della nuova unione non sono sposati. Le persone che non sono sposate non possono compiere atti sessuali. Perciò i divorziati risposati civilmente vivono in una situazione di peccato abituale, pubblico, oggettivo e grave. Tuttavia, ammettere persone all’Eucarestia non significa per la Chiesa approvare il loro stato di vita pubblico; il fedele può accostarsi alla mensa eucaristica anche con la coscienza di peccato grave. Per ricevere l’assoluzione nel sacramento della penitenza non è sempre necessario il proposito di cambiare la vita. I sacramenti, quindi, sono staccati dalla vita: i riti cristiani e il culto sono in una sfera differente rispetto alla vita morale cristiana.

    *

    Dubbio numero 2:

    Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale "Amoris laetitia" (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?

    La seconda domanda riguarda l’esistenza dei così detti atti intrinsecamente cattivi. Il n. 79 dell’enciclica "Veritatis splendor" di Giovanni Paolo II sostiene che è possibile "qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie […] la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate".

    Così, l’enciclica insegna che ci sono atti che sono sempre cattivi, che sono vietati dalle norme morali che obbligano senza eccezione ("assoluti morali"). Questi assoluti morali sono sempre negativi, cioè, essi ci dicono che cosa non dovremmo fare. "Non uccidere". "Non commettere adulterio". Solo norme negative possono obbligare senza eccezione.

    Secondo "Veritatis splendor", nel caso di atti intrinsecamente cattivi nessun discernimento delle circostanze o intenzioni è necessario. Anche se un agente segreto potesse strappare delle informazioni preziose dalla moglie del terrorista commettendo con essa un adulterio, così da salvare la patria (ciò che suona come un esempio tratto da un film di James Bond è stato già contemplato da San Tommaso d’Aquino nel "De Malo", q. 15, a. 1). Giovanni Paolo II sostiene che l’intenzione (qui "salvare la patria") non cambia la specie dell’atto ("commettere adulterio") e che è sufficiente sapere la specie dell’atto ("adulterio") per sapere che non va fatto.

    *

    Dubbio numero 3:

    Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?

    Nel paragrafo 301 "Amoris laetitia" ricorda che "la Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti". E conclude che "per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante".

    Nella Dichiarazione del 24 giugno del 2000 il Pontificio consiglio per i testi legislativi mirava a chiarire il canone 915 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che quanti "ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione". La Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il "peccato grave" dev’essere compreso oggettivamente, dato che il ministro dell’Eucarestia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona.

    Così, per la Dichiarazione, la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e non il giudizio che questa persona si trova in stato di peccato mortale. Infatti soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla.

    Lungo la stessa linea, nella sua enciclica "Ecclesia de Eucharistia", n. 37, San Giovanni Paolo II ricorda che "il giudizio sullo stato di grazia di una persona riguarda ovviamente solo la persona coinvolta, dal momento che è questione di esaminare la coscienza". Quindi, la distinzione riferita da "Amoris laetitia" tra la situazione soggettiva di peccato mortale e la situazione oggettiva di peccato grave è ben stabilita nell’insegnamento della Chiesa.

    Giovanni Paolo II, tuttavia, continua a insistere che "in caso di condotta pubblica che è seriamente, chiaramente e stabilmente contraria alla norma morale, la Chiesa, nella sua preoccupazione pastorale per il buon ordine della comunità e per il rispetto dei sacramenti, non può fallire nel sentirsi direttamente implicata". Egli così riafferma l’insegnamento del canone 915 sopra menzionato.

    La questione 3 dei "dubia" vorrebbe così chiarire se, anche dopo "Amoris laetitia", è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, non è certo che essi siano soggettivamente imputabili per la loro abituale trasgressione.

    *

    Dubbio numero 4:

    Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?

    Nel paragrafo 302 "Amoris laetitia" sottolinea che "un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta". I "dubia" fanno riferimento all’insegnamento così come espresso da Giovanni Paolo II in "Veritatis splendor", secondo cui circostanze o buone intenzioni non cambiano mai un atto intrinsecamente cattivo in un atto scusabile o anche buono.

    La questione è se "Amoris laetitia" concorda nel dire che ogni atto che trasgredisce i comandamenti di Dio, come l’adulterio, il furto, lo spergiuro, non può mai, considerate le circostanze che mitigano la responsabilità personale, diventare scusabile o anche buono.

    Questi atti, che la Tradizione della Chiesa ha chiamato peccati gravi e cattivi in sé, continuano a essere distruttivi e dannosi per chiunque li commetta, in qualunque stato soggettivo di responsabilità morale egli si trovi?

    O possono questi atti, dipendendo dallo stato soggettivo della persona e dalle circostanze e dalle intenzioni, cessare di essere dannosi e divenire lodevoli o almeno scusabili?

    *

    Dubbio numero 5:

    Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?

    "Amoris laetitia" n. 303 afferma che "la coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio". I "dubia" chiedono una chiarificazione di queste affermazioni, dato che essi sono suscettibili di divergenti interpretazioni.

    Per quanti propongono l’idea di coscienza creativa, i precetti della legge di Dio e la norma della coscienza individuale possono essere in tensione o anche in opposizione, mentre la parola finale dovrebbe sempre andare alla coscienza, che ultimamente decide a riguardo del bene e del male. Secondo "Veritatis splendor" n. 56, "su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette 'pastorali' contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un’ermeneutica 'creatrice', secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare".

    In questa prospettiva, non sarà mai sufficiente per la coscienza morale sapere che "questo è adulterio", "questo è omicidio" per sapere se si tratta di qualcosa che non può e non deve essere fatto.

    Piuttosto, si dovrebbe anche guardare alle circostanze e alle intenzioni per sapere se questo atto non potrebbe, dopo tutto, essere scusabile o anche obbligatorio (cfr. la domanda 4 dei "dubia"). Per queste teorie, la coscienza potrebbe infatti legittimamente decidere che, in un certo caso, la volontà di Dio per me consiste in un atto in cui io trasgredisco uno dei suoi comandamenti. "Non commettere adulterio" sarebbe visto appena come una norma generale. Qua e ora, e date le mie buone intenzioni, commettere adulterio sarebbe ciò che Dio realmente richiede da me. In questi termini, casi di adulterio virtuoso, di omicidio legale e di spergiuro obbligatorio sarebbero quanto meno ipotizzabili.

    Questo significherebbe concepire la coscienza come una facoltà per decidere autonomamente a riguardo del bene e del male e la legge di Dio come un fardello che è arbitrariamente imposto e che potrebbe a un certo punto essere opposto alla nostra vera felicità.

    Però, la coscienza non decide del bene e del male. L’idea di "decisione di coscienza" è ingannevole. L’atto proprio della coscienza è di giudicare e non di decidere. Essa dice, "questo è bene", "questo è cattivo". Questa bontà o cattiveria non dipende da essa. Essa accetta e riconosce la bontà o cattiveria di un’azione e per fare ciò, cioè per giudicare, la coscienza necessita di criteri; essa è interamente dipendente dalla verità.

    I comandamenti di Dio sono un gradito aiuto offerto alla coscienza per cogliere la verità e così giudicare secondo verità. I comandamenti di Dio sono espressione della verità sul bene, sul nostro essere più profondo, dischiudendo qualcosa di cruciale a riguardo di come vivere bene.

    Anche Papa Francesco si esprime negli stessi termini in "Amoris laetitia" n. 295: "Anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione".

     






    [Modificato da Caterina63 14/11/2016 10:04]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 14/11/2016 13:36

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    Quattro cardinali di Santa Romana Chiesa, Walter Brandmuller, Raymond Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, hanno scritto al papa regnante chiedendo chiarimenti riguardo l’Amoris Laetitia: non avendo ricevuto nessuna risposta, hanno deciso di rendere pubblico il loro appello.

    «Il Santo Padre ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa. E pertanto informiamo della nostra iniziativa l’intero popolo di Dio, offrendo tutta la documentazione. Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema “progressisti-conservatori”: sarebbe totalmente fuori strada. Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica…» (vedi qui tutta la pubblicazione ufficiale fatta da La Nuova Bussola quotidiana).

    FRANCESCO NON RISPONDE A CHI DIFENDE LA DOTTRINA

    Con queste parole drammatiche e che non possono lasciarci indifferenti, ben quattro cardinali si sono esposti ad un linciaggio mediatico, a seconda di certe tifoserie (nonché all’ira di Papa Francesco), per offrire a NOI fedeli Laici, piccolo gregge, membra afflitte di una Chiesa dottrinalmente alla deriva, ed ora anche senza LA VOCE del Vicario di Cristo che ha deciso di “non rispondere”, un messaggio chiaro e forte.

    E stiamo bene attenti: qui non si mette in discussione l’autorità del Pontefice, al contrario, la si cerca, la si invoca, la si chiama in causa in un profondo rispetto, ma anche con la trepidazione che deve caratterizzare i veri credenti. Certo, c’è la “sovrana decisione” di avvalersi di non rispondere ma… trattandosi di un Pontefice molto particolare e che concede udienze e telefonate a chiunque, che telefona personalmente a Scalfari (vedi qui) per tenerlo informato dei suoi pensieri, ben sapendo che questi verranno resi pubblici senza essere smentiti o corretti; ben sapendo come si presta all’uscita mensile di qualche libro che parli di lui e di cosa pensa (firmando interviste o prefazioni), suscita perplessità e smarrimento che a domande così esplicite di dottrina, richieste con umiltà e carità, egli decida di non rispondere, preferendo lasciare il gregge in balia delle mille interpretazioni arbitrarie su un documento papale.

    Noi che non siamo preti, o vescovi o cardinali, diciamo che il Papa Francesco “non vuole rispondere”, e laddove è condivisibile – con la carità dei quattro cardinali – che il Papa lo abbia deciso perché vuole che il testo susciti riflessioni e discussioni, pacate e rispettose, più laicamente diciamo anche che il Papa non vuole rispondere perché non può, semplicemente perché non può.

    Se lo facesse, infatti, dovrebbe riconoscere che il suo pensiero personale, non in linea con la dottrina della Chiesa sulla disciplina dei due Sacramenti in questione, ed anche il Sacramento della Confessione, è entrato troppo sfacciatamente dentro un Documento magisteriale papale e che si è trattato di “un errore”… Infatti non era mai accaduto nella storia della Chiesa che un testo ufficiale papale spaccasse così l’unità dottrinale della Chiesa. Basterebbe davvero che il Papa si mettesse lì a correggere alcune affermazioni ambigue, ma questo significherebbe ammettere e riconoscere che il suo pensiero è rottura con la dottrina, ed egli non vuole questo, ma che nelle riflessioni e nelle discussioni, questo suo pensiero, si possa cattolicizzare, armonizzare in qualche modo, andando a modificare la dottrina nella famosa “prassi”. Del resto lui è fedele al programma gesuitico modernista di “ammodernamento della Chiesa” di Pedro Arrupe di cui è stato fedele allievo, sulla scia teologica dell’altro gesuita Karl Rahner.

    Karl Rahner
    Karl Rahner

    Insomma, questa Lettera dei quattro cardinali susciterà l’ira di Papa Francesco perché a lui le cose andavano bene così. Andavano bene, e vanno bene, come lo hanno interpretato i suoi vescovi argentini, come ha ben spiegato qui Sandro Magister, e persino lo stesso padre Giovanni Cavalcoli, teologo domenicano, che lo ha spiegato qui.

    Fa pensare infatti che, alla richiesta dei presuli argentini al Papa di come andasse interpretata l’A.L. il Papa ha prontamente risposto loro, mentre ai quattro cardinali ha deciso di non rispondere. Il perché è chiaro. I presuli argentini non hanno chiesto di “correggere” alcune ambiguità contenute nel testo, ma hanno richiesto una conferma alla loro interpretazione – errata – del documento. Papa Francesco non ha perso tempo inviando loro però una lettera PRIVATA, ossia privata di ogni autorità legislativa come spiega bene Padre Cavalcoli (il quale, tra l’altro, è favorevole ad ammettere ai sacramenti i divorziati-risposati che non vivono “come fratello e sorella”) con queste parole drammatiche: “Il contenuto della lettera del Papa è quindi di per sé in linea col suo potere giurisdizionale, tuttavia difetta nella forma giuridica, per cui, se non avviene una sanatio formale, essa è giuridicamente invalida, per il motivo che ho detto e che ripeto: la lettera del Papa non è un’interpretazione, ma un mutamento della legge. Mentre l’Amoris Laetitia proibisce la Comunione con la suddetta restrizione, la lettera la ammette…”.

    Così ci troviamo davanti ad una forma di schizofrenia di cui si accennava qui: da una parte abbiamo il magistero del Papa, che si limita a pensieri ambigui, dall’altra il suo pensiero affidato a lettere private, telefonate, interviste, che di fatto dicono il contrario della dottrina cattolica, andando a modificare la prassi. Naturalmente noi continueremo a seguire il Magistero ufficiale del Pontefice interpretandolo con il Catechismo della Chiesa a portata di mano, ma come ignorare l’accorato appello dei quattro cardinali?

    Il Papa non può rispondere ai quattro cardinali perché loro non hanno chiesto di confermarli nell’errore interpretativo, ma hanno chiesto chiarezza dottrinale e correzione degli errori di interpretazione. Resta ora il difficile compito di come interpretare questo – assai poco caritatevole e poco umile – gesto di un papa tutto votato a dare segni mediatici di misericordia e porte e finestre spalancate, improvvisamente chiuse e sbarrate laddove qualcuno si azzardasse a parlare di sacra Dottrina. (Vedere qui i “Dubia” esposti al Papa dai quattro cardinali.)

    Nei quattro cardinali sembra di rivedere la scena descritta da Giovanni quando Pietro, dopo che Gesù aveva spiegato il mistero dell’Eucaristia, vedendo “molti discepoli” allontanarsi, andarsene, vuole richiamare l’attenzione di Gesù: “Signore, il tuo linguaggio è duro e molti se ne vanno…” (Gv 6,66-70), Gesù non dice a Pietro di aver capito male e di bloccare i discepoli che non avevano capito, ma sorprende ancora una volta come solo Dio vero sa fare: “Volete andarvene anche voi?”. Non che Pietro avesse capito il mistero dell’Eucaristia, ma comprende che solo Lui ha parole di vera vita e così si profuse in quell’abbondante professione di fede.

    Qui la situazione ovviamente si capovolge. I quattro cardinali non sono Pietro, e non sono i discepoli che se ne vanno. Sono piuttosto coloro che ancorati nella professione di fede di Pietro appena pronunciata davanti a Gesù, chiedono al suo Vicario in terra di aiutarli a capire che cosa sta accadendo. Ma Papa Francesco è ancora e sempre quel Pietro? Non vogliamo dare una risposta, constatiamo però che la risposta che egli dovrebbe dare a questi quattro cardinali, e dunque a tutto il popolo di Dio (e non suo), non arriva e non arriverà, perché questo Successore di Pietro ha deciso che delle cose, imposte dall’insegnamento di Gesù, vadano cambiate.

    IL MARXISTA “PRIMATO DELLA PRASSI”

    E poiché sa perfettamente che non è in suo potere modificare l’accesso ai Sacramenti – accesso stabilito dalla morale cattolica tratta dai Vangeli, dalle Lettere di Paolo, dalla Tradizione magistrale della Chiesa – ha deciso di farlo attraverso un “tacito consenso” di chi ha capito le sue reali intenzioni (la lettera ai presuli argentini esplicita questo) e di farle diventare “la prassi”.

    Con un pronunciamento ufficiale questo cambiamento non sarebbe infatti possibile.

    Curiosa è infatti l’altra scena del Vangelo quando Gesù, nello spiegare l’indissolubilità del matrimonio e il divieto al ripudio, scatena una risposta ai suoi discepoli che sa davvero di battuta: “Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi»” (Mt 19,10-12), anche qui Gesù non cerca accomodamenti, non fa compromessi, ed anche se con la sua risposta annuncia e prefigura il celibato dei preti, sono risposte utili anche a chi, divorziato, deve trovare la soluzione proposta data dal Vangelo e non dal mondo, e la Familiaris Consortio lo ha stabilito.

    Pedro Arrupe
    Pedro Arrupe

    Non sappiamo come andrà a finire, non sappiamo le ritorsioni papali che questi quattro coraggiosi cardinali riceveranno, possiamo solo immaginare la gogna mediatica che subiranno dai lecchini di Bergoglio, possiamo solo immaginare che Papa Francesco continuerà ad usare canali non ufficiali per diffondere il suo vero pensiero e dare risposte a chi non è d’accordo con questo atteggiamento schizofrenico, lasciando che il suo magistero papale proceda nell’ambiguità, avvalendosi del famoso detto “purché se ne parli”…

    Dal canto nostro noi abbiamo una sola soluzione al problema: interpretare questo magistero solo e sempre alla luce del Catechismo e dei testi papali di tutti i duemila anni di storia della Chiesa, senza compromessi, senza ambiguità e senza distorcere alcunché. E laddove riscontriamo passaggi ambigui, impossibili da cattolicizzare, metterli da parte, lasciarli andare alla deriva, non obbedire… Certo, questo atteggiamento è scomodo, è politicamente scorretto, non fa audience, o se lo fa è per arricchire i portafogli dei vaticanisti asserviti alla propaganda modernista della Chiesa, pronti a destabilizzare la Vera Chiesa di Cristo.

    “Signore, e dove vuoi che andiamo? Tu solo hai parole di vita eterna”: è questo il grido che deve continuare ad animarci senza mai perdere la speranza, senza cedere allo scoraggiamento, e questo vale per ogni condizione in cui il vero credente viene a trovarsi. Sono infatti le parole di Gesù che risanano, animano, danno vita, incoraggiano, correggono, ammaestrano, e tutto ciò che si allontana – anche sotto la parvenza di buona fede e di buone intenzioni – va lasciato andare per la strada larga che si vuole percorrere, trovando il coraggio di procedere per la via stretta e sassosa anche con soli quattro cardinali, fra gli oltre duecento, che hanno trovato il coraggio di prendere questa croce e procedere lungo il calvario per sostenere non le masse inibite dalla sponsorizzazione mediatica e spesso dall’ignorare le Parole di Gesù, ma per fiancheggiare il piccolo gregge del quale, dice Gesù: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono (Gv 10,27), e questo non vale solo per i Laici, ma anche per il Clero, per i vescovi, i cardinali, i papi, i primi a dover dare questa testimonianza.




    Fraternamente CaterinaLD

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    00 15/11/2016 17:21
    Amoris Laetitia
     

    L’enorme interesse suscitato dalla pubblicazione ieri dei “Dubia” di quattro cardinali riguardo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia (la Bussola ha battuto ogni record di accessi) è segno di un disagio e di una esigenza di chiarezza molto diffusa tra i cattolici, e sempre crescente. Anche perché la posta in gioco va ben oltre l'ammissione alla comunione dei divorziati risposati, qui si toccano le fondamenta della Chiesa.


    - L'APPELLO AL PAPA DI QUATTRO CARDINALI: FARE CHIAREZZA

    di Riccardo Cascioli


    In sé il passo compiuto dai cardinali Brandmuller, Burke, Caffarra e Meisner, per quanto previsto dalle norme canoniche, è sicuramente inusuale e si spiega con l’eccezionalità della situazione che la Chiesa sta vivendo. Anche il tentativo di sminuire la portata del gesto, confinandolo alla reazione di pochi cardinali che avrebbero perso il contatto con la realtà, è patetico. Perché gli ultimi mesi – tra documenti, appelli, commenti e prese di posizioni varie – hanno visto un grande fermento dei cattolici per riaffermare il valore di matrimonio ed Eucaristia così come trasmesso dalla tradizione e messo in pericolo da una forte corrente filo-protestante che gioca sul “non detto” delle dichiarazioni pontificie. La pubblicazione dei cinque “Dubia” dunque è solo la punta di un iceberg che tende a ingrossarsi ogni giorno che passa.

    È infatti chiaro anche dalle parole dei cardinali, che il punto centrale della questione non è neanche l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione. Anzi, questo è solo il “casus belli” su cui però si gioca una partita ben più ampia che tocca le fondamenta della Chiesa, e in particolare due aspetti.

    Il primo aspetto riguarda la morale. Detto in parole molto povere: esistono delle norme assolute, ovvero una chiara distinzione tra bene e male? Il caso dei divorziati risposati è esemplificativo: se il matrimonio è valido, resta indissolubile anche se per particolari circostanze interviene una separazione o un divorzio civile; perciò il coniuge che si sposi di nuovo è oggettivamente in condizione di adulterio, e questo – per la Chiesa – non può mai essere un bene, qualsiasi siano le circostanze. Ci possono essere condizioni attenuanti o aggravanti, ma il male resta male, è una norma oggettiva assoluta.

    Se si ammettesse una certa interpretazione della “Amoris Laetitia” invece, esisterebbero alcune condizioni tali per cui l’adulterio non è peccato. Ma se questo fosse vero, allora, il criterio dovrebbe valere per tutti gli altri comandamenti; tutto diventa relativo, niente più è assoluto. Una conseguenza ovvia è che tutto è relegato alla propria coscienza, e del resto come potrebbe fare un sacerdote a leggere la coscienza delle persone? Si parla tanto di accompagnamento, ma la verità è che in questa situazione ogni persona resta da sola a decidere di sé, perché ogni cosa diventa possibile. Al contrario, un vero accompagnamento ci può essere soltanto davanti a un obiettivo chiaro, misurandosi con una norma assoluta, in questo modo l’altro diventa una compagnia al proprio destino.

    Purtroppo il dibattito su questo punto è stato falsato da una descrizione caricaturale della questione come se ci fosse da decidere tra il cacciare fuori dalla Chiesa i “peccatori” o accoglierli. Ma questo non è mai stato il punto, l’accoglienza delle persone qualsiasi sia la circostanza che vivono non è mai stata in discussione nel Magistero (basta rileggere la Familiaris Consortio per verificare).

    Inoltre accadrebbe – come già è iniziato ad accadere – che ciò che vale in Europa non può valere per l’Africa, ciò che è possibile in Germania non lo è in Francia, che due diocesi confinanti seguano linee opposte. Un vero e proprio federalismo dottrinale, niente di più distante da ciò che in duemila anni ha rappresentato il cattolicesimo.

    In estrema sintesi, si può affermare che assumere una interpretazione kasperiana della Amoris Laetitia (sostituire l’oggettività della situazione con il soggettivismo dei singoli) significa incamminarsi sulla strada della protestantizzazione.

    E proprio questa sintesi ci collega al secondo aspetto della posta in gioco, ovvero l’Eucaristia. Pur menzionata marginalmente nei “Dubia”, è evidente che questa è però una questione molto delicata che è sullo sfondo delle domande presentate al Papa e più in generale della vita della Chiesa. In altre parole: cos’è l’Eucaristia e quindi quali sono le condizioni per accedervi? È la Cena a cui tutti sono invitati e da cui nessuno può essere escluso o è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù, il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli e che richiede essere in stato di grazia per accostarvisi?

    Se davvero l’Eucaristia è fonte e culmine della vita cristiana, come recita il Catechismo, si capisce che questo è un punto decisivo per la Chiesa. La decisione se ammettere o meno alla comunione i divorziati risposati, dipende più dalla concezione che si ha del sacramento dell’Eucaristia che non dal sacramento del matrimonio.

    E certe frasi pronunciate recentemente da papa Francesco in diversi incontri con luterani – che sono sembrate voler aprire alla intercomunione -  hanno fatto nascere una serie di interrogativi proprio sulla concezione dell’Eucaristia. Interrogativi che sono per il momento senza risposta, così come i “Dubia” avanzati dai quattro cardinali.

       


    Intervista esclusiva: il Cardinal Burke spiega l’appello alla chiarezza rivolto al papa

     
    Nella nostra traduzione, riprendiamo l'intervista con la quale il Cardinale Raymond Leo Burke illustra a Catholic Action [qui] il recente documento inviato al Papa due mesi fa da quattro cardinali, rimasto privo di risposta e reso pubblico [qui] al fine di lanciare e approfondire la riflessione sui problemi sollevati, che riguardano l'intero edificio della morale cattolica. Esso consiste in realtà in una serie di documenti, come specifica il titolo. Il Cardinale spiega le ragioni del documento e, in particolare, perché esso è composto da varie parti e cosa queste significano. Inoltre ripercorre un completo excursus delle varie tappe e tentativi di chiarimenti che l'hanno preceduto.



    14 novembre 2016 - Il Cardinal Raymond Burke ha concesso questa intervista al presidente di Catholic Action per chiarire ulteriormente le intenzioni dei quattro cardinali e del documento pubblicato col titolo: “In cerca di chiarezza: un appello a sciogliere i nodi dell’Amoris Laetitia”. ...
     
    Eminenza, grazie per il tempo che ci dedica per questa intervista su quel che Lei ha pubblicato oggi. La sostanza del documento che Lei e gli altri cardinali avete reso pubblico viene definita “Dubia”. Ci può spiegare, per favore, cosa significa Dubia e cosa implica la presentazione dei Dubia?
     
    Cardinal Burke: È un piacere per me dibattere con voi di questi temi importanti. Il titolo del documento è: “Fare chiarezza: un appello per sciogliere i nodi dell’Amoris Laetitia” [qui]. Autori sono quattro cardinali: il Cardinal Walter Brandmüller, il Cardinal Carlo Caffarra, il Cardinal Joachim Meisner ed io. Io e i miei colleghi cardinali stiamo rendendo pubblico un appello che abbiamo fatto al Santo Padre, Papa Francesco, a proposito della sua recente esortazione apostolica, l’Amoris Laetitia. Alcune parti del documento contengono ambiguità e affermazioni che rappresentano nodi che non possono essere facilmente sciolti e che stanno generando una grande confusione. Condividendo la devozione del papa a Nostra Signora, che scioglie i Nodi, gli chiediamo di chiarire queste affermazioni ambigue e – con l’aiuto di Dio – di sciogliere alcune delle dichiarazioni spinose del documento, per il bene delle anime.
     
    Dubia è il plurale della parola latina dubium, che significa 'domanda' o 'dubbio'. Nella Chiesa, quando sorge una questione importante sulla fede o sulla sua pratica, è costume che i vescovi o i sacerdoti o gli stessi fedeli articolino formalmente la domanda o il dubbio e lo presentino al Romano Pontefice e al suo ufficio, che ha il compito di risolverlo. La formulazione di un singolo dubbio o domanda viene definita semplicemente dubium. Se si articolano varie domande o dubbi, li si definisce dubia. L’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia ha sollevato una serie di questioni e di dubbi nelle menti dei vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli, molti dei quali sono stati già presentati al Santo Padre e discussi pubblicamente. In questo caso, quattro cardinali hanno presentato formalmente al Santo Padre cinque domande o dubbi fondamentali sulla fede e sulla morale che si basano sull’Amoris Laetitia.

    Molte persone all’interno della Chiesa dibattono ora sul significato del termine “pastorale”. Ci può dire qualcosa sul documento che avete pubblicato oggi e in che cosa consiste la sua natura pastorale?
     
    Dire la verità con carità è chiaro e pastorale. Da un punto di vista pastorale non è mai opportuno permettere che ci sia dubbio o confusione su temi importanti; in questo caso su questioni che hanno a che vedere con la salvezza delle anime. Noi quattro cardinali, come vescovi impegnati nella cura pastorale della Chiesa universale e come cardinali che hanno la responsabilità particolare di assistere il Santo Padre nell’opera di insegnamento della fede e della promozione della sua prassi nella Chiesa universale, abbiamo ritenuto fosse nostra responsabilità rendere pubbliche queste questioni per il bene delle anime.
     
    Questo documento redatto da più autori consiste in realtà in una serie di documenti, come specifica il titolo. Le dispiacerebbe spiegarci perché vi sono varie parti e cosa significano?
     
    Il nucleo di quanto pubblichiamo oggi è una lettera che noi quattro cardinali abbiamo mandato inizialmente a Papa Francesco insieme ai dubia – ossia insieme a una serie di serie domande formali – sull’Amoris Letitia. Il processo di inoltro di domande formali è una pratica venerabile e affermata nella Chiesa. Quando esse vertono su una materia grave che riguarda un gran numero di fedeli, la Chiesa risponde a queste domande con un “sì” o un “no”, a volte aggiungendo spiegazioni. Abbiamo mandato una copia della lettera e dei dubia al Cardinal Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, investito di particolare competenza su queste questioni.
    Per definire lo sfondo della lettera e delle nostre domande sull’Amoris Laetitia pubblichiamo anche una breve prefazione e una nota esplicativa che chiarisce il contesto della lettera e dei dubia o domande, insieme a un commento a ognuna delle domande.

    Lei afferma quindi che pubblicate una lettera che avete mandato al Papa in privato. Si tratta di un fatto straordinario. Questo modo di procedere non è censurabile da un punto di vista cristiano? Nostro Signore ha affermato nel Vangelo secondo Matteo (18, 15) che se abbiamo un problema con un fratello, dovremmo parlare con lui in privato, faccia a faccia, non pubblicamente.
     
    Nello stesso brano della Sacra Scrittura a cui Lei si riferisce, Nostro Signore ha anche affermato che, dopo che ci si è confrontati con un fratello, prima individualmente e poi insieme ad altri, senza aver risolto il problema, allora, per il bene della Chiesa, la questione deve essere presentata a tutta la Chiesa. Ed è esattamente quel che stiamo facendo.
    Vi sono state molte altre espressioni di preoccupazione a proposito dell’Amoris Laetitia, nessuna delle quali ha ricevuto una risposta da parte del papa o dei suoi rappresentanti. Pertanto, per cercare di fare chiarezza su questi temi, io e altri tre cardinali abbiamo utilizzato la prassi formale che consiste nel presentare le domande fondamentali direttamente al Santo Padre e al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non è stata data alcuna risposta nemmeno a queste domante. Pertanto, rendendo pubbliche le nostre domande o dubia, siamo fedeli al mandato di Cristo che ci comanda di parlare con una persona prima in privato, poi con piccolo gruppo di fratelli e infine affidando la questione alla Chiesa come totalità.
     
    Come Lei afferma, l’Amoris Laetitia è stata oggetto di molteplici discussioni e critiche. Per esempio, è molto nota la dichiarazione in cui Lei afferma di ritenere che non si tratti di un documento magisteriale. Ci può spiegare come si pongono in relazione le vostre domande attuali al Santo Padre con le altre analisi dell’esortazione apostolica?

    Per comprendere la presente pubblicazione, bisogna tenere a mente cosa ci ha condotto ad essa.
    Subito dopo la sua elezione, nel suo primo messaggio dopo l’Angelus domenicale, Papa Francesco ha elogiato l’interpretazione del concetto di misericordia – che è un tema fondamentale dell’Amoris Laetitia – del Cardinal Walter Kasper. Appena qualche mese dopo, il Vaticano ha annunciato un Sinodo straordinario sul Matrimonio e sulla Famiglia per il mese di ottobre del 2014.
    In preparazione al Sinodo, io e altri quattro cardinali, un arcivescovo e tre teologi abbiamo pubblicato un libro: Rimanere nella Verità di Cristo [qui - qui -  qui]. Come membro del Sinodo, ho fatto notare che la relazione provvisoria mancava di basi solide sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa. Più tardi, mi sono trovato d’accordo con altri cardinali sul sospetto che lo stesso svolgimento del Sinodo e la relazione finale siano stati manipolati [ne abbiamo parlato qui].
     
    Prima del Sinodo del 2015, a cui non sono stato invitato, undici cardinali hanno redatto un libro sul matrimonio e sulla famiglia. Anche se non ho collaborato alla sua stesura, l’ho letto con vivo interesse. Sempre prima del Sinodo ordinario sulla Famiglia del 2015, più di 790.000 cattolici hanno firmato un “Appello filiale” a Papa Francesco manifestando la loro preoccupazione per il futuro della famiglia e chiedendogli di pronunciare “parole chiarificatrici” per dissipare “la confusione dilagante” sull’insegnamento della Chiesa. Io sono stato uno dei firmatari. Durante la sessione del Sinodo del 2015, tredici cardinali partecipanti hanno firmato una lettera al papa esprimendo la loro preoccupazione a proposito della manipolazione dello svolgimento del Sinodo [qui].
     
    Nell’aprile 2016, Papa Francesco ha pubblicato l’Amoris Laetitia come frutto delle sessioni del 2014 e del 2015 del Sinodo dei vescovi. Nell’estate 2016. quarantacinque studiosi, tra cui alcuni prelati, hanno scritto al Santo Padre e al Collegio dei Cardinali chiedendo al Papa di ripudiare una lista di proposizioni erronee che si possono dedurre da alcuni passi dell’Amoris Laetitia [qui]. Non hanno ricevuto alcuna risposta.

    Il 29 agosto 2016 mi sono unito a vari vescovi, sacerdoti e fedeli laici per firmare una Dichiarazione di Fedeltà all’Insegnamento della Chiesa sul Matrimonio e alla sua Disciplina Immutabile [qui]. Nemmeno questa ha ricevuto una risposta pubblica.
     
    La mia opinione è che l’Amoris Laetitia non sia Magistero perché contiene serie ambiguità che confondono i fedeli e li possono indurre all’errore e al peccato grave. Un documento che presenti questi difetti non può far parte dell’insegnamento perenne della Chiesa. Stando così le cose, la Chiesa ha assolutamente bisogno che si faccia chiarezza su quanto Papa Francesco sta insegnando e promuovendo.
     
    Alcuni cattolici potrebbero temere che questa vostra pubblicazione costituisca un atto di ribellione.
     
    Io ed altri tre cardinali ci stiamo impegnando a rimanere fedeli al Santo Padre rimanendo sopra ogni cosa fedeli a Cristo. Rendendo pubblico il nostro appello alla chiarezza dottrinale e di pratica pastorale, abbiamo la speranza che il dibattito possa coinvolgere tutti i cattolici, specialmente i nostri colleghi vescovi. Ogni persona battezzata dovrebbe preoccuparsi della dottrina e della pratica morale a proposito della Santa Eucaristia e del Santo Matrimonio e di come si possano distinguere azioni buone e azioni cattive. Queste questioni coinvolgono noi tutti.
     
    Ben lungi dall’essere un atto di ribellione contro il papa, la nostra azione è profondamente fedele a tutto ciò che il papa rappresenta ed è obbligato a difendere con l’autorità conferitagli dal suo officio. Papa Francesco ha esortato numerose volte a parlare con franchezza all’interno della Chiesa e ha chiesto apertura e responsabilità ai membri della gerarchia. Noi siamo franchi ed abbiamo il massimo rispetto per l’officio del Santo Padre, e stiamo esercitando – guidati dalla luce delle nostre coscienze – quell’apertura e quella responsabilità che la Chiesa ha il diritto di aspettarsi da parte nostra.
     
    Si tratta del mio dovere come cardinale della Chiesa cattolica. Non sono stato ordinato cardinale per ricevere un titolo onorifico, bensì, Papa Benedetto XVI mi ha eletto cardinale per assistere lui e i suoi successori nel governo della Chiesa e nell’insegnamento della fede. Tutti i cardinali hanno il dovere di operare a fianco del papa per il bene delle anime, e ciò è esattamente quel che sto facendo sollevando questioni di grave importanza sulla fede e sulla morale. Non adempirei al mio dovere di cardinale – cioè di consigliere del papa – se rimanessi in silenzio su questioni così serie.
     
    Vorrei, se mi è consentito, seguire questa linea di pensiero. Non è ben chiaro quanto la vostra pubblicazione sia docile nei confronti del desiderio del papa di una maggiore sensibilità pastorale e creatività all’interno della chiesa. Il papa non ha forse espresso la sua posizione in una lettera ai vescovi argentini? Altri cardinali hanno affermato che la giusta interpretazione dell’Amoris Laetitia è che essa permette alle coppie divorziate e risposate di ricevere la comunione in determinate circostanze [qui]. Alla luce di ciò, ci si può chiedere se il vostro documento non crei ancora più confusione.

    Innanzitutto, una chiarificazione. Il problema non sono le coppie divorziate e risposate che ricevono la Santa Comunione, bensì le coppie sessualmente attive ma non validamente risposate che ricevono la Santa Comunione. Quando una coppia ottiene il divorzio civile e una dichiarazione canonica che sancisce il fatto che non sia mai stata validamente sposata, essa è libera di sposarsi all’interno della Chiesa e di ricevere la Santa Comunione, se si trova nella giusta disposizione. La proposta di Kasper è quella di permettere a una persona di ricevere la Santa Comunione quando ha pronunciato validamente i voti matrimoniali ma non vive più con il suo sposo o la sua sposa bensì con un’altra persona con cui ha rapporti sessuali. In realtà, questa proposta apre le porte al peccato consentendo a chiunque di ricevere la Santa Comunione senza pentirsi dei suoi peccati.
     
    Vorrei anche sottolineare il fatto che solo la prima delle nostre domande al Santo Padre si riferisce al Santo Matrimonio e alla Santa Eucaristia. La seconda, la terza e la quarta domanda riguardano temi fondamentali della vita morale: se esistano o no atti intrinsecamente cattivi, se una persona che commette abitualmente peccati gravi si trovi in stato di “peccato mortale” e se un peccato mortale possa mai essere considerato una buona scelta a seconda delle circostanze o delle intenzioni.

    È vero che il Santo Padre ha scritto una lettera ai vescovi argentini e che alcuni cardinali hanno proposto l’interpretazione dell’Amoris Laetitia che Lei ha menzionato. Tuttavia, lo stesso Santo Padre non ha chiarito alcuni dei temi spinosi. Il fatto che un cattolico, fosse egli persino il papa, affermi che una persona può ricevere la Santa Comunione senza pentirsi del suo peccato mortale, o che vivere in stato matrimoniale con una persona che non è il proprio sposo o la propria sposa non sia un peccato mortale, o che non esista un atto che sia sempre e comunque cattivo e che possa condurre una persona alla perdizione, è contrario alla fede. Mi unisco quindi ai miei fratelli cardinali nell’appello per un chiarimento inequivocabile da parte di Papa Francesco in persona. La sua voce, la voce del Successore di Pietro, può dissolvere ogni dubbio sulla questione.

    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]






    [Modificato da Caterina63 16/11/2016 00:15]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 16/11/2016 10:45

    Magistero non-convenzionale e ideologia - di Padre Giovanni Scalese

     


    Venerdí scorso, 11 novembre, La Repubblica riportava l’ennesima intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco. Se devo essere sincero, la cosa mi ha lasciato del tutto indifferente: di quello che il fondatore di Repubblica mette sulle labbra del Papa non mi interessa proprio nulla. Il discorso si fa diverso quando l’intervista viene rilanciata da L’Osservatore Romano, che, fino a prova contraria, è il quotidiano ufficioso della Santa Sede. Per carità, anche qui, finché il Papa si limita a dire che il male peggiore che esiste nel mondo sono le diseguaglianze, dal mio punto di vista, non è un grosso problema: si tratta di opinioni personali su cui si può essere piú o meno d’accordo. Magari qualcuno potrebbe far notare — come di fatto è avvenuto — che da un leader religioso ci si aspetterebbe un’analisi meno sociologica e piú religiosa della realtà (il male peggiore, una volta, non era forse il peccato?); ma, ripeto, si può discutere. Cosí come non mi crea eccessivi problemi l’affermazione secondo cui «sono i comunisti che la pensano come i cristiani»: anche questa, un’affermazione discutibile quanto si vuole, ma pur sempre una battuta con un suo fondo di verità.


    Ma quando si afferma che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», passiamo dal piano dell’opinabile a quello della mistificazione. Sia ben chiaro, non credo minimamente che Papa Francesco abbia potuto fare un’affermazione del genere: chiunque, anche un bambino del catechismo con una minima conoscenza del vangelo, sa che Gesú non ha mai detto una simile sciocchezza. Solo chi non ha mai letto il vangelo e ha la presunzione di conoscerlo per sentito dire, potrebbe pensare una cosa del genere. È quindi evidente che in tal caso (ma si potrebbe giungere alla medesima conclusione per l’intera “intervista”) si tratta di parole messe in bocca a Papa Bergoglio da Eugenio Scalfari. Ha fatto giustamente notare Luis Badilla, Direttore de Il Sismografo:
    L’incontro tra il Santo Padre e il fondatore della testata sarebbe durato 40 minuti circa e la conversazione (7 novembre), come nel caso delle prime interviste (1° ottobre 2013 e 13 luglio 2014), non è stata registrata; dunque è una conversazione senza supporto. Non è stata nemmeno un’intervista a regola d’arte, domande e risposte. Il giornalista non ha chiesto formalmente un’intervista. Ha chiesto un incontro personale.
    Eugenio Scalfari ancora una volta avrebbe costruito “l’intervista”, usando la tecnica della domanda/risposta basandosi però sulla sua memoria e sulle sue conoscenze e, ovviamente, non su contenuti registrati. Ciò apparirebbe molto chiaro in virgolettati del Papa che non appartengono al suo linguaggio e naturalmente alla sua formazione teologica, in particolare quando si fa riferimento alle parole di Gesú. 
    Ma allora, se tutto questo è vero, ci si chiede: perché riprendere questa pseudo-intervista su L’Osservatore Romano? Sono convinto che il quotidiano della Santa Sede non prenderebbe mai l’iniziativa di pubblicare un testo del genere. Ma allora mi chiedo: non ci si rende conto che, permettendo una cosa del genere, chiunque ne sia responsabile, si fa dire al Papa una enormità?
     
    Mi sembra che questo incidente dovrebbe far riflettere quanti, anche fra i cattolici piú conservatori, sono convinti che qualsiasi esternazione del Papa sia una forma di “magistero”, un nuovo modo di fare magistero. È vero che è stato lo stesso Pontefice a incoraggiare questa convinzione: in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino La Nación il 7 dicembre 2014 aveva affermato: «Faccio continuamente dichiarazioni e pronuncio omelie, e questo è magistero». Anche se però aveva aggiunto una frase a mio parere rivelatrice: «Quello che c’è lí è ciò che io penso». Il magistero, se ben ricordo, non è ciò che il Papa pensa (queste semmai sono le sue opinioni personali, rispettabilissime, ma pur sempre opinioni), bensí quello che “pensa” (= crede) la Chiesa.
    Mi ero già espresso sulla questione del magistero nell’intervista che durante l’estate avevo rilasciato al sito Cooperatores veritatis: personalmente, non riconosco valore magisteriale alle omelie mattutine di Santa Marta (che rientrano, semmai, nel munus docendi della Chiesa esercitato da qualsiasi sacerdote); tanto meno considero atti magisteriali i libri, le interviste o le conferenze stampa in aereo (il cosiddetto “magistero volante”). L’incidente di cui ci stiamo occupando dimostra che, in questi casi, si tratta di dichiarazioni che possono essere discutibili e talvolta, come nel caso presente, addirittura errate.
     
    Ho l’impressione inoltre che non ci si renda conto che tale magistero, diciamo cosí, “non-convenzionale” (unconventional, in inglese) può spesso sfociare in ideologia, con grave danno per la purezza del vangelo. Persone non sufficientemente preparate e dotate di senso critico, leggendo che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», sono portate a concludere che sia vero: lo ha detto il Papa, e il Papa non può sbagliare. Mentre si tratta di pura ideologia. 
     
    Il Papa è molto sensibile su questo punto. Il giorno stesso della pubblicazione dell’intervista a Scalfari, al mattino, in Santa Marta, ha proprio fatto una meditazione sulla possibilità di trasformare il cristianesimo in ideologia. Di solito Papa Bergoglio sottolinea il pericolo che la dottrina cristiana diventi ideologia. Questa volta non poteva farlo, perché la seconda lettera di Giovanni, da cui prendeva spunto la meditazione, ci invita a «rimanere nella dottrina» (v. 9); per cui ha dovuto, necessariamente, ammettere che si può ideologizzare anche l’amore:
    Francesco ha fatto riferimento alla parola greca proagon, che è “tanto forte”, per indicare «chi va, chi cammina oltre» [interessante notare come la New American Bible traduca πᾶς ὁ προάγον (= “chi va oltre”) con anyone who is so “progressive” (= “chi è cosí progressista”), N.d.R.]. E «da lí — ha proseguito — nascono tutte le ideologie sull’amore, le ideologie sulla Chiesa, le ideologie che tolgono alla Chiesa la carne di Cristo». Ma proprio «queste ideologie scarnificano la Chiesa». Portano a dire: «sí, io sono cattolico; sí, sono cristiano; io amo tutto il mondo di un amore universale». Ma «è tanto etereo». Invece «un amore è sempre dentro, concreto, e non oltre questa dottrina dell’incarnazione del Verbo».
    «La vita della Chiesa, l’appartenenza alla Chiesa — ha affermato il Pontefice — è sempre dentro, va oltre, esce dalla Chiesa». E cosí «chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente: non ama con tutto il corpo e con tutta l’anima». E «questo modo di fare delle teorie, delle ideologie, anche delle proposte di religiosità che tolgono la carne al Cristo, che tolgono la carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa». Non si deve «mai andare oltre il seno della madre, della santa madre Chiesa gerarchica» [citazione dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, N.d.R.].
    Ecco, appunto, affermare che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere» significa esattamente trasformare il vangelo in ideologia e perciò “scarnificare la Chiesa”. Decisamente meglio non rilasciare piú interviste a Eugenio Scalfari e, men che meno, pubblicarle su L’Osservatore Romano.






    Cardinal Burke: “Se il Papa non fornirà i chiarimenti richiesti, i Cardinali potrebbero adottare un atto formale di correzione di errore grave”

     
    Come dicevo si è innescato un processo, su una base ineludibile e importantissima dalla quale ci si aspettano ulteriori sviluppi. Stiamo parlando degli echi del documento : “Fare chiarezza”.
    Nodi irrisolti dell'
    Amoris Laetitia.
    L'appello di quattro Cardinali al papa, 
    rimasto privo di risposta e reso pubblico [qui] al fine di lanciare e approfondire la riflessione sui problemi sollevati, che riguardano l'intero edificio della morale cattolica. Esso rivolge al Papa 5 brevi domande sotto forma di “Dubia” che comportano un breve “responsum” (cioè una risposta “sì” o “no”).

    Dopo l'intervista di ieri a Catholic action [qui], in una successiva intervista a Edward Pentin, corrispondente romano di NCRegister[qui], il Cardinale Raymond Leo Burke afferma che i cardinali stanno prendendo in considerazione l'idea di una “correzione formale”, nel caso il Papa dovesse mancare di rispondere alle loro perplessità. 

    Va da sé che le risposte indirette e confermanti l'errore, per vie informali ed ecclesialmente poco corrette [vedi Spadaro su Twitter], equivalgono ad una 'non risposta'.

    Stralciamo, nella nostra traduzione, le relative domande cruciali, che tutto il mondo cattolico si sta ponendo da tempo, e le relative risposte.

    Questo lo spirito dell'iniziativa, ripetutamente espresso dal cardinale: “Noi, come cardinali, abbiamo ritenuto essere nostra responsabilità richiedere un chiarimento per quanto riguarda i punti di conflitto, al fine di porre fine alla diffusione di questa confusione che, davvero, conduce la gente in errore. Se noi fossimo stati in silenzio su questi fondamentali dubbi, che sono sorti a seguito del testo di Amoris Laetitia, avremmo commesso una grave mancanza di carità verso il Papa e saremmo venuti colpevolmente meno al dovere del nostro ufficio nella Chiesa”. (M.G.)

    [...] 
    Cosa succede nell'ipotesi che il Santo Padre non risponda al vostro atto di giustizia e di carità e non dia chiarimenti che sperate di ottenere sugli insegnamenti della Chiesa?
     
    Dovremmo affrontare questa specifica situazione. Nella Tradizione della Chiesa, infatti esiste la possibilità di correggere il Romano Pontefice. Certamente è una circostanza rarissima. Ma se non vi fosse risposta alle domande sui punti controversi, allora direi che si porrebbe la questione di adottare un atto formale di correzione di un errore grave.
     
    In caso di conflitto tra un'autorità ecclesiale e la Sacra Tradizione della Chiesa, cosa si è vincolati a credere e qual è l'autorità che lo determina?
     
    Ciò che è vincolante è la Tradizione. L'autorità ecclesiale esiste unicamente al servizio della Tradizione. Penso al passo di S. Paolo (Lettera ai Galati 1, 8) “se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!”

    Se il Papa dovesse insegnare un grave errore o un'eresia, qual è la legittima autorità che può dichiararlo e quali sarebbero le conseguenze?

    In questi casi è dovere dei cardinali e vescovi - e storicamente è accaduto - render chiaro che il Papa sta insegnando l'errore e chiedergli di correggerlo.

    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]




     

    Il dibattito su AL e i dubia al Papa dei quattro cardinali. Parla il teologo Livi: "L’esortazione di papa Francesco sembra voler contraddire nella prassi quello che nella dottrina viene confermato. L’ambiguità è inaccettabile in un documento che pretende di essere magistero. In realtà è sudditanza psicologica alla falsa teologia del progressismo storicistico, per cui la Chiesa dovrebbe cambiare la verità rivelata da Dio per assecondare le esigenze del mondo moderno".

    di Benedetta Frigerio

    Sono due anni ormai, con l'apertura del sinodo sulla famiglia, che nella Chiesa emergono le interpretazioni più svariate e diverse circa la dottrina legata al matrimonio e all'Eucarestia. Il tutto è culminato con la pubblicazione dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” che ha portato il disorientamento a livelli preoccupanti. Per questo il nostro giornale ha ospitato l’intervento di quattro cardinali che hanno sollevato dubbi in merito all’esortazione facendo notare che la confusione crescente sta alimentando le divisioni nella Chiesa. Anche il teologo monsignor Antonio Livi parlando di “disorientamento generale”spiega perché è necessario che ciascuno, chierico o laico, si muova sull’esempio dei quattro cardinali. 

    Livi, la interpelliamo innanzitutto come sacerdote: può confermare lo stato di confusione? Che clima si respira fra voi prelati. Insomma, che effetto ha fatto questo sinodo su di voi e sui fedeli?

    L’effetto è stato quello di un tremendo “disorientamento pastorale” (termine che ho usato per intitolare un libro che sto per mandare alle stampe). Questo disorientamento consiste nella sensazione che l’episcopato sia irrimediabilmente diviso sulle questioni più importanti riguardanti il dogma e la morale della Chiesa, e anche sull’autorità del Papa. Di conseguenza, i fedeli non si sentono i guidati in modo fermo e unanime nella loro vita di fede. Il disorientamento di cui parlo, però, non è prodotto direttamente dai lavori del Sinodo né dalla Amoris Laetitia ma dal modo con cui l’opinione pubblica cattolica è stata informata. Purtroppo i media hanno presentato il dibattito sinodale come una battaglia tra conservatori e progressisti, con la vittoria finale dei progressisti e il tentativo dei conservatori di frenare la “riforma”. Questo non corrisponde affatto a ciò che in realtà è avvenuto, ossia all’esercizio collegiale del governo della Chiesa e del magistero ecclesiastico.
    Lo scopo, il valore e i risultati dei lavori sinodali – ivi compresa l’esortazione post-sinodale scritta dal Papa – non sono stati apprezzati sufficientemente dai fedeli, frastornati dalle interpretazioni ideologiche che ne hanno dato i giornalisti, e purtroppo anche dalle interpretazioni faziose che ne hanno dato vescovi, sia progressisti sia conservatori. Per questo motivo mi rallegro assai e benedico Iddio per l’intervento pubblico dei quattro cardinali, i quali si collocano al di sopra delle diatribe ideologiche e mirano soltanto a ri-orientare i fedeli cattolici e a salvaguardare l’unità della Chiesa.  

    Quindi ritiene giusto esprimere pubblicamente una perplessità circa un'esortazione apostolica, sebbene il papa non abbia riposto nemmeno privatamente ai cardinali?

    Certo che è giusto. Ci sono state diverse proposte durante i lavori del sinodo: il Papa ha deciso di fare sue alcune di esse e di respingere altre, ma lo ha fatto con quella «voluta ambiguità» che io ho deprecato più volte nei miei commenti alla Amoris Laetitia che tutti possono leggere sul web. E l’ambiguità è inaccettabile in un documento che pretende di essere magistero ecclesiastico. Giustamente quei cardinali sfidano il Papa a dire chiaramente che la sua dottrina si discosta dalla Tradizione della Chiesa (cosa che implicherebbe l’accusa di eresia e la perdita di ogni autorità magisteriale), oppure – ed è la cosa auspicabile -  a dare di quel suo documento un’interpretazione chiara e corretta (conforme cioè alla Tradizione dogmatica e morale).

    Quali sarebbero i problemi gravi contenuti nel capitolo ottavo dell'Amoris Laetitia, della cui interpretazione i cardinali sono preoccupati? 

    I problemi sono la fedeltà alla Tradizione della Chiesa in materie davvero fondamentali, come sono i sacramenti della Nuova Legge: il Battesimo, il Matrimonio, la Penitenza, l’Eucaristia. L’esortazione di papa Francesco sembra voler contraddire nella prassi quello che nella dottrina viene confermato; e ciò è possibile perché il Papa parla della dottrina come di qualcosa di statico e di formalistico che, all’atto pratico, deve essere messo da parte. Il documento tradisce una mentalità erroneamente “pastorale”, che in realtà è la sudditanza psicologica alla falsa teologia del progressismo storicistico, per cui la Chiesa dovrebbe cambiare la verità rivelata da Dio per assecondare le presunte esigenze del cosiddetto “mondo moderno” (che non esiste: è un’invenzione dei sociologi). 

    In quali punti dell'esortazione viene meno la certezza di norme morali assolute? E perché queste norme assolute sono necessarie?

    E’ il discorso sula coscienza, svolto in contraddizione con la dottrina della chiesa, recentemente attualizzata da san Giovanni Paolo II nell’enciclica sulla teologia morale, Veritatis splendor. La coscienza del singolo fedele, secondo l’esortazione apostolica, può legittimamente ritenere non vincolante un comandamento di Dio se non lo “sente” come applicabile al suo caso concreto. Ma la coscienza non è un cieco sentimento soggettivo: è un atto dell’intelligenza che “legge” nella realtà concreta l’ordine o il disordine oggettivo rispetto alla volontà salvifica di Dio, che è Amore sapientissimo e misericordioso.

    La coscienza di ogni fedele cristiano percepisce sempre benissimo il bene e il male in relazione ai comandamenti di Dio i quali costituiscono quello che sant’Agostino chiama l’«ordo amoris», l’ordine dell’amore divino. Ogni cristiano sa, nel suo intimo, che la disobbedienza ai comandamenti di Dio è la propria rovina, temporale ed eterna. Ognuno di noi può dire, come il Salmista. «Il mio bene  non è senza di te, o Dio mio!».

    Come sacerdote e confessore posso assicurare che non c’è persona che nel suo cuore (nella sua coscienza) dia retta agli alibi e alle argomentazioni ipocrite che egli stesso è  capace di inventarsi per “sentirsi a posto” quando trasgredisce in materia grave la Legge di Dio. Una cosa è quello che uno dice proprio giustificarsi e un’altra cosa è quello che uno veramente pensa in cuor suo. Per questo è un gran danno alle coscienze dei fedeli un discorso come quello della Amoris Laetitia  che sembra incoraggiare i fedeli a mentire a se stessi e alla Chiesa ritenendosi “senza peccato” per una presunta mancanza di consapevolezza o condivisione della legge morale. I casi che vengono presi in esami – quelli relativi a fedeli regolarmente coniugati che si separano dal legittimo coniuge e convivono more uxorio con un’altra persona – non ammettono in realtà l’ipotesi astratta di una mancanza di consapevolezza o di piena condivisione della legge morale: tali persone sanno benissimo di essere in stato di peccato mortale e di non poter ricevere l’assoluzione sacramentale finché non intendono convertirsi e cambiare vita. 

