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VI. Dalla conversione delle persone a quella delle strutture


34. In tale processo di rinnovamento e di ristrutturazione, la parrocchia deve evitare il rischio di cadere in una eccessiva e burocratica organizzazione di eventi e in un’offerta di servizi, che non esprimono la dinamica dell’evangelizzazione, bensì il criterio dell’autopreservazione[40].


Citando San Paolo VI, Papa Francesco, con la sua abituale parresia, ha fatto presente che «la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio. (…) Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza ‘fedeltà della Chiesa alla propria vocazione’, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo»[41].


35. La conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi, richiede “a monte” un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale. Per essere fedeli al mandato di Cristo, i pastori, e in modo particolare i parroci, «principali collaboratori del Vescovo»[42], devono avvertire con urgenza la necessità di una riforma missionaria della pastorale.


36. Tenendo presente quanto la comunità cristiana sia legata alla propria storia e ai propri affetti, ogni pastore non deve dimenticare che la fede del Popolo di Dio si rapporta alla memoria familiare e a quella comunitaria. Molto spesso, il luogo sacro evoca momenti di vita significativi delle generazioni passate, volti ed eventi che hanno segnato itinerari personali e familiari. Onde evitare traumi e ferite, è importante che i processi di ristrutturazione delle comunità parrocchiali e, talvolta, diocesane siano portati a compimento con flessibilità e gradualità.


Papa Francesco ha sottolineato in riferimento alla riforma della Curia Romana, che la gradualità «è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni “ad experimentum”. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma»[43]. Si tratta di fare attenzione a non “forzare i tempi”, volendo condurre a termine le riforme troppo frettolosamente e con criteri generici, che obbediscono a logiche elaborate “a tavolino”, dimenticando le persone concrete che abitano il territorio. Infatti, ogni progetto va situato nella vita reale di una comunità e innestato in essa senza traumi, con una necessaria fase di consultazione previa e una di progressiva attuazione, e di verifica.


37. Tale rinnovamento, naturalmente, non riguarda unicamente il parroco, né può essere imposto dall’alto escludendo il Popolo di Dio. La conversione pastorale delle strutture implica la consapevolezza che «il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo; per tanto, all’ora di riflettere, pensare, valutare, discernere dobbiamo essere molto attenti a questa unzione. Ogni volta che, come Chiesa, come pastori, come consacrati abbiamo dimenticato questa certezza sbagliamo la strada. Ogni volta che vogliamo soppiantare, far tacere, annientare, ignorare o ridurre a piccole élite il Popolo di Dio nella sua totalità e nelle sue differenze, costruiamo comunità, piani pastorali, accentuazioni teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza storia, senza volto, senza memoria, senza corpo, di fatto, senza vita. Nel momento in cui ci sradichiamo dalla vita del Popolo di Dio, precipitiamo nella desolazione e pervertiamo la natura della Chiesa»[44].


In tal senso, il clero non opera da solo la trasformazione sollecitata dallo Spirito Santo, ma è coinvolto nella conversione che riguarda tutte le componenti del Popolo di Dio[45]. Perciò, occorre «cercare con consapevolezza e lucidità spazi di comunione e di partecipazione, perché l’Unzione dell’intero Popolo di Dio trovi le sue mediazioni concrete per manifestarsi»[46].


38. Di conseguenza, è evidente quanto sia opportuno il superamento tanto di una concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto di una “clericalizzazione della pastorale”. Prendere sul serio il fatto che il Popolo di Dio «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio»[47], spinge a promuovere pratiche e modelli tramite i quali ogni battezzato, in virtù del dono dello Spirito Santo e dei carismi ricevuti, si rende protagonista attivo dell’evangelizzazione, nello stile e nelle modalità di una comunione organica, sia con le altre comunità parrocchiali che con la pastorale d’insieme della diocesi. Infatti, è la comunità intera il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio.


