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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ 
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo 
Sabato, 15 agosto 2009

 

Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle

L'odierna solennità corona il ciclo delle grandi celebrazioni liturgiche nelle quali siamo chiamati a contemplare il ruolo della Beata Vergine Maria nella Storia della salvezza. Infatti, l'Immacolata Concezione, l'Annunciazione, la Divina Maternità e l'Assunzione sono tappe fondamentali, intimamente connesse tra loro, con cui la Chiesa esalta e canta il glorioso destino della Madre di Dio, ma nelle quali possiamo leggere anche la nostra storia. Il mistero della concezione di Maria richiama la prima pagina della vicenda umana, indicandoci che, nel disegno divino della creazione, l’uomo avrebbe dovuto avere la purezza e la bellezza dell'Immacolata. Quel disegno compromesso, ma non distrutto dal peccato, attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, annunciata e realizzata in Maria, è stato ricomposto e restituito alla libera accettazione dell'uomo nella fede. Nell’Assunzione di Maria, contempliamo, infine, ciò che siamo chiamati a raggiungere nella sequela di Cristo Signore e nell'obbedienza alla sua Parola, al termine del nostro cammino sulla terra.

La tappa ultima del pellegrinaggio terreno della Madre di Dio ci invita a guardare al modo in cui Ella ha percorso il suo cammino verso la meta dell’eternità gloriosa.

Nel brano del Vangelo appena proclamato, san Luca racconta che Maria, dopo l’annuncio dell’Angelo, “si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa” per fare visita ad Elisabetta (Lc 1, 39). L’evangelista, dicendo questo, vuole sottolineare che per Maria seguire la propria vocazione, nella docilità allo Spirito di Dio, che ha operato in Lei l’incarnazione del Verbo, significa percorrere una nuova strada ed intraprendere subito un cammino fuori della propria casa, lasciandosi condurre solamente da Dio. Sant’Ambrogio, commentando la “fretta” di Maria, afferma: “la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze” (Expos. Evang. sec. Lucam, II, 19: PL 15,1560). La vita della Madonna è condotta da un Altro - “Ecco la serva del Signore: avvenga in me secondo la tua parola” (Lc1,38) - è modellata dallo Spirito Santo, è segnata da eventi ed incontri, come quello con Elisabetta, ma soprattutto dalla particolarissima relazione con il suo figlio Gesù. E’ un cammino nel quale Maria, serbando e meditando nel cuore gli avvenimenti della propria esistenza, scorge in essi in modo sempre più profondo il misterioso disegno di Dio Padre, per la salvezza del mondo.

Seguendo poi Gesù da Betlemme all’esilio in Egitto, nella vita nascosta e in quella pubblica, fino ai piedi della Croce, Maria vive la sua costante ascesa verso Dio nello spirito del Magnificat, aderendo pienamente, anche nel momento dell’oscurità e della sofferenza, al progetto d’amore di Dio e alimentando nel cuore l’abbandono totale nelle mani del Signore, così da essere paradigma per la fede della Chiesa (cfr Lumen gentium, 64-65)

Tutta la vita è un’ascensione, tutta la vita è meditazione, obbedienza, fiducia e speranza, anche nelle oscurità; e tutta la vita è questa “sacra fretta”, che sa che Dio è sempre la priorità e nient’altro deve creare fretta nella nostra esistenza.

E, finalmente, l’Assunzione ci ricorda che la vita di Maria, come quella di ogni cristiano, è un cammino alla sequela, la sequela di Gesù, un cammino che ha una meta ben precisa, un futuro già tracciato: la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte e la comunione piena con Dio, perché – come dice Paolo nella Lettera agli Efesini - il Padre “ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli in Cristo Gesù” (Ef 2,6). Ciò vuol dire che con il Battesimo siamo fondamentalmente già risuscitati e sediamo nei cieli in Cristo Gesù, ma dobbiamo corporalmente raggiungere quanto già cominciato e realizzato nel Battesimo. In noi l’unione con Cristo, la risurrezione, è incompiuta, ma per la Vergine Maria essa è compiuta, nonostante il cammino che anche la Madonna ha dovuto fare. Ella è entrata nella pienezza dell’unione con Dio, con il suo Figlio, e ci attira e ci accompagna nel nostro cammino.