    I quattro cardinali e quanti hanno sollevato dubbi in merito all'A.L. sono accusati di voler affermare la propria autonomia e la propria idea (di essere dei legalisti), piuttosto che servire umilmente l'unità della Chiesa con misericordia. Al contrario i cardinali sostengono di aver agito per amore all'unità (carità) e per giustizia. A questo punto occorre chiedersi: cosa genera davvero l'unità (quindi cosa genera la divisione) e cosa significa servire la Chiesa?

    La Chiesa esiste per annunciare la salvezza in Cristo, nostro Redentore. La Chiesa ha questi tre compiti: istruire (magistero), santificare (amministrazione dei sacramenti) e governare (pastorale). Sono tre compiti (tria munera) affidatele da Cristo stesso, il quale l’assiste indefettibilmente con il suo santo Spirito, fornendo ai Pastori le grazie necessarie, a cominciare dal carisma dell’infallibilità nell’insegnamento ufficiale della dottrina rivelata. Pertanto, servire la Chiesa significa contribuire – ciascuno nel proprio ruolo in senso al  Corpo Mistico – al bene delle anime, che debbono essere guidate tutte e sempre – a una vita di fede, di speranza e di carità.

    L’intervento dei quattro cardinali è un esempio per tutti: loro hanno fatto, coraggiosamente, quello che spettava loro per l’incarico che hanno di collaborare con il Papa alla guida della Chiesa; a tutti noi – fedeli laici, sacerdoti in cura d’anime, teologi – spetta di fare altrettanto, con altrettanto coraggio e amore per la Chiesa, nei limiti della propria personale condizione e dei mezzi materiali che la Provvidenza ci mette a disposizione. Io, per quanto mi riguarda, ho fatto quanto ho potuto per orientare alla verità cattolica le coscienze dei fedeli a me affidati e ho anche cercato di chiarire gli aspetti dottrinali messi in discussione da false interpretazioni ideologiche dei documenti del Concilio e dei lavori sinodali sulla famiglia pubblicando nel 2016 un saggio teologico intitolato Dogma e pastorale (Leonardo da Vinci). E non occorre che menzioni lo splendido lavoro che da anni svolgono “Il Timone” e “La Nuova Bussola Quotidiana”, entrambi diretti da un laico colto e coraggioso come Riccardo Cascioli.

     

    -VIA AL CONCISTORO, SULLO SFONDO LO SCONTRO di Lorenzo Bertocchi




    RATZINGER: IL PAPA INCARNA L’OBBLIGO DELLA CHIESA A CONFORMARSI ALLA PAROLA DI DIO, ANCHE SUL MATRIMONIO

    Ratzinger: il Papa incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio, anche sul matrimonio

    Joseph RatzingerDio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald

     

    «Il Papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio”  – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua.
    Il Papa non può dire: “La Chiesa sono io”, oppure: “La Tradizione sono io”, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il Papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. 

    Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il Papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa (Giovanni Paolo II) ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

     



     

    [Modificato da Caterina63 18/11/2016 23:18]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 20/11/2016 15:07

    FOCUS di Benedetta Frigerio
    George Woodall
     

    Prosegue il dibattito su Amoris Laetitia e sui dubia dei cardinali. Parla il teologo Woodall: «Confusione preoccupante, che alimenta la divisione. Il Papa fa bene a voler raggiungere le persone in difficoltà, ma se c’è confusione il suo primo compito è quello di unire nella verità del Magistero della Chiesa».

    “Nessuno può porsi al di sopra del Vangelo”. Così George Woodall, professore di teologia morale e di bioetica alla Regina Apostolorum di Roma, spiega alla Nuova BQ perché è importante porre un freno a quelle interpretazioni dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” in contrasto con l’insegnamento millenario della Chiesa cattolica. Confermando la confusione generale in merito al testo, Woodall apprezza l’appello dei quattro cardinali che hanno sollevato dei dubbi in merito chiedendo al papa di ribadire pubblicamente la dottrina.

    Sia i quattro cardinali sia altri teologi e sacerdoti da noi intervisti hanno parlato di una confusione dilagante fra i fedeli e i sacerdoti circa l’interpretazione dell’A.L. Conferma?

    Questa confusione preoccupante è un dato assolutamente reale. Posso poi sostenere che sia nel mio ruolo di professore sia di pastore riscontro una crescente divisione alimentata da questa confusione. Perciò penso che l’intervento dei cardinali a precisare i loro dubbi sia un atto di carità lecito e anche giusto nei confronti del Santo Padre, il quale, è bene ricordare, ha il compito di custode della dottrina.

    Perché intervenire pubblicamente se il papa stesso non ha ritenuto opportuno rispondere ai cardinali nemmeno in forma privata?

    Questa domanda è da rivolgere a loro, ma penso che proprio la preoccupazione per una giusta pastorale necessiti un intervento. Si sente il bisogno di una parola chiara che spazzi via ogni ambiguità ribadendo una volta per tutte che l’unica ermeneutica è quella della tradizione.

    Il papa ha la preoccupazione di non far sentire nessuno escluso, per questo, dice spesso lui stesso, non sopporta la rigidità sulla dottrina. Cosa ne pensa?

    Confesso la gente nella parrocchia in cui abito, mi incontro con altri sacerdoti e con gli studenti e quello che vedo, lo ripeto, è un caos e una divisione crescenti. Ciò che il papa vuole fare con l’AL è chiaro: si capisce che vuole raggiungere le persone in difficoltà per integrarle e accoglierle nella Chiesa. E’ la sua intenzione ed è giusta. Questo però non è in contraddizione con la sequela alla dottrina. Sono stato parroco di un paese per dieci anni, conosco bene questa necessità di inclusione, motivo per cui ho accolto molte coppie di adulteri che si avvicinavano alla Chiesa. E li ho accompagnati, come suggerito dal Magistero, affinché si ravvedessero per accedere ai sacramenti. Non c’è discrepanza fra sequela alla dottrina e una giusta pastorale.

    Perché è così grave una prassi in cui si accede alla Comunione in stato di peccato mortale?

    Faccio un esempio: il Papa è giustamente duro con i corrotti e i pedofili e non ha neanche istituito un giubileo per loro. Però se una persona corrotta si converte è giusto perdonarla e concederle i sacramenti. Lo stesso vale per un pedofilo pentito che faccia il proposito di non peccare più. E’ da tale proposito infatti che si capisce se vuole davvero seguire Cristo e quindi se può riceverle il Suo corpo.

    Uno dei quattro cardinali, Raymond Burke, è intervenuto sul National Catholic Register spiegando che ammettere ai sacramenti chi continua a vivere da adultero significa negare o l’indissolubilità del matrimonio o il fatto che la Comunione è realmente il Corpo di Cristo.

    In ballo c’è proprio questa grave questione.

    Per questo il cardinale parla di una possibile correzione pubblica dell’esortazione in mancanza di una risposta chiarificatrice. Cosa ne pensa?

    Se ho capito bene ciò che Burke ha detto e che nel passato ci sono state già altre occasioni in cui i papi sono stati corretti dai cardinali. In questo caso posso confermare la veridicità storica di quanto affermato: si tratta di fatti accaduti in difesa della dottrina cristiana.

    Molti, però, sostengono che quello dei cardinali sia un atto contro il papa.

    Non è un atto contro il papa, ma un appello lecito al lui, affinché faccia pubblicamente chiarezza su punti fondamentali, di verità e di morale, per la vita della Chiesa e la salvezza delle anime. Concordo anche sul fatto che sia un atto di giustizia, visto che come cristiani siamo tenuti ad essere fedeli a Cristo e al suo Vangelo al di sopra di tutto. Questo vale per ciascun fedele, per il papa, per noi chierici, per i laici: nessuno può porsi al di sopra della tradizione e del Vangelo. E se c’è confusione in merito il primo compito del Santo Padre è quello di unire tutti nella verità del Magistero della Chiesa. Perciò spero che il papa risponda all’appello. 



    -KASPER HA GIA' RISPOSTO di S. Fontana


    Leggendo i dubbi dei quattro cardinali sulla Amoris laetitia mi sono chiesto che cosa ne penserebbe il cardinale Walter Kasper. Ovviamente è impossibile saperlo. Però qualche ipotesi sulla scorta della sua linea teologica che ha fatto da apertura della lunga fase sinodale conclusasi con l’Esortazione apostolica stessa, ci autorizza a fare qualche libera esercitazione di fantateologia.

    In un suo libro del 1967 dal titolo “Per un rinnovamento del metodo teologico”, il trentaquattrenne teologo Walter Kasper sosteneva che dopo il Concilio la teologia doveva cambiare metodo. Mentre fino ad allora si partiva dai dogmi e dal magistero e si scendeva ai bisogni umani, il processo doveva essere cambiato: il dogma doveva essere visto come intermedio tra la Parola e la situazione esistenziale e doveva collegarle tra loro. Ecco le sue parole: «Il dogma ora non può più apparire che come una grandezza relativa e storica, che ha solo un significato funzionale. Il dogma è relativo, in quanto è in rapporto con la Parola originaria di Dio, che serve ad indicare, e con le problematiche di un determinato tempo, e in quanto aiuta a intendere con esattezza il Vangelo nelle varie situazioni».

    Il nuovo metodo accentuava il primato della Scrittura sulla Tradizione, trascurava che il dogma, prima di essere definito autoritativamente dal magistero, è già contenuto in quanto la Chiesa aveva sempre creduto, e intendeva la tradizione solo come la “interpretazione” della Scrittura. Kasper faceva dipendere questo nuovo metodo dalle novità del Concilio, però il Concilio aveva mantenuto l’equiparazione delle due fonti della Scrittura e della Tradizione.

    Appare esplicito che nella nuova proposta metodologica di Kasper, il dogma è soggetto a cambiamento. Essendo a metà strada tra la Parola e la situazione di vita, il dogma cambia mentre cambia l’ermeneutica biblica e cambia mentre cambia la situazione di vita. Il dogma cambia nell’intreccio interrelato di questi due cambiamenti. Sia l’interpretazione della Scrittura, sia quella della situazione di vita, sono pressoché infinite ed inesauribili, sicché la nostra conoscenza del dogma sarà sempre imperfetta e perfettibile, avvolta da una certa dose di ignoranza e tuttavia in grado di progredire. Questo intendono molti teologi quando dicono che il dogma è storico.

    Eccoci allora ai cinque dubbi dei cardinali. Nella prospettiva kasperiana, quanto il magistero afferma non può più essere inteso come una chiarificazione definitiva, una precisazione o una definizione dirimente. Quanto il magistero afferma è frutto di interpretazione e deve a sua volta essere interpretato. E’ frutto di una interpretazione della Parola e della situazione storica nello stesso tempo.

    Nella prospettiva di Kasper è perfettamente logico che le varie diocesi diano una propria interpretazione di Amoris laetitia, anche se si tratta di interpretazioni molto lontane tra loro e non sono solo pastorali ma anche dottrinali. Se una diocesi decide di permettere l’accesso all’eucarestia ai divorziati risposati e un’altra no – come per esempio succede per le diocesi di Buenos Aires e di Filadelfia - , è difficile sostenere che la differenza tra le due sia solo pastorale e non anche dottrinale.

    Scelte di questo genere motivano tutti e cinque i dubbi dei quattro cardinali, che sono dubbi dottrinali e non pastorali. Date le sue premesse, il teologo Kasper riconosce un pluralismo dottrinale, destinato a proseguire anche oltre le diverse linee-guida delle varie diocesi, scendendo anche alla base ecclesiale. Se il criterio è quello dell’interpretazione non si capisce perché ad un certo punto debba essere sostituito da quello dell’applicazione. 

    Si noti, per precisione, che la centralità dell’interpretazione nel nuovo metodo kasperiano non significa solo che c’è qualcosa da interpretare che viene poi interpretato. Significa anche che l’atto stesso dell’interpretare è fonte di verità, in quanto la verità sarebbe compromessa sempre con la storia. 

    Se ai quattro cardinali dovesse rispondere il cardinale Kasper, secondo me, direbbe che se il Papa avesse voluto precisare qualcosa nell’Amoris laetitia lo avrebbe fatto già nell’Amoris laetitia. Direbbe che il testo dell’Esortazione apostolica è un testo “aperto”, in dissonanza con il vecchio metodo teologico che lui – Kasper – aveva già decretato morto negli anni Sessanta e che invece loro – i quattro cardinali – considerano ancora valido. Direbbe che la richiesta che dei dubbi vengano sciolti dal magistero è una richiesta vecchia e superata, essendo che il compito del magistero è diventato piuttosto quello di suscitare dubbi, per dare nuovi impulsi all’interpretazione. Direbbe che la dottrina è a servizio delle persone nella loro situazione di vita, situazione di vita che non possiamo conoscere mai fino in fondo, come non conosciamo mai fino in fondo i principi dottrinali, che appunto devono sempre essere interpretati. 






    Confessioni a Medjugorje
    Non si può dare la comunione a chi vive in situazioni oggettive di peccato. È quanto chiarisce il vescovo di Mostar, monsignor Ratko Peric, in un documento pubblicato in applicazione della Amoris Laetitia, che ripercorre l'insegnamento della Chiesa in materia. L'indicazione si applica a tutti i pellegrini che si recano a Medjugorje - che fa parte della diocesi di Mostar - e riguarda anche i sacerdoti che li accompagnano.
    di Guido Villa

    «I cattolici sposati validamente che abbiano successivamente divorziato e si siano nuovamente sposati, non possono ricevere la santa Comunione fino a quando non avranno risolto la propria situazione in contraddizione con la Legge di Dio». È quanto si legge nella circolare pubblicata nei giorni scorsi dal vescovo di Mostar-Duvno, Ratko Peric, in applicazione dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia.

    La diocesi di Mostar-Duvno, in Bosnia-Erzegovina, è conosciuta in tutto il mondo per il fatto che secondo la testimonianza di sei veggenti, all’interno dei suoi confini, più precisamente a Medjugorje, dal 24 giugno 1981 appare la Vergine Maria con il titolo di Regina della Pace.

    A motivo del grandissimo afflusso di pellegrini da tutto il mondo, la recente circolare inviata dal vescovo mons. Ratko Peric ai sacerdoti della sua diocesi e di quella di Trebinje-Mrkan, che egli governa in qualità di Amministratore Apostolico, sull’accesso ai sacramenti dei cattolici divorziati e risposati, non è di interesse esclusivamente locale, bensì riguarda tutti i sacerdoti che, come recita la Dichiarazione di Zara del 1991 dell’allora Conferenza Episcopale jugoslava sui fatti di Medjugorje, accompagnano spiritualmente i fedeli che vi si recano, «così che a Medjugorje e con Medjugorje si possa promuovere una sana devozione verso la Beata Vergine Maria, in armonia con l'insegnamento della Chiesa».

    In questa sua circolare, mons. Peric cita diversi documenti papali pubblicati negli ultimi trentacinque anni, nei quali, egli afferma, «si insegna in modo chiaro e univoco che i cattolici sposati validamente che abbiano successivamente divorziato e si siano nuovamente sposati, non possono ricevere la santa Comunione fino a quando non avranno risolto la propria situazione in contraddizione con la Legge di Dio». Tuttavia il vescovo aggiunge che i sacerdoti non devono spezzare il legame che unisce tali persone alla fede e alla Chiesa, e che, «soprattutto se essi sono colpiti da grave malattia o sul letto di morte», li devono visitare e offrire loro «le preghiere e i santi sacramenti che queste persone, in tali circostanze e se sono pentiti, possono, devono e hanno il diritto di ricevere».

    Il vescovo di Mostar menziona anzitutto la Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II, laddove viene stabilito che le coppie in situazioni irregolari, che per vari motivi non possono separarsi, possano accedere ai sacramenti solamente qualora s’impegnino a vivere nella continenza perfetta.

    Segue la citazione del canone 915 del Codice di Diritto Canonico, nel quale si afferma che non possono accedere alla Comunione le persone che «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto», nonché del canone 712 del Codice di Diritto Canonico per le comunità cattoliche di rito orientale, dove si recita che «devono essere allontanati dal ricevere la Divina Eucaristia coloro che sono pubblicamente indegni”. Viene inoltre citato il n° 1650 del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale si ribadisce che la Chiesa, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo «non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio». Se i divorziati si sono risposati civilmente, «essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio» e quindi «non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione». La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza «non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza».

    Viene poi citata la lettera del 1994 della Congregazione per la Dottrina della Fede in occasione dell’Anno internazionale delle famiglie, dove si afferma che i pastori e i confessori hanno il grave obbligo di ammonire i fedeli che vivono una situazione famigliare irregolare ed avvertirli che essi vivono «in aperta contraddizione con la dottrina della Chiesa».

    Mons. Peric infine menziona l’interpretazione ufficiale del canone 915 da parte del Pontificio Consiglio dei testi legislativi del 2000, il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, l‘Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI del 2007, documenti che ribadiscono la dottrina della Chiesa in materia, nonché la dichiarazione del cardinal Müller del 2016 secondo il quale «le norme della Familiaris Consortio al n° 84 e della Sacramentum Caritatis al n° 29 sono tuttora valide, e applicabili in ogni caso».

    Il vescovo di Mostar rammenta inoltre che chi «assume il servizio di insegnare e di annunciare a nome della Chiesa ha giurato di svolgere il proprio compito in osservanza dei documenti della Chiesa vincolanti dal punto di vista giuridico». Restano quindi in vigore, prosegue mons. Peric, le disposizioni secondo le quali la comunione eucaristica non può essere concessa senza assoluzione sacramentale, e tale assoluzione «non può essere data a una persona che viva in una comunione matrimoniale irregolare o non sia sposata in chiesa». Ai sacerdoti delle sue diocesi egli ricorda le parole di san Paolo nella prima lettera a Timoteo di non farsi complice dei peccati altrui, e afferma: «Non dire a un altro che una cosa non è peccato, quando, obiettivamente, lo è. Non lodare il disordine e il male altrui, e soprattutto non farlo nel sacramento della confessione, affinché tu stesso non diventi partecipe e mentore della condanna di qualcuno». 

    Quanto alla Amoris Laetitia, mons. Peric spiega semplicemente che si tratta di «una lettera rivolta ai fedeli con la quale il Papa risveglia l’attività religiosa, aiuta e stimola a superare le difficoltà, incoraggia i cattolici, volgendo la loro attenzione ad alcuni pericoli e sulle cattive conseguenze di essi». 

    Il vescovo di Mostar, rimanendo fedele alla dottrina tradizionale della Chiesa, si allinea perfettamente alle modalità di “accompagnamento” – tanto per usare una parola oggi molto di moda – mostrate dalla Regina della Pace. Come testimoniano molti fedeli in situazioni familiari irregolari che si sono convertiti a Medjugorje (vedi ad esempio qui), presso la Madonna non c’è spazio per la falsa misericordia che finge di non vedere il peccato insito nelle situazioni matrimoniali irregolari e nelle convivenze. La Vergine Maria accoglie tutti tra le sue braccia, e nello stesso tempo, con amore, esorta il peccatore a convertirsi, a tornare a Gesù abbandonando la vita di peccato. Le guarigioni spirituali, anche in ambito familiare, che avvengono a Medjugorje testimoniano che la strada della conversione e dell’abbondono del peccato indicata dalla Madonna a conferma della dottrina della Chiesa, e ora nuovamente messa nero su bianco da mons. Peric, è l’unica strada che può guarire le ferite di tante anime sofferenti.









    [Modificato da Caterina63 27/11/2016 20:37]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 30/11/2016 18:28
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    Card. Sarah preoccupato per la confusione sulla dottrina della Chiesa



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    SarahCome riporta il portale web in lingua tedesca kath.net, in un’intervista concessa al settimanale francese Homme Nouveau, il cardinale Robert Sarah esterna la propria preoccupazione per la grande confusione che regna nel mondo cattolico, persino tra i Vescovi, riguardo alla dottrina della Chiesa.


    Il cardinale si sente chiamato in causa in qualità di Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, poiché l’attuale disorientamento coinvolge tre sacramenti: il Matrimonio, la Penitenza e l’Eucaristia. Secondo il cardinale, la confusione che viviamo attinge la sua linfa nella mancanza di formazione che riguarda purtroppo i suoi stessi confratelli nell’episcopato.


    Sarah tiene a sottolineare che ogni Vescovo, se stesso in primis, è legato alla dottrina del matrimonio monogamico indissolubile, che Cristo ha riportato alla sua forma originaria e nel quale risiede il bene dell’uomo, della donna e dei figli.


    Questa verità non può che avere delle conseguenze riguardo alla possibilità di accostarsi alla Santa Comunione: «La Chiesa intera ha sempre tenuto fermo sul fatto che non si può ricevere la Comunione quando si è consapevoli di aver commesso un peccato grave, principio che è stato confermato definitivamente dall’enciclica Ecclesia de Eucharistia di San Giovanni Paolo II». Ed il Cardinale Prefetto aggiunge: «Neanche un Papa può sciogliere da questa legge divina».






    L'UMILTÀ DI PIETRO NELL'ACCETTARE I «DUBIA» E LA CORREZIONE DI PAOLO, SECONDO SANT'AGOSTINO

    L&#039;umiltà di Pietro nell&#039;accettare i «dubia» e la correzione di Paolo, secondo sant&#039;Agostino

    Sant'Agostino, Esposizione sulla lettera ai Galati, 15

    Dopo la sua venuta in Antiochia fu rimproverato da Paolo, ma la causa del rimprovero non fu perché egli si atteneva alle costumanze giudaiche, cioè del popolo nel quale era nato ed era stato educato, anche se poi non le rispettava quand’era fra i pagani.

    Fu rimproverato perché tali costumanze egli voleva imporle ai pagani, a ciò indotto dalla presenza di alcuni, provenienti da Giacomo, cioè dalla Giudea e dalla Chiesa di Gerusalemme, presieduta da Giacomo. 

    Costoro erano ancora convinti che la salvezza dipendesse dalle pratiche legali, e Pietro, impaurito dalla loro presenza, evitava di frequentare i pagani, mostrando con la sua ambiguità d’essere d’accordo nell’imporre ai pagani i pesi di quell’asservimento legalistico. Ciò appare abbastanza chiaramente dal rimprovero di Paolo. Non dice infatti: Se tu, che sei un giudeo, vivi alla maniera dei pagani, come fai a tornare alle costumanze giudaiche?, ma dice: Come fai a costringere i pagani a vivere da giudei?

    L’avergli poi rivolto il rimprovero alla presenza di tutti è perché vi fu costretto dalla necessità. Dal suo rimprovero infatti doveva essere sanata l’intera comunità, e pertanto correggere in segreto un errore palesemente nocivo sarebbe stato del tutto inutile.

    Da notarsi inoltre la maturità spirituale e il progresso nella carità raggiunti da Pietro, cui dal Signore era stato detto per tre volte: Mi ami tu? Pasci le mie pecore.

    Per la salvezza del gregge egli seppe accettare volentieri un simile rimprovero, anche se a lui rivolto da un pastore di grado inferiore. E in effetti colui che veniva rimproverato desta più stupore e rimane più difficile a imitarsi che non colui che lo rimproverava. In realtà è abbastanza facile scorgere il difetto da correggere nell’altro e intervenire con parole di disapprovazione o di rimprovero perché si corregga. 

    Correggere l’altro infatti è certamente più facile che non vedere in te stesso cosa tu abbia da correggere, e accettare di buon animo la correzione, anche se fatta da te stesso, peggio poi se te la faccia un altro, per di più inferiore, e te la faccia alla presenza di tutti. 

    Il comportamento di Pietro ha pertanto valore come grande esempio di umiltà, che è il sommo dell’ascesi cristiana in quanto con l’umiltà si tutela la carità, mentre nulla più della superbia ha potere di demolirla. 

    Per questo non disse il Signore: «Prendete il mio giogo e imparate da me, poiché io risuscito i morti da quattro giorni e li fo uscire dal sepolcro o perché scaccio dal corpo dell’uomo ogni sorta di demoni e guarisco tutte le malattie», e così di seguito; ma disse: Prendete il mio giogo e imparate da me che sono mite ed umile di cuore.



    Quando Ratzinger predisse il futuro della Chiesa

    In una trasmissione del 1969 alla radio tedesca

    Quando Ratzinger predisse il futuro della Chiesa


    Non fingeva di predire il futuro. Era fin troppo saggio per farlo. Di fatto, temperò le sue considerazioni iniziali dicendo:

    “Dobbiamo quindi essere cauti nei nostri pronostici. Quello che ha detto Sant’Agostino è ancora vero: l’uomo è un abisso; nessuno può prevedere quello che uscirà da queste profondità. E chiunque creda che la Chiesa sia non solo determinata dall’abisso che è l’uomo, ma raggiunga l’abisso più grande, infinito, che è Dio, sarà il primo a esitare con le sue predizioni, perché questo ingenuo desiderio di sapere con certezza potrebbe essere solo l’annuncio della sua inettitudine storica”.

    Ma quest’era, traboccante di pericolo esistenziale, cinismo politico e caparbietà morale, anelava a una risposta. La Chiesa cattolica, faro morale nelle acque turbolente del suo tempo, aveva sperimentato di recente alcuni cambiamenti sia tra i propri aderenti e che tra i dissenzienti, che si chiedevano cosa sarebbe diventata la Chiesa in futuro.

    E così, in una trasmissione della radio tedesca del 1969, padre Joseph Ratzinger offrì la sua risposta accuratamente pensata. Ecco le sue considerazioni conclusive:

    Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi.
    Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé.
    Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzato dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!
    In che modo tutto questo influisce sul problema che stiamo esaminando? Significa che tutto il parlare di coloro che profetizzano una Chiesa senza Dio e senza fede sono solo chiacchiere vane. Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione nelle preghiere politiche. È del tutto superfluo. E quindi si distruggerà. Ciò che rimarrà sarà la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa che crede nel Dio che è diventato uomo e ci promette la vita dopo la morte. Il tipo di sacerdote che non è altro che un operatore sociale può essere sostituito dallo psicoterapeuta e da altri specialisti, ma il sacerdote che non è uno specialista, che non sta sugli spalti a guardare il gioco, a dare consigli ufficiali, ma si mette in nome di Dio a disposizione dell’uomo, che lo accompagna nei suoi dolori, nelle sue gioie, nelle sue speranze e nelle sue paure, un sacerdote di questo tipo sarà sicuramente necessario in futuro.

    Facciamo un altro passo. Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali. Scoprirà senza dubbio nuove forme di ministero e ordinerà al sacerdozio cristiani che svolgono qualche professione. In molte congregazioni più piccole o in gruppi sociali autosufficienti, l’assistenza pastorale verrà normalmente fornita in questo modo.
    Accanto a questo, il ministero sacerdotale a tempo pieno sarà indispensabile come in precedenza.
    Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso, perché dovranno essere eliminate la ristrettezza di vedute settaria e la caparbietà pomposa. Si potrebbe predire che tutto questo richiederà tempo.
    Il processo sarà lungo e faticoso, come lo è stata la strada dal falso progressismo alla vigilia della Rivoluzione Francese – quando un vescovo poteva essere ritenuto furbo se si prendeva gioco dei dogmi e insinuava addirittura che l’esistenza di Dio non fosse affatto certa – al rinnovamento del XIX secolo. Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.
    A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”.  

    La Chiesa cattolica sopravvivrà nonostante uomini e donne, non necessariamente a causa loro, e comunque abbiamo ancora la nostra parte da fare. Dobbiamo pregare e coltivare la generosità, la negazione di sé, la fedeltà, la devozione sacramentale e una vita centrata in Cristo.

    Nel 2009 Ignatius Press ha diffuso il discorso di padre Joseph Ratzinger in un libro intitolato Faith and the Future.








    [Modificato da Caterina63 01/12/2016 13:58]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 02/12/2016 18:45

      “Amoris laetitia”: nella storia di sedici secoli fa una prefigurazione di ciò che potrebbe succedere?

    scritto da Sono passati sedici secoli, ma la Chiesa si ritrova a fare i conti con una situazione analoga. Se allora in discussione c’era la divinità di Gesù, adesso c’è l’indissolubilità del matrimonio.

    La tesi, che può sembrare avventata, non è sostenuta da uno qualunque, ma da un esperto di storia della Chiesa e di patrologia, Claudio Pierantoni, attualmente docente di filosofia medievale all’Universidad de Chile.

    Già firmatario della cosiddetta «Lettera dei quarantacinque», la petizione inviata mesi fa a Francesco per chiedergli di chiarire i punti oscuri di «Amoris laetitia», ora il professore pubblica un saggio, «La crisi ariana e la controversia attuale su “Amoris laetitia”: un parallelo», nel quale, mettendo a confronto ciò che accadde milleseicento anni fa, mentre dilagava l’eresia ariana, con quanto succede oggi in seguito all’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia, scopre sorprendenti analogie.

    Nell’anno 318 o 319 dopo Cristo, osserva Pierantoni, quando le tesi del teologo Ario infiammarono in breve tempo l’intero Oriente romano, qualcuno pensò che tutto sommato si trattasse soltanto di «un paio di frasi imprudenti sulla relazione del Figlio con il Padre», eppure quelle formulazioni portarono allo scoperto profondissime divergenze dottrinali, e quindi pastorali, all’interno dell’episcopato dell’epoca, scatenando così una polemica che evidentemente era latente e che spinse l’imperatore Costantino a convocare addirittura un concilio per risolverla.

    Allo stesso modo, spiega Pierantoni, dopo che alcuni esponenti di primo piano della Chiesa cattolica hanno preso pubblicamente le distanze da «Amoris laetitia» e in alcuni casi sono arrivati a chiedere al papa di spiegare in modo più chiaro quanto sostiene nel documento,  sono emerse sensibilità diverse e orientamenti contrastanti, tali da evocare le più accese discussioni teologiche e dottrinali di tanti secoli prima e da portare lo stesso professor Pierantoni a chiedersi se non  sia per caso necessario, oggi come ai tempi di Ario, riunirsi in un concilio per affrontare quella che, dal nome del cardinale che ispira l’azione di Francesco, il docente arriva a chiamare l’«eresia kasperiana».

    Ovviamente sedici secoli fa la crisi, riguardando le fondamenta stesse della dottrina cristiana su Dio e sulla trinità, fu di ordine strettamente teologico, mentre oggi è più di natura morale e pastorale. Tuttavia anche oggi ci si confronta su un autentico pilastro cristiano, l’indissolubilità del matrimonio, «distrutto il quale – scrive il professore – il messaggio stesso perde la sua fisionomia fondamentale».

    Ma vediamo più da vicino le analogie con l’antica disputa e cerchiamo di capire in che senso con «Amoris laetitia» si metterebbe in discussione l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

    Pierantoni spiega che così come gli ariani non si azzardarono a sostenere apertamente che il Figlio è inferiore al Padre, ma fecero ricorso a un’espressione generica,  «simile al Padre», che poteva prestarsi a varie interpretazioni e comunque apriva una prospettiva, allo stesso modo «Amoris laetitia», al capitolo ottavo, utilizza un linguaggio «generico, sinuoso e involuto» con il quale, pur non negando l’indissolubilità del matrimonio, nega le conseguenze che dall’indissolubilità discendono nella pratica. E, così facendo, si pone di fatto in un’ottica divorzista.

    Sostenere, come fa «Amoris laetitia» che «in alcuni casi» le persone che vivono unioni «cosiddette irregolari» possono ricevere l’«aiuto dei sacramenti», significa dire e non dire. I casi infatti non sono esplicitati. Comunque, sia che la dizione «in alcuni casi», lasciata volutamente nel vago, vada interpretata in modo più restrittivo sia che la si voglia considerare in modo più esteso, è chiaro, rileva Pierantoni, «che il documento intende spingersi al di là tanto dei casi in cui si abbia certezza soggettiva dell’invalidità del precedente vincolo, come anche dei casi di ignoranza, di difficoltà di comprendere e di forza maggiore o di presunta impossibilità di adempiere la legge».

    «L’espressione “in alcuni casi”, nell’interpretazione più estesa, può essere ampliata fino a includere tutte le situazioni, che sono le più concrete e frequenti, in cui un matrimonio poco felice, fallito per una serie di conflitti e di incompatibilità, è seguito da una convivenza di qualità migliore, stabile nel tempo, con reciproca fedeltà, (cfr. AL 298)».

    «In questi casi, parrebbe che il risultato pratico, in particolare la durata e la felicità della nuova unione contro la brevità e infelicità della precedente, possa interpretarsi come una specie di conferma della bontà e quindi legittimità della nuova unione. In questo contesto (AL 298) si tace qualsiasi considerazione sulla validità del matrimonio precedente, nonché sull’incapacità di comprendere e sulla forza maggiore. E in effetti, quando poco più sotto (AL 300) si passa a considerare il tipo di discernimento che dovrà farsi in questi casi, risulta ancora più chiaro che i temi in discussione nell’esame di coscienza, e nel relativo pentimento, non saranno altri che il buono o cattivo comportamento a fronte dell’insuccesso matrimoniale e la buona riuscita della nuova unione».

    «Ora, è sufficientemente chiaro che se il metro valido per giudicare della liceità della nuova unione è, alla fine, il suo successo pratico, la sua felicità visibile, empirica, di contro all’insuccesso e all’infelicità del matrimonio anteriore – liceità che è ovviamente presupposta per ricevere l’assoluzione sacramentale e l’eucaristia –, la conseguenza inevitabile è che il precedente matrimonio implicitamente si considera, anche pubblicamente, ormai senza effetto e quindi sciolto: quindi, che il matrimonio è dissolubile. E così nella Chiesa cattolica, mentre a parole si continua ad affermare l’indissolubilità, di fatto viene introdotto il divorzio».

    «È anche sufficientemente chiaro che, se il successo del nuovo matrimonio basta per stabilire la sua liceità, questo include la giustificazione praticamente di tutti i casi di nuova unione, In effetti, se la nuova unione dovesse dimostrarsi priva di successo, non sussisterà lo stimolo per giustificarla e si passerà piuttosto a un’ulteriore unione, nella speranza di un maggior successo. Ora questa, e non altra, è appunto la logica del divorzio».

    Tornando al parallelo con milleseicento anni fa, l’autore spiega che «tutto ciò ricorda assai da vicino la politica dell’imperatore Costanzo nel ricercare un’espressione sufficientemente generica, che si proponesse di accontentare molteplici posizioni diverse». In effetti, «la genericità, nella controversia ariana, dell’espressione “simile al Padre secondo le Scritture” trova perfetto riscontro nella genericità dell’espressione “in alcuni casi” che troviamo in “Amoris laetitia”. In teoria, quasi ogni posizione vi si può riconoscere».

    Ai tempi nostri, scrive Pierantoni, «molti vescovi e teologi acquietano la propria coscienza affermando, sia in pubblico sia a se stessi, che il dire che “in certi casi” i divorziati risposati possono ricevere i sacramenti non è di per sé erroneo e può interpretarsi, in un’ermeneutica della continuità, come in linea con il magistero precedente». E anche qui abbiamo un parallelo con sedici secoli fa, quando molti vescovi dell’epoca pensavano che non fosse di per sé erroneo sostenere che “il Figlio è simile al Padre secondo le Scritture”».

    Ieri come oggi, tuttavia, c’è un sostanziale superamento della dottrina precedente. Un superamento che, in «Amoris laetitia», si realizza in quattro modi: «Con la smentita della formulazione di “Familiaris consortio” sull’astensione dalla convivenza “more uxorio” come condizione dell’accesso ai sacramenti;  con l’eliminazione dei precedenti netti confini fra certezza della coscienza e norme ecclesiologiche sacramentali;  con la strumentalizzazione dei precetti evangelici della misericordia e del non giudicare, usati per sostenere che nella Chiesa non sarebbe possibile l’applicazione di censure generali a determinati comportamenti oggettivamente illeciti;  e infine, ma non per ultimo, censurando duramente quanti avessero la “meschina” e “farisaica” pretesa di invocare precise norme giuridiche per giudicare di qualsiasi caso singolo, che invece dev’essere rigorosamente lasciato al discernimento e all’accompagnamento personale».

    Conclude il professore: «Se si leggono le singole affermazioni di “Amoris laetitia” non isolatamente, ma nel loro contesto, e il documento a sua volta nel suo contesto storico immediato, si scopre facilmente che la “mens” generale che lo guida è sostanzialmente l’idea del divorzio, oltre all’idea oggi diffusa di non porre chiari confini tra un matrimonio legittimo e un’unione irregolare».

    Tutto sommato, potrebbe essercene a sufficienza per un concilio.

    Aldo Maria Valli

    ***

    Un’ottima sintesi dell’articolo di Claudio Pierantoni è proposta da Sandro Magister

    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351423

    Ma, per chi lo volesse, Magister offre anche la possibilità di leggere l’articolo integralmente, sia in italiano:

    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351421

    sia in inglese:

    http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/index

       






    DUBIA
    Papa Francesco
     

    Il dibattito sull'Amoris Laetitia si arricchisce dell'intervento del filosofo Robert Spaemann: «Con i dubia i Cardinali assolvono al dovere di sostenere, in quanto “senatori”, il Santo Padre. Deplorevole che solo loro abbiano preso l’iniziativa.
    Preoccupante il rifiuto del Papa di rispondere, perché il Magistero supremo si inabissa. Anche i discepoli chiedevano a Gesù dei sì o dei no. E lui rispondeva con chiarezza.

     di Luisella Scrosati

    «E’ comunque deplorevole che solo quattro cardinali abbiano preso l’iniziativa in questa faccenda…». E' l'opinione del filosofo tedesco Robert Spaemann, intervistato dalla Nuova BQ a proposito dei dubia” sollevati da quattro porpore sull'interpretazione del capitolo VIII dell'esortazione post-sinodale Amoris laetitia.

    Il celebre filosofo cattolico, amico e coetaneo di Joseph Ratzinger, professore emerito di filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, aveva già espresso in maniera forte le sue perplessità sul documento post-sinodale poco dopo la sua pubblicizzazione, nell'aprile scorso.  Spingendosi perfino a dire che «l’articolo 305 [di Amoris laetitia, ndr], insieme con la nota 351, in cui si afferma che i fedeli "entro una situazione oggettiva di peccato" possono essere ammessi ai sacramenti "a causa dei fattori attenuanti", contraddice direttamente l’articolo 84 della "Familiaris consortio" di Giovanni Paolo II» (intervista all'edizione in lingua tedesca di Catholic News Agencydel 28/4/2016). 

    Professore, cosa pensa della decisione da parte di quattro Cardinali di esporre i propri "dubia" al Santo Padre prima, e poi di rendere nota la propria iniziativa ed il testo a tutti?
    Con i dubia i Cardinali assolvono al proprio dovere di sostenere con il proprio consiglio, in quanto “senatori”, la Chiesa nella persona del Santo Padre. Il supremo giudice nella Chiesa è il Papa. E’ comunque deplorevole che solo quattro cardinali abbiano preso l’iniziativa in questa faccenda… I quattro Cardinali hanno scelto la strada corretta. Il Papa è il primo destinatario dei dubia, anche se a mio avviso lo scritto sarebbe dovuto passare per la Congregazione della Dottrina della Fede. Comunque i mittenti non hanno scritto una “lettera aperta”, ma si sono rivolti direttamente al Santo Padre. La pubblicizzazione è stata voluta soltanto in un secondo momento, dopo che il Papa si è rifiutato di rispondere.

    Come interpreta il silenzio di Papa Francesco di fronte a richieste motivate da un'oggettiva situazione di confusione che affligge i fedeli, non fosse altro per il disorientamento amplificato dai mass media?
    Il rifiuto del Papa di rispondere all’appello dei quattro cardinali mi riempie di grande preoccupazione, perché il Magistero supremo in tal modo si inabissa. Il Papa ha chiaramente una profonda avversione nei confronti di quelle decisioni che comportano un sì o un no. Però Cristo, Signore della Chiesa, mette spesso i suoi discepoli davanti a decisioni di tal genere. Proprio nella domanda che si riferisce all’adulterio, Lui "chocca" gli apostoli per la semplicità e la chiarezza della dottrina.

    Una domanda per approfondire il dubium n. 3: forse la giustificazione più insidiosa e persuasiva per "aprire in certi casi" alla Comunione ai "divorziati-risposati" è quella di ritenere che, non essendo possibile determinare la situazione soggettiva delle persone coinvolte, non le si dovrebbe privare dei sacramenti. L'oggettivo non dovrebbe andare a discapito del soggettivo... Cosa ci può dire a riguardo?
    E’ un grande errore pensare che la soggettività sia l’ultimo criterio per l’amministrazione dei sacramenti. E’ vero che ogni azione contro coscienza è cattiva, ma lo è allo stesso modo agire con una coscienza erronea. E’ l’insegnamento chiaro di San Tommaso d’Aquino. In questa maniera può nascere un “casus perplexus” [situazione in cui una persona si trova o ritiene di trovarsi di fronte ad una scelta tra due o più mali morali, in questo caso agire contro coscienza o agire contro la norma, n.d.r.]. Da questo dilemma si può uscire solo attraverso una “conversione”, mediante l’apertura della coscienza alla verità oggettiva. Il luogo del ritrovamento della verità è da un lato la ragione e dall’altro la Rivelazione.

    Nei dubia 2, 4, 5 si chiede al Santo Padre se si debbano ritenere ancora validi alcuni insegnamenti «fondati sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa». Non è piuttosto sconcertante che ci si trovi a chiedere se si debba ancora dar credito alle fonti della Rivelazione?
    Bisogna dare ancora fiducia alla fonte della Rivelazione? «Volete andarvene anche voi» (Gv. 6, 67)? Questa domanda la pone Gesù ai suoi discepoli quando la folla se ne va, per aver udito le parole di Gesù. Pietro non discute, ma chiede solo: «Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv. 6, 68)



    si legga anche:


    - MULLER IN SOCCORSO DEI 4 CARDINALI, di R. Cascioli

     





    Cardinale Burke. Amoris Laetitia: il pericolo per la fede sussiste. In mancanza di chiarimenti la correzione ci sarà. Non temo di perdere la porpora, ma il giudizio di Dio

     
     
    Nella nostra traduzione, il testo integrale dell'intervista di Michael Matt al Cardinal Raymond Leo Burke apparsa nella versione cartacea di The Remnant il 25 dicembre scorso e l'altro ieri in quella on line.
    Dopo le recenti affermazioni con le quali il Card. Müller escludeva pericoli per la dottrina e la fede, le accuse di ogni genere e le minacce del decano della Rota Romana sul rischio di  destituzione dei 4 cardinali dei dubia, il Cardinale ha confermato e meglio esplicitato precedenti dichiarazioni, dimostrando di essere sostenuto da una vera e salda fede e conseguente coerenza e fortezza di Pastore fedele al suo mandato. Ci sono molti spunti e approfondimenti da sviluppare dalle dichiarazioni che seguono, anche sul Concilio. Non li trascureremo. Il cardinale peraltro parla in modo sempre più chiaro seppur comprensibilmente prudente e giustamente rispettoso. Gli assicuriamo tutta la nostra preghiera e il nostro sostegno. 

    Inserisco una prima notazione preliminare, di getto. Il cardinale, in una delle risposte, si riferisce alla nota apostrofe con cui ad Antiochia Paolo chiese a Pietro, il motivo per cui egli costringeva «i Gentili a far come i Giudei» (Gal 2,17). E quella era una domanda, una semplice domanda (anche se non nasconde un velato rimprovero), fatta «dal minimo degli Apostoli» (1 Cor 15,9) al proprio Capo, così come è quella dei 4 cardinali. In ogni caso Burke, riferendosi all’episodio di Antiochia allude alla formulazione dei «Dubia» ma non alla «correzione formale» che, se è correttiva, non può certo porsi con modalità interrogative, ma assertive, categoriche, e adeguatamente conclusive.

    Richiamiamo, per gli approfondimenti, l'archivio degli articoli sull'AL.


    MJMVorrei affrontare l’argomento che è il piatto forte del giorno, vale a dire la controversia che gira intorno all’esortazione post-sinodale di Papa Francesco, l’Amoris Laetitia (AL). Il documento – specialmente il paragrafo 305 – è stato definito da vari sacerdoti e teologi (per esempio, su EWTN e in altri siti) “pericoloso”, “assai sconcertante”, “molto problematico”, “un grande sbaglio”, “una contraddizione diretta della Familiaris Consortio di Papa Giovanni Paolo II”, e così via. Innanzitutto, Eminenza, quanta autorità possiede l’AL? Stiamo parlando semplicemente di qualcosa di scandaloso o vi sono paragrafi in odore di eresia?
     
    Cardinal Burke: Innanzitutto, come ho dichiarato sin dal principio, la stessa forma dell’Amoris Laetitia – e quelle che sono in realtà solo le parole del papa contenute nel documento – indica che non si tratta di un esercizio del magistero papale. E il modo in cui è necessario leggere il documento, come nel caso di tutti gli altri, è alla luce dell’insegnamento e della pratica costanti della Chiesa. Quindi, le dichiarazioni dell’AL che sono conformi all’insegnamento e alla pratica costanti della Chiesa sono sicuramente valide. Ma vi sono alcune affermazioni che come minimo possono generare confusione e che devono essere chiarite: è per questo che quattro di noi cardinali abbiamo presentato, in conformità con la prassi tradizionale della Chiesa, cinque domande al Santo Padre sui fondamenti della vita morale e sull’insegnamento costante della Chiesa al riguardo. E una volta presentati i dubia e formulate queste domande, è chiaro che riteniamo che, qualora non venga fornita alcuna risposta, sorgerà un gran pericolo e si prolungherà la confusione che regna nella Chiesa, che sta inducendo nell’errore le anime su temi che hanno a che vedere con la loro stessa salvezza. 
    Pertanto è sicuro che senza una risposta chiarificatrice a queste domande esiste la possibilità del sorgere di uno scandalo. Per quanto riguarda la questione dell’eresia, bisogna prestare molta attenzione nel distinguere tra eresia materiale ed eresia formale. In altre parole, per quanto riguarda l’eresia materiale: vi sono realmente nel testo dichiarazioni materialmente eretiche? Sono contrarie alla fede cattolica? Per quanto riguarda l’eresia formale: chi l’ha scritto – in questo caso la persona del papa – aveva intenzione di proclamare insegnamenti eretici? Nemmeno io credo che si tratti di questo secondo caso. Per quanto riguarda invece il primo caso, il linguaggio del testo è molto confuso ed è difficile stabilire con certezza se le affermazioni confuse siano materialmente eretiche. Però devono essere chiarite, e rifiutare di fare chiarezza su di esse potrebbe indurre i fedeli nell’errore, in un pensiero radicale su temi molto seri.
     
    MJMSe non cambierà nulla e se non arriverà alcuna chiarificazione, e dato che stiamo parlando dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio – matrimonio che è già tanto minacciato, con una percentuale sempre crescente di divorzi e adesso persino dal matrimonio gay –, che effetto prevede che avranno le applicazioni dell’AL, specialmente dei paragrafi 305 e 351, non solo sulla Chiesa ma sul mondo intero?
     
    Cardinal Burke: Vi sarebbero conseguenze devastanti. Recentemente ho letto un editoriale di Ross Douthat sul New York Times che commentava l’applicazione dell’AL nella diocesi di San Diego. Il giornalista ha affermato correttamente che se tale interpretazione dell’AL fosse giusta e accettabile l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio avrebbe cessato di esistere. E ovviamente non possiamo pensare che sia così, poiché stiamo parlando della legge che Dio ha inscritto nei cuori umani sin dalla loro creazione; si tratta di quell’ordine e di quella legge che Cristo ha confermato nel Suo insegnamento nel modo più chiaro possibile, come viene narrato nel capitolo 19 del Vangelo secondo Matteo, in cui Egli gli conferisce lo status di sacramento cristiano. Si deve quindi rispondere ai dubia. Si deve rispondere alle domande in conformità con la tradizione della Chiesa, affinché la Chiesa stessa possa portare avanti la sua missione per la salvezza del mondo. Se la Chiesa dovesse semplicemente accettare il modo di pensare della cultura attuale sul matrimonio, tradirebbe se stessa e tradirebbe il suo Signore e Maestro, e ciò non possiamo assolutamente permetterlo.
     
    MJMIn una lettera privata del 5 settembre ai vescovi di Buenos Aires, Papa Francesco ha scritto: “Non vi sono altre interpretazioni dell’Amoris Laetitia”, ossia “altre” rispetto a quella che sostiene che in certi casi i cattolici divorziati e risposati possano essere ammessi alla Santa Comunione. Francesco è molto trasparente su questo punto, Eminenza. Crede quindi possibile di poter immaginare uno scenario futuro in cui Lei scopra all’improvviso che Le era sfuggito qualcosa e che i quattro cardinali avevano frainteso l’AL, e in cui Lei debba ammettere di aver avuto torto? Voglio dire, nel caso in cui sia impossibile che uno scenario del genere si presenti, a che servono i dubia? Non conoscete già le risposte alle vostre cinque domande?
     
    Cardinal Burke: È ovvio che le conosciamo. Ma il fatto importante è che il pastore della Chiesa universale, nel suo ministero di guardiano e promotore delle verità della fede, manifesti con chiarezza che sì, risponde a queste domande nello stesso modo in cui la Chiesa risponde ad esse. E che quindi quanto ha scritto in quella lettera rappresenta esclusivamente la sua comprensione personale della questione, ma che non può essere considerata un esercizio del magistero papale. È doloroso trovarsi in questa situazione, ma dobbiamo continuare a insistere affinché venga fatta chiarezza in merito.
     
    MJMEminenza, in quest’epoca di dialogo, lo stesso Papa Francesco ha esortato a una “discussione aperta di varie questioni dottrinali” e ha affermato che il pensiero di pastori e teologi, nel caso in cui essi siano fedeli, onesti, realisti e creativi, “aiuterebbe davvero a fare maggiore chiarezza”. Cosa si può inferire quindi da questa decisione di non dialogare con voi nella vostra ricerca di chiarezza su questi punti di fondamentale importanza della teologia morale?
     
    Cardinal Burke: Per parlare chiaro, la gente ha accusato noi quattro cardinali di mancare di rispetto al ministero papale o di avere un atteggiamento ostile nei confronti del papa. Non è affatto così. Siamo cardinali. Abbiamo una responsabilità molto seria, quella di assisterlo: è per questa ragione che presentiamo alla sua attenzione queste domande che riguardano un documento che reca la sua firma. E non potremmo agire diversamente; la Chiesa non può agire diversamente. Quindi, la questione dev’essere chiarita con certezza. Sollevando i dubia abbiamo dato inizio a un dialogo. Quando siamo stati informati del fatto che non ci sarebbe stata alcuna risposta ci siamo resi conto che il dialogo doveva essere presentato all’intera Chiesa perché troppi fedeli – troppi sacerdoti e vescovi – stanno manifestando una gran confusione in merito, e perché stanno sorgendo troppe divisioni in varie parti della Chiesa, tra vescovi e sacerdoti e fedeli laici, sugli insegnamenti fondamentali della fede. Ebbene, questa è opera del diavolo. Lo Spirito Santo genera unità e la conversione quotidiana della vita al Cristo che ci aiuta a vincere i nostri peccati e a vivere in conformità con la verità. Pertanto questa divisione deve essere affrontata e ricomposta. Non le sembra?
     
    MJM: Assolutamente sì. E ovviamente, a tutti noi laici che guardiamo al futuro con fede, sembra che questo sia il vostro compito, il vostro dovere di fronte a Dio.
     
    Cardinal Burke: Difatti, alcune persone mi hanno chiesto: “Ma perché avete pubblicato questi dubia? È il papa. Vi sarebbe dovuto bastare”. Ma no, non è sufficiente perché ovunque io vada – e ultimamente sto viaggiando molto – la gente mi dice: “Ma che succede a voi cardinali? Ci sono delle questioni molto serie che rimangono aperte e rimanete in silenzio. Non dite nulla”. E ha ragione. Se rimanessimo in silenzio indurremmo davvero i fedeli a credere che tutto vada bene. Ma non va bene per niente.
     
    MJMRecentemente la situazione ha raggiunto una tensione tale che si è prospettata persino la possibilità che Lei possa perdere il Suo rango cardinalizio. Crede che si possa arrivare a questo?
     
    Cardinal Burke: Non ci penso nemmeno. Voglio dire: certo, è possibile. Nella storia della Chiesa è già successo che un cardinale abbia perso il suo titolo. Ma adesso non ci penso, perché so qual è il mio dovere e non posso farmi distrarre da questo tipo di pensieri, non posso preoccuparmi se mi si perseguiterà in qualche modo per via del fatto che difendo la verità. Una persona mi ha chiesto: “Non ha paura di insistere su questi temi?”. E io ho risposto che ciò di cui ho paura è di comparire di fronte a Nostro Signore, il Giorno del Giudizio, e di doverGli dire: “No, non Ti ho difeso quando Ti attaccavano, quando la verità che Tu hai insegnato veniva tradita”. Pertanto, non ci penso affatto.
     
    MJMEbbene, Eminenza, io prego affinché quanto Lei ha appena espresso diventi un atteggiamento contagioso nella vita della Chiesa e ai suoi più alti livelli. Ma Lei sa di godere di un supporto notevole. Difatti, esprimendo il loro appoggio a Lei e agli altri tre cardinali, poche settimane fa un certo numero di pastori, accademici e professori di alto profilo, tanto qui come in Europa, hanno firmato una lettera di sostegno in cui sottolineavano il fatto che, come risultato della confusione generale e della disunione provocata dalla promulgazione dell’AL, la Chiesa universale sta entrando ormai in un “momento gravemente critico della sua storia” che, a loro avviso, presenta delle somiglianze allarmanti con la grande crisi ariana del quarto secolo. Sono curioso di sapere se Lei è d’accordo. Pensa che questa situazione è di una tale gravità da poter diventare qualcosa di paragonabile alla crisi ariana?
     
    Cardinal Burke: Ebbene sì, e sarà tanto più probabile quanto più a lungo continuerà a diffondersi la confusione su verità fondamentali della fede. Nel caso della crisi ariana, la questione girava intorno alle due nature nell’unica persona di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma anche in questo caso abbiamo a che fare con una verità fondamentale, in realtà con due verità fondamentali: quella della natura del Santo Matrimonio e quella relativa alla Santa Eucaristia. E se questa confusione non cesserà di esistere ci troveremo in una situazione in cui all’interno della Chiesa una gran quantità di persone non crederanno più nella fede cattolica, come poté verificare per esempio Sant’Ambrogio quando divenne vescovo di Milano. Per cui lei vedrà che si tratta di una questione molto seria, e non penso che la gente esageri quando fa questo paragone (quello con l’arianesimo). Non lo penso affatto.
     
    MJMNella sua lettera di sostegno ai quattro cardinali, il Vescovo Athanasius Schneider – che su questo punto sembra essere il suo copilota, per così dire, appoggiandoLa grazie a Dio – parla di una “reazione intollerante ai vostri dubia” e fa notare che i quattro cardinali sono stati castigati come se fossero “irragionevoli, ingenui, scismatici, eretici e persino comparabili agli eretici ariani”. Ciò La avrà ovviamente ferita a livello personale, Eminenza. Ma cos’è andato storto nella Chiesa tanto da far sì che una semplice richiesta di chiarezza su un tema di morale e dottrina susciti una reazione così viscerale da parte dei membri della gerarchia?
     
