DIFENDERE LA VERA FEDE

Il Primato di Pietro e la Collegialità dei Vescovi nella Tradizione e nel Concilio Vaticano I

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 27/11/2008 18:44
    Amici....suggerisco di approfondire l'argomento, munendovi di bel tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità DEL PAPA per la Chiesa universale" ....in questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle FALSE INTERPRETAZIONI che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi... [SM=g27992]

    a pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.....Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE.....

    e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

    Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

    Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "SI ABBATTE' UNA GRANDINATA DI CRITICHE, DA CUI BEN POCO RIUSCI' A SALVARSI".... [SM=g27992] ..in sostanza ci fu un AMMUTINAMENTO DI TUTTI I VESCOVI...nè Giovanni Paolo II nè Ratzinger nulla poterono.... [SM=g27995]

    Ratzinger rispose allora provando il suo testo sulla Scrittura e sulla Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora: " potebbero sembrre possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la GRANDE CHIESA IDEATA DA DIO CON A CAPO CEFA, per rifugiarsi in una immagine empirica DELLE CHIESE nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

    E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico VERREBBE CANCELLATA. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto DESOLAZIONE. Ma allora non è abbandonato solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

    Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale! [SM=g27994]
    Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si pesenta quale unica Chiesa di Cristo?"
    La replica di Ratzinger è precisa: la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità...
    (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa NON è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle cominità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussite pertanto UNA E INDIVISA NELLA CHIESA CATTOLICA CON A CAPO PIETRO....".. [SM=g27988]

    E come venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:
    "Non può esserci un vero dialogo a prezzo della VERITA'; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella VERITA'.."



    questo il documento sopra citato:
    www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_28051992_communionis-notio...



    ....sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communions Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi....

    Lo stesso Ratzinger rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica SUPERIORE, collegata certamente all'istituzione degli altri undici CHE AGISCONO IN COMUNIONE CON LUI, MA NON SENZA DI LUI, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).
    Pietro ha un primato AUTOREVOLE che include l'insegnamento e il la guida, egli è istituito PER PRIMO ED IN MODO SPECIFICO (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nella unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

    Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.
    Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore IN SUA VECE (da qui il termine VICARIO)!

    Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!
    Se infatti gli Atti presentano Pietro come il GARANTE della Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati.....lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere CONFERMA della sua predicazione!


    All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

    7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa
    www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060607...


    Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".


    Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando da Cardinale rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.....
    Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, Ratzinger torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità.....ma la collegialità quanto l'esercizio petrino NON SI CONTRAPPONGONO....

    "Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale NON si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

    (CdF il primato del successore n.5 EV 17, 1594)

    continua...........
    [Modificato da Caterina63 01/10/2010 10:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 27/11/2008 18:51
    Un altro aspetto sul quale Ratzinger è tornato più volte è l'approfondimento del concetto di "AMICIZIA DI CRISTO E CON CRISTO" con il concetto di "OBBEDIENZA A CRISTO E QUINDI L'OBBEDIENZA A PIETRO": "....secondo una errata interpretazione conciliare, il concetto di "amicizia" con Cristo e quindi di amicizia con il Papa e i Vescovi, questa amicizia fra tutti, avrebbe dato una legittimazione ad una certa disobbedienza o ad una collegialità che ponesse sullo stesso piano ogni autorità e avesse così cancellato o annullato l'autorità di Pietro sui vescovi. Tutto questo è di una gravità inaudita sulla quale sarà necessario impostare ogni attenzione!
    (...)
    Il primato petrino è un ruolo, la collegialità è un altra cosa ancora ma se non vi è di questa collegialità l'obbedienza a Pietro, non esisterebbe alcuna collegialità, nessuna unità, mentre l'esercizio di Pietro potrebbe resistere da solo che esso solo risponderebbe eternamente a quella domanda di Gesù: "E voi chi dite che io sia?" TU SEI IL CRISTO, IL FIGLIO DEL DIO VIVENTE....è Pietro a rispondere per tutti non la collegialità senza Pietro! [SM=g27988]

    La collegialità viene semmai confermata dalla presenza di Pietro e dalla sua professione di fede: "Così è stato consegnato ad uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti "
    (S.Leone Magno, Discorsi, 4,3- pl 54,150,151)

    La stessa Lumen Gentium (n.22) asserisce chiaramente come il Vescovo di Roma rappresenta L'UNITA' e i Vescovi nel loro insieme e per mezzo dell'obbedienza rappresentano LA COMUNIONE CON L'UNITA'.....
    Denuncia così lo stesso Ratzinger che DOPO il Concilio Vaticano II sia in casa cattolica quanto in campo ecumenico i due termini COMUNIONE ED UNITA' NON SONO STATI COMPRESI DISTINTAMENTE, ANZI SONO STATI GRAVEMENTE CONFUSI.....

    L'errore principale PARTE DA UN DOCUMENTO MESSO A PUNTO A MONACO "Documento di Monaco, III, 4 in Enchiridion Oecumenicum 1".....il teso dice: " L'episkopè della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reciproca comunione", Ratzinger allora sottolinea l'errore del Documento dal quale sembra così, che la comunione derivi unicamente dal riconoscimento reciproco bastante di fratellanza e buona volontà senza più alcun riferimento alla "conferma" da parte di Pietro; inoltre, sottolineava allora il card. della Dottrina della Fede che l'insieme sinodale prenderebbe in tal modo IL POSTO DEL PRIMATO ROMANO NELLA PRESIDENZA DELLA CHIESA....infine, tale documento, affermerebbe che tale primato risiederebbe solo nello Spirito Santo mentre come ci insegnano i Vangeli e la Tradizione esso venne affidato da Gesù a Pietro e agli altri undici uniti a Lui.....



    C'è infine un riferimento di Ratzinger al Concilio di Calcedonia quando la Chiesa di allora rigettò il canone 28....

    il quale dice:

    XXVIII.
    Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.
    Seguendo in tutto le disposizioni dei santi padri, preso atto del canone [III] or ora letto, dei 150 vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande, di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della stessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma. Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale. Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella. Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, ed inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima chiesa di Costantinopoli. E’ chiaro che ciascun metropolita delle diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle diocesi che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcivescovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui.


    La Chiesa di Roma -spiegava Ratzinger- non può ritrovarsi in questo perchè la sua "maternità" è di natura APOSTOLICA E IL SUO PRIMATO E' DI DIRITTO DIVINO di conseguenza non può scendere a patti o a compromessi equiparandola alle altre Sedi......E citando appunto il canone 28 di quel Concilio, spiegava il rigetto di tale articolo che la Chiesa manifestò fin dal principio....perchè in base a questo articolo la sede di Costantinopoli poteva rivendicare poteri pari a quelli di Roma a scapito di altri Patriarcati e, dopo la caduta dell'Impero d'Oriente, cominciò infatti a ritenersi QUALE CENTRO DI UNA ECCLESIOLOGIA UNIVERSALE VERSO LA QUALE TUTTI DOVEVANO SOTTOSTARE.... E' ovvio che Roma, la Sede petrina mai e poi mai avrebbe potuto accettare un compromesso di questo genere senza tradire il mandato datole dal Cristo!

    E mai avrebbe potuto condividere teorie dette della "traslazione" del primato o come quella della Kidemonia panton secondo cui l'ortodossia doveva essere considerata UN UNICO ORGANISMO CON A CAPO IL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI, una sorta di "Papa oriental", mentre i vescovi erano i suoi delegati...e infatti neppure le altre chiese Ortodosse hanno accettato queste teorie, dando origine alle Chiese dette "autocefale".....

    Con il rigetto del Canone 28 di quel Concilio, fanno comprendere alcuni teologi conservatori, che anche oggi si potrebbe ristudiare il Vaticano II per comprendere se non vi siano state fatte delle aggiunte che mal si conciliano con la Tradizione della Chiesa.....


    Nel discorso che il Papa ha tenuto Domenica 2008 per la Pentecoste, ha ripetuto i medesimi concetti che stiamo esprimendo qui......

    11 maggio 2008: Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste
    www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080511_pentecoste...

    dice il Papa :


    "Societas Spiritus", società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: "Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito" e perciò "escludersi dalla vita" (Adv. Haer. III, 24, 1)

    (...)

    La Chiesa che nasce a Pentecoste con a capo già visibilmente Pietro che "prende la parola" non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. [SM=g27988] Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa.

    __________________
    Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

    “Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
    (Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)
    [Modificato da Caterina63 01/10/2010 10:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 27/11/2008 18:56
    Così disse a ragione san Cipriano:


    3. - Ora, bisogna guardarsi non solo dai pericoli aperti e manifesti, ma pure dalle insidie tese con l’astuzia sottile dell’imbroglio. Ed ecco, cosa può esserci di più astuto e sottile? Il nemico, smascherato e abbattuto dalla venuta di Cristo, dopo che la luce venne alle genti e irraggiò il suo splendore per la salvezza degli uomini sicché i sordi ricuperavano l’udito della grazia spirituale e i ciechi aprivano gli occhi al Signore e gli infermi si rinvigorivano della sanità eterna e gli zoppi accorrevano alla Chiesa e i muti articolavano con chiara voce le loro preghiere: quel nemico, vedendo i suoi idoli abbandonati, e disertati i suoi templi e le sue sedi a causa del gran numero dei credenti, ha escogitato un nuovo inganno quello cioè di far cadere gli imprudenti presentandosi con l’etichetta del nome cristiano. Ha inventato, cosi, le eresie e gli scismi per sovvertire la fede, per corrompere la verità, per spezzare l’unità.

    In questo modo, coloro che egli non può più tenere nel vicolo cieco dell’antico errore, li raggira e li inganna per una nuova via. Strappa gli uomini proprio dalla Chiesa e, mentre essi credono di essersi già accostati alla luce sfuggendo alla notte del mondo, li avvolge ancora in altre tenebre senza che essi se ne accorgano. Cosi costoro finiscono per chiamarsi cristiani senza però osservare la legge del Vangelo di Cristo; e mentre camminano nelle tenebre, pensano di stare nella luce. Tutto ciò è opera appunto dell’avversario, il quale attira con lusinghe nell’errore, e — come dice l’Apostolo (2 Corinzi 11,14) — si trasforma in angelo di luce, e spaccia i suoi ministri per ministri di giustizia: costoro chiamano giorno la notte, salvezza la morte, e insinuano la disperazione con l’appannaggio della speranza, e l’incredulità sotto il pretesto della fede, e dicono Cristo l’Anticristo, cosicché frustrano sottilmente la verità con menzogne verosimili. Ma ciò accade, fratelli carissimi, quando non ci si rifà all’origine della verità, quando non se ne ricerca il principio, quando non si osserva la dottrina del magistero celeste...(...)


    6. - La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura. Ha conosciuto una sola casa, ha custodito con casto pudore la santità di un sol talamo. Lei ci conserva per Dio, lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se avesse potuto salvarsi chi restò fuori dell’arca di Noé, allora potremmo dire che si salverà chi è fuori della Chiesa (Genesi 7,1). Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12,30). Colui che spezza la concordia, la pace di Cristo, è contro Cristo; e colui che raccoglie fuori della Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo. Il Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10,30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno» (1 Giovanni 5,7). Ebbene, può forse esserci qualcuno che creda si possa dividere l’unità nella Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà? Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza.


    san Cipriano martire da "L'Unità della Chiesa" (reperibile nelle librerie, Edizioni Studio Domenicano)



    Vissuto nel 200 d.C. vescovo di Cartagine nel 248

    Questo celebre testo venne letto dallo stesso Cipriano di fronte al concilio che si tenne in aprile nel 251, quello in cui poté ottenere il supporto dei vescovi contro lo scisma originato da Felicissimo e da Novato, che avevano un grande seguito. L'unità di cui san Cipriano si stava occupando non era tanto l'unità dell'intera chiesa, la necessità della quale comunque postulava, quanto l'unità da mantenere all'interno di ogni diocesi tramite l'unione con il vescovo; l'unità della chiesa, infatti, era garantita dall'unione dei vescovi che "sono incollati l'uno all'altro", quindi chiunque non è con il suo vescovo è fuori dalla chiesa e non può essere unito a Cristo; il prototipo del vescovo è San Pietro, il primo vescovo al quale tutti gli altri devono essere legati attraverso l'obbedienza....Il testo rituonò nell'aula conciliare e fu accolto con fragorosi applausi e arginò lo scisma novaziano che nel frattemo era stato nominato antipapa a fronte della legittima nomina diel vescovo Cornelio a successore di Pietro..... [SM=g27987]

    ecc....eccc....ecc.....tanti c'hanno provato a distruggere la Chiesa o a volerla cambiare, ma hanno ottenuto solo divisioni e scismi.....hanno diviso la Chiesa.....
    C'è stato chi ha regalato a Giovanni Paolo II niente meno che un libro sul come CAMBIARE IL RUOLO PETRINO....Giovanni Paolo II LO CESTINO'.... [SM=g27988]
    [Modificato da Caterina63 01/10/2010 10:27]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 27/11/2008 19:08
    Riporto ora una giusta domanda ed osservazione da parte di una amica, Micaela, che riporto (omettendo il particolare a cui si riferisce generalizzando invece il contenuto) ed alla quale segue la mia risposta [SM=g27988] avendo pubblicato lo stesso lavoro in un blog...

    mi si dice=chiede:

    Comunque, se ho capito bene, forse si può cominciare a rispondere a una domanda che ha attraversato il blog in questi anni:
    abbiamo spesso accusato i vescovi/sacerdoti di inerzia, o di opportunismo.
    Ma in realtà ci devono essere motivi più profondi e più seri che giustificano il loro silenzio.
    E io mi chiedo quali sono i criteri per cui un vescovo può denunciare gli errori che avvengono nella sua diocesi, quando manca una disobbedienza aperta e dichiarata alle gerarchie e che essa è solo sottile e nascosta?

    Inoltre queste parole di Ratzinger cardinale mi sembrano opposte a quello che ha permesso in questo tempo Ratzinger papa, il quale sembra aver voluto tenere (alcuni gruppi) e le (loro) contraddizioni nella chiesa, forse per poter controllarlo meglio e dirigerlo nel futuro?
    Perchè non si condanna apertamente questa deriva?

    ***************************

    RISPONDO


    Cara Micaela....alla prima osservazione ti risponde lo stesso Ratzinger il quale si dice appunto "colpito dall'incomprensione al testo Communio".... [SM=g27987]

    quanto al concetto di contraddizione esso va cercato in una modifica apportata dal Concilio e che piaccia non piaccia oramai c'è: la decisione descritta da Giovanni XXIII che non era più il tempo delle scomuniche e degli ANATEMI, e che la Chiesa avrebbe dovuto affrontare i problemi ATTRAVERSO LA CLEMENZA E LA MISERICORDIA.....

    questo il passo:

    All’iniziarsi del concilio ecumenico Vaticano II è evidente come non mai che la verità del Signore resta in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi da una all’altra età, che le opinioni degli uomini si susseguono escludendosi a vicenda e gli errori spesso appena sorti svaniscono qual nebbia dinanzi al sole.

    Sempre la chiesa si è opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati con la massima severità. Ora, tuttavia, la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne.

    Gaudet Mater Ecclesia - Discorso apertura del Concilio - 11 ottobre 1962
    www.totustuus.biz/users/magistero/g23gaude.htm

    questo è il nocciolo del problema [SM=g27995] al quale neppure Ratzinger può porre rimedio se non attraverso una affermazione che quell'affermazione di Giovanni XXIII fu uno sbaglio e questo a fronte delle parole stesse di san Paolo agli Efesini: chiunque vi predicasse un Vangelo diverso, SIA ANATEMA!
    ecco, Giovanni XXIII NON abolì, quanto accantonò (poichè nessun Papa può abolire o togliere o aggiungere qualcosa dalla Scrittura [SM=g27988] ) il ricorso a questo....

    triste ma è così....
    non vi è contraddizione dunque fra l'azione del Papa e la decisione del Concilio....la contraddizione la troviamo se confrontiamo tale decisione con il passo paolino, tuttavia, lo spiega bene Ratzinger parlando di Pietro, dice:

    All'Udienza generale del 7 giugno 2006 così spiegò Benedetto XVI:

    Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".

    [SM=g27988]

    ...quanto segue ci fa comprendere che il cambiamento apportato dal Concilio sulla questione del censurare, anatemizzare ecc.... di fatto è rimasto in uso al Sommo Pontefice, lo spiega appunto qui Paolo VI:

    LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO

    De Episcoporum Muneribus
    (portata qui più sopra)
    www.vatican.va/holy_father/paul_vi/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19660615_de-episcoporum-muneribus...

    Vengono impartite ai vescovi alcune norme riguardanti la facoltà di dispensare


    Il Concilio afferma questi principi nel Decreto Christus Dominus, il quale mentre afferma che ai Vescovi per sé compete ogni potestà all'interno delle diocesi loro affidate, per quanto riguarda l'esercizio del loro ufficio pastorale, afferma pure al tempo stesso la Nostra immediata potestà su ogni singola Chiesa di riservare alcune cause per il bene di tutto il gregge del Signore, potestà che compete per diritto nativo al successore di Pietro (CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 8, a.).

    (...)

    IX. Salve le facoltà speciali concesse ai Legati del Pontefice Romano e agli Ordinari, espressamente Ci riserviamo le seguenti dispense:


    b) dall'irregolarità per delitto pubblico, di quelli che abbiano perpetrata l'apostasia dalla fede, o siano passati all'eresia o allo scisma;

    ****************

    Nella Christus Dominus si legge:

    b) Ai singoli vescovi diocesani viene data facoltà di dispensare in casi particolari da una legge generale della Chiesa i fedeli sui quali, a norma del diritto, esercitano la loro autorità, ogni qualvolta ritengano che ciò giovi al loro bene spirituale; a meno che la suprema autorità della Chiesa non avanzi qualche speciale riserva in proposito.

    ***********************

    da qui, appunto, ad ammettere tuttavia e a permettere liturgie dissociate dalla sana Dottrina ce ne passa ed è stato condannato da Bendetto XVI nel MP Summorum Pontificum... [SM=g27985] ma chi obbedisce più al Papa oggi? [SM=g27995]

    ergo le denuncie ci sono eccome...si chiamano denuncie, ma nel gergo paolino sono anatemi solo che il Concilio gli ha tolto LA PENA...
    Ma Gesù avverte: non si va in Cielo fino a che non si pagato FINO ALL'ULTIMO SPICCIOLO...


    P.S.
    Si eviti di estrapolare piccole parti da questo lavoro da me elaborato....se esso viene trovato interessante, lo si riporti integralmente con tutti i collegamenti, compreso il link di provenienza...
    Grazie!

    [Modificato da Caterina63 01/10/2010 10:28]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 09/02/2009 16:16

    Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede: 

    "Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa"

    1. Nell'attuale momento della vita della Chiesa, la questione del Primato di Pietro e dei Suoi Successori presenta una singolare rilevanza, anche ecumenica. In questo senso si è espresso con frequenza Giovanni Paolo II, in modo particolare nell'Enciclica Ut unum sint, nella quale ha voluto rivolgere specialmente ai pastori ed ai teologi l'invito a "trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova" (1).

    La Congregazione per la Dottrina della Fede, accogliendo l'invito del Santo Padre, ha deciso di proseguire l'approfondimento della tematica convocando un simposio di natura prettamente dottrinale su Il Primato del Successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, e di cui sono stati pubblicati gli Atti (2).


    2. Nel Messaggio rivolto ai partecipanti al simposio, il Santo Padre ha scritto: "La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro" (3). Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti (4), la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste "Considerazioni"

    - a margine del Simposio - vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all'unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.


    I -
    Origine, finalità e natura del Primato


    3. "Primo Simone, chiamato Pietro" (5). Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone (6). Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale, ed altri passi evangelici (7) mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici (8). Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l'immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell'Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione.

    Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa (9); è colui che, una volta convertito, non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli (10); è, infine, il Pastore che guiderà l'intera comunità dei discepoli del Signore (11).

    Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma - attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica - la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: "Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia" (12). La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell'unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nelle sede del suo martirio.


    4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale (13); questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma (14), arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo.

    Nel disegno divino sul Primato come "ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori" (15), si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero "l'unità di fede e di comunione" (16) di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli" (17), e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell'unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa (18).


    5. La Costituzione Pastor aeternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ámbito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I (19) ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum (20). Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un'originaria ed essenziale armonia (21).

    Perciò, "quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e legati di Cristo" (Lumen gentium, n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero" (22). Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.


    6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum (23) in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati (24). Nel caso del Vescovo di Roma - Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi (25) -, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa (26): una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli (27). Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale "è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo" (28), e per questo porta in sé l'apertura al ministero dell'unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare (29).

    L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia.

    In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine - Antiochia ed Alessandria - quali punti di riferimento della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale; questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina (30).

    II - L'esercizio del Primato e le sue modalità


    7. L'esercizio del ministero petrino deve essere inteso - perché "nulla perda della sua autenticità e trasparenza" (31) - a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell'edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane (32): non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

    Il Romano Pontefice è - come tutti i fedeli - sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione (33). Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.


    8. Le caratteristiche dell'esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l'unità dell'Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso.

    Essendo l'Episcopato una realtà "una e indivisa" (34), il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l'unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e "si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana" (35); a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa - i Vescovi e gli altri fedeli - debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.


    9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice (36), dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: "Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda" (37).

    Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all'interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale (38); è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell'infallibilità (39).

    Come "tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo" (40), allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice (41).


    10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l'unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l'ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata.

    Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all'unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc. Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: "prima sedes a nemine iudicatur" (42). Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell'unità, una conseguenza anche dell'unità del Corpo episcopale e del sensus fidei dell'intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche - ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento - alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L'ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall'altra, nella fiducia nell'assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.

    11. L'unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale; comunione che si fonda anche necessariamente sull'unità dell'Episcopato. Perciò, "ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama" (43), come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.

    12. "La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo" (44).

    Anche per questo, l'immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole.

    I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l'applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l'unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno.

    Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice; e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.


    13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l'assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l'autorità e la competenza per dire l'ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.


    * * *


    14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti - con la grazia dello Spirito Santo - lo slancio per vivere e custodire fedelmente l'effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo (45).


    15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale "nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede" (46).

    La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, Successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza "che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale - nel disegno di Dio - della comunione piena e visibile" (47). Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore (48). Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili (49) il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine.

    Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata mèta dell'unità di tutti i cristiani? "Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico" (50). Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.


    JOSEPH Card. RATZINGER
    Prefetto


    TARCISIO BERTONE
    Arcivescovo emerito di Vercelli
    Segretario


    Note


    1) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.
    2) Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 2-4 dicembre 1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.
    3) Giovanni Paolo II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger, in Ibid, p. 20.
    4) Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
    5) Mt 10, 2.
    6) Cfr Mc 3, 16; Lc 6, 14; At 1, 13.
    7) Cfr Mt 14, 28-31; 16, 16-23 e par.; 19, 27-29 e par.; 26, 33-35 e par.; Lc 22, 32; Gv 1, 42; 6, 67-70; 13, 36-38; 21, 15-19.
    8) La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici - qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come
    anche in San Marco -, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà Petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.
    9) Cfr Mt 16, 18.
    10) Cfr Lc 22, 32.
    11) Cfr Gv 21, 15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato, cfr anche Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90 ss. 12) S. Ambrogio di Milano, Enarr. In Ps., 40, 30: PL 14, 1134.
    13) Cfr ad esempio S. Siricio I, Lett. Directa ad decessorem, 10-II-385: Denz-Hün, n. 181; Conc. di Lione II, Professio fidei di Michele Paleologo, 6-VII-1274: Denz-Hün, n. 861; Clemente VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; Conc. di Firenze,
    Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; Pio IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 2: Denz-Hün, nn. 3056-3058; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, cap. III, nn. 21-23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882; ecc.
    14) Cfr S. Ignazio d'Antiochia, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 3, 2: SChr 211, 32-33.
    15) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.
    16) Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051. Cfr S. Leone I Magno, Tract. In Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.
    17) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cfr Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051; Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Cfr
    Pio IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d'Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 3305-3310.
    18) Cfr Gv 17, 21-23; Conc. Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1; Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.
    19) Cfr Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.
    20) Cfr ibidem, n. 23.
    21) Cfr Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cfr. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; Leone XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, n. 3310; Conc. Vaticano II,
    Cost. dogm. Lumen gentium, n. 27. Come spiegò Pio IX nell'Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor aeternus: "Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur" (Mansi 52, 1336 A/B).
    22) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.
    23) 2 Cor 11, 28.
    24) La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cfr Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, 28-V-1992, n. 9) sottolinea anche l'importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.
    25) Cfr Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3059; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cfr. Conc. di Firenze, Bolla Laetentur caeli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.
    26) Cfr Conc. Vaticano I Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.
    27) Cfr Ibidem; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.
    28) Conc. Vaticano II, Decr. Christus Dominus, n. 11.
    29) Cfr Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, n. 13.
    30) Cfr Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, nn. 7 e 9.
    31) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.
    32) Cfr ibidem, n. 94.
    33) Cfr Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.-febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.
    34) Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, proemio: Denz-Hün, n. 3051.
    35) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
    36) Cfr Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Leone XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782 § 1.
    37) Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cfr CIC can. 781.
    38) Cfr Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.
    39) Cfr ibidem: Denz-Hün, nn. 3073-3074; Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; CIC can 749 § 1; CCEO can. 597 § 1.
    40) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.
    41) Cfr Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.
    42) CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cfr Conc. Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.
    43) Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio, n. 14. Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369.
    44) Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
    45) Cfr Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.
    46) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.
    47) Ibidem.
    48) Cfr Lc 5, 8.
    49) Cfr 2 Cor 4, 7.
    50) Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.

    (C) L'OSSERVATORE ROMANO Sabato 31 Ottobre  1998

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 21/03/2009 09:45
    padre Giovanni dal suo Blog: Senza peli sulla lingua


    Unum collegium 
    Un confratello sacerdote, dopo aver letto il mio post
    E se provassimo a semplificare un po' la "questione lefebvriana"?

    (18 marzo 2009), si chiede se Mons. Fellay sia disposto a leggere tranquillamente la professione di fede approvata dalla Santa Sede, da me riportata in quel post.

    Sinceramente, non saprei; io personalmente non trovo nessuna difficoltà ad emettere quella professione di fede (e di fatto l'ho già emessa piú volte nell'assumere l'ufficio di superiore religioso). Il problema, a quanto pare, starebbe nel terzo comma della formula finale: "Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".
    Il problema starebbe nel riferimento al collegio episcopale: la suprema potestà nella Chiesa risiederebbe esclusivamente nel Sommo Pontefice e non anche nel collegio episcopale.

    Ma questo non è l'insegnamento del Concilio (e infatti questo è uno dei punti per cui i tradizionalisti rifiutano il Vaticano II). Questo, dopo aver riaffermato la potestà del Papa ("Il Romano Pontefice, in virtú del suo ufficio di Vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente"), aggiunge: "L'ordine dei Vescovi, che succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, nel quale anzi si perpetua ininterrottamente il corpo apostolico, è pure, insieme con il suo capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso, soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del Romano Pontefice" (Lumen gentium, n. 22).

    L'affermazione è chiara. Non sarà una definizione dogmatica, ma inserita com'è in una "costituzione dogmatica" di un concilio ecumenico, mi sembra piuttosto vincolante (essa è ripresa pressoché con le medesime espressioni dal Codice di diritto canonico al can. 336). Concedo che possa apparire come un'inutile complicazione rispetto alla concezione della Chiesa che vedeva il Papa come unica suprema autorità, e i Vescovi come a lui sottomessi (una specie di funzionari ecclesiastici). L'unico problema è che quella concezione di Chiesa non è mai esistita; o meglio, è forse esistita nella mente di qualche teologo o canonista, ma non è mai stato il modo in cui la Chiesa si è autocompresa.
    Neppure al Vaticano I: è interessante notare che le note della Lumen gentium al testo su riportato fanno riferimento agli schemi preparatori del Vaticano I (schemi che non poterono essere approvati per la sospensione di quel concilio). Che il collegio dei Vescovi sia soggetto di suprema autorità nella Chiesa non è una novità del Vaticano II, ma è semplicemente la realtà della Chiesa, cosí come è stata voluta dal suo Fondatore e cosí come è stata sempre vissuta nel corso dei secoli, seppure con modalità diverse.

    Il fondamento teologico di questa dottrina lo troviamo all'inizio del citato n. 22 della Lumen gentium: "Come Pietro e gli altri apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli apostoli, sono fra loro uniti". Che il Papa e i Vescovi costituiscano un "unico collegio" non siamo noi a volerlo, è Gesú Cristo stesso che lo ha voluto. È vero che tale testo potrebbe essere interpretato scorrettamente; e per questo è stata necessaria una "Nota previa", voluta da Paolo VI per fugare qualsiasi possibile equivoco. È interessante il terzo paragrafo di tale "Nota previa": "Il collegio, che non si dà senza il capo, è detto «essere anch'esso soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale». Il che si deve necessariamente ammettere, per non porre in pericolo la pienezza della potestà del Romano Pontefice". Capito? Il riconoscimento della suprema potestà del collegio episcopale, lungi dal pregiudicare l'autorità del Papa, al contrario la garantisce e la rafforza.

    Penso che il problema sia esclusivamente un problema di comprensione. Mi rendo conto che è molto piú facile considerare la Chiesa secondo gli schemi della società civile. Il problema è che tali schemi non sono applicabili alla realtà della Chiesa, che è un mistero di "comunione gerarchica" (come giustamente rammenta la citata "Nota previa"). Questo potrà creare qualche difficoltà di comprensione e, soprattutto, di realizzazione pratica; ma è lo sforzo che siamo chiamati a fare, se vogliamo essere fedeli alla divina costituzione della Chiesa. E se vogliamo che, prima o poi (quando Dio vorrà), la Chiesa ritrovi la sua unità.

     Occhiolino
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/05/2009 09:59
    VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello [SM=g1740733]

    L’autorità delle Conferenze Episcopali deriva unicamente dalla Sede Apostolica


    Città del Vaticano

    (Agenzia Fides)

    Dire all’autorità tutto ciò che pensiamo e fare tutto ciò che l’autorità vuole.

    E’ questo il segreto dell’unità cattolica dei Vescovi col Papa, a cui nessuna delle forme in cui si esprime la collegialità può derogare. Tanto meno quella della Conferenza Episcopale: la parola viene dal verbo “conferre” che vuol dire “portare insieme”. Dunque, presuppone un organismo fatto di capo e di membra in cui ognuno fa la sua parte, nella piena avvertenza della diversa responsabilità di ciascuno: la responsabilità personale dei Vescovi è particolare e non può nemmeno essere comparata alla responsabilità personale del Papa che è universale.
    Nessuno si meraviglia che un braccio abbia il suo movimento e nello stesso tempo sia articolato col resto del corpo; perché, dunque, meravigliarsi che un Vescovo solo esercita la propria legittima autorità e, nello stesso tempo, sia in raccordo con quella del Papa?

    Se si capisse questo, non ci si stupirebbe del fatto che anche il primato del Vescovo di Roma richieda l’esercizio personale dell’autorità.

    Da alcuni si vorrebbe, invece, che il Papa non facesse nulla senza avere prima riunito questo o quell’organismo. Ma anch’egli è un Vescovo con potestà ordinaria, solo che tra le membra del corpo ha una funzione “capitale”, perché corrisponde alla testa, quindi non può interessarsi solo di sé ma di tutto il corpo, affinché la comunione sia organica. La “communio” della Chiesa non è vaga o spirituale, ma gerarchica e cattolica.

    Se il Concilio ha affermato che Papa e Vescovo sono visibile principio e fondamento rispettivamente dell’unità universale e di quella particolare, vuol dire che le Conferenze Episcopali vivono unicamente di tale apporto e non si possono sostituire in alcun modo al primato del Vescovo di Roma, né all’autorità di ciascun Vescovo, in quanto solo questi sono di istituzione divina, cioè voluti da Gesù Cristo.

    Le istituzioni sovrepiscopali, come i patriarcati e le metropolie, e le stesse Conferenze Episcopali sono di diritto ecclesiastico positivo e, quindi, mai superiori all’autorità episcopale ordinaria; utilissime ad esercitare la dimensione collegiale del governo episcopale, seppure limitata ad alcune funzioni, restano sempre ausiliarie e in subordine rispetto alla funzione episcopale nella Chiesa, perché il Collegio episcopale è indivisibile (Giovanni Paolo II,
    Pastores gregis, n. 63).

    Il Motu Proprio
    Apostolos suos ricorda anche che esse non hanno prerogative dottrinali, ma servono a coordinare il lavoro apostolico in una regione.
    Allora, se un Vescovo, un sacerdote, un teologo non può dissentire dal Magistero del Papa, quasi questi fosse un dottore privato, ancor più una Conferenza Episcopale o un suo esponente.

    Giovanni Paolo II ricorda, nell’enciclica
    Veritatis Splendor (6 agosto 1993): “ Il dissenso […] è contrario alla comunione ecclesiale e alla retta comprensione della costituzione gerarchica del Popolo di Dio.
    Nell’opposizione all’insegnamento dei pastori non si può riconoscere una legittima espressione né della libertà cristiana né della diversità dei doni dello Spirito.
    In questo caso, i Pastori hanno il dovere di agire in conformità con la loro missione apostolica, esigendo che sia sempre rispettato il diritto dei fedeli a ricevere la dottrina cattolica nella sua interezza e integrità”(n 109).

    Come affermato nel Motu proprio
    Ad tuendam fidem, con cui ordinò di aggiungere al Codice di Diritto Canonico alcuni paragrafi relativi all’obbligo di credere, aderire e obbedire alle verità di fede e morale proclamate dal Magistero del Papa e dei Vescovi uniti con Lui, chiarendo che esso è un elemento decisivo per la certezza della fede di ogni credente – un vincolo visibile – ; e riproposto sia nell’udienza generale del 10 marzo 1993 su “La missione dottrinale del Successore di Pietro” sia nel discorso ai Cardinali del 21 dicembre 1999 su “L’assistenza divina nel magistero del Successore di Pietro”.

    In piena continuità con la fede dei secoli e senza alcuna possibilità di letture “oppositive”, tra un pontificato e l’altro.
    I fedeli si scandalizzano quando costatano il dissenso delle Conferenze Episcopali, o di taluni loro membri, con la Sede Apostolica – quasi un fenomeno di neo-gallicanesimo– perché è propria della genuina fede cattolica l’obbedienza al Supremo Pastore visibile, il Vescovo di Roma.

    [SM=g1740722]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 11/08/2009 13:13
    VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello

    La necessaria opera di Pietro


    Città del Vaticano (Agenzia Fides)

    Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo, osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.
    Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.

    Ci sono coloro che gioiscono del Magistero pontificio, anche perché ha messo un freno all’interpretazione “discontinua” del Concilio Vaticano II, spiegando che i diffusi conflitti nei campi della dottrina, dell’educazione e della liturgia sono il risultato di un fraintendimento e che il Concilio è stato chiaro.


    Il Papa è “Pietro”, il capo degli apostoli.
    I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro
    .

    Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.
    Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti popoli diversi trovano in essa la loro identità.

    Come più volte ricordato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, siamo nel mezzo di una “silenziosa apostasia”, che sta divenendo sempre meno silenziosa e sempre più palese. Nella storia della Chiesa non c’è mai stata una mancanza di fede così diffusa. L’avversario è sottile e conficca frecce nel profondo del cuore degli uomini così in profondità che sono quasi invisibili. Si pensi al profeta Daniele, il quale ammoniva che l’avversario avrebbe ottenuto il potere su tutte le nazioni in modo pacifico e con le lusinghe.

    Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile. L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto” (M.D.O’Brien, Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).

    C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo.

    Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.
    Osserviamo il tradimento. Soffriamo.

    Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti” .

    “Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati l’obbedienza?”. “Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.
    Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.

    Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo, una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403).

    (Agenzia Fides 2/7/2009; righe 41, parole 599)

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 25/04/2010 15:20
    REGINA CAELI DEL 25.4.2010, LA PAROLA DEL SUCCESSORE DI PIETRO:

    Come possiamo ascoltare la voce del Signore e riconoscerlo?

     Nella predicazione degli Apostoli e dei loro successori: in essa risuona la voce di Cristo, che chiama alla comunione con Dio e alla pienezza della vita, come leggiamo oggi nel Vangelo di san Giovanni: "Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono.
    Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano" (Gv 10,27-28). Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia.

    In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni, esorto in particolare i ministri ordinati, affinché, stimolati dall’Anno Sacerdotale, si sentano impegnati "per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi" (Lettera di indizione). Ricordino che il sacerdote "continua l’opera della Redenzione sulla terra"; sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo"; aderiscano "totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa"; si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; formino cristianamente il popolo a loro affidato; coltivino con cura la "fraternità sacerdotale" (cfr ibid.). Prendano esempio da saggi e zelanti Pastori, come fece san Gregorio di Nazianzo, il quale così scriveva all’amico fraterno e Vescovo san Basilio: "Insegnaci il tuo amore per le pecore, la tua sollecitudine e la tua capacità di comprensione, la tua sorveglianza … la severità nella dolcezza, la serenità e la mansuetudine nell’attività … i combattimenti in difesa del gregge, le vittorie … conseguite in Cristo" (Oratio IX, 5, PG 35, 825ab).

    Ringrazio tutti i presenti e quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro, e su ciascuno invoco la celeste protezione della Vergine Maria, alla quale ci rivolgiamo ora in preghiera.


    DOPO IL REGINA CÆLI

    Stamani, rispettivamente a Roma e a Barcellona, sono stati proclamati Beati due Sacerdoti: Angelo Paoli, Carmelitano, e José Tous y Soler, Cappuccino. A quest’ultimo farò cenno tra poco. Del beato Angelo Paoli, originario della Lunigiana e vissuto tra i secoli XVII e XVIII, mi piace ricordare che fu apostolo della carità a Roma, soprannominato "padre dei poveri". Si dedicò specialmente ai malati dell’Ospedale San Giovanni, prendendosi cura anche dei convalescenti. Il suo apostolato traeva forza dall’Eucaristia e dalla devozione alla Madonna del Carmine, come pure da un’intensa vita di penitenza. Nell’Anno Sacerdotale, propongo volentieri il suo esempio a tutti i sacerdoti, in modo particolare a quanti appartengono ad Istituti religiosi di vita attiva.



                                                                 Pope Benedict XVI waves to pilgrims as he delivers his Angelus prayer from the window of his private appartments at Vatican on April 25, 2010. Vatican number two Cardinal Tarcisio Bertone insisted Sunday there was no cause-and-effect link between priestly celibacy and the child sexual abuse revelations rocking the Roman Catholic Church.'There is no direct link between celibacy and the deviant behaviour of certain priests,' Pope Benedict XVI's secretary of state told the Spanish newspaper Vanguardia.
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 03/11/2010 10:13

    Nihil innovetur

    di Baronio dal blog Messainlatino

    È ben noto che le vicende del postconcilio hanno portato ad un pauroso stravolgimento della dottrina cattolica in tutti i suoi dogmi, non escluso quello dell'Infallibilità Pontificia e del Primato Petrino. Anche in questi giorni vi sono state autorevoli prese di posizione, tendenti a rivisitare le modalità di esercizio di questo Primato: non sfugge a nessuno che, una volta che cambi il modo in cui il Primato del Pontefice Romano si esercita, ne cambia anche l'idea astratta, ossia il dogma. Se il Papa è a capo della Chiesa, ma di fatto esercitano il governo delle assemblee in qualche modo da lui svincolate, de facto chi governa non è più il Papa ma queste assemblee [..]

    Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha prestato l'occasione perfetta per colpire nel cuore la Religione, non tanto e non solo per l'opera di affievolimento della dottrina cattolica nella sua totalità, quanto per la formulazione della nuova dottrina della collegialità, che introduce un nuovo soggetto democratico nell'esercizio del governo disciplinare e magisteriale della Chiesa. E questa novità ha trovato un alleato nell'ecumenismo e nella conseguente esigenza di compiacere gli acattolici, per i quali il Papato rappresenta un punto dottrinale di disaccordo con Roma, impossibile da risolvere se non con l'abdicazione del Papato stesso o con la sua riformulazione in senso onorifico.

    Non è infrequente sentir farneticare chierici e prelati a proposito del Pontefice Romano, indicato come primus inter pares, a tutto vantaggio dei pares, siano essi riuniti in commissioni, consigli, conferenze o altro. È da notare che questa diminutio della potestà sovrana – direi quasi imperiale – del Papa ha trovato il suo corrispondente nel ridimensionamento della potestà dei Vescovi, anch'essi – sub Petro – sovrani della loro Diocesi: di qui il moltiplicarsi di commissioni, consigli ed assemblee anche a livello nazionale e locale: da un lato le Conferenze Episcopali, dall'altro i Consigli Presbiterali. Ed ecco instaurata la democrazia nella Chiesa, che è monarchica per costituzione divina, sia nella persona del Papa a livello universale, sia nella persona del Vescovo a livello locale.