In Maria assunta in cielo contempliamo, allora, Colei che, per singolare privilegio, è resa partecipe con l’anima e con il corpo della definitiva vittoria di Cristo sulla morte. “Compiuto il corso della vita terrena – dice il Concilio Vaticano II - fu assunta alla gloria celeste in corpo e anima, ed esaltata dal Signore come Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, Signore dei signori (cfr Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte” (Lumen gentium, 59). Nella Vergine Assunta in cielo contempliamo il coronamento della sua fede, di quel cammino di fede che Ella indica alla Chiesa e a ciascuno di noi: Colei che in ogni momento ha accolto la Parola di Dio, è assunta in cielo, cioè è accolta Lei stessa dal Figlio, in quella “dimora” che ci ha preparato con la sua morte e risurrezione (cfr Gv 14,2-3).

La vita dell’uomo sulla terra – come ci ha ricordato la prima lettura – è un cammino che si svolge, costantemente, nella tensione della lotta tra il drago e la donna, tra il bene e il male, E’ questa la situazione della storia umana: è come un viaggio in un mare spesso burrascoso; Maria è la stella, che ci guida verso il Figlio suo Gesù, sole sorto sopra le tenebre della storia” (cfr Spe salvi, 49) e ci dona la speranza di cui abbiamo bisogno: la speranza che possiamo vincere, che Dio ha vinto e che, con il Battesimo, siamo entrati in questa vittoria. Non soccombiamo definitivamente: Dio ci aiuta, ci guida. Questa è la speranza: questa presenza del Signore in noi, che diventa visibile in Maria assunta in cielo. “In Lei (…) - leggeremo tra poco nel Prefazio di questa Solennità – hai fatto risplendere per il tuo popolo pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza”.

Con San Bernardo, mistico cantore della Vergine Santa, così la invochiamo: “Ti preghiamo, o benedetta, per la grazia che tu trovasti, per quelle prerogative che tu meritasti, per la Misericordia che tu partoristi, fa’ che colui che per te s’è degnato di farsi partecipe della nostra miseria ed infermità, grazie alla tua preghiera, ci faccia partecipi delle sue grazie, della sua beatitudine ed eterna gloria, Gesù Cristo, Figlio tuo, Signore nostro, il quale è sopra tutte le cose, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen” (Sermo 2 de Adventu, 5: PL 183, 43).

 

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 SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ 
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo 
Domenica, 15 agosto 2010

(Video)
Immagini della celebrazione

 

Eminenza, Eccellenza, Autorità,
Cari fratelli e sorelle,

oggi la Chiesa celebra una delle più importanti feste dell’anno liturgico dedicate a Maria Santissima: l’Assunzione. Al termine della sua vita terrena, Maria è stata portata in anima e corpo nel Cielo, cioè nella gloria della vita eterna, nella piena e perfetta comunione con Dio.

Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario da quando il Venerabile Papa Pio XII, il 1° novembre 1950, definì solennemente questo dogma, e vorrei leggere – anche se è un po’ complicato – la forma della dogmatizzazione. Dice il Papa: «in tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua Concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del Divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli» (Cost. ap. Munificentissimus DeusAAS 42 (1950), 768-769).

Questo, quindi, è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, «in anima e corpo».

San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci aiuta a gettare un po’ di luce su questo mistero partendo dal fatto centrale della storia umana e della nostra fede: il fatto, cioè, della risurrezione di Cristo, che è «la primizia di coloro che sono morti». Immersi nel Suo Mistero pasquale, noi siamo resi partecipi della sua vittoria sul peccato e sulla morte. Qui sta il segreto sorprendente e la realtà chiave dell’intera vicenda umana. San Paolo ci dice che tutti siamo «incorporati» in Adamo, il primo e vecchio uomo, tutti abbiamo la stessa eredità umana alla quale appartiene: la sofferenza, la morte, il peccato. Ma a questa realtà che noi tutti possiamo vedere e vivere ogni giorno aggiunge una cosa nuova: noi siamo non solo in questa eredità dell’unico essere umano, incominciato con Adamo, ma siamo «incorporati» anche nel nuovo uomo, in Cristo risorto, e così la vita della Risurrezione è già presente in noi. Quindi, questa prima «incorporazione» biologica è incorporazione nella morte, incorporazione che genera la morte. La seconda, nuova, che ci è donata nel Battesimo, è ««incorporazione» che da la vita. Cito ancora la seconda Lettura di oggi; dice San Paolo: «Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. » (1Cor 15, 21-24).