    Cardinal Burke: Le dirò cos’è che è andato storto secondo me: un modo di pensare alquanto mondano è penetrato nella vita della Chiesa. La Chiesa si è divisa in partiti politici invece di perseguire l’unità di tutti i cattolici in Cristo. E questo modo di pensare mondano induce certe persone a sfogarsi in questo tipo di attacchi ad hominem sregolati e ridicoli. I dubia sono stati formulati in modo estremamente rispettoso; sono delle domande assai sincere e meritano delle risposte sincere. In queste reazioni esagerate io vedo un segno del fatto che le persone che non vogliono rispondere correttamente ai nostri dubia si rendano conto in realtà di non trovarsi su un terreno solido. Non possono rispondere correttamente ai dubia e così cercano di screditare la persona che ha sollevato queste questioni. Si tratta di una reazione umana molto vecchia ma mondana e secolare. Non deve aver posto nella Chiesa.
     
    MJME quindi cosa succederà, Sua Eminenza? Se Papa Francesco rifiuterà di rispondere ai vostri dubia, quale sarà il prossimo passo da farsi? Lei ha menzionato la possibilità di far loro assumere lo status di una correzione formale. Ma cosa implica ciò esattamente?
     
    Cardinal Burke: Non sarebbe qualcosa di molto differente dai dubia. In altre parole, la verità che sembra essere messa in questione dall’AL verrebbe semplicemente riaffermata sulla linea di quanto la Chiesa ha sempre insegnato, praticato e annunciato nel suo insegnamento ufficiale. E in questo modo tali errori sarebbero corretti. Le sembra chiaro?
     
    MJMAssolutamente sì. Vado un po’ fuori tema, ma quando mi trovavo a Roma per riportare notizie sul Sinodo lo scorso anno, ho notato che emergeva costantemente un tema: l’idea dell’accompagnamento, la ‘Chiesa dell’accompagnamento’, come se la Santa Madre Chiesa non avesse saputo accompagnare i peccatori in passato. Ciò mi ha generato confusione, ma le cose sembrano essersi spinte oltre: il Cardinal Peter Turkson, per esempio, ci ha garantito durante la conferenza stampa vaticana che nel prossimo Sinodo questa ‘Chiesa dell’accompagnamento’ affronterà le cosiddette ‘unioni gay’. Lei prevede dei cambiamenti anche nel modo in cui questo pontificato ‘accompagna’ le persone implicate in unioni omosessuali? È possibile che il prossimo anno, di questi tempi, potremmo star qui discutendo di dubia su un’esortazione post-sinodale che sembrerà approvare la condotta omosessuale?
     
    Cardinal Burke: Questo concetto di accompagnamento non ha certamente alcun significato teologico o dottrinale. E sicuramente non giustifica il fatto che vengano messe in questione le verità morali, specialmente per quanto riguarda azioni che sono sempre e comunque cattive. E se l’accompagnamento viene compreso in tal modo, Lei ha ragione: ciò potrebbe portarci a ogni tipo di dibattiti estremamente pericolosi che indurrebbero alla confusione più totale. Ma penso che questo falso concetto di accompagnamento, avendo già manifestato i suoi effetti dannosi nel contesto del dibattito su quanti si trovano in unioni matrimoniali irregolari, ci porterà o a chiarire ulteriormente cosa vuol dire esattamente accompagnamento o ad abbandonare definitivamente questa nozione. Tutto ciò ha le sue radici nel rapporto tra fede e cultura. Siamo chiamati dalla nostra fede a confrontarci con la cultura, ma quel che dobbiamo fare è confrontarci con la cultura alla luce delle verità della fede e fare in modo che si trasformi, ossia che si conformi sempre di più alla verità che Dio ha inscritto nella natura stessa e in particolare nel cuore dell’uomo. Ma se il concetto di confronto con la cultura non è illuminato teologicamente e non viene compreso correttamente, comincia a sembrare che la Chiesa stia correndo sempre di più dietro la cultura. In altre parole, che stia cercando di imitarla. Ora, se la cultura fosse perfettamente cristiana, ciò non sarebbe corretto ma la fede non sarebbe pregiudicata. Ma viviamo in una cultura che è nemica della vita, della famiglia, della religione: pertanto, dare l’impressione che la Chiesa appoggi una tale cultura è semplicemente una follia.
     
    MJM: Sì, sembra proprio così. Voglio dire, il Santo Padre ha ammonito i sacerdoti invitandoli a non trasformare il confessionale in una “sala delle torture”; eppure sembrerebbe che la cultura – che è attualmente così Cristofoba, se così si può dire – non abbia mai avuto più bisogno di ascoltare la voce della Madre Chiesa in un modo correttivo rispetto a quanto non ne ha bisogno oggi… forse non di accompagnamento, ma quel che voglio dire è: l’atto di cercare di correggere e aiutare il peccatore non è forse il miglior modo di accompagnarlo?
     
    Cardinal Burke: È proprio così! Tutto ciò con estrema carità. Non ci avviciniamo alla gente puntandole il dito contro, gridandole o agendo in modo isterico. La nostra fede ci rende sereni, ma allo stesso tempo ci rende anche fermi e retti. Per questo ci confrontiamo con la cultura con la verità della legge morale e con la verità che Cristo Stesso insegna. E in realtà ciò è proprio quanto la cultura desidera realmente. La cultura non può avere alcun rispetto nei confronti di una Chiesa che affermi: “Ma sì, va tutto bene” e che la appoggi. Questa cultura si aspetta di essere affrontata dalla Chiesa con delle sfide. Spesso mi sento di utilizzare il paragone della relazione che esiste tra genitori e figli. Quando i figli si comportano male, hanno bisogni di essere corretti e guidati. Se i genitori non fanno altro che viziarli e dire: “Ma sì, siete proprio bravi, va tutto bene”, i figli crescono in un modo estremamente disordinato e sviluppano gravi problemi. E per questo motivo non rispettano più i loro genitori.
     
    MJM [ridacchiando]: Eminenza, Le posso dire che sono padre di sette figli e che non li ‘accompagno’ molto. Voglio loro bene e li correggo quando è necessario, ma ‘accompagnarli’? Cosa significa?
     
    Cardinal Burke: Esatto. Anche come insegnante ho spesso corretto studenti che mi hanno gridato: “La odio”. Vede, ho conosciuto genitori che mi hanno raccontato che i loro figli sbattono la porta gridando: “Vi odio”. Ma alla fin fine io penso che i giovani siano grati delle correzioni che ricevono. La gratitudine può non essere un fatto immediato, ma la cosa importante è che abbiamo di fronte a noi l’eternità, il bene eterno dei nostri figli e anche il destino eterno della cultura, e pertanto possiamo attuare di conseguenza.
     
    MJMGiusto. Sa, Eminenza, nell’ultimo decennio i cattolici ne hanno passate tante: dai vari scandali sacerdotali all’abdicazione di Papa Benedetto e ora a questo pontificato ben poco convenzionale di Papa Francesco. E adesso anche questo evento. So che abbiamo ancora poco tempo a disposizione, ma vorrei chiederLe: qual è il consiglio che Si sente di dare ai fedeli laici cattolici nel caso in cui Papa Francesco continui ad astenersi dal dare una risposta ai vostri dubia?
     
    Cardinal Burke: Il mio consiglio è questo, ed è ispirato dalla verità, dalla realtà del fatto che Cristo è vivo per noi nella Chiesa, nell’insegnamento di quest’ultima, nei suoi sacramenti, nella sua vita di preghiera e di devozione e nella sua disciplina: continuate a rafforzarvi nella conoscenza della fede e nella conoscenza di Cristo che è vivo per noi all’interno della Chiesa. Studiate il Catechismo della Chiesa Cattolica e altre espressioni dell’insegnamento costante della Chiesa: per esempio, l’esortazione apostolica Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II. E poi continuate a approfondire la vostra partecipazione alla Sacra Liturgia, la vostra vita di preghiera in casa e la vostra vita devota. E allo stesso tempo, sforzatevi di conformare sempre di più le vostre vite alle verità della nostra fede, seguendo l’insegnamento morale della Chiesa e l’insegnamento della legge morale. Oggi, dopo la preghiera dopo la Comunione, abbiamo pregato, nella forma ordinaria, di diventare delle torce che diano il benvenuto a Cristo per mezzo delle nostre preghiere e della nostra testimonianza della Sua verità, ed è di questo che ci dobbiamo preoccupare. E se faremo questo ci sentiremo incoraggiati e non ci lasceremo abbattere da queste grandi difficoltà che stiamo patendo.
     
    MJMEminenza, sono nato nel 1966, quindi sono sostanzialmente un figlio del Concilio Vaticano II, e mi sembra che tutta la mia vita sia stato un cammino di diminuzione graduale della Tradizione Sacra, che è stata rimpiazzata continuamente da novità. Mi riferisco alla Comunione data nelle mani o alle chierichette o all’annullamento facile di matrimoni e via dicendo. Papa Francesco si definisce una persona che agisce in fedele accordo col vero spirito del Secondo Concilio Vaticano Ecumenico. E mi chiedo: Lei non nutre la preoccupazione che quanto stiamo osservando attualmente sia di fatto il seguito di una sorta di continuità con quello spirito del Vaticano II che ha a che vedere più con un nuovo orientamento generale della Chiesa che con Francesco in particolare?
     
    Cardinal Burke: È una preoccupazione legittima. E ogni volta che odo quell’espressione – lo ‘spirito del Vaticano II’ – mi allarmo immediatamente, perché è fuori di dubbio, è stato dimostrato ed è più che dimostrabile che quanto è successo all’interno della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, ciò che ha invocato il Concilio Vaticano II stesso per giustificarsi, non aveva nulla a che fare con quanto i padri conciliari hanno insegnato. Lo abbiamo visto nella devastazione della Sacra Liturgia e in altri ambiti. Pertanto ritengo che quel che dobbiamo fare è ritornare all’insegnamento costante della Chiesa così com’è espresso non solo nel Concilio Vaticano II ma in tutti i concili ecumenici e in tutti gli insegnamenti autentici della Chiesa nel corso dei secoli. Solo quando i cattolici saranno ben ferrati negli insegnamenti della fede saranno pronti a dare quella testimonianza di cui oggi c’è bisogno e ad essere membri forti della Chiesa, a mantenere la Chiesa forte. Patiamo ormai da decenni di catechesi povere o dell’assenza totale di catechesi, e stiamo pagando dazio per questo. Ma possediamo gli strumenti per affrontare questa situazione e dobbiamo utilizzarli. E oggi scorgo molti segni di persone che vogliono conoscere realmente la loro fede a approfondire la sua conoscenza. Queste persone vogliono che la Sacra Liturgia sia realmente quello che dev’essere: un incontro col Cielo in tutta la sua bellezza. Queste persone hanno anche un grande interesse nell’imparare come condurre una vita morale e buona.
     
    MJMUn’ultima domanda, Eminenza, se vuole essere così cortese da dirmi una cosa che mi sarebbe di grande aiuto. Siamo membri della stampa cattolica, e molti di noi sostengono Lei e gli altri tre cardinali. Ma vogliamo anche essere parte della soluzione. Non vogliamo essere parte del problema. Cosa desidera da parte nostra durante lo sviluppo della vicenda connessa ai dubia? C’è qualcosa che Lei preferirebbe che non dicessimo? In altre parole: qual è il modo più efficace di aiutarLa nella posizione in cui si trova?
     
    Cardinal Burke: Penso che la cosa migliore che potete fare per aiutarmi – e un gran numero di voi l’ha già fatto – è semplicemente riportare la verità, ma in modo sereno, per mantenere il rispetto assoluto per la Chiesa in tutti i suoi aspetti, incluso il ministero petrino, che è essenziale nella vita della Chiesa. Ma allo stesso tempo dire la verità chiaramente e in modo caritatevole. Se lo farete, così come molti di voi hanno già fatto, ciò sarà di grande aiuto. Non dobbiamo contribuire alla divisione assumendo atteggiamenti aggressivi e sboccati, che contribuirebbero solo a dividere la gente e a far sì che quanti non comprendono cosa stia succedendo si sentano scandalizzati. Questo è quel che vogliamo evitare. Ma penso che se esprimete le verità della nostra fede in modo sereno e caritatevole, ciò aiuterà tutti, compresi quanti ancora non comprendono la portata della difficoltà che stiamo affrontando.
     
    MJM: Eminenza, La ringrazio di cuore per aver dedicato il Suo tempo a rispondere a queste domande. Penso che sappia molto bene che noi tutti preghiamo per Lei e che Le siamo profondamente grati per la posizione che ha preso. E se c’è qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, che possiamo fare per aiutarLa, La preghiamo di farcelo sapere. E non dubiti del nostro sostegno e delle nostre preghiere mentre continuerà ad agire.
     
    Cardinal Burke: Grazie. Continuate a pregare per me: ve ne sono veramente grato. E sono stato molto contento di parlare con Lei oggi.
    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
     


    [Modificato da Caterina63 12/01/2017 16:37]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 05/12/2016 12:54

    In morte della bellezza



    Ogni volta che viene consacrata una nuova chiesa sono contento, perché Dio ha una nuova casa e le persone un luogo dove pregarlo. Se poi il luogo in cui la chiesa è consacrata è una periferia desolata, ancora meglio: in mezzo ai palazzoni-dormitorio, dove magari non c’è neanche una piazza per incontrarsi, la chiesa diventa un’isola di umanità e di speranza in un mare di grigiore reale ed esistenziale.

    Tra le periferie più desolate ci sono quelle romane, e dunque quando su «Roma sette», supplemento di «Avvenire», ho letto che a Ponte di Nona sarà presto consacrata una chiesa intitolata a Santa Teresa di Calcutta, ho pensato: che bello!

    Poi purtroppo ho visto la foto.Risultati immagini per Ponte di Nona Madre teresa di calcutta

    Questa nuova chiesa, devo dire, non è brutta. È orrenda. E allora mi sono chiesto: perché? Voglio dire: perché una chiesa così orrenda? E perché le chiese nuove sono tutte immancabilmente orrende? Che cosa abbiamo fatto di male noi cattolici contemporanei per meritarci chiese che fanno letteralmente spavento? Quale colpa dobbiamo espiare?

    ( non solo Aldo Maria Valli, ma anche il giornale titola: Ponte di Nona, polemiche per la nuova chiesa: “Sembra un magazzino”)

    Mi piacerebbe chiederlo ai vescovi e ai responsabili diocesani che si occupano di queste cose. Qui non posso pubblicare immagini, ma vi chiedo di andare a vedere in internet. Se cercate la nuova chiesa dedicata a Santa Teresa di Calcutta, a Ponte di Nona, a Roma (via Guido Fiorini, 12) la trovate subito. Purtroppo.

    Penso che se avessero chiesto di disegnarla a un bambino di sei anni il risultato sarebbe stato di gran lunga migliore. Come definire questa presunta chiesa? Un magazzino? Un hangar? Un pezzo di fabbrica? Un bunker? Una casamatta?

    Secondo l’architetto, del quale per carità non faccio il nome, vista di profilo la chiesa può contenere l’immagine di Madre Teresa in preghiera. Ci vuole una certa immaginazione. Il problema è che, di profilo o non di profilo, questo edificio resta orrendo. Quello che dovrebbe essere il campanile sembra una lunga zanna cariata, oppure una specie di torretta industriale, o una cabina elettrica non terminata. Quanto al corpo centrale, potrebbe sembrare la tribuna di uno stadio, ma una brutta tribuna di un brutto stadio.

    E vogliamo parlare dell’interno? Un grande vuoto. Di una freddezza sconcertante. Penso che un deposito di frigoriferi, al confronto, trasmetta più calore.

    Ora torno alla domanda di prima: perché? Perché le chiese di questi nostri tempi devono essere così orrende? Perché ci siamo condannati alla bruttezza estrema, senza speranza? Perché gli architetti ai quali vengono commissionate non sanno fare altro che tirare linee dritte come se fossero alle prese con il progetto d’un supermarket? Perché ignorano del tutto il bisogno di raccoglimento e di intimità spirituale? Perché non possiedono nemmeno una briciola di senso del sacro? Ma, soprattutto, perché le nostre diocesi si rivolgono proprio a questi architetti che sembrano ignorare tutto della vita della Chiesa? Perché, a dirla tutta, i nostri vescovi commissionano chiese a chi, con ogni evidenza, la Chiesa la odia? Possibile che non ci sia in giro un architetto dotato di un minino di pietà per i fedeli e di un minimo di amore per nostro Signore?

    Mentre scrivo, mi viene in mente una possibile risposta. Forse è tutto un calcolo astuto. Siccome le liturgie, in queste nostre chiese di questi nostri tempi, sono spesso, a loro volta, orrende, ecco che i signori vescovi pensano: per liturgie orrende ci vogliono chiese orrende, è una questione di coerenza. Per liturgie sciatte, a base di schitarrate e canti sguaiati, con altoparlanti che ti sfondano i timpani, cori stonati,  preti che pensano di essere a un talent show e fedeli che si comportano come se fossero al centro commerciale, è giusto mettere a disposizione chiese adeguate.

    Non so se questo sottile ragionamento – che comunque è un’ipotesi –  sia animato anche da un intento pedagogico, ma penso di no. Probabilmente l’intento è soltanto punitivo.

    Ma ecco che mi si propone un’altra risposta. E se fossimo davanti, ancora una volta, al vecchio complesso d’inferiorità che immancabilmente coglie molti nostri pastori? Se, semplicemente, facendo costruire queste chiese che sembrano magazzini, i nostri pastori pensassero di essere «moderni»? Probabilmente anche loro le considerano orrende, ma per non mostrarsi arretrati e inadeguati dicono che sono belle, innescando così un equivoco terribile e senza fine, a causa del quale gli architetti presentano progetti sempre più orrendi e i vescovi dicono che sono sempre più belli.

    Il problema è che le vittime finali siamo noi poveri fedeli, costretti a frequentare luoghi di culto dai quali, se non fossero stati consacrati ufficialmente, staremmo certamente alla larga, tanto sono repellenti.

    Mi viene da sorridere, amaramente, pensando che noi contemporanei, capaci solo di sfornare chiese orribili e agghiaccianti, ricorriamo all’espressione «secoli bui» per parlare del medioevo, quando i nostri progenitori costruivano cattedrali meravigliose, capaci di indurre a pensieri di fede perfino gli atei più incalliti. Se quelli erano «secoli bui», i nostri che cosa sono? Una cosa è certa: le chiese nuove, al contrario delle cattedrali medievali, riescono a indurre pensieri di ateismo perfino nei cattolici più devoti.

    Non so se ci avete fatto caso, ma nelle chiese nuove, in questi ambienti terribili che non sembrano case di Dio ma luoghi di punizione e perdizione, non si sa letteralmente dove guardare. Non avendo un’anima, non hanno un centro. Per trovare il tabernacolo, un visitatore può impiegare un bel po’, e magari alla fine non lo trova. Non c’è niente che conduca lo sguardo e lo spirito verso il cuore della chiesa. Tutto sembra pensato, piuttosto, per sviare e confondere. Tutto sembra pensato e progettato perché tra lo spazio di fuori, quello della quotidianità, e lo spazio di dentro, quello che dovrebbe essere lo spazio sacro, non ci sia alcuna differenza. Bruttezza fuori, bruttezza dentro. Anonimato fuori, anonimato dentro. Appiattimento fuori, appiattimento dentro.

    Ora, io so bene che il buon Dio non si fa problemi e abita tra noi ovunque. Ma perché noi non siamo più capaci di rendergli gloria? Perché facciamo di tutto per accoglierlo male? Perché i nostri pastori si ostinano a trovargli case così terribili, così inospitali, così fredde, quasi che, anziché invitarlo a entrare, lo volessero cacciar via?

    Sento già la risposta: ma tu sei un vecchio conservatore e consideri brutto tutto ciò che è moderno e bello solo ciò che è antico!

    Eh no, cari miei. Io sarò pure un vecchio conservatore, ma considero brutto ciò che è oggettivamente brutto, e rivendico il diritto di dirlo a voce alta. E forse, se ci mettessimo in tanti, a dirlo, qualcosa potrebbe cambiare.

    Da Platone a san Tommaso, la bellezza è un attributo della verità e dunque di Dio. Noi invece inseguiamo la bruttezza. Perché? Solo stupidità? Solo sciatteria? No, senz’altro c’è di più. Immersi in un  pensiero che prova odio per l’idea stessa di verità e considera inesistente il bene oggettivo, non possiamo far altro che consegnarci al brutto. È fatale. Ma che questo avvenga con il timbro dei pastori mi mette una grande tristezza.

    Se è vero, come scrisse Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo, mi sa tanto che noi dobbiamo considerarci spacciati.

    Aldo Maria Valli



    <header class="entry-header">

    AMORIS CONFUSIO. DUE GRANDI STUDIOSI LAICI CHIEDONO AL PAPA DI RINNEGARE OTTO ERRORI.

    </header>

    Marco Tosatti

    Dopo i cinque “Dubia”, adesso arrivano gli otto “Errori” . Altri due illustri studiosi cattolici hanno chiesto al Pontefice di esprimersi, e bloccare quello che definiscono un “abuso” dell’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica emanata dopo i due Sinodi sulla famiglia. E’ un’ulteriore presa di posizione di personalità di riguardo del mondo cattolico, dopo la Supplica Filiale, la lettera di decine di teologi, sacerdoti e vescovi, la richiesta di chiarire i “Dubia” avanzata dai quattro cardinali e la recente lettera di venti esponenti cattolici.

    E’ evidente, con buona pace dei superzelanti chiusi a riccio intorno al Pontefice, che il problema dell’Amoris Laetitia non è liquidabile con qualche definizione di rigidità, o di conservatorismo farisaico; ma è una questione che lacera coscienza e logica di molti fedeli cattolici senza etichette particolari.

    In una lettera indirizzata al Pontefice e “a tutti i vescovi in comunione con lui, e al resto dei fedeli cristiani”, John Finnis e Germain Grisez (nella foto) lamentano che la cattiva interpretazione popolare di Amoris Laetitia è usata “per appoggiare errori contro la fede cattolica”.

    Così chiedono al Pontefice di ripudiare questi errori, e chiedono a “tuti i vescovi di unirsi a questa richiesta e di emanare le loro proprie condanne di queste posizioni erronee che identifichiamo”.

    La lettera è stata pubblicata dal sito “First Things”.

    Ecco la lista degli otto errori:

    • Che i preti possano assolvere dal peccato anche quando non c’è intenzione di correggersi
    • Che le persone possano essere troppo deboli per obbedire ai comandi di Dio
    • Che non c’è una legge morale a cui non possano esserci eccezioni
    • Che le leggi morali sono ideali, e non è realistico attendersi che vengano adempiute
    • Che in alcune circostanze è meglio violare una legge morale
    • Che l’attività sessuale è sbagliata solo se uno è sfruttato o ferito
    • Che un matrimonio valido può essere sciolto
    • Che non ci sia nessuno condannato all’Inferno

    Finnis è un professore emerito di filosofia a Oxford. Grisez un teologo morale che ha insegnato per molti anni a St. Mary. Entrambi sono fra i più stimati pensatori cattolici.




    [Modificato da Caterina63 10/12/2016 23:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 20/12/2016 14:31

    ULTIM'ORA: Card. Burke dà utlimatum al Papa: "Deve chiarire i dubia o dopo l'Epifania potrebbe arrivare l'atto formale di correzione"

     
    Il Card. Burke pone un limite di tempo al Papa per rispondere, e avvisa: "O risponde dopo l'Epifania o si dovrà procedere con l'atto formale di correzione, dopo l'Epifania. 
    L'articolo ricorda un precedente: un atto di formale correzione da parte di teologi dell'Università di Parigi che ammonirono e corressero Papa Giovanni XXII nel XVI secolo. Più che giusto, alla luce anche del ben più autorevole precedente: la correzione che San Paolo ebbe a fare a San Pietro "pubblicamente, perchè ne andava della fede". 
    Citiamo, circa la legittimazione dei 4 cardinali (che non sono più soli!) di correggere il Papa, quanto scrissero San Tommaso e sant'Agostino (come riportato da Corrispondenza Romana in un interessantissimo studio di don P. Leoni del 14.12.2016):

    "Scrive San Tommaso d’Aquino (ad Gal.2.14): “Essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte di quelli che sono loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede”.
    E Sant’Agostino commenta: “Lo stesso San Pietro dette esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dal loro soggetti”.
    Riferendosi di nuovo alla critica pubblica di San Paolo a San Pietro, scrive ancora San Tommaso: “La riprensione fu giusta ed utile, ed il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di fatti di un pericolo per la preservazione della verità evangelica… il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò San Paolo scrive: ‘Parlai a Cefa’ cioè a Pietro ‘di fronte a tutti’ perché la simulazione operata da san Pietro comportava un pericolo per tutti.” 
    Questo è lo spirito dunque in cui sarà intrapresa la critica delle dottrine o dei gesti che seguono, con la pietà dovuta di un figlio verso il proprio padre spirituale, capo visibile della santa Chiesa di Dio. Le dichiarazioni (o i gesti) trattati riguarderanno solo tre punti determinati: 1) l’Ecumenismo, 2) l’Eroticismo, e 3) l’Adulterio. (segue nell'articolo "Non si può più tacere") "
     
    Roberto

    Intervista al Card. Burke (19.12.2016)
    Traduzione di MiL:

    In un'intervista esclusiva con LifeSiteNews(19.12.2016), il cardinale Raymond Burke ha dato un'indicazione del possibile termine entro cui dovràavvernire una "correzione formale" di Papa Francescoqualo lo stesso pontefice dovesse non rispondere ai cinque dubia, che chiedono chiarezza su Amoris Laetitia, presentatigli da quattro cardinali, tra cui il cardinale Burke. 

    "I dubia devono avere una risposta perché hanno a che fare con i fondamenti stessi della vita morale e del costante insegnamento della Chiesa in materia di bene e male, per quanto riguarda le varie realtà sacre come il matrimonio e la Santa Comunione e così via,"  ha detto il Card. Burke durante una intervista telefonica. 
    "Ora, naturalmente, siamo negli ultimi giorni, giorni di forte grazia prima della Solennità della Natività di Nostro Signore, e poi abbiamo l'ottava della Solennità e le celebrazioni di inizio del nuovo anno - cioè di tutto il mistero della nascita di Nostro Signore e della sua Epifania - quindi  il termine potrebbe essere fissato qualche giorno dopo".

    Il cardinale, che è il patrono del Sovrano Ordine di Malta, ha detto che la forma della correzione sarebbe "molto semplice": "Sarebbe diretta (anche perchè i dubbi, se risolti, non lascerebbero più spazio ad altre domande) e si potrebbe fare confrontando le dichiarazioni confuse in Amoris Laetitia con quanto è stato il costante insegnamento e la prassi della Chiesa, e correggendo in tal modo Amoris Laetitia," 

    L'esortazione ha causato confusione diffusa nella Chiesa cattolica dalla sua uscita nel mese di aprile 2016, in gran parte a causa della sua ambiguità su importanti questioni morali.Questo ha permesso a vari vescovi e alle conferenze episcopali di  interpretare il documento, a volte in modi che sono in contrasto con la dottrina cattolica sul matrimonio, sulla sessualità, sulla coscienza, e sulla ricezione della Santa Comunione.  
    Ad esempio, i vescovi di Buenos Aires e il vescovo Robert McElroy di San Diego hanno interpretato il documento per consentire ai divorziati cattolici risposati civilmente e che vivono quindi in adulterio di ricevere in alcuni la Santa Comunione. 
     Il Papa stesso ha scritto ai vescovi di Buenos Aires per lodare le loro linee guida, dicendo che non c'era "nessun' altra interpretazione possibile."

    Il cardinale Burke, insieme a cardinali Walter Brandmüller, Carlo Caffarra, e Joachim Meisner, ha presentato nel mese di settembre 2016 i dubia, cinque domande a cui si deve rispondere sì o no, alla ricerca di chiarezza da parte di Papa Francesco sul fatto che l'esortazione siaconforme o non alla dottrina morale cattolica.  
    Poichè il Papa dopo due mesi non aveva dato alcuna risposta dopo due mesi, i cardinali li hanno reso pubblici i dubia. 
     E 'stato dopo questo che il cardinale Burke ha rivelato che un atto formale di correzione sarebbe necessario, se il Papa si rifiutasse di chiarire il significato della sua esortazione. 

    Mentre un tale atto di correzione formale è qualcosa di raro nella vita della Chiesa, non è comunque senza precedenti. Papa Giovanni XXII nel XIV secolo è stato pubblicamente sfidato da cardinali, vescovi e teologi laici dopo aver negato la dottrina che le anime dei giusti sono ammessi alla visione beatifica dopo la morte, insegnando invece che il cielo è ritardatofino alla risurrezione generale alla fine di tempo. Papa Giovanni alla fine ritrattatò la sua posizione, dovuta in parte a una lettera congiunta di teologi dell'Università di Parigi, che professavano sì una totale obbedienza al papa, ma mettevano in chiaro  che il suo insegnamento era contraddetto dalla fede cattolica. 
    Burke ha chiamato la procedura di correggere l'errore di un pontefice un "modo di salvaguardia che l'ufficio e il suo esercizio. e che sarebbe 'realizzata con il rispetto assoluto per l'ufficio del Successore di San Pietro".



    EDITORIALE
    Il cardinale Muller
     

    Un'intervista del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, critico per la pubblicità data ai "dubia", diventa la nuova arma dei "turiferari" per attaccare i quattro cardinali e chi li sostiene. Ora il tentativo è di creare divisione fra di loro, terza tappa di una strategia per impedire che si affronti seriamente il tema posto dai "dubia".

    di Riccardo Cascioli

    Come era prevedibile hanno fatto rumore le parole del cardinale Gerard Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, pronunciate in una intervista a “Stanze vaticane” del TgCom24; e sono ovviamente passate come un siluro contro i quattro cardinali (Burke, Brandmuller, Caffarra e Meisner) che avevano firmato i cinque “dubia” sulle interpretazioni della esortazione apostolica Amoris Laetitia.

    All’interno di una intervista più ampia, che aveva a tema soprattutto la continuità tra Benedetto XVI e Francesco, argomento dell’ultimo libro del cardinale prefetto, Muller ha detto tra l’altro che non gli è piaciuta l’idea di rendere pubblici i "dubia" e che esclude la possibilità da parte dei cardinali di una “correzione fraterna” del Papa in materia perché «in questo momento non si tratta di un pericolo per la fede», facendo esplicito riferimento alle condizioni poste da san Tommaso. 

    La cosa ha colto di sorpresa anche perché diversi pronunciamenti pubblici del cardinale Muller andavano finora nella direzione del sostegno ai “dubia”. L’ultimo appena un mese fa all’agenzia austriaca Kathpress. Cosa è dunque successo? Ha cambiato davvero idea il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?

    In realtà, se si mettono a confronto le dichiarazioni a Tgcom24 con quelle a Kathpress c’è molta meno differenza di quanto si possa pensare. Anzitutto nelle parole di domenica non c’è una critica ai “dubia” né nel merito né nella legittimità della richiesta al Papa. La critica riguarda il renderli pubblici, e la si capisce nella preoccupazione per una polarizzazione del dibattito, per l’esasperazione dei toni che Muller aveva denunciato anche nell’intervista a Kathpress. La questione della “correzione fraterna” poi non è direttamente legata alla presentazione dei “dubia”, ma è stata fatta balenare dal cardinale Burke in una intervista recente, e lo stesso Burke ha poi cercato di minimizzare. 

    Tutta l’intervista a Tgcom24 è chiaramente contraddistinta dal desiderio di evitare pericolose contrapposizioni nella Chiesa; e infatti, senza mettere in discussione i contenuti di Amoris Laetitia, il cardinale Muller ancora una volta ne ha proposto un’interpretazione in continuità con il magistero precedente: «Da un lato abbiamo la dottrina chiara sul matrimonio, dall’altro l’obbligo della Chiesa di preoccuparsi» di persone «che vivono un’unione non regolare, cioè non secondo la dottrina della Chiesa sul matrimonio». Esattamente ciò che era già scritto in Familiaris Consortio, e del resto nell’intervista a Kathpress il cardinale Muller ribadiva che la Amoris Laetitia «non deve essere interpretata in modo da indicare che non sono più validi i precedenti pronunciamenti di papi e Congregazione per la Dottrina della Fede». E a rafforzare tale affermazione, Muller citava allora la risposta ufficiale che la sua Congregazione diede nel 1994 a tre vescovi tedeschi in cui si escludeva che le persone che vivono in condizione irregolare possano accostarsi all’Eucarestia.

    Ciò non toglie, ovviamente, che le parole pronunciate domenica dal cardinale Muller, nel dibattito surriscaldato attuale abbiano una conseguenza “politica” subito abilmente sfruttata – per non dire provocata – da quei giornalisti che un vaticanista di lungo corso come Giuseppe Rusconi ha efficacemente definito “turiferari”. 

    Fin da quando sono stati pubblicati i “dubia”, invece di affrontare un dibattito serio i soliti “guardiani della rivoluzione” hanno cercato di disinnescare la “minaccia”. Dapprima è stato il silenzio, sperando che la cosa rimanesse confinata ai siti – tra cui La Nuova BQ – che li avevano resi pubblici. Poi, visto che il tema ha coinvolto vescovi e intellettuali in tutto il mondo, è cominciata una campagna denigratoria nei confronti dei quattro cardinali, dipingendoli come vecchi, isolati, fondamentalisti, ribelli, fino alle minacce più esplicite come quella di togliere loro la berretta cardinalizia. 

    Ma visto che malgrado la pesante campagna intimidatoria sono molti di più vescovi e cardinali che hanno sostenuto apertamente i “dubia” rispetto a quanti si sono allineati alla condanna, ecco che da qualche settimana è iniziato il tentativo di mettere l’uno contro l’altro i quattro cardinali e chi finora li ha sostenuti. Così, ad esempio, Vatican Insider ha tentato di estorcere dichiarazioni al cardinale Brandmuller contro Burke, puntando sempre sulla questione della correzione del Papa, e lo stesso argomento è stato usato nell’intervista di Tgcom24 al cardinale Muller. 

    Se anche questo tentativo andasse a vuoto, possiamo stare tranquilli che verrà tentato qualcos’altro per mettere fuori gioco i quattro. Ciò che si vuole evitare è che si discuta seriamente delle questioni poste dai “dubia” e che riguardano i fondamenti della fede cattolica e il destino di tanti semplici cattolici; così la si butta in caciara, si polemizza sulle modalità e sulle intenzioni, si gioca a chi ha la maggioranza, si specula su una frase o sull’altra di una intervista. Aumentando la confusione nel popolo cattolico.



    [Modificato da Caterina63 12/01/2017 16:16]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 14/01/2017 17:17
      ATTENZIONE: INTERVISTA IMPONENTE, IMPORTANTE E GRAVISSIMA DEL CARDINALE CAFFARRA

    su i Dubia e la crisi nella Chiesa....


    “Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra


    1484336753690_1484336766-jpg-_solo_un_cieco_puo_negare_che_nella_chiesa_ci_sia_grande_confusione___intervista_al_cardinale_caffarra

    “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne”. “Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

    di Matteo Matzuzzi (14-01-2017)

    Bologna – «Credo che vadano chiarite diverse cose. La lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento». Il cardinale Carlo Caffarrapremette questo, prima di iniziare la lunga conversazione con Il Foglio sull’ormai celebre lettera “dei quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti in relazione all’Amoris laetitìa, l’esortazione che ha tirato le somme del doppio Sinodo sulla famiglia e che tanto dibattito – non sempre con garbo ed eleganza – ha scatenato dentro e fuori le mura vaticane. «Eravamo consapevoli che il gesto che stavamo compiendo era molto serio. Le nostre preoccupazioni erano due. La prima era di non scandalizzare i piccoli nella fede. Per noi pastori questo è un dovere fondamentale. La seconda preoccupazione era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa. Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti».

    Fatte queste premesse, Caffarra entra in materia. «Che cosa ci ha spinto a questo gesto? Una considerazione di carattere generale-strutturale e una di carattere contingente-congiunturale. Iniziamo dalla prima. Esiste per noi cardinali il dovere grave di consigliare il Papa nel governo della Chiesa. È un dovere, e i doveri obbligano. Di carattere più contingente, invece, vi è il fatto – che solo un cieco può negare – che nella Chiesa esiste una grande confusione, incertezza, insicurezza causate da alcuni paragrafi di Amoris laetitìa. In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi».

    «questo è un fatto, innegabile, perché i fatti sono testardi, come diceva David Hume. La via di uscita da questo “conflitto di interpretazioni” era il ricorso ai criteri interpretativi teologici fondamentali, usando i quali penso che si possa ragionevolmente mostrare che Amoris laetitìa non contraddice Famìliaris consortio. Personalmente, in incontri pubblici con laici e sacerdoti ho sempre seguito questa via». Non è bastato, osserva l’arcivescovo emerito di Bologna. «Ci siamo resi conto che questo modello epistemologico non era sufficiente. Il contrasto tra queste due interpretazioni continuava. C’era un solo modo per venirne a capo: chiedere all’autore del testo interpretato in due maniere contraddittorie qual è l’interpretazione giusta. Non c’è altra via. Si poneva, di seguito, il problema del modo con cui rivolgersi al Pontefice. Abbiamo scelto una via molto tradizionale nella Chiesa, i cosiddetti dubia». Perché? «Perché si trattava di uno strumento che, nel caso in cui secondo il suo sovrano giudizio il Santo Padre avesse voluto rispondere, non lo impegnava in risposte elaborate e lunghe. Doveva solo rispondere “Sì” o “No”. E rimandare, come spesso i Papi hanno fatto, ai provati autori (in gergo: probati auctores) o chiedere alla Dottrina della fede di emanare una dichiarazione congiunta con cui spiegare il Sì o il No. Ci sembrava la via più semplice. L’altra questione che si poneva era se farlo in privato o in pubblico. Abbiamo ragionato e convenuto che sarebbe stata una mancanza di rispetto rendere tutto pubblico fin da subito. Così si è fatto in modo privato, e solo quando abbiamo avuto la certezza che il Santo Padre non avrebbe risposto, abbiamo deciso di pubblicare».

    È questo uno dei punti su cui maggiormente s’è discusso, con relative polemiche assortite. Da ultimo, è stato il cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio, a giudicare sbagliata la pubblicazione della lettera. Caffarra spiega: «Abbiamo interpretato il silenzio come autorizzazione a proseguire il confronto teologico. E, inoltre, il problema coinvolge così profondamente sia il magistero dei vescovi (che, non dimentichiamolo, lo esercitano non per delega del Papa ma in forza del sacramento che hanno ricevuto) sia la vita dei fedeli. Gli uni e gli altri hanno diritto di sapere. Molti fedeli e sacerdoti dicevano “ma voi cardinali in una situazione come questa avete l’obbligo di intervenire presso il Santo Padre. Altrimenti per che cosa esistete se non aiutate il Papa in questioni così gravi?”. Cominciava a farsi strada lo scandalo di molti fedeli, quasi che noi ci comportassimo come i cani che non abbaiano di cui parla il Profeta. Questo è quanto sta dietro a quelle due pagine».

    nxvfh7vckjlk_s4Eppure le critiche sono piovute, anche da confratelli vescovi o monsignori di curia: «Alcune persone continuano a dire che noi non siamo docili al magistero del Papa. È falso e calunnioso. Proprio perché non vogliamo essere indocili abbiamo scritto al Papa. Io posso essere docile al magistero del Papa se so cosa il Papa insegna in materia di fede e di vita cristiana. Ma il problema è esattamente questo: che su dei punti fondamentali non si capisce bene che cosa il Papa insegna, come dimostra il conflitto di interpretazioni fra vescovi. Noi vogliamo essere docili al magistero del Papa, però il magistero del Papa deve essere chiaro. Nessuno di noi – dice l’arcivescovo emerito di Bologna – ha voluto “obbligare” il Santo Padre a rispondere: nella lettera abbiamo parlato di sovrano giudizio. Semplicemente e rispettosamente abbiamo fatto domande. Non meritano infine attenzione le accuse di voler dividere la Chiesa. La divisione, già esistente nella Chiesa, è la causa della lettera, non il suo effetto. Cose invece indegne dentro la Chiesa sono, in un contesto come questo soprattutto, gli insulti e le minacce di sanzioni canoniche».

    Nella premessa alla lettera si constata «un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa». In che cosa consistono, nello specifico, la confusione e lo smarrimento? Risponde Caffarra: «Ho ricevuto la lettera di un parroco che è una fotografia perfetta di ciò che sta accadendo. Mi scriveva: “Nella direzione spirituale e nella confessione non so più che cosa dire. Al penitente che mi dice: vivo a tutti gli effetti come marito con una donna che è divorziata e ora mi accosto all’Eucarestia, propongo un percorso, in ordine a correggere questa situazione. Ma il penitente mi ferma e risponde subito: guardi, padre, il Papa ha detto che posso ricevere l’eucaristia, senza il proposito di vivere in continenza. Io non ne posso più di questa situazione. La Chiesa mi può chiedere tutto, ma non di tradire la mia coscienza. E la mia coscienza fa obiezione a un supposto insegnamento pontificio di ammettere all’eucaristia, date certe circostanze, chi vive more uxorio senza essere sposato”. Così scriveva il parroco. La situazione di molti pastori d’anime, intendo soprattutto i parroci – osserva il cardinale – è questa: si ritrovano sulle spalle un peso che non sono in grado di portare. È a questo che penso quando parlo di grande smarrimento. E parlo dei parroci, ma molti fedeli restano ancor più smarriti. Stiamo parlando di questioni che non sono secondarie. Non si sta discutendo se il pesce rompe o non rompe l’astinenza. Si tratta di questioni gravissime per la vita della Chiesa e per la salvezza eterna dei fedeli. Non dimentichiamolo mai: questa è la legge suprema nella Chiesa, la salvezza eterna dei fedeli. Non altre preoccupazioni. Gesù ha fondato la sua Chiesa perché i fedeli abbiano la vita eterna, e l’abbiano in abbondanza».

    La divisione cui si riferisce il cardinale Carlo Caffarra è originata innanzitutto dall’interpretazione dei paragrafi di Amoris laetitia che vanno dal numero 300 al 305. Per molti, compresi diversi vescovi, qui si trova la conferma di una svolta non solo pastorale bensì anche dottrinale. Altri, invece, che il tutto sia perfettamente inserito e in continuità con il magistero precedente. Come si esce da tale equivoco?

    «Farei due premesse molto importanti. Pensare una prassi pastorale non fondata e radicata nella dottrina significa fondare e radicare la prassi pastorale sull’arbitrio. Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è una Chiesa più pastorale, ma è una Chiesa più ignorante. La Verità di cui noi parliamo non è una verità formale, ma una Verità che dona salvezza eterna: Veritas salutaris, in termini teologici. Mi spiego. Esiste una verità formale. Per esempio, voglio sapere se il fiume più lungo del mondo è il Rio delle Amazzoni o il Nilo. Risulta che è il Rio delle Amazzoni. Questa è una verità formale. Formale significa che questa conoscenza non ha nessuna relazione con il mio modo di essere libero. Anche se la risposta fosse stata il contrario, non sarebbe cambiato nulla sul mio modo di essere libero. Ma ci sono verità che io chiamo esistenziali. Se è vero – come Socrate aveva già insegnato – che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla, enuncio una verità che provoca la mia libertà ad agire in modo molto diverso che se fosse vero il contrario. Quando la Chiesa parla di verità – aggiunge – parla di verità del secondo tipo, la quale, se obbedita dalla libertà, genera la vera vita. Quando sento dire che è solo un cambiamento pastorale e non dottrinale, o si pensa che il comandamento che proibisce l’adulterio sia una legge puramente positiva che può essere cambiata (e penso che nessuna persona retta possa ritenere questo), oppure significa ammettere sì che il triangolo ha generalmente tre lati, ma che c’è la possibilità di costruirne uno con quattro lati. Cioè, dico una cosa assurda. Già i medievali, dopotutto, dicevano: theoria sine pratii, currus sine ati; pratis sine tìieoria, caecus in via».

    La seconda premessa che l’arcivescovo di Bologna fa riguarda «il grande tema dell’evoluzione della dottrina, che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. E che sappiamo è stato ripreso in maniera splendida dal beato John Henry Newman. Se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione. Se io dico che s è p e poi dico che s non è p, la seconda proposizione non sviluppa la prima ma la contraddice. Già Aristotele aveva giustamente insegnato che enunciare una proposizione universale affermativa (e. g. ogni adulterio è ingiusto) e allo stesso tempo una proposizione particolare negativa avente lo stesso soggetto e predicato (e. g. qualche adulterio non è ingiusto), non si fa un’eccezione alla prima. La si contraddice. Alla fine, se volessi definire la logica della vita cristiana, userei l’espressione di Kierkegaard: “Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto”». Il problema, aggiunge il porporato, «è di vedere se i famosi paragrafi nn. 300-305 di Amoris laetitia e la famosa nota n. 351 sono o non sono in contraddizione con il magistero precedente dei Pontefici che hanno affrontato la stessa questione. Secondo molti vescovi, è in contraddizione. Secondo molti altri vescovi, non si tratta di contraddizione ma di uno sviluppo. Ed è per questo che abbiamo chiesto una risposta al Papa».

    Si arriva così al punto più conteso e che tanto ha animato le discussioni sinodali: la possibilità di concedere ai divorziati e risposati civilmente il riaccostamento all’eucaristia. Cosa che non trova esplicitamente spazio in Amoris laetitia, ma che a giudizio di molti è un fatto implicito che rappresenta nulla di più se non un’evoluzione rispetto al n. 84 dell’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

    03282012080753sacramentum-caritatis-copy«Il problema nel suo nodo è il seguente», argomenta Caffarra: «Il ministro dell’eucaristia (di solito il sacerdote) può dare l’eucaristia a una persona che vive more uxorio con una donna o con uomo che non è sua moglie o suo marito, e non intende vivere nella continenza? Le risposte sono solo due: Sì oppure No. Nessuno per altro mette in questione che Familiaris consortio, Sacramentum Caritatis, il Codice di diritto canonico, e il Catechismo della Chiesa cattolica alla domanda suddetta rispondano No. Un No valido finché il fedele non propone di abbandonare lo stato di convivenza more uxorio. Amoris laetitia ha insegnato che, date certe circostanze precise e fatto un certo percorso, il fedele potrebbe accostarsi all’eucaristia senza impegnarsi alla continenza? Ci sono vescovi che hanno insegnato che si può. Per una semplice questione di logica, si deve allora anche insegnare che l’adulterio non è in sé e per sé male. Non è pertinente appellarsi all’ignoranza o all’errore a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio: un fatto purtroppo molto diffuso. Questo appello ha un valore interpretativo, non orientativo. Deve essere usato come metodo per discernere l’imputabilità delle azioni già compiute, ma non può essere principio per le azioni da compiere. Il sacerdote – dice il cardinale – ha il dovere di illuminare l’ignorante e correggere l’errante».

    «Ciò che invece Amoris laetitia ha portato di nuovo su tale questione, è il richiamo ai pastori d’anime di non accontentarsi di rispondere No (non accontentarsi però non significa rispondere Sì), ma di prendere per mano la persona e aiutarla a crescere fino al punto che essa capisca che si trova in una condizione tale da non poter ricevere l’eucaristia, se non cessa dalle intimità proprie degli sposi. Ma non è che il sacerdote possa dire “aiuto il suo cammino dandogli anche i sacramenti”. Ed è su questo che nella nota n. 351 il testo è ambiguo. Se io dico alla persona che non può avere rapporti sessuali con colui che non è suo marito o sua moglie, però per intanto, visto che fa tanto fatica, può averne… solo uno anziché tre alla settimana, non ha senso; e non uso misericordia verso questa persona. Perché per porre fine a un comportamento abituale – un habitus, direbbero i teologi – occorre che ci sia il deciso proposito di non compiere più nessun atto proprio di quel comportamento. Nel bene c’è un progresso, ma fra il lasciare il male e iniziare a compiere il bene, c’è una scelta istantanea, anche se lungamente preparata. Per un certo periodo Agostino pregava: “Signore, dammi la castità, ma non subito”».

    A scorrere i dubia, pare di comprendere che in gioco, forse più di Familiaris consortio, ci sia Veritatis splendor. È così? «Sì», risponde Carlo Caffarra. «Qui è in questione ciò che insegna Veritatis splendor. Questa enciclica (6 agosto 1993) è un documento altamente dottrinale, nelle intenzioni del Papa san Giovanni Paolo II, al punto che – cosa eccezionale ormai nelle encicliche – è indirizzata solo ai vescovi in quanto responsabili della fede che si deve credere e vivere (cfr. n° 5). A essi, alla fine, il Papa raccomanda di essere vigilanti circa le dottrine condannate o insegnate dall’enciclica stessa. Le une perché non si diffondano nelle comunità cristiane, le altre perché siano insegnate (cfr. n° 116). Uno degli insegnamenti fondamentali del documento è che esistono atti i quali possono per sé stessi ed in se stessi, a prescindere dalle circostanze in cui sono compiuti e dallo scopo che l’agente si propone, essere qualificati disonesti. E aggiunge che negare questo fatto può comportare di negare senso al martirio (cfr. nn. 90-94). Ogni martire infatti – sottolinea l’arcivescovo emerito di Bologna – avrebbe potuto dire: “Ma io mi trovo in una circostanza… in tali situazioni per cui il dovere grave di professare la mia fede, o di affermare l’intangibilità di un bene morale, non mi obbliga più”. Si pensi alle difficoltà che la moglie di Tommaso Moro faceva a suo marito già condannato in prigione: “Hai doveri verso la famiglia, verso i figli”. Non è, quindi, solo un discorso di fede. Anche se uso la sola retta ragione, vedo che negando resistenza di atti intrinsecamente disonesti, nego che esista un confine oltre il quale i potenti di questo mondo non possono e non devono andare. Socrate è stato il primo in occidente a comprendere questo. La questione dunque è grave, e su questo non si possono lasciare incertezze. Per questo ci siamo permessi di chiedere al Papa di fare chiarezza, poiché ci sono vescovi che sembrano negare tale fatto, richiamandosi ad Amoris laetitia. L’adulterio infatti è sempre rientrato negli atti intrinsecamente cattivi. Basta leggere quanto dice Gesù al riguardo, san Paolo e i comandamenti dati a Mosè dal Signore».

    Ma c’è ancora spazio, oggi, per gli atti cosiddetti “intrinsecamente cattivi”. O, forse, è tempo di guardare più all’altro lato della bilancia, al fatto che tutto, dinanzi a Dio, può essere perdonato? Attenzione, dice Caffarra: «Qui si fa una grande confusione. Tutti i peccati e le scelte intrinsecamente disoneste possono essere perdonate. Dunque “intrinsecamente disonesti” non significa “imperdonabili”. Gesù tuttavia non si accontenta di dire all’adultera: “Neanch’io ti condanno”. Le dice anche: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8,10). San Tommaso, ispirandosi a sant’Agostino, fa un commento bellissimo, quando scrive che “Avrebbe potuto dire: va’ e vivi come vuoi e sii certa del mio perdono. Nonostante tutti i tuoi peccati, io ti libererò dai tormenti dell’inferno. Ma il Signore che non ama la colpa e non favorisce il peccato, condanna la colpa… dicendo: e d’ora in poi non peccare più. Appare così quanto sia tenero il Signore nella sua misericordia e giusto nella sua Verità” (cfr. Comm. a Gv. 1139). Noi siamo veramente, non per modo di dire, liberi davanti al Signore. E quindi il Signore non ci butta dietro il suo perdono. Ci deve essere un mirabile e misterioso matrimonio tra l’infinita misericordia di Dio e la libertà dell’uomo, il quale deve convertirsi se vuole essere perdonato».

    9788831508292_0_0_978_80Chiediamo al cardinale Caffarra se una certa confusione non derivi anche dalla convinzione, radicata pure tra tanti pastori, che la coscienza sia una facoltà per decidere autonomamente riguardo ciò che è bene e ciò che è male, e che in ultima istanza la parola decisiva spetti alla coscienza del singolo.

    «Ritengo che questo sia il punto più importante di tutti», risponde. «È il luogo dove ci incontriamo e scontriamo con la colonna portante della modernità. Cominciamo col chiarire il linguaggio. La coscienza non decide, perché essa è un atto della ragione; la decisione è un atto della libertà, della volontà. La coscienza è un giudizio in cui il soggetto della proposizione che lo esprime è la scelta che sto per compiere o che ho già compiuto, e il predicato è la qualificazione morale della scelta. È dunque un giudizio, non una decisione. Naturalmente, ogni giudizio ragionevole si esercita alla luce di criteri, altrimenti non è un giudizio, ma qualcosa d’altro. Criterio è ciò in base a cui io affermo ciò che affermo e nego ciò che nego. A questo punto risulta particolarmente illuminante un passaggio del Trattato sulla coscienza morale del beato Rosmini: “C’è una luce che è nell’uomo e c’è una luce che è l’uomo. La luce che è nell’uomo è la legge di Verità e la grazia. La luce che è l’uomo è la retta coscienza, poiché l’uomo diventa luce quando partecipa alla luce della legge di Verità mediante la coscienza a quella luce confermata”. Ora, di fronte a questa concezione della coscienza morale si oppone la concezione che erige come tribunale inappellabile della bontà o malizia delle proprie scelte la propria soggettività. Qui, per me – dice il porporato – c’è lo scontro decisivo tra la visione della vita che è propria della Chiesa (perché è propria della Rivelazione divina) e la concezione della coscienza propria della modernità».

    «Chi ha visto questo in maniera lucidissima – aggiunge – è stato il beato Newman. Nella famosa Lettera al duca di Norfolk, dice: “La coscienza è un vicario aborigeno del Cristo. Un profeta nelle sue informazioni, un monarca nei suoi ordini, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. Per il gran mondo della filosofia di oggi, queste parole non sono che verbosità vane e sterili, prive di un significato concreto. Al tempo nostro ferve una guerra accanita, direi quasi una specie di cospirazione contro i diritti della coscienza”. Più avanti aggiunge che “nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza”. Ecco perché fra i cinque dubia il dubbio numero cinque è il più importante. C’è un passaggio di Amoris laetitia, al n° 303, che non è chiaro; sembra – ripeto: sembra – ammettere la possibilità che ci sia un giudizio vero della coscienza (non invincibilmente erroneo; questo è sempre stato ammesso dalla Chiesa) in contraddizione con ciò che la Chiesa insegna come attinente al deposito della divina Rivelazione. Sembra. E perciò abbiamo posto il dubbio al Papa».

    «Newman – ricorda Caffarra – dice che “se il Papa parlasse contro la coscienza presa nel vero significato della parola, commetterebbe un vero suicidio, si scaverebbe la fossa sotto i piedi”. Sono cose di una gravità sconvolgente. Si eleverebbe il giudizio privato a criterio ultimo della verità morale. Non dire mai a una persona: “Segui sempre la tua coscienza”, senza aggiungere sempre e subito: “Ama e cerca la verità circa il bene”. Gli metteresti nelle mani l’arma più distruttiva della sua umanità».