    Prerogativa comune a queste assemblee democratiche è, sostanzialmente, la capacità di legiferare e governare senza l'approvazione del Papa o del Vescovo. O in modo tale da rendere quantomeno difficile al Papa e al Vescovo prese di posizione contro di esse. Lo dimostrano i fatti: dove la Santa Sede ha ordinato ad esempio l'uso del latino nella liturgia, le Conferenze Episcopali hanno di fatto sostituito al latino la lingua vernacolare; dove ha chiesto l'uso della veste talare ai chierici, di fatto si è concesso il clergyman; dove si è raccomandata l'amministrazione della Comunione in bocca, si è autorizzata la Comunione in mano. E se un Vescovo osa esercitare la propria autorità nella Diocesi che governa, la Conferenza Episcopale non esita a trovare validi argomenti per dissuaderlo, sino a farlo rimuovere o ad impedirne la legittima carriera se egli non si adegua allo strapotere di un organo che – occorre ribadirlo – non fa parte della struttura gerarchica della Chiesa. È esemplare che Benedetto XVI continui a comunicare i fedeli in bocca e in ginocchio, nell'assoluto disinteresse delle Conferenze Episcopali, che si suppone dovrebbero tradurre in pratica e disciplinare nelle varie nazioni ciò che il Papa esplicitamente dà come esempio da seguirsi. Anche gli ordini espliciti del Pontefice vengono impunemente ignorati: si pensi all'applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, o ad altre non meno importanti disposizioni in materia liturgica contenute negli atti del Magistero papale.

    Questa situazione rimane tuttavia imperfetta, perché se nella pratica l'esercizio dell'autorità è nelle mani di organi terzi, nella teoria il Papa rimane l'unico capo della Chiesa Romana. Per questo acquista un significato a dir poco allarmante la proposta del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede di rivedere le modalità di esercizio del Primato Petrino: è davvero difficile credere che mettere in discussione il modo in cui il Papa è Papa possa aver altra finalità, se non quella di concludere un'opera iniziata durante il Concilio, quando gruppi di esperti fecero strame degli atti preparatori di quell'assise, sostituendoli con nuovi schemi di ben altra matrice: i primi erano frutto di un lungo lavoro genuinamente democratico, avendo richiesto la partecipazione dei Vescovi di tutto il mondo; i secondi erano opera della destrezza di pochi anonimi burocrati, appartenenti a gruppi di potere privi di qualsiasi autorità, se non quella ch'essi avevano usurpato, ottenendone quasi a forza il placet di Giovanni XXIII prima e di Paolo VI poi. E che queste affermazioni non siano frutto di congetture, lo si evince dalle innumerevoli testimonianze di chi su entrambi i fronti partecipò al Concilio, non ultimo quell'Annibale Bugnini che nei suoi diari ci ha fornito ampia prova di quanti e quali stratagemmi dovette adottare per perseguire i suoi scopi, coadiuvato da carrieristi senza scrupoli che ancor oggi ci deliziano con la loro grimasse indispettita.

    Certamente l'opera congiunta e su diversi fronti si è rivelata vincente: l'abolizione del triregno dallo stemma papale e la rinuncia del Papa al titolo di Patriarca d'Occidente sono chiari segnali di un trend che dovrebbe portare inesorabilmente Benedetto XVI verso una sorta di parziale abdicazione, col pretesto di ammorbidire gli Anglicani e gli Eterodossi d'Oriente, ma in verità con lo scopo ben preciso di consolidare il potere delle assemblee, ovvero di coloro che le manovrano, forti dei loro legami con la stampa e forse anche con quelle lobbies a cui sta tanto a cuore democratizzare la Chiesa. E dove il Papa si dimostri poco incline ad assecondare questi piani, non sarà loro difficile suscitare scandali veri o presunti – pedofilia ieri, IOR domani – di cui, paradossalmente, il mondo chiederà conto al Papa, e che lo terranno occupato, ne indeboliranno l'immagine, e magari ne causeranno anche la prematura scomparsa per i grandi dolori da sopportare.

    Benedetto XVI è un fine stratega: chi gli ha mosso guerra si esalta per aver avuto la meglio in battaglie da nulla e non si accorge che, anche con il prossimo Concistoro, si sta preparando una sconfitta tremenda e inesorabile, pacifica come solo la guerra di Cristo contro le porte degli Inferi può esserlo. Dimenticano, i meschini, che stanno giocando col fuoco, perché il Salvatore non ha promesso assistenza alle conferenze, ai consigli, ai dicasteri, alle assemblee, ma al solo Principe degli Apostoli e ai suoi successori.
    Nihil innovetur.


    *******************************************************

     ricordiamo, proprio per comprendere questa comunione di intenti e di come patisce Cefa, quanto riportato in apertura di questo thread:


    .....suggerisco di approfondire l'argomento, munendovi di bel tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità DEL PAPA per la Chiesa universale" ..don N.Bux..in questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle FALSE INTERPRETAZIONI che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi...   
     
    a pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.....Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE.....  
     
    e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."  
     
    Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....  
     
    Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "SI ABBATTE' UNA GRANDINATA DI CRITICHE, DA CUI BEN POCO RIUSCI' A SALVARSI"....  ..in sostanza ci fu un AMMUTINAMENTO DI TUTTI I VESCOVI...nè Giovanni Paolo II nè Ratzinger nulla poterono....   
    Ratzinger rispose allora provando il suo testo sulla Scrittura e sulla Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora: " potebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la GRANDE CHIESA IDEATA DA DIO CON A CAPO CEFA, per rifugiarsi in una immagine empirica DELLE CHIESE nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"  
     
    E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:  
    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico VERREBBE CANCELLATA. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto DESOLAZIONE. Ma allora non è abbandonato solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."  


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 04/12/2010 18:10
    Monsignor Adoukonou rievoca la figura del cardinale Bernardin Gantin

    Missionario africano a Roma,
    missionario romano in Africa


    Un "monumento patristico africano":  con quest'immagine monsignor Barthélémy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della cultura, ha descritto il cardinale Bernardin Gantin (1922-2008), intervenendo nei giorni scorsi alla presentazione del libro dedicato al porporato del Benin:  "Missionario africano a Roma. Missionario romano in Africa".

    Il volume (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 276, euro 13) è curato dal francescano Giulio Cerchietti, officiale della Congregazione per i Vescovi, presidente dell'associazione Amici del Benin e già segretario del cardinale Gantin, dal francescano conventuale Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e dal medico personale del porporato, Luigi Lalloni. Suddiviso in tre parti, illustra la vita e le opere di Gantin e raccoglie testimonianze di uomini e donne di Chiesa e di laici che lo hanno conosciuto e apprezzato.

    La pubblicazione acquista una maggiore attualità in vista del viaggio che Benedetto XVI farà nel Paese dal 18 al 20 novembre del prossimo anno, non solo per consegnare alle Conferenze episcopali locali l'esortazione apostolica frutto del sinodo continentale dell'ottobre 2009 ma anche per ricordare il cardinale africano, insieme al quale ricevette la porpora nel Concistoro del 27 giugno 1977.
    La presentazione, alla presenza del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, è stata affidata a monsignor Adoukonou:  ex allievo di Joseph Ratzinger a Ratisbona, il segretario del Pontificio Consiglio della Cultura è infatti connazionale e in qualche modo figlio spirituale di Gantin.

    Nella sua relazione il prelato, ricordando un suo intervento in occasione del iv centenario della morte di Matteo Ricci, ha collegato la figura del missionario gesuita con quella del grande cardinale africano. "Entrambi - ha detto - hanno messo in opera quella stessa realtà che Cristo ha indicato come la migliore dimensione della cultura dei popoli, che li fa avanzare verso la vera umanità per farne espressione della sua relazione con i suoi discepoli:  l'amicizia". Il primo scrisse un'opera decisiva sull'argomento, trattandolo sia nell'ottica della cultura occidentale sia in quella confuciana cinese, "quasi per dire che l'interculturalità si attua soltanto sulla base di tale forza divina che unisce Dio e gli uomini tra loro. Quando essa è realizzata, l'intelligenza percepisce tutto il resto che, per sua natura, deve collegare gli uomini e le culture". Da parte sua "il cardinale Gantin non ha scritto libri sull'amicizia, ma in se stesso rappresenta un'epifania dell'amore che crea mille relazioni. È vissuto e ha testimoniato, in una sinfonia di rara bellezza, ciò che vuol dire amicizia".

    Per monsignor Adoukonou "il cardinale africano proclama al mondo che l'essenziale, che si dice essere invisibile ai nostri occhi, in verità è nel cuore, anzi è il cuore stesso. L'amicizia è la condizione ontologica della possibilità dell'interculturalità autentica".

    Successivamente il relatore si è soffermato sui due aspetti rievocati dal titolo dell'opera. Anzitutto ha fatto notare che gli autori non hanno usato l'espressione "missionario dell'Africa", bensì quella di "missionario africano". "L'Africa - ha spiegato - non è qui in atteggiamento soggettivo, ma oggettivo, e ciò ha la sua importanza. L'Africa, nella persona di quest'uomo, ha iniziato a essere evangelizzata e ha provato la felicità della grazia divina, che ha messo uomini di altri Paesi in movimento verso di essa. Nella persona del cardinale Gantin, la Buona Novella è stata accolta da un'umanità bella e forte". Ecco perché il sacerdote, poi il vescovo e quindi il cardinale fece di tutto per ritrovare le origini di quel padre Joulor che aveva battezzato suo padre e di tutti i missionari della sua terra natale.

    Secondo il segretario del dicastero per la cultura, il cardinale Gantin è quell'africano credente, "figlio dei missionari", che "nel pieno vigore dell'età arriva a Roma come missionario africano. Se oggi si è sempre più d'accordo sul fatto che il metodo più obiettivo per parlare di Dio è la testimonianza - ha aggiunto - bisogna allo stesso tempo riconoscere che il cardinale Gantin apparteneva alla razza dei profeti, molto in anticipo rispetto al suo tempo. Aveva intuito che la storia della condizione umana africana non poteva essere letta se non in maniera dossologica ed eucaristica". Per questo, quando fu "chiamato a Roma per essere il prolungamento della missione petrina nei diversi ambiti - evangelizzazione, giustizia  e pace, caritas, nomina di vescovi - egli  ha  recato  nella  sua persona il frutto maturo della missio Dei in Africa".

    Quanto al secondo aspetto, il relatore ha sottolineato come lo "stile Gantin" fosse fatto "di finezza e tatto. La gestione dei compiti affidatigli dai Papi che egli ha conosciuto e servito è un buon osservatorio di questo "stile" e di ciò che ha più modellato il "missionario romano" che egli era diventato per l'Africa".

    Un modo di procedere concreto, personalista, che mirava al cuore degli altri, nella "dedizione totale di se stesso al servizio di Dio nella persona del Papa", tanto che arrivava a dire:  il successore di Pietro è "il Cristo vivente tra noi".

    In Gantin vi è inoltre la "concentrazione della vita spirituale nei due misteri cristologici più sensibili per la conditio humana africana - la Croce e l'Eucaristia - e nel mistero di Maria". Ma, "la grazia del mistero petrino concretamente vissuto è la chiave di comprensione" del porporato del Benin. "Egli visse l'universalità della Chiesa in una sorta di devozione al Successore di Pietro".

    Per questo ciò che l'Africa ha ricevuto di più significativo da Gantin, è stata "l'apertura all'universalità, alla cattolicità. La dimensione petrina di tutte le Chiese particolari - ha affermato il relatore - è stata accolta senza difficoltà dalla Chiesa africana, perché la sua mentalità culturale la predispone già a questo".

    In definitiva, dinanzi alla tragica condizione umana dell'uomo africano, il cardinale Gantin pur non avendo scritto libri - ha concluso monsignor Adoukonou - è stato autore di "innumerevoli volumi di antropologia, di teologia della missione, di ecclesiologia, di evangelizzazione inculturata, di spiritualità, di storia della Chiesa in Benin, di presenza della Chiesa nelle vicende socio-politiche del suo Paese e dell'Africa".
     
    (gianluca biccini)


    (©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2010)



    UN GRANDE ESEMPIO DI VERA COLLEGIALITA'.......



                                            [gantin2.jpg]




    Il dolore del Papa per la morte del cardinale Gantin

    Il cardinale beninese Bernardin Gantin, decano emerito del Collegio Cardinalizio, è morto a Parigi alle 16.45 di martedì 13 maggio 2008. Aveva ottantasei anni. Il Papa appresa la notizia si è raccolto in preghiera, successivamente ha inviato il seguente telegramma a monsignor Marcel Honorat Léon Agboton, arcivescovo di Cotonou:


    Apprenant avec émotion le décès du Cardinal Bernardin Gantin, Doyen émérite du Collège des Cardinaux, je tiens à vous dire ma fervente union dans la prière avec les Evêques de la Conférence épiscopale du Bénin, avec les fidèles de l'archidiocèse de Cotonou et de tout le Bénin, ainsi qu'avec la famille du défunt et les personnes que touche ce deuil. Je demande à Dieu, Père de qui vient toute miséricorde, d'accueillir dans sa lumière et dans sa paix ce fils éminent du Bénin et de l'Afrique, estimé de tous, animé d'un esprit profondément apostolique et d'un sens élevé de l'Eglise et de sa mission dans le monde. Je rends grâce au Seigneur pour son ministère fécond, d'abord comme archevêque de Cotonou, puis pendant de nombreuses années au Saint-Siège, qu'il a servi avec une généreuse fidélité, notamment à la Congrégation pour les Evêques et comme membre du Collège des Cardinaux, dont il a aussi été le Doyen apprécié. En gage de réconfort, à vous-même, aux autres Evêques du Bénin, à la famille du défunt, aux prêtres, aux religieux, aux religieuses, aux catéchistes et à tous les fidèles du Bénin, ainsi qu'aux personnes qui prendront part à la liturgie des obsèques, j'adresse une affectueuse Bénédiction apostolique.

    BENEDICTUS PP XVI

    Nell'apprendere con commozione della morte del cardinale Bernardin Gantin, decano emerito del Collegio Cardinalizio, desidero esprimere la mia fervente unione nella preghiera con i vescovi della Conferenza episcopale del Benin, con i fedeli dell'arcidiocesi di Cotonou e di tutto il Benin, e anche con la famiglia del defunto e le persone colpite da questo lutto. Chiedo a Dio, Padre dal quale proviene ogni misericordia, di accogliere nella sua luce e nella sua pace questo figlio illustre del Benin e dell'Africa, stimato da tutti, animato da uno spirito profondamente apostolico e da un senso elevato della Chiesa e della sua missione nel mondo. Rendo grazie al Signore per il suo ministero fecondo, prima come arcivescovo di Cotonou, poi per molti anni presso la Santa Sede, che ha servito con generosa fedeltà, in particolare nella Congregazione per i Vescovi e come membro del Collegio Cardinalizio, di cui è stato anche il decano apprezzato. In segno di conforto, a voi, agli altri vescovi del Benin, alla famiglia del defunto, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli del Benin, e anche alle persone che parteciperanno alla liturgia delle esequie, imparto un'affettuosa Benedizione apostolica.

    BENEDICTUS PP XVI

    Analogo telegramma è stato inviato dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato.

    (©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2008)

    La morte del cardinale Bernardin Gantin decano emerito del Collegio cardinalizio

    Più di trent'anni di porpora (27 giugno 1977), oltre cinquanta di episcopato (3 febbraio 1957), ben cinquantasette di ministero sacerdotale (14 gennaio 1951): si riassume in questi dati la vicenda umana ed ecclesiale di Bernardin Gantin, decano emerito del Collegio Cardinalizio, morto nell'ospedale "Georges Pompidou" di Parigi martedì pomeriggio, 13 maggio, alle ore 16.45.
    Figura di grande rilievo, l'ecclesiastico beninese dopo essere stato il primo arcivescovo metropolita nero del continente, era stato chiamato al servizio della Santa Sede, fino a divenire prefetto della Congregazione per i Vescovi, presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina e decano del Collegio Cardinalizio. Il porporato scomparso aveva appena compiuto ottantasei anni: era infatti nato l'8 maggio 1922 a Toffo, nell'arcidiocesi di Cotonou, ed era stato ordinato sacerdote il 14 gennaio 1951 a Ouidah. Cinque anni dopo, l'11 dicembre 1956, veniva eletto vescovo titolare di Tipasa di Mauritania e ausiliare di Cotonou, e il 3 febbraio 1957, a soli trentaquattro anni, riceveva l'ordinazione episcopale. Il 5 gennaio 1960 veniva promosso arcivescovo di Cotonou. Da Paolo VI veniva creato cardinale nel concistoro del 27 giugno 1977. Il 29 settembre 1986 era stato promosso all'ordine dei vescovi, titolare della Chiesa Suburbicaria di Palestrina, e il 5 giugno 1993 era stato nominato decano del Collegio Cardinalizio, ufficio a cui rinunciò il 30 novembre 2002 ricevendo, per la prima volta nella storia della Chiesa, il titolo di decano emerito.

    "Quando muore un anziano è come se bruciasse una biblioteca": citava spesso questo proverbio africano il cardinale Bernardin Gantin. E oggi quelle parole s'attagliano benissimo al porporato scomparso. Nel suo cognome, che vuol dire "albero di ferro", è racchiuso il programma di una vita spesa al servizio della Chiesa missionaria, del Papa, dell'Africa, in particolare del suo Benin.
    Da Pio XII a Benedetto XVI, i Papi sono stati al centro della sua azione pastorale ed ecclesiale, culminata nelle responsabilità avute in quattro dicasteri chiave della Santa Sede: quello missionario (come segretario aggiunto e poi segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli), i Pontifici Consigli della Giustizia e della Pace e Cor Unum (dei quali è stato presidente) e infine la Congregazione per i Vescovi, che ha guidato come prefetto per quattordici anni.
    Nella molteplicità di questi impegni non ha mai dimenticato le sue radici africane, anche se per trentuno anni è stato fisicamente lontano dalla terra natale. Per la sua patria beninese ha lavorato sino al traguardo dell'indipendenza, ha dato un valido contributo alla creazione della nunziatura apostolica e ha speso molte forze per la realizzazione del santuario mariano Notre Dame de la Paix di Dassa-Zoumé, da lui stesso inaugurato il 25 agosto 2002.
    Era figlio di un funzionario delle ferrovie dell'allora Dahomey, dove nel 1881 l'arrivo dei primi missionari segnò la nascita della fede cristiana. Fu l'antica e illustre città di Ouidah, ad accogliere, il 18 aprile, i primi messaggeri del Vangelo. Qui venne innalzata la prima grande chiesa cattolica del Paese, costruita in onore dell'Immacolata da monsignor François Steinmetz, il vescovo missionario alsaziano divenuto famoso con il soprannome Daga ("l'uomo grande").

                                 


    All'età di quattordici anni, nel 1936, terminati gli studi inferiori, era entrato nel seminario minore. Era stato ordinato sacerdote il 14 gennaio 1951 a Ouidah dall'arcivescovo Louis Parisot, insieme con Christophe Adimou, poi divenuto vescovo e suo primo successore a Cotonou.
    Per due anni il giovane sacerdote Gantin aveva insegnato lingue al seminario maggiore di Ouidah, dedicato a santa Giovanna d'Arco, prima che il 23 luglio 1953 i superiori lo inviassero a Roma per continuare gli studi presso l'ateneo di Propaganda Fide al Gianicolo e alla Lateranense, dove aveva ottenuto le licenze in teologia e in diritto canonico. Alunno del Collegio Urbano, mentre era impegnato nella preparazione della tesi in diritto, l'11 dicembre 1956 era stato eletto vescovo titolare di Tipasa di Mauritania e ausiliare di Cotonou.
    Nella cappella del Collegio di Propaganda Fide, il 3 febbraio 1957, a soli trentaquattro anni, aveva ricevuto l'ordinazione episcopale dal cardinale Eugène Tisserant, decano del Sacro Collegio. Come motto del suo stemma episcopale aveva scelto In tuo sancto servitio.
    Il 5 gennaio 1960 il giovane ausiliare era stato promosso arcivescovo di Cotonou, primo metropolita nero di tutta l'Africa. Giunto nell'arcidiocesi il 7 marzo 1960, aveva svolto il suo ministero con autorevolezza, senso della giustizia, disinteresse, attenzione verso il prossimo e amore per la Chiesa, curando soprattutto la formazione del clero.
    Suddivisa l'arcidiocesi in zone pastorali per poter seguire da vicino e con efficacia le singole realtà, aveva promosso l'istituzione di scuole e offerto nuovo slancio e rinnovato vigore all'attività dei catechisti. Aveva organizzato la catechesi in tutta l'Africa francofona. Si deve a lui la nascita dell'Istituto superiore di cultura religiosa ad Abidjan.
    Nel 1962 aveva favorito la creazione del Centro di catechesi di Ouidah, dedicato alla formazione dei catechisti delle diocesi di Cotonou, Porto Novo e Lokossa, e aveva promosso la creazione di nuove diocesi: Abomey (1963), Parakou e Natitingou (1964), Lokossa (1968). Eletto presidente della Conferenza episcopale della regione - che comprendeva otto Paesi dell'Africa Occidentale: Dahomey, Togo, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Mali, Guinea, Senegal e Niger - aveva partecipato alla preparazione e a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II.
    Da Paolo VI il 5 marzo 1971 era stato chiamato a Roma, come segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Di questo dicastero era divenuto segretario due anni più tardi, nel 1973, primo vescovo africano ad assumere incarichi di responsabilità nella Curia.
    Il 20 dicembre 1975 era stato nominato vice presidente della Pontificia Commissione della Giustizia e della Pace e successivamente ne era divenuto presidente. Il 14 gennaio 1976 era stato nominato anche presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum.

    Da Papa Montini era stato creato cardinale nel concistoro del 27 giugno 1977 insieme con Joseph Ratzinger, allora arcivescovo di München und Freising, e i compianti Frantisek Tomásek, Giovanni Benelli e Luigi Ciappi. Gantin ricordava spesso le parole di sua madre in quell'occasione: "Non dimenticarti mai del lontano e piccolo villaggio dal quale proveniamo".

    L'8 aprile 1984 era stato nominato prefetto della Congregazione per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. Il 29 settembre 1986 era stato promosso da Giovanni Paolo II all'ordine dei vescovi, con il titolo della Chiesa suburbicaria di Palestrina. Il 5 giugno 1993, al momento della nomina a decano del Collegio Cardinalizio, assunse secondo la tradizione anche il titolo della Chiesa suburbicaria di Ostia.
    Membro del consiglio della seconda sezione della Segreteria di Stato, delle Congregazioni per le Chiese Orientali, del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, delle Cause dei Santi, per l'Evangelizzazione dei Popoli, degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, dell'Educazione Cattolica, del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, del Pontificio Consiglio per l'Interpretazione dei Testi Legislativi, Bernardin Gantin era stato anche membro della commissione cardinalizia per i Pontifici santuari di Pompei, di Loreto e di Bari e della commissione cardinalizia di vigilanza dell'Istituto per le Opere di Religione.
    Il 25 giugno 1998, raggiunto il limite di età, si era dimesso da prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il 30 novembre 2002 aveva rinunciato anche al titolo di decano del Collegio Cardinalizio e, il 3 dicembre 2002, era ritornato in Benin, dove aveva continuato tra la sua gente l'opera missionaria iniziata dal giorno dell'ordinazione sacerdotale.
    Prima di lasciare Roma, aveva celebrato la messa sulla tomba di San Pietro proprio nella festa liturgica di san Francesco Saverio, patrono delle Missioni. Aveva rievocato in quell'occasione il pensiero inciso nella cupola della basilica vaticana, appartenente al grande vescovo africano san Cipriano di Cartagine: "Qui una sola fede risplende per il mondo. Qui scaturisce l'unità del sacerdozio".
    Bernardin Gantin era stato più volte Legato pontificio e Inviato speciale del Papa in numerosi Paesi del mondo. Era anche membro dell'Accademia reale del Marocco dal 1985 e commendatore della Légion d'honneur di Francia.
    Nel corso dell'anno 2005 l'anziano porporato era ritornato a Roma per ben due volte: era presente alle esequie di Giovanni Paolo II e alla elezione di Benedetto XVI. Il 28 aprile era stato ricevuto in udienza dal Papa, il quale durante la visita ad limina dei vescovi del Benin, il 20 settembre 2007, aveva chiesto ai presuli di "trasmettere" il suo "saluto affettuoso al caro cardinale Bernardin Gantin", che non aveva potuto partecipare all'udienza svoltasi a Castel Gandolfo. Era poi ritornato per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, partecipando all'apertura della causa di beatificazione di Papa Wojtyla, il 28 giugno, nella basilica di San Giovanni in Laterano, e all'imposizione del pallio al nuovo arcivescovo di Cotonou, monsignor Marcel Honorat Léon Agboton, il 29 giugno nella Basilica Vaticana.

    (©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2008)


                            


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 10:38
    [SM=g1740733]

    18 luglio 1870 - 2011: Bouquet di fiori in onore dell'Infallibilità pontificia




    S.E.R. Monsignor Gaspard Mermillod, vescovo titolare di Hebron (1824-1892)
    poi Arcivescovo di Losanna e Ginevra
    Cardinale nel 1890

    Discorso tenuto il 2 luglio 1870 al Concilio Vaticano

    "Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri. Senza esordio entro subito nel vivo della questione e tenterò di esprimere pochi parole su capo IV (ovvero sull'infallibilità pontificia) ma ancor più col mio silenzio spero di indicare la via al Concilio.
    Tutti siamo oppressi da un duplice peso, quello del calore e quello dell'eloquenza, speravamo così che concordi, con naturale modo d'agire tutti fossero chiamati alla propria vocazione di giudici e non di oratori. Da sei mesi i vescovi provano di essere giudici e non vogliono emettere il loro giudizio. Siamo preparati in teologia., siamo prudenti, siamo docenti. Non è più
    ora di discussione ma davanti a Dio che ci ha riunito, davanti alla Chiesa che aspira alla pace e all'unità, davanti alle anime che sono in ansietà, davanti al Sommo Pontefice delle cui prerogative non è decoroso per noi discettare, tutti ci dicono: é l'ora di definire, non di discutere".



    [SM=g1740758]

    S.E.R. Monsignor Lorenzo Gastaldi, vescovo di Saluzzo, poi Arcivescovo di Torino (1815-1883)

    Estratti da un discorso tenuto il 2 luglio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Dunque, reverendissimi padri, mi muove e mi muove massimamente questa ragione chè da quando questo Concilio si è aperto, in tutte le gazzette e su tutti i giornali, i nomi dei vescovi, che in quest'aula hanno proferito un qualche motto contro l'infallibilità del Romano pontifice, sono stati e sono ricoperti di lodi. I nomi di quelli che difendono l'infallibità pontificia sono colpiti da ingiurie e improperi. Di grazia, nella medesima pagina in cui vi son tante bestemmie contro Gesù Cristo, contro la sua Chiesa, contro la presenza reale di Nostro Signore nell'Eucaristia, leggere le lodi, i plausi, gli elogi di coloro che impugnano l'infallibilità pontificia, chi parlerebbe così, se non il diavolo? Chi, se non satana, può al medesimo tempo bestemmiare la chiesa di Cristo e lodare il vescovo che combatte l'infallibilità del Capo della Chiesa?
    Io, se mai leggessi il mio nome in qualcuno di quelle pagine e colonne, penserei, come mi fu detto da qualcuno dei vescovi, che sia giunto il momento di iniziare a tremare.[...] Temerei che il mio nome, per il fatto di essere scritto in quella pagina, fosse stato cancellato dal libro dei viventi. Invece quando vedo il mio nome spregiato da codesti impugnatori, nemici e avversari della Chiesa, ne traggo grande gioia. Ho la speranza che il nome sia scritto tra quelli eletti. Reverendissimi padri[...], noi tutti abbiamo la fede cattolica nei nostri cuori, noi tutti siamo pastori di Gesù Cristo, ovvero da Lui posti a reggere la Chiesa, a pascere le pecore.


    [SM=g1740758]

    S.E.R. Monsignor Josè Francisco Ezequiel Moreira, vescovo di Ayacucho (1826-1874)

    Breve discorso tenuto al Concilio Vaticano il 2 luglio 1870

    "Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, dopo le magnifiche orazioni dei sapientissimi vescovi, rinunzio alla mia, poichè non è bello ascoltare il semplice Pafnuzio dopo il dotto Atanasio. Perdonatemi se dirò solo qualche parola in segno di lode e d'amore per la Cattedra di San Pietro, dirò qualche parola che in sè contiene la dottrina dell'Infallibilità, poichè se la fede della Chiesa romana è la fede della Chiesa cattolica, ne segue che questa cattedra di San Pietro, dove si conserva questa fede, sempre e ovunque mantiene la sua forza.
    O Santa e benedetta cattedra di Pietro, fondata su Pietro! Tu sei quella cattedra che quando insegna, insegna il Vero. Quando definisci, definisci nello Spirito Santo, quando leghi, leghi con vincoli indissolubili, quando sciogli, veramente e realmente sciogli, quando anatematizzi, anatematizzi con una maledizione celeste, quando dispensi, dispensi con l'autorità ricevuta da Cristo, quando apri, apri il Paradiso e il Purgatorio. Oh Cattedra! Chi non ti teme, è già condannato! Chi non ti venera, è maledetto! Chi non ti obbedisce è scismatico, chi si separa da te, è eretico. La tua autorità è divina, il tuo timore santo, la tua dottrina vera, il tuo giudizio retto, il tuo decoro supremo, la tua benedizione celeste. [SM=g1740721]

    Non posso qui esimermi dal rendere grazie. O Santa Chiesa Romana, unica tra tutte le chiese apostoliche che non sei venuta mai meno nella fede! E' venuta meno l'Acaia dove sedeva Andrea, l'Etiopia dove sedeva Matteo, l'India dove sedeva Tommaso, la Siria dove sedeva Filippo, la Giudea dove sedeva Giacomo, la Persia dove sedeva Simone, la Grecia dove sedeva Paolo, Tu invece, Chiesa romana, dove siedeva Pietro, non sei MAI venuta meno, nè mai avverrà che tu venga meno. Ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli, che si affaticano ai remi.
    Questa è la lode che esprimo alla Santa Chiesa Romana in ossequio e amore".

    [SM=g1740758]


    S.E.R. Monsignor Pietro Doino Maupas, Arcivescovo di Zara (1813-1891)

    Estratti da un discorso tenuto il 23 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...] e quindi sempre e sempre di più i Romani Pontefici dal vertice Vaticano hanno annunziato a tutte le nazioni la divinità di Cristo e la fede integra, in modo tale che con giusto merito i vescovi e i fedeli sono tenuti a gridare e a ripetere con il sommo dottore dalmata Girolamo: "Questa è la fede, Papa beatissimo, che abbiamo imparato nella Chiesa cattolica, che sempre abbiamo tenuto, nella quale se per caso vi fosse qualcosa di meno corretto o poco cauto, desideriamo essere emendati da te che tieni la fede e la sede di Pietro"
    A questa preclara testimonianza, noi, raccolti in questo concilio ecumenico, animati anzitutto dalla divina assistenza dello Spirito Santo, aggiungiamo ulteriormente: Papa beatissimo, l'inerranza e l'infallibilità della Chiesa è la TUA infallibilità, poiche Pietro vive in te, poichè sempre hai pronunciato parole di vita, sempre hai insegnato la fede cristiana e l'hai difesa dagli errori. E se al Concilio di Firenze, i padri riuniti ti decretarono maestro e dottore, noi riuniti in questo Concilio Vaticano mai potremo permettere che qualcuno asserisca vi sia qualcosa di errato o di dannoso nel tuo magistero, poichè allora vi sarebbe bisogno dell'opera di un altro per insegnare, nè i fedeli potrebbero mai aderire al tuo magistero e alla tua dottrina.

    [...]E quindi da tutte le prove portate mi è lecito concludere che: 1) da tutte e singole le chiese disperse nell'orbe sin dai primissimi tempi della Chiesa hanno fatto ricorso ai Romani pontefici, successori di Pietro, per dirimere le questioni sulla fede e sui costumi; 2) da tutte e da ciascuna chiesa sempre ed ovunque è stato ritenuto per certo che i Romani pontefici non abbiano mai errato nel definire questioni di fede e di costumi; 3) l'Infallibilità compete nella Fede e nei costumi al Pontefice romano, in quanto supremo maestro nella chiesa e in forza del suo divino Primato; 4) L'Infallibilità del Romano pontefice è una e medesima con l'Infallibilità della Chiesa, tanto quanto al soggetto quanto all'oggetto; 5) Se l'infallibilità della Chiesa è di Fede divina, l'infallibilità del Romano pontefice che ha il suo fondamento nella Fede divina, può essere portata a definizione sotto forma di Dogma senza alcuna asserzione o pericolo di novità; 6) questa definizione non è solo utile ma anche necessaria in questi tempi, ragion per cui ulteriori altre prerogative, inerenti al Primato per diritto divino, dovranno essere definite; 7) esiste nella Chiesa un criterio storico-teologico, attraverso il quale i fatti storici che sembrano contrastare con questa definizione, possono essere impugnati, sciolti, chiariti e fissati.[...]


    [SM=g1740758]

    S.E.R. Monsignor Charles Emile Freppel, vescovo di Angers (1827-1891)


    Estratti da un discorso tenuto il 2 luglio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Abbiamo sentito alcuni reverendissimi padri che proponevano che nella stessa formula di definizione si inserissero alcune condizioni di infallibilità, ovvero la consultazione previa dei vescovi, l'invocazione dello Spirito Santo, l'applicazione della diligenza umana e altre cose del medesimo tipo. Su queste condizioni, con tutta la reverenza dovuta a costoro e con tutta l'umiltà, non posso acconsentire in alcun modo. Mi sembra che questi reverendissimi oratori suggeriscano una qualche confusione tra le condizioni dell'infallibilità e i mezzi ordinari e usuali che il Pontefice è solito o deve utilizzare, perchè possa aver maggior chiarezza sulla verità da definire.
    Non neghiamo che questi mezzi debbano essere utilizzati dal Pontefice secondo necessità o opportunità ma, di grazia, reverendissimi padri, queste condizioni riguardano un'obbligazione morale, non il diritto di cui il Pontefice gode di definire le verità. In questa nostra definizione dogmatica non spetta a noi parlare dei doveri del Sommo Pontefice ma esclusivamente dei suoi DIRITTI.[...]
    [...]Dunque non bisogna porre nessuna condizione a questa definizione dogmatica, perchè ciò è inutile e sarebbe pericolosissimo, aprendo la strada larga e larghissima alle cavillazioni degli eretici, che sempre metterebbero in dubbio, se il Pontefice abbia consultato i vescovi bastevolmente o se abbia applicato tutta la sua solerzia o attenzione nel documentarsi o se abbia attinto pienamente alle fonti sacre della Scrittura e della Tradizione.
    Quindi è assolutamente necessario astenersi dal porre una qualsivoglia condizione di questo tipo.[...]


    [SM=g1740771]

    Un omaggio al Papato Romano in Sede Vacante (in onore di San Pio X)

    "Habemus pontificem! Abbiamo il Maestro infallibile che non può essere ingannato nè ingannare, che sa sciogliere i nostri dubbi, rispondere ai problemi più vitali, dir l'ultima parola che invano si aspetta dai sapienti e dalle cattedre del mondo: parola infallibile, parola purissima come argento passato al crogiuolo, sette volte raffinato.

    Habemus pontificem! cioè un Maestro infallibile col quale siamo sicuri di essere sulla retta via, di non sbagliare, di dire sempre la verità giacchè anche noi, stando col Papa, diventiamo, in certo qual modo, infallbili. Come i satelliti che si aggirano attorno al Sole, così noi, seguendo il Papa, veniamo a risplendere della sua stessa luce e, con tutta ragione possiamo dire: "Io sono infallibile!". Si, affermando in materia di Fede e costumi, quello che afferma il Papa, la mia affermazione è infallibile: negando quello che nega il Papa, la mia negazione è infallibile; giudicando sempre come giudica il Papa, il mio giudizio è sempre infallibile.

    Habemus Pontificem! Abbiamo il Maestro infallibile. Egli sorge gigante e fulgido qual faro sulla buia e interminabile riva di questo mare magnum che è il mondo...I flutti non possono offenderlo, le nubi oscurarlo, la distanza nasconderlo; gli altri luminari si esclissano intorno: "Muore ogni astro in faccia al sol".

    O uomini, o popoli, che navigate sopra il mare procelloso e torbido della vita, volete voi la verità? la soluzione chiara e certa dei grandi problemi che vi agitano? la guida che conduce al porto sicuro?
    Non badate ai luminari tremolanti qua e là nelle tenebre come lucciole, dirigetevi tutti verso il faro che splende sul colle Vaticano.

    E Tu, o Maestro infallibile, parla! Oh parla! In mezzo al dissolvimento universale dell'ora presente, allo scetticismo di un secolo che dubita di tutto, ad una società che si sfascia, a tante dottrine che si combattono, a scuole che succedono a scuole, a sistemi che distruggono sistemi, a opinioni che s'incalzano per finir tutte nel nulla...noi abbiamo bisogno di una voce autorevole e sicura che riveli quella verità la quale insegna la via che conduce alla vita! Oh parla dunque, Maestro infallibile! TU SOLO hai parola di verità e vita...Dove andremo noi a cercarle lontano da te? Forse nei libri, nelle teorie, nei sistemi dei filosofi? Nelle scuole di Parigi, d'Oxford, di Ginevra? Nella politica, nelle massime del mondo? Ah! Tacete tutti...voci dell'umana sapienza, voci di cattedre menzognere, voci di sette malvage, voci discordi della pubblica opinione, della politica, degl'interessi del mondo...tacete, tacete! Lasciate che ascolti la voce che viene da Roma.

    Oh! Parla, parla dunque, Maestro infallibile, io ti ascolto in ginocchio come si ascolta Iddio, e mi si paralizzi il braccio, muta diventi la lingua, ciechi gli occhi, prima che mi dimentichi dei tuoi insegnamenti!

    O Maestro infallibile! parla, che con me Ti ascolta e crede tutta la Chiesa Cattolica, nè potenza mai del mondo o dell'inferno potrà separarci da Te, come nessuna forza potrà mai separar Te dalla verità, poichè Gesù Cristo per questo ha pregato: Ego rogavi pro te ut non deficiat fides tua".

    Da "Il Triregno. Autorità, Infallibilità, Santità papale" di Padre Angelico Arrighini"



    [SM=g1740738]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 10:45



    S.E.R. Cardinal Louis-Edouard-François-Desiré Pie (1815-1880)

    Un discorso sullì'infallibilità pontificia al concilio Vaticano

    [...] Sia allontanata dunque questa gratuita, fantastica e ingiuriosa immagine della separazione del capo dal corpo!
    La dottrina ecclesiastica non sopporta la decollazione di San Pietro, nè la storia lo riferisce. Infatti, come osservarono gli antichi scrittori, mentre Paolo, il cui apostolato era temporaneo e straordinario, perse la vita per decapitazione, Pietro, che sarebbe stato a capo della Chiesa del Dio vivente per tutti i secoli futuri, morendo, non ebbe il capo mozzato.
    E qui piaccia ascoltare le parole di un altro pontefice, insignito del grande nome di Leone, ovvero Leone IX che la Gallia ed insieme la Germania si gloriano di aver dato alla Cattedra romana.
    "Dunque, disse, quel devotissimo Pietro (scriveva a Michele Costantinopolitano) non solo vivendo ma anche morendo dimostrò ciò, quando chiese con chiaro significato di essere crocefisso capovolto a testa in giù.
    Spinto da divina ispirazione, si prefigurò come strettamente e indissolubilmente unito e connesso con la prima Pietra fondamentale, che è Gesù Cristo.
    Affinchè egli, come sovrapposto alla Pietra angolare, portasse tutto il peso della Chiesa, costruzione dall'incorruttibile solidità, e ponendo alla base il proprio capo, sollevasse verso i cieli, con il suo collo inflessibile, tutte le membra del corpo di Cristo crescenti sino alla fine dei tempi, attraverso adatte e naturali articolazioni, come se crescessero sino ai piedi".

    Dunque, nessuna separazione, eminentissimi e reverendissimi padri, nessuna mutilazione deve essere rinvenuta in Pietro. Egli dalla Catacomba Vaticana, dove soggiace, come disse il nostro Ilario, per edificare la Chiesa intera, quando vi sarà la Resurrezione, porterà nell'eternità, per incorporarle al suo divin Capo, tutte le membra del corpo di Cristo, legate al suo potentissimo collo.