39. Sarà compito dei pastori mantenere viva tale dinamica, perché ogni battezzato si scopra protagonista attivo dell’evangelizzazione. La comunità presbiterale, sempre in cammino di formazione permanente[48], dovrà esercitare con sapienza l’arte del discernimento che permette alla vita parrocchiale di crescere e di maturare, nel riconoscimento delle diverse vocazioni e ministeri. Il presbitero, quindi, come membro e servitore del Popolo di Dio che gli è stato affidato, non può sostituirsi a esso. La comunità parrocchiale è abilitata a proporre forme di ministerialità, di annuncio della fede e di testimonianza della carità.


40. La centralità dello Spirito Santo – dono gratuito del Padre e del Figlio alla Chiesa – porta a vivere profondamente la dimensione della gratuità, secondo l’insegnamento di Gesù: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8). Egli ha insegnato ai discepoli un atteggiamento di servizio generoso, a essere ciascuno un dono per gli altri (cfr. Gv 13, 14-15), con una attenzione preferenziale verso i poveri. Da qui deriva, tra l’altro, l’esigenza di non “mercanteggiare” la vita sacramentale e di non dare l’impressione che la celebrazione dei sacramenti – soprattutto la Santissima Eucaristia – e le altre azioni ministeriali possano essere soggette a tariffari.


Il pastore, che serve il gregge con generosa gratuità, è tenuto, d’altra parte, a formare i fedeli, affinché ogni membro della comunità si senta responsabilmente e direttamente coinvolto nel sovvenire ai bisogni della Chiesa, attraverso le diverse forme di aiuto e di solidarietà, di cui la parrocchia necessita per svolgere, con libertà ed efficacia, il proprio servizio pastorale.


41. La missione a cui è chiamata la parrocchia, in quanto centro propulsore dell’evangelizzazione, riguarda dunque tutto il Popolo di Dio nelle sue diverse componenti: presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici, ciascuno secondo il proprio carisma e secondo le responsabilità che gli corrispondono.


VII. La Parrocchia e le altre ripartizioni interne alla diocesi


42. La conversione pastorale della comunità parrocchiale in senso missionario, quindi, prende forma e si esprime in un processo graduale di rinnovamento delle strutture e, di conseguenza, in modalità diversificate di affidamento della cura pastorale e di partecipazione all’esercizio di essa, che coinvolgono tutte le componenti del Popolo di Dio.


43. Nel linguaggio corrente, mutuato dai documenti del Magistero, in relazione alla ripartizione interna del territorio diocesano[49], da alcuni decenni si sono aggiunte alla parrocchia e ai vicariati foranei, già previsti dal vigente Codice di Diritto Canonico[50], espressioni quali “unità pastorale” e “zona pastorale”. Tali denominazioni definiscono di fatto forme di organizzazione pastorale della diocesi, che esprimono un nuovo rapporto tra i fedeli e il territorio.


44. In tema di “unità” o “zone pastorali”, nessuno ovviamente pensi che la soluzione delle molteplici problematiche dell’ora presente si dia attraverso una semplice nuova denominazione per realtà già esistenti. Al cuore di tale processo di rinnovamento, evitando di subire il cambiamento e impegnandosi piuttosto a promuoverlo e a orientarlo, si trova invece l’esigenza di individuare strutture attraverso cui ravvivare in tutte le componenti della comunità cristiana la comune vocazione all’evangelizzazione, in vista di una più efficace cura pastorale del Popolo di Dio, in cui il “fattore chiave” non può che essere la prossimità.


45. In tale prospettiva, la normativa canonica mette in evidenza la necessità di individuare all’interno di ogni diocesi parti territoriali distinte[51], con la possibilità che esse siano successivamente raggruppate in realtà intermedie tra la diocesi stessa e la singola parrocchia. In conseguenza di ciò, quindi, tenuto conto delle dimensioni della diocesi e della sua concreta realtà pastorale, si possono individuare varie tipologie di raggruppamenti di parrocchie[52].