    (Fonte: IlFoglio.it)



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 19/01/2017 12:57

      ECCO LA PROVA CHE I 4 CARDINALI HANNO RAGIONE E CHE PAPA FRANCESCO DEVE RISPONDERE PER CORREGGERE GLI ERRORI  Giovanni Paolo II e Benedetto XVI riportano, magistralmente I LIMITI DELL'AUTORITA' DEL PAPA 

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    Non lo inventiamo noi, è tutto sancito, definito categoricamente dal magistero petrino nel solco della tradizione della Chiesa e di tutti i Pontefici, nel corso dei duemila anni di autentica pastorale per il bene degli uomini.

    “Dio e il mondo” è il titolo del libro che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha scritto con il giornalista Peter Seewald. Del volume, frutto di un lungo colloquio tenuto nel febbraio 2000 nell’abbazia benedettina di Montecassino, portiamo questo imponente passaggio sul compito specifico del Pontefice:

    PS – Molti considerano la Chiesa un apparato di potere.

    JR – «Sì, ma si dovrebbe innanzitutto tenere conto che queste strutture devono esistere in funzione del servizio. Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

    Provvidenziale e diremo anche profetico che l’allora cardinale Prefetto della difesa della vera Fede abbia usato, proprio come esempio, la difesa del vincolo del Matrimonio cristiano, il Sacramento del Matrimonio che – è evidente – era già minacciato da queste innovazioni che oggi, purtroppo, vengono invece imposte nella Chiesa sotto la falsa dottrina della prassi.

    _07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-2Che cosa diceva Giovanni Paolo II in difesa della stessa Familiaris consortio, oggi volutamente abusata?

    “Per questo sottolineavo il “dovere fondamentale” della Chiesa di “riaffermare con forza, ­ come hanno fatto i Padri del Sinodo, la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio”(n.20), anche al fine di dissipare l’ombra che, sul valore dell’indissolubilità del vincolo coniugale, sembrano gettare alcune opinioni scaturite nell’ambito della ricerca teologico – canonistica. Si tratta di tesi favorevoli al superamento dell’incompatibilità assoluta tra un matrimonio rato e consumato (cfr.CIC,can. 1061) e un nuovo matrimonio di uno dei coniugi, durante la vita dell’altro…”

    E’ chiaro? E’ evidente allora che quanto espresso dai cardinali nei Dubia e soprattutto nell’ultima intervista del cardinale Caffarranon soltanto è loro lecito chiedere, ma dovere del Papa è dare una risposta chiara ed univoca.

    Il Papa è infatti: “il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua..” Il servizio di cui tanto si parla e che a Papa Francesco piace tanto nella pratica simbolica della lavanda dei piedi, non è servire l’uomo per compiere la sua volontà, ma servire l’uomo per compiere la volontà di Dio che si esprime nei Suoi Decreti, Sacramenti e Comandamenti. E non ce lo inventiamo noi. Leggiamo quest’altro passaggio dal Discorso di Giovanni Paolo II sopra citato:

    “Gli sposi cristiani, che hanno ricevuto “il dono del sacramento”, sono chiamati con la grazia di Dio a dare testimonianza “alla santa volontà del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”(Mt.19,6),ossia all’inestimabile valore dell’indissolubilità … matrimoniale” (FC,n.20). Per  questi  motivi – afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica – “la Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc.10,11-12…), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (n. 1650).”

    Abbiamo letto bene? Giovanni Paolo II cita il Catechismo della Chiesa Cattolica – e non poteva essere diversamente – per frenare l’avanzata dei modernisti che pretendevano, e pretendono, di SANTIFICARE GLI ADULTERI, i matrimoni civili: “ la Chiesa… non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio”.

    Ma da quella intervista con il cardinale Ratzinger, c’è un’altro passaggio interessante. Peter Seewald chiede al futuro Pontefice, Benedetto XVI, se nei Vangeli ci sono dei passi o episodi da cui ci si potrebbe congedare, in futuro, perché confutati da nuove teorie e nuove acquisizioni, perché magari reinterpretati dalle nuove teologie moderne… bella domanda! Ecco la risposta di Ratzinger:

     «NO! Forse emergeranno nuovi accenti nell’interpretazione dei testi. Ma ciò che dicono i Vangeli è stato fissato per iscritto a ridosso dello svolgimento dei fatti narrati e non può perciò essere rimesso in discussione da nuove acquisizioni contemporanee. La testimonianza che i Vangeli ci danno di Gesù Cristo (e di tutto il Suo insegnamento), rimane e conserva per sempre tutta la sua validità».

    Ancora non basta? Leggiamo allora il monito di Giovanni Paolo II che descrive IL LIMITE DEL PONTEFICE. Con molta e vera umiltà il papa diceva “non possumus”, a riguardo proprio della superba presunzione di voler modificare la prassi dei Sacramenti:

    L’odierno incontro con voi, membri del Tribunale della Rota Romana, è  un  contesto adeguato per parlare anche a tutta la Chiesa sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti del matrimonio rato e consumato, che “non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”. Questa formulazione del diritto canonico non è di natura  soltanto  disciplinare  o  prudenziale, ma corrisponde ad una verità dottrinale da sempre mantenuta nella Chiesa.

    Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni, e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.”

    “di fronte ai dubia”…. come direbbe ancora oggi Giovanni Paolo II, e come hanno chiesto i cardinali onesti, anche il suo Successore, Papa Francesco, ha L’OBBLIGO E IL DOVERE di rispondere che neppure lui ha il potere di trattare i Sacramenti con suo libero arbitrio! Giovanni Paolo II aveva già chiarito quali fossero le risposte da dare:

    “Il  Romano  Pontefice, infatti, ha  la  “sacra potestas”  di insegnare  la  verità  del  Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente  la  Chiesa  in  nome  e  con  l’autorità  di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.

    _07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-3Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

    Possiamo concludere che comprendiamo perfettamente come Papa Francesco sia stato messo “con le spalle al muro” dalla Lettera dei cardinali sui Dubia, ma come giustamente spiega Caffarra nell’intervista: “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne.. (..) Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

    Il problema l’hanno creato coloro che hanno scritto il testo Amoris laetitia, e colui che l’ha firmato – il Papa – il quale firmando, ha approvato le loro aberrazioni. Un Papa come Francesco che continua a ripetere “anche io sono peccatore, tutti siamo peccatori… pregate per me, pregate per me…”, dovrebbe ora mettere in pratica ciò che dice a parole e fare un atto di grande umiltà riconoscendosi non peccatore astratto, ma di aver commesso uno sbaglio per essersi fidato di quelle persone alle quali ha dato mano libera per la composizione del testo post-sinodale.

    O se proprio non arrivare a questo per proteggere la Sede Petrina da chi ne approfitterebbe per attaccarla, potrebbe semplicemente far proprie le parole di Giovanni Paolo II che dicono chiaramente: “è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

    I termini SONO CATEGORICI a tal punto che la parola FINE la espresse Benedetto XVI nella Sacramentim Caritatis al n.29, mai citato da Papa Francesco, e dove dice:

    Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr.Mc.10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.(…) È necessario, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale è l’amore per la verità..”

    Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero…” (San Giovanni XXIII – Ad Petri Cathedram – 29.6.1959)

    Laudetur Jesus Christus

    QUI LA FONTE DELL'ARTICOLO

    AMORIS LAETITIA ERA GIÀ STATA «SCRITTA» PARI PARI DA BERNHARD HÄRING. ECCO COSA NE PENSAVA LA CHIESA

    Amoris Laetitia era già stata «scritta» pari pari da Bernhard Häring. Ecco cosa ne pensava la Chiesa

    Su L'’Osservatore Romano del 6 marzo 1991 comparve, “su autorevole richiesta”, una traduzione di un articolo del professor William E. May, docente di teologia morale alla Catholic University of America di Washington e unico membro laico della Commissione Teologica Internazionale, già pubblicato nel periodico Fellowship of Catholic Scholars Newsletter, vol. 14, n. 1, dicembre 1990.

     

    di William E. May

    Nel 1989 P. Bernhard Häring, CSSR, ha pubblicato il libro Ausweglos? Zur Pastoral bei Scheidung und Wiederverheiratung: Ein Plädoyer, Freiburg, Herder 1989 (trad. it.: Pastorale dei divorziati. Una strada senza uscita?, Bologna, Ed. Dehoniane 1990). (I riferimenti delle citazioni saranno fatti seguendo l’edizione italiana). Häring, che evidentemente considera la pratica delle Chiese Ortodosse Orientali, fondata sulla loro spiritualità della oikonomia, come superiore alla pratica della Chiesa Cattolica Romana, sostiene alcune posizioni che non sono compatibili con l’'insegnamento cattolico. La nostra attenzione si concentrerà qui sugli aspetti più pericolosi della sua opera.

    Il primo di essi riguarda l'’interpretazione che egli dà dell'’insegnamento del Signore sull'’indissolubilità del matrimonio (Mc 10, 2-12; Mt 5, 31-32; 19, 3-12; Lc 16-18). Giustamente Häring respinge l'’idea che questo insegnamento ci presenti solamente un ideale o un “semplice” ideale. Tuttavia egli sostiene che l'’insegnamento di Gesù è un “obiettivo” (Zielgebot) o un “ideale normativo”, cioè un ideale obiettivo per il cui raggiungimento uno è obbligato ad impegnarsi con tutte le sue energie (p. 34).

    Ora però questa interpretazione non è in conformità con la comprensione che di questo insegnamento del Signore ha la Chiesa. Gesù, presentando il suo insegnamento sul matrimonio, contrappone all’'insegnamento mosaico, che permetteva il divorzio e le nuove nozze a motivo della “durezza del cuore”, il progetto originario del Padre nella creazione, circa il matrimonio. Inoltre, il Regno di Dio è venuto nella persona di Gesù, così che a quelli che sono uniti con lui è donato un “cuore nuovo” e la grazia di vivere in conformità col disegno di suo Padre.
    È questo il modo in cui la Chiesa intende l’'insegnamento del Signore: come una verità; ritiene cioè che il matrimonio, per volontà del Creatore, è per sua stessa natura intrinsecamente indissolubile, e quindi che nessuna autorità umana ha il potere di scioglierlo e che ogni tentativo di farlo non è efficace. Di conseguenza, i tentativi di “nuove nozze” non sono validi e le relazioni sessuali di persone divorziate, che hanno cercato nuove nozze, non sono relazioni coniugali, ma piuttosto un adulterio
    (cf. Mc 10, 11-12; Mt 5, 32; 19, 9; Lc 16, 18; cf. Concilio di Trento, Sessione XXIV, 11 nov. 1563, can. 7; Pio XI, Enc. Casti Connubii, 31 dic. 1930: AAS 11/1930, 574).
    La Chiesa, pur avendo il potere, per sua natura divino in quanto conferitole da Dio, di sciogliere matrimoni non sacramentali e matrimoni sacramentali non consumati, non ha l'autorità di sciogliere i matrimoni sacramentali consumati di fedeli cristiani: “Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7, 11; sott. aggiunta).

    La seconda posizione pericolosa assunta da P. Häring è il suo tentativo di applicare l'’oikonomia delle Chiese Orientali alla prassi della Chiesa Cattolica. (Secondo Häring la oikonomia consiste in una spiritualità e in una prassi di amministrazione misericordiosa e graduata del disegno di Dio, in riferimento alla singolarità di ogni caso e persona [pp. 44-45]). Egli sostiene che quando una persona divorziata, dopo un periodo di accompagnamento pastorale, giunge al giudizio di coscienza che sarebbe meglio per lei, per i suoi figli e per gli altri di “risposarsi”, “noi, in qualità di rappresentanti della chiesa, non possiamo dare una convalida diretta” di questa decisione (p. 61; sott. aggiunta). Ma, continua, “comunque possiamo rimandare alla soluzione che adottano le chiese orientali secondo lo spirito della oikonomia ed esprimere il nostro modesto parere e invito a considerare se la decisione del nostro interlocutore sia conforme a tale spirito” (p. 61). Certamente un consigliere spirituale, che seguisse in questo punto la proposta di Häring, offrirebbe di fatto il suo appoggio e la sua conferma alla decisione di risposarsi di una persona divorziata. Ma un consigliere spirituale cattolico non può dare un tale consiglio! Farlo sarebbe abdicare alla sua responsabilità, dal momento che non può dare a nessuno il permesso di commettere un adulterio, così come, malgrado tutto, è il significato di quanto viene proposto, se si considera oggettivamente e correttamente il caso.

    Una terza posizione pastoralmente pericolosa avanzata da P. Häring riguarda la virtù dell'’epikeia (Secondo la tradizione morale cattolica l’'epikeia consiste nell’“eccezione fatta di un caso, quando nella situazione si può giudicare con certezza, o per lo meno con grande probabilità, che il legislatore non aveva intenzione di far rientrare tale caso sotto la legge” [S. Alfonso M. de’ Liguori]), circa la cui natura e sul cui ricorso egli propone gravi fraintendimenti. Häring comincia coll'’asserire che le procedure di annullamento in atto all'’interno della Chiesa sono fondate su una mentalità legalistica, che subordina le esigenze reali di una persona umana alla legge e manca così totalmente di manifestare l’'amore e la misericordia di Cristo.

    Sostiene che i tribunali ecclesiastici sono viziati da un cattivo “tuziorismo”, che impone alle parti l’'onere di provare che il loro primo matrimonio era invalido. Häring replica che l’'onere della prova dovrebbe ricadere non sugli individui che sostengono che il loro matrimonio era invalido, ma piuttosto su coloro che asseriscono che era valido. Egli afferma che tutte le volte che c'’è un dubbio ragionevole sulla validità del primo matrimonio e tutte le volte che la parte che chiede l’'annullamento è convinta in coscienza che il matrimonio sia effettivamente invalido, il matrimonio dovrebbe essere annullato (pp. 66-68). Qualora il primo matrimonio non sia stato annullato a motivo di una “tuzioristica” richiesta di prove e qualora tanto la parte coinvolta quanto il consigliere spirituale siano entrambi convinti che il primo matrimonio era invalido, allora — sostiene Häring — può essere applicata l’'epikeia e il pastore di anime può “con grande discrezione (in aller Stille), procedere alla celebrazione delle nozze” (p. 79).

    Su questo punto la proposta di P. Häring è incompatibile non solo con la concezione che la Chiesa ha del matrimonio, ma anche con la realtà. La ragione per cui si presume che il primo matrimonio sia valido finché non sia dimostrato chiaramente il contrario è che la Chiesa rispetta la dignità delle persone umane e presume che esse dicano la verità quando, con “un atto di consenso personale irrevocabile” (cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 48), un uomo e una donna mutuamente si danno e si ricevono nel matrimonio, realtà il cui “vincolo sacro (sacrum vinculum) non dipende dall’arbitrio dell’uomo” (ibidem). Anche se una persona può essere sinceramente convinta nella sua coscienza individuale che un matrimonio era invalido, essa può sbagliare in buona fede, dal momento che la realtà non dipende dalla sincerità delle convinzioni.

    Inoltre, l'epikeia è una virtù mediante la quale si è in grado di determinare se, in particolari circostanze, l’'intenzione del legislatore è rispettata o meno nel caso che si segua una norma specifica. Il giudizio sulla validità del matrimonio, tuttavia, non è affatto un caso in cui si tratti di determinare se una legge sia applicabile o meno. È piuttosto l'’accertamento di un fatto, cioè se veramente l'’unione tra quest'’uomo e questa donna è un matrimonio o invece solo l’apparenza di un matrimonio. D'’altra parte l'’epikeia non può essere applicata neppure quando la “legge” in questione è tale da non ammettere eccezioni, com’'è il caso della norma che proibisce l’'adulterio.

    Nel presente volume Häring, facendo ricorso alla sua consueta retorica, distingue tra una concezione legalistica della moralità (la quale, come egli apertamente denuncia, starebbe al cuore della pratica della Chiesa) e una concezione della moralità più evangelicamente ispirata, che mette in rilievo l’'amore e la misericordia di Dio. Egli sembra ritenere che tutte le norme morali specifiche o “leggi” (per usare l'’espressione da lui preferita), eccezion fatta per quelle che proscrivono la tortura e la violenza sessuale, sono suscettibili di eccezioni. Egli sembra pensare che le norme morali o “leggi” siano limitazioni estrinseche della libertà umana — utili, per la maggior parte, a proteggere i valori umani basilari, ma da mettere da parte tutte le volte che diminuiscono senza necessità le possibilità di scelta dell’'uomo. Non sembra affatto che egli pensi alle norme morali come a verità, alla luce delle quali le persone possono compiere scelte buone e così diventare esse stesse, attraverso le azioni da loro scelte liberamente, gli esseri che Dio vuole che esse siano. Egli non riconosce che alcune norme sono assolute, cioè, senza eccezioni.
    Tra queste vi è anche la norma che proscrive l’'adulterio. L'’adulterio è moralmente cattivo poiché un uomo o una donna devono essere fedeli alla parola data e non possono sostituire nel rapporto coniugale con qualche altra persona quella che hanno reso non sostituibile, attraverso la loro scelta irrevocabile di donarlesi come marito o come moglie. L'’adulterio non è compatibile con un cuore aperto a ciò che è buono e degno di amore, con il “cuore nuovo” donatoci quando, nel battesimo, siamo diventati nuove creature in Cristo. Questo è l'’insegnamento di Cristo e della Chiesa e questa è la ragione per cui le “nuove nozze” dopo il divorzio non sono permesse; questa è la ragione per cui la Chiesa non può permettere l'’adulterio.

    Inoltre, Häring insinua anche che la Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lettera al Cardinal Bernardin (21 marzo 1975), ritiene che quei cattolici che vivono per disgrazia in un irregolare “secondo matrimonio” possono essere ammessi ai sacramenti senza la risoluzione di astenersi dagli atti sessuali genitali (cioè di vivere come “fratello e sorella”) (cf. pp. 84-85). Quest’insinuazione è del tutto fuorviante.

    P. Häring osserva tendenziosamente (p. 81, nota 4) che egli aveva già avanzato alcune delle sue idee sul divorzio e le “nuove nozze” in scritti precedenti, in particolare nel suo saggio Internal Forum Solutions to Insoluble Marriage Cases in The Jurist, 30 (1970) 21-30, senza aver ricevuto rimproveri da parte delle autorità della Chiesa. Ne conclude che questo silenzio da parte delle autorità ecclesiastiche signi fica una accettazione o almeno una tolleranza delle sue tesi.

    Per finire, nel presentare la “spiritualità dell'’oikonomia” delle Chiese Orientali, Häring mostra chiaramente di ritenere che i matrimoni possono “morire” non solo per una morte fisica (quando uno degli sposi muore), ma anche di una morte “morale”, “psichica” e “civile” (cf. pp. 48-53). Questo modo di concepire la “morte” del matrimonio viene asserito sulla scorta di una filosofia che considera come reale ed importante ciò che appare nella coscienza e ignora altri aspetti della realtà. Ora ciò trasforma in una beffa quella promessa reciproca, che l'’uomo e la donna si scambiano quando si sposano, promessa secondo cui essi rinunceranno a tutti gli altri e saranno fedeli l’uno all'’altro fino alla morte, cioè fino alla fine della vita di uno di essi.

    In breve, il libro in questione è fuorviante e pericoloso, dal momento che sostiene posizioni incompatibili con la verità cattolica. È deplorevole il frequente appello alla dottrina di Sant’'Alfonso Maria de’ Liguori, volendo applicare l'’insegnamento di questo grande Dottore in modalità che sono del tutto estranee al suo pensiero. È retorico dipingere la pratica attuale della Chiesa come priva di cuore e crudele. L'’Autore si presenta come uno che vorrebbe solo rendere evidente la misericordia e l’'amore di Cristo; di fatto però finisce col presentare l’'insegnamento e la prassi della Chiesa come un tradimento legalistico e farisaico del Vangelo di amore e di misericordia del Signore. Ma in realtà sono proprio tesi simili che distorcono e travisano l’insegnamento di Cristo e così danneggiano gravemente la vita dei fedeli.

     


    [Modificato da Caterina63 27/01/2017 18:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 01/02/2017 08:34

    Il cardinale Muller
     

    Intervista esclusiva al mensile Il Timone del cardinale Gerard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Non mi piace, non è corretto che tanti vescovi stiano interpretando Amoris Laetitia secondo il loro proprio modo di intendere l’insegnamento del Papa: «Non si può dire che ci sono circostanze per cui un adulterio non costituisce peccato mortale».

    di Riccardo Cascioli

    «La Amoris Laetitia va interpretata alla luce di tutta la dottrina della Chiesa…. Non mi piace, non è corretto che tanti vescovi stiano interpretando Amoris Laetitia secondo il loro proprio modo di intendere l’insegnamento del Papa. Questo non va nella linea della dottrina cattolica». Sono le chiare affermazioni del cardinale Gerard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una lunga intervista rilasciata al mensile Il Timone. 

    Nell’intervista, che appare nel numero di febbraio da oggi acquistabile e immediatamente disponibile sul sito della rivista (un numero 3 euro, abbonamento annuale 28 euro), il cardinale Müller esclude la possibilità della comunione per i divorziati risposati: «Non si può dire che ci sono circostanze per cui un adulterio non costituisce peccato mortale». Mancanza di misericordia? Niente affatto: «Noi siamo chiamati ad aiutare le persone, poco a poco, per raggiungere la pienezza nel loro rapporto con Dio, ma non possiamo fare sconti», afferma Müller. E i vescovi – con codazzo di giornalisti adulanti - che indicano ormai possibile la comunione ai divorziati risposati? «A tutti questi che parlano troppo – è la risposta del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – raccomando di studiare prima la dottrina sul papato e sull’episcopato nei due concili vaticani, senza dimenticare la dottrina sui sette sacramenti».

    La lunga intervista, che tocca molti temi inerenti la dottrina cattolica, arriva come una doccia fredda sugli entusiasmi di quegli osservatori che consideravano le ormai famose dichiarazioni del cardinale Müller al TgCom24 (clicca qui) come il distacco definitivo del prefetto dalle posizioni dei quattro cardinali che hanno firmato i Dubia. Al contrario, le articolate risposte di Müller suonano come una risposta positiva ai Dubia, un contributo alla chiarezza così come i quattro chiedono.

    Ai sopra citati vescovi, teologi e giornalisti, non piacerà neanche la parte in cui il il cardinale Müller spazza via il politicamente corretto in tema di ecumenismo. «La riforma protestante – ha osservato Müller – non deve essere semplicemente intesa come una riforma da alcuni abusi morali, ma bisogna riconoscere che andava a incidere sul nucleo del concetto cattolico di Rivelazione». «Si può sempre riformare la vita morale, le nostre istituzioni, università, strutture pastorali; è necessario anche sbarazzarsi di una certa “mondanizzazione” della Chiesa». 

    La cover di MullerAl proposito Müller afferma che «ci sono errori dogmatici fra i riformatori che noi mai possiamo accettare. Con i protestanti il problema non sta solo nel numero dei Sacramenti, ma anche nel loro significato». Müller ha poi messo in guardia, per quel che riguarda l’ecumenismo, dal relativismo e dall’indifferenza verso i temi dottrinali: «Per cercare l’unità non possiamo accettare di “regalare” due o tre sacramenti, o accettare che il Papa sia una specie di presidente delle diverse confessioni cristiane», ha detto.

    Tutti questi temi sono maggiormente approfonditi nell’intervista, che tocca molti altri punti interessanti. Di sicuro il cardinale Müller ha voluto lanciare un avvertimento a chi crede di poter liquidare facilmente la dottrina (che altro non è che il contenuto della Rivelazione di Gesù) pensando così di andare incontro alle esigenze dell’uomo moderno. «Senza dottrina non c’è Chiesa», titola in copertina Il Timone sintetizzando le parole del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non si può immaginare nulla di più ecclesialmente scorretto.




     
    Ritorno al passato
    di Padre Giovanni Scalese
     
    In questi quattro anni ci è stato fatto il lavaggio del cervello per farci credere che finalmente la Chiesa ha ripreso il cammino che aveva iniziato con il Vaticano II e che era stato poi ingiustificatamente interrotto; il rinnovamento conciliare, dopo cinquant’anni, può finalmente vedere la luce; la Curia sarà una buona volta riformata; si può cominciare a respirare dopo anni di rinchiuso e di oscurità. Significative alcune espressioni del Prof. Grillo: “La fine di un mondo. Forse la fine di un incubo. Sicuramente la fine di un delirio”.
     
    Se devo essere sincero, di nuovo io finora ho visto ben poco. Tutte quelle che vengono contrabbandate come novità sono in realtà la riproposizione di tesi sostenute nell’immediato postconcilio e che erano state giustamente accantonate, perché ritenute erronee o quantomeno inopportune dal magistero della Chiesa. L’esempio piú eclatante è, appunto, Amoris laetitia, che sdogana, dopo trent’anni, le posizioni, allora condannate, di Padre Häring.



    Ritorno al passato



    Circa un anno fa, precisamente il 23 febbraio 2016, scrissi un post su quella che mi sembrava una tendenza serpeggiante nella Chiesa d’oggi: la nostalgia degli anni immediatamente successivi alla conclusione del Concilio Vaticano II (“Formidabili quegli anni”).

    Mi sono tornate in mente quelle riflessioni nei giorni scorsi per due o tre circostanze. La prima è stata la lettura di un articolo del Timonesull’esortazione  apostolica Amoris laetitia, la quale non sarebbe altro che la riproposizione delle tesi sostenute negli anni Ottanta dal Padre Bernhard Häring. La seconda circostanza è stata l’attacco del Prof. Andrea Grillo al Card. Carlo Caffarra sulla rivista Munera, nel quale si rievoca la protesta di un gruppo di teologi italiani alla fine degli anni Ottanta (capeggiata, anche questa, da Padre Häring). In questi giorni, infine, la notizia, data da SandroMagister e confermata dalla rivista dei gesuiti America, della costituzione di una commissione deputata alla revisione dell’istruzione Liturgiam authenticam (28 marzo 2001).

    Potrebbero sembrare — e senz’altro sono — fatti slegati fra loro; c’è però un filo rosso che li accomuna: lo sguardo rivolto al passato.

    Il Prof. Grillo potrebbe assentire, confermando che con l’attuale pontificato la Chiesa sta riallacciando i legami con la “grande tradizione cattolica”, legami interrotti dalla “teologia intollerante e sorprendentemente semplificatrice” che era stata fatta propria dal magistero della Chiesa negli ultimi trent’anni. Per quanto anch’io condivida, in linea di principio, la distinzione fra una pseudo-tradizione dell’immediato passato e la “grande tradizione” della Chiesa (si veda il post del 7 marzo 2009), nel caso specifico, ritengo che lo sguardo, di cui sopra, non abbia nulla a che fare con la “grande tradizione cattolica”, ma sia rivolto appunto all’immediato passato, agli anni giovanili di quelli che, con l’attuale pontificato, sono riusciti a raggiungere il potere nella Chiesa e intendono finalmente dare attuazione ai loro antichi progetti, rimasti finora nel cassetto.

    In questi quattro anni ci è stato fatto il lavaggio del cervello per farci credere che finalmente la Chiesa ha ripreso il cammino che aveva iniziato con il Vaticano II e che era stato poi ingiustificatamente interrotto; il rinnovamento conciliare, dopo cinquant’anni, può finalmente vedere la luce; la Curia sarà una buona volta riformata; si può cominciare a respirare dopo anni di rinchiuso e di oscurità. Significative alcune espressioni del Prof. Grillo: “La fine di un mondo. Forse la fine di un incubo. Sicuramente la fine di un delirio”.

    Se devo essere sincero, di nuovo io finora ho visto ben poco. Tutte quelle che vengono contrabbandate come novità sono in realtà la riproposizione di tesi sostenute nell’immediato postconcilio e che erano state giustamente accantonate, perché ritenute erronee o quantomeno inopportune dal magistero della Chiesa. L’esempio piú eclatante è, appunto, Amoris laetitia, che sdogana, dopo trent’anni, le posizioni, allora condannate, di Padre Häring.

    Si trattasse solo della nostalgia di qualche teologo, si potrebbe pure sorridere e chiudere un occhio. Quel che è grave è che qui si tratta invece di interventi di governo che rimettono in discussione il cammino che la Chiesa ha compiuto negli ultimi cinquant’anni. Sembrerebbe che cinquant’anni siano trascorsi invano: si ha l’impressione che tutto ciò che è stato fatto — in campo dottrinale, morale, liturgico, canonico, disciplinare, ecc. — dalla fine del Concilio fino a quattro anni fa debba essere cancellato e si debba tornare all’anno zero, all’8 dicembre 1965, per riprendere il cammino in una direzione opposta a quella che allora fu intrapresa.

    Mi sembra molto significativa la decisione (sulla quale mi riservo di tornare in maniera specifica, perché la ritengo estremamente preoccupante) di rimettere in discussione l’istruzione Liturgiam authenticam. Finora, in campo liturgico, la Chiesa aveva percorso una certa strada, caratterizzata da uno sviluppo forse un po’ altalenante, ma comunque abbastanza coerente. La tappa successiva, nella stessa direzione, sembrava dover essere la tanto attesa e discussa “riforma della riforma”. E invece ora si fa dietro front: “Scusate, abbiamo sbagliato strada; solo ora ci siamo accorti che al bivio dovevamo imboccare l’altra strada. Siamo costretti a tornare indietro. Vogliate scusare i disagi”.

    Qualcuno interpreta questo “ritorno al passato” come una specie di “rivincita” sul pontificato immediatamente precedente, quello di Benedetto XVI. Io invece vado sempre piú convincendomi che il vero nemico da abbattere non sia tanto Papa Benedetto, quanto piuttosto il suo predecessore, San Giovanni Paolo II. Ratzinger viene considerato un nemico solo in quanto prima, come Cardinale, fu stretto collaboratore di Papa Wojtyla (benché di orientamento teologico diverso, si dimostrò sempre leale) e poi, come Pontefice, proseguí sulla stessa linea.

    Il pontificato di Giovanni Paolo II — durato, non dimentichiamolo, ventisette anni! — deve essere stato, per lo schieramento attualmente al potere, una interminabile tortura: tutti i loro progetti venivano sistematicamente accantonati, in favore di un rinnovamento della Chiesa nel solco della tradizione. Ora che gli oppositori di Papa Wojtyla sono usciti allo scoperto e hanno raggiunto i vertici della Chiesa, è ovvio che il loro desiderio sia quello di cancellare quel pontificato e di smantellare tutto ciò che esso aveva realizzato.

    Io stesso mi sono trovato spesso in disaccordo con Giovanni Paolo II su alcune sue scelte pastorali; non mi è mai piaciuto il “culto della personalità” che era stato creato intorno a lui (anche se ora comincio a comprenderne l’utilità); ho criticato l’insolita celerità con cui si sono svolti i processi di beatificazione e canonizzazione (ma, anche in questo caso, penso di capire solo ora il motivo di tanta fretta). Ma non posso non riconoscere la grandezza di Papa Wojtyla e il contributo determinante che egli ha dato alla Chiesa dei nostri giorni: quando assunse il pontificato, la Chiesa era ridotta in condizioni pietose; alla sua morte, ha lasciato una Chiesa che aveva ritrovato una sua identità, una certa sicurezza e, diciamo pure, una certa fierezza.

    La Chiesa di oggi, quella reale che soffre in silenzio, non quella virtuale presentata dai media, è figlia di Giovanni Paolo II, da lui è stata plasmata, e proprio per questo rimane disorientata di fronte a certe decisioni che dànno l’impressione di voler rimettere in discussione ciò che egli fece.

    Sono convinto che il tentativo di smantellamento del pontificato wojtyliano sia destinato al fallimento. Nel post del 23 febbraio 2016 spiegavo i motivi per cui non è possibile spostare indietro le lancette della storia. Il contributo che San Giovanni Paolo II ha dato alla Chiesa è un’acquisizione irreversibile. Non che ci si debba fermare a lui: la Chiesa deve ovviamente continuare il suo cammino nella storia, purché lo faccia nella direzione che lui, Santo, le ha indicato.




    [Modificato da Caterina63 01/02/2017 17:51]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 07/02/2017 19:51
      cari Vescovi e Sacerdoti.... se a dirlo è La Nuova Bussola, non sottovalutate il problema......


    "TRAME" VATICANE
     

    La commissione per riformare Liturgiam authenticam ha il compito di esprimere i criteri per la traduzione dei testi liturgici. Ma un incontro carbonaro della corrente post conciliare ha tenuto fuori gioco il Prefetto, il cardinal Sarah.

    di Lorenzo Bertocchi

    Decentramento e inculturazione. Queste due parole d'ordine sono l'orizzonte di lavoro della commissione istituita da Papa Francesco per riformare, qualcuno dice cancellare, Liturgiam authenticam. Questo documento fu approvato esplicitamente da san Giovanni Paolo II, durante un’udienza con il suo Segretario di Stato, il 20 Marzo 2001 e emanato dalla Congregazione per il Culto Divino il 28 Marzo con il compito di esprimere i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne. 

    CARD. ROBERT SARAH TENUTO ALL'OSCURO?

    Secondo alcune fonti nell'opera di obliterazione dell'istruzione sarebbe impegnato con zelo un gruppo ristretto di persone della Congregazione per il Culto divino, a partire dal segretario, l'arcivescovo inglese Arthur Roche, che è anche a capo della commissione istituita. Proprio nei giorni scorsi sarebbe avvenuto un incontro di lavoro riservato, fuori Roma, a cui dovrebbero aver preso parte oltre a Roche, il Sotto Segretario padre Silvano Maggiani, Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, e i vescovi Piero Marini e Domenico Sorrentino. Tutti nomi importanti della corrente liturgica post-conciliare.

    Lascia stupiti apprendere che la fase preparatoria di tutto questo, purtroppo, sembra sia avvenuta tenendo all'oscuro il prefetto della congregazione, e cioè il cardinale guineano Robert Sarah. D'altra parte il porporato non sembra godere di molte simpatie, visto anche come fu subitamente ripreso dalla Sala Stampa vaticana nell'estate 2016, a seguito di alcune sue affermazioni in una conferenza londinese sull'opportunità di celebrare rivolti “ad orientem”. Per molti quella fu un'umiliazione a tutto tondo, accompagnata poi da un certo isolamento vissuto nella congregazione di cui è a capo. Non sappiamo quanto questo corrisponda a realtà, di certo negli ambienti della congregazione non si fanno mancare sapide battute sul cardinale. «E' uno», si dice, «che ha avuto bisogno di scrivere 500 pagine per parlare del silenzio», in riferimento all'ultima fatica editoriale del porporato, intitolata, appunto, La force du silence.

    «Il gruppetto cui starebbe particolarmente a cuore il superamento di Liturgia authenticam», dice una fonte che chiede di restare anonima, «oltre all'intento di decostruire sistematicamente l'istruzione, vorrebbero eliminare tutta l’eredità del magistero liturgico di Papa Benedetto XVI». 

    LA QUESTIONE DI LITURGIAM AUTHENTICAM

    Il problema potrebbe apparire rilevante solo per gli addetti ai lavori, sennonché si tratta in non pochi casi della fedeltà al testo stesso dei Vangeli. A questo proposito ricordiamo anche la famosa lettera scritta da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi nella querelle del 2012, a proposito del cosiddetto pro multis, per molti, del Vangelo e del messale latino nelle parole della consacrazione del sangue di Cristo, contro il "per tutti" di molte traduzioni correnti. In quella lettera papa Ratzinger costatava che nelle preghiere liturgiche in lingue diverse, talora, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico, che è la base della vita liturgica di tutta la Chiesa, spesso è riconoscibile solo da lontano, per non parlare delle banalizzazioni che «rappresentano delle vere perdite». In tale lettera all'episcopato tedesco Benedetto XVI sottolineava chiaramente la necessità di riferirsi ai criteri presenti in Liturgiam authenticam.

    “COMME LE PREVOIT”

    Fino al momento in cui fu emanata l’istruzione Liturgiam Authenticam, coloro che sostenevano l’opportunità di tradurre molto liberamente i testi liturgici, pur riconoscendo che vi erano stati degli abusi, si appellavano in genere a un documento emanato nel 1969 dalla Commissione che elaborò la riforma liturgica e di cui era segretario Mons. Annibale Bugnini, un documento non firmato e insolitamente redatto in francese, di solito citato con le sue prime parole: «Comme le prévoit». L’istruzione emanata per ordine di San Giovanni Paolo II, però, volutamente non citava questo documento e cercava di richiamare alla fedeltà e all’esattezza nelle traduzioni liturgiche più che alla creatività, talvolta estemporanea, del liturgista in voga al momento. 

    Sempre Giovanni Paolo nell’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia del 2003 ribadì lo stesso concetto che poi Benedetto XVI farà suo nella lettera citata sopra. Fu solo venti giorni prima di morire, dal letto del Policlinico Gemelli, quando il Papa era ormai privo di forze che gli fu fatto firmare un documento a favore della traduzione «per tutti». Il Cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede non ne sapeva nulla e, per questo, fece le sue rimostranze in una riunione di capi dicastero qualche giorno più tardi.

    PERCHE' TORNA DI ATTUALITA' LITURGIAM AUTHENTICAM?

    La domanda è interessante anche rispetto alle indiscrezioni che circolano a proposito del gruppetto zelante nel processo di “superamento” dell'istruzione. Soprattutto se fosse vero che la loro azione non è solo per “superare” l'Istruzione, ma più in generale per lasciarsi alle spalle il magistero liturgico del papa emerito.

    Quando il Papa era Benedetto, l’Arcivescovo Roche non era affatto contrario all’istruzione di Giovanni Paolo II. Infatti, da Presidente della Commissione Internazionale sull’Inglese nella Liturgia (International Commission on English in the Liturgy – ICEL), una delle due Commissioni incaricate (l’altra si chiama Vox Clara ed è presieduta dal cardinale George Pell) di rivedere la traduzione del Messale Romano, aveva dichiarato che «la nuova traduzione è un grande dono per la Chiesa (…). Nella nuova traduzione troviamo un testo più fedele alla versione latina e perciò più ricco nei suoi contenuti teologici e nei riferimenti alla Scrittura, ma anche una traduzione che io credo condurrà il cuore e la mente delle persone alla preghiera».

    In un’intervista di qualche anno fa, monsignor Roche affermò che il latino farà sempre parte del Rito Romano perché «mantiene la lingua in cui è scritto il Rito Romano, sia nella forma ordinaria che straordinaria». «Questo», proseguiva l’ex Arcivescovo di Leeds, «è il modo in cui la Chiesa si esprime. (…) Persone da tutto il mondo, da ogni continente e dalle varie parti del globo vengono a Roma e partecipano alla Messa unendosi tutti insieme a quell’espressione comune che è il canto delle parti latine della Messa». Proprio durante i preparativi della commemorazione dei cinquant’anni di Sacrosanctum Concilium, Monsignor Roche assicurò che Papa Francesco non aveva espresso alcuna intenzione di cambiamento di direzione rispetto a Benedetto per quanto riguarda sia la forma straordinaria che la forma ordinaria del Rito Romano.

    Perché sembra che le cose cambiano? Qual’è la vera opinione di Monsignor Arthur Roche? Si vuole davvero distruggere l’eredità di Benedetto XVI?

    si legga anche:

     -QUELLE TRADUZIONI CHE SNATURANO IL SACRO di Luisella Scrosati

    L'IMPORTANZA DELLE PAROLE

    Questa consapevolezza lo portò alla fine della sua vita a scrivere le Retractationes, nelle quali in realtà non ritrattò pressoché nessun contenuto, ma sentì l’esigenza di purificare i suoi scritti da termini ed espressioni che sapevano ancora troppo di paganesimo. I cristiani, specie nei primi secoli, custodivano con gelosia il proprio vocabolario e non avevano una concezione di evangelizzazione e missione come di una rinuncia alla propria identità. In un bellissimo articolo (disponibile in lingua inglese qui) il professor Robert L. Wilken sottolinea una verità che sembra essere sparita dall’orizzonte pastorale della Chiesa: «La fede è incorporata in un linguaggio... Il linguaggio della Chiesa è una raccolta di parole ed immagini che hanno plasmato il pensiero e le azioni di quanti hanno conosciuto Cristo. La fede confessata non può essere separata dalle parole usate, né le parole possono essere sradicate dalla vita di chi le pronuncia… Senza il linguaggio caratteristico cristiano non ci può essere una vita cristiana completa e neppure una fedele trasmissione della fede alla generazione successiva».

    GIOVANNI PAOLO II E BENEDETTO XVI

    I pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno dimostrato una particolare sensibilità da questo punto di vista, cercando di orientare il lungo processo di attuazione della riforma liturgica con la cura delle traduzioni dei testi latini del Messale Romano. Delle cinque istruzioni per la corretta applicazione di tale riforma, l’istruzione più problematica dal punto di vista delle traduzioni fu la terza, Comme le prévoit del 25 gennaio 1969. Già la lingua del titolo è significativa: l’originale, in lingua francese, fu poi tradotto nella altre cinque lingue maggiori, ma mai in latino.

    Inoltre l’istruzione non arreca la firma ufficiale e non è stata pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis. Ma non sono “solo” questi gli aspetti problematici. Il contenuto di questa istruzione spianava la strada ad una vera e propria rivoluzione nel campo delle traduzioni dei testi liturgici, con il solito giochetto del “così, ma anche”; si richiedeva la fedeltà ai testi latini, ma anche una traduzione più libera, troppo libera: «Talvolta è la concezione stessa delle realtà espresse che è difficile a comprendere, sia perché è uno choc al senso cristiano attuale (per esempio “terrena despicere”, oppure “ut inimicos sanctae Ecclesiae humiliare digneris”), sia perché non tocca più i nostri contemporanei (per esempio certe espressioni antiariane), sia perché non si presta alla preghiera attuale (per esempio certe allusioni a forme penitenziali non più praticare)» (n. 24 c). Da allora, le traduzioni non hanno più conservato la struttura formale dell’originale, considerata come un vestito logoro da cambiare, e hanno introdotto termini che esprimono solo un aspetto dell’originale latino e spesso nemmeno troppo fedele.

    FACCIAMO QUALCHE ESEMPIO

    Di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe. Prendiamo l’orazione dopo la Comunione della prima domenica di Avvento: Prosint nobis, quæsumus, Dómine, frequentáta mystéria, quibus nos, inter prætereúntia ambulántes, iam nuncinstítuis amáre cæléstiaetinhæréremansúris. Ecco l’incredibile traduzione italiana: La partecipazione a questo sacramento, che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso cristiano della vita, ci sostenga, Signore, nel nostro cammino e ci guidi ai beni eterni. Com’è evidente, l’originale latino è stato semplicemente stravolto. “Ci insegni ad amare le realtà celesti” è diventato un “rivelare il senso cristiano della vita”, e da proposizione oggettiva (che indica dunque ciò che viene chiesto nell’orazione) è stata inserita nella relativa. Spunta poi dal nulla un “ci sostenga nel nostro cammino” ed il verbo “inhaerere”, che significa letteralmente “rimanere attaccati, uniti, aderire” si trasforma in un “ci guidi verso”.

    L’Orazione sulle offerte del martedì della seconda settimana di Quaresima dice: “a vitiis terrenis emundet”, tradotto banalmente con un “ci guarisca dai nostri egoismi”. “Sancta continentia tibi simus toto corde devoti” (Colletta del mercoledì, terza settimana di Quaresima), diventa “ti servano con generosa dedizione (che elimina così l’espressione biblica ‘con tutto il cuore’) liberi da ogni egoismo”, trasformando in tal modo una santa mortificazione in una liberazione dall’egoismo.

    Il vocabolo “grazia” è stato un’altra illustre vittima sacrificale delle traduzioni. “Illumina, quaesumus, corda nostra gratiae tuae splendore” (Dopo la comunione, quarta domenica di Quaresima) è diventato “risplenda su di noi la luce del tuo volto”. 

    Abbiamo addirittura il caso della stessa identica orazione, tradotta in due modi differenti (Orazione dopo la Comunione, feste di san Luca e san Marco)

    LITURGIA AUTHENTICAM

    Nel 2001 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato un’altra istruzione (la quinta e attualmente ultima) Liturgiam authenticam, nel tentativo di porre un argine a questa emorragia del patrimonio cristiano: «Bisogna che, per quanto è possibile, il testo originale o primigenio sia tradotto con la massima integrità e accuratezza, cioè senza ricorrere a omissioni o aggiunte, quanto al contenuto, e senza introdurre parafrasi o glosse» (n. 20). L’istruzione ricorda inoltre che «la vera preghiera liturgica… concorre a forgiare la cultura; perciò non c'è da meravigliarsi se può differire alquanto dal linguaggio ordinario. La traduzione liturgica che tiene in dovuto conto l'autorità e l'integrità del senso dei testi originali giova a formare una lingua sacra vernacola, dove i vocaboli, la sintassi, la grammatica siano propri del culto divino» (n.47).

    Chiaro? Non ancora. Nel 2012 Benedetto XVI indirizzò una lunga lettera ai vescovi tedeschi sulla controversa traduzione del “pro multis”. Tra le altre cose il Papa scriveva: «Poiché devo pregare le preghiere liturgiche in diverse lingue, mi accorgo che tra le diverse traduzioni a volte è difficile trovare ciò che le accomuna e che il testo originale è spesso riconoscibile solo da lontano». E lamentava banalizzazioni e perdite importanti.

    Forse bisognerebbe ripartire dalla persuasione che il contenuto dei testi liturgici racchiude ben più della nostra misera comprensione ed attualizzazione, sia nella scelta del vocabolario che nella struttura retorico-formale. E questo principio dovrebbe essere ricordato anzitutto dai liturgisti. O forse ai liturgisti. «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia» (William Shakespeare, Amleto).



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 09/02/2017 00:47
     

    IL PAPA: «HA RAGIONE BENEDETTO: IL GENDER È UN PECCATO CONTRO DIO CREATORE»

    03/08/2016  Ecco le parole dell’incontro di Francesco con i vescovi polacchi, il 27 luglio a porte chiuse in Cattedrale a Cracovia, diffuse martedì. Il gender tra i temi affrontati, su cui il Pontefice si è detto d’accordo con Ratzinger: «Frutto di colonizzazione ideologiche. Come ha detto Benedetto “questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore”»

     

    Un dialogo a porte chiuse quello tra il Papa e i vescovi polacchi che si è tenuto il 27 luglio in Cattedrale a Cracovia. Padre Federico Lombardi, da due giorni ex direttore della Sala stampa della Santa Sede, aveva parlato di un clima «molto semplice e familiare», ribadendo che «la maggior parte dei vescovi sono semplici, non sono le vecchie guardie che mettono un po’ in soggezione, ma non è che ci siano dei misteri, l’incontro si è svolto in totale familiarità». Nessun mistero, infatti, perché martedì il Vaticano ha pubblicato il resoconto dello scambio tra i presuli polacchi, che hanno sottoposto quattro domande, e il Pontefice. Il tema del gender è tra quelli affrontati in modo particolare da Papa Bergoglio, che ha affermato di essere d’accordo col suo predecessore Benedetto XVI: «Questa è l’epoca del peccato contro il Creatore».   

    La domanda di monsignor Krzysztof Zadarko, vescovo ausiliare di Koszalin-Kołobrzeg, era sui rifugiati: «Padre Santo, uno dei problemi più angustianti con cui si confronta l’Europa di oggi è la questione dei rifugiati. Come possiamo aiutarli, giacché essi sono così numerosi? E cosa possiamo fare per superare la paura di una loro invasione o aggressione, che paralizza l’intera società?».

    L'IDEOLOGIA DEL GENDER FRUTTO DELLE COLONIZZAZIONI IDEOLOGICHE

    Ecco la risposta del Papa, piuttosto lunga e articolata: «Grazie! Il problema dei rifugiati… Non in tutti i tempi i rifugiati erano come adesso. Diciamo migranti e rifugiati, li consideriamo insieme. Il mio papà è un migrante. E io raccontavo al Presidente [della Polonia] che nella fabbrica dove lui lavorava c’erano tanti migranti polacchi, nel dopoguerra; io ero bambino e ne ho conosciuti tanti. La mia terra è una terra di immigranti, tutti… E lì non c’erano problemi; erano altri tempi, davvero. Oggi, perché c’è tanta migrazione? Non parlo dell’emigrazione dalla propria patria verso l’estero: questa è per mancanza di lavoro. E’ chiaro che vanno a cercare lavoro fuori. Questo è un problema di casa, che anche voi avete un po’… Parlo di quelli che vengono da noi: fuggono dalle guerre, dalla fame. Il problema è là. E perché il problema è là? Perché in quella terra c’è uno sfruttamento della gente, c’è uno sfruttamento della terra, c’è uno sfruttamento per guadagnare più soldi. 

    Parlando con economisti mondiali, che vedono questo problema, dicono: noi dobbiamo fare investimenti in quei Paesi; facendo investimenti avranno lavoro e non avranno bisogno di migrare. Ma c’è la guerra! C’è la guerra delle tribù, alcune guerre ideologiche o alcune guerre artificiali, preparate dai trafficanti di armi che vivono di questo: danno le armi a te che sei contro quelli, e a quelli che sono contro di te. E così vivono loro! Davvero la corruzione è all’origine della migrazione. Come fare? Io credo che ogni Paese debba vedere come e quando: non tutti i Paesi sono uguali; non tutti i Paesi hanno le stesse possibilità. Sì, però hanno la possibilità di essere generosi! Generosi come cristiani. Non possiamo investire là, ma per quelli che vengono... Quanti e come? Non si può dare una risposta universale, perché l’accoglienza dipende dalla situazione di ogni Paese e anche dalla cultura.  Ma certo si possono fare tante cose. Per esempio la preghiera: una volta alla settimana l’orazione al Santissimo Sacramento con preghiera per coloro che bussano alla porta dell’Europa e non riescono ad entrare. Alcuni riescono, ma altri no… 

    Poi entra uno e prende una strada che genera paura. Abbiamo Paesi che hanno saputo integrare bene i migranti, da anni! Hanno saputo integrarli bene.

    In altri, purtroppo, si sono formati come dei ghetti. C’è tutta una riforma che si deve fare, a livello mondiale, su questo impegno, sull’accoglienza. Ma è comunque un aspetto relativo: assoluto è il cuore aperto ad accogliere. Questo è l’assoluto! Con la preghiera, l’intercessione, fare quello che io posso. Relativo è il modo in cui posso farlo: non tutti possono farlo nella stessa maniera. Ma il problema è mondiale! Lo sfruttamento del creato, e lo sfruttamento delle persone. Noi stiamo vivendo un momento di annientamento dell’uomo come immagine di Dio. 


    E qui vorrei concludere con questo aspetto, perché dietro a questo ci sono le ideologie. In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste - lo dico chiaramente con “nome e cognome” - è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile. Parlando con Papa Benedetto, che sta bene e ha un pensiero chiaro, mi diceva: “Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. È intelligente! Dio ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così…, e noi stiamo facendo il contrario. Dio ci ha dato uno stato “incolto”, perché noi lo facessimo diventare cultura; e poi, con questa cultura, facciamo cose che ci riportano allo stato “incolto”!  Quello che ha detto Papa Benedetto dobbiamo pensarlo: “È l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. 

    E questo ci aiuterà. Ma tu, Cristoforo, mi dirai: “Cosa c’entra questo con i migranti?”. E’ un po’ il contesto, sai? Riguardo ai migranti dirò: il problema è là, nella loro terra. Ma come li accogliamo? Ognuno deve vedere come. Ma tutti possiamo avere il cuore aperto e pensare di fare un’ora nelle parrocchie, un’ora a settimana, di adorazione e di preghiera per i migranti. La preghiera muove le montagne! Queste erano le quattro domande. Non so… Scusatemi se ho parlato troppo, ma il sangue italiano mi tradisce… Grazie tante dell’accoglienza e speriamo che questi giorni ci riempiano di gioia: di gioia, di grande gioia. E preghiamo la Madonna, che è Madre e che ci tiene sempre per mano». 



    EDITORIALE
    Andreas Laun
     

    Un vescovo austriaco affronta il tema dell'interpretazione di AL con un confratello che si è trovato in confessionale nella situazione di non assolvere un penitente more uxorio nonostante le sue insistenze e pezze giustificative. E conclude: «Questo conflitto deve essere affrontato e risolto, e senza un falso compromesso. Al Papa, come a un buon padre si possono fare domande, anche critiche».

    di Marco Tosatti

    Secondo il cardinale Reinhard Marx in Amoris Laetitia è tutto chiaro e in questa sua sicurezza riesce a trovare i codici per autorizzare ai sacerdoti tedeschi la comunione ai divorziati risposati. Ma ci sono anche vescovi che nutrono molti più dubbi sull'esortazione. Segno che il documento è continuamente sottoposto a continue interpretazioni. Per altri AL delinea un’ambiguità di fondo dagli effetti potenzialmente devastatanti per l’unità della Chiesa. Già un segnale di allarme viene dal fatto che sia possibile interpretare le norme in maniera radicalmente opposta, come accade a vescovi e conferenze episcopali. Ma c’è poi un altro pericolo: che tutte le tensioni e la non chiarezza si scarichino in ultima analisi sulla gente in trincea, cioè sui scaerdoti nei confessionali. 

    Il vescovo ausiliare di Salisburgo, Andreas Laun, ha pubblicato su Kath.Net un commento e una lettera. Il commento riguarda, appunto, le contraddizioni possibili percepite da molti circa il documento. La lettera è scritta da un sacerdote tedesco, amico del presule, che lavora in America Latina.

    “Caro Andreas, mentre le domande che riguardano i divorziati risposati rimangono vaghe e senza risposta – come spesso accade al Santo Padre – poi può accadere che si verifichi la situazione seguente, assurda: un penitente (nel confessionale) presenta la sua situazione, dicendo che vuole continuare a vivere come marito e moglie con la sua compagna, e poi chiede l’assoluzione, facendo riferimento a varie conferenze episcopali e infine al Papa stesso. Allora come prete mi dico: ‘la mia coscienza  mi dice che non possono dare l’assoluzione, anche se il papa mantiene la questione aperta; quindi io non posso darti l’assoluzione’. Ma l’altro, riferendosi al Papa insiste che vuole essere assolto, e fare la comunione. Devo allora cambiare la formula di assoluzione e dire: ‘Il Papa ti assolve dai tuoi peccati nel nome del Padre e così via..’. Per me questo è assolutamente assurdo! Ma non è la conseguenza di ciò?”

    Il vescovo Laun commenta: “Ho paura che in questa domanda sia contenuta una logica da cui non si può sfuggire…Non esiste una cosa come una doppia verità, e a certe domande c’è solo un risposta vera – anche quando vescovi, e intere conferenze episcopali danno risposte contraddittorie. Alcune risposte sono vere, altre certamente false. I quattro cardinali che hanno presentato i Dubia possono essere soddisfatti del modo in cui questo sacerdote in Sud America ha presentato il problema”.

    Mons Laun spiega poi ai suoi lettori che come cattolici non possono evitare questo conflitto. “Temo che non ci sia nessun modo per evitarlo; questo conflitto deve essere affrontato e risolto, e senza un falso compromesso”. Il Papa, conclude, è infallibile, ma questo carisma non può essere capito e rispettato senza prendere in considerazione i limiti, accuratamente delimitati, del carisma stesso.

    Il vescovo ricorda che al Papa, come a un buon padre “si possono fare domande, anche critiche”. Talvolta è meglio restare in silenzio di fronte ad alcuni errori che possanno essere commessi da un Papa. Ma “non è questo il caso del conflitto in corso. Non si può mettere a riposo la questione di cui si discute. E’ relativa alla Chiesa, alla gente, alla sua relazione personale con Dio, e all’immagine della Chiesa verso chi ne è fuori”. E conclude: “C’è un dovere di obbedienza al papa e all’autorità della Chiesa; talvolta esiste nella Chiesa il diritto, e il dovere di parlare liberamente”. E anche se è difficile unire entrambi questi aspetti, Fede e Ragione devono cooperare. “Anche questo è davvero cattolico!”.