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Costantino Patrizi Naro (Siena, 4 settembre 1798 – Roma, 17 dicembre 1876)

    Da un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 14 maggio 1870

    [...] Giustamente voi sapete, eminentissimi e reverendissimi padri, quali e quanti mali e quanti danni vennero dalle dottrine e dai falsi commenti contro la Sede Apostolica fatti da Marsilio, Richerio, Giansenio, Febronio e altri uomini di tal fatta. Deve esservi chiaro che molti mali di questa natura troverebbero incremento nei giorni a venire, se, durante il Concilio Vaticano, mentre nelle menti dei fedeli si raccoglie una tale congerie di dubbi, si mantenesse il silenzio su questioni di tal fatta e non si procurasse adeguato rimedio per eludere i sotterfugi di quegli scrittori, per svelarne l'ipocrisia, per condannarne gli errori.
    Eppure mi si presentano alcuni che continuano a dire che alcune verità debbono essere asserite solo in un tempo opportuno, affinchè la Chiesa non ne patisca mali ulteriori.
    Ma Cristo stesso che aveva dato agli apostoli il mandato di insegnare, li ammonì pubblicamente che la Verità andava predicata non di nascosto ma avanti a tutti, non in un orecchio ma sui tetti.
    Obbedendo a questo divino precetto, la Chiesa mai mancò di condannare pubblicamente gli errori sin dalla sua origine.
    [...]Se la Chiesa mai tacque quando si trattò di difendere la purezza della Fede, in che potrebbe tacere in questi nostri tempi, quando per una sfrenata libertà di scrivere e per una smodata libertà di parole e di pensieri, non vi è alcun argomento della dottrina cattolica che platealmente e in mezzo al popolo non venga impugnato e negato con una audacia pari solo all'empietà.[...]
    Chi non vede che i pessimi nemici della Chiesa da molti anni hanno raccolto pietre per abbattere la Sede Apostolica, per calpestare e vilipendere la Cattedra del Divo Pietro, gettare in spregio i diritti e le prerogative dei Romani Pontefici?
    [...] Chi dubita di vivere in tempi temibili e pericolosi per la Chiesa, nei quali è necessario che i pastori della Chiesa debbano rivestirsi di nuova virtù (ricevuta dall'alto) per combattere le battaglie di Dio?
    Non senza un arcano disegno della divina provvidenza, ci siamo radunati qui in un sol luogo; affinchè, aggiunte nuove forze, procuriamo pubblicamente nuova forza al nostro supremo Duce e Pastore, e perchò noi stessi, ricreati e rafforzati da questa stessa Verità, avanziamo come esercito schierato per abbattere le macchinazioni dei nostri nemici, dissipare gli errori, insegnare la verità, ricondurre tutti, con l'aiuto di Dio, al retto sentiero della salvezza.
    Nel modo in cui Cristo volle che i popoli udissero le parole di Dio per bocca di Pietro e credessero, così affidò a noi il compito di rafforzare sempre e sempre di più la solidità di questa pietra e di difendere e propagare pubblicamente gli oracoli del supremo pastore e supremo maestro dei fedeli.[...]



    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Luigi Natoli (1798-1875)

    Vescovo di Patti, poi vescovo di Caltagirone, Arcivescovo di Messina

    Da un intervento al concilio Vaticano (14 maggio 1870)

    [...]Si asserisce abbiano errato Vigilio, Liberio, Onorio e altri. Non so se queste cose si dicano in buona fede, reverendissimi padri.
    Rimangono lettere, monumenti autentici, ricostruzioni storiche chiarissime che liberano questi pontefici da tanta sozzura e da tali accuse. Reverendissimi padri, il PAPA è infallibile: questo solo è nella mente dei fedeli, questo solo nel loro cuore, questo solo sulla loro bocca. Chi oserebbe negarlo? Ciascuno di noi conosce i desideri dei propri fedeli. Nella terra siciliana, che giustamente è chiamata terra di martiri, tutti unanimemente professano questa verità. Dai tempi apostolici, nei quali dalla bocca di Pancrazio, Birillo e Bacchide e di altri vescovi cristiani ricevettero la fede, sino a questi nostri tempi nessuno dubitò mai dell'infallibilità pontificia.
    Ragion per cui [i fedeli] udendo dottrine inusitate circa le decisioni pontificie, furono presi da sommo orrore e costernati e con insistenza, con somma insistenza domandano, reclamano la definizione dell'infallibilità.
    Dunque, reverendissimi padri, dobbiamo avere un cuore solo un'anima sola: raccolti i pareri, portate a termine le fatiche, giungeremo al fine.
    Grideremo con animo fervente e voce supplice: Veni Sancte Spiritus, ed Egli verrà.
    Allora, emesso il decreto conciliare, da ogni parte della terra eromperà una voce: Osanna a Papa Pio IX e ai padri del concilio Vaticano e a Pio ancora piu volte osanna"


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Victor Auguste Dechamps, arcivescovo di Malines, primate del Belgio (1810-1883)

    [...]Quando l'esposizione e la spiegazione del dogma apparirà prima dei canoni, i fedeli di ognidove comprenderanno che non vi deve essere un miracolo, e nemmeno l'ombra di un miracolo, perchè il Vicario di Gesù Cristo in terra possa essere detto e sia anzi infallibile.
    Capiranno i popoli che questa infallibilità è opera della divina provvidenza ordinaria di Gesù Cristo che vigila sulla sua Chiesa e che attraverso di essa porta a buon fine ciò che divinamente promise.
    Chiaramente si vedrà che l'infallibilità pontificia è la PIETRA ANGOLARE dell'edificio ecclesiastico, contro il quale sono nulli gli assalti infernali.[...]
    Vedranno quindi tutti coloro che cercano la verità, che la confessione della nostra fede nell'autorità suprema conferita da Cristo non sarà inutile per la salvezza delle anime ma anzi tanto proficua per le nostre pecorelle quanto sarebbe esiziale per loro, evidentemente esiziale, un nostro inesplicabile silenzio.
    Ordunque, eminentissimi e reverendissimi padri, ammetto che vi siano delle oscurità e delle tenebre, che si trovino delle ansietà nei cuori dei nostri illustrissimi confratelli che amano ardentemente la verità e ne vogliono l'esaltazione: così come volevano l'esaltazione di Cristo quelle grandi anime che al sepolcro dicevano: Chi ci rovescerà la pietrà?
    E tuttavia andavano e non si volgevano indietro e trovarono la pietra rovesciata. [...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Francois August Donnet, arcivescovo di Bordeaux (1795-1882)

    Da un discorso tenuto il 17 maggio 1870 al Concilio Vaticano


    [...] Dirò solo questo: se veramente dopo tanti secoli l'autorità pontificale può attribuirsi, con il consenso di tutta la Chiesa, il privilegio dell'inerranza posto come fondamento, ciò è avvenuto in base alle promesse di Cristo che disse: Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi. Davanti a Dio e agli uomini, al cospetto della Corte celeste e di questo augusto concilio ecumenico, presso il soglio di Pio pontefice massimo ed il sepolcro di Pietro, sono debitore della fede mia e di quella dei miei diocesani della sede di Bordeaux, per i fedeli affidati alla mia cura pastorale e per il mio clero amatissimo che collabora con me nella proclamazione dell'Evangelo, sono debitore e perciò alzo la mia voce come fosse una tromba, mostro testimonianza del mio assolutissimo assenso, col quale abbraccio e professo la dottrina dell'infallibilità del Sommo Pontefice.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Paul Cullen, Arcivescovo di Dublino (1803-1878)

    [...]Ho udito qualcuno lamentarsi che il pontefice violi la libertà delle chiese orientali. Ma in cosa consiste questa violazione?
    In infelici circostanze avvenne (in più occasioni) che popoli, soldati, marinai, artigiani, operai, contadini, poveri e ricchi abbiano usurpato la potestà di nominare patriarchi e arcivescovi e vescovi e che spesso l'elezioni fossero fatte precipuamente da costoro.
    Per questo motivo soprattutto, la chiesa in Oriente è caduta in rovina: non vi è nessuna possibilità possa essere restaurata se il Sommo pontefice non rivendica i diritti della Chiesa e non prende su di sè la potestà di nominare [...] patriarchi, arcivescovi e vescovi. Tanto è remoto il fatto che il Pontefice possa avere violato i diritti della Chiesa al punto che Egli vuol ancor più rivendicare la libertà della Chiesa.
    In tempi passati, sopratutto nell'ultimo periodo del secolo scorso [XVIII n.d.t.] in Germania, abbiamo letto che alcuni grandi arcivescovi e elettori imperiali conspirassero insieme per diminuire le prerogative del Sommo Pontefice.
    Cosa fecero quasi tutti lo sanno, cosa scrisse Febronio tutti lo conoscono. Ebbene, cos'hanno ottenuto?
    Questi arcivescovi e vescovi sono stati annichiliti dalle rivoluzioni che sono sopraggiunte e mentre tentavano di abbattere il potere pontificio, hanno perso tutto quello che avevano o quasi.

    E ai Greci, cosa è accaduto? Leggerò un breve estratto su questo da una lettera del grande Pontefice Gregorio IX, scritta a Germano, arcivescovo costantinpolitano: "Prevedendo il Signore che la Chiesa sarebbe stata oppressa dai tiranni e dilaniata dagli eretici e divisa dagli scismatici, disse: "Rogavi pro te, Petre, ut non deficiat fides tua: et tu aliquando conversus, confirma fratres tuos".

    Da ciò si desume chiaramente che ogni questione di Fede debba essere riferita alla sede di Pietro. Ma, e lo diciamo con dolore, per usare le parole della tua lettera, presuntuosamente, non per mano di soldati ma per pessimi sentimenti di ecclesiastici, la tunica talare e inconsutile del vero Giuseppe, è stata spezzata. Vediamo chi l'ha strappata. Da quando la Chiesa greca si è staccata dalla Sede Romana ha perso il privilegio della libertà ecclesiastica. Da libera che era, è diventata ancella della potestà secolare, in modo tale che, per un giusto giudizio di Dio, chi non volle riconoscere un divino primato in Pietro, subisca ora contro la sua volontà un dominio secolare".[...]
    Ai Sommi Pontefici, successori di Pietro, è stata data una suprema potestà su tutti, pecore e agnelli, e che sia stata data su tutta la Chiesa è di solare evidenza, ma è altrettanto chiaro che una potestà di questo tipo non sia mai stata data ai vescovi.

    Gli apostoli, sin quando vissero, avevano una certa qual straordinaria potestà per poter portare al mondo l'Evangelo. Ma con la loro morte, questa potestà straordinaria cessò e la potestà dei vescovi fu riportata nei confini delle loro diocesi.[...]


    [SM=g1740738]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 10:54

    S.E.R. Monsignor Giuseppe Benedetto Dusmet O.S.B., Arcivescovo di Catania (1818-1894), Cardinale nel 1888

    Estratto da un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 14 maggio 1870

    [...]Il regno dei cieli, reverendissimi padri, è regno di Verità, regno di un Dio che disse di sè stesso: EGO SUM VERITAS.
    Dunque a Pietro furono date le chiavi della verità, per questo il Papa è infallibile. Questa è la sola possibile interpretazione, in virtù della quale il privilegio concesso al solo Pietro, distinto dagli altri apostoli , si aggiunge alla prerogativa data a tutti gli apostoli congiunti con Pietro, in modo tale che da entrambe queste collazioni sorga uno splendido ordine di unità.
    Questo basamento, su cui si appoggia una tradizione ininterrotta, è abbastanza saldo, nè potè essere in qualche modo scalfito.
    Ebbe tanti nemici, quante palme di vittoria, sbaragliando gli avversari con le proprie armi.
    A che son servite le ingegnose critiche di Gerson, a cosa son serviti i molti discorsi di Marsilio, Febronio, Dupin, Pico, Richer? A cosa son serviti i bei discorsi? Le accettazioni ben costruite? Lo sapete, reverendissimi padri. Servirono a far ancora e sempre di più la verità, servirono a farla vincere, e non immeritatamente.
    La divina e immutabile costituzione differisce molto dai modi che vengono dalla sapienza mondana. Nella religione rivelata il giudizio del pastore dei pastori, cui fu affidato il deposito della fede e dei costumi, non deve affermare nulla che non sia munito del segnacolo della certezza, nulla che possa offrire occasione di divisione. Per questo fu scritto stupendamente:
    "Nel mezzo del ceto dei fedeli, così come nel mezzo del sistema planetario, vi è un supremo motore (il Sole), che senza mai declinare dall'esercizio della propria forza, mantiene gli astri maggiori (i pianeti) nella loro orbita e questi, mantenendosi nella proprio sfera d'attrazione, attraggono gli astri minori (i satelliti)." Questo tennero sempre per certo i fedeli, al di là di qualsiasi distinzione di tempo e di luogo, e così avvenne che le definizioni proferite dal solo sommo pontefice fossero accolte da tutti con piena osservanza dela mente e della volontà".[...]




    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Juan de la Cruz Ignacio Moreno y Maisonave (1817-1884)
    Arcivescovo di Valladolid

    Estratto da un discorso tenuto il 19 maggio 1870 al Concilio Vaticano


    [...]"La Chiesa, come società divinamente costituita, deve avere sempre un punto focale permanente di infallibilità: poichè in qualsiasi momento possono sorgere dubbi o questioni di fede o di costumi. Un fuoco permanente di questo tipo deve essere visibile, affinchè tutti lo possano facilmente vedere e in esso scorgere il fulgore di quell'autorità divinamente costituita, per dirimere infallibilmente ogni lite. Questo fuoco permanente, questo faro che SENZA INTERRUZIONE DI SORTA fa luce ai naviganti, mosso da rapide decisioni, non può essere rappresentato dai concilii ecumenici.
    Quest'ultimi si tengono di rado e quando si celebrano, non di rado nascono gravissime difficoltà, spesso insanabili.
    Questo fuoco permanente e visibile invece é il centro dell'unità cattolica, nel quale necessariamente deve essere presente un principio, da cui sorgano unità di fede e comunione.
    Il principio è l'autorità suprema, dotata di infallibilità, altrimenti sarebbe incapace di produrre e conservare l'unità.
    Ora, reverendissimi padri, la Sede apostolica é il centro dell'unità e tutti i fedeli, come se fossero raggi, a questo centro devono far riferimento. In esso dobbiamo riconoscere un'autorità suprema e infallibile, non solo suprema ma anche infallibile. Non sarebbe suprema se mancasse di infallibilità. Spesso, persino nelle società umane, si attribuisce alla suprema potestà una sorta di infallibilità, secondo quanto può esigere il bene pubblico, e si interdice l'appello contro le sue decisioni.
    Al Romano Pontefice, e cito il Concilio fiorentino riguardo San Pietro, fu trasmessa da Nostro Signor Gesù Cristo piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa. In Lui l'infallibilità propriamente detta deve necessariamente essere presente.[...]
    Infatti l'unità di fede, come ottimamente ragionava il Dottore Angelico, non si può conservare, se un questione di fede non venga da colui che é a capo della Chiesa, affinchè la sua decisione sia accettata fermamente da tutta la Chiesa.
    Per questo la costituzione della Chiesa é tale per cui ad essa non competa infallibilità attiva, se non quando sia unita al Pontefice Romano, come il corpo lo è al Capo.
    Infatti Cristo ha dotato la Chiesa, come dicono i teologi, di un corpo integro e perfetto, proprio in virtù di quest'unione tra Capo e corpo. Onde rettamente si inferisce che perciò l'infallibilità debba essere nel Romano pontefice, affinchè egli stesso sia fondamento e supporto dell'infallibilità della Chiesa.[...]


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Antoine Charles Cousseau, Arcivescovo di Angouleme (1805-1875)

    Estratto di un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 23 maggio 1870

    [...]Per quanto mi pare della situazione della Francia, a me piuttosto nota, è necessario tener conto, nel giudizio, delle anime dei veri fedeli, nel senso proprio della parola, minor conto invece di coloro che Tertulliano chiamava cristiani infatuati, o se più vi piace, fedeli che vediamo ogni giorno svolazzare, tra i lazzi degli infedeli, al vento della pubblica opinione. Se per costoro, come dicono, l'infallibilità è un peso insopportabile, lo sarà anche dopo la definizione di un concilio ecumenico, dal momento ch'essi non credono all'infallibilità della Chiesa.
    Gli altri fedeli in questo dogma in modo facilissimo riconosceranno la loro fede di sempre, la loro REGOLA DI FEDE.
    [...]Bisogna dunque ascoltare la voce del clero e del popolo, non quella di qualche dottore un po' troppo vicino ai protestanti. [SM=g1740721]
    Se la definizione di questo concilio sarà per loro motivo di offesa, richiamerò per loro alla memoria uno dei miei predecessori.
    Nella curia dell'arcivescovo di Colonia, Gerardo, vescovo di Angouleme, legato di Papa Pasquale II, davanti a Enrico V imperatore e ad una grande assemblea di vescovi e magnati di Germania, difendeva i diritti della Santa Sede e della Chiesa stessa.
    I vescovi presenti mormoravano, i potenti laici fremevano, l'arcivescovo di Colonia, costernato, si volse a lui, dal momento che in passato era stato suo allievo: "Maestro Gerardo, disse, aveva portato scandalo in questa curia".
    Gerardo gli rispose indignato: "Per te è uno scandalo, per me è Vangelo". E queste parole, tolta l'indignazione e con reverenza dovuta ai dottori, sono anche le mie.[...]


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Joseph Caixal Y Estradè, vescovo di Urgel e principe di Andorra (1803-1879)

    Estratto da un discorso tenuto il 24 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]"Il Fondamento della Chiesa è la fede del suo Capo personale (ovvero il Papa). Ogniqualvolta il Romano pontefice vuole insegnare alla Chiesa universale, é certo che l'assistenza dello Spirito Santo vi sia affinchè non Egli cada in errore, come allo stesso modo è certo che la virtù di Dio assista il sacerdote durante la consacrazione del pane e del vino, malgrado il sacerdote possa mancare nel resto del suo operare.
    Dunque il dono dell'infallibilità per divina istituzione per il magistero universale di tutta la Chiesa è connesso ad punto tale con la persona del Romano Pontefice che non vi possa essere nulla di comune in alcun altro soggetto.
    Giustissimamente dunque, dovendo trattare della Chiesa in concilio, esordiamo dal Capo della Chiesa, la cui voce infallibile unisce tutte le membra in un solo corpo, affinchè non sembri che agiamo, dicendo cose simili a quelle che disse il famigerato Gioberti dei gesuiti. Ovvero "sono cose e non persone".
    Dunque meritatamente per l'infallibilità personale e per l'Immacolata concezione le università spagnole gareggiarono in zelo e in degnissimo spirito di emulazione. I loro impegni furono esauduti per l'Immacolata, senza dubbio lo saranno per l'infallibilità. Riposate ora venerabili ceneri del cardinale de Aguire e di Gonzalez, che all'università di Salamanca siete stati impavidi e strenui assertori delle prerogative dei Romani pontefici; riposate anche voi, pacifiche ceneri di Josè de Hiermo, cancelliere dell'Università Complutense: verrà raccolto il frutto maturo di un seme, che con tanta fatica hai coltivato. Riposate anche voi ed esultate, carissime ceneri dei celeberrimi dottori dell'Università Cervariense, i dottori Ponzio e Pedro Juan Perpina, la cui memoria rimarrà immortale nei fasti di quell'Accademia, per la loro esimia devozione verso ogni singola prerogativa della Sede apostolica Romana. E tu, alma madre di tutte le nostre università, Università cattolica e apostolica di Parigi, esulta e rinnova non i nefasti dei tempi recenti ma i giorni giocondi della tua giovinezza.[...]
    Dunque i Romani Pontifici chiaramente non debbono essere considerati come dei profeti che si facciano banditori di una nuova rivelazione ricevuta da Dio presso il popolo cristiano; Nè è necessario siano approvati come santi e impeccabili, come  qualcuno ha detto, non so per qual motivo, ma devono essere veri giudici e maestri della Verità dell'Evangelo, infallibili per assistenza dello Spirito santo".[...] [SM=g1740721]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Josè Hipolito Salas y Toro, vescovo della Santissima Concepcion in Cile (1812-1883)

    Estratto da un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 24 maggio 1870

    [...]Perdonatemi, di grazia, umanissimi padri, se parlerò con quella libertà che é assolutamente necessaria in questo momento solenne per rivendicare e difendere i diritti e il Dogma della Chiesa. Mi meraviglio che qualcuno abbia posto innanzi una tale obiezione. Se l'ammettiamo anche una sola volta, sarà compromessa la religione, la predicazione del vangelo, la costituzione stessa della Chiesa, poichè sin dai tempi apostolici le verità cattoliche cose sono state predicate nel mondo, malgrado l'opposizione e la proibizione da parte dei governi.
    Forse nelle Sacre scritture si legge che il Salvator e Signor Nostro Gesù Cristo abbia prescritto ai suoi apostoli di consultare l'autorità dei governi e dei cesari e di ottenerne il beneplacito, per meglio esercitare l'ufficio loro assegnato di ammaestrare tutte le genti?

    Di grazia, da dove mai si desume questa regola inaudita ed esotica di domandare ciò che piaccia o non piaccia ai governi, prima che si definisca qualcosa che pertiene alle cose della Religione?

    Forse che i governi, per il fatto che ebbero nome di cattolici o ne sono insigniti, oseranno arrogare a sè unn qualche diritto sul deposito della Fede? E inoltre (diciamoci tutta la verità), salve quelle persone che di quando in quando con buoni costumi e con una religione non negata presiedono alla cosa pubblica, dove mai sono, in questi tristi periodi in cui viviamo, i governi veramente e sinceramente cattolici, per poter trarre da loro consigli riguardo gli affari di chiesa?


    Astiterunt Reges terrae et principes convenerunt in unum, non già la spada ma con la furbizia e la prudenza di questo secolo, adversus Dominum et Christum eius.
    Quali e quanti cose si architettano contro la Santa Chiesa cattolica ed il venerando suo capo, sia apertamente che in segreto, da parti di governi sedicenti cattolici! Quante maestà hanno promulgato leggi e decreti esclusivamente contrari ai diritti, alla libertà e alla divina costituzione della Chiesa! Per la loro moltitudine non le posso ricordare. Ci sono i codici, c'è la storia del secolo passato e anche di questo nostro tempo che mostra tristissime e abbondanti testimonianze di tutto ciò.

    Che volete di più? Lo dirò chiaramente [...], tra i nemici più astuti e perfidi della Chiesa, il più malvagio in assoluto è il sistema attuale di agire dei governi. I governi hanno ampia possibilità di fare doni ma io timeo Danaos et dona ferentes. A cosa non sospingerebbe i cuori mortali la sacra bramosia di denaro? Cesare, in qualunque modo lo si chiami, imperatore, re, duce, principe, presidente, ha nelle sue mani onori e doni, privilegi e distinzioni di rango e dice: Ti darò tutte queste cose se prostrato ai miei piedi mi adorerai. E questo pericolo è ovunque, sia nell'accampamento dei Filistei, sia sotto le tende del Dio d'Israele.
    In altri luoghi la politica dei governi non è cattolica, non è più cattolica.

    Io vengo da una repubblica, sono quindi repubblicano, eppure cattolico apostolico romano e, permettetemelo, ultramontano.

    Vi dico che il modo d'agire dei governi non è più cattolico (conosco una sola eccezione - si riferisce forse a Garcia Moreno presidente dell'Equador n.d.t.).
    Dicevo: la politica dei governi non è più cattolica ma regalista, giansenistica, febroniana, razionalista oppure massonica oppure in certi luoghi persino atea e giudaica.
    Quali saranno i desideri di questi governi, in relazione a ciò che si tratta si giudica, si definisce in un'aula conciliare?
    E noi che nell'ottica di Dio e della Chiesa affrontiamo questi temi, noi i successori degli apostoli, noi in qualche modo figli della luce e dei profeti, andremo ai palazzi dei nostri cesari, per sapere cosa loro piaccia e dispiaccia, secondo i loro desideri e voti, prima di definire? In nessun modo, colendissimi padri.
    Viene obiettato dagli inopportunisti che i pregiudizi contro di noi da parte dei governi potrebbero esacerbarsi dopo la definizione.

    Indi ne verrebbero ire e persecuzioni. E allora noi per paura non definiremo? L'episcopato richiede coraggio, come diceva il Crisostomo: e la forza scaccerà la paura. Verranno le persecuzioni? Bene. Verranno le ire dei governi? Non temeteli, ci dice Cristo. La nostra disciplina è di essere uccisi, non di uccidere. Se piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo, dice il divo Paolo. Per questo lasciamo che vengano persecuzioni e ire e morendo vinceremo.
    Ma di certo, colendissimi padri, la gloria dei martiri per questa cagione non sarà a noi riservata al punto da perdere la vita in seguito alla nostra propugnata definizione.

    Se verrano le ire dei governi, ci sarà la coscienza cattolica, il popolo cattolico, ci sarà la forza invitta dell'episcopato, ci saranno i petti episcopali. E allora come onde spumeggianti che si infrangono da ogni dove e poi spariscono tra gli scrosci, così i conati irosi dei nostri nemici si infrangeranno sulla nostra pazienza e mansuetudine. La Chiesa cattolica è la figlia di Gerusalemme, bella e terribile come un esercito schierato in armi. [...]


    [SM=g1740738]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:02

    S.E.R. Monsignor Martin John Spalding, arcivescovo di Baltimora (1810-1872)


    Estratto da un discorso tenuto il 30 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    ...[...]Veniamo ad una seconda questione, la questione de jure. Io dico che, non solo di fatto il collegio dei vescovi e il corpo della Chiesa abbiano aderito nella storia al Capo docente; dico invece che era necessario aderirvi per la divina istituzione della Chiesa, per le promesse di Cristo, che mai ci può essere separazione. Tutto questo dibattito sull'infallibilità pontificia come separazione è futile e riprovevole: l'Infallibilità non separa il Papa dalla Chiesa, è impossibile.
    Come può stare in piedi un edificio se rovina il suo fondamento? Non ho mai visto un edificio che avesse un fondamento puù solido.
    Pietro è la pietra, il fondamento della Chiesa, il firmamentum della Chiesa. La Chiesa non può stare senza il suo fondamento.
    Dunque Pietro è capo della Chiesa, il capo non si separa dal corpo, senza che intervenga la morte.
    Può il capo essere separato dalle membra ma moriamo. Non può il capo essere separato dalla membra, perchè la Chiesa non muore, non può morire, Portae inferi non praevalebunt. Io, visitando le rovine di questa grande città, Città eterna, poichè riceve eternità e forza dalla sede di Pietro, spesso ho visto fondamenta senza edificio ma mai vidi edificio senza fondamenta.
    Nella Chiesa non può essere distrutto l'edificio, come questi magnifici palazzi romani furono distrutti, al punto che rimanga il solo fondamento. Non può accadere del tutto e perchè? Perchè portae inferi non praevalebunt.
    I confermati posson non aderire al Confermatore ma vanificherebbero il proposito di Nostro Signore, se non vi aderissero.
    Guai alle greggi, guai all'unico gregge (perchè é unico il Gregge) se non aderisse al Pastore: si disperderebbe, i lupi lo divorerebbero.
    [...]Dicono gli oppositori dell'Infallibilità: la Chiesa non può cadere, l'edificio deve stare ma può cadere il fondamento!
    I confermati non possono mai venire meno alla Fede ma il confermatore per cui Cristo pregò, affinchè la sua fede non venisse meno, quegli può cadere! I membri possono separarsi dal capo e vivere! Il gregge è infallibile, non lo è il Pastore!
    Questi sono argomenti di quelli che vogliono separare il Capo dalle membra e che negano l'infallibilità pontificia.
    [...] Invece da ogni questione, dal fatto, dal diritto, da ciascuno di essi concludo: o il Romano Pontefice come Pontefice, insegnando a tutta la Chiesa con solenne giudizio, è infallibile o la Chiesa stessa di Cristo non è infallibile. O insieme stanno o insieme cadono. Staranno tuttavia poichè portae inferi non praevalebunt.


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Ignatius Von Senestrey, vescovo di Ratisbona (1818-1906)

    Estratti di un discorso tenuto il 28 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]In questo sacro consesso si sono udite alcune voci che, se non corrette, potrebbero indurre il sospetto, quasi che nella Germania cattolica la dottrina sull'autorità infallibile del Romano pontefice si fosse conservata con minor fedeltà.[...]
    Tra i primi cito il santissimo e dottissimo mio antecessore sulla Cattedra di Ratisbona, il beato Alberto Magno, lume massimo della Germania, maestro di San Tommaso Aquinate, che nato nella diocesi Augustana e ascritto all'Ordine dei Predicatori, illustrò con la sua dottrina le nobilissime accademie del tempo, Colonia, Hildesheim, Augusta, Friburgo e Ratisbona.
    Nel suo commentario in Matteo XVI, riportando l'avita esegesi, ha queste belle espressioni: "Darò a te, singolarmente. Non perchè Pietro abbia singolarmente preso le chiavi ma perchè è Unica persona morale, nell'unità dell'ordine ecclesiale, colui che nella pienezza dell'autorità riceve le chiavi, colui che è successore di Pietro, e quindi è Pietro nell'autorità.

    [...]Dopo queste molte citazioni non mi meraviglio che questa dottrina sia stata serbata in Germania da tutti i cattolici fedeli per più di due secoli senza soluzione di continuità. Mi è testimone, per presentarvi via via qualche ulteriore esempio, il celeberrimo canonista Franz Schmalzgrueber che nell'università di Ingolstadt in Baviera e Dilingana della diocesi di Augusta visse e insegnò, in Iure Ecclesiastico, libro I, parte IV, titolo 31 questa proposizione stabilisce e approva: " Il Sommo pontefice è certa e infallibile regola di verità e supremo giudice delle controversie di fede, al punto tale che egli NON PUò ERRARE in un giudizio pubblico ed è INFALLIBILE nel definire le controversie di fede indipendentemente dal Concilio".

    La seconda proposizione è "Il Papa, come vescovo della Chiesa universale, è regola infallibile dei costumi, cosicchè i suoi decreti che dichiarino, impongano o proibiscano qualcosa come onesto o disonesto, come lecito o illecito alla Chiesa universale, sono necessariamente veri e non possono essere dannosi per alcun errore".[...] così osservo questa sola cosa ovvero che tutti questi uomini preclari per la loro scienza in varie università e collegi di Germania insegnarono la medesima dottrina sull'infallibile magistero del Romano pontefice come dottrina rivelata, comune e costante dalla nascita della Chiesa e che questa dottrina è provata dalla Scrittura, dalle testimonianze della tradizione e dalle ragioni teologiche.[...]


    Il popolo fedele ed il clero venerano l'autorità del concilio ecumenico, non temono la sua definizione in questa materia, nè sostengono possa essere considerata nuova questa dottrina ma saranno pervasi da grande gratitudine se questa antica verità dell'Infallibilità pontificia sarà confermata e più efficacemente confermata e stabilita. E se vi sono quelli che temono che i malevoli possano abusare di questa definizione per far sorgere scandali, per eccitare scandali e combattere la Chiesa, certamente avverrà che questi malvagi si facciano più audaci e insolenti, se ci trovassero pavidi e ansiosi nella difesa e nella proclamazione della Verità.
    I fedeli intelligenti sanno che la loro fede è stata edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti ma sanno anche che la Chiesa universale è stata costruita su quella Pietra che è il Romano pontefice, e non si rammaricheranno certamente se questo Concilio ecumenico affermerà che la fermezza di questa è infallibile, cosa che essi hanno sempre creduto. E così sarà pace agli uomini di buona volontà.


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Spiridione Maddalena, Arcivescovo di Corfù (1824-1884)

    Estratti da un discorso tenuto il 20 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Sono nato in Grecia, ho condotto la maggior parte della mia vita in Grecia e, pur non essendo di rito greco, amo la Chiesa greca e sarei pronto a dare a vita per il suo ritorno al centro dell'Unità. Tuttavia, con grande dolore del mio animo, vi debbo confessare una cosa. Fino ad oggi, finchè non giungerà l'aurora di quel giorno tanto desiderato da me quanto da voi, chi è impaziente si meraviglierà che l'Oriente possa essere risvegliato da quel letargo di morte e di tenebre, nel quale è precipitato da ormai otto secoli, verso una nuova vita e nuova luce, sottomettendosi alla Chiesa romana che è fonte di vera vita e vera luce.
    CHe sorte terribile e miseranda quella della Chiesa greca, un tempo tanto grande, tanto illustre, tanto feconda, era il decoro e lo splendore della religione cattolica. Ora è vile, sterile, è diventata oscura e rimane come un monumento terribile della vendetta divina! Peccò la figlia di Gerusalemme e ogni sua bellezza svanì. Con quale pena formidabile Dio umilia la superbia dei popoli!

    QUella chiesa che ai tempi dei primi otto concilii, tra le altre per dottrina, erudizione e dottrina primeggiava, a stento ora ha in questo Concilio Ecumenico uno dei suoi che la rappresenti e che versi lagrime dal suo animo per una caduta tanto ignominiosa, per lacerazioni tanto gravi quanto inveterate.
    Questa è la situazione, eminentissimi e reverendissimi padri, malgrado io muova i miei occhi attenti in tutta quest'aula conciliare, essi non trovano consolazione di vedere vescovi propriamente greci. Oh pena! In Oriente le dottissime penne dei Nazianzeni, dei Cirilli, dei Gregori di Nissa, giacciono spezzate a terra, le voci un tempo eloquentissmie dei Crisostomi, degli Atanasi, dei Basilii sono ammutolite, ormai persino l'eco di quelle voci si è spenta. Una crassa ignoranza e una turpe simonia dominano oggi il clero scismatico greco.
    I presbiteri greci hanno perso anche il nome di predicatori. Se per caso voleste udire un sermone in una chiesa greca, lo potreste a stento ascoltare in poche cospicue città e nei giorni più solenni. Allora, accantonate per un attimo le cure forensi, vedreste un avvocato salire sull'ambone e costui tenterà di spiegarvi il santo vangelo del giorno; o forse, il che accade più di frequente, un farmacista, pulendosi le mani che poco prima confezionavano farmaci, sale sulla tribuna per spiegarvi i santi padri. CHe zelo per le anime si può trovare in un clero che soffre di tanta ignoranza e superbia?

    Il presbiterato per loro non è altro che un mezzo per lucrare denari, per portare il pane a moglie e figli.
    Per loro la simonia non è solo lecita ma è quasi un diritto ed un officio inerente l'incarico sacerdotale.
    Che faranno questi pastori, questi mercenari, se ad esempio un morbo contagioso affliggerà il popolo loro affidato?
    Fuggiranno di là e si daranno alla macchia, in una sola parola metteranno in campo ogni zelo per sottrarsi al contagio.
    Mentre i loro fedeli infermi e abbandonati dai loro sacerdoti, esaleranno l'ultimo respiro alla maniera dei bruti.
    Spesso, e qualche anno fa accadde nella mia diocesi, il governo dà ordine ai militari per salvaguardare la tranquillità pubblica, di andare a recuperare nel circondario i preti fuggitivi e di riportarli, anche con la forza, dai loro fedeli, colpiti da crudeli epidemie. Ragion per cui un clero, privo di ogni dottrina e di ogni coscienza del proprio dovere, un clero infetto da questa labe simoniaca, un clero come questo avrà scienza bastevole e seria volontà di cooperare al ritorno della Chiesa greca al centro dell'Unità?
    Se l'effetto di quest'unione non si può sperare dal clero, ancora meno dai laici lo si dovrà attendere.
    Il popolo greco oggi, riguardo la religione, è primieramente greco, poi cristiano. I Greci hanno il culto di adorazione per la loro nazionalità come se fosse un idolo, una nazionalità etnica che [...]ora chiamano cristiana. Da sempre, ma ancor di più dopo le spedizioni dei crociati e la caduta dell'impero bizantino, considerano il cattolicesimo come un nemico inesorabile dell'ellenismo ovvero della nazionalità greca che per loro è sommo bene, mentre il cattolicesimo è detestato come sommo male.
    [...] Considerando quindi la misera condizione del clero greco e il lieve ingegno di quel popolo, il tempo del ritorno della Chiesa greca è quindi lontanissimo da noi.

    Lo scisma, generato dalla superbia, è nutrito costantemente dalla superbia stessa e dall'ignoranza. [...]
    Quindi, stando così pietrificati i greci nel loro scisma, per la forza della loro superbia, difficilmente faranno un passo verso l'unità. Tuttavia vi potrebbe essere un altra strada: quando i dettami del razionalismo e le idee che dominano la nostra epoca riguardo la libertà di coscienza e l'indifferenza in materia di religione e altre simili avranno invaso il popolo greco, il che non potrà tardare, allora sarà vista la forza quasi magica e superstiziosa dei loro fallaci principii. Allora la chiesa greca, per non essere abbattuta e distrutta dall'ateismo che cova nel suo seno, allora forse in quell'orrendo naufragio, si aggrapperà all'unica tavola che sempre non viene meno, tavola di salvezza, tornando al sicuro porto della religione cattolica.
    Oppure quando venisse ottenuta dal popolo greco la tanto veemementemente anelata potenza imperiale, allora esso, non avendo più bisogno del fanatismo religioso che oggi è il più valido strumento per propugnare questo presunto perfezionamento della loro nazionalità, lo disprezzeranno e lo getteranno via.[...]
    Ho detto queste cose, guardando lo stato infelice di questa chiesa con gli occhi dell'umana prudenza. Ciò che umanamente parlando sembra impossibile, chi negherà che Dio onnipotente e misericordioso possa compierlo in poco tempo? La mano di Dio non è stata tolta ed Iddio sanerà le nazioni.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Tommaso Michele Salzano O.P. vescovo in partibus infidelium di Tanis (1807-1890)

    Estratti da un discorso tenuto il 2 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Vediamo quale sia il giudizio di Sant'Antonino su questa materia. [SM=g1740722]

    Egli nella terza parte della sua Summa Teologica, titolo 22, della natura dei sommi pontefici, dove parla del Papato, inizia a mostrare l'altissima dignità del successore di Pietro, quando a lui adatta quello che di Cristo profeticamente si diceva nel salmo VIII: "L'hai posto poco sotto gli angeli, l'hai coronato di gloria e d'onore e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani". Dice Sant'Antonino che il Sommo Pontefice, che Cristo
    ci lasciò come suo vicario in terra, sia per natura minore agli angeli ma per autorità e potere superiore. Un angelo infatti non può nè sciogliere, nè legare, il Papa ha invece il potere plenario e universale di sciogliere e legare.
    Il Papa è coronato di gloria e di onore perchè è posto al sommo di tutte le dignità, onde meritatamente lo si appella beatissimo e santissimo. E' coronato con la grandezza dell'autorità, perchè giudica tutti e non è giudicato da nessuno. Fu collocato sopra tutte
    le opere di Dio perchè dispone di tutti come di inferiori, apre le porte del cielo, stabilisce gli ordini in tutto il clero e conferma gli Imperi. Da qui secondo sant'Antonino nascono tutti i privilegi che competono al Pontefice, tra i quali l'inerranza nelle questioni di fede e di costumi.[...] Quindi ancor più manifestamente in medesimo punto Sant'Antonino difende questa medesima sentenza dove dimostra che il sommo pontefice è capo supremo e monarca nella Chiesa di Dio e di qui viene naturalmente il privilegio della sua stessa inerranza.[...]
    Eppure per alcuni questa definizione dell'Infallibilità non è urgente, come se avessimo Annibale alle porte.
    Sappiamo in ogni caso che Annibale fu vinto non dalla prudenza di Fabio ma dall'ardore di Scipione. In ogni caso noi non abbiamo Annibale alle porte ma da tempo l'abbiamo tra le nostre mura. Da qualunque punto di vista è chiarissimo con quale violenza, con quale impeto, con quale satanico furore si combatta contro il principio di autorità nell'ecclesiastica ma anche nella civile società. Contro questo principio gli innovatori non cessano di tenere i loro furiosi baccanali. Possiamo davvero dire che l'eresia dominante dell'epoca nostra è la negazione dell'autorità, eresia che ha pervaso il civile consorzio e la stessa famiglia. Uomini infami hanno potuto in tutta sicurezza non solo bisbigliare alle orecchie del popolo i loro discorsi che si diffondono come un cancro ma pubblicamente spargere il loro veleno e vomitare il loro pestilenziale morbo con tutti i suoi errori. [...] Noi che siamo ricercatori nel tempio di Dio, dobbiamo portare una medicina alla moderna società, non dobbiamo assuefarci alle malattie di queste stesse società.

    Annibale non è alle porte ma è tra le mura. Chi ignora quanto oggi si diano da fare i sicofanti e i ciarlatani per
    abbattere la retta filosofia, i principi del vivere sociale, i principi e la dottrina della Chiesa?
    I sommi pontefici furono come sempre pronti a marchiare con apostolico stigma e a condannare queste operazioni, così come fa oggi chi regge la sede di Pietro, il nostro pontefice amantissimo.
    Tuttavia è ormai chiaro il tentativo dei rivoluzionari che dicono senza alcun pudore e diffondono tra il popolo, che il Papa non è infallibile[...], che le sue condanne hanno valore attraverso il consenso del concilio o dei vescovi dispersi. In questo modo condannare una proposizione o una dottrina non varrà a nulla e nel frattempo l'errore ogni momento di più si diffonderà con somma rovina delle anime e dei popoli. Se dunque, in tempi passati in cui non v'era tutta questa prurigine di insegnare e di scrivere, non c'era ancora necessità di definire questa verità cattolica, ora è necessario, affinchè l'errore sia schiacciato e domato e la verità brilli sempre di più in questa nebbia di tenebre.