Ora, ciò che san Paolo afferma di tutti gli uomini, la Chiesa, nel suo Magistero infallibile, lo dice di Maria, in un modo e senso precisi: la Madre di Dio viene inserita a tal punto nel Mistero di Cristo da essere partecipe della Risurrezione del suo Figlio con tutta se stessa già al termine della vita terrena; vive quello che noi attendiamo alla fine dei tempi quando sarà annientato «l’ultimo nemico», la morte (cfr 1Cor 15, 26); vive già quello che proclamiamo nel Credo «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».

Allora ci possiamo chiedere: quali sono le radici di questa vittoria sulla morte prodigiosamente anticipata in Maria? Le radici stanno nella fede della Vergine di Nazareth, come testimonia il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 1,39-56): una fede che è obbedienza alla Parola di Dio e abbandono totale all’iniziativa e all’azione divina, secondo quanto le annuncia l’Arcangelo. La fede, dunque, è la grandezza di Maria, come proclama gioiosamente Elisabetta: Maria è «benedetta fra le donne», «benedetto è il frutto del suo grembo» perché è «la madre del Signore», perché crede e vive in maniera unica la «prima» delle beatitudini, la beatitudine della fede. Elisabetta lo confessa nella gioia sua e del bambino che le sussulta in grembo: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (v. 45). Cari amici! Non ci limitiamo ad ammirare Maria nel suo destino di gloria, come una persona molto lontana da noi: no! Siamo chiamati a guardare quanto il Signore, nel suo amore, ha voluto anche per noi, per il nostro destino finale: vivere tramite la fede nella comunione perfetta di amore con Lui e così vivere veramente.

A questo riguardo, vorrei soffermarmi su un aspetto dell’affermazione dogmatica, là dove si parla di assunzione alla gloria celeste. Noi tutti oggi siamo ben consapevoli che col termine «cielo» non ci riferiamo ad un qualche luogo dell’universo, a una stella o a qualcosa di simile: no. Ci riferiamo a qualcosa di molto più grande e difficile da definire con i nostri limitati concetti umani. Con questo termine «cielo» vogliamo affermare che Dio, il Dio fattosi vicino a noi non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi e ci dona l’eternità; vogliamo affermare che in Dio c’è un posto per noi. Per comprendere un po’ di più questa realtà guardiamo alla nostra stessa vita: noi tutti sperimentiamo che una persona, quando è morta, continua a sussistere in qualche modo nella memoria e nel cuore di coloro che l’hanno conosciuta ed amata. Potremmo dire che in essi continua a vivere una parte di questa persona, ma è come un’«ombra» perché anche questa sopravvivenza nel cuore dei propri cari è destinata a finire. Dio invece non passa mai e noi tutti esistiamo in forza del Suo amore. Esistiamo perché egli ci ama, perché egli ci ha pensati e ci ha chiamati alla vita. Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. Esistiamo in tutta la nostra realtà, non solo nella nostra «ombra». La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità.

E’ il suo Amore che vince la morte e ci dona l’eternità, ed è questo amore che chiamiamo «cielo»: Dio è così grande da avere posto anche per noi. E l’uomo Gesù, che è al tempo stesso Dio, è per noi la garanzia che essere-uomo ed essere-Dio possono esistere e vivere eternamente l’uno nell’altro. Questo vuol dire che di ciascuno di noi non continuerà ad esistere solo una parte che ci viene, per così dire, strappata, mentre altre vanno in rovina; vuol dire piuttosto che Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Tutto l’uomo, tutta la sua vita viene presa da Dio ed in Lui purificata riceve l’eternità. Cari Amici! Io penso che questa sia una verità che ci deve riempire di gioia profonda. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, «la vita del mondo che verrà»: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio. Tutti i capelli del nostro capo sono contati, disse un giorno Gesù (cfr Mt 10,30). Il mondo definitivo sarà il compimento anche di questa terra, come afferma san Paolo: «la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm8,21). Allora si comprende come il cristianesimo doni una speranza forte in un futuro luminoso ed apra la strada verso la realizzazione di questo futuro. Noi siamo chiamati, proprio come cristiani, ad edificare questo mondo nuovo, a lavorare affinché diventi un giorno il «mondo di Dio», un mondo che sorpasserà tutto ciò che noi stessi potremmo costruire. In Maria Assunta in cielo, pienamente partecipe della Risurrezione del Figlio, noi contempliamo la realizzazione della creatura umana secondo il «mondo di Dio».