    AMERICA/ARGENTINA - La Chiesa cattolica interrompe i legami con l'Associazione Scout del paese

    La Plata (Agenzia Fides) – La Chiesa cattolica Argentina ha interrotto i suoi legami con l'Associazione Scout del paese a causa di recenti cambiamenti nel suo progetto educativo che riguardano il concetto di famiglia e questioni come l'aborto.
    L'interruzione del rapporto è stata resa nota attraverso una lettera pubblicata dai media locali.

    In un messaggio indirizzato al vescovo della città di La Plata (nella grande Buenos Aires), Sua Ecc. Mons. Héctor Aguer, il Cardinale Mario Poli, ha detto che "non si torna indietro" nel dissenso con l'Associazione Scout dell'Argentina, dopo diversi mesi di avvertimenti.  (Vedi Fides 14/12/2016).
    (CE) (Agenzia Fides, 13/02/2017)



     

    [Modificato da Caterina63 13/02/2017 21:01]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/02/2017 13:37
    Papa Francesco e la Curia Romana
     

    Vescovi, Culto divino, Dottrina della Fede: è evidente una chiara strategia da parte di papa Francesco per prendere il controllo dei gangli vitali della Curia, dove non poteva "tagliare" subito: lasciare intatto il guscio ma svuotandolo dall'interno, ovvero i prefetti restano al loro posto ma le decisioni vengono prese concretamente da persone di fiducia del Papa. Come succede anche alla CEI

    di Marco Tosatti


    Lo stile di governo del Pontefice regnante è, a dir poco, personale. Però in quello che può apparire a prima vista un disinteresse marcato per le regole, le procedure e la “macchina” del sistema si può intravedere una strategia. Elaborata forse non dal Pontefice stesso, ma da qualche consigliere e regista, che propendiamo a credere abbia un’esperienza e di Curia e di diplomazia. 

    D’altronde non è un mistero che, a differenza del suo predecessore, papa Bergoglio ha un debole per i diplomatici in talare, la vera casta della Santa Sede. E al contrario non sembra avere lo stesso amore per i protagonisti, grandi e piccoli, della macchina centrale. Un residuo di amaro per quando era arcivescovo di Buenos Aires, e Roma gli bocciava alcune promozioni, come quella del rettore della Cattolica della capitale argentina? Forse. 

    Comunque il Papa che più volte ha affermato di seguire i consigli e i suggerimenti emersi dalle sessioni cardinalizie del pre-conclave, in almeno due punti le ha disattese. Una delle richieste presentate da più voci era una riforma della Segreteria di Stato, giudicata troppo potente. Non è avvenuto, anzi, come vediamo nel caso dell’Ordine di Malta, il potere è aumentato. Il delegato papale è il no. 2 della gerarchia, il Sostituto Angelo Becciu. Il secondo punto-suggerimento-richiesta, anch’esso completamente disatteso, era il ripristino delle “udienze di cartello”. Cioè l’appuntamento col Papa dei responsabili delle Congregazioni, per tenerlo informato e avere indicazioni; e uno scambio di idee. Sappiamo di Prefetti che non vengono ricevuti mai o quasi, e di altri, anche importanti, che devono aspettare mesi per l’udienza. Già questa è una circostanza, e un sistema, che crea disagio, come è facilmente comprensibile.

    Un’osservazione della strategia usata per gestire la Curia ci porta a fare qualche considerazione.

    In alcuni punti, che evidentemente egli stesso o chi l’ha guidato considera gangli vitali, c’è stata una sostituzione brutale e immediata. E’ stato il caso della Congregazione per il Clero, dove al card. Piacenza, mandato alla Penitenzieria, è succeduto il diplomatico, e uomo di fiducia del Pontefice, l’attuale cardinale Beniamino Stella. E alla Segnatura Apostolica, la Suprema Corte del Vaticano, centrale perché cause e ricorsi giungono tutti in quel porto. Il canonista ed esperto di legge Burke è stato sostituito da un altro diplomatico, mons. Mamberti. Il caso recente delle Francescane dell’Immacolata, ri-commissariate con decreto pontificio inappellabile proprio perché il loro ricorso contro il commissariamento aveva probabilità di successo in Segnatura spiega quanto sia considerato importante quel tribunale.

    Il Papa è Re, però neanche lui può tutto, sempre, nello stesso momento. Ci sono teste che cadendo farebbero troppo rumore. In quel caso bisogna trovare nuove strategie, che tendono comunque tutte a depotenziare il vertice, e a indebolire l’unitarietà di indirizzo e di tensione della Congregazione dall’interno. Che, comunque, è un obiettivo praticato anche in quelle, come il Clero, conquistate subito.  Il cardinale Mauro Piacenza, un ratzingeriano dichiarato, viene mandato a dirigere la Penitenzieria. Il segretario, lo spagnolo Celso Morga Iruzubieta, un'esperienza di decenni alla Congregazione, vicino all’Opus Dei, dopo tre mesi (necessari a trovare una diocesi libera in Spagna) viene inviato a Merida-Badajoz. Silenziosamente, ma in numero notevole, ufficiali e impiegati vengono dimessi o spinti a rinunciare, “volontariamente”.

    Insieme alla Congregazione per il Clero, ganglio centrale, che si occupa anche dei seminari, un altro punto nodale dell’amministrazione, e della politica del Pontefice è la Congregazione per i Vescovi. Il prefetto è il cardinale Marc Ouellet, un uomo indipendente e dalle idee chiare. Il Papa – lo si vede dalle nomine – desidera che siano scelti vescovi progressisti. I casi contrari sono numerabili sulle dita di una mano. Quando mi stupivo chiacchierando con un esperto della nomina in Asia di un presule di stile ecclesiale diverso, mi è stato risposto che probabilmente non c’era proprio nessun altro. 

    Il problema è stato risolto in maniera duplice. Primo: i membri della Plenaria giudicati conservatori sono stati rimpiazzati da fedeli della linea vincente (come il cardinale Baldisseri, Segretario del Sinodo). Secondo: mons. Jesus Montanari, l’amico del cuore del segretario personale del Pontefice, mons. Pedacchio (che comunque lavora alla Congregazione per i vescovi, e che è stato per anni l’orecchio e gli occhi del cardinale Bergoglio a Roma) è stato elevato con un balzo straordinario da un ruolo umile nella Congregazione a quello di Segretario. Il lavoro è completato con la sostituzione dei membri della Congregazione, in cui vengono immessi, in sostituzione dei filo-ratzingeriani, personaggi del nuovo corso, come Stella e Baldisseri. 

    Così se in assemblea plenaria il candidato voluto non riesce a passare, nonostante gli sforzi, si può stare certi (è accaduto in più di un’occasione) che il giorno seguente il segretario arrivi dicendo: il Papa ha scelto questo. E la causa è chiusa, anche se magari il numero uno della terna era davvero buono, nell’opinione di tutti, nunzio compreso, e quello prescelto invece no. E’ evidente che il ruolo del Prefetto è ridotto sostanzialmente a un guscio formale.

    Al Culto Divino il Pontefice ha posto come prefetto è il card. Sarah, ratzingeriano. Una mossa obbligata, dicono, dal fatto che non c’era nessun altro posto disponibile, dopo la scomparsa di Cor Unum assorbito in un nuovo organismo dopo la riforma. Sarah prende il posto di Antonio Canizares, legato alla tradizione, subito rimandato in Spagna, soprannominato il “piccolo Ratzinger”. Il cardinale guineano Sarah è favorevole alla “Riforma della riforma”, cioè a un ritorno ad alcune delle modalità liturgiche trascurate dalle innovazioni post-conciliari. Non è qualcosa che il Pontefice sembra vedere con particolare favore. Come svuotare il suo ruolo? Una sua dichiarazione in favore della riforma della riforma viene smentita ufficialmente (anche se Sarah dirà: ma il Papa mi aveva dato l’assenso…). 

    All’interno però il gioco è reso facile (secondo un modello collaudato) dal fatto che dal 2012 è segretario della Congregazione l’arcivescovo Arthur Roche, sicuramente non tradizionalista, molto vicino al cardinale britannico Murphy O’Connor, uno dei grandi consiglieri discreti e ispiratori del Pontefice. E infatti a lui viene affidato, come Presidente, e non al card. Sarah, come forse sarebbe stato ipotizzabile, il compito di presiedere una commissione per rivedere le traduzioni della liturgia, modificando l’Istruzione  Liturgiam authenticam (De usu linguarum popularium in libris liturgiae Romanae edendis) del 2001. Sarah – a quanto mi dicono – era completamente all’oscuro di questa decisione…

    L’altro grande nodo è costituito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. La situazione qui è più complessa. Credo che il Pontefice abbia pensato seriamente di liberarsi di M?ller in passato, ma si sia reso conto che una decapitazione del genere, e senza potergli affidare un posto adeguato avrebbe creato un grande scandalo.  Il quinquennio di M?ller scadrà nel luglio prossimo. Sarà confermato? Comunque, si pone il problema di come limitare il suo ruolo.  Allora, oltre a non fare mai riferimento a lui quando parla di teologia, preferendo Kasper e Sch?nborn, si sta attuando la stessa politica usata con i Vescovi e il Culto. E cioè lo svuotamento dell’interno dell’apparato legato al Prefetto. In questo senso si devono leggere sia i licenziamenti di teologi e ufficiali, senza un motivo, e la nomina di un nuovo sottosegretario, molto vicino al Prefetto del Clero, mons. Giacomo Morandi. Mons. Morandi è molto legato al Prefetto del Clero, il cardinale Beniamino Stella, che per alcuni è il vero master mind della conquista pontificia della Curia. Nel frattempo la Congregazione è praticamente in stallo, c’è carenza di personale, e la scelta dei nuovi assunti non passa per i vertici della Congregazione stessa. Nel caso dell’Amoris Laetitia le centinaia di osservazioni puntuali fatte al testo sono state ignorate. Senza una risposta. Anche qui si assiste al modello di svuotamento dall’interno, lasciando intatto il guscio. 

    E’ la stessa strategia utilizzata per la Conferenza Episcopale italiana. Dal momento che il presidente, il card. Bagnasco, aveva chiaramente espresso il suo desiderio di restare in carica fino alla fine del mandato, e di non farsi cortesemente da parte, il Pontefice ha nominato mons. Galantino, usandolo come referente e “investendolo” di pieni poteri, in particolare di gestire i mezzi di comunicazione dei vescovi, TV2000 e Avvenire. Le nomine dei vescovi italiani non sono più decise tramite il nunzio in Italia, l’arcivescovo Bernardini, nunzio in Argentina dal 2003 al 2011, che si dice non amato da Bergoglio. I nuovi vescovi vengono decisi da quella che potremmo chiamare una “commissione ombra” che fa capo al Segretario della Cei, che riferisce al Pontefice.

    Per altri punti, di minore importanza, il lavoro è stato più facile e diretto. Così alla Pontificia Accademia per la Vita Ignacio Carrasco de Paula vescovo spagnolo, appartenente alla Prelatura dell'Opus Dei il 15 agosto 2016 è stato sostituito dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, già vescovo a Terni, dove la diocesi ha avuto un disastro finanziario. Paglia, legato da sempre alla Comunità di Sant’Egidio, è stato nominato presidente dell’Accademia, e Gran Cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II. Nello stesso tempo mons. Livio Melina di CL, è stato sostituito dal teologo, scrittore e musicista Pierangelo Sequeri come preside, certamente di una sensibilità molto diversa da quella del predecessore. Al momento attuale l’Accademia non ha membri: tutti quelli che vi appartenevano sono stati cancellati. Comprese personalità di grande livello ed esperienza, legate alle linee guida ispirate da Giovanni Paolo II…

       


    NUOVA INTERVISTA
    La copertina del Timone con intervista al cardinale Muller
     

    In una intervista a un giornale tedesco, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede all'attacco di vescovi e conferenze episcopali che ammettono all'eucarestia i divorziati risposati. "La dottrina è vincolante a livello universale, non può avere interpetazioni regionali". 

    di Marco Tosatti

    Il cardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un’intervista al giornale tedesco Rheinische Post ha dichiarato che i singoli vescovi non possono reinterpretare l’insegnamento della Chiesa in maniera soggettiva. Müller ha detto che non è il suo stile criticare le pubblicazioni dei vescovi. Ma ha aggiunto: “Non credo che sia particolarmente benefico che ogni singolo vescovo commenti i documenti papali spiegando come lui stesso, soggettivamente, capisce i documenti”.

    Nei giorni scorsi i vescovi di Malta e della Germania hanno reso pubbliche delle linee guida per permettere ai divorziati risposati di accedere all’eucarestia. I vescovi maltesi hanno affermato che per alcune coppie potrebbe essere “impossibile” convivere senza sesso, e che a quelle persone non potrebbe essere rifiutata l’eucarestia, se dopo il discernimento compiuto, sentono di “essere in pace con Dio”. D’altro canto però numerosi vescovi hanno riaffermato l’insegnamento tradizionale della Chiesa, in base al quale le persone il cui primo matrimonio è ancora valido, se vivono una nuova unione non possono ricevere l’eucarestia, a meno che non vivano con il proprio partner come fratelli e sorelle.

    Müller di recente ha riaffermato questa posizione nell'intervista a Il Timone, ricordando il magistero di San Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e del Catechismo, oltre che della stessa Congregazione della Fede. Fra l’altro aveva ricordato che questo insegnamento esprimeva elementi essenziali della teologia morale cristiana e della teologia dei sacramenti.

    In questa nuova intervista, il porporato afferma che “Non può essere che la Dottrina della Chiesa, che è vincolante a livello universale, formulata dal Papa, abbia interpretazioni regionali diverse e persino contraddittorie. La base della Chiesa è l’unità della fede. La Chiesa non fa più esperienza di una nuova rivelazione".

    Quindi per essere assolto dal peccato di adulterio, un penitente deve avere la risoluzione di non peccare più. “Nessuno può alterare i sacramenti come strumenti di grazia secondo la propria scelta personale, per esempio così che il sacramento della Riconciliazione possa essere amministrato senza l’intenzione di non peccare più”.

    Müller ha detto poi che secondo lui le dimissioni di un papa resteranno una rara eccezione nel futuro. Ha chiarito che è importante onorare i responsabili della Chiesa per il ruolo che ricoprono, non soltanto per le loro qualità umane. “Ciascuno è debole e mortale. Gesù non ha scelto i più saggi, i più ricchi e i più eminenti come suoi apostoli, ma gente semplice, artigiani, pescatori. Dipendiamo dalla grazia di Dio, e non da ciò che otteniamo ogni giorno. Ecco perché è importante non cercare il superuomo nel papa, nei vescovi, o nei preti, e se per caso questi non riescono a soddisfare queste aspettative esagerate, andarsene delusi dal vangelo e dalla Chiesa. Tutti abbiamo bisogno di perdono. La grazia di Dio si manifesta nella debolezza umana. Noi non veneriamo il Papa per i suoi risultati umani, ma perché Cristo gli ha affidato un ministero speciale per l’intera Chiesa”. Il cardinale ha reso omaggio “all’autorità morale” di papa Francesco, sottolineando come sia riconosciuto come “una guida autentica” anche dagli atei.

       

     
     
     

    Un'associazione cattogay studia come contrastare "la propaganda contro gli omosessuali da parte dei movimenti cristiani fondamentalisti". E' la deriva pastorale dell'Omoeresia, pensiero che si è ormai affermato nella Chiesa a discapito dello stesso Magistero che metteva in guardia proprio da queste "infltrazioni".
    Un'inchiesta del mensile Il Timone svela le tappe, i manifesti, gli ideologi e gli appoggi ecclesiastici della più influente delle lobby cattoliche: quella omosessualista. Che punta a derubricare omosessualità e gender come semplici varianti della sessualità, scardinando il progetto creatore di Dio. 

     

    - PEDOFILIA, LE DIMISSIONI AMBIGUE DELL'EX VITTIMA 
    di Lorenzo Bertocchi

    - CHIEDIAMO LE DIMISSIONI DI MONS. PAGLIA

    di Andrea Zambrano

    L’appuntamento è per i primi di aprile. Hanno scelto una località, Albano laziale, che da qualche tempo dà ospitalità ad altre sigle, come il Forum dei cristiani Lgbt. Si chiamano Cammini di Speranza e sono decisi a tutto. Anche a studiare come contrastare la propaganda contro gli omosessuali e i transessuali da parte dei movimenti cristiani fondamentalisti. E pazienza se quella che loro chiamano propaganda è nient’altro che la dottrina di sempre della Chiesa sull’omosessualità.

    Ma Cammini di Speranza è ormai più di un’avanguardia. Gode dell’appoggio di alcuni sacerdoti e vescovi e l’obiettivo del loro primo congresso è appunto quello di studiare strategie per farsi accettare nella Chiesa. Che non è, si badi, la richiesta di un approccio umano rispettoso della tendenza omosessuale, per il quale la Chiesa offre da tempo un adeguato cammino di verità e purificazione nell’ottica del sacrificio e della castità, come dimostra l’esperienza di Courage, ma un’accettazione tout court della pratica omosessuale. Con annessi e connessi.

    Lo si evince dagli workshop proposti nel corso della due giorni di Albano: Cammini di Speranza per i giovani LGBT cristiani: quali proposte? ; Quale supporto spirituale chiedere alle chiese cristiane per le coppie di gay e lesbiche credenti che intendono celebrare il loro amore?; La propaganda contro omosessuali e transessuali dei movimenti cristiani fondamentalisti: come contrastarla?; Cammini di speranza per le donne cristiane LGBT: quali proposte?; Promuovere il sostegno alle persone LGBT anziane: come?; e infine: portare il punto di vista dei cristiani LGBT nel movimento LGBT italiano: quali strategie adottare?

    Quest’ultimo workshop è la spia di un fenomeno strisciante, ma ormai sdoganato: le lobby gay si sono infiltrate a tal punto che anche nella Chiesa si fa lobby per portare le istanze dell’omosessualismo. Torna in mente la nota della Congregazione della Dottrina della fede che scrisse un testo così profetico e così illuminante da diventare oggi il principale bersaglio della Lgbtcrazia dominante anche in ambito cattolico: “Oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo”. Era il 1986 e nessuno avrebbe immaginato come queste parole sarebbero diventate profetiche e osteggiate. Si è avverato quanto si temeva.

    Così come le successive: “Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del Cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale. Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione”.

    Delle serie: Ratzinger, e San Giovanni Paolo II Papa che approvò il testo, avevano già messo in guardia il popolo cattolico, ma si vede che negli anni qualcuno deve essersi distratto perché ovunque si assiste all’esplosione di una pastorale gay friendly tanto innaturale quanto, stando ai documenti magisteriali, di rottura con la stessa fede.

    Letta così sembra che la Chiesa abbia sdoganato del tutto la pratica omosessuale, che da comportamento oggettivamente disordinato è diventata una delle tante varianti della sessualità umana. Dunque: basta con le vecchie logiche del passato, basta con la monotonia della famiglia composta da uomo e donna. Per essere moderni e accoglienti bisogna essere arcobaleno e anche nella Chiesa non si fanno eccezioni.

    Ma questa deriva non è altro che una delle tante tappe della progressiva attuazione di una vera e propria teologia gay che ha prodotto negli anni un altrettanto invasiva pastorale gay, i cui effetti pratici si ravvisano in episodi che le cronache tendono a rilanciare con grande enfasi. Come il recente caso di don Gianluca Carrega, che celebrò il funerale di un omosessuale unito civilmente ex Cirinnà, chiedendo scusa al “coniuge” per tutte le gravi mancanze della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali.

    E’ quella che don Dariusz Oko ha ribattezzato Omoeresia, ossia un’eresia sviluppatasi in ambito cattolico di una del tutto inesistente teologia omosessualista tesa a scardinare i principi su cui si fonda la morale cristiana e per certi versi anche l’ecclesiologia. Dall’omoeresia alle prassi pastorali come quella di Albano il passo è breve.

    Ma bisogna raccontare come è stato possibile che in pochi anni si sia verificato questo stravolgimento. E’ quello che si incarica di fare il mensile di apologetica Il Timone che nel numero di marzo in uscita in questi giorni ha condotto un’articolata inchiesta sull’omoeresia e la mappa della lobby gay cattolica. Che non è soltanto quella che giornali e tv inquadrano come la presenza di sacerdoti e religiosi omosessuali. L’inchiesta non si occupa di questo, ma di un aspetto più taciuto, ma che ha fatto meglio presa nell’immaginario cattolico: quei preti che negli anni hanno iniziato ad aprire, accogliere, difendere e giustificare non tanto la cura della persona con tendenza omosessuale, disordine di fronte al quale la Chiesa ha parole di carità e di verità da sempre, ma la difesa degli atti e dunque delle relazioni fino alla giustificazione del matrimonio e dell’adozione dei figli, come abbiamo visto nei giorni scorsi con il caso dei due militanti lgbt, guarda caso attivisti e frequentanti Cammini di speranza, che su un bollettino parrocchiale di Roma difendevano quello che in Italia è ancora il reato di utero in affitto.

    E’ un viaggio che parte da lontano quello del Timone e che approda sugli scaffali delle librerie cattoliche dove sovente si trovano testi apertamente di difesa ad esempio della spiritualità per i transgender. Ma che inizia con i preti di frontiera come don Ciotti per il quale un vescovo può tranquillamente essere gay o il servita Alberto Maggi, che ancor oggi rilascia interviste in cui dice che “i gay sono perseguitati solo perché amano”.

    L’inchiesta documenta come la vera svolta e in un certo senso un mutamento di linguaggio anche nei programmi pastorali ci sia stata nel 2008 quando il Gruppo di Studio sulla bioetica dei Gesuiti, cui si unisce don Aristide Fumagalli professore di Teologia morale nel Seminario arcivescovile di Milano, pubblica sulla rivista Aggiornamenti sociali un Contributo alla discussione. Vi si trovano frasi che utilizzano un linguaggio diverso rispetto ai preti di frontiera. Sono studiatamente ambigue, ambiscono a inserirsi nella fedeltà del Magistero. In realtà sono l’inizio di un percorso “tossico” in smaccato contrasto con la Dottrina.

    Come queste: “La persona riferisce di scoprirsi omosessuale senza volerlo e quasi sempre in modo irreversibile. Il compito dell’etica non sta quindi nell’insistere per modificare questa organizzazione psicosessuale, ma nel favorire per quanto possibile la crescita di relazioni più autentiche nelle condizioni date”. 

    Da lì in poi il cammino è stato tutto in discesa. Numerosi gruppi hanno trovato ospitalità in diverse diocesi sparse per l’Italia. Si sono organizzati convegni, scritti manifesti, ottenuto l’appoggio di vescovi e cardinali, come il caso del vescovo di Albano Marcello Semeraro e si è ottenuta la compiacente complicità di Avvenire e della Cei, il cui ufficio di Pastorale Famigliare ha ospitato veri e propri militanti della causa Lgbt, in aperta contraddizione con quanto la Chiesa ha insegnato, lo abbiamo visto, in tutti questi anni.

    C’è il vescovo Jean Paul Vesco per il quale “se la Chiesa non ha che l’astinenza sessuale da proporre come modello virtuoso agli omosessuali, c’e il forte rischio che la dottrina sia salva ma che le 99 pecorelle del gregge siano abbandonate a se stesse, senza che nessun pastore abbia preso su di sè il loro odore”.  Oppure il piano programmatico di sacerdoti diocesani del torinese come don Danna che auspicava nel 2012: “Dobbiamo aiutare i fedeli a cambiare mentalità rispetto all’omosessualità”, il teologo Giannino Piana (“la condizione omosessuale non è un problema per la fede, semmai un’opportunità di progressiva comprensione dell’essenziale”) e l’onnipresente Enzo Bianchi (“Gesù non dice nulla dell’omosessualità”)

    Fino alla specifica teologia che teorizza anche il gender cattolico, alla faccia di tutti i pronunciamenti papali in merito dove si trova persino una ex suora autoproclamatasi teologa gender e prontamente invitata ad Arezzo a parlare agli insegnanti di religione.

    Per Gianfranco Amato, intervistato nel corso dell’inchiesta “c’è un settore interamente fuori controllo nella Chiesa che contraddice le parole di tutti i Papi”; parole condivise da un altro esperto di tematiche gender come Renzo Puccetti, il quale fa notare come la Chiesa anche sulla questione omosessualista abbia una sorta di sindrome di Stoccolma e cerchi di adattarsi al mondo e non viceversa.

    Un adattamento che alla fine però produce un implicito attacco non solo alla famiglia naturale, ma alla stessa evidenza di Creazione così come rivelata da Dio all’uomo. 

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    [Modificato da Caterina63 03/03/2017 11:36]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 24/02/2017 17:39

    FOCUS di mons. Antonio Livi

    Sosa
     

    Evangelisti senza registratore? Il generale gesuita Sosa, prigioniero dell’ideologia irrazionalistica è allergico alla parola “dottrina”, non vede che con questa stolta polemica offende non solo la Chiesa, ma Cristo stesso, rinnegando i principali dogmi della Chiesa. Le stesse aberrazioni della Teologia de la revolución. Sofismi che possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri, ma sono stati decostruiti e smentiti dai documenti del Magistero.

    L’intervista del generale dei gesuiti Padre Sosa, per il quale le parole di Gesù andrebbero contestualizzate perché gli evangelisti non avevano con sè un registratore, per la sua assoluta incoerenza logica, non meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata. Ma, trattandosi di un intervento dell’attuale generale dei Gesuiti nel dibattito sull’interpretazione di un documento pontificio così problematico come l’Amoris laetitia, si rende necessario, per responsabilità pastorale nei confronti dei fedeli ai quali l’intervista è giunta attraverso i media internazionali, un richiamo al corretto rapporto del Magistero e/o della sacra teologia con la verità rivelata, quella con la quale Dio «ha voluto farci conoscere la sua vita intima e i suoi disegni di salvezza per il mondo» (Vaticano I, costituzione dogmatica Dei Filius, 1870).

    I fedeli cattolici (sia Pastori che fedeli) sanno che la verità che Dio ha rivelato agli uomini parlando per mezzo dei Profeti dell’Antico Testamento e poi con il proprio figlio, Gesù  (cfr Lettera agli Ebrei, 1, 1), è custodita, interpretata e annunciata infallibilmente dagli Apostoli, ai quali Cristo ha conferito la potestà di magistero autentico per l’evangelizzazione e la catechesi. Agli Apostoli Cristo ha detto: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato» (Vangelo secondo Luca, 10, 16). Il valore di verità della dottrina degli Apostoli e dei loro successori (i vescovi con a capo il Papa) dipende quindi interamente dal valore di verità della dottrina di Cristo stesso, l’unico che conosce il mistero del Padre: «La mia dottrina non è mia ma di Colui che mi ha inviato» (Vangelo secondo Giovanni, 7, 16). Padre Sosa, prigioniero com’è dell’ideologia irrazionalistica (pastoralismo, prassismo, storicismo) è allergico alla parola “dottrina”, ma non si rende conto che con questa sua stolta polemica offende non solo la Chiesa di Cristo ma Cristo stesso.

    Tanto è essenziale la potestà di magistero (munus docendi), che Cristo ha conferito agli Apostoli unitamente alla potestà di amministrare i sacramenti della grazia (munus sanctificandi), con i quali gli uomini possono essere santificati, cioè uniti ontologicamente (non solo moralmente) a Cristo, e in Lui, nell’unità dello Spirito,  a Dio che è il solo Santo. Dice infatti Gesù agli Apostoli: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Vangelo secondo Matteo, 28, 20).

    E per provvedere alle necessità spirituali dei fedeli, con la costituzione gerarchica della Chiesa, Cristo ha conferito agli Apostoli anche la missione pastorale (munsu regendi). Si capisce allora che non si può pensare a riforme “pastorali” della Chiesa in contrasto con la dottrina dogmatica e morale, come vorrebbe padre Sosa, con l’alibi delle presunte ispirazioni di un fantomatico “Spirito”, che certamente non è lo Spirito di Gesù (quello che «ex Patre Filioque procedit») perché contraddice frontalmente la sua dottrina e i sui comandamenti, anche lì dove Gesù ha parlato in modo definitivo e inequivocabile, com’è il caso del matrimonio naturale, che è indissolubile perché Dio così lo ha istituito «fin dal principio».

    Non serve a niente – tanto meno all’edificazione della fede dei cattolici di oggi – sostenere con argomenti pseudo-teologici,  ossia con la propaganda rivoluzionaria, le riforme dottrinali di una immaginaria “Chiesa di Bergoglio”: i fedeli sanno benissimo  che la “Chiesa di Bergoglio” non esiste e non può esistere, perché Dio ha voluto solo la Chiesa del Figlio suo,  la Chiesa di Cristo, Verbo Incarnato  e Capo del Corpo Mistico, sempre presente per essere l’unico Maestro, Sacerdote e Re per ogni generazione, fino alla fine dei tempi (si vedano il classico trattato teologico del cardinale Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Paris-Bruges 1962, e  il recentissimo saggio del Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Gerhrard Ludwig Müller, intitolato Der Papst – Sendung und Auftrag, Herder Verlag, Frankfurt 2017).

    Non serve a niente parlare di una “Chiesa del popolo”, immaginata secondo gli schemi  ideologici della sudamericana “teologia del pueblo”, dove è “la base”, “coscientizzata” dagli intellettuali organici (i teologi), quella che decide quale dottrina e quale prassi rispondono alle necessità politiche di quel momento storico e il Papa non è più l’interprete infallibile della verità rivelata e l’amministratore dei misteri salvifici ma l’interprete della volontà popolare e l’amministratore della rivoluzione permanente. Sono le aberrazioni pseudo-teologiche che si ritrovano già nella Teologia de la revolución del peruviano Gustavo Gutiérrez e che traggono origine dalla «nuova teologia politica» del tedesco Johann Baptist Metz. Il venezuelano padre Sosa, da sempre legato a questa corrente ideologica, ripropone oggi, nell’intento di sostenere servilmente le presunte intenzioni rivoluzionarie di papa Bergoglio, teorie che già quarant’anni fa, sotto papa Wojtyla, sono state condannate dal Magistero come contrarie al dogma ecclesiologico.

    Nemmeno serve l’alibi pseudo-teologico di una nova e “aggiornata” interpretazione della Scrittura, capace di contraddire perfino le «ipsissima verba Christi» e capace poi di squalificare come “fondamentalisti” quanti nella Chiesa (non solo i teologi come Carlo Caffarra ma anche i Papi come san Giovanni Paolo II) stanno al significato ovvio e vincolante degli insegnamenti biblici. Questi sofismi possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri di discernimento: ma sono stati già da tempo decostruiti e smentiti punto per punto dai documenti del Magistero recente e dalla critica teologica (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2012).

    Noi cattolici sappiamo di dover leggere l’Antico e il Nuovo Testamento alla luce della dottrina della Chiesa, perché è proprio della Chiesa che ci ha dato la Sacra Scrittura, garantendone l’ispirazione divina, ed è essa che ne fornisce l’interpretazione autentica, ogni qual volta un’interpretazione è necessaria per renderne comprensibile il messaggio salvifico agli uomini di un determinato contesto storico-culturale.

    Noi cattolici, a differenza di Lutero e di tutti quei protestanti che ne hanno seguito la metodologia teologica (radicalmente eretica), non ci basiamo sull’illogico principio della «sola Scriptura» e del «libero esame», e non vediamo alcun motivo logico di opporre la Bibbia al Magistero e il Magistero alla Bibbia. Noi cattolici abbiamo motivo di credere, al di là di ogni ragionevole dubbio, all’autorità dottrinale della Chiesa che ci ha consegnato la Sacra Scrittura, assicurandoci del fatto che essa è veramente la «parola di Dio», in quanto Dio stesso ne è l’autore principale e gli agiografi, che hanno scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ne sono gli autori secondari o strumentali.

    Ciò significa, contro il relativismo professato da padre Sosa, che ciò che si legge nella Sacra Scrittura è assolutamente vero, è la verità dei misteri soprannaturali che Dio ci ha rivelato gradualmente, per mezzo dei profeti, e poi definitivamente nella persona stessa di Dio Figlio. Si deve tener sempre presente che i testi scritturistici, pur contenendo la rivelazione dei misteri soprannaturali, di per sé ineffabili, forniscono ai credenti quel tanto di conoscenza (analogica) del divino che permetta loro di trovare in Cristo «la via, la verità e la vita».

    Per questo loro essenziale scopo salvifico i testi scritturistici non sono “aperti” a ogni possibile interpretazione, anche in contraddizione con  il loro significato testuale, che di norma è chiaro ed inequivocabile (lo stesso significato chiaro ed inequivocabile che hanno le formule dogmatiche che nei secoli la Chiesa è andata definendo). Non è vero quello che sosteneva alcuni decenni or sono il protestante svizzero Karl Jaspers, ossia che «nella Bibbia, dal punto di vista dottrinale, si può trovare tutto e il contrario di tutto». 

    Quando avviene che il significato testuale di un passo scritturistico sia suscettibile di diverse interpretazioni, è la Chiesa stessa che provvede a fornirne un’interpretazione “autentica”, ossia conforme all’insieme organico di tutta la dottrina rivelata (analogia fidei). Qualora poi la Chiesa non sia intervenuta a fornirne un’interpretazione “autentica”, i teologi sono liberi di proporre le loro personali ipotesi di interpretazione, tutte legittime purché compatibili con il dogma.

    Il generale dei Gesuiti si riferisce irresponsabilmente a pericopi evangeliche, nelle quali è testualmente contenuta la dottrina rivelata sul matrimonio, dicendo che si tratta di parole di uomini (gli agiografi), trasmesse da altri uomini (gli Apostoli e i loro successori) e interpretata da altri uomini ancora (i teologi). Insomma, per lui non è mai la Parola di Dio! In un sol colpo padre Sosa riesce a rinnegare tutti i dogmi fondamentali della Chiesa cattolica, a cominciare da quello della divina ispirazione della Scrittura, da cui derivano le proprietà di “santità” e di “inerranza” degli insegnamenti biblici (richiamati da Pio XII nel 1943 con l’enciclica Divino afflante Spiritu e poi riproposto dal Vaticano II nel 1965 con la costituzione dogmatica Dei Verbum), per finire con quello dell’infallibilità del magistero ecclesiastico quando definisce formalmente le verità che Dio ha rivelato per la salvezza degli uomini (definito nel 1870 dal Vaticano I con la costituzione dogmatica Pastor Aeternus e riproposti anche dal Vaticano II con le costituzioni dogmatiche Lumen gentium e Dei Verbum).

    Riducendo la Scrittura a «espressione della coscienza della comunità credente di altri tempi», a padre Sosa sembra logico di dover sostenere la necessità di una nuova interpretazione del messaggio biblico alla luce della «espressione della coscienza della comunità credente» di oggi. Ma questo è logico solo se si professa l’«anarchia ermeneutica», quella che ha portato un teologo luterano come Rudolf Bultmann a proporre la «de-mitologizzazione» del Nuovo Testamento. Invece, per la fede cattolica (che fino a prova contraria dovrebbe essere quella del generale dei Gesuiti), è del tutto illogico suppore che la Scrittura non insegni sempre e soprattutto delle verità divine indispensabili per la salvezza degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Solo chi accetta in toto l’eresia luterana può supporre che non esista quello che io chiamo il «limite ermeneutico invalicabile», ossia l’individuazione (immediata, accessibile a tutti) di un ben preciso contenuto dottrinale, che nessuna interpretazione può negare o mettere in ombra. Questo è il caso, per l’appunto, della dottrina evangelica sul matrimonio e l’adulterio.

    Capisco (anche se la depreco) l’intenzione di padre Sosa di sostenere la (presunta) rivoluzione pastorale di papa Bergoglio relativizzando il dogma, per poter contraddire nella prassi quanto la Chiesa ha stabilito ormai definitivamente con la dottrina sui sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma ragioniamo: eliminando il dogma, su quale base si dovrebbe dar ascolto a un Papa, il quale – secondo l’interpretazione ufficiosa di Sosa e di tanti altri teologi ossequiosi – ha messo il dogma da parte?

    Se non è assolutamente (non relativamente) vero – oggi come ieri e come domani – che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa, per quale motivo dovemmo ascoltarlo e obbedirgli? E noi sappiamo proprio dalla Sacra Scrittura (sulla quale si basano i dogmi enunciati dal Magistero, dai primi secoli fino al Vaticano I) che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa; ora, se si applicasse a questa volontà espressa di Cristo il criterio relativista di Sosa, allora ci sarebbero cattolici che venerano e rispettano il Papa e altri che lo ignorano o lo combattono. Gli uni e gli altri per motivi non teologici, ma ideologici, cioè politici. Fedeli a papa Bergoglio sarebbero solo quelli che lo seguono come si segue in politica un leader “carismatico” e non si tratterebbe certamente del carisma divino dell’infallibilità nella dottrina, ma del carisma umano del capopopolo che con le sue parole e i sui gesti ottiene consenso nelle masse. 




    FOCUS di Padre Riccardo Barile O.P.
    Messale
     

    Con un colpo di mano l'ala progressista in Vaticano sta mettendo mano alle traduzioni della Bibbia e della liturgia, aggirando le disposizioni dell'istruzione Liturgiam authenticam. La posta in gioco è di sostanza perché attraverso le parole viene comunicata l'immagine di Dio e l'atteggiamento con cui l'uomo si rivolge a Lui.

     

    «Se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate di-cendo?» (1Cor 14,8). Le “parole chiare”, che san Paolo raccomandava alla comunità di Corinto - alla lettera “di un buon segno”, cioè “ben decifrabili” -, riguardano non solo la pronuncia, ma anche la comprensibilità linguistica. È a partire da qui che la Chiesa ha curato le traduzioni della Bibbia e della liturgia, perché «la parola di Dio vuole interpellare l’uomo, vuole essere da lui compresa e avere una risposta comprensibile, ragionevole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 71).

    Per quanto riguarda la liturgia, tale movimento si è andato intensificando sino a un livello critico e polemico, come la notizia dei giorni scorsi di una nuova commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam (del 28 marzo 2001), che regola i principi e i modi di tradurre i testi liturgici, mettendo da parte addirittura il prefetto del dicastero competente, cioè il cardinal Robert Sarah: un colpo di mano dell’ala progressista! Cerchiamo di capire.

    Anzitutto il fedele italiano ignora che cosa sia Liturgiam authenticam, non avendone speri-mentato né i benefici né i (presunti) disastri. Infatti il Messale italiano in uso (del 1983 con alcune integrazioni) è stato tradotto dall’edizione tipica latina del 1975 e i criteri della traduzione erano regolati dalla precedente Istruzione Comme le prévoit (25.1.1969).

    Dopo il Messale italiano del 1983, il Messale tipico latino ha avuto una terza edizione del 2000 con una ristampa emendata del 2008. Bisognava dunque rivedere il Messale italiano alla luce di questa terza edizione, che comportava testi aggiunti e altre modifiche. Ma la revisione era postulata anche dal fatto che nel frattempo Liturgiam authenticam, tenuto conto di certi difetti delle traduzioni, aveva riformulato i criteri per la traduzione dei testi liturgici.

    Da parte della Chiesa italiana tale lavoro di revisione iniziò quasi subito, ma, trascorsi quasi 15 anni - e sono tanti -, il nuovo Messale non è ancora uscito, per cui viene da pensare che non sia uscito perché qualcuno ha manovrato perché non uscisse. E a questo punto è ipotizzabile che a tempi brevi non uscirà, in quanto la nuova traduzione dovrebbe vedere la luce più o meno in contemporanea all’uscita di un documento che riformula i criteri per le traduzioni, per cui il povero Messale, appena uscito, sarebbe da rivedere...

    A questo punto il fedele cattolico si trova confuso ed estraniato. In realtà la questione tocca proprio lui senza che l’interessato se ne accorga. Perché? Perché ad oggi quando va a Messa è destinatario di una traduzione uscita nel 1983 ed elaborata fine anni ’70 e inizio anni ’80, sostanzialmente fedele ma abbastanza “liberale”; se poi, invece di una traduzione più fedele, è in arrivo una revisione con criteri più innovativi, immaginarsi il risultato. A questo punto la posta in gioco non è di letteratura, ma di sostanza, in quanto attraverso le parole viene comunicata l’immagine di Dio e viene plasmato l’atteggiamento dell’uomo che si rivolge a Lui (come stare davanti a Dio, come lodarlo, che cosa chiedergli ecc.).

    Oggi si vuole rivedere Liturgiam authenticam perché i suoi criteri sarebbero troppo stretti, perché c’è bisogno di un linguaggio nuovo e - sostiene qualcuno - anche di gesti nuovi e poi perché... è espressione “anche” di un clima restaurazionista di san Giovanni Paolo II, aiutato in questo “anche” dall’allora card. Joseph Ratzinger e dal card. Jorge Medina Estévez, firmatario di Liturgiam authenticam. Quanti allora non digerirono l’Istruzione, oggi o sono nella stanza dei bottoni o ricevono benevola udienza da chi dimora in quella stanza. Ovvio il tentativo della rivincita, credendo onestamente di aver subìto un sopruso, di aver ragione e di far avanzare la Chiesa nella fedeltà all’uomo e a Gesù Cristo. È capitato tante volte nella storia, sia da destra che da sinistra. Però, senza negare questo fattore, bisognerebbe sforzarsi di guardare la realtà.

    Ora un sano atteggiamento verso la realtà è di lasciar parlare Liturgiam authenticam, troppo spesso taciuta nel dibattito. Che cosa dice? Tante cose che non interessano l’Italia, ma anche tante altre sulla traduzione e dunque sul linguaggio liturgico che interessano tutti i cattolici e che qui condenso in 5 punti.

    1. Esattezza formale della traduzione. La traduzione è un aspetto della «opera di inculturazione» (n. 5), però «non sia un’opera di innovazione creativa, quanto piuttosto la trasposizione fedele e accurata dei testi originali in lingua vernacola» (n. 20). E qui Liturgiam authenticam chiede una traduzione che rispetti il più possibile le parole e le frasi così come sono: questo è il metodo delle “equivalenze formali”, contrapposto al metodo delle “equivalenze dinamiche”, che invece tende a tradurre con parole e frasi di oggi ciò che con parole antiche recepì il destinatario di ieri. Tanto per fare un esempio, la traduzione biblica a equivalenze dinamiche rende il termine paolino “carne” con “egoismo”, certo facilitando, ma perdendo un mucchio di sfumature. Liturgiam authenticam, rispettando lo Spirito, la tradizione della Chiesa e il destinatario, mette in guardia dal seguire una strada così disinvolta.

    2. Legittimità di una lingua liturgica e di uno stile liturgico. A quanto sopra si potrebbe obiettare che, pur usando termini comprensibili, il risultato sarebbe un linguaggio che si discosta dal modo abituale di comunicare. Ebbene, Liturgiam authenticam prende il toro per le corna e ricorda che espressioni poco consuete (ma comprensibili), possono essere ritenute più facilmente a memoria e anzi possono sviluppare nella lingua odierna uno «stile sacro» (n. 27), «dove i vocaboli, la sintassi, la grammatica siano propri del culto divino» (n. 47). Ecco un’altra presa di posizione: è normale ed è positivo per chi ascolta che esista un linguaggio del culto e uno stile sacro, che, pur comprensibili, non vanno ridotti al modo abituale di comunicare.

    3. Traduzioni né ideologiche né soggettive. I libri liturgici devono essere «immuni da qualsiasi pregiudizio ideologico» (n. 3) e non sempre le attuali traduzioni lo sono. Ad esempio la Liturgia delle Ore rende “instaurare omnia in Christo” con “fare di Cristo il cuore del mondo”, espressione che trasuda di Teilhard de Chardin († 1955): con quale autorità si impone il pensiero di Teilhard a migliaia di oranti? Di più: i testi tradotti non sono funzionali ad essere «in primo luogo quasi lo specchio della disposizione interiore dei fedeli» (n. 129). Il che significa che non bisogna addolcire o aumentare i testi solo per venire incontro a ciò che si desidera oggi - ad esempio aggiungendo un “giustizia e pace” dove non c’è -, poiché il testo della preghiera della Chiesa è una proposta che va oltre le nostre attese e i nostri gusti e così facendo ci costringe a rettificarci e ad arricchirci. Di nuovo, i paletti di Liturgiam authenticam, prima di essere severi, sono promozionali per il popolo di Dio e lo preservano dalle dittature ideologiche e sentimentali.

    4. Le parole giuste e varie. Alla varietà di vocaboli del testo originale «corrisponda, per quanto è possibile, una varietà nelle traduzioni» (n. 51). Qui si citano due casi: il primo è l’antropologia: “anima, animo, cuore, mente, spirito” andrebbero tradotti come sono, compresa “anima” che i traduttori aggiornati vorrebbero abolire o comunque limitare. L’altro esempio sono i modi di rivolgersi a Dio: Signore, Dio, Onnipotente ed eterno Dio, Padre ecc. La fedeltà della traduzione ci veicola un giusto concetto di Dio e aumenta il senso di rispetto e adorazione nel rivolgersi a Lui. Ciò che non sempre è capitato nelle traduzioni: ad esempio gli anni ’70 hanno prodotto in un ordine religioso delle orazioni che iniziavano con un “Tu o Dio”. Mi domando se ci si rivolgerebbe così a un impiegato al di là dello sportello.

    5. Rispettare la sintassi originale. Questo è il punto più contestato e - si capisce - più decisivo: siano conservati, per quanto è possibile, la relazione delle frasi in «proposizioni subordinate e relative», la «disposizione delle parole», i «vari tipi di parallelismo» (n. 57a). Oggi tendiamo a parlare sparando delle frasi accostate: è il linguaggio della pubblicità e della comunicazione virtuale. La liturgia tende invece a collegare le frasi mettendole in ordine armonico tra di loro; soprattutto una richiesta non è generalmente formulata per prima, ma dipende da una precedente memoria delle meraviglie operate da Dio, che plasmano la richiesta stessa. Questo ordine e questa bellezza del linguaggio è ciò che il mondo classico ha prodotto e che la liturgia trasmette a tutti.

    Ecco, è un poco tutto questo che si vuole rivedere e ripensare (accantonare? scartare?), creando un nuovo linguaggio più secondo l’uomo di oggi. 
    Quanto sopra richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma il lettore che ha avuto il coraggio di arrivare fin qui, sarà stanco, per cui rimando a un prossimo intervento.

     
    REVISIONISMO
    Martin Lutero
     

    Ancora nei giorni scorsi è apparso un articolo sull'Osservatore Romano che fa una esaltazione di Martin Lutero e della sua ricerca del Dio misericordioso. Ma come sempre si glissa su altri aspetti che sono preponderanti, come l'odio mostrato contro papi ed ebrei.

    di Angela Pellicciari
     

    Non so quanti siano i lettori dell’Osservatore Romano, a quanto si dice non molti. Per parte mia leggo solo gli articoli che, di tanto in tanto, mi vengono segnalati. Mi è capitato così, diversi anni fa, di manifestare qualche sconcerto di fronte al tentativo di recuperare il Marx buono, come al plauso (scritto da un vescovo) della massima cavouriana ‘libera Chiesa in libero stato’ letta alla maniera di Spadolini.

    In questi giorni mi è stato segnalato un pezzo su Lutero, una pagina dal titolo “La storia momento di riconciliazione”. “Dall’animo tormentato di un uomo in cerca di un Dio da cui ricevere misericordia, nasce un seme di discordia”, scrive l’autrice Caterina Ciriello. Ohibò! Che ci si sia dimenticati della massima evangelica: “Li riconoscerete dai frutti”? 

    Tanti buoni sentimenti, tante buone e pie parole, tanto pellegrinaggio fra storia, arte, sapienza teologica, tanta santa contrapposizione tra l’opposizione che un tempo divideva cattolici e protestanti e la ritrovata comunione di oggi! Un articolo pieno di santi propositi e di buone intenzioni di volersi bene non andrebbe commentato. Ma è comparso sull’Osservatore.

    E allora giusto qualche pensiero in ordine sparso: Ciriello dà notizia di un convegno internazionale, “Rileggere la Riforma”, tenutosi a Firenze dal 20 al 22 febbraio. I protestanti avrebbero ammirato la magnificenza artistica della cattolica Firenze, magnificenza che loro hanno perso per sempre grazie all’iconoclastia del monaco in cerca della misericordia di Dio.

    Verissimo. Epperò ci si scorda di dire che, mentre Lutero è ferocemente iconoclasta (non è un particolare da poco perché - lo sappiamo da sempre e in particolare dalle opere di San Giovanni Damasceno - distruggere le icone significa negare le basi stesse del cristianesimo, perché equivale a mettere fra parentesi l’incarnazione), allo stesso tempo è invece un fervente cultore delle immagini, quelle che nel corso dei decenni elabora insieme a Cranagh per rendere plasticamente evidente ai rozzi tedeschi quale satanica sentina del vizio sia la Chiesa cattolica con tutto il suo apparato di papi, cardinali, vescovi e religiosi.

    Immagini orribili, disgustose, che faranno scuola ai rivoluzionari di tutte le epoche. Xilografie che Lutero vuole impreziosiscano le case del maggior numero possibile dei tedeschi per insegnare loro con mezzi semplici ed efficaci qual è il sentimento che va nutrito nei confronti di Roma: l’odio.

    Ciriello finisce il pezzo con una frase ad effetto: “‘Come posso avere un Dio misericordioso?’ si chiedeva Lutero. Oggi, forse, chi ancora definisce Lutero il “demonio” che ha diviso la Chiesa, neppure si preoccupa di Dio”. 

    Qui basterebbe ricordare qualcuno degli epiteti riservati dal cercatore del Dio misericordioso ai papi (asino, cane, re dei ratti, drago, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale) e soprattutto rileggere i primi due dei “sette consigli salutari” da lui indirizzati ai principi per chiarire cosa fare nei confronti degli ebrei. Primo: “è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni”. Secondo: “siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case”.




     

    [Modificato da Caterina63 03/03/2017 11:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 05/03/2017 19:20

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    Come sbuffa monsignor Charles Chaput su Papa Francesco e Amoris Laetitia

    Come sbuffa monsignor Charles Chaput su Papa Francesco e Amoris Laetitia</header>

    Francesco “fa il Papa in un modo che è molto diverso da quello dei suoi predecessori, e ciò è stato motivo di confusione per le persone. Il Papa deve essere consapevole di tale confusione, e penso che egli abbia una responsabilità nel dover rispondere a questo fatto”. A parlare così, in una lunga intervista concessa al sito cattolico americano Crux, è mons. Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia. Il presule interviene sullo stato della cultura americana e sul sentimento cristiano negli Stati Uniti, quindi tocca i temi di cui più si discute in Vaticano, specie in seguito al doppio Sinodo sulla famiglia.

    I DUBBI SU AMORIS LAETITIA

    Come è noto, è aperto (e aspro) il dibattito sulle conclusioni di quell’assemblea, soprattutto sul capitolo ottavo dell’esortazione Amoris laetitia che apre al raccostamento alla comunione dei divorziati risposati. Le interpretazioni sono molteplici: c’è chi considera il testo chiaro nel dare il via libera all’accesso al sacramento – seppur previo discernimento e comunque valutando ogni singola situazione – e chi, invece, sostiene che ciò (dottrina alla mano) è impossibile. Chaput appartiene alla seconda schiera: “Dobbiamo prendere Gesù in parola e le sue parole riguardanti il divorzio e un nuovo matrimonio – sul fatto che si tratta di adulterio – sono molto chiare. Voglio dire che non c’è alcun dubbio su ciò che Gesù ha detto nei Vangeli”.

    “E’ IMPOSSIBILE CONTRADDIRE GESU'”

    Con tali presupposti, le conseguenze (secondo l’arcivescovo di Philadelphia) sono chiare: “Mi sembra impossibile per noi contraddire le parole di Gesù, ed è anche impossibile che un insegnamento che è stato vero per venti secoli non lo sia più oggi”. Soprattutto quando questo “è stato l’insegnamento dei papi”. Per questo, dunque, “mi sembra che dobbiamo interpretare Amoris laetitia alla luce di ciò che c’è stato prima, in primo luogo le parole di Gesù e poi gli insegnamenti del Papa, il magistero della Chiesa. Come può essere vero che le persone possano ricevere la comunione quando stanno vivendo in un’unione adulterina? Come è possibile, se la Chiesa dice che non è possibile?”.

    “IL PAPA DOVREBBE RISPONDERE AI DUBIA”

    Insomma, la posizione di mons. Chaput è chiara: “Gli insegnamenti di Papa Francesco non possono contraddire gli insegnamenti di Giovanni Paolo II quando si tratta di insegnamenti ufficiali”. Naturale, con tali premesse, la domanda sui dubia posti dai cardinali BrandmüllerBurkeCaffarra e Meisner a Francesco lo scorso settembre in merito proprio all’Amoris laetitia. Bergoglio dovrebbe rispondere o no? “Sì”, risponde sicuro l’arcivescovo di Philadelphia. “Penso sia sempre bene rispondere alle domande”. Anche quando non vanno della direzione sperata? “Assolutamente”.

    LE OPPOSTE INTERPRETAZIONI

    Chaput è forse il primo esponente della gerarchia statunitense di un certo peso a schierarsi con i quattro cardinali firmatari della lettera inviata al Pontefice sul finire della scorsa estate. Lettera a oggi rimasta senza risposta. Il profilo di Chaput, primo vescovo pellerossa degli Stati Uniti, è noto: conservatore e assai influente nella chiesa americana, come dimostra la sua elezione a membro sinodale nel 2015, è stato votato anche dall’assemblea sinodale quale membro della commissione incaricata di preparare il Sinodo del 2018 sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. L’intervista concessa a Crux conferma una spaccatura profonda nella Chiesa sui criteri interpretativi del documento. Lo scorso gennaio, al Foglio, il cardinale Carlo Caffarra diceva: “In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi”.

    “FRANCESCO HA GIA’ RISPOSTO”

    Non la pensa così, però, il segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri: “Sono state già fornite diverse risposte. Si sono espresse anche persone competenti per il loro ruolo e la loro autorità. Non penso che ci sia bisogno di aggiungere altro, se non ribadire che tutte le risposte che si richiedono sono già contenute nel testo della stessa esortazione apostolica”.


      attenzione.... circolano alcune gravissime affermazioni di alcuni vescovi (quali il vescovo ausiliare di Milano, Martinelli)e sacerdoti riguardanti la sussistenza dell'Anima dopo la morte, discordanti con la Dottrina della Chiesa..... che tendono a dissacrare la necessità dell'Anima di CONVERTIRSI PRIMA DELLA MORTE e quindi, dopo la morte, non c'è bisogno di suffragi per l'Anima la quale - essendo rimasta nella sua propria volontà e comprensione - può convertirsi da se stessa.... E' FALSO!!!

    SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

    LETTERA
    SU ALCUNE QUESTIONI CONCERNENTI L'ESCATOLOGIA

     

    I Sinodi più recenti, consacrati rispettivamente ai temi dell'Evangelizzazione e della Catechesi, han fatto prendere più viva coscienza della necessità di una fedeltà perfetta alle verità fondamentali della fede, soprattutto al giorno d'oggi in cui le profonde modificazioni dell'ambiente umano e la preoccupazione di integrare la fede nei diversi contesti culturali impongono uno sforzo più grande che in passato, al fine di rendere questa fede accessibile e comunicabile. Quest'ultima esigenza, al presente tanto urgente, richiede in realtà una sollecitudine più grande che mai nel tutelare l'autenticità e l'integrità della fede.