    Annibale non è alle porte ma è tra le mura. Infatti in quel tempo in cui i reggitori degli stati erano grandi di nome, di fatto e di autorità per la loro sottomissione alla chiesa, essi erano pronti a confermare con la loro autorità le leggi e le sanzioni canoniche della Chiesa, ed ad applicarle efficacemente nella prassi. Da questo vennero infiniti beni sia alla Chiesa che alla civile società. Oggi res ad triarios pervenit. Posto l'infausto principio della separazione tra CHiesa e stato, è necessario che i vincoli dell'ecclesiastica gerarchia siano strettamente rafforzati, più validamente consolidati, più magnificentemente esaltati, affinchè, persi i supporti umani e confidando nell'aiuto di Dio e tutta pervasa dalla fede nell'inerranza del suo Capo, la Chiesa possa stringersi con maggiori vincoli di sicurezza e obbedienza ed insorgere come una compatta falange contro i suoi nemici e combattere con esito felice più validamente, più alacremente e più velocemente.[...]


    Non temo le ribellioni, nè le turbe tumultuose, nè i popoli, nè i re, non temo Garibaldi, non temo Lucifero.
    Temo le divisioni tra i vescovi: proclamiamo insieme la medesima verità e non vi siano divisioni tra noi.[...]
    Abbracciati in fraterno amore, non dubitiamo di ripetere con il più ampio significato queste parole auree che San Gerolamo scrisse a Papa Damaso, parole auree per questi nostri tempi: io, seguendo nessun'altro che Cristo, mi associo alla tua beatitudine, cioè alla Cattedra di San Pietro. So che quella pietra è edificata la Chiesa. Chiunque mangerà l'agnello fuori da essa, è profano. Se qualcuno non sarà sull'arca di Noè, perirà nel diluvio. Non conosco Vitale, respingo Melezio, ignoro Paolino. Chi non raccoglie con TE, disperde. Chi non è di Cristo, è dell'Anticristo."[...]

    [SM=g1740738]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:10



    S.E.R. Monsignor Andreas Ignatius Schaepman, arcivescovo di Utrecht (1815-1882)

    Estratti da un discorso tenuto il 31 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    "Quella parte dell'Europa settentrionale che chiamano Olanda, è abitata in gran parte da eretici che si resero estranei alla Chiesa a causa degli errori del secolo XVI.
    [...][Da allora] il popolo cattolico d'Olanda fu colpito da una durissima e prolungata persecuzione, suscitata da eretici e scismatici, con furente veemenza ora maggiore ora minore. Quei tempi duri di scontro e di lutto, ma anche di valore e di gloria, duravano sino all'inizio di questo secolo. La Chiesa fu spogliata, espulsi monache e religiosi, proibito il culto pubblico della Vera Religione ma anche quello privato nelle oscure latebre, i sacerdoti ridotti ai diritti dei comuni cittadini, furono privati dei beni e della sicurezza della vita.
    I fedeli cattolici furono vilipesi, cacciati dalla vita pubblica, furono tenuti per indegni e incapaci, ridotti all'ultimo grado del consorzio civile. L'eretica perfidia scatenò la belva sociale, affinchè distruggesse la Chiesa, perturbata e ferita in molti modi e la soffocasse con vari tormenti e con lo stesso sangue dei martiri. Ma quella cassa non crollò, nè quando piovve,
    nè quando i fiumi vennero e irruppero devastandola. Non crollò perchè era fondata sulla pietra forte, la pietra era Cristo, la Pietra di Cristo era il Vicario, il Sommo Pontefice, cui la Chiesa d'Olanda con intemerata fede e umillima soggezione rimase unita. Siano rese grazie a Cristo Salvatore, siano rese grazie alla tenerissima sollecitudine dei Romani Pontefici: la Chiesa risorse in Olanda più viva per la persecuzione, più forte per il martirio. [...]
    Vi dico queste cose affinchè capiate, reverendissimi padri, che il Cattolicesimo olandese ha avuto occasione di imparare e con lunga e triste esperienza, quale sia lo spirito, quale sia la mente dei protestanti, sia quando sono persecutori, sia quando sono concittadini, sia quando detengono l'imperio, sia quando convivono parificati ai cattolici.
    [...] Vi è chi teme che una definizione solenne dell'Infallbilità respinga lontano i protestanti dalla Vera chiesa di Cristo, e che possano aumentare gli ostacoli alla loro conversione.
    Ma, reverendissimi padri, bisogna osservare che il protestantesimo che ebbe per padri eretici Lutero, Calvino e altri di quell'epoca è quasi completamente sparito. [...]In Olanda vi sono tre università che hanno ognuna la propria cattedra pubblica di teologia protestantica. Pensate forse che in quelle cattedre si insegni la confessione Augustana, o il simbolo di Ginevra o i canoni del Sinodo di Dordrecht? Tutte queste cose caddero, quasi svanirono. All'Università dell'Utrecht, che è ritenuta ortodossa, insegnano una dottrina che sotto qualunque forma, sotto qualunque aspetta è stata generata dal razionalismo.

    Nell'altra vi si predica puro razionalismo, nella terza platealmente si insegna un panteismo spiritualistico. Tutti i pubblici oratori e scrittori hanno abbandonato qualunque forma di fede positiva. Questa è la situazione da noi, questa è la mutazione del protestantesimo di Lutero e Calvino.[...] Dalla Germania ci venne la sfrenata incredulità di questo secolo. Siate persuasi, reverendissimi padri, che quell'odio degli increduli, con cui gli uomini attaccano la Chiesa, non è diretto contro qualche dogma singolare ma contro la Chiesa stessa, contro la sua esistenza e natura, contro quella divina Rilevazione ch'essa predica e difende e SU CUI si appoggia l'infallibilità. Qualunque cosa sia sovrannaturale, essi l'impugnano, qualunque autorità, che insegni verità positive e ordini di crederle, la disprezzano e tentano di abbatterla ad ogni costo.
    A loro non interessano sull'infallibilità[...]. Odiano il principio dell'autorità ma dichiarano apertamente che la Chiesa debba ammetterlo e debba avere un pontefice docente infallibile. Disse uno dei più celebri oratori e ministri protestanti che l'ultima parola del cattolicesimo sta nell'inerranza del Papa.[...] I nostri fedeli si aspettano da questa definizione che la nostra Chiesa non solo venga coronata da maggiore gloria e splendore ma che sia cinta da una più forte e potente armatura, e appaia se ciò è possibile, ancora più ordinata per maggiore soggezione e unità di fede, possa ricevere dal nemico eterno ed implacibiledi Santa Romana Chiesa lo splendore di nuova gloria, il riconoscimento di un'autorità ancor più grande.[...]
    Forse crescerà la guerra suscitata dai nostri nemici? Lo potrà forse a stento. Ma Se Dio lo permettesse, ricordiamoci che siamo chiamati e siamo la Chiesa militante.[...]
    Abbiamo parlato dei dotti protestanti. Ma le plebi protestanti, come vanno giudicate? Quelli, che vengono contati fra il più colti per ingenio e umanità, praticano l'indifferentismo religioso o sognano di un non so quale cristianesimo universale, elevato sopra le divisioni e le sette. La definizione dell'infallibilità non li muoverà[...]: sono convinti che sia nella natura della Chiesa cattolica che il Papa sia infallibile.
    Parlare invece del popolino è inutile. Sedendo sulle loro cattedre dei profeti increduli, la moltitudine non crede a nulla.
    Vero è che a volte questa incredulità genera commozione degli animi e moti di reazione in coloro che non rigettarono del tutto la fede positiva. Ma dolore! Queste reazioni non sono a vantaggio della nostra Santa Chiesa: alcuni si avvicinano al più rigido calvinismo con maggiore ardore e pertinacia, altri si dividono in nuove sette e conventicole, altri usano della religione come un pretesto per far cadere i freni della più sfrenata sensualità, altri cadendo di insania in insania precipitano nelle più orrende superstizioni.[...]
    Se però un giorno si trovino a sollevare il capo, miseri nell'afflizione, da quelle tenebre di errore e di confusione, per grazia divina, lo splendore dell'Unità cattolica e la placida quiete della cattolica religione potranno raccogliere questo frutto di conversione a buon diritto.

    Ma quest'unità brillerà con maggiore splendore, con luce più fulgida, la sicurezza della Fede si mostrerà più desiderabile, quando, proclamata l'infallibilità in Concilio, essi potranno vedere che nella Chiesa cattolica vi è UNO sempre vivente, sempre presente sempre vigilante, UNO nella cui parola non v'è errore, UNO nella cui voce non vi è nulla se non il Bene, UNo che non può insegnare nulla se non il vero in materia di Santa religione, UN SOLO PIETRO il vicario infallibile di Gesù Cristo.
    [...] Per quanto riguarda i cattolici olandesi, infiammati d'amore e di reverenza per il Sommo Pontefice, mi sembra inutile dire.
    [...] Sono i figli e gli eredi dei Santi Martiri di Gorcum che per la confessione del Primato petrino hanno sparso il loro glorioso sangue. Anche per costoro lo stesso successore di Pietro brilla oggi del privilegio dell'Infallibilità.[...]



    [SM=g1740771]


    S.E.R. Monsignor Antonio Maria Claret y Clara (1807-24 ottobre 1870)
    Arcivescovo in partibus infidelium di San Giacomo di Traianopoli in Tracia
    canonizzato infallibilmente da Papa Pio XII il 18 maggio 1950

    Estratti da un discorso tenuto il 31 maggio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]"Tutto ha un suo tempo, c'è il tempo per tacere ed uno per parlare. Sino ad ora, eminentissimi e reverendissimi padri, ho taciuto in questo concilio ma, appena ho udito alcune parole che hanno arrecato molto dispiacere alla mia coscienza, ho pensato in coscienza che era tenuto a parlare, temendo quel detto del profeta Isaia: Guai a me perchè tacqui.
    E così parlerò dell'infallibilità del Sommo Pontefice, come si legge nello schema.
    Dalle Sacre scritture cattolicamente interpretate, presa in considerazione la tradizione ininterrotta, dopo profonda meditazione delle parole dei Santi padri, dei Sacri concilii, delle ragioni dei teologi[...] dico e, condotto da totale convinzione, affermo che il Sommo Pontefice è infallibile, nel senso e nel modo in cui lo tiene la Santa chiesa cattolica apostolica Romana, secondo l'esplicazioni fornite in questa sacra aula. Questa è la mia fede, questo veementemente desidero, che sia la fede di tutti.
    Non siano temuti gli uomini che sono pervasi di una prudenza tutta umana: questa prudenza è nemica di Dio.
    Questa è la prudenza, attraverso la quale satana si trasfigura in un angelo di luce, questa prudenza è nociva all'autorità della Santa Sede, questa prudenza aiuta la superbia di questi uomini, una superbia che, come dice il profeta, sempre si innalza.
    Non ho dubbi, eminentissimi e reverendissimi padri, che questa dichiarazione sull'infallibilità del Romano Pontefice sarà il VENTILABRO, con cui Nostro Signor Gesù Cristo purificherà la sua aia, porrà il frumento nel granaio, la pula la brucerà con fuoco inestinguibile.
    Questa dichiarazione dividerà la luce dalle tenebre. Ah potessi versare il mio sangue a testimonio di questa verità e patir morte per essa! Potessi completare il mio sacrificio, iniziato nel 1856, discendendo da questo ambone e morire.
    Porto i segni di Cristo impressi sul mio corpo, alla mascella e al braccio destro. Potessi terminare la mia corsa, proclamando con l'abbondanza del cuore questa verità: credo che il Romano Pontefice è infallibile.[...]
    Nella vita di Santa Teresa d'Avila si legge che il Signore apparve e le disse: "Ogni male al mondo proviene dal fatto che gli uomini non comprendono le Sacre Scritture". Se gli uomini comprendessero le Sacre Scritture, vedrebbero chiaramente e apertamente la verità dell'Infallibilità Pontificia, poichè questa Verità è contenuta nell'Evangelo. Ma perchè non comprendono le Scritture? Tre sono le cause: perchè gli uomini non hanno amor di Dio, come Gesù disse a Santa Teresa, perchè non hanno l'umiltà, [...] alcuni perchè non vogliono capire, per evitare di fare il bene. Diciamo col Profeta Davide: Deus misereatur nostri, et benedicat nobis: illuminet vultum meum super nos, et misereatur nostri. Ho concluso.

    [SM=g1740771]


    S.E.R. Monsignor Pierre Simon Louis Marie de Dreux Brézé, vescovo di Moulins (1811-1893)


    Estratti da un discorso tenuto il 2 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]In una parola o neghiamo a Pietro la suprema potestà magisteriale o lo predichiamo infallibile. E la forza di questo argomento vale per coloro che, andando in direzione opposta e tentando di diminuirne la portata, tentarono di separare il Primato dalla suprema autorità, quasi che Pietro fosse primo nel magistero ma non sommo.[...]
    Questa è espressione gallicana, non gallica. Contro di essa la nostra lingua volle indicare la supremazia papale con tanta designazione di eccellenza che chiamò il successore di Pietro, non primo, non massimo ma supremo: parlando francese del Papa diciamo "le souveraine pontife", in lingua italica "il sovrano pontefice".
    Con questa parola giuntaci attraverso i secoli, inconsapevoli ma forse per una divina disposizione della Provvidenza dichiariamo che la potestà del Papa nella Chiesa è equiparabile a quella regia, che un tempo presso di noi vigeva piena e non arbitraria nel governo civile.[...]Anche la Sacra Scrittura mostra appieno il senso di questa potestà regia, portando come sempre il suo tributo alla Verità. Perchè il re porta la spada? Perchè legifera? Perchè attraverso le leggi rivendica i diritti dell'equità e della giustizia affinchè le stesse leggi meritino ossequio? Perchè siede a giudicare, se non per difendere la Verità in parole e opere?
    Ogni autorità infatti quando sia ben ordinata a questo fine, ovvero di servire la Verità in atto di suprema sottomissione alla manifestazione della verità stessa, è paragonata all'esercizio della suprema autorità, non senza attenzione al senso più profondo di quel servizio. Infatti dalla bocca dei profeti e dalla voce stessa di Dio, Nostro Signore è riconosciuto come Re, per alcun altra causa principale. se non per l'annuncio e la proclamazione della Verità.
    Ego autem constitutus sum rex ab eo super Sion, montem sanctum ejus, praedicans praeceptum Ejus. Parimenti, interrogato se fosse Re,
    collegò la sua regalità alla predicazione della Verità: Tu dicis quia rex sum ego, Ego in hoc sum natus, et ad hoc veni in mundo, ut testimonium perhibeam veritati. Infine, patendo sulla croce, facendo di essa la cattedra del suo Magistero, volle che vi fosse sovrainciso il titolo regale, affinchè comprendissimo che questo eccellentissimo magistero di carità era magistero regale.
    Regale e per questo libero, ovviamente solo per quella libertà che Egli stesso affermò: Cognoscetis veritatem et veritas liberavit vos. Ovvero vi farà liberi dai nemici esterni ed interni, dai visibili e dagli invisibili.
    QUante volte nel corso dei secoli il Vicario di Cristo, avendo egli stesso una croce per cattedra, protendendo le mani a popoli credenti e fedeli, li avrebbe attratti a Sè e alla Verità, se non si fossero interposti dottori che volevano deprimere l'esaltazione del Pontificato attraverso la negazione del privilegio dell'Infallibilità. E' quindi proprio del nostro dovere di insegnare, il proclamare [il Papa] innanzi ai popoli e ai re come il Supremo araldo della Verità nell'universo mondo.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor John Mc Evilly (1818-1902), vescovo di Galway, amministratore apostolico di Kilmacduagh e Kilfenora

    Estratti da un discorso tenuto il 25 maggio 1870 al Concilio
    Vaticano

    ...[...] Questa è la fede che San Colombano portò in Germania, questa è la fede con cui San Bonifacio diede forma alla sede di Magonza e alle altre sedi germaniche, altri tra i santi d'Irlanda che sciamarono come api dagli alveari, portarono ovunque la medesima fede nell'infallibilità pontificia, Quello che qualcuno ha tentato di portare in questo concilio in un senso contrario, non infirmò la mia fede nell'infallibilità pontificia divinamente rivelata.
    Mi appello a voi come a dei testimoni. Tutti gli argomenti che abbiamo udito cos'erano? Oltre le voci che ferivano l'aria, v'era il suono di parole che spiravano stragi, sangue, scismi, fuochi e fiamme, , folgori e vapori di fumo, simili a quelle palle di fuoco pirotecniche che abbiamo visto poco tempo fa sul colle del Pincio, fuochi che si sciolsero nel nulla, sparirono tra quelle volute di vapore e nulla lasciarono.
    Si desideravano argomenti, eppure se qualche cosa si avvicinava alla dignità di argomento, era qualcosa contro il Primato papale o i concilii generali piuttosto che contro l'infallibilità.[...] Non posso dissimulare a voi, eminentissimi e reverendissimi padri, di quanto dolore sarebbe causa per me, se questo Concilio che gode di piena libertà esterna ed interna, si concludesse senza emettere questa solenne definizione. Infatti non solo questa dottrina, che ci è carissima, è impugnata da quei giornali che cospirano alla causa dell'incredulità e alla propaganda del liberalismo, non solo da laici solo nominalmente cattolici, ma da molti è tratta con irrisione e dispregio nel mondo.
    Se il Concilio Vaticano, chiamato ad emettere questa definizione, la omettesse, cose ne verrebbe?

    I semi dell'infedeltà, di cui il mondo è già pieno, metterebbero ancora più profondamente radici, i torrenti dell'empietà e dell'incredulità ancora più liberamente inonderebbero la terra. E questo ancora è più chiaro, se consideriamo i SEGNI DEI TEMPI che oggi ci appaiono.

    Che vogliono questi fracassi, queste critiche, questi moti scomposti degli animi, che sono eccitati dai nemici di Dio e della Chiesa contro questa definizione, da parte di coloro che mirano a diminuire i diritti e la libertà della Chiesa e a rendere suprema la potestà civile, da parte di coloro che vogliono tenere incatenati non solo i ministri ma il Verbo stesso Divino?

    Che vogliono questi discorsi oziosi, che sentiamo nelle nostre orecchie risuonare ogni giorno, che affermano questo venerando concilio sarebbe sottoposto a violenza, se definisse liberamente ciò che fosse gradito a Dio e allo Spirito Santo, seguendo la voce della sua coscienza e obbedendo più a Dio che agli uomini?[...]
    Che vogliono questi ardentissimi desideri, che sentiamo ogni giorno, di prorogare questo Concilio, di rimandarlo all'anno prossimo, quasi che i principi di questo mondo non fossero pronti e istigati a convergere insieme contro Dio e il suo divin Figlio?
    Che vogliono tutti costoro? Vogliono quello che ordina l'antico serpente, nemico del genere umano, il quale sa bene quanto il grandissimo danno e pregiudizio che arrecherebbe al suo impero, la definizione e la proclamazione autentica di questa verità.
    D'altronde Satana non combatte contro se stesso e sa bene che un regno in sè diviso è destinato a perire e non avrebbe scatenato nel mondo questi precursori dell'anticristo, se costoro non lo servissero egregiamente.
    Simili moti scatenò [contro la definizione dell'Infallibilità pontificia], simili voci cassandriche scatenò per la definizione dell'Immacolata Concezione. Ma allora venne un Altro più forte ed egli fu vinto, le sue forze furono disperse, lo spirito lieve spirò da Dio, lo Spirito Santo soffiò sulle acque, lo spirito della tempesta fu placato e tornò la luce, serena, e fu grande tranquillità. Cosi sarà anche stavolta se, e lo dico con reverenza ma anche con libertà, tutti costoro faranno il loro dovere.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Lorenzo Gastaldi, vescovo di Saluzzo, poi Arcivescovo di Torino (1815-1883)

    Estratti da un discorso tenuto il 30 maggio 1870 al Concilio Vaticano


    [...]Il Concilio di Firenze stabilì che il Papa è il dottore di tutta la Chiesa e di tutti i cristiani. Dottore di errore o di verità?
    Chi insegna errori è forse un dottore? Non è un dottore ma un corruttore delle menti. Al Sommo Pontefice, nel Beato Pietro, è stata data piena potestà di pascere.[...] Pascere significa dare il cibo a tutti i cristiani. Errore è forse cibo per la mente?
    Mi è sempre stato chiarissimo e solare che l'errore non è cibo ma veleno della mente. La verità sola nutre e vivifica il nostro spirito, l'errore lo mortifica, lo uccide, lo annienta.[...]Potremmo mai credere a una Chiesa che da maestra, che siamo certi non possa errare, possa allontanarsi dalla verità, possa essere abbandonata da Nostro Signor Gesù Cristo?[...]
    [...]Sempre affermerò che la Santa Sede in tutto quello che fa pubblicamente e solennemente, non possa mai essere accusata in nulla: tutte le sue decisioni e decrete possono essere difese. L'Inghilterra abbandonò l'unità cattolica per tre ragioni: per il cesarismo, per il calvinismo e per la tiepidezza dei cattolici verso la Santa Sede.
    Il cesarismo si mostrò già nel secolo XII come si evince dalla storia di Sant'Anselmo e di San Tommaso di Canterbury. E perciò per quel che riguarda San Tommaso di Canterbury, notate che egli ebbe contro quasi tutti i vescovi di Inghilterra che dicevano: tu sei causa dei mali, guarda le minacce che Enrico proferisce, se tutta l'Inghilterra andrà in rovina, sarà causa tua. San Tommaso resistette indomito ed il suo nome è ora tra i santi e i nomi di quei vescovi sono schiacciati dal silenzio. Quando Enrico VIII voleva ergersi contro il Sommo Pontefice, tutti i vescovi di Inghilterra piegarono il capo tranne il fortissimo Giovanni Battista Fisher, che cadde martire. Gli altri dicevano: è necessario cedere all'opinione pubblica, eviteremo i mali, salveremo quel che possiamo. Il Calvinismo dilagò in Inghilterra al tempo di Enrico VIII che mandava nel medesimo tempo davanti al carnefice tutti quelli che non lo veneravano come PAPA.[...] Nel frattempo il calvinismo serpeggiava mentre Crammer, Arcivescovo dalla cattedra di Canterbury, vomitava per dieci lunghi anni bestemmie e ingiurie, spergiurando di celebrare la vera messa con la
    transustanziazione. Dopo la morte di Enrico VIII, il calvinismo furoreggiava in Inghilterra.
    Morto Edoardo VI, sotto Maria la Cattolica che usò contro i calvinisti il ferro e il fuoco, tuttavia il calvinismo non potè essere sradicato. Era infatti favorito da ELisabetta nel palazzo regio e attorno a lei si adunavano quelli che poi avrebbero preso il potere.
    E quando poi al cardinal Pole, ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury, fu riferito che Maria era morta, esclamò: Ohime! Mia Inghilterra, per la Santa Chiesa cattolica è finita in questo regno. E quindici giorni dopo la sua ascesa al trono, Elisabetta proibì l'elevazione dell'Ostia, negando la Transustanziazione. Il sacerdote non obbedì e lei lo mise in fuga e così fu proposta la legge di restaurare il calvinismo in Inghilterra. Si temeva non avesse i suffragi necessari. Che si fece? Si incarcerarono tre cattolici per alto tradimento e così poterono avere la maggioranza per intronizzare il calvinismo.
    Troppo vero, troppo tragicamente vero che i cattolici di quei tempi, come consta dalle lettere di Tommaso Moro, anche lui martire e testimone della Suprema Potestà romana, non erano ben legati all'autorità apostolica. Pensavano di poter essere cattolici andando a messa, confessandosi, stando sottomessi ai loro vescovi, ma curandosi di poco o nulla della Santa Sede.
    E gia da trecento anni e più un placet regio è stato imposto a tutto quel clero sotto pena di lesa maestà. Ecco perchè l'Inghilterra ha apostatato. La Santa Sede non avrebbe mai potuto approvare quel giuramento che condannava se stessa, che condannava l'immenso Gregorio VII, che condannava il primo concilio di Lione, il quarto concilio Lateranense.[...]
    Questa definizione [dell'Infallibilità pontificia] nel momento stesso in cui sarà proclamata, produrrà tanto gaudio in cielo, poichè la Chiesa trionfante godrà della pace e della concordia della Chiesa militante, sua sorella.
    Produrrà tanta gioia nella Chiesa militante che potrà combattere le battaglie esterne, senza dover combattere quelle interne.
    In quel giorno sarà tristezza e terrore per la potestà infernale, che sempre di più sarà schiacciata sotto il piede della Beatissima Vergine. [SM=g1740721]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinal Henry Edward Manning, arcivescovo di Westminster (1808-1892)
    Cardinale nel 1875

    Estratti da un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 25 maggio 1870


    [...]L'infallibilità del Romano Pontefice non è un'opinione libera tra i cattolici, liberamente ventilata o liberamente da ventilarsi. Siamo già tutti tenuti a crederla. Non è un'opinione ma una dottrina, perchè è già contenuta nella Rivelazione di Dio. [SM=g1740721]

    Da queste premesse, seguono evidentissimamente due cose: 1° manca di ogni forza e verità l'opposizione fatta in questi mesi sempre più forte che i padri conciliari stiano trasformando un'opinione in un dogma; E' già stato provato che essa non è nè opinione, nè libera, ma dottrina, non ancora definita ma rivelata, teologicamente certa, almeno prossima alla fede. L'elevazione di una verità cattolica di questo tipo da dottrina non definita a dottrina definita nulla aggiunge alla sua certezza intrinseca, aggiungerà solo una certezza estrinseca; 2° Non solo manca di verità ma soffre di menzogna, la trita espressione che viene usata quando si parla di questa definizione: In necessariis unitas, in dubiis libertas. La dottrina dell'infallibilità pontificia non è in alcun modo dubbia e affinchè dalle nostre controversie e dal silenzio tenuto in concilio sul tema non sorgano dubbi, è necessario che sia promulgata solennemente.[...]
    Questa fede soprannaturale (nell'Infallibilità pontificia) è viva e efficace in tutta la Chiesa discente, ed è bastata per quindici secoli senza una definizione.

    Infatti le definizioni non sono per i fedeli precipuamente ma per gli infedeli e per gli incerti e i dubbiosi, come si legge negli Apostoli, la legge non è posta per il giusto ma per gli iniqui e i ribelli.[...] Abbiamo udito tra le tante cose incredibili di questi tempi, che vi sarebbero trenta condizioni richieste per la validità degli atti pontificali, sulle quali i teologi si accapigliano senza fine. Ma di queste condizioni o i cristiani le ignorarono per quindici secoli oppure son condizioni cui il Pontefice è legato davanti a Dio ma non davanti agli uomini. [...]Infatti nell'assistenza promessa a Pietro sono contenute tutte le cose necessarie. In quest'assistenza, da cui il Papa è diretto affinchè non erri circa il fine, è certamente contenuta l'assistenza circa i mezzi, necessari per raggiungere quel fine.[...] Se al Concilio di Trento con una definizione decretoria fosse stato tolto ogni dubbio circa l'infallibile magistero del Romano Pontefice, non sarebbero potuti sorgere in alcun modo quei luttuosissimi mali che per due secoli in Germania, in Francia e in altre terre sino ad oggi, abbiamo letto, abbiamo udito, abbiamo visto. Ecco, reverendissimi padri, i frutti acerbissimi del silenzio! [...] E' più chiaro della luce del meriggio che, in seguito ad eventuali reticenze di questo Concilio, l'autorità della Chiesa docente ovunque verrebbe indebolita e poi abbattuta e le membra disperse, unite e dipendenti da un Capo privo di forza, facilmente cadrebbero sotto il potere dei governi e precipiterebbero negli abissi delle chiese dette "nazionali".

    Tuttavia, con la definizione di questo Concilio Vaticano che rafforzi con l'infallibile giudizio di tutta la Chiesa la suprema autorità del suo Capo, la giurisdizione della Sede apostolica che è fonte unica di verità e unità, aumenterà in forza al punto da trasmettere nuovo slancio e nuovo vigore al corpo episcopale, sarà confermata la fede e l'obbedienza di tutti i cristiani, sarà rafforzata l'unità dell Chiesa e la certezza del Magistero infallibile come la TESTUGGINE ROMANA impenetrabile grazie agli scudi uniti e inscalfibile da ogni parte prenderà e annienterà i dardi infuocati del Maligno.[...]
    Mi sia lecito esprimere un desiderio del mio cuore non tanto a voi a innanzi a Nostro Signor Gesù Cristo. Permetta Dio che nella prossima festa del Principe degli Apostoli attorno al Soglio del suo successore, noi pastori radunati da tutto il mondo, deponiamo e seppelliamo per sempre nel sepolcro di Pietro tutte queste nefaste memorie che ci rattristarono e, come da una sola fonte da cui è sorta l'unità sacerdotale, su tutti noi si diffonda copiosissimamente la perfetta pace di Dio.[...] [SM=g1740721]


    [SM=g1740738]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:17

    S.E.R. Monsignor Giuseppe Valerga (1813-1872), Patriarca Latino di Gerusalemme

    (nota: fu il primo patriarca latino di Gerusalemme dai tempi della fine dei regni crociati. Fu nominato patriarca a 34 anni da Pio IX nel 1847.)

    Estratti da un discorso tenuto al Concilio Vaticano il 31 maggio 1870

    [...]I fatti hanno un'eloquenza propria, più sana dal momento che è lontana dalle intemperanze smodate dell'animo e dai rispetti verso le persone.
    Ascoltiamo la storia che parla; questa maestra di verità fornirà risposte antiche ma non meno valide alle nuove, o meglio rinnovate, o ancor più correttamente ripetute obiezioni. E da quello che avvenne ai tempi del monotelismo, si capirà ancor meglio come bisognerà comportarsi col gallicanesimo. [...]A entrambe le controversie, ovvero del monotelismo e del gallicanesimo, diede origine quell'infausta prurigine di quei regnanti che non hanno timore a porre le proprie mani profane sull'Arca di Dio e a manomettere le cose di fede a proprio libito o a mutarle secondo i propri interessi.
    Non ci fermeremo su cose note: di là abbiamo un piissimo imperatore (Eraclio) e qui un re cristianissimo (Luigi XIV).
    Da tali progenitori chi non si meraviglierebbe che sia sortito una tale malconsigliata gemmazione di falsi dogmi?
    Eppure questo fu comune ad entrambe le controversie: Eraclio volle direttamente e formalmente che si insegnasse il monotelismo, Luigi il gallicanesimo. E allora il Patriarca Sergio ritenne di doversi adeguare al piissimo imperatore e il clero gallicano al cristianissimo Re, al punto tale da emettere un formale dichiarazione per questo "dogma" rispettivamente imperiale e reale.
    [...] Di grazia, cosa abbiamo letto, reverendissimi padri, cosa abbiamo udito tanto eloquentemente quanto pateticamente proferire da questo ambone, per implorar il nostro silenzio sull'infallibilità pontificia, che da Sergio non sia stato messo in campo all'epoca della controversia monotelitica?
    Si chiede al Sommo pontefice Pio riguardo la causa gallicana, ciò che si chiedeva a Papa Onorio nelle causa sulle operazioni di Cristo.
    Si chiede la medesima cosa, con il medesimo scopo, coi medesimi motivi, con le stesse paure, con lo stesso paventar pericoli.[...]
    Cosa avrebbero fatto, se fossero vissuti ai tempi del Patriarca Sergio, coloro che oggi ci chiedono di eliminare la questione dell'infallibilità? Forse si sarebbero adeguati alle prudentissime ragioni di Sergio? Forse avrebbero consigliato a Papa Onorio il silenzio? Questo fece Onorio e fu biasimato per questo da tutta la Chiesa ma quello che fece Onorio, non lo farà Pio IX, nè lo faranno i padri del Concilio Vaticano. Ma vediamo se sia diversa la ragione e la natura del Monotelismo e del Gallicanesimo da un punto di vista intrinseco.
    Il Monotelismo vedeva il divino e invisibile capo della Chiesa, Nostro Signore, e diceva di ammettere in lui, secondo il Concilio di Calcedonia, due nature integre e perfette, tuttavia diminuiva l'integrità della natura umana in Cristo, togliendogli la volontà e le proprie operazioni. Il Gallicanesimo guarda il capo visibile della Chiesa, il vicario di Cristo, il Sommo Pontefice, cui i padri del concilio di Lione e di Firenze avevano riconosciuto la pienezza del sommo primato e il principato sopra tutta la Chiesa ovvero la potestà, affidata da Cristo, di pascere ovvero di insegnare, reggere e governare. Ma diminuisce questa pienezza di potestà e in ciò che le è sostanziale e mentre la chiama piena, ne nega la pienezza.[...]

    E' duplice la potestà del Papa, una di regime, l'altra di magistero, nessuno lo ignora: ognuna ha un oggetto proprio e tende ai suoi fini, ognuna nel suo ordine è asserita come piena[...] e questo nessun nega.
    Ma in che modo e quando entrambe le potestà possono essere definite piene? Quando ognuna possegga il necessario per raggiungere il suo scopo e per conseguire l'effetto cui è ordinata.[...] Chi nega l'infallibilità al Capo e Maestro della Chiesa universale, contro la definizione di Lione e di Firenze, diminuisce in lui la pienezza di podestà, come contro la fede di Calcedonia i monoteliti diminuivano la pienezza e l'integrità della natura umana in Cristo.
    [...] Si escluda quindi dal Corpo Mistico il gallicanesimo come il Monotelismo fu escluso da Cristo e la dottrina cattolica rimanga salda e forte, mantenendo ogni cosa nel suo buon ordine.[...] [SM=g1740721]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Cardinale Jean Baptiste Francois Pitra O.S.B. (1812-1889)

    Estratti da un discorso tenuto il 18 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    "E ora sorgano gli innografi anonimi e perciò antichi, forse anche più santi, ragion per cui il proprio nome ci nascosero, sorgano dunque, celebrino Pietro, non tanto l'apostolo, chiuso nel tempo dell'umana vita ma il pontefice della Chiesa, maestro e araldo, IMMORTALE nei suoi romani successori.
    "O Pietro, pietra inconcussa nella tua fede, Tu conservi la pienezza della Chiesa", "Pietro è la pietra della Fede", "Tu, fatto tempio della Santissima Trinità, Tu, divino interprete, annunziatore di verità, santifica ed illumina quelo che con fede ti venerano".
    "Te beato ti chiamò Cristo, ti chiamò Pietro con proprio nome, pietra e base della Chiesa, pietra che non può essere distrutta".
    "Sei stato fatto primo vescovo di Roma, tu base e colonna della città ortodossa sopra tutte le altre, fulcro della Chiesa di Cristo, che le porte dell'Inferno, per la promessa del Signore, non abbatteranno."
    "Hai dato stabilità alla tua chiesa, o Signore, sulla stabilità di Pietro". "O Pietro, tu basamento degli apostoli, tu pietra della Chiesa cristiana, tu primizia dei cristiani che pasci le pecorelle, che difendi gli armenti del tuo ovile". "Tu meritatamente e veramente designato, sei pietra di fede e clavigero di grazia". "O Pietro, pietra di fede, Tu con giusto nome sei chiamato pietra, quando il Signore fortificò l'inconcussa fede della Chiesa, ti fece sommo pastore di tutte le pecore immaginabili, ti fece ottimo custode delle porte celesti, affinchè tu le apra a tutti coloro che vi bussano con fede. In te fondò la Chiesa immobile, su cui non prevarranno le porte degli inferi, affinchè non vincano le ciarle degli eretici, nè la distrugga l'arroganza dei barbari"[...]"Noi celebriamo, fedeli, Pietro, pietra di fede". "Vedendo in Te, Pietro,la forza inespugnabile della tua fede, Cristo Cristo ti stabilì come fondamento della Chiesa".
    "Comprasti, onestissimo Pietro, una perla inestimabile e trovasti la prima cattedra che esista sotto il cielo, Tu fulcro della fede, Tu basamento della Chiesa, Tu sigillo e coronide, Tu che sei la sublimità sacra dei sommi apostoli, Tu che sei anche la solidissima base della Chiesa, o Pietro, fortunatissimo tra tutti, tu Duce del coro degli Apostoli, patrono e divino Prototrono".
    "O beato, come bocca di tutti e ispirato da Dio esclamasti: tu sei figlio del Dio vivente, perciò hai ricevuto un premio pari ai tuoi meriti e Cristo, che è egli stesso fondamento, chiamandoti pietra e fondamento, ti ha stabilito su una cattedra irreprensibile.[...]


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Bartolomeo d'Avanzo, vescovo di Calvi e Teano (1811-1884)
    Membro della deputazione conciliare De Fide
    cardinale nel 1876

    Estratti da un discorso tenuto il 20 giugno 1870 al Concilio Vaticano


    "Eminentissimi e Reverendissimi padri, non facciamo delle ipotesi, è la triste esperienza che ci insegna. Ci basti richiamare alla memoria ciò che avvenne in Francia ai tempi della Bolla Unigenitus.
    Di primo acchito i giansenisti richiedevano l'assenso dei vescovi di Francia come necessario; quando questo venne, richiesero il consenso dei vescovi di tutto l'Orbe cattolico. Passati cinque anni, con l'aiuto e la collaborazione del governo civile, vennero le risposte attraverso i legati del Re cristianissimo che affermavano che nessuno dei vescovi cattolici dissentiva.
    Forse che la causa fu finita? No. Quegli stessi resistevano, dicendo che i vescovi erano giudici e il giudizio senza discussione non poteva avvenire ed allora bisognava radunarli in un concilio perchè proferissero il loro giudizio a ragion veduta.
    Avete capito, Eminentissimi e Reverendissimi Padri? Dunque se aggiungessimo la clausola [...] riguardo il consenso dei vescovi come giudici e come testimoni, avverrà che mentre a Roma si discuterà, Sagunto verrà espugnata e questa nostra definizione sarà resa vana e senza alcun effetto. [SM=g1740733]

    E dunque dal momento che oggi, a causa del progresso, come lo chiamano, ci sono cento lingue e cento bocche attraverso le quali ogni singolo giorno si propagano errori in nuove forme e ognidove, è assolutamente necessario che OGNI SINGOLO GIORNO vi sia anche un supremo giudice infallibile che, in quanto infallibile, condanni e respinga quegli scrittori erranti e deviati che ogni giorno decretano a se stessi l'infallibilità e li sconfigga con una vera e divina infallibilità.
    NESSUNA CONDIZIONE, NESSUNA LIMITAZIONE, può essere posta nella definizione, tranne per ciò che è stato detto ovvero che per quanto riguarda il soggetto non parli da dottore privato ma con ruolo docente, per quanto riguarda l'oggetto che si tratti di fede e costumi, per quanto riguarda la causa efficiente e formale questa sia l'assistenza dello Spirito Santo.[...]

    Avete quindi, Eminentissimi e Reverendissimi Padri, udito ciò che hanno detto i reverendissimi e illustrissimi oratori che tuttavia combattono contro l'opportunità[...] e certamente l'illustrissimo e reverendissimo arcivescovo di Parigi fece bene a descrivere lo stato della presente società.
    Gesù Cristo è allontanato dalla società odierna, dalle elezioni, dalla magistratura, dalle pubbliche istituzioni, dalla legge, dagli stessi istituti di carità e anche dalle famiglie, a causa del matrimonio civile. Questo è ciò che pertiene alla società , come la chiamano, ufficiale.
    Ma, di grazia, donde è nata tutta questa calamità se non dal fatto che Satana regna ed è il principe di questo mondo ufficiale?
    E da ognidove noi vediamo i figli di Satana che gridano di voler seguire Satana, che Satana è il loro re e, da servi del peccato quali sono, si gloriano di essere figli di Satana.
    Come fece Satana a ottenere questo risultato? Attraverso una scienza di falso nome, attraverso un disordinato amore per le cose mondane, cosicchè questi suoi figli negassero totalmente quell'ordine sovranaturale il cui institutore, autore e completatore è Cristo stesso.

    Dunque, Eminentissimi e Reverendissimi Padri, ad una così tanto sfrontata negazione dell'ordine sovrannaturale, si opponga l'affermazione sublimissima dell'ordine stesso, esca, esca da quest'aula questa voce che è degna di un Concilio. E conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi. E la Verità, soprattutto di questi tempi, necessaria, opportunissima, è la Verità
    dell'Ordine sovrannaturale. Si levi, quindi, si levi in Vaticano il glorioso vessillo di quest'Ordine attraverso la definizione dell'Infallibilità pontificia, perchè allora tutte le genti sappiano che il Papa è, per così dire, l'incarnazione dell'Ordine sovrannaturale. IN LUI definente, lo stesso Spirito Santo vive e CONTINUAMENTE è presente e quindi nel Papa docente tutte le genti vedano l'Ordine sovrannaturale e attraverso l'Ordine sovrannaturale vedano Cristo stesso, che, in tutte le cose e per tutti, sarà NEL PAPA, COL PAPA e ATTRAVERSO IL PAPA. E attraverso il Papa, Cristo si mostrerà in tutte le cose e sopra tutte le cose, Cristo che vince, Cristo che regna, Cristo che impera, e allora tutti diranno: Sia lodato Gesù Cristo. Ho concluso.