Al cuore degli stessi vive e opera la dimensione comunionale della Chiesa, con una particolare attenzione al territorio concreto, per cui nella loro erezione si deve tenere conto il più possibile dell’omogeneità della popolazione e delle sue consuetudini, nonché delle caratteristiche comuni del territorio, per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali[53].


VII.a. Come procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie


46. Innanzitutto, prima di procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie, il Vescovo deve necessariamente consultare in merito il Consiglio presbiterale[54], nel rispetto della normativa canonica e in nome della doverosa corresponsabilità ecclesiale, condivisa a diverso titolo tra il Vescovo e i membri di tale Consiglio.


47. Innanzitutto, i raggruppamenti di più parrocchie possono avvenire in semplice forma federativa, in modo che le parrocchie associate rimangano distinte nella loro identità.


Conformemente all’ordinamento canonico, comunque, nello stabilire ogni genere di raggruppamenti di parrocchie vicine, inoltre, va da sé che debbano essere rispettati gli elementi essenziali stabiliti dal diritto universale per la persona giuridica della parrocchia, i quali non sono dispensabili dal Vescovo[55]. Egli dovrà quindi emettere per ogni parrocchia che intenda eventualmente sopprimere un decreto specifico, corredato dalle motivazioni pertinenti[56].


48. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, il raggruppamento, nonché l’erezione o soppressione di parrocchie, va realizzato dal Vescovo diocesano nel rispetto della normativa prevista dal Diritto Canonico, cioè mediante incorporazione, per cui una parrocchia confluisce in un’altra, venendo da essa assorbita, e perdendo la sua originaria individualità e personalità giuridica; oppure, ancora, mediante vera e propria fusione, che dà vita a una nuova e unica parrocchia, con la conseguente estinzione delle parrocchie preesistenti e della loro personalità giuridica; o, infine, mediante divisione di una comunità parrocchiale in più parrocchie autonome, che vengono create ex novo[57].


Inoltre, la soppressione di parrocchie per unione estintiva è legittima per cause direttamente riguardanti una determinata parrocchia. Non sono invece motivi adeguati, ad esempio, la sola scarsità del clero diocesano, la situazione finanziaria generale della diocesi, o altre condizioni della comunità presumibilmente reversibili a breve scadenza (ad esempio, la consistenza numerica, la non autosufficienza economica, la modifica dell’assetto urbanistico del territorio). Come condizione di legittimità di questo genere di provvedimenti occorre che i motivi a cui ci si riferisce siano direttamente e organicamente connessi con la comunità parrocchiale interessata e non con considerazioni generali, teoriche e “di principio”.


49. A proposito dell’erezione e della soppressione di parrocchie, giova ricordare che ogni decisione deve essere adottata mediante formale decreto, redatto in forma scritta[58]. Di conseguenza, è da considerare non conforme alla normativa canonica emanare un unico provvedimento, volto a produrre una riorganizzazione di carattere generale riguardante l’intera diocesi, una parte di essa o un insieme di parrocchie, attuata tramite un unico atto normativo, decreto generale o legge particolare.


50. In modo particolare, nei casi di soppressione di parrocchie, il decreto deve indicare chiaramente, con riferimento alla situazione concreta, quali siano le ragioni che hanno indotto il Vescovo ad adottare la decisione. Esse dunque dovranno essere indicate specificamente, non potendo bastare una generica allusione al “bene delle anime”.


Nell’atto con cui si sopprime una parrocchia, infine, il Vescovo dovrà provvedere anche alla devoluzione dei suoi beni nel rispetto delle relative norme canoniche[59]; a meno che non vi siano gravi ragioni contrarie, sentito il Consiglio Presbiterale[60], occorrerà garantire che la chiesa della parrocchia soppressa continui a essere aperta per i fedeli.