Preghiamo il Signore affinché ci faccia comprendere quanto è preziosa ai Suo occhi tutta la nostra vita; rafforzi la nostra fede nella vita eterna; ci renda uomini della speranza, che operano per costruire un mondo aperto a Dio, uomini pieni di gioia, che sanno scorgere la bellezza del mondo futuro in mezzo agli affanni della vita quotidiana e in tale certezza vivono, credono e sperano.

Amen!

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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ 
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo 
Lunedì, 15 agosto 2011

(Video)

 

Cari fratelli e sorelle,

ci ritroviamo riuniti, ancora una volta, a celebrare una delle più antiche e amate feste dedicate a Maria Santissima: la festa della sua assunzione alla gloria del Cielo in anima e corpo, cioè in tutto il suo essere umano, nell’integrità della sua persona. Ci è data così la grazia di rinnovare il nostro amore a Maria, di ammirarla e di lodarla per le “grandi cose” che l’Onnipotente ha fatto per Lei e che ha operato in Lei.

Nel contemplare la Vergine Maria ci è data un’altra grazia: quella di poter vedere in profondità anche la nostra vita. Sì, perché anche la nostra esistenza quotidiana, con i suoi problemi e le sue speranze, riceve luce dalla Madre di Dio, dal suo percorso spirituale, dal suo destino di gloria: un cammino e una meta che possono e devono diventare, in qualche modo, il nostro stesso cammino e la nostra stessa meta. Ci lasciamo guidare dai brani della Sacra Scrittura che la liturgia oggi ci propone. Vorrei soffermarmi, in particolare, su un’immagine che troviamo nella prima lettura, tratta dall’Apocalisse, e alla quale fa eco il vangelo di Luca: cioè, quella dell’arca.

Nella prima lettura, abbiamo ascoltato: “Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza” (Ap11,19). Qual è il significato dell’arca? Che cosa appare? Per l’Antico Testamento, essa è il simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Ma ormai il simbolo ha ceduto il posto alla realtà. Così il Nuovo Testamento ci dice che la vera arca dell’alleanza è una persona viva e concreta: è la Vergine Maria. Dio non abita in un mobile, Dio abita in una persona, in un cuore: Maria, Colei che ha portato nel suo grembo il Figlio eterno di Dio fatto uomo, Gesù nostro Signore e Salvatore. Nell’arca – come sappiamo – erano conservate le due tavole della legge di Mosè, che manifestavano la volontà di Dio di mantenere l’alleanza con il suo popolo, indicandone le condizioni per essere fedeli al patto di Dio, per conformarsi alla volontà di Dio e così anche alla nostra verità profonda. Maria è l’arca dell’alleanza, perché ha accolto in sé Gesù; ha accolto in sé la Parola vivente, tutto il contenuto della volontà di Dio, della verità di Dio; ha accolto in sé Colui che è la nuova ed eterna alleanza, culminata con l’offerta del suo corpo e del suo sangue: corpo e sangue ricevuti da Maria. A ragione, dunque, la pietà cristiana, nelle litanie in onore della Madonna, si rivolge a Lei invocandola come Foederis Arca, ossia “arca dell’alleanza”, arca della presenza di Dio, arca dell’alleanza d’amore che Dio ha voluto stringere in modo definitivo con tutta l’umanità in Cristo.