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Miguel Payà y Rico, vescovo di Cuenca (1811-1891)

    poi Arcivescovo di Santiago di Compostela
    Cardinale nel 1877
    poi Arcivescovo di Toledo e Patriarca delle Indie orientali

    Estratti da un discorso tenuto il 1 luglio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Perchè Cristo ha detto "Tu es petrus"? Perchè ha detto "Rogavi pro te"? Perchè ha detto "Pasce oves meas?
    Forse che Cristo ha parlato invano? Egli parlava a Pietro DA SOLO, solo a Pietro ha conferito il Primato e insieme l'infallibilità.
    [...]Vedo quindi un fiume grande e limpido, tanto splendente quanto cristallino, che sgorga dalle pendici del monte di Cristo, per dodici fonti che sono gli apostoli e viene a noi attraversando diciannove secoli, integro e senza diminuzione. Nell'ultimo tratto del fiume scorgo una piccola isola che emerge dalle acque; e poichè è piccola e nuova, nonn può frenare l'impeto di questo fiume che giunge sino a noi. Quest'isola è la scuola gallicana, nuova tra noi e per questo sospetta. Sempre il nuovo è sospetto.
    [...]Eppure vi è un principio che è certo ed ammesso da tutti: il Romano pontefice è il centro di tutta l'unità della Chiesa.
    Chi osa impugnare questa verità? Nessuno! Un'unità doppia, di comunione attraverso l'obbedienza, di fede attraverso la sottomissione.
    Se il Papa non è infallibile, non vi può essere unità della fede. Perchè? Perchè la voce centro è una voce metaforica desunta dal centro della terra.
    Che accade al centro della terra? Vi è una forza di attrazione generale che sul globo terraqueo è detta di gravità.
    Per codesta legge tutti i corpi tendono al centro della terra ed esso li attrae fortemente. Da ciò deriva la conservazion del globo terraqueo, Da questo viene che questa cattedra e chi vi parla aderisce stabilmente alla terra. Altrimenti senza questa forza che accadrebbe? I corpi volerebbero e il globo terraqueo si dissolverebbe.
    Il pontefice e' quindi il centro della Chiesa che, come il centro della terra attrae fortemente e invincibilmente, non solo i cuori attraverso l'obbedienza ma le menti attraverso la fede.[...] Ma questa attrazione delle menti non può essere così forte se il centro non e'infallibile, poichè contro questa attrazione verso il centro milita un altra forza che potremmo definire centrifuga.
    La superbia della nostra mente: il "non serviam". Questa superbia sarebbe forte, anzi fortissima, se non vi fosse un'invincibile forza di attrazione verso il centro.
    [...] E'certo e di fede che il governo della Chiesa e' monarchico.[...]Taluni pero' dicono che questa dottrina dell'infallibilità non possa essere ammessa perche' sarebbe un dispotismo papale ed il dispotismo consta essere mostro orrendo.
    Dispotismo? Inorridisco al suono di questa parola. Ma vi domando cosa sia il dispotismo. Parlo con dei sapienti, non con degli idioti. Che e' mai il dispotismo? In cosa consiste? Nel governo di uno solo? Allora il governo di Dio su tutti e' dispotico. Il governo di Cristo
    sulla Chiesa e' dispotico perche' Cristo e' il vero capo della Chiesa intera. Allora e' dispotico il governo del capofamiglia che pure viene dalla legge naturale. Erano dispotici i governi dei patriarchi, di Abramo, Isacco e Giacobbe, governi tuttavia lodati da Dio. Era dispotico il governo di Mosè ed i governi di Giosuè e di Davide che furono governi di uno solo mentre il governo della repubblica francese del 1793 era un governo angelico, un governo dolce, un governo soave, caritativo e umano, legale e accettabile... perche' era governo di molti.
    Capite bene, reverendissimi padri, che il dispotismo non consta del numero di quanti governino ma della legge moderatrice quale sia e se vi sia. [...]

    [SM=g1740771]


    S.E.R. Monsignor Paolo Angelo Ballerini (1814-1897)
    Patriarca titolare di Alessandria D'Egitto
    Già Arcivescovo di Milano dal 1859 al 1867, senza poter prendere possesso della Sede per ordine del governo sabaudo

    Estratto da un discorso tenuto il 20 giugno 1870 al Concilio Vaticano
    ...
    [...]Benchè dunque la conclusione di tale capitolo (sull'Infallibilità pontificia) sia tale da bastare per marchiare l'errore opposto alla definizione con la nota dell'eresia, tuttavia la ragione dell'uniformità con le altre dottrine della presente e della precedente costituzione dogmatica già pubblicata esige che i principali errori ad essa opposti sia colpiti con l'anatema attraverso i canoni. Io stesso non rifiuterei alcun canone, affinchè gli errori opposti all'infallibilità siano condannati in modo più diretto.[...]
    Venga dunque l'agognata definizione di questa dottrina, dottrina già di San Francesco di Sales, di San Vincenzo de Paoli, di Sant'Alfonso Maria de Liguori e, come con l'istituzione della festa del Corpus Domini, la Chiesa,
    che era apparsa alla Beata Giuliana di Liegi sotto forma di luna, doveva brillare di luce più piena, così ora, attraverso questa definizione, brillerà di un nitore fulgidissimo, renderà i cattolici più sicuri nella fede, attrarrà più efficacemente gli acattolici e mostrerà a tutti, con piena forza e chiarezza, la presenza indefettibile del Divin Pastore in mezzo alle sue pecore.

    [SM=g1740738]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:26


    S.E.R. Monsignor Francesco Saverio Petagna (1812-1878)
    Vescovo di Castellammare di Stabia

    Estratti da un discorso tenuto il 21 maggio 1870 al Concilio Vaticano


    [...]Bisogna notare che molte delle cose che si dicono oggi, sono dipinte dall'immaginazione piuttosto che essere vere.
    Direi che il vero pericolo verrebbe dalla mancata definizione di questa dottrina, non solo dalla parte nostra in dovremmo con una sola voce insegnare la medesima dottrina di verità ma anche parte dei nemici della Chiesa che invece temono possa essere definita una verità di tal tipo e paventano di essere colpiti da un colpo fatale, e per questo schiumano di rabbia e furore.
    E per questo dal loro modo di comportarsi, la definizione dell'Infallibilità risulta per loro dannosa e al contempo utile per la Chiesa.
    E per questo è necessario aggiungere, non solo a mio modo di vedere ma anche secondo il parere di altri vescovi, un canone al Capo IV, chiaro, preciso, valido, affinchè non vi sia altro spazio, per quanto possibile, a nuovi dubbi, a nuovi cavilli e a nuove ambiguità.[...]
    Ma mentre nel presente dibattito si discute dell'inerranza del Sommo Pontefice, che non è ammessa dai dissenzienti, per soddisfare i nostri fratelli e per giungere ad una conclusione, è necessario cercare rifugio presso il comune arbitro che è infallibile per natura, che è Dio.
    Lui solo può far in modo che si giunga ad una composizione e che sia medesimo il vedere e il volere tra di noi.
    Vedere la medesima cosa è il dono perfetto che discende dal padre dei lumi; volere la medesima cosa è opera dell'Onnipotente Iddio, che può portare ad una medesima volontà le menti dei vescovi e dei fedeli.
    Dunque innanzi all'immagine del Salvatore crocifisso, in ginocchio, levate le mani al cielo, fissi gli occhi su di Lui, ognuno di noi con buona volontà, con animo retto, con umiltà di cuore e con desiderio di trovare la verità dica: Signore, fa' che io veda, secondo la tua parola dammi intelletto. insegnami a fare la tua volontà. Ed Egli darà lume, intelletto e volontà; ed Egli che è la Verità, farà in modo che nell'unità della luce noi possiamo comprendere la Verità e volerLa, per comprendere la medesima cosa e avere pace.


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Charles-Amable De la Tour d'Auvergne Lauraguais (1826-1879)
    Arcivescovo di Bourges

    Estratti da un discorso tenuto il 22 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Quando si trattò di accogliere la Bolla Vineam Domini Sabaoth, i gallicani vollero agire altrimenti e sottoporre ad esame quella bolla, quella costituzione ma Clemente XI non tralasciò di redarguirli con parole veementissime. Mi sia lecito leggere queste parole: "Chi vi ha costituito giudici sopra di Noi? Spetta forse agli inferiori discutere l'autorità dei superiori ed esaminare
    i loro giudizi? Sia detto con vostra pace, venerabili fratelli, questa cosa non è per nulla tollerabile. Interrogate i vostri antichi predecessori e vi diranno che ai vescovi non spetta discutere i decreti della Sede apostolica ma applicarli".
    [...]Nè si dica che da queste cose che impugnano il Gallicanesimo, venga colpita anche la Francia: sono due cose assolutamente diverse. Io sono francese e non sono per nulla gallicano e molti altri potrebbero dire la medesima cosa. Questa identificazione va rifiutata assolutamente. E in questi ultimi tempi tanto fortemente, tanto strenuamente la nostra chiesa ha combattuto per la fede cattolica, non quella gallicana [vivi segni di approvazione da parte di molti vescovi].
    E se un tempo la Chiesa di Francia patì carcere, esilio e morte, non perchè legata ad una falsa dottrina particolare ma perchè figlia primogenita della Santa Sede, anche in quei tempi orribili non si dimenticò mai della madre e della voce della madre, nè se ne dimenticherà.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R.Monsignor Pietro Maria Ferrè, vescovo di Casale Monferrato (1815-1886)
    Già vescovo di Crema, già vescovo di Pavia (allontanato dalla sede dal governo piemontese)

    Da un intervento scritto alla Congregazione de Fide al Concilio Vaticano (primi giorni di luglio 1870)

    [...]Ma i giudizi del Sommo Pontefice non riguardano solo le proposizioni di fede e quelle contrarie alla fede, ovvero eretiche; riguardano anche le proposizioni che, benchè non di fede, sono proclamate prossime alla fede ed anche le proposizioni che pur non condannate come eretiche, tuttavia sono proscritte come erronee, o sono segnate con censure teologiche, come prossime all'eresie, in odor di eresia o temerarie. In tutti questi giudizi il Papa gode dell'INFALLIBILITA' e ciò deve essere tenuto come vero da tutti. [...]
    L'infallibilità della Chiesa docente, unita con il suo capo, si estende non solo alla definizioni delle verità di fede e alla condanna degli errori contro la fede ma anche ai giudizi dogmatici, nei quali le proposizioni sono marchiate a fuoco con note minori rispetto all'eresia. Martino V, unito al Concilio di Costanza, dagli articoli di Wicliff, Huss e Gerolamo di Praga proscrisse alcune proposizioni, alcune come notoriamente ereticali, altre come scandalose, erronee e temerarie. Da ciò giustamente deriva che nell'utilizzo del supremo magistero del Sommo Pontefice vi debba essere infallibilità anche nell'applicare le note teologiche alle proposizioni che riguardano sia la fede che i costumi.[...]
    Infatti l'infallibilità è divinamente concessa al Sommo Pontefice per tutelare e difendere il deposito della Fede e per edificare il popolo nella verità. L'infallibilità va quindi estesa tanto quanto lo richiede lo scopo da raggiungere.
    Per mettere in guardia nei confronti dell'eresie, è sommamente necessario colpire gli errori che più o meno remotamente
    aprono la strada alle eresie. E per favorire la pietà giova immensamente trafiggere col dardo (delle condanne) quelle proposizioni che allontano dalla regola della virtù cristiana. Il Sommo Pontefice questo si prefigge coi giudizi dogmatici, di cui ora parliamo. Quindi l'Infallibilità pontificia deve estendersi a questi stessi giudizi.


    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Salvatore Nobili Vitelleschi (1808-1875)

    Arcivescovo di Osimo e Cingoli poi Segretario della Congregazione dei VeScovi e dei Regolari nel 1871
    Cardinale nel 1875

    Estratti da un discorso tenuto il 22 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Ragion per cui la potestà di reggere e governare e quella di insegnare allo stesso modo deve essere suprema nel Romano Pontefice. Forse che Cristo dando il potere a Pietro abbia posto delle distinzioni tra il potere di governo e quello di insegnare, in modo tale che uno risultasse supremo e l'altro sottoposto ad altri elementi?
    Giammai! Infatti per la suprema potestà di insegnare leggiamo esplicitamente e in modo particolare: Confirma fratres tuos, rogavi ne deficiat fides tua. Se l'autorità del Romano pontefice è suprema, deve essere infallibile in docendo.[...]
    E non meno connessa è l'Infallibilità pontificia con la ragione e il fine del Primato. Fine del Primato è la conservazione dell'unità, affinchè tutti siano un solo corpo, una sola fede, un solo battesimo. Questa unità è ESSENZIALE alla Chiesa di Cristo (ovvero la Chiesa cattolica) e costituisce il segno distintivo della sua stessa ortodossia. Se Cristo ha istituito lo stesso primato per mantenere la Chiesa intera in questa unità, certamente ha conferito a chi detiene il primato l'autorità e il potere che assolutamente serve per adempiere questo incarico. L'unità dalla Verità, la divisione dall'errore. Per conservare quest'unità è necessario un magistero certissimo di verità come mezzo ESSENZIALE. Chi potrebbe ritenere che Cristo, concedendo il primato, abbia poi negato contemporaneamente questo mezzo essenziale per ottenere lo scopo stesso del Primato? Nessuno nega quanto tutto questo sarebbe lontano dalla sapienza di Dio. Indi giustamente diceva San Cipriano: "Iddio edifica la sua Chiesa super unum Petrum ed a Lui affida le sue pecorelle da pascere".[...]

    [SM=g1740771]




    S.E.R. Monsignor William Keane, vescovo di Cloyne in Irlanda (1805-1875)


    Estratti da un discorso tenuto il 25 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Siano rese grazie a Dio ottimo datore di tanti beni, reverendissimi padri, per il mirabile modo nel quale, secondo la sua grande misericordia, per procurare il bene delle anime che riscattò col suo prezioso sangue, abbia istituto dei mezzi amplissimi ed efficacissimi. Ad un sacerdote giovanissimo e recentemente ordinato Egli dona la potestà di resuscitare i penitenti morti nei loro peccati per chiamarli alla vita eterna. E questo potere salutare i suoi ministri non cessano di esercitarlo ogni giorno e più volte al giorno da diciotto secoli. Al medesimo sacerdote giovanissimo ed appena ordinato Egli dona un potere che storicamente non è stato concesso agli angeli, ovvero di convertire il pane ed il vino nel Suo corpo e nel Suo sangue, affinchè i suoi diletti figli, accedendo alla sacra mensa, vivano in eterno. E questo miracolo quasi incredibile i suoi presbiteri lo ripetono ogni giorno, ieri, oggi e nei secoli. Che ci sarebbe da stupirsi se per il buon regime della Chiesa e per la salvezza delle anime abbia conferito al suo vicario in terra, cui affidò l'incarico di pascere pecore ed agnelli, abbia conferito anche il dono dell'inerranza?[...]

    Degnatevi di udire, reverendissimi padri. Pietro, quando venne in questa alma città di Roma, affinchè, posto al centro dell'impero romano, potesse più facilmente governare l'intera Chiesa, portò con sè nella sua totalità l'intero deposito della Fede scritto e tramandato; e in questa sede apostolica questo prezioso tesoro nella sua piena e totale integrità è stato conservato intatto ed inviolato.
    Le altre sedi episcopali degli apostoli, se ne ebbero di fisse, o sono ignorate o furono distrutte, o si alienarono dalla vera Fede a causa dell'eresia o non furono MAI ritenute come centro dell'unità cattolica. [SM=g1740721]
    Questo accadeva nel corso di diciotto secoli, accade
    oggi, accadrà sempre.[...]
    E' quindi richiesta la definizione dell'infallibilità, poichè l'infallibilità è contenuta nel deposito della Fede, portato da Pietro in Roma, é richiesta a causa del decreto del Concilio di Costanza, a causa degli articoli gallicani e per le recenti negazioni ed è richiesta dal presente stato delle cose.[...]

    Noi vescovi irlandesi, durante tre secoli di feroci persecuzioni, abbiamo trovato fratelli, come già dissi da questo ambone il 15 febbraio, in Francia, in Spagna, in Belgio e in Lusitania. In questa città abbiamo sempre trovato un PADRE, che ha accolto ne suo grembo, rifocillato, nutrito e curato i suoi figli afflitti e perseguitati di tutto l'orbe cattolico.

    QUI non ci sono francesi, tedeschi, spagnoli, italici, non ci sono nè Americani, nè Europei, nè Greci, nè Latini. Qui ci sono i vescovi dell'Orbe cattolico, padri per i fedeli, fratelli tra loro, figli unitissimi al Supremo pastore.[...]
    Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, ho detto: quello che non ho detto bene, perdonatelo, le altre cose
    se ve ne sono le sottopongo con la maggiore umiltà possibile al vostro giudizio.

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Miguel Payà y Rico, vescovo di Cuenca (1811-1891)

    poi Arcivescovo di Santiago di Compostela
    Cardinale nel 1877
    poi Arcivescovo di Toledo e Patriarca delle Indie orientali

    Secondo estratto da un discorso tenuto il 1 luglio 1870 al Concilio Vaticano

    [...]Sant'Ilario, dottore delle Gallie, Sant'Ambrogio, dottore italico, Sant'Agostino, dottore dell'Africa, commentando questo famosissimo passaggio: Tu es Petrus e super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, riferirono il pronome eam, non alla Chiesa ma alla Pietra [a Pietro], e fatta questa questa esposizione, che è conformissima alla lettera, svanisce ogni difficoltà. Allora dalla Scrittura si dimostra questa Verità, poichè il senso è questo: Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli Inferi non prevarranno contro la Pietra su cui è edificata la Chiesa.[...]

    [SM=g1740771]

    S.E.R. Monsignor Pierre Gervais Marie Lacarriere, vescovo emerito di Guadalupa e... delle Basse Terre (1808-1893)

    Estratto da un discorso pronunciato il 25 giugno 1870 al Concilio Vaticano

    [...]I vostri padri, reverendissimi padri, nei concili ecumenici Niceno I ed Efesino glorificarono il Figlio e la Madre, voi invece glorificherete il vicario di Dio, e questo sarà affermato da tutti, prima o più tardivamente.
    Simone, figlio di Giona, un tempo una canna agitata dal vento, ma ora Pietra, poichè quasi in pietra sei stato transustanziato da Cristo, sei pastore delle greggi, confermatore dei tuoi fratelli per ufficio! Noi, tra il tuo sepolcro, dove giaci temporaneamente e questa cattedra, dove vivi e regni nei secoli, noi liberamente riuniti, incalzati con stimoli infuocati dalla Scrittura, dalla Tradizione, dai padri, dai dottori, dai santi, dalle chiese, dai secoli, dall'esperienza del passato, dalla visione del presente, dalla previsione del futuro, dopo aver ampiamente riflettuto, senza cedere alle lusinghe della carne e del sangue ma uniti a Cristo Nostro Signore, non possiamo non dire queste cose, affermiamo e proclamiamo.
    Tu Pietro, coi tuoi successori canonicamente eletti sino all'ultimo, TU insegnando dalla tua cattedra alla chiesa universale riguardo a materie di fede e di costumi, TU SEI INFALLIBILE! E se non lo diciamo noi, non lo dirà il Papa perchè l'ha già detto.

    Ogni Papa, ogni Papa prima di Pio, e ancora di più Pio IX stesso, ha parlato del proprio supremo giudizio. Pio IX ha già parlato del suo oracolo infallibile e questa parola usò nella Bolla dogmatica dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.[...]
    Cristo nel suo vangelo parla così: E voi, pur essendo malvagi, sapete dare buone cose ai vostri figli. Quanto di più il Padre vostro che è nei cieli, darà a chi gli chiede cose buone? Così quindi dobbiamo pensare, reverendissimi padri, del PADRE NOSTRO che è in terra.
    Il Papa ci darà forse una pietra al posto del pane, uno scorpione al posto di un uovo, un serpente al posto di un pesce?
    [Molti vescovi gridano a voce alta: No No!] Giammai, Egli ci darà una verità certa e rivelata ma non definita ma quando confermerà il vostro decreto, col suo decreto darà a noi e al mondo la verità definita.


    [SM=g1740738]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:28
    [SM=g1740758]  Da: Il Concilio Ecumenico Vaticano
    cenni storici ed esposizione delle due sue Costituzioni dogmatiche
    per opera di Paolo Angelo Ballerini

  • Dott. in T., Patriarca d'Alessandria

    Canonico ordinario della Metropolitana di Milano
    membro del Collegio teologico di Genova
    Milano 1880

    Esposizione della prima Costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano intorno alla Fede cattolica [Dei Filius]

    Traduzione del capo III della Costituzione Dei Filius (pag. 508-513)
    CAPO III. Della Fede.

    Siccome l'uomo dipende totalmente da Dio qual suo Creatore e Signore, e la ragione creata è onninamente soggetta all'increata Verità, così a Dio rivelante dobbiamo colla fede prestare un pieno ossequio dell'intelletto e della volontà. La Chiesa Cattolica professa poi che questa fede, la quale è il principio dell'umana salvezza, è una virtù sopranaturale, per la quale in noi aspirando ed ajutandoci la grazia di Dio, crediamo esser vere le cose da lui rivelate, non a motivo dell'intrinseca loro verità veduta col lume naturale della ragione, ma a motivo dell'autorità del medesimo Dio rivelante, il quale non può nè ingannarsi, nè ingannare. Imperocchè, come attesta l'Apostolo, la fede è il fondamento delle cose da sperarsi, dimostrazione delle cose che non si veggono (Hebr. XI, 1.).

    Tuttavia, perchè l'ossequio della nostra fede sia consentaneo alla ragione, volle Iddio che agli interni ajuti dello Spirito Santo andassero congiunte le prove esterne della sua Rivelazione, vale a dire certi fatti divini, e primieramente i miracoli e le profezie, i quali dimostrando evidentemente l'onnipotenza e la scienza infinita di Dio, sono segni certissimi e appropriati all'intelligenza di tutti della divina Rivelazione. Per il che così Mosè e i Profeti, come massimamente lo stesso Cristo Signore, fecero molti e manifestissimi miracoli e profezie, e degli Apostoli leggiamo: Eglino poi partiti predicarono per ogni dove, cooperando il Signore, e confermando la loro parola con susseguenti prodigi (Marc. XVI, 20.). E sta scritto pur anco: Abbiamo la più autorevole parola dei profeti, a cui ben fate attendendo, come a lucerna splendente in luogo tenebroso (II Petri, I, 19.).

    Ma sebbene l'assenso della fede non sia un movimento cieco dell'animo, nessuno però può assentire alla predicazione evangelica come fa d'uopo per conseguir la salute, senza l'illustrazione e l'ispirazione dello Spirito Santo, il quale dà a tutti la soavità nell'assentire e nel credere alla verità (Synod. Arausic. II, can. 7.). Per il che la fede medesima in sè, sebbene non operi per la carità, è un dono di Dio, e l'atto di essa è un'opera attinente alla salute, opera con cui l'uomo presta libera obbedienza al medesimo Iddio, consentendo e cooperando alla grazia di lui, alla quale potrebbe resistere.

    Or bene sono da credersi con fede divina e cattolica tutte quelle cose che si contengono nella parola di Dio scritta o tradizionale, e che dalla Chiesa, sia con solenne giudizio, sia per l'ordinario ed universal magistero, si propongono da credersi come divinamente rivelate.

    Ma poichè senza la fede è impossibile piacere a Dio, e pervenire al consorzio dei figli di lui, perciò niuno mai senza di essa conseguì la giustificazione, nè alcuno, se non avrà in essa perseverato sino alla fine, otterrà la vita eterna. E perchè potessimo soddisfare al dovere di abbracciare la vera fede, e di perseverarvi costantemente, Iddio per mezzo dell'unigenito suo Figlio istituì la Chiesa, e la corredò di note manifeste della sua istituzione, onde potesse da tutti venir riconosciuta qual custode e maestra della dottrina rivelata. Imperocchè alla sola Chiesa cattolica appartengono tutte quelle cose, che in tanto numero e tanto mirabili furono divinamente disposte a rendere evidente la credibilità della fede cristiana. Che anzi la Chiesa stessa per sè, cioè per la sua ammirabile propagazione, per la sua esimia santità e per l'inesausta fecondità in ogni bene, per la cattolica sua unità e per l'invitta stabilità, è pure un grande e perpetuo motivo di credibilità ed una testimonianza irrefragabile della sua legazione divina.

    Per il che avviene ch'essa, come vessillo innalzato fra le genti (Is. XI, 12.), e a sè inviti quelli che ancor non vennero alla fede, e i figli suoi rassicuri che la fede, cui essi professano, poggia sopra solidissimo fondamento. Ma a questa testimonianza s'aggiunge un efficace sussidio dalla virtù superna. Imperocchè il benignissimo Signore e gli erranti eccita ed ajuta colla sua grazia onde possano pervenire alla cognizione della verità, e quelli che dalle tenebre trasferì nell'ammirabile sua luce, conferma colla sua grazia onde perseverino in questa medesima luce, non abbandonando se non viene abbandonato. Per il che non è pari la condizione di quelli, che pel dono celeste della fede aderirono alla cattolica verità, e di quelli che indotti da umani opinamenti, seguono una falsa religione: imperocchè quelli che sotto il magistero della Chiesa abbracciarono la fede, non possono giammai avere una giusta cagione di mutare, o di rivocare in dubbio la fede stessa. Le quali cose così essendo, rendendo grazia a Dio Padre, che ci fece degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, non trascuriamo sì gran salute, ma mirando nell'Autore e Consumatore della fede Gesù, teniamo l'indeclinabile confessione della nostra speranza.
    Canoni
    III.
    Della Fede.

    1. Se alcuno dirà, la ragione umana essere così indipendente. che non le si possa da Dio comandare la fede; sia anatema.

    2. Se alcuno dirà, non distinguersi la fede divina dalla scienza naturale di Dio e delle cose morali, e perciò non richiedersi per la fede divina, che la verità rivelata si creda per l'autorità di Dio rivelante; sia anatema.

    3. Se alcuno dirà, che la rivelazione divina non possa rendersi credibile con segni esterni, e che perciò dalla sola interna esperienza individuale, o da privata ispirazione gli uomini debbano esser condotti alla fede; sia anatema.

    4. Se alcuno dirà, non potersi operare nessun miracolo, e perciò doversi rilegare fra le favole o i miti tutte le narrazioni di essi, ancorchè contenute nella sacra Scrittura; o non potersi giammai con certezza conoscere i miracoli, nè provare rettamente con essi la divina origine della cristiana religione; sia anatema.

    5. Se alcuno dirà, non esser libero l'assenso della fede cristiana, ma prodursi necessariamente per gli argomenti dell'umana ragione; o la grazia di Dio essere necessaria soltanto alla fede viva che opera per la carità; sia anatema.

    6. Se alcuno dirà, essere pari la condizione dei fedeli, e di quelli che ancora non pervennero alla sola vera fede, cosicchè i cattolici possano avere una giusta cagione di richiamare in dubbio la fede che già accolsero sotto il magistero della Chiesa, sospendendo il loro assenso, finchè non abbiano compiuta la dimostrazione scientifica della credibilità e verità della loro fede; sia anatema.
    Dall'articolo IV. Dottrina intorno alla fede.
    (pag. 513-523)
    § 7. Analisi del Capo terzo della Costituzione e dei canoni relativi.

    Questo terzo capo consta di due parti principali. Nella prima si tratta della fede in sè stessa; nella seconda della Chiesa in quanto ne è regola prossima e formale. Esordisce il sacro Concilio nel suo dottrinale intorno alla fede collo stabilire, contro i razionalisti assertori dell'assoluta indipendenza dell'umana ragione, la totale dipendenza dell'uomo da Dio come suo Creatore e Signore, e quindi anche la piena sommessione in cui la finita e debole ragione umana deve rimanere a fronte di Dio, verità increata e suprema. Sono queste infatti due ragioni intrinseche e ineluttabili, per cui l'uomo deve accogliere e professare col più profondo ossequio e colla più ferma certezza tutto quanto Iddio siasi degnato di fargli conoscere in qualche modo positivo e indubitato. Imperocchè primieramente, se Dio ha dato all'uomo il suo medesimo essere, se Dio è colui che colla sua provvidenziale azione lo conserva e tutto gli fornisce quanto ha di bene, e che di lui è pertanto il solo vero padrone; egli ha senza dubbio ogni diritto di comandargli, e di esigerne obbedienza a' suoi precetti. In secondo luogo se l'oggetto della ragione è la verità, è dunque dovere dell'umana ragione di tendere all'eterna, assoluta verità. Ma l'umana ragione è debole e limitata, e Dio è verità suprema ed infinita, è infinita sapienza e bontà, che nè può nè vuole ingannare gli esseri da lui stesso creati per renderli beati nella cognizione stessa della verità. Dunque anche da ciò necessariamente scaturisce che se Dio si è degnato manifestare all'uomo alcun vero, o palesargli i suoi voleri qual suo Creatore e Signore, ei deve accogliere le divine comunicazioni col massimo ossequio della mente e del cuore. Perciò nel canone primo il Concilio non lascia di pronunciar l'anatema contro gli pseudofilosofi che negano il dovere per l'umana ragione di tributar tale ossequio alla divina sapienza, bontà e maestà, accogliendo con perfetta adesione quanto le venne manifestato da Dio; nel che consiste appunto la virtù della fede. Tutti quanti i deisti sono adunque colpiti da tale condanna, poichè ammettendo l'esistenza di un Dio vivente e personale, pure ricusano di riconoscere in lui l'autorità di vincolare l'umana ragione a tener per vera alcuna sua manifestazione positiva, e l'umana volontà a praticare alcun suo precetto, che dalla ragione stessa non le sia in modo naturale indicato.

    Ma poichè sulla natura medesima di questa virtù gli antichi errori furono recentemente rinnovati, ed altri ancora ve se ne aggiunsero, il sacro Concilio passa tosto a dichiarare che cosa sotto il di lei nome intenda significare la dottrina cattolica; e primieramente tocca della di lei necessità, ripetendo ciò che già aveva definito il Concilio Tridentino, esser dessa il principio dell'umana salvezza [1], premunendo cosi i fedeli contro l'incredulità e l'indifferentismo che mandano attualmente tante anime in eterna perdizione. Definisce quindi essere la fede una virtù sopranaturale, ed indica le due ragioni per cui è tale, vale a dire e per l'ajuto della grazia divina, mercè della quale soltanto si può praticare, grazia preveniente (adspirante) e concomitante (adjuvante); e pel motivo onde si crede, che è un ossequio diretto verso Dio a motivo dell'autorità di Dio medesimo, il quale non può nè essere ingannato nè ingannare. Mercè di tale definizione il Concilio Vaticano si oppone primieramente ai razionalisti, i quali per illudere i semplici diedero il nome di fede religiosa alla sola cognizione razionale delle verità concernenti Dio e la religione naturale, e riprova puranco la dottrina dei semirazionalisti, che confondendo l'ordine naturale col sopranaturale, trasformano il concetto della fede in quello di semplice scienza naturale, tanto perchè la spogliano del suo motivo formale, quanto perchè la privano di quel suo principale coefficiente, che è la grazia divina. Per questo medesimo motivo il pontefice Innocenzo XI avea già condannato le proposizioni (XIX e XX): «La volontà non può fare, che l'assenso di fede sia in sè stesso più fermo di quello che lo meriti il peso delle ragioni che provocano l'assenso» –– «Quindi alcuno può prudentemente ripudiare l'assenso, che riteneva sopranaturale».

    Quanto all'intervento della grazia nella virtù della fede, è evidente la conformità delle espressioni qui adoperate con quelle usate dal Concilio Arausicano II e dal Tridentino; e se nessun canone in proposito fu sancito dal Concilio Vaticano, lo si deve all'esservisi di già provveduto nei preaccennati concilii. Ma l'errore di coloro, e in particolare di Hermes e suoi seguaci, che fanno della fede un atto di convinzione necessitante per intrinseca evidenza della cosa creduta, e la spogliano del suo carattere sopranaturale tanto per ciò, come perchè la confondono colla scienza di pura ragione, richiedeva inoltre che il Concilio Vaticano facesse menzione eziandio del motivo sopranaturale per cui si crede, cioè dell'autorità di Dio rivelante, escluso il qual motivo tale virtù più non esiste. Così particolarmente contro questi corruttori del concetto della vera fede venne formolato il canone secondo, che esclude dalla comunione dei fedeli quelli che identificano la fede divina colla semplice scienza naturale intorno a Dio ed alle verità morali, appunto perchè non ammettono essere necessario alla virtù della fede che la verità rivelata sia creduta per l'autorità di Dio rivelante. Quindi è che le medesime verità d'ordine naturale, mentre direttamente si dimostrano dalla ragione, e per ciò producono in noi una certezza derivante dall'intrinseca loro cognizione, possono e devono bensì essere anch'esse oggetto di nostra fede in quanto siano pure rivelate da Dio; ma solo per tal motivo, non già per la loro razionale dimostrazione, giusta la felicissima sentenza di S. Agostino: «Quod intelligimus, debemus rationi: quod credimus, auctoritati» [2].

    Ma perchè l'uomo da Dio creato essere ragionevole, cioè intelligente e liberamente volente, è sempre da lui guidato in modo conforme alla propria natura; anche la fede che Dio esige da lui, oltre all'essere ispirata dalla grazia, gli è pure richiesta da prove esteriori dimostranti la verità della divina rivelazione. «L'umana ragione, avea già detto il Santo Padre Pio IX [3], per non essere ingannata in oggetto di tanto a rilievo è d'uopo che diligentemente indaghi il fatto della divina rivelazione, affinchè le consti con certezza che Dio ha parlato». Per il che già quasi due secoli prima di Pio IX il suo santo predecessore Innocenzo XI avea condannato anche l'altra proposizione (XXI): «L'assenso di fede, sopranaturale ed utile alla salute, sta colla notizia solo probabile della rivelazione, anzi col timore con cui si paventa che Dio non abbia parlato». Delle prove per le quali si raggiunge tale certezza, molte ne enumerano gli apologisti del cristianesimo: le veramente apodittiche sono i miracoli e le profezie evidentemente adempiute. Ma contro queste principalissime prove e contro i Libri santi che le contengono, abbiamo veduto con quanta audacia e pertinacia siansi levati increduli d'ogni maniera, e a quante maligne arti siansi appigliati per farne in polvere l'inconcusso valore. Quindi è che a premunire i fedeli contro queste perniciosissime insidie, nel secondo paragrafo del capo si passa a dichiarare la credibilità razionale della divina rivelazione, come dimostrata dai miracoli biblici dell'antico e del nuovo Testamento, e dalle profezie pur consegnate alle divine Scritture, e delle quali vediamo l'adempimento indubitato. E questa dichiarazione vien completata coi canoni terzo e quarto, il primo de' quali pronuncia l'anatema contro quei razionalisti che impugnano la convenienza e l'opportunità degli argomenti esteriori a comprovare la rivelazione divina, e riducono le testimonianze valevoli della sua verità, e quindi anche i criterii della fede, a soli argomenti interni, indimostrabili, inconsistenti e fallaci; sicchè questo canone condanna primieramente quei deisti che non ammettono alcun fatto superiore all'ordine naturale, ma colpisce anche il sistema ermesiano, che riduce, come abbiamo veduto, tutta la certezza teoretica della divina rivelazione ad una mera probabilità, comunque somma, e ci fa indurre ad ammetterla come vera e reale dalla sola ragione pratica, cioè dalla necessità morale, la quale non vale ad escludere il dubbio teoretico: l'altro canone egualmente condanna quelli che negano la stessa possibilità dei miracoli [4] e che mediante i diversi sistemi già enumerati sovvertono ogni fede a questi e ai divini documenti che li riportano; oppure che negano la possibilità di distinguere i miracoli veri dai falsi, o da fatti meravigliosi ma semplicemente naturali, e quindi anche la possibilità di dimostrare mercè di essi l'origine divina del cristianesimo. Circa il qual canone si potrà avvertire, che nulla vi si dice rispetto alle profezie. La ragione di tale omissione sta non solo in ciò che anche la vera profezia è una specie di miracolo, e può quindi considerarsi compresa essa pure sotto questo nome; ma più ancora in ciò, che il miracolo è il fatto il quale più vivamente e prontamente colpisce i nostri sensi, nè puossi supporre esservi chi ammetta la prova de' miracoli, e voglia poi rigettar quella de' vaticinii. Per questo lo schema primitivamente proposto al Concilio non accennava all'argomento delle profezie neppure nel contesto del Capo; ma fattasi da alcuni Padri nelle adunanze conciliari l'osservazione che un tal silenzio avrebbe potuto dar ansa a sospettare che il Concilio non desse molto peso a questo speciale argomento, ne fu ivi inserita esplicita menzione; ciò che non si vide necessario di fare nel canone per la suesposta ragione, che chi ammette i miracoli non negherà le profezie, e chi vuol negare gli argomenti dimostrativi del cristianesimo, è anzitutto contro i miracoli che scaglia i suoi dardi. La settima proposizione del Sillabo fa riscontro agli errori condannati nei precitati canoni, come trova nella parte finora analizzata di questo Capo le verità da contrapporvisi.

    Il Concilio non enumera le altre prove della divinità del cristianesimo, le quali in buon numero sono presentate e svolte dai teologi e dagli apologisti; però le comprende complessivamente sotto la frase di fatti divini, fra i quali specifica solo i miracoli e le profezie, come quelli che non potendo procedere che dalla divina onnipotenza, sono segni certissimi della divina rivelazione, e veramente accomodati all'intelligenza di tutti, perchè fatti che cadono sotto i sensi di chiunque, e a giudicare della realtà dei quali basta l'integrità dei sensi corporei ed un criterio comune, come basta questo solo a giudicare ch'essi superano ogni potere dell'uomo ed ogni forza della fisica natura. Tutte le altre prove palesano bensì sommamente probabile la divinità del cristianesimo; non ne possono però dare quell'assoluta certezza che deriva invece da quei due capitali argomenti.

    Ma perchè alcuno potrebbe da ciò inferire che da questa sola dimostrazione estrinseca della verità cristiana l'uomo valga ad essere attirato alla virtù della fede, insiste nuovamente il Concilio nel terzo paragrafo sulla massima che senza l'ajuto dello Spirito Santo, indicato colle parole stesse del Concilio Arausicano II, non si può consentire al Vangelo com'è necessario per conseguir la salute, cioè per l'autorità di Dio rivelante; a motivo che per ammettere quest'azione divina della rivelazione, la quale direttamente non vediamo col nostro intelletto, è necessario un atto della volontà, che non può produrlo fuorchè sorretta della grazia divina. Per questo vien pure dichiarato che la fede in sè, ancorchè non operi per la carità, è dono di Dio, e l'atto di essa è un'opera pertinente alla salute. Non dice il Concilio opera meritoria, perchè se non è accoppiata alla carità, non è meritoria de condigno; ma la dice opera appartenente alla salute, perchè anche in chi non è nella carità è meritoria de congruo, e primo passo all'acquisto della giustificazione nel santo battesimo, e base alla conversione del peccatore. Queste dottrine vanno ancora contro l'Hermes, che abbiam veduto costituire un atto naturale necessario della sua fede di cognizione, la quale secondo lui sarebbe pure la vera fede, e riconoscere opera della grazia la sola fede di cuore, cioè quella operante per la carità; ma sono pure una confutazione degli errori giansenistici già segnalati, che non ammettono grazia ove non è carità, e quindi non iscompagnano da questa la vera fede, e la fede che colla carità non sia congiunta qualificano per peccato, come dicono peccati tutti gli atti degli infedeli e dei peccatori. Dichiara altresì il Concilio che alla grazia divina potrebbe l'uomo resistere, contro la solenne massima gianseniana che, nello stato di natura decaduta, alla grazia di Dio non mai si resiste.

    A tutti questi punti speciali di dottrina pone il suggello il canone quinto, il quale nuovamente prende di mira gli ermesiani, e insieme i giansenisti, condannando nella prima parte quanti asseriscono, la fede essere un atto naturale necessariamente prodotto dagli argomenti razionali dimostrativi della verità del cristianesimo (semi-razionalisti, e in ispecie ermesiani); nella seconda quelli che sostengono non essere necessaria la grazia divina che a produrre la fede viva, quella cioè che opera per la carità, ossia la fede già unita alla carità (ermesiani, e insieme giansenisti).