    I responsabili debbono, pertanto, dimostrarsi assai attenti a tutto ciò che potrebbe causare nella coscienza comune dei fedeli una lenta degradazione e l'estinzione progressiva di un qualche elemento del Simbolo battesimale, indispensabile alla coerenza della fede ed inseparabilmente congiunto ad usi importanti nella vita della Chiesa.

    Precisamente su uno di questi punti è sembrato opportuno ed urgente attirare l'attenzione di coloro ai quali Dio ha affidato la cura di promuovere e di difendere la fede, affinché siano prevenuti i pericoli che potrebbero compromettere questa stessa fede nelle anime dei fedeli.

    Si tratta di quell’articolo del Credo che riguarda la Vita eterna e dunque, in generale, le realtà che si avranno dopo la morte. Nel proporre una tale dottrina non è lecito sottrarre alcunché, né si può adottare un metodo carente o incerto senza mettere in pericolo la fede e la salvezza dei fedeli.

    * * *

    A nessuno sfugge l'importanza di quest'ultimo articolo del Simbolo battesimale: esso esprime, infatti, il termine ed il fine del disegno di Dio, di cui nel Simbolo stesso è tracciato lo svolgimento. Se non si dà risurrezione, tutto l'edificio della fede crolla, come afferma vigorosamente san Paolo (cfr. 1 Cor 15). Se il cristiano non è più in grado di dare un contenuto sicuro all'espressione « Vita eterna », le promesse del Vangelo, il senso della Creazione e della Redenzione svaniscono, e la stessa vita presente resta priva di ogni speranza (cfr. Ebr 11, 1).

    Ora, come ignorare, su questo punto, il disagio e l'inquietudine di tante persone? Chi non s'accorge che il dubbio s'insinua sottilmente e molto in profondo negli spiriti? Anche se fortunatamente, nella maggior parte dei casi, il cristiano non è ancor giunto al dubbio positivo, sovente egli rinuncia a pensare a quel che segue dopo la morte, perché comincia a sentire che in lui sorgono degli interrogativi, ai quali ha paura di dover dare risposta: Esiste qualche cosa al di là della morte? Sussiste qualche cosa di noi stessi dopo questa morte? Non sarà il nulla che ci attende?

    In tutto ciò è da ravvisare, in parte, la ripercussione non voluta, negli spiriti, delle controversie teologiche ampiamente diffuse nell'opinione pubblica, delle quali la maggioranza dei fedeli non è in grado di cogliere né l'oggetto preciso né la portata. Si sente discutere dell'esistenza dell'anima, del significato della sua sopravvivenza, e ci si domanda quale relazione passi tra la morte del cristiano e la risurrezione universale. Il popolo cristiano è disorientato, perché non ritrova più il suo vocabolario e le sue nozioni familiari.

    Certamente, non si tratta di limitare o, addirittura, di impedire una ricerca teologica, della quale la fede della Chiesa ha bisogno e dalla quale deve poter trarre vantaggio. Tuttavia, ciò non può fare rinunciare al dovere di garantire tempestivamente la fede dei cristiani circa i punti che sono messi in dubbio.

    Di questo duplice e difficile dovere intendiamo richiamare brevemente la natura e gli aspetti, nella presente situazione così delicata.

    * * *

    È necessario, innanzitutto, che quanti hanno la missione di insegnare abbiano ben chiaro ciò che la Chiesa considera come appartenente alla essenza della sua fede; la ricerca teologica non può avere altra finalità se non quella di approfondirlo e di spiegarlo.

    Questa Sacra Congregazione, avendo la responsabilità di promuovere e di tutelare la dottrina della fede, intende qui richiamare l'insegnamento che la Chiesa propone a nome di Cristo, specialmente circa quel che avviene tra la morte del cristiano e la risurrezione universale.

    1) La Chiesa crede (cfr. Credo) ad una risurrezione dei morti.

    2) La Chiesa intende tale risurrezione come riferentesi all’uomo tutt’intero; per gli eletti questa non è altro che l'estensione agli uomini della risurrezione stessa di Cristo.

    3) La Chiesa afferma la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale, il quale è dotato di coscienza e di volontà, in modo tale che l'« io » umano sussista. Per designare un tale elemento, la Chiesa adopera la parola « anima », consacrata dall'uso della S. Scrittura e della Tradizione. Senza ignorare che questo termine assume nella Bibbia diversi significati, essa ritiene tuttavia che non esista alcuna seria ragione per respingerlo e considera, inoltre, che è assolutamente indispensabile uno strumento verbale per sostenere la fede dei cristiani.

    4) La Chiesa esclude ogni forma di pensiero o di espressione, che renderebbe assurdi o inintellegibili la sua preghiera, i suoi riti funebri, il suo culto dei morti, realtà che costituiscono, nella loro sostanza, altrettanti luoghi teologici.

    5) La Chiesa, conformemente alla S. Scrittura, attende « la manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo » (Cost. dogm. Dei Verbum, I, 4), che essa considera, peraltro, come distinta e differita rispetto alla situazione che è propria degli uomini immediatamente dopo la morte.

    6) La Chiesa, nel suo insegnamento sulla sorte dell'uomo dopo la sua morte, esclude ogni spiegazione che toglierebbe il suo senso all'Assunzione di Maria in ciò ch'essa ha di unico, ossia il fatto che la glorificazione corporea della Vergine è l'anticipazione della glorificazione riservata a tutti gli altri eletti.

    7) La Chiesa, in fedele adesione al Nuovo Testamento ed alla Tradizione, crede alla felicità dei giusti, i quali saranno un giorno con Cristo. Essa crede che una pena attende per sempre il peccatore, il quale sarà privato della visione di Dio, come crede alla ripercussione di tale pena in tutto il suo essere. Essa crede, infine, per quanto concerne gli eletti, ad una loro eventuale purificazione che è preliminare alla visione di Dio ed è, tuttavia, del tutto diversa dalla pena dei dannati. È quanto la Chiesa intende quando parla di Inferno e di Purgatorio.

    In ciò che concerne le condizioni dell'uomo dopo la morte, c'è da temere particolarmente il pericolo di rappresentazioni fantasiose ed arbitrarie, perché i loro eccessi entrano, in gran parte, nelle difficoltà che spesso incontra la fede cristiana. Tuttavia, le immagini usate nella S. Scrittura meritano rispetto. È necessario coglierne il senso profondo, evitando il rischio di attenuarle eccessivamente, il che equivale spesso a svuotare del loro contenuto le realtà che esse designano.

    Né le Scritture né la teologia ci offrono lumi sufficienti per una rappresentazione dell'aldilà. Il cristiano deve tener fermi saldamente due punti essenziali: egli deve credere, da una parte, alla continuità fondamentale che esiste, per virtù dello Spirito Santo, tra la vita presente nel Cristo e la vita futura — in effetti, la carità è la legge del Regno di Dio, ed è precisamente la nostra carità quaggiù che sarà la misura della nostra partecipazione alla gloria del Cielo —; ma, d'altra parte, il cristiano deve discernere la rottura radicale tra il presente ed il futuro in base al fatto che, al regime della fede, si sostituisce quello della piena luce: noi saremo col Cristo e « vedremo Dio » (cfr. 1 Gv 3, 2), promessa e mistero inauditi in cui consiste essenzialmente la nostra speranza. Se la nostra immaginazione non vi può arrivare, il nostro cuore vi giunge d'istinto ed in profondità.

    * * *

    Dopo aver richiamato questi dati, sia ora consentito rilevare gli aspetti principali della responsabilità pastorale, quale essa deve esprimersi nelle presenti circostanze ed alla luce della prudenza cristiana.

    Le difficoltà inerenti a questi problemi impongono gravi doveri ai teologi, la cui missione è indispensabile. Essi hanno, pertanto, diritto al nostro incoraggiamento ed allo spazio di libertà quale è giustamente richiesto dai loro metodi. Da parte nostra, tuttavia, è necessario richiamare ai cristiani, senza mai stancarci, gli insegnamenti della Chiesa, i quali costituiscono la base tanto della vita cristiana, quanto della ricerca degli esperti. Bisogna, parimenti, procurare che i teologi diventino partecipi delle nostre preoccupazioni pastorali, affinché i loro studi e ricerche non siano temerariamente divulgati in mezzo ai fedeli, i quali oggi specialmente corrono pericoli per la loro fede come non mai.

    L'ultimo Sinodo ha messo in chiara luce la vigile attenzione che l'Episcopato riserva ai contenuti essenziali della catechesi, tenendo presente il bene dei fedeli. È necessario che tutti coloro, i quali hanno l'incarico di trasmetterli, ne possiedano un'idea molto chiara. Dobbiamo, pertanto, offrire loro i mezzi per essere, allo stesso tempo, molto fermi in quel che attiene all'essenza della dottrina ed attenti a non permettere che rappresentazioni infantili od arbitrarie siano scambiate per le verità di fede.

    Una vigilanza costante e coraggiosa deve esercitarsi, mediante una Commissione dottrinale diocesana o nazionale, circa la produzione letteraria, non soltanto per mettere in guardia tempestivamente i fedeli contro le opere poco sicure, ma soprattutto per far loro conoscere quelle che sono adatte ad alimentare ed a sostenere la loro fede. È, questo, un compito grave ed importante, reso urgente sia dalla vasta diffusione della stampa sia dal cosiddetto decentramento delle responsabilità, che le circostanze rendono necessario e che i Padri del Concilio Ecumenico hanno voluto.

    Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza accordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

    Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 17 maggio 1979.

     

    Francesco Card. Seper
    Prefetto

     

    + Fr. Jerome Hamer, O.P.
    Arcivescovo tit. di Lorium
    Segretario



    [Modificato da Caterina63 07/03/2017 21:14]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 16/03/2017 19:11
    [SM=g1740720] San Pietroburgo: dopo 90 anni torna la processione della S. Croce. Un video che ha molto da insegnare ai Pastori cattolici

    Da il Timone, del 15.03.2017:
    www.iltimone.org/35840,News.html

    le immagini dell'altra Europa: se in Occidente si fa di tutto per cancellare le radici e le usanze cristiane (e guai a fare processioni pubbliche, per non urtare la sensibilità dei non cattolici) guardate invece in Russia con quale orgoglio e fede i popi ortodossi organizzano una processione a S. Pietroburgo, dopo 90 anni!

    cari Vescovi e preti cattolici: vergognatevi e imparate! VERGOGNATEVI A COME CI AVETE RIDOTTO, SENZA PIU' IL SENSO DEL SACRO, Vergognatevi e pentitevi per il Signore Gesù Sacramentato che avete messo di lato, sfrattato dalle Chiese e dagli Altari, PENTITEVI, RIDATE AL POPOLO DI DIO, di cui tanto vi riempite la bocca, IL SENSO DEL SACRO, TUTTO CIO' CHE CI AVETE ABUSIVAMENTE TOLTO


    Le immagini della processione della Croce, a San Pietroburgo, lo scorso 12 settembre. La processione, che si snoda dalla Cattedrale di Nostra Signora di Kazan lungo la celebre Prospettiva Nevskij, fu ripresa nel 2013 dopo un'interruzione di 90 anni, nell'anniversario della traslazione delle reliquie del santo principe Alexander Nevskij.

    www.youtube.com/watch?v=lkWeuXf6Y8I





    [SM=g1740720]
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    00 25/03/2017 08:42
    LETTERA

    Aborto

     



    Ascolto al TG che il Papa afferma che la tragedia dei migranti è la più grande dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma come è possibile dimenticare i cristiani perseguitati e soprattutto il genocidio dei bambini abortiti: soltanto in Italia 6 milioni nei 39 anni di aborto legalizzato.... 



    di Margherita Garrone


    Caro direttore,

    scrivo perplessa e amareggiata dopo aver visto l’edizione del TG1 del 22 marzo, in cui si dà conto dell’invito rinnovato dal Santo Padre all’accoglienza di profughi e migranti: «Non dimentichiamo – ha detto - che la tragedia che stanno vivendo i migranti oggi è la più grande dalla fine della Seconda Guerra Mondiale!».

    Come è possibile che il Vicario di Cristo dimentichi il genocidio in corso, ben superiore per quantità e qualità alla pur dolorosa Seconda Guerra Mondiale, ai Gulag, ai massacri di Pol Pot, e anche all’attuale esodo di popoli alla ricerca di libertà e di terra? Anche solo considerando l’Italia: 6 milioni di aborti in 39 anni di legge 194, più gli incalcolabili aborti illegali, più gli aborti premeditati e selettivi della Procreazione Medicalmente Assistita, gli aborti chimici ecc. Vogliamo calcolare cosa succede nel mondo ogni anno? Altro che guerra mondiale.

    Sento anche con tanta amarezza passare sotto silenzio i molti eccidi di cristiani pervicacemente perseguitati in ogni parte del mondo e proprio in quei paesi da cui arrivano molti migranti. Mentre il TG mandava in onda il suo discorso, quanti cristiani sono stati minacciati, violentati, uccisi e buttati nella spazzatura o in una fornace per mattoni? Troppo poco sentiamo parlare di loro.

    Rendiamo invece grazie a Dio per questi fratelli santi martiri, che completano nella loro carne ciò che manca alla passione di Cristo (S. Paolo). Il pensiero dei martiri mi turba per lo scarso riconoscimento dato loro. Siamo lontanissimi dalla Chiesa apostolica, forse perché allora molti vescovi di Roma hanno versato il loro sangue dove ora abbiamo innalzato splendide cattedrali. Ma siamo lontani perché siamo ciechi: il loro sangue è seme per altri cristiani, ma noi non siamo lì a raccoglierlo e venerarlo come il sangue di “altri cristi”.

    Mi turba questo pensiero perché associo a questi martiri i milioni di bambini abortiti; sacrificati sull’altare della cultura della morte, della divinità “qualità della vita”, in odio al Dio amante della vita. E per favore non pensiamo che sia colpa dei Massoni o dei vari Soros o delle femministe! Pensiamo invece all’abiura di molti cristiani, anche vescovi, che hanno pensato agli equilibri politici, al male minore, alla difesa degli interessi economici: non più capaci di discernimento, abbandonati dallo Spirito di Consiglio, lamentano tante calamità mentre la matrice è unica.

    Proclamiamo Dio Padre, creatore del cielo e della terra, nel Credo della domenica, ma appena fuori non abbiamo né Padre né Figlio. Se Maria non avesse detto il suo sì, se il Figlio non si fosse incarnato nella Vergine Madre, non avremmo la certezza che in ogni creatura concepita c’è la presenza e la santità della Trinità Beata.

    Il diritto alla vita è sacro ed inalienabile più del diritto alla terra, alla famiglia, alla libertà. La persona cui è stata sottratta la vita dal grembo materno è il più povero ed invisibile degli esseri umani e, per far eco alla Santa di Calcutta, “il più povero tra i poveri”. Quanti milioni di questi poveri ha prodotto la nostra attuale civiltà senza anima e senza amore?

    Non posso e non voglio accettare che questo popolo di creature senza vagiti e senza carezze di mamma sia meno determinante, per il futuro dell’umanità e della Chiesa, che il popolo dei migranti e dei profughi. La Parola di Dio ci dà la certezza e la consolazione: “Anche se una donna dimenticasse il figlio, io non ti dimenticherò mai… Sulle mie palme ti porto tatuata…” (cfr. Is 49,15-16). 

    Sono le mani di Gesù forate dai chiodi! In quelle ferite è impresso il volto di ogni bambino rifiutato: come possiamo dimenticare che nella sua passione sono presenti tutti gli aborti di ogni terra e di ogni tempo, insieme a tutti gli abomini di cui noi uomini siamo capaci.

    Domani sarà il 25 marzo, Incarnazione del Figlio nel grembo della Vergine Maria. Come vorrei sentire in questa solennità del “sì alla vita” il successore di Pietro accomunare ogni bimbo concepito a Gesù nel grembo di Maria!





    LUTERO NON ERA UN RIFORMATORE MA RIVOLUZIONARIO ERETICO

    Basta con le menzogne! C’è un limite a tutto! Nessun Vescovo e nessun Papa, in nome della pace e del dialogo o dell’ecumania, possono imporre una visione distorta della storia.

    E’ di questi giorni la notizia di solite manovre occulte, per imporre alla Chiesa, visioni distorte della storia. In questo sito francese, vedi qui – è riportato che si sta svolgendo in Vaticano, fino al 31 marzo, un incontro dal titolo: «Lutero, 500 anni dopo. Una rilettura della Riforma luterana nel suo contesto storico ecclesiale» dove per concetto di “rilettura della Riforma” si intende con ciò RIABILITARE Lutero, riletto appunto distorcendo la storia. Infatti, in una conferenza stampa che si è tenuta ieri 22 marzo 2017, nella Sala Stampa della Santa Sede, il Presidente del Comitato, il Padre Ardura, assistito dal prof. Johannes Grohe, storico che insegna alla Pontificia Università della Santa Croce, ha spiegato ai giornalisti che questo seminario di studi consiste in «una ricerca della verità» in un contesto storico ed economico complesso:

    «Lutero voleva fare inizialmente una riforma dall’interno, non voleva provocare uno scisma» – ha dichiarato. «All’inizio voleva fare una riforma all’interno della Chiesa, come è stato spesso il caso nel corso dei secoli. Egli compì un cammino spirituale, il punto di partenza quindi era buono. Ma in seguito ci sono state delle pressioni da tutti i lati, degli elementi che sono sopraggiunti dall’esterno, storici, politici ed economici, che hanno influenzato l’evoluzione della stessa Riforma e hanno condotto alla rottura.»

    Insomma, detto in breve, il Padre Ardura, mentre afferma da un lato di non sapere se Papa Francesco voglia riabilitare Lutero, dall’altro professa, abusivamente – diciamo chiaro -, che cattolici e protestanti hanno «una comunione nella stessa fede», grazie ad «un accordo tra le due Chiese»!

    Tutto ciò E’ FALSO! Clamorosamente falso! Mentono sapendo di mentire, e questo è inaccettabile! In questo link – Ripensando  Lutero – avevamo già dato prova, attraverso il domenicano Padre Coggi, che questa visione benevola, ma modernista, delle azioni di Lutero, non erano affatto di RIFORMA ma di  RIVOLUZIONE. Lutero è stato un rivoluzionario, non un riformatore. Chi sono infatti i veri Riformatori? SONO I SANTI e non gli ereticiSant’Ignazio di Lojola fonda la Compagnia per contrastare l’eresia luterana, senza alcun patteggiamento, senza alcun compromesso!

    Lutero inizia la sua avventura NON per una benevola Riforma interna alla Chiesama perché NON sopportava più il voto celibatario. In quanto monaco agostiniano, non accettava più di doversi “contenere” e da qui inizia senza dubbio la sua “bella” ricerca del Volto misericordioso di Dio, ma lo fa per un motivo personale soggettivo, che appartiene alle incontinenze e non al cuore… Il suo interessamento contro i vizi e i peccati nella Chiesa, la vendita delle indulgenze, ed altre immoralità, è solo una fase successiva che sarà usata da Lutero come manganello e ricatto.

    Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne. Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni, penitenze, digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all’inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l’atroce dubbio di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.

    I veri motivi, spiega poi nel libro Padre Coggi, furono di natura strettamente teologica e soprattutto legati al dramma interiore che egli viveva…. Anche il domenicano Padre Riccardo Barile – vedi qui – ha espresso chiarissimamente in un articolo a La Nuova Bussola Quotidiana del novembre scorso, una preoccupante riflessione: “Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l’Eucarestia, l’approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide…”

    Lutero ROMPE CON LA FEDE DELLA CHIESA da subito, fin dall’inizio della sua ricerca del Volto misericordioso di Dio, negando, poiché non lo accettava, la dottrina MORALE della Chiesa Cattolica. Per Lutero doveva esserci UN’ALTRA interpretazione della Scrittura e finisce per trovarla con il suo metodo: il “Sola Scriptura”, ossia, abbandonare tutto il magistero dei Papi e RILEGGERE quello patristico e la Scrittura, in senso letterale e UMANO, soggettivo, orizzontale.

    Quale vero RIFORMATORE ha reagito in questo modo? Ditecelo, ve ne preghiamo, portateci qualche esempio concreto perché noi non ne abbiamo trovati.

    Quando nel Libro del Siracide 16,13 troviamo scritto: “Tanto grande la sua misericordia, quanto grande la sua severità; egli giudicherà l’uomo secondo le sue opere…” Lutero lo cancella, risolve il problema relegando questi Libri nell’indice, e con quale autorità fece questo? Lutero mette da parte il concetto delle “opere” perché sa bene che significa che avrebbe dovuto resistere semplicemente alle tentazioni della carne (opera volontaria del libero arbitrio dell’uomo, ma negato da Lutero), e non trovare la scorciatoia, da qui inventa il “Sola fidei”, cioè, non siamo salvati per le opere, ma solo per la fede, da qui il famoso “pecca quanto vuoi, purché tu abbi fiducia salda, che Cristo copre i tuoi peccati con la sua giustizia…”

    Scriveva la Civiltà Cattolica nel 1918, quando era ancora cattolica, vedi qui testo originale – “tutto il sistema di Lutero riposa sul falso: nella Scrittura non c’è un testo che lo legittimi. Lutero con audacia bronzea torse in parte violentemente la Scrittura, e in parte vi sostituì le sue falsificazioni… “.

    E’ forse cambiata la Scrittura, oggi, e non ce ne siamo accorti, o cos’altro di ben peggiore sta accadendo nella Chiesa di oggi? Questi Pastori odierni, apostati ed eretici, ben sapendo che non possono usare la Scrittura per legittimare Lutero, cosa stanno facendo? Lo fanno apparire come VITTIMA DELL’OSCURANTISMO CATTOLICO DI IERI. E così “Lutero non fu compreso”…. Lutero non voleva rompere con la Chiesa, è ovvio, pretendeva solo che la Chiesa modificasse la sua dottrina secondo la sua interpretazione. Ed infatti: non è che la chiesa odierna si è un tantino protestantizzata tanto da abbracciare le tesi di Lutero, in campo dottrinale, e di conseguenza riabilitarlo nel tentativo di dare forza alle sue nuove rivendicazioni moderniste? Provateci il contrario! Portate le prove per dirci che siamo in torto!

    E attenzione, qui il Concilio Vaticano II non c’azzecca nulla! Qui siamo oltre, siamo forse ad un Vaticano III senza accorgercene? Il secondo infatti ammoniva: “Gli episodi della così detta ‘intercomunione’, registrati in questi ultimi mesi, si iscrivono in questa linea, che non è la buona e che dobbiamo lealmente riprovare. Ricordiamo il Concilio, il quale ‘esorta i fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso dell’unità’ (Unitatis redintegratio n. 24)”.

    Vogliamo concludere queste riflessioni invitandovi AD UNA RESISTENZA A NON ACCETTARE ALCUNA RIABILITAZIONE DI LUTERO (e nessun Papa può imporlo, fino a prova contraria), attraverso le parole della Civiltà Cattolica del 1918, che suonano davvero come profezia per questi nostri tempi:

    Questo è il Lutero storico, cioè, vero. I suoi partigiani, numerosi come legione e inconcussi più che scogli, lo possono esaltare come e quanto vogliono fino alle stelle.. (…) In questa sfera Lutero fu forse il più grande figlio “del mondo”: iniziò il movimento di ribellione contro ogni autorità che non sia la forza di ferro, aprì il campo del soggettivismo, vide le cose non come erano, ma come voleva che fossero, fece legge morale il placito della sua volontà…

    Se così non fosse, dovremo forse dare ragione a Lutero quando predicava che: “Dalla nostra parte sta il Cristo, dalla parte del papa sta il diavolo!”  giudicate voi! ma non possono avere ragione entrambi!

    Consigliamo vivamente, a chi volesse approfondire i fatti, i seguenti libri:

    – Angela Pellicciari, Martin Lutero;

    – Angela Pellicciari, Martin Lutero il lato oscuro di un rivoluzionario;

    – Padre Roberto Coggi O.P. Ripensando Lutero

       



    [Modificato da Caterina63 30/03/2017 13:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 12/04/2017 13:34

    INTERVISTA AL CARDINALE

     




    Infovaticana intervista il porporato. Dubia e correzione? «Prima i cardinali dovrebbero parlare al Santo Padre per dirgli che il problema è così grave che dobbiamo correggerlo e io ho fiducia che il Papa risponderà»; Malta? «Sono stato estromesso»; «La Cdf dovrebbe intervenire col generale dei Gesuiti».



    di Marco Tosatti



    Il card Leo Burke

    Il cardinale Raymond Leo Burke, Patrono dell’Ordine di Malta, ex Prefetto della Segnatura Apostolica e uno dei quattro cardinali dei Dubia, ha rilasciato una lunga intervista a Gabriel Ariza, pubblicata da Infovaticana. Moltissimi i temi trattati: dai Dubia alla presenza di esponenti discutibili al convegno organizzato dall’Accademia delle Scienze, alle dichiarazioni sui Vangeli dei Preposito Generale dei gesuiti, dall’Ordine di Malta alle dichiarazioni del card. Ravasi sui massoni. Ne abbiamo tradotto qualche brano.


    Per quello che riguarda i suoi rapporti con l’amministrazione Trump, l’intervistatore ha chiesto:


    Jason Horowitz ha detto al New York Times che lei ha avuto un incontro con Stephen K. Bannon. E’ accaduto realmente o una fake news?


    “Mi dicono che me l’hanno presentato anni fa, ma di sicuro non abbiamo avuto un incontro all’epoca. In realtà non mi ricordo di averlo incontrato. Mi dicono che me lo hanno presentato, ma per essere onesti, non mi ricordo che faccia abbia…non ho mai avuto un incontro con lui”.


    Così lei non ha un legame con l’amministrazione Trump…


    “No, non ce l’ho”.


    I Dubia. Quale è stata la principale ragione per cui voi quattro cardinali avete reso pubblici i dubia? 


    “Perché c’è così tanta confusione nella Chiesa sui temi fondamentali che sono definiti per ciò che riguarda il male morale intrinseco, per ciò che riguarda la Santa Comunione e la giusta disposizione per ricevere la Santa Comunione e per ciò che riguarda l’indissolubilità del matrimonio. C’è così tanta confusione che noi, per prima cosa, abbiamo chiesto al Santo Padre per favore di chiarire queste questioni. Abbiamo limitato la nostra richiesta a quelle quattro questioni nei Dubia. Quando non c’è stata nessuna risposta, poiché molte persone ci dicevano: ‘Perché voi cardinali non fate il vostro dovere e insegnate con chiarezza su questi temi?’ abbiamo capito che dovevamo far sapere alla gente dei Dubia. Sì, stiamo facendo del nostro meglio, stiamo cercando di ottenere dal Santo Padre la direttiva di cui la Chiesa ha bisogno proprio ora. Perché c’è una confusione molto pericolosa e anche, con la confusione, vengono le divisioni”.


    E ha continuato: “Preti contro preti e disaccordo fra cattolici intorno alla possibilità di ricevere i sacramenti se vivi in un legame matrimoniale che non è valido. Troviamo disaccordo persino fra i vescovi, e questo non dovrebbe succedere….questo non è per il bene della Chiesa”.


    Perché solo quattro cardinali hanno firmato i Dubia?


    “Le posso dire che ci sono più di quattro cardinali che appoggiamo i Dubia, ma per varie ragioni non vogliono dirlo pubblicamente. I quattro cardinali che hanno firmato i Dubia semplicemente sapevano che era il loro dovere, senza pensare che fosse necessario un certo numero di cardinali con noi. Noi quattro sapevamo che dovevamo farlo, e l’abbiamo fatto”.


    Così avete l’appoggio privato di altri cardinali?


    “Sì”.


    Che cosa risponderebbe a chi dice che state sfidando il Papa?


    “Che non c’è nessuna sfida di nessun tipo. In realtà l’uso di sottoporre Dubia o problemi al Papa è una pratica molto antica nella Chiesa, e il documento mostrava rispetto per il Papa che sta guidando la Chiesa in un momento critico o in un tempo di confusione o in un tempo persino di errore. Così, se lei legge i Dubia, vedrà che siamo molto rispettosi. Non accusiamo il Santo Padre di nulla. Gli chiediamo semplicemente per il bene della Chiesa di chiarire questi problemi”.


    Lei ha parlato di qualche precedente di correzione formale del Papa nella storia della Chiesa….


    “Penso per esempio a papa Giovanni XXII che stava insegnando in maniera erronea sulla Visione Beatifica. Alcuni vescovi e teologi glielo fecero notare. Dapprima ha resistito alla loro correzione, ma dopo, prima che morisse, ha ritrattato e ha detto di essere in errore”.


    “Ci sono altri casi simili nella storia della Chiesa. Alcuni riguardano questioni pratiche di importanza, persino l’amministrazione dei beni temporali. Per esempio, cardinali che sono andati dal santo padre e gli hanno detto: ‘Secondo il nostro giudizio lei non sta amministrando bene i beni della Chiesa’, e il Papa allora si è corretto”.


    Pensa che ci sarà una correzione formale di papa Francesco?


    “Questo non è ancora chiaro. Parlando normalmente, prima di compiere quel passo, i cardinali dovrebbero parlare personalmente al Santo Padre per dirgli: ‘Santo Padre, il problema è così grave che dobbiamo correggerlo, e io ho fiducia che il Papa in quel momento risponderà’”.


    Non pensa che nell’intervista a Il Timone il card. M?ller abbia risposto ai Dubia


    “Credo di sì. Di sicuro ciò riguarda molto l’intera discussione, e rende molto chiaro che cosa la Chiesa insegna in questo campo. Io credo sia così, ma non lo so, dal momento che non ho parlato con il card. M?ller, che l’intervista sia uno sforzo pastorale, da parte sua, di presentare chiaramente il magistero della Chiesa”.


    Ma il Papa non ha ancora risposto.


    “Per quanto ne so non a me, e non credo neanche agli altri tre cardinali. Non credo che abbia dato nessuna risposta”.


    E la correzione formale?


    “Realmente non posso parlarne perché è una questione che deve essere affrontata con grande rispetto e delicatezza. E non voglio suggerire una data che potrebbe in qualche modo danneggiare la gestione del problema o potrebbe sembrare poco rispettosa verso chiunque vi fosse implicato”.


    Prima e dopo aver pubblicato i Dubia  siete stati in contatto con il papa emerito?  


    “No, non gli ho mai parlato dei Dubia”.


    Per quanto riguarda la crisi nell’Ordine di Malta il cardinale Burke ha fatto capire di esserne totalmente estromesso: “Per il momento sono completamente rimosso da ogni implicazione con l’Ordine di Malta. Mantengo il titolo di Cardinale Patrono, ma il Papa ha reso chiaro che la sola persona che può trattare le questioni dell’Ordine di Malta a nome del Santo Padre è l’arcivescovo Becciu”.


    Il porporato afferma che il Papa nella sua lettera del 1° dicembre gli manifestava “serie preoccupazioni”, che sembravano “certamente giustificate”, e che la nuova leadership dovrà rispondere a queste preoccupazioni. Per quanto riguarda infiltrazioni massoniche nell’Ordine, Burke ha risposto: “Il Papa è stato molto chiaro con me su questo, che un massone non può essere membro dell’Ordine. E così, mi ha detto, se ci sono cavalieri che continuano a essere membri della Massoneria, devono essere espulsi. Così stavo lavorando in questo senso, sì”.


    Sulla commissione nominata dal Vaticano per indagare, e accusata di conflitto di interesse, in relazione a una importante donazione, il cardinale ha risposto: “Questo affare deve essere chiarito bene. Perché per ogni persona dotata di senso comune c’è qualche cosa di molto strano che sta succedendo. Per quanto riguarda questa grande donazione, una parte della quale almeno fu lasciata all’Ordine di Malta, non è completamente chiaro chi sia il donatore, quale sia la natura esatta del lascito, come deve essere amministrato, e questo non è giusto. Questi aspetti devono essere chiariti. E poi era molto strano che le tre persone direttamente coinvolte nell’affare del lascito dato all’Ordine debbano esse il cosiddetto ‘gruppo’ che ha investigato l’intera questione dell’espulsione del Gran Cancelliere e che ha raccomandato la sua riammissione”.


    Il fratello di Von Boeselager è stato nominato allo IOR…


    “Albrecht von Boeselager, il Gran Cancelliere, ha rifiutato di dimettersi ed è stato espulso. Pochi giorni dopo suo fratello Georg von Boeselager è stato nominato nella Commissione di Controllo dello IOR. Sembra strano”.


    Dopo la nomina di Becciu, quale è il suo ruolo nell’organizzazione?


    “Non ho nessun ruolo. Ho un titolo, ma nessuna funzione”.


    Tutta la vicenda dell’Ordine di Malta non appare chiara neanche a qualcuno, come Burke, che la viveva in prima persona. Era lui il principale obiettivo di questa crisi: “Non lo so. Tutto lo sviluppo è così strano che mi è difficile capire quale fosse l’obiettivo finale. Certo, una cosa è chiara, che la ripresa in carica del Gran Cancelliere era un obiettivo principale. Se questo comportasse anche la mia rimozione da Cardinale Patrono non lo so”.


    Richiesto di un giudizio sulle sue relazioni con il Papa, il porporato ha risposto:


    “Non gli ho parlato dall’incontro che abbiamo avuto a Novembre l’anno scorso. L’ho salutato dopo l’incontro con il Collegio dei Cardinali e la Curia Romana prima di Natale, ma non gli ho parlato, e non mi ha dato udienza. Così non so che cosa pensa”.


    Lei ha chiesto un’udienza?


    “Sì”.


    Per quanto riguarda le dichiarazioni del Preposito Generale dei gesuiti, sulla parole di Gesù e sui Vangeli, Burke ha detto:


    “Questo è completamente sbagliato. In realtà trovo incredibile che possa aver fatto questo tipo di dichiarazioni. Anche esse devono essere corrette. E’ irragionevole pensare che le parole del Vangelo, che sono parole che dopo secoli di studio sono state riconosciute come le espressioni dirette di Nostro Signore, ora non sono le parole di Nostro Signore perché non erano registrate. Non riesco a comprenderlo”.


    Il porporato ha suggerito che la Congregazione per la Dottrina della Fede si faccia carico di questo compito.



      TRADUZIONE A SEGUIRE, INTEGRALE, DI CHIESAEPOSTCONCILIO

    Infovaticana Spagna ha incontrato il cardinale Burke nel suo appartamento, nei pressi della Città del Vaticano. Entrando, li accoglie un ritratto di Papa Francesco, che campeggia nella sala d’ingresso.
    Raymond Leo Burke è nato nel Wisconsin il 30 giugno 1948. Nel 2003 è stato nominato arcivescovo di Saint Louis (Missouri), una delle più antiche e prestigiose diocesi degli Stati Uniti. La sua esperienza internazionale come canonista lo porta, nel 2008, ad essere nominato da Benedetto XVI nel ruolo di Prefetto della Segnatura Apostolica, dove rimase in carica finché, nel 2014, Francesco non gli affidò l’incarico di Patrono dell’Ordine di Malta.
    Il giornalista di Infovaticana Spagna, Gabriel Ariza, lo ha intervistato sui Dubia, sulla crisi dell’Ordine di Malta, ma anche sui primi tre mesi della presidenza di Donald Trump e non solo.
    I 'Dubia', la 'correzione...'

    Qual è la principale ragione per cui voi quattro cardinali avete pubblicato i “Dubia”?
    – Perché c’è troppa confusione nella Chiesa per quanto riguarda alcune questioni fondamentali, per quanto riguarda la Santa Comunione e le disposizioni per riceverla e anche in riferimento all’indissolubilità del matrimonio. Prima di tutto chiediamo al Santo Padre di chiarire queste domande fondamentali. Ci siamo limitati a queste quattro domande nei “Dubia” ma non c’è stata risposta. Molte persone ci hanno detto: “Perché voi cardinali non fate il vostro dovere e insegnate chiaramente su questi temi?”. Poi abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa in modo tale che la gente potesse capire. Stiamo cercando di fare del nostro meglio, stiamo cercando di ricevere dal Santo Padre l’indicazione di cui la Chiesa ha bisogno adesso. Anche perché c’è una confusione molto pericolosa e le confusioni generano divisioni. Sacerdoti contro sacerdoti e contrasti con gli altri membri della Chiesa su questioni di come ricevere i sacramenti se si vive un un’unione al di fuori del matrimonio o con un matrimonio invalido. Si incontrano anche questi disaccordi tra i vescovi e questo non dovrebbe essere così, non è una buona cosa per la Chiesa.

    Perché i “Dubia” sono stati firmati solo da quattro cardinali?
    – Posso dirle che ci sono più di quattro cardinali che sostengono i “Dubia”, ma per varie ragioni non vogliono parlarne pubblicamente. I quattro cardinali che abbiamo firmato i “Dubia” sapevamo che sarebbe stato un duro lavoro ottenere il sostegno di un certo numero di cardinali, sapevamo che dovevamo fare questo e lo abbiamo fatto.

    Quindi c’è il sostegno privato di altri cardinali?
    – Sì.

    Cosa vorrebbe dire a chi dice che lei si mette contro il Papa?
    – Nessuno sfida il Papa. In realtà presentare dei “Dubia” al Papa è una pratica antica nella Chiesa e i documenti firmati dimostrato rispetto per il Papa poiché è responsabile di guidare la Chiesa in un momento critico, in un tempo di grande confusione e anche di errore. Quindi, se si leggono i “Dubia” si vedrà che siamo molto rispettosi e non accusiamo il Papa di nulla, semplicemente chiediamo a lui, per il bene della Chiesa, di chiarire questi problemi.

    Ha parlato di alcune correzioni formali al Papa nella storia della Chiesa…
    – Credo che fu Giovannni XXII circa un insegnamento sbagliato sulla visione beatifica e alcuni vescovi e teologi glielo fecero presente. Inizialmente resistette alla correzione, ma prima di morire ritrattò ciò che aveva detto e disse che fu un errore. Ci sono altri casi simili nella storia della Chiesa, alcuni si riferiscono principalmente alle questioni pratiche, compresa l’amministrazione dei beni temporali. I cardinali dissero al Santo Padre: “a nostro avviso non si stanno gestendo correttamente i beni della Chiesa”, e il Papa ha poi rettificato.

    Pensa che ci sarà una correzione pubblica forma a Papa Francesco?
    – Non è ancora chiaro. Prima di fare questo passo vorrei andare ancora una volta dal Santo Padre per dirgli personalmente che la questione è talmente grave che dobbiamo correggere e confido che il Santo Padre risponderà in quel momento.

    Non pensa che l’intervista del cardinale Müller a Il Timone sia stata una risposta ai “Dubia”?
    – Penso che appartiene certamente a tutta questa discussione e rende molto chiaro ciò che la Chiesa insegna per quanto riguarda tali questioni. Non ho parlato con il cardinale Müller, ma penso che l’intervista sia stato chiaramente uno sforzo pastorale da parte sua per introdurre l’insegnamento della Chiesa.

    Ma il Papa non ha ancora risposto …
    – Per quanto ne so, non ha dato alcuna risposta, né a me, e penso neanche agli altri cardinali.

    Si può parlare di una data precisa per la correzione formale al Papa?
    – No proprio perché è una questione che deve essere affrontata con grande rispetto. E indicare una data significherebbe influenzare la gestione della cosa e una mancanza di rispetto per le parti coinvolte.

    Prima e dopo la pubblicazione dei “Dubia”, lei ha avuto contatti con il Papa emerito?
    – Non ho mai parlato con lui dei “Dubia”.

    Ordine di Malta

    Si è finalmente conclusa la crisi dell’Ordine di Malta?
    – Questa è una domanda difficile a cui rispondere. Al momento sono del tutto lontano da qualsiasi coinvolgimenti nell’Ordine di Malta, ma mantengo il ruolo di Cardinale Patrono. Il Papa ha messo in chiaro che l’unica persona che può occuparsi della vicenda relativa all’Ordine di Malta a nome del Santo Padre è l’Arcivescovo Becciu, quindi non lo so. Nel mese di aprile ci dovrebbe essere l’elezione di un nuovo Gran Maestro e spero che il leader eletto tra i Cavalieri Professi possa cominciare a sistemare le cose e guidare l’Ordine nella giusta direzione. Il Santo Padre ha chiarito, nella lettera dello scorso 1° dicembre, delle preoccupazioni molto gravi sull’Ordine di Malta. Preoccupazioni a mio giudizio chiaramente giustificate, che il nuovo Gran Maestro dovrà affrontare.

    Ha chiesto al Papa se manderà via i massoni dall’Ordine di Malta?
    – Con me il Papa è stato molto chiaro a questo proposito: un massone non può essere membro dell’Ordine di Malta. E mi ha detto che ci sono persone che si ostinano con la loro appartenenza nella massoneria e che dovrebbero essere espulsi. Così sta lavorando su questo, sì.

    C’è stato un conflitto di interessi tra i membri della commissione nominata dalla Santa Sede – come detto da alcuni vaticanisti come Edward Pentin o Sandro Magister – e anche il Gran Maestro…
    – Questa è una cosa importante per la crisi dell’Ordine di Malta ed è una questione che dovrebbe essere molto chiara. Per tutti coloro che hanno il senso di ciò che sta accadendo è molto strano. Di questa grande donazione, di cui almeno una parte è stata lasciata all’Ordine di Malta, non vi è alcuna chiara comprensione di chi sia il donatore, quale sia la stessa natura della donazione, come si amministra e questo non è una cosa positiva. Queste cose devono essere chiare. E poi è stato molto strano che tre persone che sono state direttamente coinvolte nella questione della donazione fatta all’Ordine, l’indagine dovrebbe essere fatta nella “gruppo nominato” che ha indagato la questione della revoca del cancelliere e ha raccomandato che dovrebbe essere reintegrato.


    Il fratello di Von Boesselager ha avuto un incarico allo IOR
    – Sì. Il fratello di Philipp Boesselager – il Cancelliere a cui è stato chiesto di dimettersi e ha rifiutato – Georg Boesselager è stato nominato un paio di giorni dopo come membro della Commissione di Controllo dell’Istituto delle Opere Religiose, che chiamiamo banca vaticana. Tutto sembra molto sospetto.

    Dopo la nomina di Becciu, qual è il Suo ruolo all’interno dell’Ordine?
    – Non ho alcun ruolo in questo momento. Ho un titolo, ma non ho alcuna funzione.

    Le mani legate…
    – Sì, rispetto l’ordine del Santo Padre e non ho nulla a che fare con l’Ordine di Malta al momento.

    Era Lei l’obiettivo principale di questa crisi?
    – Non lo so. Tutto lo sviluppo è così strano per me che trovo difficile capire quale sia l’obiettivo finale. Tuttavia, una cosa è chiara, che il reintegro del Gran Cancelliere era un obiettivo principale, e che questo implicava la mia destituzione in quanto Cardinale Patrono, non lo so…

    È stato detto che quando il Papa la inviò nell’Isola di Guam era una punizione per i “Dubia” o per la crisi nell’Ordine di Malta. Tuttavia la visita era stata programmata da mesi, anche prima della pubblicazione dei “Dubia”. È questo un esempio di notizie false che denuncia anche il Presidente Trump?
    – Sì, questo è una falsa notizia o “fake news”. Credo sia stato nel mese di ottobre, quando mi chiesero di essere il Presidente del tribunale dei cinque giudici per giudicare quello che viene chiamato “caso Apuron” nella Chiesa: per determinare la verità circa le accuse contro l’arcivescovo emerito di Guam. Questo viaggio a Guam è stato progettato indipendentemente dalle difficoltà che aveva l’Ordine di Malta e ci sono andato per ragioni molto specifiche. Inoltre sono stati lì per tre giorni, quindi difficilmente può essere un esilio.

    Come è il Suo rapporto con il Santo Padre?
    – Non ho più parlato con lui dall’incontro di novembre. Lo scorso anno l’ho incontrato nel corso dell’incontro con i cardinali e la curia romana prima di Natale, ma non ho parlato con lui e non mi ha concesso una udienza, quindi non so cosa stia pensando.

    Quindi ha chiesto un’udienza?
    – Sì.

    E durante la crisi dell’Ordine di Malta non ha potuto parlare con lui?
    – Non ho avuto la possibilità o l’opportunità di parlare con lui su questo argomento.

    Donald Trump

    Come valuta i primi giorni di Donald Trump come presidente?
    – Sono chiaramente tempi molto difficile, perché i cittadini americani hanno dimostrato che vogliono che il loro paese vada verso una nuova direzione e il presidente Trump sta cercando di realizzare quel desiderio, che le persone hanno espresso votandolo. Ma non è così facile, perché ci sono molto forze che si oppongono ed è anche un nuovo presidente che quindi deve trovare il modo migliore per raggiungere tutte le cose buone che vuole fare. Penso che le cose andranno bene, ma i primi cento giorno sono stati difficili. Non lo conosco personalmente, non ho mai parlato con lui, ma penso che sia molto determinato a realizzare il mandato che ha ricevuto da parte della popolazione degli Stati Uniti.

    Lei pensa che c’è speranza per il movimento pro-life, come ha detto il vicepresidente Mike Pence alla Marcia per la Vita?
    – Assolutamente. Il Presidente Trump è molto chiaro su questo. Anche se in passato non è stato molto chiaro, adesso ha dimostrato di comprendere l’inviolabilità della dignità degli innocenti e la difesa della vita umana, e che le leggi degli Stati Uniti dovrebbero proteggere chi non è ancora nato.

    Quindi pensa che il Governo è davvero impegnato nella difesa della vita?
    – Assolutamente. Il vicepresidente Pence è stato per lungo tempo uno dei leader più importanti del movimento pro-life.

    La crescita dei movimenti “Altright” o di destra alternativa e la fine del globalismo sono una buona notizia per la libertà?
    – Penso che la cosa importante è la Chiesa si impegni con i leader politici che hanno molte idee buone e parli con loro per offrire la guida della Dottrina Sociale della Chiesa, che è sempre il rispetto del bene comunque. Ogni programma politico può avere aspetti molto buoni, ma ci possono anche essere aspetti che non sono positivi o che devono essere migliorati e perfezionati. La cosa importante per noi, per la Chiesa, è non essere politicizzata e neanche partecipare ad un partito o ad un altro, ma parlare con questi leader che mostrano segnali positivi e contribuire alla loro visione e ai programmi che offrono, orientati nel miglior modo possibile verso il bene comune.

    Il Vaticano sta costruendo dei ponti con l’amministrazione Trump o, al contrario, si sta creando una barriera?
    – Non so nulla su questo perché non ho nessun contatto con la Segreteria di Stato, che si occupa di questo. Devo dire che trovo l’Osservatore Romani, il giornale ufficiale del Vaticano, piuttosto critico sul presidente Trump e non credo questo aiuti.

    Il giornalista Jason Horowitz ha scritto sul New York Times che lei ha avuto un incontro con Steve Bannon nel 2014. Di cosa avete discusso in quell’incontro? E’ realmente avvenuto o era una “fake news”?
    – Molti mi hanno detto che mi è stato presentato, ma in particolare non abbiamo avuto nessun incontro di questo tipo. Mi dicono che me lo hanno presentato, ma ad essere onesto con voi, non ricordo in che ci circostanza sia avvenuto e come. Non ho mai avuto un incontro con lui.

    Quindi non ha nessun legame con l’amministrazione Trump?
    – No, nessun legame

    Il Superiore dei gesuiti

    Cosa pensa delle recenti dichiarazioni del Padre Generale della Compagnia di Gesù, Arturo Sosa Abascal, che ha messo in discussione il rigore degli Evangelisti?
    – E’ una cosa completamente sbagliata, in realtà trovo incredibile che possa aver fatto tali dichiarazioni, deve essere corretto. Ci sono una serie di persone che devono studiarlo e correggerlo. Non è ragionevole pensare che le parole dei Vangeli, che dopo centinaia di studi sono intesi come le parole dirette di nostro Signore, adesso non sono davvero le parole di Cristo solo perché in quel momento non c’era un registratore. Non capisco.

    Ma non è un piccolo errore…
    – Si tratta di un grave errore che deve essere corretto.

    E chi può risolvere il problema?
    – Direi che la Congregazione per la Dottrina della fede, l’organo che ha il Papa per proteggere la verità della fede e della morale.


    Vatileaks

    Vatileaks: le indiscrezioni parlano di oltre mille appartamenti della Santa Sede sparsi a Roma. Lei pensa che il fatto che la Chiesa sia il più grande proprietario immobiliare a Roma vada a indicare la credibilità del messaggio evangelico della Chiesa stessa?
    – In primo luogo non so se questa sia la verità ma quello che vorrei dire è che non credo che se la Chiesa possiede tanti beni questo sottrae credibilità al nostro messaggio, ma quello che è influente è il modo in i beni sono gestiti. Infatti, avendo tutte queste proprietà la Chiesa le può usare per molti scopi buoni ma l’amministrazione deve essere rigorosa e disciplinata dalle legge della Chiesa. Non sto dicendo che non lo è, ma per me l’unico scandalo sarebbe se queste proprietà non vengono gestite correttamente.

    Omosessualità

    La diplomazia vaticana è cambiata molto. Come giudica il trattamento di “consorte” al compagno omosessuale del presidente del Lussemburgo?
    – Credo che si debba fare qualcosa in riferimento all’immagine pubblica che si da in queste circostanze. In passato la Santa Sede semplicemente in modo discreto e rispettoso rifiutava di permettere queste cose e dobbiamo tornare a quel metodo. Consentendo e facendo apertamente ciò, l’impressione che è stata data è che adesso la Santa Sede approvi queste situazioni, quindi ci deve essere un chiarimento. Credo anche che si dovrebbe prestare attenzione ai termini e alle condizioni di nominare coloro i quali sono ufficialmente invitati ad andare in Vaticano o a parlare a conferenze o incontri della Santa Sede. Non capisco perché le persone che hanno apertamente sfidato la Chiesa e i suoi insegnamenti possano essere invitate in tali circostanze.

    Come Paul Elrich…
    – Esattamente, Paul Elrich… un esempio paradigmatico…

    Massoneria

    Sì, ma chi è stato responsabile di questo invito è stato il cardinale Ravasi, che ha scritto “Cari fratelli Massoni” su Il Sole 24 Ore…
    – Sì, non ho letto il testo, ma chi è responsabile deve rispondere.

    Non ha letto la lettera del cardinale Ravasi?
    – Non ho letto quella lettera, probabilmente dovrei ma ne ho sentito parlare.

    Fraternità San Pio X

    Il Papa ha confermato che da ora saranno riconosciuti i matrimoni celebrati dai sacerdoti della Fraternità San Pio X.
    – Non ho ancora letto, ma questa è una decisione molto significativa del Santo Padre e indica anche che in qualche modo ci deve essere una riconciliazione con la Fraternità San Pio X. In sostanza ciò che il Papa sta dicendo è che i sacerdoti di questa Fraternità, quando celebrano i matrimoni, esercitano la giurisdizione della Chiesa cattolica romana, quindi è molto interessante.

    Pensa che la prelatura personale possa essere una buona strada per la riconciliazione?
    – Sì, penso che potrebbe essere un modo molto efficace

    Sarebbe una buona notizia?
    – Sì. Io prego per questo e spero che accada. Ma la riconciliazione, naturalmente, deve essere basata su una comprensione comunque, di cui non possiamo fare a meno, perché altrimenti potrebbero esserci molti conflitti e difficoltà. Ci si deve assicurare che ci sia una comprensione comune per quanto riguarda tutti i dubbi che in passato la Fraternità San Pio X ha avuto nei confronti della Chiesa, della Santa Sede e del magistero della Chiesa Cattolica. E’ quindi una speranza per la famiglia della Chiesa.

    Islam e ideologia gender

    Il cardinale Sarah durante il Sinodo ha messo in guardia la Chiesa su due minacce: l’Islam e l’ideologia “gender”. Lei pensa che l’Islam possa convivere con l’Occidente?
    – Sono d’accordo con il cardinale Sarah. Queste sono le due principali minacce di oggi e ho anche una forte convinzione che uno dei principali modi per affrontarle sia attraverso l’educazione. Abbiamo bisogno che nelle nostre scuole e nelle università venga insegnata la verità. Entrambi hanno a che fare con la stessa natura umana. Tutta la questione sul “gender”, che è una creazione del tutto artificiale di una certa ideologia, e anche che sia insegnata la verità sull’Islam. La natura dell’Islam è quella di una forma di governo che si basa sulle proprie condizioni o su principi che cercano di governare il mondo. E anche Allah, è una figura nel Corano così come altri scritti islamici, completamente diverso dal Dio della fede giudaico-cristiana.

    Esortazioni alle famiglie cattoliche 
    Quali ragioni di speranza ha una famiglia cattolica nel mondo di oggi, segnato dalla cultura della morte e dove l’ideologia di genere è considerata come l’unica verità circa l’essere umano?
    – Naturalmente ci sono motivi di speranza, perché Cristo dà sempre grazia per le persone e per le famiglie. E questo può aiutare ed essere fonte di cambiamento per gli individui e le famiglie. Io sono in viaggio in molti paesi. In America e in tutto il mondo mi capita di incontrare i giovani e le giovani famiglie cattoliche, ma anche le meno giovani, tutti impegnati e questo mi fa ben sperare. Perché più siamo in grado di incoraggiarci a vicenda nell’essere fedeli in Gesù e più ci sarà possibilità di trasformare il mondo.

    Che consiglio vuole dare alle famiglie cattoliche che vogliono crescere i loro figli in libertà?
    – Il mio consiglio è quello di pregare, affinché si possa mettere al centro della vita familiare la preghiera e specialmente la Santa Eucaristia e la confessione. Bisogna poi prestare particolare attenzione nell’educare i figli con gli insegnamenti della Chiesa e i valori morali. In terzo luogo, lavorare e aiutarsi con le altre famiglie per incoraggiarsi a vicenda, così si trasforma la famiglia nella grande forza del mondo.


    [Modificato da Caterina63 12/04/2017 13:35]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 20/04/2017 09:38

    Ultima Cena, Duccio di Boninsegna
     

    La corretta pastorale di indicare dei traguardi e porre dei limiti non può essere tacciata di rigorismo: è semplicemente fedeltà verso Gesù Cristo e onestà verso l’uomo, evitando di offrirgli una salvezza che non è tale. È anche misericordia, avviando l'uomo con la dottrina e la carità verso la salvezza vera. I limiti della partecipazione per la Chiesa non si basano mai unicamente su norme morali o consuetudini culturali: mettono in gioco e nel profondo l’Eucaristia stessa.

    di Padre Riccardo Barile OP



    In preparazione del Convegno internazionale di sabato 22 aprile ("Fare chiarezza - A un anno dalla Amoris Laetitia"), pubblichiamo alcuni articoli che affrontano i punti nodali che sono alla base delle opposte interpretazioni che si danno dell'Amoris Laetitia e soprattutto del capitolo VIII (dedicato alle situazione irregolari). Oggi completiamo le riflessioni sull'Eucaristia (qui la prima puntata).

    Ultima cena Juan de Juanes

    La lavanda dei piedi da parte della Chiesa a tutti gli uomini per accedere all’Eucaristia avviene con il battesimo, con la predicazione della penitenza, con la proposizione della sana dottrina, ecc.: in pratica con una costante e corretta pastorale.