Il brano dell’Apocalisse vuole indicare un altro aspetto importante della realtà di Maria. Ella, arca vivente dell’alleanza, ha un destino di gloria straordinaria, perché è così strettamente unita al Figlio che ha accolto nella fede e generato nella carne, da condividerne pienamente la gloria del cielo. E’ quanto ci suggeriscono le parole ascoltate: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta… Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni…” (12,1-2; 5). La grandezza di Maria, Madre di Dio, piena di grazia, pienamente docile all’azione dello Spirito Santo, vive già nel Cielo di Dio con tutta se stessa, anima e corpo. San Giovanni Damasceno riferendosi a questo mistero in una famosa Omelia afferma: “Oggi la santa e unica Vergine è condotta al tempio celeste … Oggi l’arca sacra e animata del Dio Vivente, [l’arca] che ha portato in grembo il proprio Artefice, si riposa nel tempio del Signore, non costruito da mano d’uomo” (Omelia II sulla Dormizione, 2, PG 96, 723) e continua: “Bisognava che colei che aveva ospitato nel suo grembo il Logos divino, si trasferisse nei tabernacoli del Figlio suo … Bisognava che la Sposa che il Padre si era scelta, abitasse nella stanza nuziale del Cielo” (ibid., 14, PG 96, 742). Oggi la Chiesa canta l’amore immenso di Dio per questa sua creatura: l’ha scelta come vera “arca dell’alleanza”, come Colei che continua a generare e a donare Cristo Salvatore all’umanità, come Colei che in cielo condivide la pienezza della gloria e gode della felicità stessa di Dio e, nello stesso tempo, invita anche noi a divenire, nel nostro modo modesto, “arca” nella quale è presente la Parola di Dio, che è trasformata e vivificata dalla sua presenza, luogo della presenza di Dio, affinché gli uomini possano incontrare nell’altro uomo la vicinanza di Dio e così vivere in comunione con Dio e conoscere la realtà del Cielo.

Il vangelo di Luca appena ascoltato (cfr Lc 1,39-56), ci mostra quest’arca vivente, che è Maria, in movimento: lasciata la sua casa di Nazaret, Maria si mette in viaggio verso la montagna per raggiungere in fretta una città di Giuda e recarsi nella casa di Zaccaria e di Elisabetta. Mi sembra importante sottolineare l’espressione “in fretta”: le cose di Dio meritano fretta, anzi le uniche cose del mondo che meritano fretta sono proprio quelle di Dio, che hanno la vera urgenza per la nostra vita. Allora Maria entra in questa casa di Zaccaria e di Elisabetta, ma non entra sola. Vi entra portando in grembo il figlio, che è Dio stesso fatto uomo. Certamente c’era attesa di lei e del suo aiuto in quella casa, ma l’evangelista ci guida a comprendere che questa attesa rimanda ad un’altra, più profonda. Zaccaria, Elisabetta e il piccolo Giovanni Battista sono, infatti, il simbolo di tutti i giusti di Israele, il cui cuore, ricco di speranza, attende la venuta del Messia salvatore. Ed è lo Spirito Santo ad aprire gli occhi di Elisabetta e a farle riconoscere in Maria la vera arca dell’alleanza, la Madre di Dio, che viene a visitarla. E così l’anziana parente l’accoglie dicendole “a gran voce”: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc1,42-43). Ed è lo stesso Spirito Santo che davanti a Colei che porta il Dio fattosi uomo, apre il cuore di Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta. Elisabetta, esclama: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (v. 44). Qui l’evangelista Luca usa il termine skirtan”, cioè “saltellare”, lo stesso termine che troviamo in una delle antiche traduzioni greche dell’Antico Testamento per descrivere la danza del Re Davide davanti all’arca santa che è tornata finalmente in patria (2Sam 6,16). Giovanni Battista nel grembo della madre danza davanti all’arca dell’Alleanza, come Davide; e riconosce così: Maria è la nuova arca dell’alleanza, davanti alla quale il cuore esulta di gioia, la Madre di Dio presente nel mondo, che non tiene per sé questa divina presenza, ma la offre condividendo la grazia di Dio. E così – come dice la preghiera – Maria realmente è “causa nostrae laetitiae”, l’”arca” nella quale realmente il Salvatore è presente tra di noi.