    Però la divina rivelazione, essendo un fatto storico già compiuto, è per sè una lettera morta, che ha bisogno d'un interprete vivente, il quale posseda l'istessa infallibile autorità di Dio rivelante, onde poter meritamente esigere dall'individuo umano l'ossequio d'una vera fede; mentre questa non può essere basata che sulla certezza divina di non potere esser tratto in errore. Un tale interprete esiste infatti per l'ineffabile bontà e sapienza di Dio, ed è il magistero della Chiesa cattolica. Siccome però la divina rivelazione è anche un fatto completo, a cui cioè se nulla si può detrarre, nulla nemmeno si può aggiungere; così questo magistero non fa che proporre, dilucidare, svolgere le verità rivelate; nè mai potrà alterarne il sacro deposito con arbitrarie addizioni. Questo magistero è dunque la regola prossima e formale della fede; laonde di esso in rapporto alla fede tratta la seconda parte di questo Capo, incominciando dal quarto capoverso, in cui, avuto riguardo non soltanto al fatto della divina rivelazione, ma anche all'ufficio ed alla autorità da Cristo conferiti alla sua Chiesa, si dichiara contro tutti gli avversarii di questo esteriore magistero, essere da credersi con fede divina e cattolica tutto quanto si contiene nella parola di Dio, sia scritta, sia tradizionale (per cui ciò si dice di fede divina), e che dalla Chiesa vien proposto da credersi come divinamente rivelato (sicchè si dice inoltre di fede cattolica), tanto per solenne giudizio (cioè nei Concilii generali, o in Concilii particolari solennemente approvati dalla Santa Sede in materie dogmatiche, o mediante giudizii dogmatici della medesima Santa Sede sempre ritenuti irreformabili anche innanzi alla dogmatica definizione dell'infallibilità pontificia), quanto mediante l'ordinario ed universal magistero (insegnamento generale de' vescovi e del clero loro soggetto, in comunione coll'Apostolica Sede); imperocchè quello che si è sempre universalmente insegnato e si insegna nella Chiesa cattolica mediante l'ordinario magistero dell'episcopato unito al romano Pontefice, è indubbiamente dottrina divinamente rivelata. Perciò la stretta necessità di aderire non solo ai dogmi dalla Chiesa dichiarati con solenni definizioni, ma anche a questo suo perpetuo e comune insegnamento, era stata chiaramente proposta dall'augusto Pio IX nella lettera 11 dicembre 1863 all'arcivescovo di Monaco in occasione del congresso dei dotti cattolici che ivi erasi tenuto. L'esistenza e la necessità di un interprete vivente delle divine Scritture fu ammessa perfino da alcuni dotti protestanti, contro gli stessi principii fondamentali della loro setta; sicchè, per esempio il Lessing, illustre letterato e poeta, confessò apertamente che la sacra Scrittura doveva essere intesa secondo la dottrina a viva voce trasmessa nei primi secoli, e secondo questa ne doveva anche essere determinato il canone [5]; ma sventuratamente, per non aderire al vero concetto della Chiesa, questa verità non era da loro intraveduta che in un modo affatto manco ed imperfetto.

    Nel quinto capoverso primieramente si rappresenta con toccante vivezza, a motivo della somma importanza dell'oggetto, la necessità di questa fede per ottenere tanto la giustificazione quanto la vita eterna; quindi si vengono ad accennare gli argomenti che dimostrano la divina istituzione della Chiesa cattolica, perchè questa si possa conoscere da tutti come custode e maestra della dottrina rivelata, e tutti accogliendo e professando i di lei insegnamenti, possano soddisfare al dovere di abbracciare la vera fede e di perseverarvi costantemente. In due classi possono distinguersi questi argomenti, e così li distingue anche il Concilio, primieramente ricordando che tutti i titoli, i quali per divina disposizione rendono evidente la credibilità della fede cristiana, appartengono alla sola Chiesa cattolica, e quindi provano la divina istituzione di lei, e di lei sola; ed enumerando poscia anche i diversi titoli, per cui la Chiesa cattolica, pur considerata solo in sè stessa, si presenta come un'istituzione sopranaturale e divina, e secondo una bella espressione di Bossuet, si giustifica da sè medesima [6]. Anche quest'ultima enumerazione non era nel progetto primitivo della Costituzione, e si deve all'iniziativa presa da qualche Padre nelle trattazioni conciliari; nè si può negare, che, se anche non esistessero le sacre Scritture ad attestarne la divina fondazione, il fatto della perpetua durata della Chiesa cattolica in mezzo a tante guerre, persecuzioni, eresie, opposizioni d'ogni maniera, i suoi martiri, le sue continue conquiste che ne compensano esuberantemente le defezioni, la massima conseguenza, utilità e perfezione della sua dottrina, l'eroica santità di moltissimi dei suoi figli, i miracoli infine che in ogni secolo certissimamente si avverano in mezzo a lei, non siano splendidissime testimonianze, ch'essa veramente, ed essa sola, è la casa di Dio e la porta del cielo [7].

    Per il che ben giustamente nell'ultimo paragrafo o capoverso si addita la Chiesa cattolica come un gran vessillo levato in mezzo alle nazioni, per tutti invitare alla vera fede quelli che ancor non credono, e per tenere i credenti strettamente intorno a sè raccolti nella piena certezza del sicuro possesso della verità. E da ciò prende il Concilio a mostrare anche l'altro funestissimo errore ermesiano, che ciascuno, sia che ancor non appartenga, o sia che già appartenga alla Chiesa cattolica, quando non abbia già eseguito un tal processo, sospendendo l'assenso ad ogni credenza, deve mettersi nello stato di dubbio reale e positivo, per conseguire colla propria razionale investigazione quell'evidenza necessitante che in lui crei l'assenso alla divina rivelazione. Il Concilio dimostra pertanto l'assurdità di tale pretensione non solo dall'evidenza stessa della vera Chiesa, ma anche dall'azione salutare della grazia, la quale tutti quelli che ancor non conoscono la verità, eccita e soccorre onde ne vengano in cognizione, e quelli che già la possedono conferma onde siano in essa perseveranti; per il che costoro con tutta facilità veggono e sentono di essere sulla retta via, nè mai possono provare un bisogno di cangiamento, nè possono essere agitati da verun dubbio ragionevole circa la verità della fede che professano, e quindi si trovano in condizione ben diversa da quelli che, non avendo ancor conosciuto o abbracciato la vera fede, non possono invece trovare il bramato riposo nè della mente nè del cuore, perchè non possono veder soddisfatte le esigenze della ragione in rapporto alla fede ed ai doveri religiosi. Perciò nell'ultimo canone è condannato come eretico chiunque asserisca questa parità di condizione tra i fedeli e quelli che alla cognizione della vera fede non ancora pervennero, nel senso che anche un cattolico possa aver giusto motivo di mettersi nel preindicato dubbio reale e positivo circa la verità della propria fede, e di perdurarvi finchè non abbia compiuta la dimostrazione scientifica della di lei verità. Ognun vede però che con ciò non si nega la lecitudine di approfondire ognor più quella dimostrazione in qualche modo razionale, che già ne teniamo, quando il dubbio volontario non sia per noi il punto di partenza, poichè ogni catechismo insegna che il dubbio volontario circa la fede è un peccato contro di essa; ed è anzi cosa commendevolissima se quello studio si faccia per sempre più confermarci nella fede noi stessi, per renderne ragione a chi ce ne ricerchi, e per attirare ad essa nei modi a noi possibili chi abbia la sventura di non ancora conoscerla o professarla.

    Dietro quanto fu quì esposto ognuno potrà comprendere altresì con quanta ragione Pio IX abbia segnalato nel Sillabo quali riprovevolissimi errori le proposizioni (XV): «È libero a chiunque l'abbracciare e il professare quella religione, che, condotto dal lume della ragione, avrà giudicata vera» –– (XVI) «Gli uomini possono trovare la via dall'eterna salute, e conseguire l'eterna salute nel culto di qualunque religione» –– (XVII) «Per lo meno bisogna sperar bene dell'eterna salute di tutti quelli, che non si trovano nella vera Chiesa a di Cristo» –– (XVIII) «Il protestantismo non è altro che una diversa forma della stessa religione cristiana, nella quale si può piacere a Dio egualmente come nella Chiesa cattolica».

    Dichiarato adunque qual dono preziosissimo di Dio sia la cattolica fede, e come ad un tempo siano inescusabili per le prove evidentissime di sua verità quelli che non l'abbracciano o che l'abbandonano, a tutta ragione ci esorta il santo Concilio Vaticano nella conclusione del Capo, a tenervici costanti colla più ferma adesione, e a rendere vive grazie al Padre delle misericordie, che ci chiamò a questa felice sorte, non che a mirare ognora al Redentore divino, pei cui meriti soltanto l'abbiamo conseguita e la conserviamo, sicchè per la sua grazia perseveriamo in essa irremovibili, e mediante la sua imitazione veniamo anche a non esser trovati degeneri dalla fede medesima che professiamo.

    NOTE:
  • Paolo Angelo Ballerini (Milano, 14 settembre 1814 – Seregno, 17 aprile 1897), dal 1848 direttore de L'Amico Cattolico, nel 1853 fu canonico ordinario del Duomo e nel 1855 pro vicario. Accompagnò a Vienna l'arcivescovo di Milano Bartolomeo dei conti Romilli di Bergamo per il concordato dell'Austria con la S. Sede ma, dal 1859, alla morte dell’Arcivescovo Romilli, si erano creati dei forti attriti per la sua successione tra il governo di Torino e la Santa Sede: a questa situazione contingente della città di Milano si deve l’origine dell'Osservatore Cattolico, il giornale a cui don Davide Albertario, sacerdote e giornalista cattolico intransigente, legherà il suo nome negli anni successivi; peraltro Mons. Ballerini fu amico e protettore dell'Albertario.

    L'arcivescovo Romilli era morto il 7 maggio del 1859 in corrispondenza dello scoppio della guerra (II guerra d’Indipendenza), e su proposta dell'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, secondo il concordato vigente, fra la battaglia di Magenta del 4 giugno (1859) e la pace di Villafranca dell’8 luglio, Pio IX aveva preconizzato alla sede milanese proprio Mons. Ballerini, già vicario generale del defunto arcivescovo, conosciuto come molto devoto alla S. Sede. Il nuovo governo piemontese rifiutò di riconoscere la nomina con la scusa che la proposta imperiale non aveva valore in quanto gli austriaci non erano più padroni di Milano, ma Mons. Ballerini fu consacrato in segreto presso la certosa di Pavia da Mons. Caccia Dominioni, già vicario capitolare della diocesi e ausiliare del Romilli. Ballerini, la cui consacrazione restò segreta, fu oggetto di una violentissima campagna di stampa e fu anche minacciato di morte, si ritirò a Cantù aiutando il parroco nel ministero delle confessioni, dopo aver nominato suo vicario episcopale Mons. Caccia Dominioni che governò la diocesi in sua vece, per lunghi anni obbedendo al Ballerini al quale il governo rifiutava sempre l'exequatur. Contro Caccia Dominioni e Ballerini si scatenerà la stampa cattolico-liberale e conciliatorista filo-governativa.

    La difficile situazione della diocesi di Milano si risolse nel 1867 quando Pio IX venne a compromesso con il governo (che si era già trasferito a Firenze): Mons. Ballerini rinunciò all'arcivescovado di Milano e fu promosso Patriarca latino di Alessandria in Egitto, con dimora a Seregno, e mons. Luigi dei conti Nazari di Calabiana fu traslato dalla sede vescovile di Casale Monferrato a quella di Milano. Precedentemente nel '66 era morto il vicario Caccia Dominioni e il Ballerini aveva dovuto manifestare pubblicamente la sua qualità di vescovo di Milano rendendo nullo (almeno per un po'…) il tentativo del governo di porre sulla cattedra di S. Ambrogio un personaggio dell’area liberale e conciliatorista.

    Mons. Ballerini, difensore dell'infallibilità e del Sillabo, morì a Seregno in fama di santità.

    [Fonti: Con il Papa e per il Papa: vita di don Albertario, in Sodalitium, anno XXIII, n° 1, febbraio 2007 pag. 37 sgg.; Luigi Biraghi - Lettere alle sue figlie spirituali vol. III, Brescia 2005, pag. 161-162 (nota). N.d.R.]

    [1] Conc. Trid. Sess. VI, c. 8.

    [2] De utilitate credendi, cap. XI.

    [3] Lettera enciclica del 9 novembre 1846.

    [4] Come dagli altri increduli, è questa negata anche dal Bonavino, ossia Ausonio Franchi, unicamente perchè cogli altri panteisti e materialisti nega la personalità di Dio. La ragione è più che sufficiente. Così nel Razionalismo del popolo, nella Religione del secolo decimonono, ecc.

    [5] Opere complete di Lessing, tomo VI.

    [6] Discorso sulla Storia universale, Parte II, cap. 31.

    [7] Tutti questi argomenti sono pure egregiamente proposti in un breve paragrafo della già citata Enciclica del S. Padre Pio IX , in data 9 novembre 1846.




    http://progettobarruel.zxq.net/novit...ibilita_I.html


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:30
    [SM=g1740758]  Da: Il Concilio Ecumenico Vaticano
    cenni storici ed esposizione delle due sue Costituzioni dogmatiche
    per opera di Paolo Angelo Ballerini

  • Dott, in T., Patriarca d'Alessandria

    Canonico ordinario della Metropolitana di Milano
    membro del Collegio teologico di Genova

    Milano 1880
    Esposizione della seconda Costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano intorno alla Chiesa [Pastor aeternus]


    Traduzione del decreto sull'infallibilità pontificia (pag. 1064-1068).
    Capo IV. Dell'infallibile magistero del Pontefice romano.

    Che poi nell'istesso apostolico primato, posseduto dal romano Pontefice, come successore di Pietro principe degli Apostoli, si comprenda anche la podestà suprema del magistero, la Santa Sede lo ha ritenuto, la perpetua pratica della Chiesa lo conferma, gli stessi concilii ecumenici, e principalmente quelli, nei quali l'Oriente conveniva coll'Occidente per l'unione della fede e della carità, lo dichiararono. Imperocchè i Padri del quarto Concilio costantinopolitano, inerendo sulle orme dei maggiori, emisero questa solenne professione: La prima salute è il custodire la regola della retta fede. E siccome non può trascurarsi la sentenza del nostro Signor Gesù Cristo, che disse: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa; questo, che fu detto, vien provato dagli effetti reali, perchè nella Sede Apostolica sempre si conservò immacolata la cattolica religione, e fu celebrata la santa dottrina. Pertanto desiderando di non separarci dalla fede e dalla dottrina di questa, speriamo meritare di essere in quella sola comunione che è predicata dalla Sede Apostolica, nella quale trovasi l'intiera e vera solidità della cristiana religione. (Dalla formola di papa S. Ormisda, come da papa Adriano II fu proposta ai Padri del concilio ecumenico VIII, costantinopolitano IV, e dai medesimi sottoscritta.) Coll'approvazione poi del secondo concilio di Lione i Greci professarono: Che la santa Chiesa Romana tiene il sommo e pieno primato e principato sull'intiera Chiesa cattolica, cui essa riconosce veramente ed umilmente di aver ricevuto colla pienezza della podestà dallo stesso Signore nel beato Pietro principe ossia capo degli Apostoli, del quale il romano Pontefice è successore; e siccome a preferenza delle altre è tenuta a difendere la verità della fede, così anche se nascano delle questioni intorno alla fede, devono col suo giudizio definirsi. Finalmente il concilio di Firenze definì: il Pontefice romano essere il vero Vicario di Cristo, e capo di tutta la Chiesa e padre e dottore di tutti i cristiani; e a lui nel beato Pietro essere stata conferita dal nostro Signor Gesù Cristo la piena podestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale.

    Onde soddisfare a un tal pastorale dovere, i nostri Predecessori faticarono ognora indefessamente, perchè la salutare dottrina di Cristo venisse propagata presso tutti i popoli della terra, e con pari cura invigilarono, perchè, dove si fosse ricevuta, si conservasse sincera e pura. Per lo che i vescovi di tutto l'orbe, ora separatamente, ora congregati in sinodi, seguendo la diuturna consuetudine delle Chiese e la forma dell'antica regola, a questa Sede Apostolica riferirono quei pericoli principalmente che emergevano circa le cose della fede, affinchè ivi principalmente fossero risarciti i danni della fede, ove la fede non può sentir detrimento (Cf. S. Bern. Epist. CXC.). I Romani Pontefici poi, come lo consigliava la condizione dei tempi e delle cose, ora coll'adunare concilii ecumenici o coll'esplorare il sentimento della Chiesa dispersa nel mondo, ora per mezzo di sinodi particolari, od usando degli altri sussidii, che la divina provvidenza loro apprestava, definirono doversi tenere quelle dottrine le quali. coll'ajuto di Dio, aveano riconosciute consentanee alle sacre Scritture ed alle apostoliche Tradizioni. Imperocchè non fu già promesso ai successori di Pietro lo Spirito Santo, onde per sua rivelazione manifestassero una dottrina nuova; ma perché colla sua assistenza custodissero santamente ed esponessero fedelmente la rivelazione data mediante gli Apostoli, ossia il deposito della fede. E infatti tutti i venerandi Padri abbracciarono la loro apostolica dottrina, e tutti i santi ortodossi Dottori la venerarono e la seguirono, pienissimamente conoscendo che questa Sede di S. Pietro da ogni errore perdura sempre illibata, secondo la divina promessa del Signore Salvator nostro fatta al principe de' suoi discepoli: Io per te ho pregato, acciò non venga meno la tua fede, e tu un tempo converso conferma i tuoi fratelli (Vang. di S. Luca, XXII, 32.).

    Laonde questa grazia della continua indeficienza della verità e della fede fu divinamente conferita a Pietro e a' suoi successori in questa Cattedra, onde adempissero l'eccelso loro ufficio, per la salute di tutti, affinchè l'intiero gregge di Cristo per essi allontanato dal cibo velenoso dell'errore, venisse nutrito col pascolo della dottrina celeste; affinchè tolta l'occasione di scisma, tutta la Chiesa si conservasse una, e poggiata sul suo fondamento, durasse ferma contro le porte dell'inferno.

    Ma siccome in questa medesima età, nella quale è più che mai necessaria la salutare efficacia dell'Apostolico ufficio, trovansi non pochi che detraggono alla sua autorità; giudichiamo essere assolutamente necessario di affermare solennemente la prerogativa, cui l'unigenito Figlio di Dio si degnò congiungere col supremo ufficio pastorale.

    Pertanto Noi fedelmente inerendo alla tradizione ricevuta fin dai primordii della fede cristiana, a gloria del Dio Salvator nostro, ad esaltazione della cattolica religiose e a salute dei popoli cristiani, ciò approvando il sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando esercitando l'ufficio di Pastore e di Maestro di tutti i cristiani, definisce secondo la sua suprema autorità Apostolica una dottrina intorno alla fede od ai costumi che debba tenersi da tutta la Chiesa, mercè dell'assistenza divina nel beato Pietro a lui promessa, gode di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina circa la fede ed i costumi; e che perciò siffatte definizioni del Romano Pontefice sono irriformabili per sè stesse, e non già per il consenso della Chiesa.

    Se alcuno poi, il che Dio allontani, presumerà di contraddire a questa Nostra definizione; sia anatema.

    Così è.

    Giuseppe, Vescovo di S. Ippolito, Secretario del Concilio Vaticano.
    Dall'articolo IV: Dell'infallibilità del Romano Pontefice
    (pag. 1069-1094)
    § 36.
    I preliminari alla definizione dell'infallibilità.

    Nell'intraprendere di far conoscere, il meglio che possiamo, il senso vero e preciso di quest'ultimo Capo della seconda Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano, prima intorno alla Chiesa, e le ragioni delle cose in esso stabilite non che delle espressioni prescelte, troviamo opportuno di incominciare dal titolo medesimo ad esso Capo imposto, invitando il lettore, a notare come esso non si volle già intitolare in modo più assoluto, De Romani Pontificis infallibilitate, ma con una forma più restrittiva, De Romani Pontificis infallibili magisterio. Così dal titolo stesso del Capo già si faceva emergere chiaramente, sotto qual rapporto soltanto si attribuiva al Pontefice romano la prerogativa dell'infallibilità, benchè non universale e pratica, ma unicamente dottrinale, mentre tutti sanno che esclusivamente questa s'intende quando si parla d'infallibilità papale; poichè la medesima infallibilità dottrinale non nel senso più generico ed assoluto al romano Pontefice si attribuisce, ma solo nell'esercizio del supremo magistero, quando cioè adempie all'ufficio di insegnare e definire per la sua suprema autorità quella dottrina che tutti i membri della Chiesa cristiana debbono abbracciare e tenere. Ci avvisa pertanto già il titolo del decreto conciliare concernente l'infallibilità dottrinale del Pontefice romano, che la definizione di questa prerogativa non si estenderà a qualunque atto con cui il Capo della Chiesa manifesti le proprie opinioni in materia di dottrina; ma si limiterà a quelli soltanto coi quali consti ch'egli ha voluto veramente esercitare l'ufficio suo di maestro della Chiesa universale.

    Quest'ultimo capitolo della Vaticana Costituzione esordisce pertanto dal provare primieramente che alla supremazia, di cui per divina disposizione è investito il romano Pontefice su tutta la Chiesa, appartiene anche l'incarico e l'autorità del supremo magistero sopra di essa. Tale supremazia è quì detta primato apostolico non già nel senso che derivi dagli apostoli anzichè da Cristo, ma perchè, come tosto dopo viene spiegato, è quella che appartiene al romano Pontefice qual successore di Pietro principe degli apostoli. e per cui la Santa Sede medesima vien denominata Sede apostolica. Che poi del primato pontificio debba esser proprio non solo il potere di una suprema universale giurisdizione, ma quello pure di supremo magistero su tutta la Chiesa, emerge evidentemente dal fine del medesimo primato. Imperocchè se questo fu istituito da Cristo principalmente perchè la sua Chiesa si conservasse perpetuamente in compatta unità, non poteva andar da esso disgiunta l'autorità di invigilare sull'insegnamento che in ogni parte della Chiesa venisse impartito ai fedeli dai pastori a lui subordinati; di sciogliere definitivamente i dubbii che potessero elevarsi intorno a qualche punto dottrinale; di decidere in ultima istanza le controversie che potessero insorgere circa le verità di fede, e di condannare e separare dalla Chiesa quelli che durassero pertinaci nelle dottrine riprovate. E in vero la condizione più essenziale dell'unità, vale a dire dell'unione spirituale fra tutti i membri del corpo mistico di Gesù Cristo, è l'uniformità nelle credenze: ora se il capo visibile di questo corpo, cioé il Vicario di Cristo medesimo, non avesse la divisata autorità di supremo magistero sopra di esso, è manifesto che l'unità di dottrina non potrebbe neppure per breve tempo esservi conservata: dunque la ragione stessa ci convince che all'eredità del primato, passata dall'apostolo Pietro nei romani Pontefici suoi successori, dev'essere inerente anche la podestà del magistero supremo su tutta la Chiesa.

    Ma questa verità che già solidamente si deduce dal fine per cui Cristo diede alla sua Chiesa un capo visibile, e al quale partecipò la sua medesima autorità divina, la Costituzione conciliare si limita a dimostrarla coi soli argomenti di fatto, es sendo questi veramente palmari e superiori a qualunque cavillazione. Perciò essa ricorda innanzi tutto come la medesima Santa Sede sempre ritenne di avere una tale autorità, e sempre anche realmente l'esercitò: la quale è già una prova ineluttabile di verità, perché la sapienza di Dio non poteva permettere che l'autorità suprema da lui stabilita per reggere perennemente la sua Chiesa secondo la costituzione datale da lui stesso, si usurpasse fino dai primi secoli delle attribuzioni che essenzialmente ne alterassero la natura. Ricorda in secondo luogo come la realtà di questo diritto, o a meglio dire, di questo dovere, anche dalla pratica perpetua della Chiesa è confermata (perpetuus Ecclesiae usus comprobat), perchè in fatti fu consuetudine perpetua e costantissima nella Chiesa di ricorrere al Vicario di Cristo per averne il suo giudizio nelle controversie che nascevano intorno alle dottrine che dovessero considerarsi come divinamente rivelate, e di considerare tale giudizio quale definitivo. I fatti precedentemente accennati già lo dimostrano ad evidenza, ed altri copiosissimi se ne potrebbero aggiungere. Ma ci limiteremo quì a far menzione dell'eloquentissima testimonianza che ne resero due vescovi delle estreme parti dell'impero d'Oriente nella gran controversia riguardante Nestorio. Questi due prelati. Euterio di Tiana ed Elladio di Tarso, non che varii altri vescovi del partito di Giovanni patriarca d'Antiochia, che con violenze affatto ingiustificabili avea sostenuto la persona di Nestorio, sebbene non ne professasse gli errori, in seguito al pieno trionfo di S. Cirillo alessandrino ed alla nomina del nuovo patriarca costantinopolitano in sostituzione a Nestorio deposto, scrissero al pontefice romano S. Sisto III, onde guadagnarlo alla causa da loro malauguratamente sposata. Nella loro lettera, la sola che pervenne fino a noi fra quelle a lui mandate in tale occasione, i due vescovi sunnominati dicevano al Pontefice: «Come Mosè vinse Giannes e Mambre, e Pietro vinse Simon mago, cosi noi speriamo che tu, nuovo Mosè, conquiderai l'eretico egiziano (S. Cirillo, di cui ingiustamente detestavano i dodici anatematismi da lui formolati a condanna dell'eresia di Nestorio), e salverai l'universo dall'error suo. In mezzo alle tempeste e ai pirati cui siamo in balìa, dobbiamo invocare colui che tiene, da parte di Dio, il timone, ed informarlo del pericolo; ed alla tua sapienza spetta il porvi attenzione e il portarvi rimedio con tutta la costanza che da Dio ti è concessa. L'apostolica tua Sede bastò in ogni tempo a convincere la menzogna, ad abbattere l'empietà, a correggere ciò che doveva esser corretto, ed a salvare il mondo, nè solo ai tempi del beato e santo vescovo Damaso, ma anche sotto più altri dei suoi gloriosi ed ammirandi predecessori..... Noi ci prostriamo dunque ai tuoi piedi per pregarti di stenderci una soccorrevole mano, d'impedire il naufragio del mondo, ed ordinare di tutto questo un'inquisizione e di porvi rimedio in nome del cielo.....» [1]. Sebbene non si conosca la risposta del santo Pontefice, pare però che anche questi vescovi e gli altri rimostranti siano stati da lui indotti a riconoscere i proprii errori, non trovandosi menzione di alcuna loro ulteriore resistenza, anzi constando positivamente che Elladio di Tarso si riunì di poi alla Chiesa. Però dalle espressioni riferite, sebbene questa lettera fosse scritta dietro false supposizioni, trovìamo luminosamente attestato come da ogni parte dell'antica Chiesa anche nelle cause dottrinali si ricorresse in suprema istanza al Pontefice romano, e da lui si attendessero le perentorie decisioni valevoli a levare ogni dubbio, a sedare ogni contesa.

    Il terzo argomento addotto nella Costituzione a provare che l'autorità di supremo magistero è inerente al primato del Pontefice romano, sono le testimonianze degli stessi concilii ecumenici. Queste testimonianze possono essere in certo modo definizioni indirette, se tali concilii riconoscono praticamente come giusta e legittima qualche massima o qualche azione, e in questo senso i concilii ecumenici, per esempio, di Efeso e di Calcedonia riconobbero il diritto di supremo magistero nei romani Pontefici allorchè il primo dichiarò di trovarsi astretto a condannare l'eresia di Nestorio dal giudizio del pontefice Celestino, ed il secondo riconobbe come norma del proprio giudizio la lettera dogmatica del papa S. Leone al patriarca Flaviano. Anche queste testimonianze pratiche sono prove validissime della verità delle dottrine che confermano, perchè la Chiesa docente, moralmente riunita in tali concilii, non può neppure praticamente sanzionare un falso principio. Ma quando poi una massima dottrinale è da essi direttamente stabilita o professata, allora questa è definitivamente imposta alla credenza di tutti i fedeli, sicchè il non assentirvi è un apostatare dalla fede divinamente rivelata. La Costituzione Vaticana, prescindendo dalle preaccennate definizioni indirette, fece appello a quelle soltanto con cui i concilii ecumenici direttamente riconobbero o sancirono come essenziale al primato del Pontefice romano l'autorità del supremo magistero. Anzi siccome innanzi a tutti i dissidenti, tanto scismatici ed eretici orientali, quanto anglicani e protestanti d'ogni specie, la testimonianza stessa della Chiesa d'Oriente dovrebbe avere un gravissimo peso, prescelse quelle sole dichiarazioni, in cui l'Oriente pienamente convenne coll'Occidente. Si produssero quindi le sole testimonianze di quei concilii generali in cui la Chiesa occidentale, ossia latina, trovossi unita coll'orientale in comunione di fede e di carità.

    La prima citata è quella che venne offerta dall'ottavo concilio ecumenico, quarto costantinopolitano, tenuto dall'ottobre dell'anno 869 al febbrajo 870 per l'estinzione dello scisma di Fozio, in cui il pontefice Adriano II fece da' suoi legati proporre alla sottoscrizione di tutti i vescovi orientali che vi erano riuniti la già riferita professione di fede nella supremazia della Sede romana, dal pontefice S. Ormisda imposta ai prelati di Oriente onde sradicare lo scisma creato dal patriarca costantinopolitano Acacio. Questa formola, la quale, come abbiamo già veduto, stabilisce qual regola della retta fede il non separarsi dalla fede e dalla dottrina della Sede Apostolica, a motivo del detto di Cristo Tu es Petrus, ecc., e perchè l'effetto corrispose alla promessa di lui, essendosi sempre nella Sede apostolica conservata immacolata la religione, e celebrata la santa dottrina; questa formola in cui viene esplicitamente professato che nella Sede apostolica sta l'intiera e vera solidità della cristiana religione, fu ricevuta e sottoscritta anche da tutti i prelati di quel concilio universale, e quindi direttamente riconosciuto non esser lecito, senza violare la regola della retta fede, dipartirsi dagli insegnamenti del romano pontificato.

    La seconda è l'altra professione di fede, che parimenti già abbiamo veduto essersi presentata al secondo concilio ecumenico di Lione (anno 1274) dagli ambasciatori del greco imperatore Michele Paleologo, da lui medesimo sottoscritta, la quale sette anni innanzi gli era stata a tal uopo trasmessa dal pontefice Clemente IV. Questa professione di fede aveva già avuto il consentimento di tutti i prelati che costituivano il patriarcato costantinopolitano, e n'era prova altra lettera indirizzata al papa Gregorio X che presiedeva personalmente al concilio, e letta pure in questo, la quale era sottosciritta da ventisei metropoliti, col proprio concilio, cioè a nome anche dei vescovi da ciascuno dipendenti, e da nove altri arcivescovi, e colla quale essi pure facevano piena adesione al romano primato. Ora nella predetta professione di fede primieramente si riconosce alla Chiesa particolare di Roma il primato supremo ed universale su tutta quanta la Chiesa cattolica (Sanctam romanam Ecclesiam summum et plenum primatum et principatum super universam Ecclesiam catholicam obtinere); in secondo luogo si confessa che questo primato non è di diritto umano, ma divino, non essendo una istituzione umana, ma una disposizione di Cristo medesimo nella persona dell'apostolo Pietro, di cui il romano Pontefice è il legittimo snccessore; sicché la Chiesa di Roma nella persona di Pietro insieme al primato ha ricevuto anche la pienezza del potere (quem se ab ipso Domino in beato Petro apostolorum principe sive vertice, cujus romanus Pontifex est successor, cum potestatis plenitudine recepisse veraciter et humiliter recognoscit); da ultimo si conviene che siccome a cagione del primato essa Chiesa romana è tenuta più che ogni altra a difendere la vera fede, così ove insorgano questioni intorno a questa, mediante il suo giudizio si devono definire (et sicut pro caeteris tenetur fidei veritatem defendere, sic et si quae de fide subortae fuerint quaestiones, suo debent judicio definiri). Anche questa professione fa dunque scaturire dalla natura stessa del pontificio primato l'ufficio di suprema tutela della dottrina, quindi l'incarico del supremo magistero nell'insegnarla, e quello di giudicare definitivamente nelle controversie che possono insorgere intorno ad essa. Come poi già più volte abbiamo avuto occasione di rimarcare, ciò che si dice della Chiesa romana riguarda sempre il Pontefice stesso, e ciò anche dal contesto medesimo di questo luogo è manifesto, nel quale si dice la Chiesa romana aver ricevuto il primato da Cristo nel beato Pietro, ed il romano Pontefice esser di Pietro il successore; sicchè il primato e i suoi attributi non propriamente nella Chiesa stessa romana, ma nel Pontefice successore di Pietro vengono ad essere professati. Non v'ha dunque alcun dubbio che la Chiesa greca e l'intiero concilio di Lione riconobbero nel Pontefice romano la suprema autorità di magistero, e di decidere con giudizio definitivo ogni controversia dottrinale. Che se tanto esplicitamente troviamo insistersi anche in questa, come in altre professioni di fede, sul dichiarare la supremazia della Chiesa romana, anzichè esclusivamente del romano Pontefice, se ne ha la ragione nell'importanza di tener fermo il principio che, quantunque Roma più non avesse l'impero del mondo, il primato sulla Chiesa universale, a motivo dell'avere l'apostolo Pietro posto in Roma la stabile sua sede, rimaneva nella stessa Chiesa romana inamovibilmente incardinato, indipendentemente dalle condizioni politiche di quella città; e di mettere anche sempre in rilievo la preminenza di quella Sede sulle altre sedi patriarcali, e principalmente su quella di Costantinopoli, che per essere la sede della città imperiale avea preteso di pareggiare la romana. Ma in allora non si credeva già che l'esaltare le prerogative della Sede potesse tornare a detrimento di quelle del Sedente; anzi si pensava che le une e le altre si identificassero, e che non altri che il Pastore fosse investito delle preminenze della sua Chiesa.

    Da ultimo vien riferita anche la testimonianza del concilio generale di Firenze (anno 1439), ove pure, accordatasi la Chiesa greca colla latina, veniva solennemente definito che il Pontefice romano è il vero Vicario di Cristo, e pertanto rispettivamente alla Chiesa da Cristo fondata, investito della stessa di lui autorità; è il Capo di tutta la Chiesa, perchè così stabilito da Cristo medesimo, essendo il successore del Principe degli apostoli, ed è il Pastore e Dottore, ossia maestro di tutti i cristiani, perché come Vicario di Cristo presso la sua Chiesa, e quindi come Capo di tutta la Chiesa stessa, non può non essere investito di queste prerogative di Padre di tutti i cristiani, che sono la famiglia dei figli adottivi di Dio, e di loro Maestro, perchè a proseguire come suo Vicario la missione di Cristo ei deve continuare nella predicazione della sua dottrina; e ad essere veramente il Capo della Chiesa di Cristo ei deve invigilare colla più scrupolosa attenzione anche al mantenimento inalterato della dottrina lasciataci da Cristo; sicchè a lui veramente nella persona del beato Pietro fu conferita dal nostro Signor Gesù Cristo la piena podestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale. Il pascere è pertanto il primo ufficio di questa piena podestà, ufficio relativo all'intelletto, il cui pascolo è la verità, e in rapporto alla religione è la dottrina della legge naturale e della divina rivelazione, che deve condurre l'uomo all'eterna salute. Dunque è evidente che anche il concilio ecumenico di Firenze definì come inerente alla supremazia universale del romano Pontefice l'ufficio del supremo magistero su tutta quanta la Chiesa.

    Stabilito questo principio colle prove più ineccepibili, si passa ad esporre in tratti generici il pratico esercizio del medesimo pontificio magistero. E primieramente si accenna come i romani Pontefici sempre consacrarono le loro più assidue cure a propagare in ogni parte del mondo la predicazione della salutare dottrina di Cristo, e a conservarne inalterata la purità in tutti quei paesi ove essa era stata diffusa (Huic pastorali muneri..... pura conservaretur). I fasti del romano pontificato dimostrano ad evidenza l'una e l'altra cosa; e se quì volessimo arrecarne le prove speciali, dovremmo ripetere la storia di tutti i secoli della Chiesa. Ci basti pertanto di proporre una sola generale considerazione. Gesù Cristo, bontà e sapienza infinita, che venne a fondar col suo sangue la propria Chiesa a salute del mondo, ne pose per base indistruttibile il romano pontificato, e al romano pontificato impose il perenne dovere di pascere i proprii agnelli, che gli costarono il prezzo infinito del suo sangue e della sua morte. S'egli avesse preveduto che i successori di Pietro non avrebbero avuto cura di emulare il grande apostolo nella sollecitudine di dilatare il regno di Dio, e di conservare il deposito dell'evangelica dottrina, avrebbe egli ben provveduto alla solidità del suo edificio, ed al conseguimento del fine voluto dalla sua carità? Certamente anche i romani Pontefici non vengono svestiti di tutte le debolezze dell'umana natura nell'essere assunti all'eccelsa loro dignità: quindi anche nella loro serie potrà notarsi il più o il meno di zelo e di energia nell'adempiere a questi sacri doveri, la maggiore o minor preferenza accordata ad essi in confronto ad altri di un ordine inferiore. Ma è innegabile che, rimanendo sempre inalterato il rispetto da Dio voluto per l'umana libertà, egli non poteva permettere che, mediante le arcane vie della sua provvidenza il papato non riuscisse per la sua Chiesa e per l'umanità il più benefico stromento delle sue misericordie, quel centro solidissimo di unità, quel fonte inesausto delle celesti benedizioni che la storia realmente in esso ci addita.

    In secondo luogo si tocca anche della universale e costante consuetudine di deferire alla Santa Sede le cause relative alla dottrina (Quocirca totius orbis Antistites..... sentire defectum). E per verità ogni pagina della storia ecclesiastica antica e recente ci insegna come i Pastori delle Chiese particolari, ancorchè o individualmente o riuniti in concilii incominciassero ad esercitare da sè l'ufficio anche loro proprio di giudici della fede all'insorgere di nuovi errori o di contestazioni ad essa relative, pure non mai mancarono di ricorrere al Vicario di Cristo per ottenerne quelle decisioni che sole essi sapevano avere il suggello di una suprema e indeclinabile autorità, perchè, soggiunge la Costituzione colle parole di S. Bernardo anche da noi già riferite, ivi principalmente fossero risarciti i danni della fede, ove la fede non può sentir detrimento. Queste parole alludono dunque all'infallibilità magisteriale del Capo della Chiesa, cioè del Pontefice romano, perchè infatti nè l'intiero episcopato del mondo cattolico poteva con sicurezza invocare il suo oracolo come perentorio in tali questioni, nè i Papi stessi avrebbero potuto o voluto arrogarsi di pronunciare in proposito i loro giudizii come assoluti e irriformabili, se in tutti non fosse stata profondamente radicata la persuasione, che Iddio assisteva talmente il suo Vicario in terra da impedire ch'ei divenisse giammai maestro d'errore alla sua Chiesa. E infatti Gesù Cristo, bontà e sapienza infinita, come avrebbe potuto vincolare la Chiesa tutta a dipendere dagli insegnamenti del di lei Capo, e ad accettarli qual legge suprema e indeclinabile, senza darle l'assicurazione che questi sarebbero stati mai sempre conformi alle verità naturali e rivelate; in una parola, che insieme all'autorità anche l'infallibilità del magistero era stata da lui conferita in perpetuo al suo Vicario in terra? La sola certezza che il divin Redentore ha commesso in Pietro a tutti i suoi successori l'incarico di pascere in perpetuo l'intiero gregge cristiano come maestri supremi della vera dottrina, basta dunque ad assicurarci che dev'essere altresì infallibile un tal magistero.

    Ma in qual modo divisò Iddio di provvedere onde gli insegnamenti ed i giudizii del Capo visibile della sua Chiesa relativi alle dottrine della legge naturale e della sopranaturale rivelazione riuscissero sempre scevri d'errore, cioè sempre conformi alla stessa verità oggettiva? A questa domanda che nasce spontanea dalle cose precedentemente stabilite, passa perciò a rispondere la Vaticana Costituzione (Romani autem Pontifices..... et fideliter exponerent). La divina rivelazione incominciata colle manifestazioni di Dio ai primi nostri progenitori fu compiuta in Cristo e ne' suoi apostoli. e l'intiero tesoro ne rimase deposto nel seno della Chiesa, da trasmettersi alle future generazioni mediante la sua tradizionale orale e i sussidii dei Libri santi, e di tutti gli altri monumenti, in cui sia per mezzo della scrittura, sia per mezzo delle arti la dottrina della Chiesa si sarebbe successivamente come solidificata. Anche i sacri riti, nelle loro forme più essenziali derivati dagli apostoli, dovevano mettere continuamente sotto gli occhi dei fedeli non poche delle verità rivelate. Gli errori che col nascere stesso della Chiesa incominciarono a pullulare, ne resero necessarie le confutazioni da parte dei maestri della vera dottrina, non che le riunioni conciliari che diedero origine ai numerosissimi volumi dei loro Atti, nei quali pure la dottrina della Chiesa venne di mano proposta e ventilata. Prescinderanno i romani Pontefici da tutti questi mezzi onde conoscere i veri insegnamenti divini, confidando unicamente in una sopranaturale illustrazione che loro faccia conoscere in ogni evenienza le dottrine che debbono definire come vere, o condannare come false? Non già, ne insegna la Vaticana Costituzione, ma essi sempre agirono come deve agire l'uomo che in tutti gli atti serii della sua vita deve usare di quelle facoltà naturali di cui Dio l'ha fornito, e di tutti quei mezzi esteriori che possono ajutarlo a raggiungere il fine voluto; e perciò anche i romani Pontefici per definire le insorte questioni dottrinali sempre ebbero ricorso a tutti quei presidii, mercè dei quali l'umana diligenza poteva far loro conoscere quali dottrine fossero conformi o contrarie alla legge naturale e rivelata, e solo dopo siffatti diligenti esami essi vennero a pronunciare le loro solenni definizioni. Quindi secondo che loro sembrò più conveniente in relazione alle condizioni dei tempi ed alle altre circostanze da contemplarsi, ora convocarono essi medesimi dei concilii generali per conoscere con maggior sicurezza la tradizione della Chiesa universale; ora ne interrogarono individualmente i pastori delle Chiese particolari; ora adottarono di prendere i loro avvisi mediante concilii provinciali od anche più estesi, o di giovarsi dell'opera già compiuta da quei concilii, che di moto proprio già avevano discusse le cause della fede. Senza essere vincolati ad usare di un mezzo piuttosto che di un altro per ottenere la piena certezza delle dottrine che stavano per definire, è indubitabile ch'essi non mai trascurarono quei modi, i quali potevano condurli alla sicura cognizione della verità. La divina Provvidenza, la quale avea disposto che mediante la loro parola tutta la Chiesa fosse sempre ammaestrata nella vera dottrina, e fossero condannati tutti gli errori, non poteva permettere ch'eglino s'ingannassero nella scelta dei mezzi onde ottenere i lumi necessarii al retto adempimento del loro ufficio. Perciò dal momento che un Pontefice ha emanato una definizione concernente dottrine di fede o di morale, dobbiamo conchiudere ch'egli ebbe ricorso anche a tutti quei modi, pei quali poteva essere pienamente illuminato onde stabilire e proporre ciò che fosse esattamente conforme alla verità naturale e rivelata.