    Ma con materna severità anzitutto la Chiesa vieta - ha sempre vietato - di accedere all’Eucaristia in peccato grave o mortale. San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia ha scritto al riguardo: «Desidero ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ecc.» (n. 36). Sono parole pesanti che costringono la Chiesa di sempre a fare i conti con il Concilio di Trento su questo punto.

    Il Concilio di Trento parla più volte dell’Eucaristia in relazione al peccato e con una dottrina molto ricca.

    Anzitutto «la santità e la divinità di questo celeste sacramento» esigono di riceverlo con «una grande venerazione e santità» e i fedeli devono «accostarsi rivestiti dell’abito nuziale» (Decreto sul santissimo sacramento dell’Eucaristia dell’11.10.1551, capp. VII-VIII).

    Considerando l’Eucaristia come cibo, questa è «l’antidoto con cui essere liberati dalle colpe d’ogni giorno e preservati dai peccati mortali» (Ivi, cap. II). Le colpe di ogni giorno sono le imperfezioni e i peccati lievi, secondo una sentenza di sant’Agostino: «Si adatti alla condotta quella lode che non dimentichi la necessità del perdono (Sic vita laudetur, ut venia postuletur)» (Sermone 19,2).

    Considerando la condizione base per accedere all’Eucaristia, si esige un “esame di se stesso” (1Cor 11,28) perché «nessuno consapevole di essere in peccato mortale, per quanto possa ritenersi contrito, si accosti alla santa Eucaristia senza avere premesso la confessione sacramentale» (Ivi, cap. VII). Si condanna che la sola fede sia «preparazione sufficiente» (Ivi, can. 11). Ad oggi il CCC 1385 ribadisce la medesima dottrina.

    Considerando l’Eucaristia come sacrificio, in essa «è contenuto e immolato in modo cruento lo stesso Cristo» che si offrì sulla Croce. In questo senso la Messa è il “propiziatorio” dove possiamo trovare grazia (Eb 4,16) e attraverso il quale il Signore «concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe, anche le più gravi (crimina et peccata etiam ingentia dimittit)»(Dottrina e canoni su santissimo sacrificio della Messa del 17.9.1562, cap. II).

    Abbiamo sempre iniziato con un “Considerando...” perché le affermazioni vivono nel contesto né è legittimo trasferirle altrove. Così, se è vero che l’Eucaristia rimette tutti i peccati anche gravi, ciò è detto in quanto è relativa al sacrificio di Cristo, mentre se si trasferisce la stessa affermazione alle condizioni per accedervi, si azzera il sacramento della Penitenza e si ammettono tutti alla comunione “così come sono”, mentre al riguardo il Concilio di Trento richiede la purificazione dal peccato grave. E questo trasferimento di contesti oggi talvolta lo si fa, con quali conseguenze ognuno lo può immaginare.

    Per quali ragioni la Chiesa prescrive di non accostarsi all’Eucaristia in stato di peccato mortale non confessato?

    1. Perché all’Eucaristia si arriva dopo un cammino di conversione.

    Dopo l’annunzio del Vangelo, se la risposta è positiva, chi ascolta «si sente chiamato ad abbandonare il peccato» (Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti 10) e ad entrare poi nel catecumenato, un itinerario «che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costume» (Ivi, 18,2). Solo avvenuta questa conversione si sarà ammessi all’Eucaristia. Per cui nel tempo successivo «se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (Mt 18,17). Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione» (Amoris Laetitia 297) e a maggior ragione non può partecipare all’Eucaristia. Solo per ridere: a seguito di questo testo di Amoris Laetitia certi preti e certi vescovi potrebbero celebrare la Messa?

    Nell’antichità (sec. III) La Tradizione apostolica (Ippolito) ai capitoli 15-16 dà suggerimenti per accogliere o meno coloro che si presentano per essere fatti cristiani. I suggerimenti concernono l’esame delle condizioni di vita, dei mestieri più o meno leciti e delle situazioni matrimoniali in particolare: i mariti si accontentino delle mogli e viceversa, chi ha una concubina la sposi regolarmente altrimenti sia rimandato, siano rimandati prostitute e invertiti (meretrix vel homo luxuriosus). È chiaro che a questo punto non si pongono più problemi per l’Eucaristia, in quanto vengono risolti molto prima. È chiaro che è storicamente miope chiedere alla Chiesa di oggi di non mettere dei paletti a certi rapporti uomo/donna (e il resto!) in vista dell’Eucaristia: la Chiesa lo faceva già dal III secolo e forse prima in una società dove, come oggi, culturalmente “queste cose” non apparivano poi così gravi.

    2. Perché l’Eucaristia è l’incontro santo con il Dio santo.

    La già citata Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003) è il più recente documento completo sull’Eucaristia, in cui san Giovanni Paolo II ne elenca le caratteristiche tenuto conto delle acquisizioni del passato e del presente. L’Eucaristia, con la proclamazione della Parola e sotto forma di convito rituale, «è il sacrificio della Croce che si perpetua dei secoli» e «questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti» (11-12). Con il sacrificio della Croce, l’Eucaristia rende presente «anche il mistero della Risurrezione, in cui il sacrificio trova il suo coronamento» (14). Tutto ciò implica una «specialissima presenza» (15) vera, reale, sostanziale di Cristo, che «attraverso la comunione al suo corpo e al suo sangue, ci comunica anche il suo Spirito» (17). E non bisogna dimenticare che l’Eucaristia, come e più del Padre nostro, ci pone in comunione con il Padre per Cristo e nello Spirito. Veramente l’Eucaristia è il nostro roveto ardente in cui incontriamo il Dio tre volte Santo tra gli angeli e i santi (Es 3,1-6; Is 6,1-7). Come non sentire l’esigenza di purificazione non solo dalle colpe quotidiane, ma prima ancora dal peccato grave?

    3. Perché l’Eucaristia postula un retto rapporto tra ciò che essa è e ciò che noi siamo.

    Rivolgendosi ai fedeli - la maggioranza analfabeti - sant’Agostino spiegava: «Se voi siete il Corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero. A ciò che siete rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: “Il Corpo di Cristo” e tu rispondi: “Amen”. Sii membro del Corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen» (Sermones 272).

    San Tommaso d’Aquino tira le conseguenze implicite del discorso agostiniano: «Chiunque riceve questo sacramento, pone un atto che significa di essere unito a Cristo e alla sue membra (la Chiesa). Ma ciò avviene attraverso la fede viva, che nessuno possiede mentre è in peccato mortale. Dunque è chiaro che chiunque assume questo sacramento mentre è in peccato mortale, provoca una falsità nel sacramento stesso (falsitatem in hoc sacramento committit) e anche un sacrilegio» (III, q 80, a 4).

    Due frasi oggi correnti sembrano far saltare tutto in aria. La prima è citata molto spesso: «L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (EG 47, citato in AL 351). È vero: nessuno ha diritto all’Eucaristia come premio. Va però notato che il peccatore «intraprende il cammino della penitenza mosso dalla grazia di Dio misericordioso / mosso dallo Spirito Santo» (Rito della Penitenza 5-6) e dunque sotto l’influsso della misericordia di Dio che lo conduce all’Eucaristia: questa penitenza è il “rimedio” e “l’alimento per i deboli”, da accogliere consapevolmente. In questo senso va intesa la frase e non come un lasciapassare.

    La seconda frase è di sant’Ambrogio ed è riportata in nota nel passo citato di EG 47: «Devo riceverlo sempre (il pane eucaristico), perché sempre perdoni i miei peccati. Io, che sempre pecco, sempre devo avere la medicina» (De Sacramentis IV,6,28). A questa si potrebbe aggiungere: «Ogni volta che tu bevi (il sangue di Cristo) ricevi la remissione dei peccati e ti inebri dello Spirito» (Ivi, V,3,17). Queste affermazioni fanno saltare il Concilio di Trento e tutto il resto e aprono oggi l’Eucaristia a chiunque? Assolutamente parlando sì; se sono contestualizzate no. Sant’Ambrogio parla dell’Eucaristia in relazione al sacrificio di Cristo e non alle condizioni esatte per riceverla. Tant’è vero che raccomanda la recezione quotidiana del pane eucaristico, ma aggiunge immediatamente: «Vivi in modo tale da poterlo ricevere ogni giorno» (Ivi, V,4,25). E poi sant’Ambrogio sapeva benissimo che, a fronte di un adulterio, bisognava entrare in tempi prolungati di penitenza.

    Come sempre, san Tommaso d’Aquino offre una distinzione che permette di ben interpretare questa e altre frasi: mentre «il battesimo e la penitenza sono medicine purgative che vengono date per togliere la febbre del peccato» l’Eucaristia è «una medicina confortativa, che non si deve dare se non a quanti sono già stati liberati dal peccato» (III, q 80, a 4, ad 2um).

    Tirando le fila, l’opera di purificazione che la Chiesa deve compiere per avviare a una degna recezione dell’Eucaristia, compreso lo stabilire dei limiti precisi quanto al peccato grave, è abbastanza e in genere ostacolata per il venire meno del senso della santità dell’Eucaristia, della sua qualità di essere il “roveto ardente” che ci avvicina al Dio tre volte santo. Onestamente va precisato che tale venir meno non può addebitarsi all’Eucaristia stessa, ma alla pastorale che si pone in atto, a come si parla dell’Eucaristia, a come la si celebra ecc.

    A un livello più concreto, c’è il pericolo di una selezione indebita dei peccati gravi o mortali. No l’Eucaristia agli scafisti, ai mafiosi, ai profanatori ecologici, ai guerrafondai ecc., ma non solleviamo troppi problemi sui rapporti uomo/donna a oltre.

    Quest’ultimo “indebolimento” di gravità dipende senz’altro dalla troppa accoglienza del dato culturale odierno che ha tolto molta rilevanza morale al problema. Per contro la Tradizione apostolica testimonia che nell’antichità la Chiesa sapeva andare controcorrente bloccando l’itinerario battesimale/eucaristico a quanti non avevano in animo di risolvere situazioni che pure il comune modo di vivere non riteneva troppo gravi.

    La corretta pastorale di indicare dei traguardi e porre dei limiti non può essere tacciata di rigorismo: è semplicemente fedeltà verso Gesù Cristo e onestà verso l’uomo, evitando di offrirgli una salvezza che non è tale. Verso l’uomo è anche misericordia, avviandolo con la dottrina e la carità verso la salvezza vera.

    Infine il lavoro di purificazione positiva per avviare all’Eucaristia e l’indicare i limiti della partecipazione, per la Chiesa non si basano mai unicamente su norme morali o consuetudini culturali: mettono in gioco e nel profondo l’Eucaristia stessa. Sì, perché, come annota san Tommaso d’Aquino, «In questo sacramento è contenuto tutto il mistero della nostra salvezza» (III, q 83, a 4) e di conseguenza «l’Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: “Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare” (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses 4,18,5)» (CCC 1327).




     

    Rahner è stato di fatto presente al Sinodo sulla famiglia.
    E' la tesi sostenuta dall'ultimo libro di Stefano Fontana La Nuova Chiesa di Rahner. Un'analisi dei semi del pensiero di Rahner nel dibattito sinodale. Che intaccano profondamente Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II. Il punto principale della presenza della "teologia" rahneriana riguarda l’accesso alla comunione dei divorziati risposati. 

    di Stefano Fontana

    I temi che verranno affrontati nel corso del Convegno internazionale organizzato da La Nuova BQ e Il Timone in programma domani hanno la loro origine nel Sinodo sulla famiglia del 2015. Per questo motivo pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un capitolo del libro scritto da Stefano Fontana in uscita in questi giorni La Nuova Chiesa di Karl Rahner edito da Fede e cultura.

    Durante il lungo periodo sinodale sulla famiglia caratterizzato dal Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e da quello ordinario dell’ottobre 2015 si sono potuti verificare molti elementi derivati da una impostazione rahneriana delle cose. Rahner, in altre parole, ancorché morto nel 1984, è stato presente al Sinodo. Si potrebbe anche dire che le notevoli contrapposizioni che sono emerse durante i due Sinodi derivano dallo scontro tra l’area della teologia rahneriana e la controparte.

    Elementi fortemente rahneriani erano già emersi nella lezione introduttiva al Sinodo tenuta davanti ai Cardinali da parte del cardinale Walter Kasper nel febbraio 2014. Pensiamo per esempio all’idea che non si possa mai conoscere una situazione oggettiva e pubblica di peccato, quale è appunto quella dei divorziati risposati. La tesi espressa da Kasper era che non esistono i divorziati risposati, ma questo, quello, quell’altro divorziato risposato. La realtà, quindi, non mostra strutture portanti e universali, ma solo situazioni uniche individuali. Questo modo di vedere è di origine nominalistica dato che proprio questo diceva Guglielmo di Occham nel XIV secolo e divenne anche il modo di vedere di Lutero e della filosofia protestante in genere, in quanto è il modo migliore per separare la ragione dalla fede.

    Se non esistono nella realtà strutture universali che la ragione possa conoscere con le proprie forze, essa non potrà salire naturalmente dalle cose a Dio, né la rivelazione potrà servirsi del linguaggio della ragione per farsi capire da tutti. La ragione sarà nominalista, ossia potrà fare esperienza di singole cose alle quali, per somiglianza tra loro, potrà poi anche assegnare un nome comune, ma solo un nome che non si riferisce a nessuna realtà oltre le singole cose. La fede sarà fideista. Dio è onnipotente, è il totalmente Altro, è volontà e non verità.
    La Veritatis splendor di Giovanni Paolo II dice l’opposto di quanto affermato da Kasper, ma quella enciclica aveva alle spalle una diversa filosofia. Anche per Rahner ci sono solo casi particolari da affrontare uno per uno, perché la realtà del mondo è complessa, non c’è una dottrina che vi si possa applicare e non si può conoscere mai se si è o meno davanti ad una situazione di peccato. Davanti ad una coppia di divorziati risposati la Chiesa deva comprendere, accogliere ed accompagnare con un percorso da farsi caso per caso e adoperando il non ben precisato discernimento. Quanto appunto ha proposto il cardinale Kasper.

    Durante la discussione sinodale molti vescovi dissero che anche in una relazione omosessuale è presente la grazia di Cristo. Prima, durante e dopo il Sinodo molti vescovi e cardinali si sono detti favorevoli ad affidare compiti ecclesiali agli omosessuali pur se perseveranti nella loro relazione, e ad appoggiare il riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali da parte dell’autorità politica. E’ evidente che queste prese di posizione comportano l’abolizione del diritto naturale e della legge morale naturale e non tengono conto della necessità di rispettare la natura e le sue leggi se si vuole piacere alla soprannatura e alla grazia. Dire che la grazia è presente anche in una relazione omosessuale significa dire, con Karl Rahner, che la grazia è data sempre a tutti perché essa viene data al mondo, ove non esistono situazioni al di fuori della grazia di Dio.

    A ben vedere, anche l’invito alla parresia fatto ai Padri sinodali presenta una accentuazione rahneriana. Essa significa l’accettazione del pluralismo dentro la Chiesa nel senso della moderna libertà di espressione. Questa concezione della libertà di espressione è però diversa dalla libertà in senso cattolico. La parresia consiste nel coraggio di annunciare la verità, senza timori umani o reverenziali o senza la preoccupazione di salvare il salvabile. Non può significare la libertà di esprimere, in un consesso ecclesiale tanto importante come un Sinodo, idee scandalose per i fedeli o sconcertanti o che insinuano dubbi su fondamentali verità di fede professata. Il mondo è senz’altro pluralista, ma la Chiesa non può esserlo. Ma se la Chiesa fa parte del mondo anche essa sarà pluralista come Rahner continuamente afferma.

    Però il punto principale della presenza della teologia rahneriana al recente Sinodo sulla famiglia riguarda l’accesso alla comunione dei divorziati risposati, ossia di persone in stato di peccato pubblico e oggettivo. Se il peccato è visto come la morte ontologica (vale a dire del suo stesso essere) dell’anima, allora non si può pensare che sia possibile ricevere la comunione se prima l’anima non rinasce tramite il sacramento della confessione. Se però si vede la cosa non in senso ontologico ma esistenziale, tutto è reversibile nell’esistenza e quindi è possibile prevedere percorsi esistenziali per cui qualcuno possa accostarsi alla comunione pur rimanendo nella situazione oggettiva di peccato. Qui non c’è più la netta distinzione tra vita e morte, tra bene e male, tra grazia e peccato, tra dogma ed eresia, ma c’è una situazione esistenziale oggetto del nostro discernimento personale ed ecclesiale. Nell’esistenza tutto è convertibile, niente è irrevocabile. Tenuto anche conto di quanto si è già detto, ossia della impossibilità per Rahner di conoscere sia le situazioni oggettive e pubbliche di peccato sia quelle personali. Per lui ci sono le leggi di Dio, ma Dio – egli dice - non è il Dio delle leggi.

    Non possiamo poi dimenticare che dal Sinodo sulla famiglia non è emersa nessuna indicazione sulla castità né alcuna indicazione se l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio sia peccato. Giovanni Paolo II è stato ampiamente citato ma non lo è stato su due punti in particolare: il divieto di accedere all’eucarestia per i divorziati risposati e l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio, punto ove si decide di accettare o di respingere l’eredità della Humanae Vitae di Paolo VI. Karl Rahner è tra i principali critici di quella enciclica di Paolo VI, anche se certamente non il solo, e per questo si capisce che al Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015 questa pluridecennale opposizione alla morale sessuale dell’enciclica di Paolo VI ha trovato un punto di condensazione importante. Secondo Rahner la Chiesa non deve “moralizzare”, ossia non deve dare precetti, norme, principi, regole, ma deve formare le coscienze. Che essa debba formare le coscienze è certamente vero, ma i precetti di Dio sono soavi e il suo giogo è leggero, ossia le leggi di Dio esprimono il bene dell’uomo e non si contrappongono alla coscienza. I precetti di Dio non sono astratti sicché la coscienza dovrebbe mediarli verso il concreto. Il precetto e la coscienza si corrispondono. La teologia morale di Rahner è diversa da quella della Vertitatis splendor di Giovanni Paolo II e nel Sinodo sulla famiglia è emersa con evidenza.






    [Modificato da Caterina63 21/04/2017 09:46]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 22/04/2017 10:26



    Nella vigna. Per il Signore 

    scritto da 

    Se ci pensiamo, c’è qualcosa di paradossale e, nello stesso tempo, di altamente significativo nell’incontro internazionale che sta per aprirsi a Roma sulle perplessità e i disagi nati in numerosi fedeli cattolici a causa di alcuni contenuti di «Amoris laetitia».

    L’aspetto paradossale sta nel fatto che i partecipanti, tutti laici, si riuniscono perché vedono nel documento dei vescovi elementi di confusione sotto il profilo sia dottrinale sia pastorale e chiedono che si faccia chiarezza. Abbiamo dunque laici che chiamano in causa i pastori e li mettono in guardia su questioni non secondarie, ma centralissime, per la vita di fede, quali il significato dell’eucaristia, la cogenza della norma generale rispetto al caso particolare, il rapporto tra verità e giustizia, la capacità di distinguere tra bene e male in senso non soggettivo ma oggettivo.

    Per dirla con un’immagine forzata ma forse efficace, è come se i passeggeri di un aereo si riunissero per mettere in guardia i piloti circa alcuni problemi fondamentali riguardanti la guida dell’aereo stesso. Il parallelo, lo so, è alquanto grossolano, perché la Chiesa, a differenza di un aereo, non è un posto nel quale si decide di entrare e uscire a piacimento, a seconda delle necessità, e dove il passeggero è semplicemente trasportato. La Chiesa è una comunità di fede, nella quale tutti, «piloti» e «passeggeri», condividono, sia pure a diverso titolo, la responsabilità del «volo». Tuttavia occorre ammettere che ben di rado si vedono laici cattolici riuniti da soli, senza la guida di un cardinale, un vescovo, un monsignore o almeno un semplice prete, per discutere di questioni che riguardano in prima istanza i contenuti fondamentali della fede. E ancora più raro è vedere laici che decidono di uscire allo scoperto per rivolgersi ai pastori con un ammonimento che suona così: «Scusate tanto, ma guardate che secondo noi in ciò che avete prodotto c’è qualcosa che non funziona e che può diventare pericoloso non solo e non tanto in senso astratto, ma proprio per la salvezza delle anime».

    Che la situazione abbia un che di paradossale lo si deduce anche dalla lettura della «Christifideles laici», l’esortazione apostolica post-sinodale che nel 1988 il papa Giovanni Paolo II dedicò alla vocazione e alla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. In quel testo, prendendo spunto dal Concilio Vaticano II, il papa sottolinea con grande decisione che gli operai nella vigna del Signore sono tanti e di diverso tipo, che ognuno ha un ruolo proprio e che quello del laico non è soltanto di supplenza nei confronti del consacrato ma ha un profilo preciso, che ne fa un testimone e un apostolo attivo nel mondo. Tuttavia, leggendo il testo con il pensiero rivolto a quanto sta per accadere a Roma con l’incontro dei laici riuniti sui dubbi sollevati da «Amoris laetitia», ci si accorge che l’ipotesi di laici autoconvocati per tirare la tonaca ai vescovi e per dire loro che si sono messi su una strada pericolosa, non è presa in considerazione. Si parla sì di collaborazione pur in presenza di ruoli diversi e si sottolinea la dignità del ruolo del laico, ma l’idea sottesa al documento è che il laico vada per il mondo portando con fiducia il messaggio elaborato dai pastori. Tanto è vero che in tutto il testo l’eventualità che siano i laici a istruire o quanto meno a richiamare i pastori su questioni di fede è accennata in una sola riga, con queste poche parole: «A loro volta, gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale».

    Ecco perché in quanto sta per avvenire a Roma c’è qualcosa di paradossale. Ma proprio i fattori che rendono l’appuntamento un po’ paradossale sono anche quelli che lo rendono importante. In un momento in cui spesso, anche all’interno della Chiesa, si fa un uso quanto meno superficiale della parola «popolo», ecco che una bella fetta del popolo di Dio prende l’iniziativa e, con tutto il rispetto dovuto ai pastori e con tanto amore per la Chiesa, segnala che su alcune questioni nodali occorre fare chiarezza e che se non lo si farà si andrà incontro a conseguenze pesanti.

    A questo proposito, nella «Christifideles laici» Giovanni Paolo II fa riferimento ad alcune espressioni molto pertinenti dell’esortazione «Evangelii nuntiandi» di Paolo VI: «La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri. Strati dell’umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo (…). La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture».

    Sappiamo che queste parole di Paolo VI troppo spesso sono state usate per favorire un compromesso al ribasso tra Vangelo e cultura. Eppure sono chiare: si parla della necessità di convertire la coscienza personale, di sconvolgere i criterio di giudizio con la forza del Vangelo.

    Occorre dire che non siamo abituati a questo linguaggio. Oggi parliamo più volentieri di accoglienza, accompagnamento, discernimento. E va bene. Ma non rischiamo forse di dimenticare che la Verità evangelica irrompe nel mondo per trasformarlo radicalmente e che l’apostolo, consacrato o laico che sia, è al servizio non del mondo e dei suoi dogmi ma di questa forza trasformatrice?

    Torno sull’idea di popolo e lo faccio di nuovo con Giovanni Paolo II:  «Operai della vigna sono tutti i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione della Chiesa e della partecipazione alla sua missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell’unica e comune vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari» («Christifideles laici», n. 55).

    Per la Chiesa il popolo è questo: comunità di operai impegnati nella vigna del Signore. Quindi al servizio del Signore, non del mondo.

    «A un anno dall’”Amoris laetitia”. Fare chiarezza». L’incontro di Roma si intitola così. Non c’è scritto «contro il papa». Quelli che si riuniscono sono fedeli che, con piena consapevolezza del proprio ruolo e avendo assimilato la lezione del Concilio, si assumono le loro responsabilità di laici, cioè di gente «del popolo», come dice l’etimologia di «laikos». Se e quando, durante i lavori, il pensiero andrà al papa, ci andrà sempre, ne sono più che convinto, per esprimergli amore filiale e tutta la specialissima devozione che ogni figlio della Chiesa nutre per il successore di Pietro.

    Aldo Maria Valli

     Il cardinal Walter Kasper
     

    Era tutto già scritto. Alcune interpretazioni del capitolo VIII di Amoris laetitia riprendono vecchie teorie. Lo dimostra un libro scritto della San Paolo nel 2005 dai cardinali Kasper e Martini. In punta di penna si sono battute linee precise su liturgia, ecumenismo, morale. Tra le pieghe del libro un imperativo che rischia di affermarsi ora: «La Chiesa non ha nessuna competenza dottrinale per un giudizio definitivo sulle situazioni concrete». 

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    di Lorenzo Bertocchi

    «Era tutto già scritto», dice il teologo che da anni insegna in importanti atenei, «in fondo Amoris laetitia riprende vecchie teorie che fin dagli anni settanta hanno i loro sponsor tra teologi e pastori». Nel frattempo porge un libro da sfogliare. Il titolo è importante: Fedeltà e rinnovamento. Il Concilio Vaticano II 40 anni dopo, a cura di monsignor Bruno Forte e un parterre de rois imponente di co-autori. Lo edita San Paolo nel 2005, poco dopo l’elezione di Joseph Ratzinger a pontefice.

    Ci sono i defunti cardinali Loris Capovilla, già segretario di san Giovanni XXIII, e Carlo Maria Martini, “Ante-papa” per sua definizione; l’ex cerimoniere liturgico di Giovanni Paolo II, monsignor Piero Marini; infine, il cardinale Walter Kasper, allora presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Un gruppo significativo di pastori e teologi che, senza troppa fantasia, si potrebbe definire come una dependance di quel “Gruppo di San Gallo”, composto da eminentissimi cardinali del centro nord europa, che si ritrovava nella cittadina svizzera a meditare e fare squadra rispetto alla riforma della Chiesa. E’ un segreto di Pulcinella rivelare che i cardinali Walter Kasper, Karl Lehmann, Achille Silvestrini, Basil Hume, Cormac Murphy-O'Connor, Godfried Danneels e Carlo Maria Martini si ritrovassero a San Gallo, e non è un segreto neppure dire che non avessero particolare sintonia con il papa polacco e il suo prefetto dell’ex Sant’Ufficio.

    La svolta nella dottrina morale della Chiesa, intesa anche nella sua applicazione pastorale, da realizzarsi sulle ali di un certo “spirito del Concilio” si manifestò con particolare evidenza dopo l’enciclica del beato Paolo VI, Humanae vitae (1968), che ribadiva l’insegnamento tradizionale sulla contraccezione e sull’amore umano. Il pontificato di Giovanni Paolo II, e poi quello di Bendetto XVI, agli occhi di molti rappresentavano un freno alle istanze di una “nuova” Chiesa. C’è stato chi non si è dato per vinto e ha occupato con imponenza la parte “culturale” della chiesa. Libri, cattedre, riviste, seminari, salotti, venivano ben presidiati da chi voleva andare anche oltre la lettera del concilio. In punta di penna, in modo raffinato, si sono battute linee precise sulla liturgia, l’ecumenismo, la morale, indipendentemente dal fatto che da Paolo VI in poi i papi si premurassero di avvertire che non si doveva fare a pezzi tutto ciò che era prima.

    Sfogliando il libro pubblicato nel 2005 ci si rende facilmente conto di quale passione animasse chi voleva andare comunque oltre. Il cardinale Kasper in quel libro riflette sulla costituzione pastorale Gaudium et spes che il Concilio dedicò, non senza travaglio, ad un rinnovato rapporto tra Chiesa e mondo moderno. E’ tutto nuovo, scrive il cardinale tedesco, ciò che promana da quel testo, non solo nuovi temi (scienza, cultura, famiglia, matrimonio, pace, guerra), ma soprattutto «nuovo è il modo in cui il documento li affronta: un atteggiamento dialogico».

    La Chiesa, spiega Kasper, «non offre più con toni apocalittici che tutto nel mondo è male, quasi opera del maligno; piuttosto sa riconoscere anche ciò che esiste di positivo». Questa attenzione si rivolge alle situazioni della «vita vissuta concreta» e comporta proprio l’essenza della pastoralità intesa come il calare della dottrina nelle situazioni. «La Chiesa», scandisce il cardinale, «non ha nessuna competenza dottrinale che le permette di formulare un giudizio definitivo sulle situazioni concrete». La sua attenzione quindi si rivolge al tema della coscienza, ravvisando, a suo giudizio, che il Concilio aveva lasciato aperte le porte per una ulteriore riflessione sulle situazioni di «oscuramento e accecamento» oltre la condizione di “invincibile ignoranza”.

    Nonostante l’enciclica Veritatis splendor (1993), che ribadiva molto chiaramente l’esistenza dei cosiddetti “assoluti morali”, secondo Kasper, «rimangono tuttavia dei punti da chiarire e approfondire» sul tema della coscienza e della legge morale naturale. A questo punto l’esempio che viene proposto dal cardinale nel libro del 2005 è rivelatore, e spiega perché si può dire: «era tutto già scritto».

    Qual è l’ambito su cui occorre portare avanti le linee che Kasper intravede in Gaudium et spes? Nel «rapporto tra ordine oggettivo e ordine soggettivo, tra norma oggettiva e situazione concreta e soprattutto cosa significhi concretamente questa legge naturale in una situazione di enormi mutamenti culturali e sociali». A questo punto basta rileggere la relazione Kasper al concistoro 2014, quello che ha dato avvio alla riflessione del doppio sinodo sulla famiglia, oppure le interpretazioni del capitolo VIII di Amoris laetitia fornite, ad esempio, dal cardinale Francesco Coccopalmerio o dal professor Rocco Buttiglione, per rendersi conto del fatto che “era tutto già scritto”.

    L’articolazione tra ordine oggettivo e responsabilità soggettiva è al cuore delle aperture per l’accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati anche conviventi more uxorio. Ossia un caso che appare rientrare a tutti gli effetti nell’adulterio, e quindi tra quegli intrinsece mala da non commettere mai come indica appunto l’enciclica Veritatis splendor.

    Nel 2005, anno di pubblicazione del libro collettaneo curato dal teologo Forte, erano passati dodici anni dalla pubblicazione di quell’enciclica su “alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”, e viene spontaneo domandarsi quale docile accoglienza avesse veramente ricevuto da parte dei pastori. Non solo. Nell’anno 1993, cioè lo stesso anno di Veritatis splendor, tre vescovi tedeschi, lo stesso Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier, pubblicarono una lettera pastorale che apriva all’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati. Lettera che trovò risposta ferma nel 1994 con un documento della Congregazione della Dottrina della fede, a firma Joseph Ratzinger, che ribadiva espressamente l’insegnamento e la prassi già prevista dalla Chiesa con l’esortazione Familiaris consortio n°84.

    Eppure dodici anni dopo Veritatis splendor, e undici dopo la lettera della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Kasper scriveva che il Concilio era solo «l’inizio di un cammino, ma non ne rappresenta già la fine». E così arriviamo ai giorni nostri, dove alcuni interpretano Amoris laetitia dicendo che, in certi casi, anche due divorziati risposati conviventi more uxorio possono accedere all’Eucaristia. Ma se esistono assoluti morali la cui trasgressione non può mai permettere di raggiungere il bene, come è possibile che gli atti coniugali di un uomo e una donna che sposi non sono, possa in qualche modo rappresentare un eccezione all’adulterio?

    I quattro cardinali che hanno posto i “Dubia” al Papa sull’interpretazione di Amoris laetitia, al quinto dubbio si pongono, in effetti, questa domanda: «Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?»

    La domanda è di assoluto interesse. Anche perché se in Amoris laetitia c’è un nuovo paradigma morale per l’articolazione tra ordine oggettivo e ordine soggettivo che comporta eccezioni all’adulterio, un domani su cosa si eserciterà la prossima eccezione?


    [Modificato da Caterina63 22/04/2017 10:31]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 26/04/2017 09:48


      CHIESA - QUEI CONTI CHE NON TORNANO

     




    Il documento preparatorio al prossimo Sinodo considera soltanto i giovani "lontani" per i quali la Chiesa deve cambiare linguaggio e modo di presentarsi. 
    Totalmente assenti invece quelli che col linguaggio della Chiesa non hanno problemi, magari amano la messa in latino e la tradizione. L'intento è chiaro: questi giovani non devono esistere.

    di padre Riccardo Barile OP

    Giovani e pregheira

    Si sta avviando la macchina del prossimo Sinodo sui giovani previsto nell’ottobre 2018 con il Documento preparatorio “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, presentato da una breve lettera di Papa Francesco in data 13 gennaio 2017 e concluso da un questionario in vista della successiva redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris.

    I commenti e gli approfondimenti - non molti, perché il dibattito è ancora monopolizzato dal Sinodo trascorso e dall’Amoris Laetitia - si portano, come è normale, su quanto il documento dice, cioè su quello che c’è. E da questo punto di vista nulla da eccepire. Pur non tracciando «un’analisi completa della società e del mondo giovanile», si evidenziano delle difficoltà, ma soprattutto la positività dei giovani «che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita ... alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere».

    Così come è valido e costruente il discorso che si snoda a partire da “Fede e vocazione” da far maturare attraverso “Il dono del discernimento” (riconoscere, interpretare, scegliere) e nel contesto della missione e dell’accompagnamento spirituale (l’ultima espressione è una moderna furbizia per evitare la “direzione spirituale”).

    Ma se si passa a quanto il documento non dice, cioè a quello che non c’è, qui casca l’asino. Quale è infatti l’immagine di giovane che il documento ha presente e in funzione del quale si auspicano attenzioni e risposte dalla Chiesa? A parte i «giovani poveri, emarginati ed esclusi» verso i quali «ciascuna comunità è chiamata ad avere attenzione», i giovani sono quelli che parlano un’altra lingua: «Ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani si apre uno spazio difficile da colmare». E non si tratta solo di linguaggio: i giovani nutrono spesso «sfiducia (...) verso le istituzioni», compresa «la Chiesa nel suo aspetto istituzionale», che i giovani vorrebbero «più vicina alla gente». Ne segue che per la Chiesa «accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» (e non si tratta solo di orari!). Anzi, visto che i giovani sono questi, la stessa pastorale vocazionale è invitata ad «uscire (...) da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico».

    Frase più, frase meno, tutto è girato e rigirato in queste categorie.

    Ora, è vero che ci sono questi giovani
     e che in assoluto sono anche la schiacciante maggioranza, ma tra i giovani - quei pochi - che si rivolgono alla Chiesa sembrano essercene di molto, molto diversi. Sono giovani che non hanno difficoltà verso il linguaggio della Chiesa, anzi desiderano apprenderlo e vi trovano sicurezza; frequentano la Messa e alla comunione cercano di ricevere l’ostia in bocca e qualcuno, se glielo permettono, si inginocchia; dicono il Rosario e altri la coroncina della Divina Misericordia; se hanno rapporti prematrimoniali o anche solo se hanno praticato una masturbazione, vengono a confessarsi, ritenendo di non potersi accostare all’Eucaristia. 


    Se sono seminaristi sono attenti a presentarsi con un segno di riconoscimento che va dalla talare a un altro segno meno vistoso ma percepibile; non si scompongono se si cita loro il Denzinger o un discorso di Pio XII; non praticano la liturgia preconciliare ma prendono volentieri parte a una Messa in latino; hanno ripreso ad apprezzare l’adorazione eucaristica; non sono entusiasti di andare a sentire alcuni “mostri sacri” teologici e monastici del postconcilio invitati a parlare loro, ma ci vanno restando come in apnea (al riguardo ho in mente due nomi di mostri sacri e due eventi di questo tipo, ma mi autocensuro dal citarli con esattezza... devo pur vivere!).

    E questi sono quelli “normali”. Ci sono poi i fans della Messa preconciliare, ci sono poi i lefevriani come frangia estrema. E chi vuole vada a cercarsi e si guardi il filmato “Sacerdoti per il terzo millennio” realizzato da un seminario lefevriano tedesco e doppiato in italiano quasi senza gregoriano di sottofondo e senza stucchevoli “voci da prete”: ci si sente allargare il cuore alla vista di tanta abbondanza e tanta gioiosa serietà, scelte rituali a parte sulle quali non mi fermo per non allungare.

    Dunque a fronte di questi giovani non è il caso di inventare linguaggi nuovi, uscire dagli schemi, abbattere rigidità - ma ci sono veramente? - ecc.

    E invece quale è l’opzione del nostro Documento? Il silenzio: questi giovani non ci sono. Ma siccome il fenomeno ha una sua diffusione e preoccupa con diversa intensità alcuni vescovi, rettori di seminari, superiori e formatori religiosi ecc., non si può pensare che si tratti di una dimenticanza dell’estensore. Per cui la vera scelta verso costoro non è: «Silenzio: non esistono»; ma: «Silenzio: Non devono esistere».

    Il che pone un sinistro sospetto su quelle tante aperture all’ascolto e all’accoglienza della voce dello Spirito che risuona nei giovani: sì, purché la voce dello Spirito e financo le critiche e le contestazioni vadano in una precisa direzione... nella quale è possibile anche “hacer lio / fare casino”; in direzioni più tradizionali, no.

    E non ci si limita al silenzio, ma spesso, di fronte ad una vocazione del genere, si lascia trasparire una sofferenza interiore tipo: “Aspettavamo una vocazione di centro sinistra o comunque progressista... invece sei arrivato tu... un animale così strano di fronte al giovane dei documenti... anche se, è vero, sei (iper)connesso... comunque sii il benvenuto... c’est la vie!”. Tralascio per ora che cosa succede o può succedere dopo, per non girare il ferro nella piaga.

    Il discorso ha però una sua serietà con alcune piste di considerazioni che mi limito ad enunciare senza svilupparle:

    - questi giovani per lo più non rifiutano il Vaticano II ma l’applicazione concreta che ne è venuta dopo e spesso non tanto a livello di documenti, ma di prassi;

    - a differenza dei giovani del postconcilio cresciuti in un clima un poco più clericale ed ecclesiastico del dovuto e quindi ansiosi di declericalizzare e secolarizzare, questi giovani sono cresciuti in una società secolarizzata e cercano una esperienza cristiana forte;

    - cercare sicurezze è un atteggiamento sano e non da immaturi;

    - le conseguenze del peccato originale toccano tutti, dal Pontefice Romano in giù, per cui bisogna stare attenti a non attribuire tutti i difetti di questi giovani alla loro scelta di Chiesa, ma alla normale debolezza umana;

    - e poi i frutti: chi li accoglie accettando veramente le loro istanze in quello che hanno di azione dello Spirito - chiaro che deve viverle lui per primo - potrà certo raddrizzare dei difetti, ma soprattutto sperimenterà la fecondità e la bellezza della vita cristiana tradizionale, che è moderna;

    - chi li rifiuta dicendo (assicuro che la frase è stata detta) “Piuttosto di avere vocazioni così è meglio non averne”, rischia di essere esaudito dal Signore, ma a suo danno.

    Minima e ulteriore conferma: in data 8 dicembre 2016 è uscita la nuova “Ratio fundamentalis” per la formazione dei seminaristi sino al sacerdozio e oltre con la formazione permanente. È un documento molto ben strutturato e si dicono cose sagge sul Catechismo della Chiesa cattolica, sulla filosofia, sul giusto uso dei media, sulla serietà degli studi, sulla preghiera ecc.

    Quando però si fanno delle critiche o si mette in guardia contro qualcosa, si mette in guardia contro il clericalismo, i princìpi astratti, la sicurezza dottrinale e spirituale, le certezze precostituite, la cura ostentata dalla liturgia ecc. (cf nn. 33, 41-42; 120). Mai una volta la messa in guardia dal pericolo di deviare dalla sana e buona dottrina scegliendosi maestri a piacere. No, quelle erano preoccupazioni di san Paolo (1Tm 1,10; 4,6; Tt 1,9; 2,1.7; 2Tm 4,3) e di certi giovani di oggi, “gente a cui si fa notte innanzi sera” (Petrarca, Trionfo della Morte I,39). Oggi sulla dottrina e sulla buona liturgia possiamo rimanere tranquilli e non è il caso di segnalare pericoli e fomentare tendenze pericolose tra i seminaristi.

    Ma non sarà invece che si scrivono queste cose e se ne tacciono altre solo perché “è di moda”? Una canzoncina del 1800 che si usava nelle missioni popolari per correggere i costumi ad un certo punto faceva: «E mode non più; / chi segue le mode / non segue Gesù». Nessun dubbio che allora riguardasse gli abiti femminili: che oggi per caso non riguardi anche i Documenti?







     

    Lo ammettono. E' l'enciclica di san Giovanni Paolo II il vero "nemico" e la grande imputata colpevole di aver bloccato la teologia morale. Lo sostiene un fuoco incrociato di teologi à la page con in testa Andrea Grillo. "Veritatis splendor "sbaglia sugli assoluti morali e il rifiuto di un'etica della situazione e perchè è un pronunciamento magisteriale sulla materia morale, che si vuole sganciata dalla Rivelazione. Amoris Laetitia interverrebbe per sanare la frattura". Ma le cose non stanno così perchè contraddirla significa intaccare l'unità della Chiesa. 

    di Lorenzo Bertocchi

    Dopo il convegno “A un anno da Amoris laetitia. Fare chiarezza”, organizzato a Roma da La Nuova Bussola Quotidiana e dal mensile di apologetica Il Timone, c'è un fatto nuovo e interessante che si inserisce nel dibattito posto dai dubia che quattro cardinali hanno rivolto al pontefice sulle parti ritenute ambigue dell'esortazione apostolica. Un fatto e una domanda. Che meritano di essere conosciuti.

    L'ANTEFATTO

    Nel settembre 2014 il vescovo di Anversa, Johan Bonny, scrisse una lunga lettera indirizzata ai padri che stavano per riunirsi a Roma in vista del primo round del doppio sinodo sulla famiglia, l'assemblea straordinaria, a cui seguirà poi quella ordinaria del 2015. Il nocciolo di quella lunga missiva era contenuto in poche righe. Queste: «Dopo l'Humanae Vitae e la Familiaris Consortio, la dottrina della Chiesa Cattolica si è trovata legata quasi esclusivamente ad una determinata scuola di teologia morale, costruita su una propria interpretazione della legge naturale».

    Occorreva, secondo Bonny, riaprire la porta a quella teologia morale capace di riconoscere «ciò che è umanamente possibile quando ci si trova in circostanze fragili e complesse». Una porta che, sempre secondo Bonny, era stata “marginalizzata” non da un magistero, come ad esempio quello dell'enciclica Veritatis splendor, ma, sostiene il presule, da “uno sviluppo politico ecclesiale”.

    IL FATTO

    Ma qual è il fatto nuovo che sembra emergere sempre più chiaro nel dibattito sull'Amoris laetitia? Lo scrivono nero su bianco i due curatori di un autorevole volume, Amoris laetitia: un punto di svolta per la teologia morale? (edizioni San Paolo), che nella domanda del titolo contiene già un indizio di questo nuovo elemento.

    Il fatto è che l'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor sarebbe la grande imputata per aver bloccato la teologia morale cattolica (e quindi tutta una serie di questioni legate alla sessualità, alla contraccezione, etc.), dietro a una visione ritenuta unilaterale. Il problema, secondo Stephan Goertz e Antonio Autiero, i curatori del libro presentato giovedì scorso alla Gregoriana, è dato dall'idea «complessiva che con Familiaris consortio e Veritatis splendor sia stata codificata una dottrina completamente inattaccabile dal punto di vista della teologia morale, una dottrina che si basa solidamente sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, una dottrina non più bisognosa di ulteriori sviluppi, ha portato a dei blocchi di pensiero e di azione nella chiesa cattolica. Con Amoris laetitia, papa Francesco si propone di offrire uno spunto a continuare nella ricerca, anche in questo campo».

    Sulla stessa lunghezza d'onda il professore Andrea Grillo, insegnante al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, che ha parlato di “massimalismo morale” nel caso di Veritatis splendor. Anzi, secondo Grillo la rottura con la tradizione l'avrebbe operata proprio l'enciclica di Giovanni Paolo II e ora Amoris laetitia, semplicemente, avrebbe rimesso le cose al loro posto. «La discontinuità», ha scritto sul suo blog Come se non, «era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor – i quali avevano introdotto un “massimalismo morale” del tutto inedito fino ad allora, con una grande forzatura nella lettura delle fonti tradizionali, e rispetto a cui Amoris Laetitia opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”».

    Che il problema fosse proprio Veritatis splendor, con i suoi chiari riferimenti agli assoluti morali, al rifiuto di una coscienza creativa e di un'etica della situazione, lo ha ribadito anche il redentorista Marcelo Vidal all'Università di Salamanca, durante un recente incontro introdotto dal cardinale di Madrid Carlos Osoro. «Amoris laetitia», avrebbe detto Vidal, come riporta Infocatolica, «è contro Veritatis splendor, vale a dire un testo che abbiamo voluto come risarcimento di quella [enciclica] che ha fermato il rinnovamento della Teologia morale del Vaticano II».

    Parole che sanno tanto di rivincita in bocca a Vidal, visto che il redentorista fu “ripreso” dalla congregazione per la Dottrina della fede nel 2001 (vedi QUI), proprio in riferimento a tre suoi libri sull'insegnamento della teologia morale. La “Notificazione” firmata dal prefetto cardinale Ratzinger indicava, tra l'altro, che «consequenziale al modello morale assunto [nei libri di Vidal, nda] è l’attribuzione di un ruolo insufficiente alla Tradizione e al Magistero morale della Chiesa, che vengono filtrati attraverso le frequenti «opzioni» e «preferenze» dell’Autore. Dal commento all’Enciclica Veritatis splendor, in modo particolare, si evince la concezione manchevole della competenza morale del Magistero ecclesiastico». Sul finale poi si legge un passo significativo: «con questa Notificazione, [la congregazione della Dottrina della fede] desidera anche incoraggiare i teologi moralisti a proseguire il cammino di rinnovamento della teologia morale, in particolare nell’approfondimento della morale fondamentale e nell’uso rigoroso del metodo teologico-morale, secondo gli insegnamenti dell’Enciclica Veritatis splendor e con il vero senso di responsabilità ecclesiale».

    LA DOMANDA

    Se le cose stanno come sostengono il vescovo Bonny, i curatori di un importante libro, il professor Grillo e il redentorista Vidal, viene spontaneo chiedersi quale possa essere stato in quasi venticinque anni il dovuto “ossequio della volontà e dell'intelletto” al magistero autentico rappresentato da Veritatis splendor. Ma non è questa la domanda principale che si propone.

    Leggendo le “Osservazioni” della congregazione per la Dottrina della fede a di un libro in lingua tedesca, “Teologia morale fuorigioco? Risposta alla enciclica Veritatis splendor”, è possibile comprendere la portata delle questioni che si sollevano. Tali “osservazioni” furono pubblicate sull'Osservatore romano del 2 febbraio 1996. 

    Secondo gli autori di quel testo in lingua tedesca, «la Veritatis splendor sbaglia non solo perché critica delle teorie morali che, a loro avviso, rispondono alla verità, ma soprattutto perché intende essere un pronunciamento magisteriale su una materia - la morale normativa - che di per sé non rientrerebbe nelle competenze del magistero della chiesa, dato che su di essa non esisterebbe un concreto insegnamento specifico nella Rivelazione né sarebbe esistita, almeno fino a questo momento, una dottrina cattolica definita. (…) Conseguentemente alcuni autori sono convinti di poter rendere la "Veritatis splendor" oggetto di una "quaestio disputata", e si sentono autorizzati a favorire il dissenso pubblico da un pronunciamento del magistero ordinario del romano pontefice».

    La questione comincia a emergere, e riguarda nello specifico il fatto che Veritatis splendor possa effettivamente essere derubricata a mero “sviluppo politico ecclesiale” rispetto al pluralismo della teologia morale, come ha scritto il vescovo Bonny, oppure a espressione unilaterale di un “massimalismo morale”, come dice, invece, il professore Andrea Grillo; o come un'enciclica che ha “portato a dei blocchi di pensiero” come hanno scritto gli autorevolissimi Stephan Goertz e Antonio Autiero nella post fazione al testo presentato il 4 maggio alla Gregoriana.

    Ma quanto spazio ha avuto nella Chiesa questa interpretazione di Veritatis splendor? Quanti i pastori, i teologi e i sacerdoti, che sono andati per la loro strada indipendentemente dall’insegnamento di quell’enciclica? E' questo un esempio di “pluriformità” della Chiesa?

    La risposta a queste domande deve tener conto della conclusione di quell’ “Osservazione” pubblicata sull'Osservatore romano nel 1996:

    «Come ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II (…): “Nelle encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, così come nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, ho voluto riproporre la dottrina costante della fede della chiesa, con un atto di conferma di verità chiaramente attestate dalla Scrittura, dalla tradizione apostolica e dall'insegnamento unanime dei pastori. Tali dichiarazioni, in virtù dell'autorità trasmessa al successore di Pietro di "confermare i fratelli" (Lc 22,32), esprimono quindi la comune certezza presente nella vita e nell'insegnamento della chiesa” (Discorso alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, 24.11.1995, nn. 5-6). «A nessuno sfugge», chiosava la congregazione per la Dottrina della fede, «che contestare in linea di principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole, (...), non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì intacca profondamente l'unità e l'identità della Parola sulla quale è fondata la chiesa». 

     

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    SAN PAOLO RISPONDE AI DUBIA E METTE IN CHIARO LA FONTE: «AGLI SPOSATI ORDINO, NON IO, MA IL SIGNORE...»

    L'inciso "in caso di unione illeggitima" a proposito dell'indissolubilità del matrimonio non è una corbelleria bella e buona, ma è la giusta traduzione

    Quesito

    Caro Padre Angelo,
    ti scrivo perché ogni tanto non capisco come mai la traduzione del Vangelo cambi. La ratio sarebbe per facilitare la lettura ed avvicinarla alla lingua parlata corrente, ma così non mi pare. Il Vangelo di questa sera parla del ripudio della moglie, che non deve essere esercitato per non esporre la moglie ad adulterio.
    A parte che si parla sempre dell’indissolubilità del matrimonio e si omette il caso di porneia, che evidentemente richiederebbe il ripudio,  giustificato da Gesù stesso. 
    In questo caso porneia è traducibile con fornicazione, per intendersi tradimento, atti sessuali con altro uomo o donna, che non sia il legittimo consorte. Tutto ciò viene sempre sorvolato e non ne ho mai sentito trattare da nessun sacerdote durante l’omelia. Capisco che si intenda glissare, perché altrimenti tutti i matrimoni decadrebbero all’istante, ma non mi sembra corretto alterare la scrittura in modo così marcato. 
    Nel  foglietto che ho trovato in Chiesa questa sera si è tradotto porneia con unione illegale!!!!!! Ma questa è una corbelleria bella e buona, notare che subito dopo Gesù dice: dite si al si e no al no, tutto il resto viene dal maligno!
    Perché non si dicono le cose come stanno? 
    Perché non si dice la verità e la si nasconde con giravolte linguistiche?
    Tutto ciò altro non fa che alimentare la tesi che la Chiesa abbia manipolato nei secoli la Parola di Gesù a suo uso e consumo. Che ne dici?
    “Io invece vi dico che chiunque ripudia la propria donna (= moglie), ad eccezione del caso di fornicazione (in greco: porneia), fa sì che essa sia adultera e chi sposa una donna ripudiata, commette adulterio” (Mt 5,32). 
    Eugenio


    Risposta del sacerdote

    Caro Eugenio,
    1. secondo il Vangelo di Matteo Gcsù viene interrogato da alcuni Farisei sull'argomento
    del matrimonio. 
    I moralisti di quel tempo si dividevano in due scuole riguardo al divorzio.

    Alcuni, che appartenevano alla scuola di Hillel, lo consideravano possibile per numerosi e
    svariati motivi... 
    A questi liberali si opponevano i discepoli di Shammai che lo permettevano
    soltanto in caso di condotta immorale o di adulterio della moglie. 
    I Farisei che interrogano
    Gesù sembrano essere della scuola più rigorosa, quella di Shammai. 
    Essi si scandalizzavano per il fatto che Gesù mangiasse con i pubblicani e i peccatori e anche perché nel suo insegnamento presentava una concezione meno rigorista della loro sul riposo del sabato.
    Proprio per questo erano portati a pensare che Gesù si schierasse da parte dell’altra scuola.

    2. Lo interrogarono dunque chiedendo: “È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3).
    Gesù non si lascia prendere nel tranello facendo proprie le opinioni degli uni o degli altri, ma dà una risposta che esclude il divorzio: “Ora io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie - salvo il caso di
    porneia - e ne sposa un'altra, commette adulterio” (Mt 19,9).

    3. L'inciso di Matteo - salvo il caso di porneia - ha fatto pensare ad  alcuni che Gesù concedesse il divorzio in caso di adulterio e la possibilità per il coniuge leso di risposarsi. 
    Ma se questo fosse stato il pensiero di Gesù, si sarebbe schierato dalla parte della scuola di Smammai, mentre chiaramente Gesù si pone al di sopra delle parti.
    Inoltre i discepoli con la loro reazione: “Se tale è la
    condizione dell'uomo verso la donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10), fanno intendere che hanno capito in senso assoluto l'insegnamento di Gesù, e non nel senso di Shammai perché altrimenti non si sarebbero stupiti.

    4. Ma che cos’è questa porneia?
    Certamente non si tratta di adulterio, perché in greco l’adulterio o il tradimento coniugale vengono indicato con un termine proprio: “moicheia”.
    La traduzione della CEI del 1974 aveva tradotto: “eccetto in caso di concubinato”.
    L’attuale (del 2008) traduce: “in caso di unione illegittima”.
    L’attuale “in caso di unione illegittima” rende meglio l’idea e fa capire che si tratta di un falso matrimonio.
    La traduzione precedente diceva “concubinato” e il concubinato non è un vero matrimonio, ma un falso matrimonio.
    In sostanza dunque non cambia nulla. L’espressione “unione illegittima” è più intelligibile di quella di concubinato.

    5. Per comprendere bene questo inciso è opportuno notare anche che né Marco né Luca ne fanno menzione e non danno alcuna possibilità di divorzio: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 19,11-12); oppure ancora: “Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio” (Lc 16,18).

    6. Va ricordato anche che sempre nel Vangelo di Matteo, nel contesto del discorso della montagna, Gesù esclude in ogni caso un secondo matrimonio per i divorziati: “Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di porneia (unione illegittima), la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt
    5, 32).
    Questa dottrina è ripresa da san Paolo quando dice: “La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo” (Rm 7,2-3) e “Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,10-11).

    7. Da questi diversi testi emerge la seguente dottrina: 

    1- il matrimonio è indissolubile; 
    2- chi ripudia la moglie la espone a diventare adultera, e di ciò diviene colpevole; 
    3- e se ne sposaun'altra commette adulterio; 
    4- in caso di infedeltà della moglie, l'uomo dandole il libello del ripudio non l'esporrà all'adulterio, e quindi non ne sarà colpevole, poiché l'adulterio è già stato commesso, ma egli non potrà risposarsi, come neanche la moglie ripudiata, senza commettere adulterio.

    8. Tu dici: “porneia è traducibile con fornicazione, per intendersi tradimento, atti sessuali con altro uomo o donna, che non sia il legittimo consorte”.
    Dici bene, ma solo in parte. 
    Si può tradurre, sì, con fornicazione. Ma che cos’è la fornicazione?
    Per fornicazione s’intende il rapporto sessuale tra due persone che non sono sposate.
    Il concubinato è uno stato di fornicazione permanente.
    È un’unione, sì, ma è un’unione illegittima perché le persone non sono sposate.