Cari fratelli! Stiamo parlando di Maria, ma, in un certo senso, stiamo parlando anche di noi, di ciascuno di noi: anche noi siamo destinatari di quell’amore immenso che Dio ha riservato - certo, in una maniera assolutamente unica e irripetibile - a Maria. In questa Solennità dell’Assunzione guardiamo a Maria: Ella ci apre alla speranza, ad un futuro pieno di gioia e ci insegna la via per raggiungerlo: accogliere nella fede, il suo Figlio; non perdere mai l’amicizia con Lui, ma lasciarci illuminare e guidare dalla sua parola; seguirlo ogni giorno, anche nei momenti in cui sentiamo che le nostre croci si fanno pesanti. Maria, l’arca dell’alleanza che sta nel santuario del Cielo, ci indica con luminosa chiarezza che siamo in cammino verso la nostra vera Casa, la comunione di gioia e di pace con Dio. Amen!

 
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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia Pontificia San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo 
Mercoledì, 15 agosto 201
2

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Cari fratelli e sorelle,

il 1° novembre 1950, il Venerabile Papa Pio XII proclamava come dogma che la Vergine Maria «terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Questa verità di fede era conosciuta dalla Tradizione, affermata dai Padri della Chiesa, ed era soprattutto un aspetto rilevante del culto reso alla Madre di Cristo. Proprio l’elemento cultuale costituì, per così dire, la forza motrice che determinò la formulazione di questo dogma: il dogma appare un atto di lode e di esaltazione nei confronti della Vergine Santa. Questo emerge anche dal testo stesso della Costituzione apostolica, dove si afferma che il dogma è proclamato «ad onore del Figlio, a glorificazione della Madre ed a gioia di tutta la Chiesa». Venne espresso così nella forma dogmatica ciò che era stato già celebrato nel culto e nella devozione del Popolo di Dio come la più alta e stabile glorificazione di Maria: l’atto di proclamazione dell’Assunta si presentò quasi come una liturgia della fede. E nel Vangelo che abbiamo ascoltato ora, Maria stessa pronuncia profeticamente alcune parole che orientano in questa prospettiva. Dice: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). E’ una profezia per tutta la storia della Chiesa. Questa espressione del Magnificat, riferita da san Luca, indica che la lode alla Vergine Santa, Madre di Dio, intimamente unita a Cristo suo figlio, riguarda la Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi. E l’annotazione di queste parole da parte dell’Evangelista presuppone che la glorificazione di Maria fosse già presente al periodo di san Luca ed egli la ritenesse un dovere e un impegno della comunità cristiana per tutte le generazioni. Le parole di Maria dicono che è un dovere della Chiesa ricordare la grandezza della Madonna per la fede. Questa solennità è un invito quindi a lodare Dio, e a guardare alla grandezza della Madonna, perché chi è Dio lo conosciamo nel volto dei suoi.

Ma perché Maria viene glorificata con l’assunzione al Cielo? San Luca, come abbiamo ascoltato, vede la radice dell’esaltazione e della lode a Maria nell’espressione di Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). E il Magnificat, questo canto al Dio vivo e operante nella storia è un inno di fede e di amore, che sgorga dal cuore della Vergine. Ella ha vissuto con fedeltà esemplare e ha custodito nel più intimo del suo cuore le parole di Dio al suo popolo, le promesse fatte ad Abramo, Isacco e Giacobbe, facendone il contenuto della sua preghiera: la Parola di Dio era nel Magnificat diventata la parola di Maria, lampada del suo cammino, così da renderla disponibile ad accogliere anche nel suo grembo il Verbo di Dio fatto carne. L’odierna pagina evangelica richiama questa presenza di Dio nella storia e nello stesso svolgersi degli eventi; in particolare vi è un riferimento al Secondo libro di Samuele nel capitolo sesto (6,1-15), in cui Davide trasporta l’Arca Santa dell’Alleanza. Il parallelo che fa l’Evangelista è chiaro: Maria in attesa della nascita del Figlio Gesù è l’Arca Santa che porta in sé la presenza di Dio, una presenza che è fonte di consolazione, di gioia piena. Giovanni, infatti, danza nel grembo di Elisabetta, esattamente come Davide danzava davanti all’Arca. Maria è la «visita» di Dio che crea gioia. Zaccaria, nel suo canto di lode lo dirà esplicitamente: «Benedetto il Signore, Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo» (Lc 1,68). La casa di Zaccaria ha sperimentato la visita di Dio con la nascita inattesa di Giovanni Battista, ma soprattutto con la presenza di Maria, che porta nel suo grembo il Figlio di Dio.

