Madre Antonia Lalìa

La Basilica di S.Sisto all'Appia, splendore di Madre Lalia

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    Caterina63
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    00 16/02/2009 15:22
    Amici....come sapete non solo sono Domenicana Laica.....ma la storia che sto per raccontarvi attraverso la mirabile penna dell'amato Padre Raimondo Spiazzi O.P. di venerata memoria, mi riguarda da vicino....Qui è stata la mia familgia per 16 anni..... [SM=g27988]  si sono cresciuta qui dentro, nel primo Monastero (di allora) fondato da san Domenico in Italia....

    San Domenico vi mise le prime Monache di Clausura quando il Papa gli affidò il compito di riformare i conventi Claustrali.....naturalmente la Basilica è assai più antica, san Domenico la trovò e la usò bene....

    Poi cadde in un abbandono totale diventando zona paludosa ed inospitale e nel 1870 una giovane Monaca domenicana siciliana, di Misilmeri, ebbe in visione dallo Spirito Santo l'ordine di andare a Roma per ridare vita alla Basilica in stato di completo abbandono...quella suora si chiamava Madre Antonia Lalìa....
    Il resto, se ne avrete piacere, leggetelo, è un pezzo della nostra storia che trova origine dal tempo paleocristiano....

    Fraternamente CaterinaLD

    PRESENTAZIONE di P. RAIMONDO SPIAZZI O.P. quando era Rettore della Basilica S.Sisto a lui ed alle Suore Domenicane dedico questa divulgazione 


                                          

    La Basilica di San Sisto all'Appia, come è denominata nella nomenclatura ecclesiastica, è una delle più venerande di Roma.
    Sorta tra le altre paleocristiane del V secolo, ricostruita da Innocenzo III, affidata a San Domenico da Onorio III, restaurata nei secoli del Rinascimento, di nuovo ristrutturata nel Settecento da Benedetto XIII, dovette subire il logorio causato dall'umidità e dalla insalubrità della zona che si rivelava, senza dubbio bellissima e archeologicamente ricca, ma poco abitabile. Ciò spiega i ripetuti abbandoni, i deperimenti, i successivi restauri e rifacimenti della Basilica e del complesso sistino che vi fa capo.

    La tenacia nel conservare e nel restaurare o ricostruire (secoli V, XIII e XVIII) questo vetusto monumento, è dovuta alla sua appartenenza al novero delle prime basiliche cristiane, alla "naemoria" del Papa martire San Sisto II del quale, secondo la tradizione agiografica ed epigrafica, custodisce le reliquie, alla "memoria"di San Domenico che qui fondò il primo monastero di perfetta clausura in Roma, al valore religioso e artistico degli edifici, degli ambienti monastici, dei dipinti - tutto vi è così sobrio ma distinto! - e, nell'ultimo secolo, alla presenza delle Suore Domenicane che per volere della Fondatrice, Suor M. Antonia Lalìa, prendono il nome da San Sisto. Tutte ragioni valide che, con íl rísanamento e l'abbellimento della zona, imponevano ancora una volta il restauro di tutto il complesso sistino, avvenuto in questi ultimi anni a cura di dette Suore Domenicane.

    Il complesso monumentale di San Sisto Vecchia - chiesa, torre campana¬ria, chiostro, capitolo e refettorio di San Domenico - si trova nell'ampia val¬lata compresa tra le pendici occidentali del Celio e il secondo colle A ventino, da una parte, e, dall'altra, tra il Circo Massimo e le Terme di Caracalla. Quest'area venne sistemata a parco pubblico negli anni 1910-1911, dopo una serie interminabile di rinvii determinati dalle polemiche sui progetti, che videro impegnati anche grossi nomi della cultura e della politica romana del dopo 1870, quali Ruggero Bonghi e Guido Baccelli (1). Nella toponomastica l àrea fi¬gura col nome di Parco di Porta Capena. Ma è comunemente indicata come Passeggiata Archeologica. Il viale centrale porta il nome di Via delle Terme di Caracalla; quello parallelo, a destra di chi proviene dalla Via Appia, è Via delle Fonti delle Camene; a sinistra, nel tratto tra la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo e il Circo Massimo, costeggiante lo Stadio delle Terme, ma oltre le Ter¬me, si snoda il Viale Guido Baccelli, a cui si accede dal Piazzale Numa Pompi¬lio attraverso la Via Antoniniana.

