In tempi di fede fai da te come quelli che viviamo vedere che ci sono vescovi che fanno il loro mestiere non è cosa da poco. Non sappiamo se don Fredo Olivero sia sinceramente pentito di aver omesso e sbeffeggiato il Credo nel corso della messa natalizia di mezzanotte nella sua chiesa di San Rocco di Torino, ma almeno un paletto è stato stabilito: quello che i diritti di Dio vengono prima delle fantasiose e narcisistiche pretese dei suoi ministri.
La notizia del parroco che, suscitando il sorriso ilare dei suoi fedeli, non aveva detto il Credo perché «non ci credo» era stata data con ampio risalto dalla Nuova BQ tra lo sconcerto di molti fedeli. La notizia c'era tutta, anche perché, come sottolineavamo allora, se un prete ammette di non credere nel Credo, allora bisognerebbe alzare bandiera bianca e dichiarare la partita persa per sempre a tavolino. Della serie: che cosa ci sta a fare un prete a celebrar messa se per primo non ha la fede per credere le verità fondamentali della fede cattolica?
Qualcuno deve aver segnalato all'Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglial'articolo in questione, che avevamo corredato di fonte certa, la registrazione audio-video della messa, caricata su youtube, ma senza l'intento di denunciare i numerosi abusi che in essa vi erano compiuti. Il nostro articolo invece era critico e dava di quella messa show una lettura preoccupata circa la salute spirituale dei fedeli che vi assistevano. E a quel punto il vescovo non ha potuto fare altro che intervenire. Come?
Anzitutto facendo cancellare quel video che ora non compare più tra i disponibili della rete.
E poi con un intervento in prima persona. E' il quotidiano di Torino La Stampache ci informa che l'ordinario ha richiamato il sacerdote, il quale, sempre stando all'ammiraglia dell'informazione piemontese, ha fatto pubblica ammenda e promesso che d'ora in avanti proclamerà coram populo il Credo durante la messa. L'articolo non dice se il sacerdote sia o no sinceramente pentito. Ovviamente ha avanzato qualche timida giustificazione per il suo comportamento: «Ho fatto male a far cantare “Dolce sentire”. Ma non volevo affatto dire che “io non credo”». Piccola bugia, dato che se le parole sono importanti, aveva detto proprio l'esatto opposto. Ma in fondo non è questo il punto.
Non è tanto importante che il sacerdote sia tornato sui suoi passi, anche se costretto, se la vedrà con il suo confessore in coscienza, così come se verranno presi provvedimenti canonici a riguardo, quanto che un vescovo abbia utilizzato la sua autorità per il bene. Che in questo caso non è lasciare che un prete usi delle cose sacre come dispone il suo ego, ma sono i diritti di Dio e dei fedeli i quali non vanno calpestati dalle paturnie sentimentaliste di questo o quel sacerdote.
Può sembrare fastidioso spesso nel clima attuale della Chiesa volemosebbene denunciare gli abusi liturgici o le profanazioni delle Chiese o persino gli svarioni dottrinali di questo teologo o di quel pastore, ma è il solo modo che il popolo di Dio ha, oltre alla preghiera, di esercitare quella correzione fraterna senza la quale non c'è vera carità.
Chissà se a monsignor Nosiglia è stato fatto anche vedere l'intero video della messa prima di cancellarlo, dall'introito al post communio un concentrato di abusi e stramberie da far impallidire il più modernista dei liturgisti, a cominciare dallo stravolgimento delle parole della Liturgia Eucaristica e della consacrazione per finire con l'autocomunione dei fedeli, ma confidiamo che presto si prenda coscienza anche del fatto che tantissime messe, non solo quella di San Rocco, sono ormai pervase da una creatività liturgica che ha snaturato, profanandolo completamente il mistero, il sacro, il sacrificio e in definitiva l'Incontro perfetto che in esse avviene.
HUMANAE VITAE
Dopo la pubblicazione dell'intervento del teologo don Chiodi, membro della Pontificia Accademia per la Vita, che teorizza un "dovere" di contraccezione in alcune circostanze, fioccano le reazioni. «Sono tesi immorali, già condannate senza ambiguità da Giovanni Paolo II», dice il professor Seifert: «Don Chiodi deve ritrattare il suo errore o essere allontanato dall'Accademia per la Vita».
La relazione che don Maurizio Chiodi ha svolto il 14 dicembre scorso all’Università Gregoriana, e in cui affermava il “dovere” responsabile dei coniugi di usare sistemi contraccettivi, ha fatto scalpore e ha provocato risposte puntuali da parte di specialisti della materia. Ne citiamo due, quella del prof. Josef Seifert, presidente dell’Accademia Giovanni Paolo II per la Vita umana e la Famiglia, e quella del prof. Michael Pakaluk, ordinario all’Accademia Pontificia San Tommaso d’Aquino, oltre che docente alla Catholic University of America.