51. Collegata al tema del raggruppamento di parrocchie e della eventuale soppressione di esse, è la necessità che a volte si verifica di ridurre una chiesa a uso profano non indecoroso[61], decisione che compete al Vescovo diocesano, dopo aver obbligatoriamente consultato il Consiglio Presbiterale[62].


Ordinariamente, anche in questo caso, non sono cause legittime per decretare tale riduzione la diminuzione del clero diocesano, il decremento demografico e la grave crisi finanziaria della diocesi. Al contrario, se l’edificio si trova in condizioni tali da non poter in alcun modo essere utilizzato per il culto divino e non ci sia possibilità di ripararlo, si potrà procedere a norma del diritto a ridurlo a uso profano non indecoroso.


VII.b. Vicariato foraneo


52. Innanzitutto, occorre ricordare che, «per favorire la cura pastorale mediante un’azione comune, il Vescovo diocesano può riunire più parrocchie vicine in peculiari raggruppamenti, quali sono i vicariati foranei»[63]; essi assumono nei vari luoghi denominazioni quali quelle di “decanati” o “arcipreture”, o anche di “zone pastorali” o “prefetture”[64].


53. Il vicario foraneo non deve necessariamente essere un parroco di una parrocchia determinata[65] e, perché si realizzi la finalità per cui il vicariato è eretto, tra le sue responsabilità, primaria è quella di «promuovere e coordinare l’attività pastorale comune nell’ambito del Vicariato»[66], in modo che non rimanga un’istituzione puramente formale. Inoltre, il vicario foraneo «è tenuto all’obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano»[67]. Perché possa adempiere meglio la sua funzione e per favorire ancora di più l’attività comune tra le parrocchie, il Vescovo diocesano potrà conferire al vicario foraneo altre facoltà ritenute opportune in base al contesto concreto.


VII.c. Unità pastorale


54. Ispirandosi a finalità analoghe, quando le circostanze lo richiedono, in ragione dell’estensione territoriale del vicariato foraneo o del gran numero di fedeli, e sia perciò necessario favorire meglio la collaborazione organica tra parrocchie limitrofe, udito il Consiglio presbiterale[68], il Vescovo può anche decretare il raggruppamento stabile e istituzionale di varie parrocchie all’interno del vicariato foraneo[69], tenendo conto di alcuni criteri concreti.


55. Innanzitutto, è opportuno che i raggruppamenti (denominati “unità pastorali”[70]) siano delimitati in modo quanto più possibile omogeneo, anche dal punto di vista sociologico, perché possa essere realizzata una vera pastorale d’insieme o integrata[71], in prospettiva missionaria.


56. Inoltre, ogni parrocchia di tale raggruppamento deve essere affidata a un parroco o anche a un gruppo di sacerdoti in solidum, che si prenda cura di tutte le comunità parrocchiali[72]. In alternativa, ove stimato conveniente dal Vescovo, il raggruppamento potrà anche essere composto da più parrocchie, affidate allo stesso parroco[73].


57. In ogni caso, anche in considerazione dell’attenzione dovuta ai sacerdoti, che hanno svolto spesso il ministero con merito e con il riconoscimento delle comunità, nonché per il bene dei fedeli stessi, legati da vincoli di affetto e gratitudine ai loro pastori, si richiede che, al momento di costituire un determinato raggruppamento, il Vescovo diocesano non stabilisca con lo stesso decreto che, in più parrocchie unite e affidate a un solo parroco[74], altri eventuali parroci presenti, ancora in carica[75], vengano trasferiti automaticamente all’ufficio di vicari parrocchiali, o rimossi di fatto dal loro incarico.


58. In questi casi, a meno che non si tratti di un affidamento in solidum, compete al Vescovo diocesano, caso per caso, stabilire le funzioni del sacerdote moderatore di tali raggruppamenti di parrocchie, unitamente ai suoi rapporti con il vicario della forania[76], all’interno della quale è costituita l’unità pastorale.