    Già il Card. Cesare Baronio (1538-1607), discepolo e compagno di San Fi¬lippo Neri (1515-1595), essendo "titolare" della chiesa dei Santi Nereo e Achil¬leo aveva fatto restaurare l'edificio sacro e la zona antistante, inserendovi alcu¬ni reperti archeologici che fino a pochi anni fa abbellivano la zona: in parte ab¬battuti, in parte ritirati negli ultimi tempi per salvarli, non certo dai "barbari'; che seminarono in questi luoghi le rovine tuttora sotto gli occhi di tutti, e nemmeno dai lanzichenecchi (o anche solo da nuovi... `BarberinO, ma dai 'nuovi barbari'; quelli del malcostume e dalla malavita che infestano anche questa parte di Roma e la Via Appia.

    Il presente volume è stato composto per offrire ai visitatori le notizie storiche e archeologiche essenziali, una guida per la visita da compiere e un souvenir dell'esperienza, vogliamo sperare, piacevole e fruttuosa che avranno fatto nel loro contatto con le cose antiche e belle qui esistenti. Se saranno anche pellegrini, il ricordo riguarderà, come sempre avviene, principalmente la Chiesa dei martiri e delle basiliche, San Domenico e il suo Ordine, il monastero di clausura - oggi trasferito a Monte Mario - e le suore di vita attiva, il campanile romanico, il chiostro e il capitolo nel loro significato religioso. Su tutte le `memorie'; avrà il primato quella dell'icona della Madonna detta di San Sisto, riprodotta nella vetrata dell'abside della Basilica.

    Il contenuto del volume è tratto dalle opere che studiosi autorevoli e sicuri hanno dedicato a San Sisto negli ultimi decenni.
    Una storia più completa e documentata è in preparazione e si spera di vederla pubblicata entro il 1993, anno centenario della fondazione delle Suore di San Sisto.

    Il Libro “San Sisto all’Appia”, che qui è riprodotto parzialmente, può essere richiesto a:
    Suore Domenicane Missionarie San Sisto, Via Druso 2 – 00184 Roma -
    Naturalmente anche per visitare tutto il complesso è possibile farne richiesta tanto più che le Suore hanno la possibilità di ospitare i pellegrini che si recano a Roma


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 16/02/2009 15:27
    Prima di parlare della Basilica di San Sisto, è necessario immergersi nello scenario attiguo perchè è strettamente legato e ci ricorda di una famosa Icona Bizantina legata alla storia della Basilica e all'Ordine Domenicano, portandoci indietro nel tempo, alle origini del Cristianesimo........ 

    2. IL "MONASTERIUM TEMPULI"

    "Oltre ai resti della famosa Porta Capena, un'altra testimonianza, sebbene poco nota e ampiamente snaturata, rimane ancora in evidenza. Si tratta di una memoria pagano-cristiana, e profana, con un primo nucleo risalente ad età imperiale. Nello stato attuale, essa, pur ricca di carattere, e fascino, ha forma indefinibile, oscillante tra la base di una fortezza e il nobile casale di campagna, rinascimentale.

    «Probabilmente, quel casale in rovina, sul principio della passeggiata archeologica, corrispondente a quello della Vigna Calcagnini (Nolli, f. 14), nel quale si trova innestato un rudere di campanile - scriveva 1'Huelsen nel 1927 - é un avanzo della chiesa di Santa Maria in Tempulo» (9). Dopo questo illustre studioso tedesco, altri due noti ricercatori dell'Ordine Domenicano, P. Alberto Zucchi, nel 1937, e P. Vladimiro J. Koudelka, nel 1961 (10), quantunque non del tutto d'accordo su di un'unica opinione, chiarirono sulla base di documenti conservati nell'archivio dell'Ordine l'esatta natura di questo particolare monumento dell'Appia, ovviamente contestando tutte quelle fonti che per errata e condizionata lettura dei testi ne avevano alterata la fisionomia, e spostato persino l'ubicazione.