    Dal fin qui detto emerge pertanto che, siccome viene insegnato relativamente alla Chiesa, che quando essa definisce alcuna verità come di fede, non riceve da Dio una nuova rivelazione, ma propone con autorità decretoria ciò che già essa possedeva nel deposito della divina rivelazione; così anche il romano Pontefice, quando viene a stabilire decretoriamente qualche massima dottrinale, non propone una verità che allora primieramente abbia appresa per sopranaturale comunicazione, ma autenticamente dichiara ciò che esplicitamente o implicitamente già esisteva nella dottrina primitiva della Chiesa, e che fino dai primi secoli sempre venne più o meno chiaramente trasmesso ed iusegnato. Ciò è quanto prosegue ad esporre la Vaticana Costituzione colle parole Neque enim Petri successoribus sino al termine del capoverso. Essa insegna adunque che l'assistenza dello Spirito Santo fu promessa non solo alla Chiesa in generale, ma anche ai successori di Pietro nelsuo primato in particolare, come infatti sempre riconobbe e professò la Chiesa cattolica; ma che questa assistenza non importa già che i romani Pontefici ricevano dal divin Paracleto alcuna nuova rivelazione onde manifestino ai fedeli delle dottrine dapprima ignorate; bensì la sola retta direzione del loro spirito nel desumere da tutti i documenti della già compiuta rivelazione divina, od anche dai principii della legge naturale, le speciali verità dogmatiche o morali da definirsi autorevolmente, sicchè queste definizioni abbiano da accettarsi dalla Chiesa come immuni da ogni errore, ma rappresentanti la dottrina già propria della Chiesa stessa, e non già una dottrina nuovamente venuta dal cielo.

    Perciò l'infallibilità del romano Pontefice, non altrimenti che l'infallibilità della Chiesa, non deve confondersi nè coll'opera stessa della divina rivelazione, nè colla divina ispirazione onde furono diretti gli autori dei Libri santi. Mediante la divina rivelazione Dio manifestò direttamente agli uomini i suoi decreti, e comandi, ed esortazioni, e minaccie, e verità riguardanti la stessa natura divina e le relazioni degli uomini con lui, cose tutte per la maggior parte per sè occulte all'umana intelligenza: mediante la sua ispirazione Iddio eccitò e diresse alcuni individui onde scrivessero diversi documenti in intimo rapporto colla sua medesima rivelazione divina, sia perchè contengono una parte notabile delle dottrine stesse divinamente rivelate; sia perchè tessono la storia della promulgazione successiva delle verità e delle comunicazioni, che Dio volle far conoscere agli uomini cosi nell'antico come nel nuovo Testamento; sia perchè nelle profezie fatte dagli individui che si presentavano come gli inviati di Dio, sanzionate dal loro adempimento, e nei miracoli dai medesimi operati, offrono le prove più irrefragabili della verità della stessa divina rivelazione: mediante la sola infallibilità il corpo insegnante della Chiesa cattolica, cioè l'episcopato, o disperso o riunito in concilio ecumenico, ma sempre in perfetta dipendenza dal romano Pontefice, oppure il Pontefice solo qual capo supremo della Chiesa definisce senza alcun pericolo di errore le verità già contenute o esplicitamente o implicitamente nel deposito della divina rivelazione a lei affidato, od anche verità d'ordine naturale le quali costituiscano come i presupposti della stessa divina rivelazione, e che perciò diconsi preliminari alla fede, praeambulae ad fidem, oppure che siano leggi morali derivanti dai principii della legge naturale, i quali però anche nella divina rivelazione troviamo confermati.

    L'infallibilità di questi decreti, o decisioni, o ammaestramenti dottrinali dei romani Pontefici fu infatti costantemente professata dalla Chiesa cattolica, come già ne abbiamo veduto almeno in parte le principali testimonianze, e perciò soggiunge la Vaticana Costituzione: Quorum quidem apostolicam doctrinam omnes venerabiles Patres amplexi et sancti Doctores orthodoxi venerati atque secuti sunt (il fatto), plenissime scientes, hanc Sancti Petri sedem ab omni semper errore illibatam permanere (la ragione del fatto): le quali ultime parole colpiscono direttamente l'ipotesi immaginata da Bossuet, che la verità possa dirsi indefettibile nella Sede apostolica ancorchè qualche Pontefice, parlando pure come tale, cada in errore; poichè dicendosi che tutti i Dottori santi ed ortodossi pienissimamente sapevano che la Sede di Pietro è sempre illibata da ogni errore, si esclude assolutamente la supposizione che in alcun tempo qualche Pontefice abbia come tale insegnato o possa insegnare l'errore, mentre in tal caso la stessa Sede di Pietro non sarebbe più illibata, bensì macchiata. E di questa perpetua illibatezza nella dottrina si accennano altresì la causa ed il motivo; la causa nella dichiarazione di Cristo, di aver pregato perchè la fede di Pietro non avesse a mancare giammai: Secundum Domini Salvatoris nostri divinam pollicitationem, ecc.; il motivo nell'ufficio dato a Pietro, e in lui a tutti i suoi successori, di confermare nella fede i proprii fratelli: Et tu aliquando conversus, ecc.

    Laonde viene positivamente asserita al Pontefice romano questa immancabile prerogativa dell'infallibilità nell'insegnamento dottrinale, per un dono speciale di Dio: Hujus igitur veritatis..... divinitus collatum est; ma poi si specificano anche le ragioni particolari per le quali Iddio volle insignito di un tanto dono il Capo della Chiesa, le quali sono già tutte contenute nelle parole Confirma fratres . Esse vengono ridotte alle quattro seguenti: Per poter esercitare il proprio sublime ufficio a salute di tutti (ut excelso suo munere in omnium salutem fungerentur), poichè la prima condizione per raggiungere l'eterna salvezza è il possedere, e professare la retta dottrina. che perciò appunto si chiama la dottrina della salute: per poter preservare l'intiero gregge cristiano dagli errori con cui il nemico dell'uman genere cerca continuamente per mezzo de' suoi satelliti di avvelenare e corrompere i pascoli salutari della verità (ut universus Christi grex per eos ab erroris venenosa esca aversus, coelestis doctrinae pabulo nutriretur): per potere mediante la loro continua autorità suprema e ineccepibile conservare costantemente l'unità della Chiesa, la quale non può sussistere senza l'unità della dottrina (ut sublata schismatis occasione Ecclesia tota una conservaretur); e perchè la Chiesa, così basata sopra di un solidissimo fondamento, potesse perpetuamente durare incrollabile contro tutti gli assalti delle potenze infernali, conservando intatto fino alla consumazione dei secoli il deposito affidatole della verità divina (atque suo fundamento innixa, firma adversus inferi portas consisteret).
    § 37. I termini della definizione circa l'infallibilità pontificia.

    Questa infallibile autorità del papale magistero, con tanta certezza professata da quanti vollero essere sinceramente cattolici fino dai primi secoli della Chiesa, ma offesa e rinnegata nell'età più recente dal gallicanismo, dal giansenismo e dal cesarismo, nella nostra epoca medesima, in cui, prosegue la Costituzione, è della massima necessità la salutare efficacia della papale autorità (hac ipsa aetate, qua salutifera apostolici muneris efficacia vel maxime requiritur), non pochi ritrova che l'oppugnano (non pauci inveniantur, qui illius auctoritati obtrectant). E infatti che al tempo nostro sia più che mai necessario che il pontificio magistero possa esercitare con pieno successo la propria azione, scorgesi ad evidenza dal considerare gli spaventosi progressi fatti in ogni parte dall'incredulità, ultimo stadio della negazione protestante, e dal razionalismo che s'infiltra nelle menti degli stessi cattolici, ed altera i genuini concetti delle dottrine divinamente rivelate; sicchè fa d'uopo che colla più indefessa sollecitudine il supremo Maestro e Pastore de' popoli assiduamente gli invigili, corregga, istruisca, ed anche illumini, diriga e sostenga i Pastori a lui subordinati, per preservare i fedeli dal contagio dell'empietà, e per allontanarli da tutti quegli errori che sotto apparenza di progresso nello svolgimento delle stesse dottrine cristiane, e di conciliazione delle verità sopranaturali colle esigenze della ragione, tendono a risolvere in solo naturalismo gli imperscrutabili misteri della fede, e a convertire la santità del cristianesimo in puro umanitarismo. Ma se fra gli stessi popoli cattolici si scuote e si crolla la credenza nell'infallibilità del magistero papale, ognun vede quanto detrimento debba subirne l'efficacia della sua azione, e come anzi questa possa esserne pressochè totalmente paralizzata. Quindi ben a ragione si deplora dalla Costituzione Vaticana che, mentre era di tanta necessità il consolidare sempre più tra i fedeli la riverenza e sommessione all'Apostolico Magistero, la sua infallibilità, che ne costituisce la base, in opposizione all'universale tradizione della Chiesa venisse in questi ultimi tempi da molti impugnata e negata nel seno della Chiesa stessa; e ben a ragione, per provvedere nel modo più efficace all'incolumità ed alla tutela della fede di Cristo ora e in ogni tempo avvenire, il Concilio Vaticano divisò di sanzionare con solenne definizione anche questa prerogativa del romano pontificato, come nella Costituzione stessa viene ulteriormente dichiarato (necessarium omnino esse censemus...... solemniter asserere).

    Quindi il Pontefice, in cui nome la Costituzione è emanata, dietro il voto pressoché unanime dei Padri del Concilio (sacro approbante Concilio), ricordando come in ciò non faccia che seguire fedelmente la tradizione della Chiesa derivata fino dall'origine del cristianesimo (traditioni a fidei christianae exordio perceptae fideliter inhaerendo), e solo per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l'esaltazione della cattolica religione, ed a salute dei popoli cristiani (ad Dei Salvatoris...... populorum salutem), certamente i soli motivi che poterono indurre l'animo nobilissimo e profondamente umile di Pio IX ad aderire su questo punto alle vive istanze della grandissima maggioranza dell'episcopato riunito, insegnava e definiva essere dogma divinamente rivelato (docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus), che il romano Pontefice allorchè parla ex cathedra, e, come spiegava egli stesso questa locuzione della scuola, allorchè, esercitando l'ufficio di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, per la sua suprema autorità apostolica definisce qualche dottrina intorno alla fede ed ai costumi, quale da tenersi da tutta la Chiesa, a motivo dell'assistenza divina a lui promessa nel beato apostolo Pietro, fruisce di quella stessa infallibilità, di cui il divin Redentore volle dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina concernente la fede od i costumi; e che perciò tali definizioni da lui emanate sono irriformabili per sè stesse, e non già pel consenso della Chiesa (Romanum Pontificem cum ex cathedra...... irreformabiles esse).

    Ciascun concetto di questa definizione merita qualche particolare illustrazione. Primieramente dunque vi si asserisce che la dottrina dell'infallibilità magisteriale del romano Pontefice, la quale viensi a definire, è un dogma divinamente rivelato, e per tal modo questa dottrina, che prima era soltanto un insegnamento comune della Chiesa, colla definizione venne ad essere costituita un formale articolo di fede, sicchè dal momento della sua promulgazione incorre nell'eresia chiunque con cognizione e pertinacia vi nega il suo intimo assenso. Che poi essa sia una verità divinamente rivelata, lo dimostrano anche agli increduli le prove precedentemente addotte, e qui basterà che ripetiamo coll'illustre vescovo di Beverley: «Che la dottrina dell'infallibilità del Papa non è dottrina nuova, nè può essere nuova, perchè scaturisce, per forza di logica invincibile, dalle parole di nostro Signore, dalla missione affidata a S. Pietro, dalla natura dell'ufficio dato al medesimo apostolo, e dalla costituzione della Chiesa» [2].

    Ponderiamo ora la definizione data della stessa papale infallibilità. La Vaticana Costituzione stabilisce, che il romano Pontefice ha la prerogativa di quella medesima infallibilità, che il divin Salvatore ha assicurata alla sua Chiesa allorchè definisce dottrine riguardanti la fede o la morale, e ciò quando egli parla, come si dice, ex cathedra, vale a dire quando come Pastore e Maestro di tutti i cristiani, colla sua suprema autorità apostolica definisce qualche dottrina intorno alla fede o alla morale, la quale sia da tenersi da tutta la Chiesa. È dunque la stessa infallibilità propria della Chiesa, la quale appartiene anche al sommo Pontefice; e come il concetto d'infallibilità non può ammettere gradazioni, così è evidente che non può esistere alcuna differenza fra tale prerogativa considerata come esistente nel Pontefice, e quella che è propria della Chiesa. Una differenza v'è solo in ciò che il Papa può dirsi infallibile, anche fatta astrazione dalla Chiesa; ma la Chiesa non può dirsi nè tenersi infallibile, se la si disgiunge dal Papa.

    Questa infallibilità però, cosi nella Chiesa come nel Papa, non è relativa a qualsiasi genere, di insegnamenti che loro talentasse di dare; ma è limitata soltanto a ciò che importa al conseguimento del fine per cui la Chiesa stessa fu istituita da Cristo, quindi all'insegnamento di ciò che si deve credere e di ciò che si deve operare per conseguire l'eterna salute; e per questo è detto che riguarda la dottrina intorno alla fede e intorno ai costumi; nelle quali espressioni s'intende poi compreso anche tutto ciò che ha una vera relazione colla dottrina da credersi e colla morale, in guisa che gli errori a ciò relativi sarebbero funesti anche alla vera dottrina circa la fede ed i costumi. Laonde a tutto quello a cui si estende l'infallibilità della Chiesa, si estende anche l'infallibilità del Vicario di Cristo; e del resto è pur certo che Papa e Chiesa non saranno mai per imporre ai fedeli alcuna credenza che non entri nella sfera della propria competenza. Basta pertanto che una dottrina si vegga definita dal Papa ex cathedra, o dalla Chiesa, per doverne conchiudere che tale dottrina entra nella competenza dell'ecclesiastico magistero, ed è in intima relazione colla fede e colla morale.

    Però non ogniqualvolta il romano Pontefice esprime i proprii sentimenti su questi oggetti, egli parla con infallibile autorità, come abbiamo veduto. Prescindendo anche da quelle comunicazioni private che può fare puramente come individuo, egli può emanare anche dei pubblici documenti solo quale dottore privato, come dichiarò di fare Benedetto XIV nel pubblicare l'egregia sua opera de Synodo dioecesana, oppure con atto anche solennissimo può voler esprimere soltanto una propria opinione individuale, come dichiarò essere sua mente il pontefice Pio VI allorché in pubblico concistoro qualificò per martire il re Luigi XVI, e come si espresse il papa Leone XII in un breve dei 18 agosto 1827 al vescovo dì Poitiers, di essere personalmente persuaso secondo il suo giudizio particolare, che fosse miracolosa l'apparizione della croce avvenuta a Mignè il 17 dicembre 1826. Quindi si adottò comunemente nelle scuole cattoliche di dire che il Pontefice parla ex cathedra quando intende parlare coll'autorità suprema di Capo della Chiesa per dare a questa formali ammaestramenti, e che pertanto allora solo è infallibile quando parla ex cathedra secondo questo significato.

    Ma si domandava poi anche a quali contrassegni si potesse riconoscere se un Pontefice parlasse ex cathedra od altrimenti, ed enumeravansi anche varii indizii, che si possono vedere presso i teologi, da cui si avesse a dedurre con maggiore o minor certezza se nei loro documenti i Papi avevano veramente inteso di proferire locuzioni ex cathedra. Bossuet nella sua Defensio declarationis [3] proponeva come unico indizio sicuro di tali locuzioni il conseguente consenso della Chiesa, e diceva di non ripugnare ad ammetterle come infallibili, se a Roma si consentiva a riconoscere questo consenso come l'unico sicuro criterio per ritenere che il Papa avesse pronunciato ex cathedra qualche decisione. Ma questo non era che un far dipendere ancora dall'arbitrio della Chiesa l'accettare o no tali decisioni, e il collocar di nuovo l'infallibilità nella sola Chiesa, fatta astrazione dal Papa, e non nel Papa stesso. I criterii per ritenere se egli abbia o non abbia voluto parlare colla sua suprema pontificale autorità, si devono ricercare nella natura stessa dei pontificii documenti, e nelle circostanze della loro pubblicazione; poichè sono gli atti stessi della papale autorità che devono imporre alla Chiesa come obbligatoria la loro accettazione, e non già la Chiesa che debba avvalorarli col proprio assenso. La Costituzione Vaticana, omettendo l'enumerazione di quei criterii speciali che dai teologi vengono indicati per riconoscere se un documento pontificio debba ritenersi qual locuzione ex cathedra, si limitò a stabilire il principio generale che allora il romano Pontefice parla ex cathedra, e quindi con autorità infallibile, quando intende di esercitare in atto l'ufficio suo di Pastore e Maestro della Chiesa universale col definire colla sua suprema autorità apostolica qualche dottrina di fede o di morale, che sia da tenersi da tutta la Chiesa. Infatti questo principio basta da solo a farci riconoscere quali atti pontificii debbano accogliersi come oracoli infallibili del Vicario di Cristo, poichè dal loro stesso tenore, e al più anche dalle circostanze della loro pubblicazione, ognuno può dedurre s'egli abbia voluto realmente parlare come Pastore e Maestro della Chiesa universale.

    È a notarsi poi che nella surriferita definizione della pontificia locuzione ex cathedra, è bensì detto che ciò ha luogo quando il Papa parla qual Pastore e Maestro della Chiesa universale, ma non già che a tal uopo debba sempre dirigere a tutta la Chiesa la sua parola; poichè anche un documento diretto ad un particolare concilio, ad una Chiesa particolare o ad un individuo può essere dettato da un Pontefice coll'intento di esercitare veramente il suo supremo apostolico magistero, ed in tal caso quel documento deve egualmente riconoscersi come infallibile nei dati insegnamenti, e ne diventa obbligatoria in coscienza l'accettazione per tutti coloro che ne vengono in cognizione, sicchè la dottrina in esso proposta o definita è pure da tenersi da tutta la Chiesa.

    (continua)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:32
    Però, come convengono i teologi che negli stessi documenti emanati da un concilio ecumenico non tutte le sentenze devono riguardarsi come infallibilmente dettate, ma soltanto le vere definizioni dottrinali, sicchè l'infallibilità non competa nè agli argomenti che si adducono come prove delle verità che vi si definiscono, né ad altri oggetti ivi solo incidentalmente accennati; così anche negli atti pontificii le sole dottrine direttamente proposte o decise si devono ritener come infallibilmente pronunciate; e perciò anche nella Vaticana Costituzione non è già detto che la prerogativa dell'infallibilità si estenda a tutto il complesso degli atti dal Pontefice promulgati nell'esercizio della sua suprema autorità dottrinale, ma ch'egli è infallibile nel definire la dottrina da professarsi, e quindi l'infallibilità non è da supporsi che nelle vere definizioni, siano poi queste positive o negative, cioè o la proposizione di qualche verità, o la condanna di qualche errore.

    Ma la Costituzione Vaticana determina anche la causa efficiente di questa infallibilità nella divina assistenza da Cristo promessa in Pietro anche a tutti i suoi successori nel supremo pontificato. La causa istromentale ne sono dunque tutti i documenti della perpetua dottrina della Chiesa, che il Pontefice può consultare, i concilii o particolari o generali ch'ei può convocare, le sentenze dell'episcopato anche disperso o dei teologi ch'ei può richiedere, tutti gli atti di diligenti esami e studii ch'ei può esercitare: ma tutto questo non potrebbe attribuire a' suoi insegnamenti che una somma probabilità, o una certezza umana, quando si potesse universalmente conoscere che a tutto debitamente si ebbe ricorso per raggiungere la verità; mentre la sola divina assistenza è quella che può conferire quell'infallibilità assoluta, la quale è necessaria per imporre alla mente umana un ossequio di fede. Quindi è della coscienza del Pontefice il non trascurare alcuno di quei mezzi che lo possono umanamente illuminare prima di pronunciare le dottrinali sue decisioni; ma quando queste siansi proferite, a niuno è lecito chiedere, se si abbia avuto ricorso, e nei debiti modi, a tutti quegli amminicoli che al Pontefice poteano assicurare la cognizione del vero. Allora fa d'uopo soltanto di ricordarsi che Gesù Cristo ci ha dato il romano Pontefice qual suo Vicario per la predicazione, la conservazione e la difesa di ogni salutare verità; che a tal fine gli ha promesso l'infallibilità pel corso di tutti i secoli; che la sua infinita bontà e sapienza non può permettere che tutti i fedeli vengano tratti in errore da colui, ai cui insegnamenti egli stesso ingiunse di prestare la più perfetta obbedienza, e che pertanto noi dobbiamo essere pienamente sicuri ch'egli non permetterà mai che il suo Vicario passi a definire una dottrina senza aver usato dei mezzi necessarii per proporre con piena sicurezza la verità, e che quando il Pontefice ha emesso i suoi oracoli, non ci resta che di accettarli con tutta l'adesione della mente e del cuore come infallibilmente proferiti mercè dell'assistenza divina. Certamente noi non possiamo conoscere, nè indagare il modo con cui Gesù Cristo così assiste e premunisce dall'errore il suo Vicario in terra. Ma la questione è la stessa anche relativamente alla Chiesa. Sappiamo che questa è infallibile; ma in qual modo Iddio la renda tale mediante la sua assistenza, non lo sappiamo. Cosi non sappiamo neppure come la grazia divina influisca sullo spirito umano illuminandone l'intelletto ed inclinandone al bene la volontà. Non potendo noi squarciare l'impenetrabil velo della natura divina, dobbiamo umilmente accontentarci di ammettere la realtà di quelle operazioni che nella sua infinita bontà Iddio si è degnato manifestarci, e ripetere con un Padre della Chiesa: Ciò si fa nel modo che Dio sa, senza volerne indagare le arcane ragioni, memori della sua tremenda sentenza: Qui scrutator est majestatis opprimetur a gloria (Prov. 25, 27).

    Una necessaria conseguenza della definizione data della papale infallibilità vien da ultimo soggiunta nella Vaticana Costituzione, cioè che tali definizioni pronunciate dai Papi sono irriformabili per sè stesse, e non già pel consenso della Chiesa (Ejusmodi romani Pontificis..... irreformabiles esse). Irriformabile equivale ad infallibile, perchè l'errore è riformabile, e non già la verità. Ma fu prescelta la parola irreformabiles per contrapposto alla quarta proposizione della dichiarazione dell'assemblea gallicana del 1682, in cui fu pronunciato non essere irriformabili i decreti dogmatici dei romani Pontefici a cui non avesse acceduto il consenso della Chiesa. Anche appena prima della celebrazione del Concilio Vaticano mons. Maret nella sua opera Della pace della Chiesa e del Concilio ecumenico proponeva che l'infallibilità del Pontefice risulta dal consenso della Chiesa; ma il cardinal Manning gli rispondeva [4] che allora ei faceva ricevere al Papa dalla Chiesa l'infallibilità, e non viceversa, com'è piuttosto a dirsi, che l'infallibilità papale è quella che rende infallibile la Chiesa. Monsignor Maret replicava [5], non esser tale il suo pensiero; ma egli aver voluto dire che l'infallibilità, non propria della Chiesa separata dal Papa, nè propria del Papa solo, allora gli divien propria quando egli parla in unione alla Chiesa, cioè all'episcopato. Secondo questo concetto l'infallibilità potrebbe in certo modo paragonarsi alla risultanza di una combinazione chimica. La Chiesa ed il Pontefice sono come i due ingredienti che da sè non possedono quella dote; ma se si uniscono insieme, allora l'infallibilità si sviluppa nel loro composto. La falsità di questa ipotesi è dimostrata anche dal solo riflesso che l'infallibilitá non è già nella Chiesa una dote intermittente, che allora soltanto vi si trovi quando il Pontefice e l'episcopato insieme si uniscono per l'ammaestramento dei fedeli; ma è una dote permanente e continua, la quale, se certamente non può supporsi nel solo episcopato separato dal Pontefice, d'uopo è conchiudere che risiede abitualmente nel Pontefice stesso, e da lui viene comunicata alla Chiesa; sicchè è piuttosto a dirsi che infallibile è la Chiesa, perchè infallibile è il di lei capo.

    Molto anche disputossi e prima e durante il Concilio, se nel Papa possa o non possa dirsi essere l'infallibilità assoluta, separata e personale. È facile rispondervi. Assoluta non può dirsi in quanto non abbraccia le manifestazioni dottrinali che non si facciano dal Pontefice come Pastore e Maestro universale; ma assoluta è per tutti gli atti ch'egli esercita come tale. Assoluta non è pure nel senso che il Pontefice l'abbia totalmente da sè, come per divina ispirazione; ma lo è nel senso ch'essa non è previamente legata ad alcuna necessaria condizione. Separata è certamente in quanto l'infallibilità egli l'ha direttamente da Dio, e non la riceve dalla Chiesa; non è separata nel senso che il Pontefice sia isolato dalla Chiesa e dalla dottrina della Chiesa, quando egli definisce questioni di fede e di morale. Personale è in lui l'infallibilità in quanto è Pontefice, perchè non ricevendola nè dalla Chiesa nè dall'episcopato, essa è inerente al suo carattere personale di Pastore della Chiesa universale: non è personale nel senso che siano infallibili tutte le manifestazioni dottrinali di un Papa, come individuo o dottore privato.

    Infine nella Costituzione Vaticana è pronunziato l'anatema contro chiunque neghi al romano Pontefice, od anche solo ne metta in dubbio l'infallibilità, nel senso in cui venne definita, perchè anche il solo rivocarla in dubbio è un contraddire (contradicere..... praesumpserit) alla verità definita.

    Ma un prevosto Antonio Cicuto, che nel numero d'aprile 1871 della Rivista Universale di Firenze si era fatto conoscere qual patrono del cattolicismo liberale con un articolo intitolato Lotta esterna ed interna della Chiesa cattolica, col settembre successivo incominciò a pubblicare in quel periodico alcuni articoli sotto il titolo Il Concilio Vaticano sta nel mezzo degli estremi, in cui studiossi di attenuare la portata delle definizioni vaticane circa la podestà e l'infallibilità papale, egregiamente confutati dalla Civiltà Cattolica in alcuni numeri del 1872. Quanto alla podestà, volle ancora dimostrarla come limitata dalle cavillose restrizioni dei gallicani, dei febroniani e dei giansenisti; e quanto all'infallibilità volle vedere una differenza fra irriformabile ed infallibile, per cui avendo il Concilio Vaticano dichiarato soltanto che le definizioni pontificie sono irriformabili, non avrebbe definito che per sè stesse siano pure infallibili, e che inoltre sono dette irriformabili indipendentemente dal consenso della Chiesa, compreso in questa anche il popolo, e non già indipendentemente dal consenso della Chiesa docente, cioè dell'episcopato. Ma evidente a tutti è l'erroneità di tali distinzioni perchè irriformabile non è che la verità, e quindi una parola vale precisamente l'altra, e noi abbiamo già indicato la ragione per cui la parola irriformabili fu preferita; e parimenti le parole ex consensu Ecclesiae sono da intendersi in relazione alla proposizione gallicana, cioè all'episcopato solo, e non già al consenso anche del popolo cristiano. I predetti articoli del Cicuto sul Concilio Vaticano furono perciò posti all'Indice dei libri proibiti, e condannati dalla S. Congregazione del Santo Ufficio con decreto 11 dicembre 1872, a cui l'autore lodevolmente si sottomise, riprovando anche il suo scritto.

    Questa Costituzione intorno all'autorità del romano Pontefice, e specialmente la definizione dell'infallibilità sollevò contro la Chiesa le ire di parecchi governi, anche fra quelli ove cattolica è la gran maggioranza delle popolazioni, e cattolici sono gli stessi sovrani, come già fu detto nei Cenni storici. Il ministero austriaco ne tolse pretesto per dichiarare abolito il già leso concordato; la Baviera ed altri governi tedeschi e svizzeri vietarono la promulgazione ufficiale dell'infallibilità papale; il nuovo impero germanico indi a poco costituito ne prese occasione di proscrivere i gesuiti e la quasi totalità delle altre corporazioni religiose, e di sancire le leggi più lesive della libertà della Chiesa, e tanto in Germania come in Isvizzera si protesse e si promosse coi più larghi favori la nuova setta dei vecchii cattolici, che allora si venne formando. Si allegava per motivo di tutte queste ingiuste misure, susseguite da pene durissime contro i renitenti, che principalmente per la definizione dell'infallibilità papale la costituzione della Chiesa cattolica era mutata; che questa perciò non aveva più diritto ad esigere l'osservanza dei patti anteriori; che il potere civile era minacciato dal nuovo dogma, e che quindi aveva il diritto ed il dovere di premunirsi contro i nuovi pericoli mediante nuove leggi.

    Ma basta un semplice sguardo all'intiera Costituzione concernente l'autorità pontificia, per convincersi dell'assoluta insussistenza delle allegate ragioni. I primi due capi non fanno che stabilire nel Pontefice romano quel primato di onore e di giurisdizione, che la Chiesa cattolica sempre gli riconobbe. Il terzo capo, che definisce essere l'autorità del romano Pontefice veramente episcopale e suprema su tutta la Chiesa, non gli attribuisce altra autorità che quella la quale da tutte le scuole veramente cattoliche fu sempre in lui dimostrata. Il quarto capo finalmente, che a lui rivendica l'infallibilità del magistero, non fa che determinare con dogmatica certezza dove propriamente esiste il soggetto dell'infallibilità inerente alla vera Chiesa di Gesù Cristo, confermando anche qui colla stessa divina autorità della Chiesa una dottrina già perpetua e universale nella Chiesa stessa. Nessun vero cangiamento era dunque avvenuto nella dottrina e nella costituzione della Chiesa cattolica per le ultime definizioni del Concilio Vaticano: queste non fecero che imprimere il suggello di una certezza divina all'autorità veramente suprema ed all'infallibilità dottrinale del Capo della Chiesa, le quali erano verità già anche prima generalmente riconosciute come teologicamente certe, e che dagli stessi romani Pontefici erano state costantemente considerate come le basi dei loro diritti e della loro pratica azione. Perciò dalle predette definizioni non s'introduceva punto verun cangiamento neppure nei rapporti fra la Chiesa cattolica e i civili governi, nè da quelle veniva in verun modo a crearsi a questi alcun pericolo o minaccia. Non fu che l'odio del falso liberalismo, dell'eresia e dell'incredulità contro la vera Chiesa, indefettibile custode della pura dottrina di Gesù Cristo, che ne volle trarre partito per tentare di abbatterla con nuovi colpi.

    Perciò i vescovi di Germania, di bel nuovo riunitisi a Fulda nell'autunno del 1872, con una Memoria appoggiata alle più solide ragioni non solo dimostrarono l'ingiustizia di tutte le misure già adottate dal governo prussiano contro i gesuiti ed altre corporazioni religiose, e a carico di quei vescovi che contro i nuovi apostati aveano pronunciate le ecclesiastiche censure; ma fecero pur conoscere ad evidenza che le accuso divulgate contro la definita infallibilità papale non erano che calunniose invenzioni dei nuovi ribelli all'indeclinabile autorità del Concilio Vaticano. Siccome poi il Bismarck, principale ministro del governo prussiano e dell'impero germanico, fino dal 1872 avea scritto una lettera circolare agli altri governi per eccitarli a pretendere speciali ingerenze nei futuri conclavi in vista del supposto cangiamento nell'autorità pontificia, la qual lettera non venne a pubblica cognizione che al principio del 1875; così ancora i vescovi di Germania con sollecita risposta nel febbrajo del medesimo anno confutarono tutte le strane asserzioni di quel documento; dimostrarono che le dottrine riguardanti il Pontefice definite nel Concilio Vaticano erano dottrine già riconosciute ed ammesse dagli stessi governi, e ripudiato solo dai giansenisti, dai febroniani, e in parte dai gallicani; ch'esse non avevano punto lesi i diritti dei vescovi, nè ridotti questi alla semplice qualità di vicarii papali, e che l'infallibilità pontificia non intaccava in nessun modo la natura ed i diritti del potere temporale. Essi vi dichiaravano anche esplicitamente: «Il dominio della podestà ecclesiastica del Papa differisce essenzialmente da quello su cui versa la sovranità temporale dei monarchi: perciò i cattolici non impugnano per nulla l'intiera sovranità del loro principe nella sfera civile». E Pio IX loro diceva in proposito nel Breve 2 marzo 1875, con cui si congratulava secoloro della loro risposta: «La vostra dichiarazione presenta la pura dottrina cattolica, e perciò quella del Concilio e di questa Santa Sede».

    Ma ad onta delle procelle che le tennero dietro, la definizione dell'infallibilità pontificia fu certamente l'opera più grande e provvidenziale che il Concilio Vaticino poteva compire; perchè riempie quel vuoto che ancor rimaneva nella teoria fondamentale della Chiesa, e può considerarsi come il fine supremo per cui questo concilio fu voluto da Dio. Poco prima ch'essa avvenisse, l'avea detto l'illustre vescovo della Nuova Orléans, scrivendo al suo clero: «Io credo con tutti i buoni preti, con tutti i buoni cattolici, che la definizione dell'infallibilità pontificia è l'opera più rilevante del Concilio Vaticano: tutte le altre questioni, per gravi ch'esse siano, agli occhi del mondo cattolico hanno un interesse secondario». Perenni azioni di grazie dobbiamo dunque innalzare a Dio, perchè con tal definizione abbia corroborato la sua Chiesa in questi tempi di gravissimi perigli, e le abbia assicurato il trionfo sopra i più formidabili attuali nemici suoi e dell'istessa società domestica e civile, l'incredulità ed il razionalismo.

    NOTE:
  • Paolo Angelo Ballerini (Milano, 14 settembre 1814 – Seregno, 17 aprile 1897), dal 1848 direttore de L'Amico Cattolico, nel 1853 fu canonico ordinario del Duomo e nel 1855 pro vicario. Accompagnò a Vienna l'arcivescovo di Milano Bartolomeo dei conti Romilli di Bergamo per il concordato dell’Austria con la S. Sede ma, dal 1859, alla morte dell’Arcivescovo Romilli, si erano creati dei forti attriti per la sua successione tra il governo di Torino e la Santa Sede: a questa situazione contingente della città di Milano si deve l’origine dell'Osservatore Cattolico, il giornale a cui don Davide Albertario, sacerdote e giornalista cattolico intransigente, legherà il suo nome negli anni successivi; peraltro Mons. Ballerini fu amico e protettore dell'Albertario.

    L'arcivescovo Romilli era morto il 7 maggio del 1859 in corrispondenza dello scoppio della guerra (II guerra d’Indipendenza), e su proposta dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, secondo il concordato vigente, fra la battaglia di Magenta del 4 giugno (1859) e la pace di Villafranca dell’8 luglio, Pio IX aveva preconizzato alla sede milanese proprio Mons. Ballerini, già vicario generale del defunto arcivescovo, conosciuto come molto devoto alla S. Sede. Il nuovo governo piemontese rifiutò di riconoscere la nomina con la scusa che la proposta imperiale non aveva valore in quanto gli austriaci non erano più padroni di Milano, ma Mons. Ballerini fu consacrato in segreto presso la certosa di Pavia da Mons. Caccia Dominioni, già vicario capitolare della diocesi e ausiliare del Romilli. Ballerini, la cui consacrazione restò segreta, fu oggetto di una violentissima campagna di stampa e fu anche minacciato di morte, si ritirò a Cantù aiutando il parroco nel ministero delle confessioni, dopo aver nominato suo vicario episcopale Mons. Caccia Dominioni che governò la diocesi in sua vece, per lunghi anni obbedendo al Ballerini al quale il governo rifiutava sempre l'exequatur. Contro Caccia Dominioni e Ballerini si scatenerà la stampa cattolico liberale e conciliatorista filo-governativa.

    La difficile situazione della diocesi di Milano si risolse nel 1867 quando Pio IX venne a compromesso con il governo (che si era già trasferito a Firenze): Mons. Ballerini rinunciò all'arcivescovado di Milano e fu promosso Patriarca latino di Alessandria in Egitto, con dimora a Seregno, e mons. Luigi dei conti Nazari di Calabiana fu traslato dalla sede vescovile di Casale Monferrato a quella di Milano. Precedentemente nel '66 era morto il vicario Caccia Dominioni e il Ballerini aveva dovuto manifestare pubblicamente la sua qualità di vescovo di Milano rendendo nullo (almeno per un po'…) il tentativo del governo di porre sulla cattedra di S. Ambrogio un personaggio dell’area liberale e conciliatorista.

    Mons. Ballerini, difensore dell'infallibilità e del Sillabo, morì a Seregno in fama di santità.

    [Fonti: Con il Papa e per il Papa: vita di don Albertario, in Sodalitium, anno XXIII, n° 1, febbraio 2007 pag. 37 sgg.; Luigi Biraghi - Lettere alle sue figlie spirituali vol. III, Brescia 2005, pag. 161-162 (nota). N.d.R.]

    [1] Nel Coustant, Lettere dei Romani Pontefici, e negli Atti del Concilio efesino pubblicati dal Baluzio.

    [2] Nei documenti annessi alla Storia del Concilio Vaticano di monsignor Cecconi, arcivescovo di Firenze, p. 1313.

    [3] Nel Corollario aggiunto all'opera § 8.

    [4] In un'appendice alla sua Lettera Pastorale sul Concilio ecumenico e sull'infallibilità papale.

    [5] Lettera a mons. Manning, in data 5 ottobre 1869.

    http://progettobarruel.zxq.net/novit...bilita_II.html
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/10/2012 11:34
    [SM=g1740758]  Da:L'infallibilità e il Concilio Generale, studio di scienza religiosa ad uso della gente del mondo tradotto da Mons. Ferdinando Mansi (consultore della S. C. dell'Indice), Roma-Torino 1869, pag. 39-66.

    Mons. Victor-Auguste-Isidore Dechamps (1810–1883)

    Cap. IV.