59. Una volta creato secondo il diritto il raggruppamento di parrocchie – vicariato foraneo o “unità pastorale” – il Vescovo determinerà, secondo l’opportunità, se in esso le parrocchie debbano essere ciascuna dotata del Consiglio Pastorale Parrocchiale[77], oppure se sia meglio che tale compito sia affidato a un Consiglio pastorale unitario per tutte le comunità interessate. In ogni caso, le singole parrocchie integranti il raggruppamento, poiché conservano personalità e capacità giuridica, devono mantenere il proprio Consiglio per gli Affari Economici[78].


60. Al fine di valorizzare un’azione evangelizzatrice d’insieme e una cura pastorale più efficace, è opportuno che si costituiscano servizi pastorali comuni per determinati ambiti (ad esempio, catechesi, carità, pastorale giovanile o familiare) per le parrocchie del raggruppamento, con la partecipazione di tutte le componenti del Popolo di Dio, chierici, consacrati e fedeli laici.


VII.d. Zona pastorale


61. Se più “unità pastorali” possono costituire un vicariato foraneo, allo stesso modo, soprattutto nelle diocesi territorialmente più estese, diversi vicariati foranei, sentito il Consiglio presbiterale[79], possono essere riuniti dal Vescovo in “distretti” o “zone pastorali”[80], sotto la guida di un vicario episcopale[81] avente potestà esecutiva ordinaria per l’amministrazione pastorale della zona a nome del Vescovo diocesano, sotto la sua autorità e in comunione con lui, oltre alle speciali facoltà che questi voglia attribuirgli caso per caso.


VIII. Forme ordinarie e straordinarie di affidamento


della cura pastorale della comunità parrocchiale


62. In primo luogo, il parroco e gli altri presbiteri, in comunione con il Vescovo, sono un riferimento fondamentale per la comunità parrocchiale, per il compito di pastori che a loro corrisponde[82]. Il parroco e il presbiterio, coltivando la vita comune e la fraternità sacerdotale, celebrano la vita sacramentale per la comunità e insieme a essa, e sono chiamati a organizzare la parrocchia in modo tale da essere segno efficace di comunione[83].


63. In relazione alla presenza e alla missione dei presbiteri nella comunità parrocchiale, merita una particolare menzione la vita comune[84]; essa è raccomandata dal can. 280, anche se non si configura come un obbligo per il clero secolare. Al riguardo, va ricordato il fondamentale valore dello spirito di comunione, della preghiera e dell’azione pastorale comune da parte dei chierici[85], in vista di una effettiva testimonianza di fraternità sacramentale[86] e di una più efficace azione evangelizzatrice.


64. Quando il presbiterio sperimenta la vita comunitaria, allora l’identità sacerdotale si rafforza, le preoccupazioni materiali diminuiscono e la tentazione dell’individualismo cede il passo alla profondità della relazione personale. La preghiera comune, la riflessione condivisa e lo studio, che non devono mai mancare nella vita sacerdotale, possono essere di grande sostegno nella formazione di una spiritualità presbiterale incarnata nel quotidiano.


In ogni caso, sarà conveniente che, secondo il suo discernimento e nel limite del possibile, il Vescovo tenga conto dell’affinità umana e spirituale tra i sacerdoti, ai quali intende affidare una parrocchia o un raggruppamento di parrocchie, invitandoli a una generosa disponibilità per la nuova missione pastorale e a qualche forma di condivisione di vita con i confratelli[87].


65. In alcuni casi, soprattutto dove non esiste tradizione, o consuetudine di casa canonica, o quando essa non è per qualche ragione disponibile come abitazione del sacerdote, può accadere che egli ritorni a vivere presso la famiglia di origine, primo luogo di formazione umana e di scoperta vocazionale[88].