Ma adesso ci domandiamo: che cosa dona al nostro cammino, alla nostra vita, l’Assunzione di Maria? La prima risposta è: nell’Assunzione vediamo che in Dio c’è spazio per l’uomo, Dio stesso è la casa dai tanti appartamenti della quale parla Gesù (cfr Gv14,2); Dio è la casa dell’uomo, in Dio c’è spazio di Dio. E Maria, unendosi, unita a Dio, non si allontana da noi, non va su una galassia sconosciuta, ma chi va a Dio si avvicina, perché Dio è vicino a tutti noi, e Maria, unita a Dio, partecipa della presenza di Dio, è vicinissima a noi, ad ognuno di noi. C’è una bella parola di San Gregorio Magno su San Benedetto che possiamo applicare ancora anche a Maria: San Gregorio Magno dice che il cuore di San Benedetto è divenuto così grande che tutto il creato poteva entrare in questo cuore. Questo vale ancora più per Maria: Maria, unita totalmente a Dio, ha un cuore così grande che tutta la creazione può entrare in questo cuore, e gli ex-voto in tutte le parti della terra lo dimostrano. Maria è vicina, può ascoltare, può aiutare, è vicina a tutti noi. In Dio c’è spazio per l’uomo, e Dio è vicino, e Maria, unita a Dio, è vicinissima, ha il cuore largo come il cuore di Dio.

Ma c’è anche l’altro aspetto: non solo in Dio c’è spazio per l’uomo; nell’uomo c’è spazio per Dio. Anche questo vediamo in Maria, l’Arca Santa che porta la presenza di Dio. In noi c’è spazio per Dio e questa presenza di Dio in noi, così importante per illuminare il mondo nella sua tristezza, nei suoi problemi, questa presenza si realizza nella fede: nella fede apriamo le porte del nostro essere così che Dio entri in noi, così che Dio può essere la forza che dà vita e cammino al nostro essere. In noi c’è spazio, apriamoci come Maria si è aperta, dicendo: «Sia realizzata la Tua volontà, io sono serva del Signore». Aprendoci a Dio, non perdiamo niente. Al contrario: la nostra vita diventa ricca e grande.

E così, fede e speranza e amore si combinano. Ci sono oggi molte parole su un mondo migliore da aspettarsi: sarebbe la nostra speranza. Se e quando questo mondo migliore viene, non sappiamo, non so. Sicuro è che un mondo che si allontana da Dio non diventa migliore, ma peggiore. Solo la presenza di Dio può garantire anche un mondo buono. Ma lasciamo questo.

Una cosa, una speranza è sicura: Dio ci aspetta, ci attende, non andiamo nel vuoto, siamo aspettati. Dio ci aspetta e troviamo, andando all’altro mondo, la bontà della Madre, troviamo i nostri, troviamo l’Amore eterno. Dio ci aspetta: questa è la nostra grande gioia e la grande speranza che nasce proprio da questa festa. Maria ci visita, ed è la gioia della nostra vita e la gioia è speranza.

Cosa dire quindi? Cuore grande, presenza di Dio nel mondo, spazio di Dio in noi e spazio di Dio per noi, speranza, essere aspettati: questa è la sinfonia di questa festa, l’indicazione che la meditazione di questa Solennità ci dona. Maria è aurora e splendore della Chiesa trionfante; lei è la consolazione e la speranza per il popolo ancora in cammino, dice il Prefazio di oggi. Affidiamoci alla sua materna intercessione, affinché ci ottenga dal Signore di rafforzare la nostra fede nella vita eterna; ci aiuti a vivere bene il tempo che Dio ci offre con speranza. Una speranza cristiana, che non è soltanto nostalgia del Cielo, ma vivo e operoso desiderio di Dio qui nel mondo, desiderio di Dio che ci rende pellegrini infaticabili, alimentando in noi il coraggio e la forza della fede, che nello stesso tempo è coraggio e forza dell'amore. Amen.

 
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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)