    9. Tu non commetti un errore quando scrivi: “porneia è traducibile con fornicazione”, ma lo commetti quando scrivi: “per intendersi tradimento”.
    No, la fornicazione non è la stessa cosa che un tradimento. Il tradimento è nel genere dell’adulterio, è un venir meno alla fedeltà coniugale.

    10. Allora se vuoi tradurre “fornicazione”, puoi farlo.
    Ma devi intendere per fornicazione quello che questa parola significa, senza confonderla con l’adulterio.
    La CEI avrebbe potuto tradurre “fornicazione”, ma subito tanti sarebbero caduti nell’errore in cui involontariamente sei caduto anche tu: di intenderla per adulterio.
    “Fornicazione”, “unione illegittima”, “falso matrimonio”, “concubinato” si equivalgono.

    Ecco, come vedi la Chiesa non manipola i testi sacri. Sa che sono parola di Dio. Come potrebbe permetterselo?
    Ti ringrazio comunque del quesito che sarà servito per chiarire a molti le idee.
    Ti ricordo al Signore e ti benedico.
    Padre Angelo









    [Modificato da Caterina63 26/05/2017 20:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 18/05/2017 08:45
    Il cardinale Sarah con Benedetto XVI
     

    «Con il cardinal Sarah la liturgia è in buone mani». Firmato: Benedetto XVI. Quello che a prima vista può sembrare un semplice atto di stima, è in realtà una vera e propria bomba. Significa infatti che il Papa emerito – pur nel suo stile discreto, con un commento a un libro - scende direttamente in campo a difesa del cardinale Robert Sarah che, come prefetto della Congregazione per il Culto divino, è stato ormai isolato dalle nuove nomine di papa Francesco.

    di Riccardo Cascioli

    «Con il cardinal Sarah la liturgia è in buone mani». Firmato: Benedetto XVI. Quello che a prima vista può sembrare un semplice atto di stima, è in realtà una vera e propria bomba. Significa infatti che il Papa emerito – pur con il suo stile discreto - scende direttamente in campo a difesa del cardinale Robert Sarah che, come prefetto della Congregazione per il Culto divino, è stato ormai isolato ed emarginato dalle nuove nomine di papa Francesco, e pubblicamente smentito nel suo indirizzo dallo stesso Papa.

    Il clamoroso gesto di Benedetto XVI è arrivato sotto forma di post-fazione per un libro del cardinale Sarah, “La force du silence” (Il potere del silenzio), non ancora tradotto in italiano. Il testo di Benedetto XVI dovrebbe essere pubblicato sulle prossime edizioni del libro, ma è stato reso pubblico ieri sera dal sito americano First Things.

    In esso Benedetto XVI elogia grandemente il libro del cardinale Sarah e Sarah stesso, definito «maestro spirituale, che parla dal profondo del silenzio con il Signore, espressione della sua unione interiore con Lui, e per questo ha da dire qualcosa a ciascuno di noi».

    E alla fine della lettera si dice grato a papa Francesco per «aver nominato un tale maestro spirituale a capo della congregazione per la celebrazione della liturgia nella Chiesa». È una nota che sa più di blindatura che di vera gratitudine. Non è un mistero infatti che nel corso dell’ultimo anno il cardinal Sarah è stato via via esautorato di fatto, prima con la nomina dei membri della Congregazione che ha avuto l’esito di circondare Sarah di personaggi progressisti apertamente ostili alla “riforma della riforma” invocata da Benedetto XVI e che il cardinale guineano tentava di realizzare (clicca qui). Poi l’aperta sconfessione da parte del Papa a proposito della posizione degli altari (clicca qui e qui); quindi la nuova traduzione dei testi liturgici che sarebbe allo studio di una commissione creata a insaputa e contro il cardinale Sarah (clicca qui); infine le mosse per studiare una messa "ecumenica" bypassando la Congregazione stessa (clicca qui).

    Si tratta di una deriva che colpisce al cuore lo stesso pontificato di Benedetto XVI che poneva la liturgia al centro della vita della Chiesa. E nel documento ora pubblicato, il Papa emerito rilancia un monito: «Così come per l’interpretazione della Sacra Scrittura, anche per la liturgia è vero che è necessaria una conoscenza specifica. Ma è anche vero della liturgia che la specializzazione può mancare l’essenziale a meno che non sia radicata in una profonda, interiore unione con la Chiesa orante, che sempre di nuovo impara dal Signore stesso cosa sia l’adorazione». Da qui l’affermazione finale che suona come un avvertimento: «Con il cardinale Sarah, maestro del silenzio e della preghiera interiore, la liturgia è in buone mani».

    Questo intervento di Benedetto XVI, che cerca di blindare il cardinale Sarah e rimetterlo effettivamente a capo della Congregazione per la liturgia, è senza precedenti. E seppure la forma è quella di un “innocuo” commento a un libro, a nessuno può sfuggire il significato ecclesiale di tale mossa, che indica la preoccupazione del Papa emerito per quanto sta avvenendo nel cuore della Chiesa.

    Benedetto XVI interviene ora sulla cosa che forse maggiormente ha caratterizzato il suo pontificato: «La crisi della Chiesa è una crisi della liturgia», ebbe modo di dire, e tale giudizio è stato rilanciato dal cardinale Sarah. Ma non bisogna dimenticare ciò che monsignor Georg Geinswein ha affermato in una recente intervista, in modo solo apparentemente innocente: rispondendo a una domanda sulla confusione che c’è nella Chiesa e alle divisioni che si sono create, disse che Benedetto XVI segue con attenzione tutto ciò che avviene nella Chiesa. E ora vediamo che comincia discretamente a muovere qualche passo.

    È lo Spirito Santo che elegge il Papa? Vedi: risposta dell’allora cardinale Ratzinger e alcune note di mons. Gherardini sull'infallibilità

     
    Per chi si ostina a ritenere il Papa non criticabile in assoluto in quanto sarebbe 'eletto' dallo Spirito Santo e conseguentemente infallibile senza condizioni, riproduciamo un'affermazione dell'allora cardinale Ratzinger seguita da uno scritto di mons. Brunero Gherardini.


    Risposta che Joseph Ratzinger diede nel 1997 alla domanda sull’azione dello Spirito Santo in Conclave. Gli fu domandato: 
    È lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione del Papa? Ratzinger, non rinunciando nel finale a una certa ironia, rispose così: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto». [Fonte]

    Infallibilità. Obiezioni e riserve

    [...] Non tutte le dichiarazioni papali son infallibili, non tutte essendo ad un medesimo livello dogmatico. La maggior parte dei discorsi e dei documenti papali, infatti, anche quando tocca l’ambito dottrinale, contiene insegnamenti comuni, orientamenti pastorali, esortazioni e consigli, che formalmente e contenutisticamente son ben lungi dalla definizione dogmatica. Né questa c’è se non in presenza delle condizioni stabilite dal Vaticano I. Occorre dunque che il Papa parli:
    • «Ex cathedra»(1): l’espressione trae il suo significato dalla funzione esemplare e moderatrice che, fin dall’inizio, fece del Vescovo di Roma il maestro della Chiesa universale e di Roma stessa il “locus magisterii”. In uso già dal II sec. come simbolo della funzione magisteriale del vescovo, la cattedra divenne in seguito il simbolo della funzione magisteriale del Papa(2). Il parlare “ex cathedra”significa, quindi, parlare con l’autorevolezza e la responsabilità di colui che gode di giurisdizione suprema, ordinaria, immediata e piena su tutta la Chiesa e su ognuno dei suoi fedeli, pastori compresi, in materia di fede e di costumi, ma non senza riflessi ed effetti anche disciplinari.
    • «Omnium Christianorum pastoris et doctoris munere fungens»: la frase rende esplicito il contenuto di “ex cathedra”. Fonti bibliche neo-testamentarie e documenti della Tradizione confluiscono nella definizione del Vaticano I per affermare che l’infallibilità del magistero papale insorge soltanto quando il Papa insegna a tutti la Rivelazione divina e rende a tutti obbligatorio il suo insegnamento.
    • «Pro suprema sua Apostolica auctoritate»: è la ragione formale del suo insegnamento infallibile ed universale. Tale ragione è dovuta alla successione apostolica del Papa a Pietro, che fu quindi il primo, ma non l’unico, vescovo di Roma e Papa in quanto vescovo di Roma. Ad ogni suo successore sulla “cattedra romana” compete, dunque, tutto quanto Cristo aveva dato a Pietro, “ratione officii, non personae”. È pertanto meno corretto dire “infallibilità personale del Papa”invece che“infallibilità papale”. Ma, anche nel caso che si voglia insistere, come fa qualcuno, su “infallibilità personale”, si dovrebbe sempre distinguere nel Papa la “persona publica”da quella “privata”, ricordando che la “persona publica” vien determinata dal suo ufficio.
    • «Doctrinam de fide vel moribus»: deve trattarsi, cioè, di verità da credere e qualificanti l’esistenza cristiana, direttamente o no contenute nella divina Rivelazione. Un diverso oggetto dell’insegnamento papale non può pretendere d’esser coperto dal carisma dell’infallibilità, la quale tanto s’estende quanto la Rivelazione stessa.
    • «Per assistentiam, divinam»: non qualunque intervento del Papa, non un suo semplice monito, non un suo qualunque insegnamento, son garantiti dall’assistenza dello “Spirito di verità” (Gv. 14, 17; 15, 26), ma quello soltanto che, in armonia alle verità rivelate, manifesta ciò che il cristiano deve, in quanto tale, credere ed attuare (Dublanchy E., “Infailibilité”, cit. C. 1699-1705).
    Solo nel pieno ed assoluto rispetto delle dette condizioni, il Papa è garantito dall’infallibilità; può dunque ad essa appellarsi quando intende obbligare il cristiano nell’ambito della fede e della morale. È anche da aggiungere che, da tutto l’insieme dell’intervento papale e dalle parole che l’esprimono, deve risultare, unitamente al rispetto delle indicate condizioni, la volontà del Papa di definire una verità come direttamente o indirettamente rivelata, oppure di dirimere una questione «de fide vel moribus”, con cui tutta la Chiesa dovrà poi uniformare il proprio insegnamento e coordinare la propria prassi.

    È qui evidente che si ha a che fare non con generiche e plurisignificanti nozioni d’infallibilità, bensì con la nozione rigorosamente teologica di essa. E perfino all’interno di tale delimitazione, l’infallibilità si capisce solo se si rifugge dall’ambiguità lessicale, p. es. d’un Karl Barth (3) che confonde l’infallibilità con l’indefettibilità. D’altra parte, il concetto non si chiarisce, dal punto di vista teologico, ignorandolo(4), e neanche relegandolo trasversalmente in altri contesti o considerandolo sotto aspetti formali incompleti; si pensi al negativo “Irrtumlosigkeit” certamente non sbagliato, ma impari a testimoniare, dell’infallibilità, il significato positivo, il valore di fondo, la grazia, il carisma che, per volontà di Cristo, arricchisce la Chiesa ed il Papa.

    Effettivamente il significato positivo è primario e come tale va sottolineato; esso per un verso dà la garanzia massima («fide divina vel divino-ecclesiastica”) della verità, per un altro salvaguarda la verità stessa da ogni contraffazione o erronea o ereticale. L’infallibilità vien così ad esser infinitamente più che assenza d’errore ed impossibilità di esso; è presenza di verità, è certezza superiore di essa, intimamente ed inscindibilmente congiunta con l’esserci della Chiesa. Un suo errore, in ordine alle verità da credere o alla morale da vivere, si risolverebbe contro la Chiesa stessa, distruggendola (5). In breve e per tali motivi, l’infallibilità teologica ha un quadro concettuale fortemente condizionato dalla Rivelazione ed ha pertanto ben poco in comune con l’infallibilità filosofica, con quella scientifica e con quella giuridica. [...]
    Brunero Gherardini
    __________________
    1. Cfr. La formula proviene da Melchior Cano (+1560), ma il riferimento alla “cathedra” è frequente nei Padri ed ovviamente anche in Autori successivi a Cano: “Auctoritas infallibilis et summa cathedrae S. Petri” (D’Aguirre, +1699); “Cathedrae Apostolicae oecumenicae auctoritas” (ignoto, +1689), cfr. Dublanchy E., “Infaillibilité du Pape”, DThC VII Parigi 1972, c. 1689; cfr. Pure Maccarrone M., “La ‘cathedra sancti Petri’ nel Medioevo da simbolo a reliquia”, in “Rivista di storia della Chiesa in Italia” XXXIX (1985) 349-447.
    2. Cfr. Maccarrone M., “Cathedra Petri” und die Entwicklung der Idee des päpstlichen Primats vom 2. Bis 4. Jahrhund., in “Saeculum” 13 (1962) 278-292.
    3. Fries H. (a c. Di), “Handbuch theologischer Grundbegrijffe”, Monaco 1963
    4. “Kirchliche Dogmatik” IV/1, p. 770- 72
    5. Rahner I. - Vorgrimler H., “Kleines theolog. Wörterbuch”, Friburgo Br. 1961, cit. Da Löhrer M., “Portatori della Rivelazione”, in MS 2 Brescia 1973, p. 87
     




     

    «La storia è lo scontro fra due forze: l'attrazione di Cristo e il potere di Satana. Il campo è il cuore umano». La lectio magistralis del cardinale Caffarra al Rome Life Forum di Roma. Due sono le colonne della creazione: la persona umana e l’unione coniugale tra uomo e donna. L’elevazione dell’aborto a diritto è la demolizione della prima. La nobilitazione del rapporto omosessuale è la distruzione della seconda. In questo scontro siamo chiamati a testimoniare come soldati che non fuggono e a proclamare il Vangelo di vita e matrimonio».

    di Carlo Caffarra, cardinale emerito di Bologna

    Pubblichiamo un ampio estratto dell'intervento del cardinale Carlo Caffarra al Rome Life Forum del 19 maggio 2017 in preparazione alla Marcia per la vita che si è svolta ieri. 

    La storia umana è lo scontro fra due forze: la forza di attrazione che ha la sua sorgente nel Cuore trafitto del Crocefisso-Risorto; il potere di Satana che non vuole essere spodestato dal suo regno. Il campo sul quale avviene lo scontro è il cuore umano, è la libertà umana. E lo scontro ha due dimensioni: una dimensione interiore; una dimensione esteriore.

    Gesù, la Rivelazione del Padre, esercita una forte attrazione a Sé; Satana opera in contrario, per neutralizzare la forza attrattiva del Crocefisso-Risorto. Opera nel cuore dell’uomo la forza della verità che ci fa liberi; e la forza satanica della menzogna che ci fa schiavi.

    Ma la persona umana non è solamente interiorità, non essendo puro spirito. La sua interiorità si esprime, prende corpo nella costruzione della società nella quale vive. L’interiorità umana si esprime, prende corpo nella cultura, la quale è una dimensione essenziale della vita umana come tale. La cultura è il modo specificatamente umano di vivere.

    La condizione in cui si trova l’uomo, posto come è tra due forze contrapposte, non può non dare origine a due culture: la cultura della verità; la cultura della menzogna.

    C’è un libro nella S. Scrittura, l’ultimo, l’Apocalisse, che descrive lo scontro finale tra i due regni. In questo libro l’attrazione di Cristo riveste il profilo di un trionfo sulle potenze nemiche, comandate da Satana. E’ un trionfo che arriva dopo un lungo combattimento. Le primizie della vittoria sono i martiri. “Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana, e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra…Ma essi [= i martiri] lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio” [cfr. Ap12, 9.11].

    Nella nostra cultura occidentale esistono fatti che rivelano in modo particolarmente chiaro lo scontro tra l’attrazione esercitata sull’uomo dal Crocefisso-Risorto e la cultura della menzogna, edificata da Satana? La mia risposta è affermativa, ed i fatti sono soprattutto due.

    Il primo fatto è la trasformazione di un crimine [nefandum crimen, lo chiama il Concilio Vaticano II], l’aborto, in un diritto. Non sto parlando dell’aborto come atto compiuto da una persona. Sto parlando della più grande legittimazione che un ordinamento giuridico possa compiere di un comportamento: sussumerlo nella categoria del diritto soggettivo, la quale è categoria etica. Significa chiamare bene il male, luce le tenebre.” Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna”. E’ il tentativo   di produrre un’anti-Rivelazione.

    Quale è infatti la logica che presiede alla nobilitazione dell’aborto? E’ in primo luogo la più profonda negazione della verità dell’uomo. A Noè appena uscito dalle acque del diluvio, Dio disse: “Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo” [Gen9, 6]. La ragione per cui l’uomo non deve spargere il sangue dell’uomo è che l’uomo è immagine di Dio. Mediante l’uomo, Dio dimora dentro la sua creazione; la creazione è tempio del Signore, perché vi abita l’uomo. Infrangere questa intangibilità della persona umana è un atto sacrilego contro la Santità di Dio. E’ il tentativo satanico di dare origine ad un’anti-creazione. Nobilitando un’uccisione umana, Satana ha posto il fondamento della sua “creazione”: togliere dalla creazione l’immagine di Dio; oscurare in essa la Sua presenza.

    Nel momento in cui si afferma il diritto dell’uomo di disporre della vita e della morte di un altro uomo, Dio è espulso dalla sua creazione, perché viene negata la sua presenza originaria, viene dissacrato il luogo originario della sua dimora dentro la creazione: la persona umana.

    Il secondo fatto è costituito dalla nobilitazione dell’omosessualità. Essa infatti nega interamente la verità del matrimonio, il pensiero di Dio Creatore sul matrimonio.

    La Divina Rivelazione ci ha detto come Dio pensa il matrimonio: l’unione legittima dell’uomo e della donna, fonte della vita. Il matrimonio ha nella mente di Dio una struttura permanente. Esso si basa sulla dualità del modo umano di essere: la femminilità; la mascolinità. Non due poli opposti, ma l’uno con e per l’altro. E solo così, l’uomo esce dalla sua solitudine originaria.

    Una delle leggi fondamentali con cui Dio governa l’universo, è che Egli non agisce da solo. E’ la legge della cooperazione umana al governo divino. L’unione fra uomo e donna che diventano una sola carne, è la cooperazione umana all’atto creativo di Dio: ogni persona umana è creata da Dio e generata dai suoi genitori. Dio celebra la liturgia del suo atto creativo nel tempio santo dell’amore coniugale.

    In sintesi. Due sono le colonne della creazione: la persona umana nella sua irriducibilità all’universo materiale; l’unione coniugale tra uomo e donna, luogo in cui Dio crea nuove persone umane “a sua immagine e somiglianza”. L’elevazione assiologica dell’aborto a diritto soggettivo è la demolizione della prima colonna. La nobilitazione del rapporto omosessuale quale si ha nella sua equiparazione al matrimonio, è la distruzione della seconda colonna.

    Alla radice è l’opera di Satana, che vuole costruire una vera e propria anti-creazione. E’ l’ultima terribile sfida che Satana sta lanciando a Dio. “Io ti dimostro che sono capace di costruire un’alternativa alla tua creazione. E l’uomo dirà: si sta meglio nella creazione alternativa che nella tua creazione”.

    E’ una spaventosa strategia della menzogna, costruita su un profondo disprezzo dell’uomo. L’uomo non è capace di elevarsi allo splendore del Vero; non è capace di vivere dentro il paradosso di un desiderio infinito di felicità; non è in grado di ritrovare se stesso nel dono sincero di se stesso.  

    Il Grande Inquisitore di Dostojevski parla proprio in questo modo a Gesù: “Tu avevi un’opinione troppo alta degli uomini, perché essi sono senza dubbio schiavi, anche se ribelli per natura… Ti giuro: l’uomo è debole e più vile di quanto tu non avessi pensato! E’ debole e meschino”. 

    Come dobbiamo dimorare dentro a questa situazione?  

    La risposta è semplice: dentro lo scontro fra la creazione e l’anti-creazione siamo chiamati a TESTIMONIARE. E’ la testimonianza il nostro modo di essere nel mondo. Il Nuovo Testamento ha una ricchissima dottrina al riguardo. Mi devo limitare ad in=dicare i tre significati fondamentali che costituiscono la testimonianza.

    Testimoniare significa dire, parlare, annunciare apertamente e pubblicamente. Chi non testimonia in questo modo, è simile al soldato che nel momento decisivo della battaglia scappa. Non siamo più testimoni, ma disertori, se non parliamo apertamente e pubblicamente. La Marcia per la Vita, quindi, è una grande testimonianza.

    Testimoniare significa dire, annunciare apertamente e pubblicamente la divina Rivelazione, la quale implica quelle evidenze originarie che anche la sola ragione rettamente usata scopre. E dire in particolare il Vangelo della Vita e del Matrimonio.

    Testimoniare significa dire, annunciare apertamente e pubblicamente il Vangelo della Vita e del Matrimonio in un contesto processuale [cfr.Gv 16, 8-11]. Lo scontro va assumendo sempre più il profilo di un processo, di un giudizio il cui imputato è Gesù ed il suo Vangelo. Come in ogni giudizio ci sono anche i testimoni a favore: a favore di Gesù e del suo Vangelo. L’annuncio del Vangelo del Matrimonio e della Vita avviene oggi in un contesto di ostilità, di contestazione, di incredulità. Se così non fosse, i casi sono due: o si tace il Vangelo; o si dice altro. Ovviamente quanto ho detto non va intesto nel senso che i cristiani devono rendersi…antipatici a tutti.

    Nell’ambito della testimonianza al Vangelo, l’irenismo, il concordismo vanno esclusi. Su questo Gesù è stato esplicito. Sarebbe un pessimo medico chi avesse un’attitudine irenica verso la malattia. Agostino scrive: “Ama l’errante, ma perseguita l’errore”. Come scrive il grande confessore della fede, russo, Pavel A. Florenskij. “Il Cristo è testimone, nel senso estremo della parola, il testimone. Nella sua crocefissione Giudei e Romani credettero di vedere solo un evento storico, ma l’evento si rivelò essere la Verità.” 


    -10MILA ALLA MARCIA: «NESSUN COMPROMESSO COL MALE» 
    di Marco Guerra









    [Modificato da Caterina63 21/05/2017 21:11]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 22/05/2017 11:28
    [SM=g1740717] PER NON DIMENTICARE.....

    Cari Amici, il 10 maggio 1981, tre giorni prima dell’attentato, Giovanni Paolo II pronunciò un Regina Coeli davvero infuocato dallo Spirito Santo, in difesa della vita umana e contro l’aborto. ;-) In questo video vi offriamo e proponiamo l’audio originale - da brividi!!! - che sollecitiamo tutti ad ascoltare con molta attenzione, dal momento che parla anche della retta coscienza, del dovere della Chiesa non solo di difendere la vita umana in ogni sua fase, ma che questa difesa è fondamentale per la retta formazione di ogni coscienza, così infatti spiega san Giovanni Paolo II “La Chiesa sempre ha ritenuto il servizio alla coscienza come il suo servizio essenziale…”

    www.youtube.com/watch?v=8men3uTMvpc

    REGINA COELI

    IV Domenica di Pasqua, 10 maggio 1981

    1. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

    Con queste parole termina il Vangelo di oggi, quarta domenica di pasqua. È Cristo Buon Pastore che pronuncia queste parole. È Cristo, che chiama se stesso “porta delle pecore” (Gv 10, 7).
    Desidero riferire queste parole sull’abbondanza della vita prima di tutto al dono della grazia, che ci ha portato Cristo nella sua Croce e nella Risurrezione. Desidero riferirle anzitutto allo Spirito Santo, “che è Signore e dà la vita”, e confessiamo la fede in Lui con le parole che, da sedici secoli, il primo Concilio Costantinopolitano pone sulle labbra della Chiesa.

    Lo Spirito Santo è l’autore della nostra santificazione: Egli trasforma l’uomo nel suo intimo, lo divinizza, lo rende partecipe della natura divina (cf. 2 Pt 1, 4), come il fuoco rende incandescente il metallo, come l’acqua sorgiva disseta: “fons vivus, ignis, caritas”. La grazia è comunicata dallo Spirito Santo per il tramite dei sacramenti, che accompagnano l’uomo durante tutto l’arco della sua esistenza. E, mediante la grazia, Egli diventa il dolce ospite dell’anima: “dulcis hospes animae”: inabita nel nostro cuore; è l’animatore delle energie segrete, delle scelte coraggiose, della fedeltà incrollabile. Egli ci fa vivere nell’abbondanza della vita: della stessa vita divina.

    E proprio per questa sollecitudine circa l’abbondanza della vita Cristo rivela se stesso come Buon Pastore delle anime umane: Pastore che prevede l’avvenire definitivo dell’uomo in Dio; Pastore che conosce le sue pecore (cf. Gv 10, 14) fino al fondo stesso della verità interiore dell’uomo, il quale può parlare di se stesso con le parole di sant’Agostino: “Inquieto è il mio cuore, finché non riposi in Te” (cf. S. Agostino, Confessiones I, 1).

    2. Cari fratelli e sorelle!

    Ecco, voi rappresentanti delle parrocchie e delle comunità di tutta Roma siete oggi riuniti in piazza san Pietro per testimoniare che, nel corso di questi mesi e delle ultime settimane, avete pensato alla vita umana, prima di tutto alla vita nascosta sotto il cuore della donna madre, alla vita dei nascituri. Questa vita l’avete fatta oggetto delle vostre meditazioni, del vostro impegno di credenti, di uomini e di cittadini, ma soprattutto ne avete fatto il tema delle vostre preghiere. Avete meditato sulla responsabilità particolare verso la vita concepita, che, secondo il retto sentire dell’uomo, deve essere circondata da una particolare sollecitudine e protezione, da parte sia dei genitori stessi, sia anche della società, in particolare degli uomini che, in diversi modi, sono responsabili di questa vita.

    3. Ciò facendo, voi avete dimostrato la vostra solidarietà all’invito dei vostri Vescovi, i quali, durante la Quaresima, hanno attirato l’attenzione di tutta la società sulla grande minaccia che incombe su questo valore fondamentale che è la vita umana e in particolare la vita dei nascituri. È compito della Chiesa riaffermare che l’aborto procurato è morte, è l’uccisione di una creatura innocente. Di conseguenza, la Chiesa considera ogni legislazione favorevole all’aborto procurato come una gravissima offesa dei diritti primari dell’uomo e del comandamento divino del “Non uccidere”.

    4. Tutti questi vostri sforzi, tutto il lavoro della Chiesa, in Italia come in ogni altra parte del mondo, che mira ad assicurare la santa inviolabilità della vita concepita, io oggi desidero presentare a Cristo, il quale ha detto: “Sono venuto perché abbiano la vita”. Affinché questi esseri umani più piccoli, più deboli, più indifesi abbiano la vita, affinché questa vita non venga loro tolta prima che nascano, noi appunto a questo serviamo e serviremo in unione col Buon Pastore perché questa è una causa santa.

    5. Servendo questa causa, serviamo l’uomo e serviamo la società, serviamo la patria. Il servizio all’uomo si manifesta non solo nel fatto che difendiamo la vita di un nascituro. Esso si manifesta contemporaneamente nel fatto che difendiamo le coscienze umane. Difendiamo la rettitudine della coscienza umana, perché chiami bene il bene e male il male, perché essa viva nella verità. Perché l’uomo viva nella verità, perché la società viva nella verità.

    Quando Cristo dice: “Sono venuto perché abbiano la vita...” pensa anche, anzi soprattutto, a quella vita interiore dell’uomo che si manifesta nella voce della retta coscienza.

    La Chiesa sempre ha ritenuto il servizio alla coscienza come il suo servizio essenziale: il servizio reso alla coscienza di tutti i suoi figli e figlie – ma anche alla coscienza di ogni uomo. Poiché l’uomo vive la vita degna dell’uomo quando segue la voce della retta coscienza e quando non permette di assordire in se stesso e di rendere insensibile questa coscienza.

    Così servono gli uomini – proprio i più poveri e più bisognosi – tutti quegli uomini e quelle donne che, nel mondo, si dedicano alla difesa della vita, della vita dei corpi e delle anime: missionari e missionarie, suore, medici, infermieri, educatori, tecnici. Basti per tutti ricordare ancora, come a noi ben nota, madre Teresa di Calcutta, la cui voce in difesa della vita dei nascituri si alza non solo dall’India, ma anche dai diversi punti della terra. In Giappone, recentemente, ha detto: “Ogni bambino ucciso con l’aborto, è un indice di grande povertà, perché ogni vita umana è importante e ha un carattere speciale per Dio”.

    Facendo tutto per salvare l’uomo dalla miseria materiale, madre Teresa – questo mirabile testimone della dignità dell’umanità – fa di tutto per difendere anche la sua coscienza dalla insensibilità e dalla morte spirituale.

    Dopo il Regina Coeli

    6. Cari fratelli e sorelle!


    Eleviamo i nostri cuori nella preghiera alla Madre del Redentore, invitandola alla gioia pasquale, come ora facciamo in questo periodo. E contemporaneamente

    Preghiamo la Madre più santa di tutte le madri –
    per ogni madre su questa terra
    e per ogni bambino nascituro nel suo seno.
    Preghiamo per le madri la cui coscienza
    è maggiormente minacciata
    quando consente
    che venga tolta la vita al suo bambino...
    Cristo ha detto:
    “La donna, quando partorisce è afflitta,
    perché è giunta la sua ora;
    ma quando ha dato alla luce il bambino,
    non si ricorda più dell’afflizione
    per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16, 21).
    Preghiamo per una tale gioia della vita
    anche se riscattata dalla sofferenza
    e dalla lotta interiore.
    Preghiamo per la gioia delle coscienze.
    “perché abbiano la vita
    e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

    w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/angelus/1981/documents/hf_jp-ii_reg_19810...

    gloria.tv/video/Em7aE4ks7N8H3yGTBYAzVTWRM







    I vescovi del Guatemala dal Papa: potenti lobby contro la Chiesa

    Papa Francesco ha ricevuto questa mattina i vescovi del Guatemala in visita "ad Limina”. Al centro del colloquio le sfide della Chiesa guatemalteca nella società attuale. Ascoltiamo in proposito il presidente di questa Conferenza episcopale, mons. Gonzalo De Villa y Vásquez, vescovo di Sololá-Chimaltenango. L’intervista è di Alina Tufani:
    it.radiovaticana.va/news/2017/05/22/i_vescovi_del_guatemala_dal_papa_in_visita_ad_limina...

    R. – Siamo una Chiesa che ha un passato recente di martiri. Trenta-trentacinque anni fa c’è stata una grande persecuzione avvenuta nel contesto di un conflitto armato interno e il 23 settembre di quest’anno sarà beatificato il primo martire del Guatemala di quell’epoca. Prima avevamo vissuto le persecuzioni dei regimi liberali che, all’inizio del XX secolo, avevano cacciato il clero e i religiosi. In questo periodo la religiosità popolare era stata mantenuta viva dai laici e dalle comunità indigene. A metà del XX secolo, la Chiesa guatemalteca ha iniziato a ricevere missionari che nell’arco di poco più di una generazione hanno dato molto: grazie a loro è aumentata la presenza del clero, in particolare in quelle regioni del Paese dove i sacerdoti erano assenti in pianta stabile da oltre 50 anni. Verso la fine degli anni 70 è iniziato questo nuovo periodo di persecuzione con tanti martiri. Negli ultimi anni la Chiesa in Guatemala ha invece avuto diverse benedizioni: è cresciuto il numero delle vocazioni, abbiamo più seminaristi e ordinazioni sacerdotali di quanti ne abbiamo mai avuti nella nostra storia. Per altro verso, è anche vero che abbiamo visto molti fratelli allontanarsi dalla Chiesa cattolica soprattutto per entrare in gruppi pentecostali e questo è uno dei problemi della Chiesa guatemalteca oggi.

    D. - La Chiesa guatemalteca è sempre stata molto impegnata nella difesa dei diritti umani nel Paese, le cui violazioni durante il conflitto sono spesso rimaste impunite …

    R. - Il tema dei diritti umani è stato importante per la Chiesa in anni in cui parlare di diritti umani era molto complicato nel Paese e in questo senso la sua voce è stata quella che si è sentita di più. Ovviamente parliamo dei diritti umani fondamentali, a cominciare da quello alla vita, ma anche della libertà di espressione, del diritto di non essere perseguitati per le proprie opinioni politiche, e dei diritti sociali, come quelli all’educazione e alla salute. La risposta dello Stato ai bisogni della popolazione nel campo della salute, dell’educazione e del lavoro continua però ad essere debole e insufficiente e questo genera tanti problemi. È anche vero che negli ultimi anni la Chiesa si sta confrontando con i fautori di diritti apertamente in contrasto con la dottrina cattolica. Mi riferisco all’ideologia di genere, all’aborto, al matrimoni omosessuali. Non sono stati legalizzati in Guatemala, ma la pressione in questo senso è alta. La lotta della Chiesa per i diritti umani, evidentemente, si svolge su un piano diverso da quello di queste organizzazioni.

    D. - Qual è l’azione pastorale della Chiesa guatemalteca per contrastare queste lobby?

    R. - La verità è che facciamo quello che possiamo, ma siamo come Davide contro Golia. Queste organizzazioni hanno un grande potere economico, una grande capacità di penetrazione nei media e godono dell’appoggio delle agenzie delle Nazioni Unite per un imporre a un Paese piccolo con un governo debole un’agenda politica orientata all’approvazione di tali leggi. Tutto questo impone un enorme sforzo alla Chiesa, ma continuiamo a lottare per la vita. È chiaro che quando parliamo della difesa della vita, non ci riferiamo solo all’aborto - come pensano molti cattolici - ma anche alla dignità della vita delle persone che quando nascono hanno diritto di non soffrire di denutrizione infantile e di vivere in modo decente.


    D. - Uno dei fronti sui quali è impegnata la Chiesa è anche la difesa dei popoli indigeni - che sono la grande maggioranza della popolazione guatemalteca - la difesa dei loro territori e della loro cultura dalle multinazionali straniere. Com’è la situazione oggi?

    R. – Di fatto il Guatemala è un Paese prevalentemente indigeno. Io sono vescovo di una diocesi in cui il 93% della popolazione è indigeno e la stragrande maggioranza del clero e dei seminaristi è indigena, quindi vivo questa situazione quotidianamente. In effetti, la questione delle industrie estrattive ha generato polarizzazioni, resistenze e conflittualità e la Chiesa è intervenuta su questo tema. Ma bisogna guardare anche all’altra faccia della medaglia: negli ambienti popolari si è diffusa una sorta di avversione contro qualsiasi investimento straniero e neanche questo aiuta. Ad esempio, sul tema delle centrali idroelettriche la Chiesa non è contraria. Noi vescovi abbiamo detto che è energia pulita, più economica, anche se è vero che occorre considerare e rispettare i diritti delle popolazioni locali.
    Non possiamo però neanche opporci a tutto quello che porta sviluppo, come nel caso dell’energia idroelettrica. Eppure ci sono voci contrarie e spesso dietro a chi invoca i legittimi diritti delle popolazioni locali, ci sono altri gruppi di pressione con interessi più loschi, come ad esempio i narcotrafficanti. La questione è complessa. Non è solo una questione di diritti degli indigeni, perché credo che la cosa più importante sia difendere i diritti di tutta la popolazione di svilupparsi, educare i figli e migliorare il loro tenore di vita.

    D. - C’è poi la questione dell’emigrazione…

    R. - Sì, l’emigrazione è una realtà importante: ci sono oltre 3 milioni di guatemaltechi negli USA, di cui, mi sembra, il 75% sono senza documenti. Ma grazie alle rimesse degli emigrati, nel nostro Paese entrano milioni di dollari: solo l’anno scorso sono entrati 7mila milioni, pari a più di sette volte i proventi delle esportazioni di caffè. Si tratta di denaro che va a tutto il Paese e non si concentra come per le esportazioni. Quindi “esportiamo” persone e questo ha anche conseguenze drammatiche sulle famiglie, perché se è vero che avere un familiare negli Stati Uniti migliora il tenore di vita, capita che uomini sposati emigrino e mettano su un’altra famiglia. Alcuni magari continuano ad inviare soldi alla famiglia di origine in Guatemala, altri nulla. A questo punto la famiglia è distrutta. Abbiamo bambini e adolescenti che crescono senza la presenza del padre, che soffrono ed è più facile che prendano una cattiva strada. Il tema dell’emigrazione ci preoccupa molto e non dobbiamo trascurarlo: in questo devo riconoscere il grande ruolo svolto da mons. Ramazzini, che conosce molto bene il tema della mobilità umana. Ma sì, è un dramma.

    D. - Molte persone pensano che un possibile ritorno massiccio di centroamericani nei propri Paesi di origine potrebbe causare un’emergenza umanitaria. È d’accordo?

    R. - Sì, ma anche se è cresciuto il numero dei deportati dagli Stati Uniti per adesso non ho l’impressione che ci sia stata una crescita significativa in questi 3-4 mesi di presidenza Trump, anche se è vero che è diminuito il numero di ingressi in quel Paese. Certo, se arrivassero un milione di deportati in un solo colpo la crisi umanitaria sarebbe assoluta.


    [SM=g1740771]


    [Modificato da Caterina63 23/05/2017 20:53]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 03/06/2017 14:39

    ALLARME DI CAFFARRA

     




    «Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito». L'ha detto il cardinal Caffarra nella prefazione di un libro sulla figura di don Enzo Casadei. «Il prete disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro».



    di Paolo Facciotto


    “Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito”: queste parole di allarme per il ministero dei preti vengono dal Card. Carlo Caffarra. Sono datate al 19 gennaio scorso, ma in realtà inedite fino a oggi, perché costituiscono la prefazione del libro appena uscito in memoria di un sacerdote cesenate, don Ezio Casadei (1925-2015). 

    Parole significative, perché non riguardano la pastorale né la sociologia ecclesiale - temi già ben illustrati dagli spot video dell’otto per mille ed ampiamente discussi in mille convegni e articoli - bensì l’ontologia, il DNA stesso del sacerdozio. Secondo l’arcivescovo emerito di Bologna, il «genoma» del prete così come è stato disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro. I motivi indicati a Caffarra: “Straziato come è (il sacerdozio, ndr) dalla tentazione di ridursi ad esercitare le opere di Misericordia corporale e dalla tentazione di conservare ciò che non esiste più».

    Ulteriori indizi su tale doppia tentazione, il cardinale non ne fornisce. Ma in un altro brano della prefazione si comprende bene il livello della sua preoccupazione: dal racconto tratteggiato nel libro, a cura di Raffaele Bisulli, “risulta con chiarezza - scrive Caffarra - la coscienza drammatica che don Ezio aveva del suo sacerdozio. Per coscienza drammatica intendo la consapevolezza che il ministero sacerdotale vive nel cuore del dramma il cui prot(o)-agonista è Cristo nella potenza operante del suo atto redentivo. Il secondo attore è la persona umana nella sua libertà. L’ant(i)-agonista è il Satana. La trama si può riassumere in due [non una!] parole: «Misericordia di Dio» - «libertà dell’uomo»”. Quindi la lotta fra Cristo e Satana disegna drammaticamente l’identità del prete.

    Caffarra si sofferma sulla “centralità che per questo sacerdote aveva la celebrazione dell’Eucarestia, e la celebrazione del Sacramento della Confessione. E non dammeno, la passione per l’educazione della persona come educazione alla libertà”. Nel libro, intitolato «Don Ezio. Una fede indomabile, un’amicizia fedele», ed. Alpha Service, Cesena, sono proprio quelle sul sacerdozio le pagine più dense.

    “C’era in don Ezio - scrive Bisulli - un’acuta consapevolezza del compito primario ed essenziale del prete: quello di essere ministro dei sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione. Spesso ricordava a noi che senza il sacerdote non c’era la Messa e non c’era l’Eucarestia, l’unica possibilità di un incontro fisico con Gesù, e che senza il sacerdote non c’era la possibilità di dire a una persona: «Va’ in pace i tuoi peccati sono stati perdonati»”. Frasi semplici e di cristallina chiarezza, oggi non più scontate.

    “Don Ezio - prosegue Bisulli - non era in senso stretto un liturgista, anzi qualche volta criticava le scelte che gli specialisti di liturgia avevano imposto nella celebrazione della Messa; altre volte, invece, non era persuaso delle traduzioni delle lettere di san Paolo o dei brani evangelici: pensava che in certi casi avevano fatto perdere il vigore di alcune espressioni di Gesù e di san Paolo, ma questo non gli impediva affatto di amare la celebrazione della Messa che si capiva benissimo aveva un ruolo importantissimo nella sua giornata”.

    Bisulli e gli altri amici più stretti lo capirono quando don Ezio, già avanti negli anni, ebbe uno svenimento prima di celebrare Messa nella cappella di palazzo Ghini: non voleva essere trasportato in ospedale, “con la sua proverbiale grinta si arrabbiò e disse che non voleva assolutamente andarci”. Dovette cedere solo perché le ragioni terapeutiche non lasciavano alternative. 

    Il “noi” di cui parla ampiamente Bisulli nel tratteggiare la vita di don Casadei, “Billy” per gli amici, è il movimento di Gioventù Studentesca, poi Comunione e Liberazione, che lui incontrò e seguì poi come educatore e responsabile a partire dal 1962 fino alla fine della sua giornata terrena.  

    Colpisce, in fondo al libro - presentato il 30 maggio al Teatro Verdi di Cesena alla presenza del vescovo mons. Regattieri - il testo dell’omelia predicata da don Ezio Casadei il 24 giugno 2008 a Macerone per il 60° anniversario della sua ordinazione: “Non c’è gioia più grande di quella di poter dire: «Prendi e mangia Cristo per ristorarti, per non venir meno per via, per la strada». E ancora, dire a uno che è oppresso, come dice la colletta di questa Messa, oppresso dal peccato: «Sei perdonato. Il Signore è con te!»”. Parole semplici, immediate, comprensibili e profonde, nelle quali traspare il «genoma» del prete. Quel DNA che, secondo il Card. Caffarra, rischia una mutazione.

    FOCUS di mons.Antonio Livi
    Padre Sosa superiore dei Gesuiti
     

    Le sciocchezze di Padre Sosa, generale dei Gesuiti, sull'inesistenza del Diavolo. Si tratta dell’eresia che rende gli uomini di Chiesa (religiosi, teologi e vescovi) del tutto indifferenti e insofferenti al dogma. Tolto di mezzo il dogma, ogni opinione è ugualmente possibile, purché ottenga il consenso di chi ne vede l’utilità pratica. Dove vanno a parare le argomentazioni pseudo-teologiche dei modernisti? Essi dipendono tutti dalle dottrine luterane sulla rivelazione e la fede.

    Le sciocchezze dette recentemente da padre Sosa non sono più risibili di quelle dette da lui stesso qualche tempo addietro, e nemmeno sono più scandalose di quelle.  Che il preposito generale dei gesuiti abbia tante idee (certamente) sbagliate in materia di fede assieme a qualche idea (probabilmente) sbagliata in materia di politica, non fa più scandalo perché ormai la dottrina della fede viene negata o rinnegata da (quasi) tutte le istanze che nella Chiesa dovrebbero averla a cuore: anzitutto i vescovi, con a capo il Papa, poi  i teologi e le istituzioni teologiche di livello accademico, e infine gli strumenti della comunicazione sociale che furono creati da persone sollecite del bene comune ecclesiale e pertanto desiderose che l’informazione cattolica raggiungesse le masse  portando dappertutto la verità del dogma e della morale, con le loro necessarie applicazioni ai problemi del mondo di oggi.

    Insomma, quello che padre Sosa ha detto ultimamente sull’esistenza del demonio e su altri argomenti attinenti alla fede è scandaloso ma per nulla sorprendente, dati i tempi che corrono nella Chiesa: da quando è stato eletto come preposito generale dei gesuiti, Sosa è andato ripetendo i soliti discorsi che io sento fare da decenni e ai quali mi sono inutilmente opposto, non solo con interventi giornalistici (molti sulla Nuova Bussola Quotidiana) ma anche con analisi teologiche approfondite (è uscita da poco la terza edizione aggiornata del mio trattato su Vera e falsa teologia, edito dalla Leonardo da Vinci).

    Inutilmente, dicevo, perché troppo potenti sono i mezzi di cui dispongono i cosiddetti «operatori della pastorale» oggi impegnati in una dissennata campagna di demolizione dell’identità religiosa del cattolicesimo. L’obiettivo prioritario di questa campagna  mediatica mondiale è l’abolizione del dogma, ossia della «regula fidei», che serve a fornire a ogni fedele il chiaro criterio di discernimento per sapere qual è la fede della Chiesa, che cosa ognuno deve credere e a chi deve dare ascolto.

    Questi «cattivi maestri» e «falsi profeti», come  inutilmente li ho chiamati (non certo per insultarli ma solo per mettere in guardia i fedeli) hanno in odio la dottrina cattolica, che comprende le verità da credere «in rebus fidei et morum». Padre Sosa lo dice espressamente nell’intervista al El Mundo: «Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l’immagine della durezza della pietra. Invece la realtà umana è molto più sfumata, non è mai bianca o nera, è in uno sviluppo continuo».

    La frase è illogica in ogni sua parte (il fatto che la realtà sia in sviluppo continuo non toglie che la si possa comprendere solo attraverso concetti e leggi fisiche, psicologiche, morali e religiose), ma la campagna di demolizione della fede non ha bisogno di ragionamenti logici, si accontenta, come ogni campagna pubblicitaria, di slogan che suscitano nelle masse una qualche emozione e spesso, purtroppo, anche un cero consenso alla “linea”. E questa linea – sentimentale nelle argomentazioni ma estremamente lucida nel perseguire lo scopo finale – si ritrova tale e quale nei discorsi di tutti i testimonial della campagna contro la dottrina, i quali parlano a volte con un linguaggio semplicistico e apparentemente ingenuo (Arturo Sosa, Enzo Bianchi e altri), altre volte con un linguaggio più colto (Gianfranco Ravasi, Walter Kasper, Andrea Grillo, Bruno Forte e altri) oppure con un linguaggio decisamente specialistico e sofisticato (Karl Rahner e Hans Küng, con la pletora di discepoli e divulgatori del loro pensiero).

    Poco importano comunque le differenze di forma, perché nella sostanza si tratta sempre di discorsi che non sono funzionali alla prassi dei buoni pastori (che sono sempre in missione «de propaganda fide») bensì alla prassi dei poteri politico-ecclesiastici (che hanno interesse alla diffusione dell’eresia), dai quali i falsi profeti e cattivi maestri ricevono non censure o richiami ma protezione, coperture e addirittura “scatti di carriera”. Il caso di padre Sosa è emblematico. I cattolici ingenui si domandano: ma perché il Papa, che ben lo conosceva, lo ha voluto a capo dell’ordine dei gesuiti? E perché, dopo tante esternazioni dal contenuto ereticale non lo ha pubblicamente ripreso?

    A questa domanda dei cattolici ingenui rispondo (pregando Iddio che mi capiscano bene): papa Bergoglio non censura padre Sosa perché costui dice esplicitamente quello che lui stesso dice implicitamente, e che comunque fa pensare che sia il suo pensiero (il ricorso che Sosa fa alla metafora della “pietra” è chiaramente mutuato dai documenti magisteriali di papa Francesco). Lo stesso è successo con il cardinale Kasper, che il Papa elogia pubblicamente come grande e pio teologo, incurante del fatto che nei suoi libri ci sia più di un’eresia (sulla divinità di Cristo, sull’Eucaristia, sulla nozione stessa di fede cristiana). 

    Parlo di eresia e faccio anche nomi e cognomisine ira et studio, avendo considerato le cose alla presenza di Dio, misurando le parole, avendo a cuore l’unità della Chiesa  e prendendo anche sul serio quella «diaconia della verità» e quella «parresia» che san Giovanni Paolo II nella Fides et ratio raccomandava a tutti i Pastori e a tutti i teologi. La verità della fede va professata in ogni occasione, anche e soprattutto quando chi dovrebbe fare opera di catechesi ed evangelizzazione diffonde invece le opinioni di una qualche setta che allontana dall’adesione all’unica fede, quella della Chiesa (“eresia” è un termine dell’antichità cristiana che significa appunto “separazione”).

    Dato l’ambiente che si è venuto creando all’interno della Chiesa cattolica, ci sarà chi giudicherà le mie parole “esagerate” e “divisive”. E ci sarà anche chi tirerà fuori la solita sfilza di domande retoriche: “Chi sei tu per giudicare un tuo fratello? Chi ti dà l’autorità per etichettare un’opinione come eresia?”. Ho risposto mille volte a domande come queste, fin dai tempi nei quali intervenivo a contrastare (invano) le eresie misticheggianti che Enzo Bianchi pubblicava dappertutto, anche su testate come Famiglia CristianaIesus e Avvenire. Ora, chi volesse una risposta esauriente e rigorosamente teologica a quelle domande può leggere i discorsi precisi e articolati che faccio nel libro Teologia e Magistero oggi (Leonardo da Vinci, Roma 2017).

    Qui basterà ricordare (a chi dovrebbe saperlo) o insegnare (a chi senza sua colpa non è mai stato istruito in materia) che “eresia”, nella Chiesa cattolica, è qualunque pubblica affermazione che risulti in diretta e insanabile contraddizione con il dogma, ossia con i contenuti certi e irreformabili della fede cattolica. Indipendentemente dal fatto che l’autorità ecclesiastica intervenga a censurare con un atto formale una proposizione eretica, qualsiasi fedele capace di discernimento teologico può dire e dimostrare che un certo discorso è (almeno materialmente) eretico. 

    Nel caso di padre Sosa è difficile pensare che egli non si renda conto di quel che dice, ma si può anche pensare che non abbia quella preparazione teologica elementare che consente a chiunque di accorgersi che ciò che va dicendo contraddice direttamene la dottrina cattolica. Infatti, chiunque abbia una preparazione teologica elementare sa che la Chiesa insegna da sempre (e anche oggi, come si può verificare aprendo il Catechismo della Chiesa Cattolica) che il demonio c’è e agisce, e che tutti noi dobbiamo «stare in guardia» per evitare che ci induca in peccato (cfr Lettera di San Pietro), Inoltre la Chiesa ha istituito anche la funzione dell’esorcistato per allontanare il demonio dalle persone che egli ha posseduto e dai luoghi che egli ha infestato.

    Per di più la Chiesa ci consegna la Sacra Scrittura assicurandoci che è davvero Parola di Dio, dotata di assoluta inerranza. Tutta la Bibbia, a cominciare dal Libro della Genesi, parla dell’esistenza degli angeli ribelli, della loro cacciata dal Cielo e della loro azione volta a impedire l’amicizia dell’uomo con Dio. Poi, il Nuovo Testamento completa la rivelazione di questo mistero con i fatti della vita di Cristo e con le sue le parole, presentando la redenzione operata  de Cristo come liberazione degli uomini dal «potere di Satana». Certo, si può conoscere bene il dogma cattolico e la dottrina presente nella Scrittura e non crederci. Ecco allora dove sta il punto. Chi si dedica a demolire con l’eresia la fede del popolo di Dio è uno che non l’ha mai avuta egli stesso o la sta rinnegando per interessi mondani.

    Prima ho detto che forse padre Sosa non ha quella preparazione teologica elementare che consente a chiunque di accorgersi che ciò che va dicendo contraddice direttamene la dottrina cattolica. Ma si capisce che è un’ipotesi che ho tirato fuori per dovere di misericordia, cercando qualche attenuante generica. In realtà, sapendo degli studi che si fanno nella Compagni di Gesù l’ipotesi più realistica è che abbia ricevuto una preparazione teologica elementare, media e superiore irrimediabilmente inquinata dall’eresia modernista.

    Si tratta dell’eresia che rende gli uomini di Chiesa (religiosi, teologi e vescovi) del tutto indifferenti al dogma, o anche insofferenti nei suoi confronti. Per questo diceva san Pio X che il modernismo è il «coacervo di tutte le eresie», perché tolto di mezzo il dogma, ogni opinione è ugualmente possibile, purché ottenga il consenso di chi ne vede l’utilità pratica. Il fatto è che già da un secolo la Compagnia di Gesù alleva al proprio interno e promuove anche alle massime cariche ecclesiastiche uomini di Chiesa che demoliscono sistematicamente la fede della Chiesa. Ha cominciato il francese Pierre Teilhard de Chardin, che negli anni Cinquanta del Novecento proponeva un «meta-cristianesimo» incentrato sulla nozione di Cristo come “Punto Omega” dell’evoluzione cosmica. Poi è venuto il tedesco Karl Rahner, ispiratore e maestro di tutti i teologi di orientamento modernistico, cui giova molto la sua visione trascendentalistica (ossia, soggettivistica) della coscienza morale e  quindi della fede, visione che porta direttamente alla teoria dei «cristiani anonimi».

    Papa Bergoglio non fa direttamente sue le posizioni ereticali dei suoi mastri gesuiti, ma nemmeno le critica, anzi talvolta le cita favorevolmente: vedi l’enciclica Laudato sì, con un accenno positivo al pancosmismo di Teilhard de Chardin, subito rilevato dal gesuita padre Antonio Spadaro nelle pagine della Civiltà Cattolica per dimostrare che le censure ecclesiastiche contro il paleontologo-teologo si potevano considerare «superate».

    Per capire dove vanno a parare le argomentazioni pseudo-teologiche dei modernisti va rilevato che essi dipendono tutti dalle dottrine luterane sulla rivelazione e la fede. I maggiori teologi cattolici della seconda metà del Novecento, sull’onda dell’ecumenismo,  hanno “creduto” ai luterani  e ne hanno accettato il pregiudizio anti-metafisico e anti-dogmatico.  Così, il Magistero della Chiesa non è più la norma prossima della fede, anzi va censurato come sopruso del potere papale e dittatura ideologica sulle coscienze (al posto del Magistero, che per statuto ecclesiologico deve essere fedele alla Tradizione e al dogma, i modernisti aspirano a essere loro nella «stanza dei bottoni», per poter instaurare quella «dittatura del  relativismo» che tanto paventava papa Benedetto XVI).

    Tolto il Magistero, restano la «sola Scriptura» e  il «libero esame»: ma così, logicamente, la Bibbia non è più adoperata come riferimento obbligato della rivelazione divina garantita dalla Chiesa ma come strumento retorico per sostenere le proprie tesi, quali che siano. Il teologo e filosofo luterano Karl Jaspers diceva infatti: «Nella Bibbia non c’è una dottrina: il cristiano vi trova tutto e il contrario di tutto». E un altro teologo luterano, Rudolf Bultmann, diceva che l’uomo moderno non può capire né tanto meno accettare la dottrina del Nuovo Testamento e che quindi bisogna “de-mitologizzarlo”, togliendo dalle sue pagine tutto ciò che non piace alla mentalità scientifica moderna: la creazione, i miracoli, la divinità di Cristo, la sua resurrezione eccetera.

    E infatti anche il cardinale Walter Kasper sia convinto anch’egli che i miracoli di Cristo e la sua resurrezione siano un’invenzione della primitiva comunità cristiana per giustificare la propria immagine di Cristo come Figlio di Dio. Non sorprende che anche padre Sosa tiri fuori la storiella che il demonio sia un’invenzione dei cristiani superstiziosi. La realtà vera sarebbe che il demonio è un simbolo del Male: l’astratto per il concreto, secondo il paradigma idealistico che regge tutta la teologia protestante (dipendente da Hegel e da Schelling) e tutta la teologia modernistica. 


    [Modificato da Caterina63 05/06/2017 00:46]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)