Tale sistemazione, per un verso si rivela un apporto positivo per la vita quotidiana del prete, nel senso di garantirgli un ambiente domestico sereno e stabile, soprattutto quando siano ancora presenti i genitori. D’altra parte, si dovrà evitare che tali relazioni familiari siano vissute dal sacerdote con dipendenza interiore e minore disponibilità per un ministero a tempo pieno, o come alternativa escludente – piuttosto che come complemento – al rapporto con la famiglia presbiterale e la comunità dei fedeli laici.


VIII.a. Parroco


66. L’ufficio di parroco comporta la piena cura delle anime[89] e, di conseguenza, perché un fedele sia validamente nominato parroco, occorre che abbia ricevuto l’Ordine del presbiterato[90], esclusa ogni possibilità di conferire a chi ne fosse privo tale ufficio o le relative funzioni, anche nei casi di carenza di sacerdoti. Proprio per il rapporto di conoscenza e vicinanza che si richiede tra un pastore e la comunità, l’ufficio di parroco non può essere affidato a una persona giuridica[91]. In modo particolare – a parte quanto previsto dal can. 517, §§ 1-2 – l’ufficio di parroco non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici. Di conseguenza, sono da evitare denominazioni come, “team guida”, “équipe guida”, o altre simili, che sembrino esprimere un governo collegiale della parrocchia.


67. In conseguenza del suo essere il «pastore proprio della parrocchia affidatagli»[92], al parroco spetta ipso iure la rappresentanza giuridica della parrocchia[93]. Egli è l’amministratore responsabile dei beni parrocchiali, che sono “beni ecclesiastici” e sono pertanto sottoposti alle relative norme canoniche[94].


68. Come afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, «i parroci nella loro parrocchia devono poter godere di quella stabilità nell’ufficio che il bene delle anime esige»[95]. Come principio generale, si richiede quindi che il parroco sia «nominato a tempo indeterminato»[96].


Il Vescovo diocesano, tuttavia, può nominare parroci a tempo determinato, se così è stato stabilito per decreto dalla Conferenza Episcopale. In ragione della necessità che il parroco possa stabilire un effettivo ed efficace legame con la comunità affidatagli, è conveniente che le Conferenze Episcopali non stabiliscano un tempo troppo breve, inferiore ai 5 anni, per la nomina a tempo determinato.


69. In ogni caso, i parroci, anche se nominati a “tempo indeterminato”, o prima della scadenza del “tempo determinato”, devono essere disponibili per essere eventualmente trasferiti a un’altra parrocchia o a un altro ufficio, «se il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa lo richiedono»[97]. Giova infatti ricordare che il parroco è al servizio della parrocchia, e non il contrario.


70. Ordinariamente, ove possibile, è bene che il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia, ma «tuttavia per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine»[98]. Ad esempio, tra le “altre circostanze” possono essere annoverate l’esiguità del territorio o della popolazione, nonché la contiguità tra le parrocchie interessate. Il Vescovo diocesano valuti attentamente che, se allo stesso parroco sono affidate più parrocchie, questi possa esercitare pienamente e concretamente come vero pastore l’ufficio di parroco di tutte e di ciascuna di esse[99].


71. Una volta nominato, il parroco rimane nel pieno esercizio delle funzioni affidategli, con tutti i diritti e le responsabilità, fino a quando non abbia cessato legittimamente il suo ufficio pastorale[100]. Per la sua rimozione o per il trasferimento prima della scadenza del mandato devono essere osservate le relative procedure canoniche, di cui la Chiesa si serve per il discernimento di ciò che conviene nel caso concreto[101].


72. Quando lo richiede il bene dei fedeli, anche se non ci sono altre cause di cessazione, il parroco che ha raggiunto i 75 anni di età, accolga l’invito che il Vescovo diocesano può rivolgergli a rinunciare alla parrocchia[102]. La presentazione della rinuncia, raggiunti i 75 anni di età[103], da considerarsi un dovere morale, se non canonico, non fa sì che il parroco decada automaticamente dal suo ufficio. La cessazione da esso avviene solo quando il Vescovo diocesano abbia comunicato al parroco interessato, per iscritto, l’accettazione della sua rinuncia[104]. D’altra parte, il Vescovo tenga in benevola considerazione la rinuncia presentata da un parroco, anche solo in ragione del compimento dei 75 anni.