Seifert come vedremo illustra perché e come le tesi di don Chiodi siano profondamente contrarie agli insegnamenti della Chiesa e di Giovanni Paolo II in particolare, e conclude: «Possiamo solo sperare che papa Francesco, l’arcivescovo Paglia e la larga maggioranza dei membri della Pontiificia Accademia per la Vita chiedano a don Chiodi di correggere questi gravi errori, o di dimettersi immediatamente dall’illustre Accademia, il cui fondatore e padre spirituale Giovanni Paolo II combatté senza ambiguità e continuamente proprio contro quegli errori che don Chiodi ora propone, e li condannò in via definitiva».
Seifert, che è co-fondatore dell’Accademia Internazionale di Filosofia afferma che Chiodi nella sua relazione «propone posizioni etiche e filosofiche che sono profondamente erronee e totalmente distruttive non solo dell’insegnamento morale della Chiesa cattolica, ma anche dell’essenza della moralità, e in realtà di ogni verità e di ogni insegnamento della Chiesa». Queste sono il relativismo storico, la teoria del consenso e l’etica della situazione.
Secondo Seifert, quando don Chiodi afferma che le norme della legge naturale sono buone, ma sono storiche, «nega la perenne verità e validtà delle norme che ci dicono che la contraccezione e molti altri atti sono intrinsecamente sbagliati», per cui quello che poteva essere giusto nel 1968 non lo è più nel 2018. Inoltre Chiodi suggerisce, secondo il professore austriaco, che il fatto che un’ampia percentuale di coniugi cattolici pratichino la contraccezione prova che queste norme non sono più valide. «Con lo stesso diritto potrebbe sostenere che siamo giustificati a non parlare più del primo comandamento, di amare Dio sopra ogni cosa, o che quella norma non è più valida perché una maggioranza di cattolici non la adempie, o che non è più valido il comandamento di non dare falsa testimonianza perché la maggior parte della gente mente e calunnia».
E infine, conclude Seifert, quando don Chiodi facendo riferimento ad “Amoris Laetitia” afferma che alcune «circostanze proprio per amore di responsabilità, richiedono la contraccezione», «nega in realtà direttamente l’intrinseca erroneità della contraccezione insegnata magisterialmente da Paolo VI e dai suoi predecessori e successori e rende ciò che è buono o cattivo moralmente nella trasmissione della vita umana interamente dipendente dalle situazioni concrete». È l'etica delle situazioni, e tirando le conseguenze da queste affermazioni don Chiodi «suggerisce che in generale non esiste nessun atto intrinsecamente sbagliato…ma dipende dalla proporzione fra conseguenze buone e cattive». Quindi si verrebbe a negare anche l’intrinseca erroneità dell’aborto e dell’eutanasia e di molti altri atti. La teoria secondo cui c’è «un dovere alla contraccezione» è tale da contenere, secondo Seifert, «oltre all’aperto rigetto dell’insegnamento della Chiesa in Humanae Vitae, errori filosofici generali disastrosi», già respinti con forza da Giovanni Paolo II in Veritatis Splendor.
Michael Pakaluk non entra direttamente nella questione della relazione di don Chiodi, ma su The Catholic Thing lancia un allarme. Nel 2018, anno in cui si celebra il mezzo secolo di vita dell’enciclica di Paolo VI, «è probabile che assistiamo ad attacchi concertati sul suo insegnamento, che non saranno scoraggiati da varie azioni del Vaticano». E continua Pakaluk: «Il tipo di attacchi non è difficile da indovinare. Non prenderà la forma di una contraddizione diretta, ma piuttosto di un aggiramento – cambiamenti che svuoteranno Humanae Vitae del suo contenuto grazie a un supposto ‘approfondimento’ del suo significato».
Pakaluk identifica anche i protagonisti: saranno alcuni vescovi, principalmente da Paesi ricchi, e teologi da istituzioni accademiche. Si dirà che dal momento che l’80 per cento dei cattolici in alcune nazioni (non importa quanto bene pratichino la fede) rigettano Humanae Vitae, l’insegnamento non è stato “recepito”, e di conseguenza non è mai stato valido, almeno in quei Paesi, e quindi si chiederà un maggiore pluralismo. «Il consenso fra le persone illuminate a favore della contraccezione sarà citato come ‘un segno dei tempi’ e l’evidenza del lavoro dello Spirito Santo. Ci si dirà che la Chiesa deve ‘ascoltare’ queste persone in dialogo: infatti i Paul Erhlichs del mondo hanno già detto al Vaticano che alla luce della Laudato sì le coppie non dovrebbero aver più di due bambini». Ma si chiede Pakaluk, come è è praticabile quella politica «senza contraccezione artificiale?».