    L'oggetto preciso della infallibilità della Chiesa.
    Abbiam di già provato, che una chiesa divinamente stabilita dev'essere infallibile, e che l'oggetto di questa infallibilità non è in generale che la conservazione del deposito della rivelazione. Ma bisogna spiegare più dettagliatamente, quale è l'oggetto preciso di questa infallibilità, e quindi ove trovasi, nella chiesa, il soggetto di questa infallibilità, l'organo divinamente costituito di questo insegnamento infallibile, il giudice senza appello delle controversie relative alla fede.
    Intorno a questi due punti, come intorno a tutti gli altri, la chiesa, di cui la fede è apostolica, e sempre viva fin dalla sua origine, la chiesa la quale non ha che a rammentar se stessa per non sbagliare, non ha mai variato.
    Facciamoci dunque a costatare per prima la sua dottrina intorno al primo punto, ossia intorno al soggetto preciso della sua infallibilità.
    Avendo ricevuto la promessa della infallibilità solo per conservare il deposito della verità rivelata, la chiesa non è infallibile che in materia di fede, vale a dire nell'insegnamento della verità che bisogna credere [1]. Essa per questo stesso fatto è infallibile anche in materia di costumi, facendo parte della rivelazione, ed anche della verità stessa che bisogna. credere, la legge Evangelica, ossia la verità che bisogna praticare.
    Ma la chiesa è dessa infallibile nell'insegnamento delle verità esplicitamente e formalmente rivelate?
    Essa è infallibile nell'insegnamento delle verità chiaramente e certamente contenute nella rivelazione, o che appartengono implicitamente alla fede.
    Essa è infallibile eziandio nell'insegnamento delle verità essenzialmente e inseparabilmente legate alla rivelazione, o che hanno con la medesima una necessaria connessione. I teologi esprimono la stessa cosa con altri termini, quando e' dicono che la chiesa è infallibile nell'insegnamento delle cose che si rapportano alla fede ed ai costumi, ma che vi si riferiscono per se stesse e prossimamente, e non già di una maniera accidentale e rimota: Per se et proxime, non autem per accidens et remote.
    Se la chiesa fosse infallibile nell'insegnamento delle cose che hanno rapporto qualunque, anche rimoto, colla verità rivelata, sarebbe allora in tutte le cose infallibile, perchè nel vasto insieme dell'ordine naturale e soprannaturale, le verità tutte non ne formano che una agli occhi di Dio. Giammai la chiesa si è attribuita una simile infallibilità. Essa non ha mai confusa la scienza sagra con le scienze profane, la scienza delle cose divine con la scienza delle cose umane. Essa lascia il mondo, e tutto ciò che non è rinchiuso nella sfera della fede, in re fidei, come dice Bellarmino, alle dispute degli uomini, e non interviene la medesima per condannarne l'errore, che allorquando questo viene a toccare la verità rivelata. Ella favorisce così essa stessa la scienza, non potendo la verità contraddire la verità.
    Ma quando è che una verità appartiene implicitamente alla fede? E quando una verità è essenzialmente ed inseparabilmente collegata con la rivelazione, per se et proxime?
    Quando la Chiesa la giudica tale, lo che essa non manca mai di far chiaramente vedere.
    Dovendo la chiesa vegliare e conservare la verità rivelata in tutta la sua purezza, è infallibile altresì nella condanna delle proposizioni, che feriscono, in differenti maniere, la fede ed i costumi, o che li mettono a repentaglio [2].
    Essa conseguentemente è infallibile in materia di fatti dogmatici, e diciam di fatti dogmatici, perchè essa non pretende affatto infallibilità in materia di fatti puramente personali od istorici, la conoscenza dei quali dipende principalmente dalla testimonianza degli uomini, non avendo spesso simili fatti relazione alcuna nè prossima nè essenziale con la fede. Ma sonovi dei fatti che si appellano dogmatici, poichè essi vanno essenzialmente ed inseparabilmente collegati colla fede, per esempio il fatto dell'esistenza del tale errore nel tal libro. Se la chiesa non fosse infallibile nel giudicare un tal fatto, nulla le servirebbe il condannare l'errore, non potendo indicare con certezza, ove esso si trova. I pastori divinamente istituiti per pascere le anime della vera dottrina, sarebbero in tal caso nella impotenza di adempiere al loro officio, e Gesù glielo avrebbe confidato in vano.
    La chiesa è altresì infallibile in ciò che riguarda il culto divino, e la disciplina generale, perchè il divin culto, e la disciplina generale hanno sempre dei rapporti intimi con la fede e con i costumi. Se la chiesa potesse in queste materie prescrivere o approvare cose contrarie alla fede ed ai costumi, o che non fossero loro conformi, precipiterebbe essa inevitabilmente le anime nell'errore, e invece di salvarle, le perderebbe. Ma ciò non può avvenire, avendole Gesù Cristo promesso di essere con lei sino alla fine dei tempi. La chiesa dunque è infallibile in materia di disciplina generale in questo senso, cioè che quello che da essa vien generalmente prescritto o approvato in questa materia, non può mancare di essere in armonia con la verità e colla morale rivelate.
    Non possiamo far passaggio ad un altro soggetto, senza aver ben rischiarati gli spiriti illusi intorno alla natura ed alla portata delle definizioni della fede. S'immaginano costoro, che la chiesa, definendo un dogma, impone ai fedeli una nuova credenza. Non vi è cosa più falsa di questa. Una definizione di fede non è altro che una dichiarazione dogmatica di una verità contenuta nel deposito della rivelazione, e che ha fatto sempre parte della credenza della chiesa. La chiesa non inventa mai, essa giudica; e quando le si dimanda se la tale credenza fa parte del dogma, essa risponde. –– Se è l'eresia che nega, la sua risposta è un anatema; e se è la buona fede che trovasi in esitanza, la sua risposta è una consolazione. Così è avvenuto che in diverse epoche, l'eresia, ossia la debolezza dello spirito umano (perchè lo spirito è debole anche negli uomini grandi) è stata l'occasione delle dichiarazioni dogmatiche della chiesa, e che il cozzo degli errori, o delle opinioni ha fatto scaturire dalla rocca su cui essa è fondata, non già delle verità nuove, ma delle nuove dichiarazioni.
    Non debbonsi confondere due cose cotanto differenti come quella del credere e del sostenere un dogma, dice il Conte de Maistre.
    «La chiesa cattolica non è argomentatrice di sua natura; essa crede senza entrare in disputa, perchè la fede è una credenza per amore, e l'amore non ama affatto gli argomenti.
    «Il cattolico sa bene che non può ingannarsi, sa di più che se egli potesse ingannarsi, non vi sarebbe più verità rivelata, nè sicurezza alcuna per l'uomo quaggiù in terra, poichè ogni società divinamente istituita suppone l'infallibilità, come egregiamente diceva l'illustre Malebranche.
    «La fede cattolica non ha dunque bisogno, e questo è il principal carattere, il quale non è abbastanza rimarcato; essa non ha bisogno, ripeto, di riconcentrarsi in se stessa, interrogarsi intorno alla sua credenza, e dimandare a se stessa, perchè essa crede; essa non è molestata da questa inquietudine disertatrice che agita le sette. È il dubbio che produce delle opere: perchè dunque scrivere, essa che non ha mai dubbio?
    Ma se si viene ad oppugnare un qualche dogma, essa allora esce dal suo stato naturale; cerca ed esamina i fondamenti del dogma messo in disputa; interroga l'antichità, crea delle parole speciali, di cui la sua buona fede non avea affatto bisogno, ma rese poi necessarie per caratterizzare il dogma, ed innalzare tra noi ed i novatori un'eterna barriera [3].
    In questo modo souo state definite, e la Consostanzialità del Verbo contro l'Arianismo, e la Transostanziazione [4] contro i protestanti, definizioni che compendiano con un solo vocabolo l'immutabile credenza della chiesa intorno alla Divinità del Verbo, e intorno all'adorabile Sagramento dell'Eucaristia.
    Non deve dunque porsi in obblio che la fede della chiesa precede alle definizioni dogmatiche, e che per essere vero fedele, non basta di credere solamente ciò che è definito contro l'eresia, nè di credere solamente quando è definito contro l'eresia: No, bisogna credere prima di tutto ciò che l'autorità della chiesa ci propone a credere come rivelato da Dio [5].
    Del resto, Colui, la cui Sapienza sa far servire il male al progredimento del bene, sa fare altresì servire l'errore al progresso della verità, vogliam dire al progresso della scienza del dogma, dell'intelligenza della fede. Questo progresso esiste dice Pio IX, rammentando le parole di S. Vincenzo di Lerino: «Questo progresso esiste, ed è grandissimo, ma è il vero progresso della fede, non già il cambiamento. Bisogna che l'intelligenza, la scienza, e la saggezza di tutti come di ciascuno in particolare, delle epoche e dei secoli di tutta la chiesa, come degl'individui, crescono e fanno grandi, grandissimi progressi, affinchè più chiaramente si comprenda ciò che l'antichità venerava senza comprenderlo, affinchè le pietre preziose del dogma divino vengano elaborate, esattamente adattate, e ornate con saggezza, e si arricchiscano di grazia, di splendore, di bellezza: ma sempre nel medesimo genere, vale a dire nella medesima dottrina, nel medesimo senso, nella sostanza medesima, di modo che facendo uso di nuovi vocaboli, non si dicono pertanto cose novelle [6].»
    La fede della chiesa è dunque un albero vivente. Quest'albero riceve tutto il vigore della sua vegetazione dalla verità rivelata, ma da questo succo divino nascono dei frutti senza numero, che, per esser sempre della medesima natura e sempre simili a se stessi, non lo son meno di una bellezza, e di un sapore sempre nuovi.
    CAP. V.
    Del soggetto o dell'organo della infallibilità della Chiesa.
    Intorno a questo punto, come all'altro precedente, noi lo abbiam di già accennato, la fede cattolica non ha mai variato. Viva e intiera in tutte le chiese tale quale l'hanno loro lasciata gli Apostoli, essa non ha mai dubitato di se medesima. Ma quando essa si è veduta oppugnata dallo scisma e dall'eresia, le ha confuse mediante la sagra Scrittura e la tradizione.
    La società cattolica riposa dunque in pace sull'autorità che Cristo le ha posto come base, e la chiesa insegnata, ossia l'universale dei fedeli, ascolta la chiesa insegnante per organo dei suoi pastori
    Ma tutti quei che esercitano, in qualche grado, le funzioni del ministero apostolico, appartengono essi pel fatto medesimo alla chiesa insegnante, che tutti devono ascoltare, alla autorità dottrinale in materia di fede?
    Nella città di Dio, come nelle altre città di questo mondo, le cause maggiori, quelle che interessano tutta intera la società, sono riservate alle autorità superiori. L'autore della grazia è lo stesso che quello della natura, e non è da far le meraviglie che i primi pastori, vale a dire i Vescovi, sieno stati costituiti maestri e giudici della fede nella sua chiesa, trovandosi le cause della stessa fede essere cause supreme.
    Tale è la credenza di tutt'i tempi. Nei primi secoli, come nei secoli seguenti, la storia ci mostra i Vescovi di ciascuna chiesa alla testa dei presbiteri, dei diaconi, e dei semplici fedeli, vegliando alla conservazione della fede, e condannando tutti gli errori, senza ricorrere al suffragio di coloro che non sono rivestiti del carattere sacerdotale. I dottori della chiesa non hanno mai opposto all'eresia altro tribunale che quello dell'Episcopato unito al suo Capo, ed è un dogma cattolico che non solamente il Papa ed i Vescovi sono giudici infallibili delle controversie in materia di religione, ma bensì che essi soli sono i giudici della fede [7]. La chiesa ha definita questa verità fin da quando la vide oppugnata, e l'ha definita, come noi or ora lo dicevamo, mostrandola scritta nel nuovo Testamento, e attestata da tutt'i monumenti della tradizione.
    Fu ai suoi Apostoli riuniti, al Collegio Apostolico, ai primi pastori della sua nascente chiesa che Cristo Gesù disse: «È stata a me conferita tutta la podestà in cielo ed in terra; Andate dunque istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando a loro di osservare tutto quello che io vi ho comandato: ed ecco che io sono con voi in ogni tempo sino alla consumazione dei secoli [8].» In queste parole del Salvatore divino havvi la comunicazione di una triplice podestà: della potestà dottrinale: Docete; della potestà sagramentale: Baptizantes; e della potestà del comando: Docentes servare omnia quaecumque mandavi vobis. E questa podestà di comando, Gesù la mostra altrove tutta intera, chiamandola potestà di legare e di sciogliere. In questa dunque racchiudesi tutto il potere spirituale: Magisterium, ministerium, imperium, tutta la potestà sagra ma specialmente la potestà dottrinale, ossia insegnante, che conferma e sostiene le altre due.
    E quale podestà insegnante?
    La podestà insegnante universale in materia di fede: Istruite tutte le genti. La podestà insegnante perpetua: Sino alla consumazione dei secoli. La podestà insegnante infallibile, vale a dire, poggiata sul soccorso infallibile di Dio: Ed ecco che io sono con voi sino alla consumazione dei secoli.
    Così l'infallibilità è manifestamente promessa non solo agli Apostoli, ma benanche ai loro successori e non al Collegio Apostolico soltanto, ma al corpo episcopale eziandio.

    E perchè i Vescovi soli sono i primi pastori e i successori degli Apostoli?
    Perchè essi soli ricevono la pienezza del sacerdozio: Plenitudinem Sacerdotii, vale a dire il Sacerdozio con la podestà che lo perpetua per mezzo dell'ordinazione, la paternità spirituale con la fecondità divina.
    La podestà d'ordine dunque ha dei gradi, e tutta intiera non fu data da Gesù Cristo che al carattere episcopale. Gli Atti e le Epistole degli Apostoli sono pieni di questa verità che noi troviam sempre viva in tutta la storia della chiesa.
    Ma noi ci faremmo una idea completamente falsa della chiesa insegnante, se perdessimo di vista che la podestà degli Apostoli fu stabilita nell'unità mediante l'istituzione divina del centro medesimo di questa unità, o del primato di Pietro; e che la podestà dei successori degli Apostoli è mantenuta nell'unità per mezzo del sostegno del centro dell'unità cattolica, o meglio del primato del successore di Pietro. Senza Pietro non vi ha Collegio Apostolico, e non vi può essere corpo episcopale ossia della chiesa insegnante senza il Papa. La podestà d'ordine o del sagro ministero: Sacri ministerii fu senza dubbio la stessa negli Apostoli, e nel principe degli Apostoli, come la stessa è dessa nei Vescovi e nel Vescovo dei Vescovi; ma il primato di Pietro, e dei successori di lui è la suprema podestà di giurisdizione, ossia del governo: Iurisdictionis sive regiminis.
    Noi non conosciamo cosa alcuna che condanna più altamente lo scisma e l'eresia, e al tempo stesso niente di più umiliante per l'uno e per l'altra al cospetto della duplice chiarezza della Scrittura e dell'istoria, che la negazione dell'unità dell'apostolato, e dell'Episcopato mediante il primato di Pietro e dei Pontefici romani loro successori. L'Oriente e l'Occidente acclamano ad una voce questo primato: i Concilii di Nicea, di Efeso, di Calcedonia, di Costantinopoli parlano del Successore di Pietro e della sua suprema autorità su tutta la chiesa, come altresì i Concilii di Lione, del Laterano, di Firenze e di Trento. –– S. Attanasio, S. Basilio, S. Gregorio di Nanzianzo, S. Giovan Crisostomo confessano l'autorità suprema del Successore di Pietro, come la confessano bensì S. Cipriano, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino [9]. –– Si è dato mai un'altro Vescovo fuorchè il Pontefice Romano per Pastore supremo dell'Oriente e dell'Occidente?. Le chiese orientali ed occidentali riconobbero mai una altra podestà universale che quella del Successore di S. Pietro? Quando i Patriarchi di Costantinopoli si usurparono il titolo di Patriarchi ecumenici, e presero un tal titolo assai tardi, pretesero essi mai di estendere l'autorità loro sopra Roma? No, quando la podestà divien scismatica, essa prende il carattere della falsa madre giudicata da Salomone: essa si contenta d'una chiesa scissa. Lo si vede a giorni nostri nella Russia, in Inghilterra e altrove, come fu visto presso quei Greci che divennero infedeli all'unità. La storia ecclesiastica proclama dunque con evidenza ove trovasi l'unico Pastore dell'unico gregge di Gesù Cristo. Lo stesso ci vien mostrato dalla chiesa colla chiarezza medesima del Vangelo.

    Apriamo questo volume divino, e illuminiamoci alla sua luce. Gesù Cristo a quello ch'egli ha eletto principe degli Apostoli dice: Tu sei Simone, figlio di Giona, tu sarai chiamato Cepha (che s'interpreta Pietro). Poco dopo gli assegnò la ragione di questo cambiamento; e fu nel giorno, in cui Pietro, fedele alla divina rivelazione, confessò esso il primo la divinità di Gesù Cristo: Tu sei Pietro, gli disse allora il Salvatore, e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno mai contro di essa [10].

    La chiesa, questo edificio divino, che da nessuna cosa potrà essere rovesciata, questa ferma colonna della verità [11], sta poggiata su Pietro, come sulla sua base. Essa non ha pertanto altra base divina che Gesù Cristo: Fundamentum enim aliud nemo potest ponere praeter id, quod positum est, quod est Christus Jesus [12]. Ma anche Gesù Cristo solo si è quello che di sua mano divina pose la pietra angolare dell'Apostolato perpetuo: «Sopra questa pietra io edificherò.»
    Le parole poi che sieguono immediatamente dichiarano di nuovo l'autorità suprema ai Pietro mediante un simbolo ammirabilmente chiaro:

    A te darò le chiavi del regno dei cieli [13]: A chi si presentano le chiavi di una città, se non al Sovrano? E bene! In questa chiesa ch'Egli appella il regno de' cieli, in questo regno spirituale, ch'egli predice incrollabile, imperituro, a Pietro, e a Pietro solo, Tibi, ei consegna le chiavi, cioè la suprema podestà.

    Ma la podestà di Pietro non è di altra natura che quella dell'apostolato, il quale è una podestà spirituale, ed ecco perchè Gesù Cristo, predicendo a tutt'i suoi Apostoli la prova delle persecuzioni, dice ancora a Pietro: Simone, Simone, ecco che Satana va in cerca di voi per vagliarvi, come sì fa del grano: ma io ho pregato per te, affinchè la tua fede non venga meno, e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli [14]. Gesù Cristo dunque promette in una maniera speciale al Capo della podestà insegnante la fedeltà infallibile: Ego autem [oravi] rogavi pro te, ut non deficias fides tua; è dunque la stabilità della pietra angolare che dà fermezza a tutto l'edificio: Et tu aliquando conversus confirma fratres tuos.

    Una graziosa ed attraente parola di Cristo dopo la sua risurrezione dà compimento alla promessa fatta a Pietro, e gli conferisce la podestà suprema. Stando congregati Pietro e gli altri discepoli, si accostò loro Gesù, e volgendo la parola a Pietro gli disse: Simone, figliuolo di Giovanni, mi ami tu più che questi: gli rispose: Certamente, Signore, tu sai che io ti amo. E Gesù riprese: Pasci i miei agnelli.

    Dissegli poi di nuovo per la seconda volta; Simone, figliuol di Giovanni, mi ami tu? Pietro rispose: certamente, Signore, tu sai che io ti amo. –– Dissegli: pasci i miei agnelli.

    Gli disse per la terza volta: Simone, figliuol di Giovanni, mi ami tu? Si contristò Pietro, perchè per la terza volta gli avesse detto: mi ami tu? E dissegli: Signore, tu sai il tutto, tu conosci che io ti amo. Gesù dissegli: pasci le mie pecorelle.

    In verità, in verità ti dico; quando eri giovine ti cingevi (la veste), ed andavi dove ti parea; ma, quando sarai invecchiato, stenderai le tue mani, ed un altro ti cingerà, e ti menerà dove non vuoi.

    Or questo lo disse, indicando, con qual morte fosse per glorificare Dio. E dopo di ciò, gli disse: Sieguimi [15].

    Gesù mostra a Pietro con queste parole ove va a condurre questo supremo officio, alla croce cioè del suo Divin maestro; ma questo officio supremo glielo impone manifestamente costituendolo Pastore non solo degli agnelli, ma delle loro madri ancora: non solamente di quei che ricevono il nutrimento, ma puranco di quei che lo danno; non soltanto dei fedeli, ma ancora dei medesimi pastori: Pasce agnos et oves.

    Pietro dunque è il Pastore dei pastori, e la chiesa è fondata sull'unità dell'autorità per la gerarchia dei poteri di cui Pietro è divinamente stabilito il fondamento e il fatto: Petrum itaque fundamentum Ecclesiae Dominus nominavit [16].

    Dignus certe qui in aedificandis in domo Dei populis lapis esset ad fundamentum, columna ad sustentaculum, clavis ad regnum [17].

    Pietro ci si mostra ancora nella Scrittura santa come «il primo in tutte le maniere», dice il Bossuet: «il primo a confessare la fede; il primo nell'obbligo di mettere in pratica l'amore, il primo di tutti gli Apostoli, che vide Gesù Cristo risuscitato dalla morte, come esserne doveva il primo testimone avanti a tutto il popolo; il primo quando bisognò completare il numero degli Apostoli; il primo che confermò la fede per mezzo di un miracolo; il primo a convertire i Giudei; il primo a ricevere i Gentili; il primo da per tutto.... La podestà data a molti viene a soffrire una restrizione nel parteciparvi egli pure; mentre la podestà concessa ad un solo e sopra di tutti, e senza eccezione, porta seco la pienezza della medesima [18].

    Ma Pietro non sarà il Capo e il fondamento della Chiesa che durante la sua vita?

    Su questa Pietra io edificherò la mia chiesa, dice Gesù, e le forze nemiche, le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa.

    E come sarebbe la chiesa immutabile, se il suo fondamento non lo fosse ?

    Siccome Gesù Cristo ha manifestamente fondato la perpetuità dell'apostolato dicendo: «Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli; così ha pure manifestamente stabilito, questo apostolato perpetuo della chiesa insegnante sopra l'incrollabile fondamento dell'autorità di Pietro, che non finisce se non coll'autorità apostolica: Super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. L'autorità dunque di Pietro è sempre viva nei suoi successori, e la Sede di Pietro è sempre il centro dell'unità e dell'autorità della chiesa. Ma come dubitare del senso di simili testi? Non sono essi, ripetiamolo di nuovo, divinamente interpretati mediante il loro compimento? L'evidenza dei fatti nella chiesa non corrisponde forse all'evidenza delle parole dell'Evangelio, e non è doppiamente chiaro che la chiesa, come ne insegna il catechismo, è la comunità dei fedeli che professano la dottrina di Gesù Cristo, sotto l'obbedienza dei legittimi Pastori, e principalmente del nostro S. Padre il Pontefice romano, capo visibile della chiesa universale?

    La chiesa insegnante alla quale fu promessa l'infallibilità è dunque il collegio apostolico, o gli Apostoli uniti con Pietro; è l'apostolato universale e perpetuo dei successori degli Apostoli uniti ai successori di Pietro; Sissignore, «Il corpo dell'Episcopato unito al suo Capo, è il luogo ove bisogna trovare il deposito della dottrina ecclesiastica, dice Bossuet [19].» «Tutti ricevono la podestà medesima, ei soggiunge, ma non tutti nel medesimo grado, nè colla medesima estensione... Gesù Cristo comincia pel primo e in questo primo ei forma il tutto, affinchè noi imparassimo che l'autorità ecclesiastica, stabilita primieramente nella persona di un solo, non sia ripartita o diramata che a condizione di esser sempre riportata al principio della sua unità, e che tutti quelli i quali dovranno esercitarla, debbonsi tenere inseparabilmente uniti alla cattedra medesima [20].

    Separati da Pietro, i Vescovi non sono più nella chiesa, ma sono nello scisma; sono essi membri separati e disgiunti dal corpo della chiesa insegnante. Staccandosi dal corpo della chiesa, essi non le tolgono nè l'unità nè la vita; l'una e l'altra restano sempre ai membri uniti al loro Capo, al corpo unito alla testa.

    La chiesa insegnante, cui fu divinamente promessa la infallibilità, è dunque l'Episcopato cattolico, o disperso, o congregato in un Concilio generale, e sempre unito al suo Capo.

    Ma se la chiesa insegnante, non è infallibile che per la sua unione con Pietro; se i Vescovi separati dal Successore di Pietro non hanno promessa alcuna d'infallibilità, nè dispersi, nè riuniti in concilio; se la chiesa non può farsi crollare nella fede, perchè la pietra, su cui è fondata, è incrollabile; si domanda se Pietro ha ricevuto per esso, e per i suoi successori speciali promesse d'infallibilità. E questo è quello che ci resta di stabilire. Ma ci piace per prima richiamar l'attenzione dell'incredulità sopra un fatto di primo ordine, e fare in seguito rilevare l'ignoranza dei pubblicisti increduli sulla natura e sull'oggetto della infallibilità pontificia.

    NOTE:

    [1] In materia fidei, nempe in iis omnibus rebus quae revelatae sunt, et a Christo suis fidelibus ut credantur relictae, (Schouppe, S. I. De regula fidei, c. III. a. 3 pr. 1.).

    [2] Quae sunt contra fidem vel bonam vitam, Ecclesia non approbat, nec tacet nec facit. –– (Sanctus Augustinus, ad inquisitiones Ianuarii, lib. II n. 35, iuxta Editionem Benedictinam, Epistola 55. –– (Migne, Patrologia Latina, tom. 33. col. 221.). –– Conferatur lib. 1. iuxta edit. Bened. Epist. 54.

    [3] De Maistre, du Pape, Lib. 1. ch. I.

    [4] Vocabolo ammirato e difeso da Leibnitz.

    [5] Pio IX lo rammenta nel Breve del 21 Dicembre 1863 all'Arcivescovo di Monaco, in cui ei dice: Etiamsi ageretur de illa subiectione quae fidei divine actu est praestanda, limitanda non esset ad ea, quae expressis oecumenicorum Conciliorum aut Romanorum Pontificum, huiusque Apostolicae Sedis decretis definita sunt, sed ad ea quoque extendenda quae ordinario totius Ecclesiae per orbem dispersae Magisterio tamquam divinitus revelata traduntur, ideoque universali et costanti consensu a catholicis Theologis ad fidem pertinere retinentur.

    [6] Breve del 17 Marzo 1856.

    [7] Vedi il Card. Gousset, Della Chiesa. parte II. cap. 2 a. 1.

    [8] S. Matth. XXVIII, 19, 20.

    [9] Vi abbisognerebbero dei volumi per raccogliervi le parole dei Concilii e dei SS. Padri intorno a questo grande subbietto. Se scrivessimo per i teologi, li rimanderemmo alle grandi opere canoniche e teologiche, che riportano questo parole, ma siccome noi scriviamo per la gente del mondo, noi ci limitiamo ad indicar loro due opere scritte in francese su questa materia: la teologia dogmatica del Card. Gousset, Arcivescovo di Reims, e le Pape del Conte de Maistre. Queste due opere contengono citazioni a sufficenza estese dei Concili, e dei Padri intorno al primato di Giurisdizione, o la podestà suprema di Pietro e dei successori di lui.

    [10] Matth. XVI, 18. [«Respondens autem Jesus, dixit ei: Beatus es, Simon Bar Jona, quia caro et sanguis non revelavit tibi, sed Pater meus, qui in coelis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam.» Matth. XVI, 17-18 da: Biblia Sacra Vulgatae Editionis juxta exemplaria ex Typographia Apostolica Vaticana t. IV (7a Ed.) Ratisbona 1899 pag. 21. N.d.R.]
    [11] I. Tim. III, 15.

    [12] I Cor. III, 11.

    [13] Matth. XVI, 19.

    [14] Luc. XXII, 31. 32.

    [15] Ioann. XXI, 15. 19. [«Cum ergo prandissent, dicit Simoni Petro Jesus: Simon Joannis, diligis me plus his? Dicit ei: Etiam Domine: tu scis, quia amo te. Dicit ei: Pasce agnos meos. Dicit ei iterum: Simon Joannis, diligis me? Ait illi: Etiam, Domine: tu scis, quia amo te. Dicit ei: Pasce agnos meos. Dicit ei tertio: Simon Joannis, amas me? Contristatus est Petrus, quia dixit ei tertio: Amas me? et dixit ei: Domine, tu omnia nosti: tu scis, quia amo te. Dixit ei: Pasce oves meas. Amen, amen dico tibi: Cum esses junior, cingebas te, et ambulabas, ubi volebas: cum autem senueris, extendes manus tuas, et alius te cinget, et ducet, quo tu non vis. Hoc autem dixit significans, qua morte clarificaturus esset Deum. Et cum hoc dixisset, dicit ei: Sequereme.» Biblia Sacra Vulgatae Editionis... t. IV Ratisbona 1899 pag. 128. N.d.R.]

    [16] S. August. s. 190. E. B. app. (Migne Patr. lat. t. 39. col. 2100).

    [17] S. Aug. §. 203. E. B. app. (Migne ibid, col. 2123).

    [18] Sermon sur l'Unité, part. I.

    [19] Sermon sur l'Unité, part. 2.

    [20] Sermon sur l'Unité, part. I.

    Fonte: l'ottimo Mons. Victor-Auguste-Isidore Dechamps: L'infallibilit della Chiesa
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 29/04/2014 21:32




    Il sinodo dei vescovi nel pensiero di Joseph Ratzinger. Mai sulle spalle del gregge

    Il libro. Anticipiamo il testo dell’intervento che il cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede tiene nel pomeriggio di martedì 29 aprile a Roma, all’Istituto patristico Augustinianum, per la presentazione del libro Joseph Ratzinger Benedetto XVI e il Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine 549, euro 34) curato dall’arcivescovo Nikola Eterović, già segretario generale del Sinodo dei Vescovi e oggi nunzio apostolico a Berlino. Il volume riunisce tutti gli interventi del cardinale Ratzinger e di Benedetto XVI nel corso di venti assemblee sinodali (1977-2012).

    (Gerhard Ludwing Muller) 

    L’insegnamento di Benedetto XVI costituisce un prezioso patrimonio per la Chiesa, che non può essere archiviato con la fine del suo Pontificato.
    Si tratta di una ricchezza dottrinale, la quale, se da una parte è già universalmente conosciuta e stimata, dall’altra attende ancora di essere scoperta nella sua pienezza e profondità. Tale dottrina, infatti, nasce da un’intelligenza e da un cuore che sono protesi a valorizzare e servire la vita della Chiesa, guidati da un grande amore per la verità.
    Come più volte ci ha ricordato Papa Francesco, sempre la vita precede la dottrina: prius vita quam doctrina, vita enim ducit ad scientiam veritatis (Tommaso d’Aquino, Commentarius in Matthaeum, V). E tuttavia la dottrina, lungi dall’opporsi alla vita e alla prassi, ha esattamente lo scopo di custodire i contenuti e l’identità che la vita ci dona, per evitare che ogni realtà decisiva per l’uomo anneghi nel mare dell’indistinto e del provvisorio, o sia strumentalizzata dalla mera utilità o dagli interessi di parte. 
    La verità, infatti, che — alla fine — è Gesù Cristo (cfr. Giovanni 14, 6), possiede un carattere vitale che mira ad avvincere la libertà umana e a offrirle strade sicure, per impedirle di disimpegnarsi o di ridursi a utensile per strategie non all’altezza dei suoi alti ideali.
    Il libro dell’arcivescovo Nikola Eterović, a sua volta, offre alla nostra riflessione l’occasione di concentrarsi su quel prezioso strumento che è il sinodo dei vescovi. Come egli ci ricorda nell’introduzione generale al volume, Benedetto XVI ha assimilato tale organismo a un «dinamismo permanente» con cui si può rinnovare nella Chiesa la grazia della Pentecoste. Questa constatazione — commenta Eterović — nasce dalla stessa esperienza vissuta da Joseph Ratzinger nella sua partecipazione ai lavori del sinodo dei vescovi. 

    La Pentecoste è infatti il luogo e l’orizzonte permanente della genesi ecclesiale, in cui si evidenziano i suoi tratti costitutivi. Ad esempio, proprio a Pentecoste, con facilità si può cogliere la natura apostolica della Chiesa: la Chiesa nasce a Pentecoste come collegio degli apostoli radunato in unità intorno a Pietro e a Maria. Proprio a Pentecoste la Chiesa parla già tutte le lingue e si può sorprendere la sua natura peculiarmente universale e cattolica, che precede ogni particolarismo (cfr. Congregazione per la dottrina della fede, Communionis notio, n. 9). Proprio a Pentecoste si può cogliere poi la perenne origine “dall’alto” della Chiesa, che è garanzia della oggettiva santità, della vita nuova che essa veicola. Quest’ultimo fatto ci rivela anche che la compagine ecclesiale, proprio perché la sua origine è teologica, non è una realtà che possiamo organizzare o manipolare a nostro piacimento, come si potrebbe fare con un qualsiasi organismo di origine umana. 
    Fin dalla Pentecoste, dunque, la Chiesa emerge con tutte le sue note peculiari che risplendono nella loro originaria pienezza e bellezza: unità, apostolicità, cattolicità e santità. E a motivo di questa sua originaria e inalienabile identità, la Chiesa ha una sua propria costituzione e un suo scopo, stabili e permanenti, che non si dona da sé. È per questo che tutti gli strumenti di cui essa stessa si può pure dotare, per realizzare quegli scopi che le indica il suo Signore e fondatore, sono tanto pertinenti ed adeguati a essa, quanto sono in grado di manifestare e attuare fedelmente i suoi elementi costitutivi, senza dimenticarne alcuno.
    Se è vero ciò, si comprende perché, a differenza di altre istituzioni politiche o sociali, ciò che riguarda il governo della Chiesa non attiene principalmente a una tecnica di gestione o di distribuzione del potere, come ci ricorda anche il cardinale Ratzinger nel suo intervento all’Assemblea generale straordinaria del sinodo nel 1985 (cfr. pp. 119ss). 

    A volte, a uno sguardo superficiale, una prassi di governo plasmata secondo modelli essenzialmente politici sembrerebbe facilitare di molto le cose, e chi è avvezzo all’uso del potere, tende spesso a inclinare in questa direzione, magari inconsapevolmente. In tal modo, tuttavia, non saremmo fedeli alla natura stessa di ciò che Dio ha voluto realizzare con la Chiesa e alla sua origine “dall’alto”. Questo fatto richiede allora di usare una estrema cautela nel modulare ogni istituzione ecclesiale.
    A questo livello, l’immagine di Cristo Buon Pastore è insuperabile. Governare nella Chiesa è anzitutto esercitare il potere di accogliere e di offrire agli uomini la vita buona che viene da Dio e di custodire con ogni mezzo questa vita: è il compito di “pascere il gregge”. 
    «Gesù è il Pastore Supremo della Chiesa ed è nel suo nome e mandato che noi abbiamo la cura di custodire il suo gregge con piena disponibilità, fino al dono totale delle nostre esistenze», richiama Benedetto XVI nel suo Discorso ai membri dell’undicesimo Consiglio ordinario del sinodo dei vescovi (cfr. p. 517).
    A differenza dei normali pastori, Gesù Cristo non vive sulle spalle del gregge e non si nutre di esso, ma egli stesso «ci nutre con la sua carne e il suo sangue» (p. 516). È perciò all’immagine di Cristo pastore che il vescovo deve conformarsi, configurando nella sua esistenza ecclesiale l’immagine di Cristo stesso. Questa è l’insistenza e la prospettiva del magistero ecclesiale, che possiamo rinvenire tanto nell’insegnamento di Benedetto XVI quanto in quello di Papa Francesco, il quale sottolinea in continuazione questo punto.

    Proprio Gesù buon pastore ha generato la Chiesa, come sua sposa e suo corpo, quale ambito della comunione: comunione di Dio con gli uomini e comunione degli uomini fra loro. La communio struttura infatti la Chiesa a ogni livello, ne rappresenta l’origine permanente, il metodo sempre attuale e lo scopo verso cui è sempre attratta, come in un continuo esodo dal suo status quo.
    Questa è anche la prospettiva nella quale siamo invitati a guardare al sinodo dei vescovi. Ogni sua strutturazione è chiamata a porsi al servizio di Cristo Buon pastore e della comunione che egli non smette di donare. Ogni attuazione sinodale è dunque chiamata a far risplendere nel mondo l’origine “dall’alto” della Chiesa e tutte le sue note nella loro peculiare identità e bellezza.
    Il sinodo, infatti, ha lo scopo precipuo di «favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi», come afferma il codice di diritto canonico al canone 342. Anzi, esso raggiunge il suo scopo quando rende tale unione «più evidente e più efficace» (Regolamento del Sinodo, Proemio). L’unità dell’episcopato è infatti uno dei segni e dei tratti indelebili che costituiscono la Chiesa e ne manifestano la natura comunionale.

    Il Papa e i vescovi, cum Petro et sub Petro, rendono attuale con la loro comunione il collegio apostolico. Come Pietro e i dodici costituiscono il volto della Chiesa delle origini, così il Successore di Pietro e il collegio episcopale ne sono l’attuazione di sempre. Recita infatti la costituzione Lumen gentium al n. 22: «Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro». Se da una parte il Papa è «il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione» (n. 18) per la Chiesa universale, dall’altra i vescovi lo sono per le Chiese particolari (cfr. n. 23). 
    Il munus episcopale di Pietro e quello degli apostoli sono i due elementi di diritto divino che strutturano la Chiesa e ne sono i cardini irrinunciabili all’interno dell’unità di tutto l’episcopato. Entrambi sono elementi costitutivi dell’ecclesialità e dell’unità ecclesiale, unità ed ecclesialità che, se ne sono prive, ne rimangono inevitabilmente ferite. «Perciò, “quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all’insieme dei Vescovi, anch’essi “vicari e legati di Cristo” (Lumen gentium, n. 27). Il vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all’esercizio personale del primato né lo deve relativizzare» (Congregazione per la dottrina della fede, Considerazioni. Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa, n. 5). 

    Nello stesso tempo il concilio Vaticano II ci ricorda che «il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo (...). Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice» (Lumen gentium, 22).
    Questa è la comprensione cattolica della Chiesa come hierarchica communio.

    A servizio di questa visione comunionale si pone dunque il sinodo dei vescovi. Proprio per il fatto che è chiamato a manifestare sempre meglio «lo spirito di comunione che unisce i Vescovi con il Romano Pontefice e i Vescovi tra di loro» (Regolamento del Sinodo, Proemio), esso non ha una funzione sostitutiva o surrogativa né del Papa né del Collegio dei vescovi. Collegio che non può ritenersi tale se non è compreso nella sua interezza, poiché esso ha la funzione di rendere sempre più efficace, intensa e concreta la communio dei vescovi col Papa e dei vescovi fra loro. 
    Perciò il sinodo ha una funzione che mira non tanto a frapporsi fra i soggetti che vi sono implicati — Papa e vescovi — fungendo da intermediario o da raccordo indiretto, bensì di avvicinarli e di favorirne più direttamente l’unità. 

    In tal senso, si comprende perché il sinodo abbia essenzialmente e normalmente una funzione consultiva e non anzitutto deliberativa. I luoghi della deliberazione consistono infatti negli elementi costitutivi dell’unità ecclesiale — nel primato petrino e in quello apostolico — del Papa, del collegio col Papa e dei singoli vescovi. 
    E ciò sempre nell’ampio orizzonte dell’unità di fede e comunione ecclesiale, alla cui tutela e servizio è posto in primis il ministero del Successore di Pietro. La qual cosa si evidenzia particolarmente a proposito del sinodo: esso «è un evento in cui si rende particolarmente evidente che il Successore di Pietro, nell’adempimento del suo ufficio, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa» (Pastores gregis, n. 58).
    Questo fatto ci aiuta anche a comprendere perché il sinodo dei vescovi da un lato non può essere assimilato a un «Concilio permanente» — perciò il codice di diritto canonico, al canone 342, dice che «il Sinodo dei vescovi (...) si riunisce in tempi determinati»; né, dall’altro, può sostituire il concilio ecumenico. 

    E anche perché il Sinodo, per sua natura, non può divenire un organismo stabile di governo della Chiesa, retto da principi simili a quelli che regolano molte democrazie o istituzioni politiche. 
    A testimonianza di ciò, va rilevato come non la maggioranza, bensì il consensus tendente all’unanimità è infatti in Ecclesia il criterio fondamentale con cui si prendono decisioni tanto nel Sinodo come in ogni altra eminente assemblea ecclesiale. L’unanimità è infatti il criterio ecclesiale di una verifica, svolta alla luce della fede, nonché garanzia e sigillo dell’azione dello Spirito, «anima dell’unica Chiesa di Cristo» (Pastores gregis, n. 58), della bontà e verità delle decisioni ecclesiali. Senza azione e guida dello Spirito non sarebbe possibile accedere alla Verità, verso cui il Paraclito ha sempre una funzione oggettivante in vista di una fedele benché creativa continuità della Tradizione ecclesiale.
    Se così non fosse, non la verità e la fede, bensì la politica e le lobbies dominerebbero la genesi delle decisioni ecclesiali e, di conseguenza, anche il vissuto della Chiesa tutta ne sarebbe ferito. 
    Proprio a tutela di ciò si pongono le esigenze esposte sopra, il cui unico scopo è consentire ancora oggi all’amore di Cristo, di Colui che è Pastor aeternus, di intervenire nella formazione delle più importanti decisioni nella Chiesa, poiché est amoris officium pascere dominicum gregem (Agostino, In Iohannis Evangelium, PL 35, colonna 1967).

    Un raggio di questo amore di Gesù per il suo gregge ce lo ha fatto intravedere Eterović, collazionando questi contributi di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ai diversi sinodi cui ha avuto modo di intervenire, dapprima come vescovo, poi come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e infine come Papa. 

    L’Amore «è l’essenza stessa di Dio», scrive Benedetto XVI (cfr. p. 516). Questo Amore «interessa ogni uomo e tutto l’uomo» e ci spinge a proclamare «senza timori e reticenze, mai cedendo ai condizionamenti del mondo» (ibidem) la Verità di Cristo e il suo vangelo di salvezza. Verità e Amore sono indissolubili, così come indissolubili sono i munera di Cristo maestro e Cristo pastore. A servizio di questo connubio di Verità e Amore sono posti ogni istituzione, ogni compito e potere, ogni carisma nella Chiesa.

    L'Osservatore Romano, 30 aprile 2014.







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • Passa alla versione desktop