73. In ogni caso, al fine di evitare una concezione funzionalistica del ministero, prima di accettare la rinuncia, il Vescovo diocesano pondererà prudentemente tutte le circostanze della persona e del luogo, come ad esempio la presenza di motivi di salute o disciplinari, la scarsità di sacerdoti, il bene della comunità parrocchiale, e altri elementi di tal genere, e accetterà la rinuncia in presenza di una causa giusta e proporzionata[105].


74. Diversamente, se le condizioni personali del sacerdote lo permettono e l’opportunità pastorale lo consiglia, il Vescovo consideri la possibilità di lasciarlo nell’ufficio di parroco, magari affiancandogli un aiuto e preparando la successione. Inoltre, «secondo i casi, il Vescovo può affidare una parrocchia più piccola e meno impegnativa ad un parroco che ha rinunciato»[106], o comunque gli assegni un altro incarico pastorale adeguato alle sue concrete possibilità, invitando il sacerdote a comprendere, se ce ne fosse bisogno, che in nessun caso dovrà sentirsi “retrocesso” o “punito” per un trasferimento di tal genere.


VIII.b. Amministratore parrocchiale


75. Qualora non sia possibile procedere nell’immediato con la nomina del parroco, la designazione di amministratori parrocchiali[107] deve avvenire solo in conformità con quanto stabilito dalla normativa canonica[108].


Infatti, si tratta di un ufficio essenzialmente transitorio e viene esercitato nell’attesa della nomina del nuovo parroco. Per questo motivo è illegittimo che il Vescovo diocesano nomini un amministratore parrocchiale e lo lasci in tale incarico per un lungo periodo, superiore a un anno, o, addirittura, in modo stabile, evitando di provvedere alla nomina del parroco.


Secondo quanto l’esperienza attesta, tale soluzione viene adottata sovente per eludere le condizioni del diritto relative al principio della stabilità del parroco, del quale costituisce una violazione, con danno della missione del presbitero interessato, nonché della comunità stessa, che, in condizioni di incertezza circa la presenza del pastore, non potrà programmare piani di evangelizzazione di ampio respiro e si dovrà limitare a una pastorale di conservazione.


VIII.c. Affidamento in solido


76. Come ulteriore possibilità, «quando le circostanze lo richiedano, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata “in solidum” a più sacerdoti»[109]. Tale soluzione può essere adottata quando, a discrezione del Vescovo, lo richiedano le circostanze concrete, in modo particolare per il bene delle comunità interessate, tramite una azione pastorale condivisa e più efficace, nonché per promuovere una spiritualità di comunione tra i presbiteri[110].


In tali casi, il gruppo di presbiteri, in comunione con le altre componenti delle comunità parrocchiali interessate, agisce con deliberazione comune, essendo il Moderatore nei confronti degli altri sacerdoti, parroci a tutti gli effetti, un primus inter pares.


77. Si raccomanda vivamente che ogni comunità di sacerdoti, ai quali è affidata in solidum la cura pastorale di una o più parrocchie, elabori un regolamento interno perché ciascun presbitero possa meglio adempiere i compiti e le funzioni che gli competono[111].


Come responsabilità propria, il Moderatore coordina il lavoro comune della parrocchia o delle parrocchie affidate al gruppo, assume la rappresentanza giuridica di esse[112], coordina l’esercizio della facoltà di assistere alle nozze e di concedere dispense che spetta ai parroci[113] e risponde davanti al Vescovo di tutta l’attività del gruppo[114].

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[Modificato da Caterina63 20/07/2020 13:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)