    Tuttavia, neppure a questi due meticolosi ricercatori fu possibile, se non per via di congetture, stabilire l'esatta origine del monastero - giacché di un monastero si tratta - che viene menzionato nella vita di Leone III, per l'anno 806. Questo pontefice, infatti - riferisce il Liber Pontificalis (11) -, donò all'oratorio di S. Agata... (sito) nel monastero Tempulo una lampada d'argento del peso di due libbre. Da questo passo si apprende che nel monastero in Tempulo, o in Tempore (con questi appellativi esso verrà costantemente indicato dalle fonti, anche quando nel X secolo assumerà l'appellativo liturgico di S. Maria, col quale rimarrà poi noto), era situato un Oratorio dedicato alla martire Agata: la santa di Catania che, in Roma, godeva già in quel tempo di grande venerazione, e alla quale erano stati dedicati diversi oratori e chiese. Basterebbe ricordare per questo S. Agata in capite Suburrae, o dei Goti, menzionata già nella vita di Gregorio Magno (590-604).

    Il nostro monastero, che sorgeva, come detto, nel primo tratto urbano della Via Appia, ospitava un'esigua comunità di monache benedettine e, pur possedendo alcuni piccoli terreni nella città e un'ampia tenuta al decimo chilometro circa della Via Laurentina, non godette sempre di una florida vita economica. Almeno fino a quando le religiose che lo abitavano non furono trasferite, nel 1221, nel vicino monastero di San Sisto, che il Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, San Domenico di Guzman, aveva organizzato fin da qualche anno prima per incarico di Papa Onorio III, per ospitarvi alcune comunità di religiose, le quali per espressa volontà del Pontefice avrebbero dovuto uniformarsi e seguire, "sub arcta clausura et diligenti custodia", la disciplina delle suore di Prouille che, in numero di otto, erano state fatte venire appositamente a Roma, per darne l'esempio.

    Per quanto riguarda l'insediamento delle tempuline del monastero dell'Appia, P. Zucchi, riferendo il testo di una Bolla [che il Martinelli, in opposizione alle tesi del Torrigio e del Berthier che l'attribuivano a Sergio III (904-911), retrodata al pontificato di Sergio I (687-701)] con la quale quest'ultimo Pontefice, per provvedere all'estrema povertà in cui si era venuto a trovare il monastero per le spoliazioni e devastazioni perpetratevi da orde barbariche (paganica infestatione affectas et omni modo depraedatas vel annullatas), gli fa dono del Casale di Casaferrata con due pantani (12), trae la conclusione che, se i beni del monastero sotto il suddetto Pontefice erano stati devastati, essi dovevano già da tempo esistere. Dunque, non andando lontano dal vero - egli dice - se ne può fissare la fondazione ai primi del VII secolo (13).

    (Come scrive il domenicano Koudelka), «il nostro monastero, che aveva un oratorio dedicato a Sant'Agata, e che nella forma più antica appare col nome di monasterium tempuli, e nel 977 figura con l'appellativo liturgico di monasterium sanctae Mariae qui sic vocatur Tempuli, poiché allora aveva una chiesa pubblica e non più un oratorio privato, figurando anche nelle carte che vanno dal 1035 al 1205 con le varianti col cognome: in Tempuli, in Tempoli, in Tempore (quest'ultima forma è ovviamente dovuta ad un effetto di rotacismo, corrente nel dialetto romano), ha derivato il suo appellativo - non appartenendo esso all'onomastica romana e non essendo quindi il genitivo del nome di persona - dal genitivo del neutro latino Tempulum (14).

    Il monastero primitivo dovette sorgere sopra e intorno ad una cella memoriae, costruita a forma di piccolo tempio (donde il nome), che servì come primo oratorio» (15).

    Il P. Vladimir Koudelka O.P., in una rielaborazione del suo studio sulle origini di San Sisto (16), riafferma e precisa che l'esistenza del monastero di Santa Maria in Tempulo "viene attestata già intorno all'800 e la sua fondazione è dovuta senza dubbio alle monache greche fuggite da Bisanzio durante le persecuzioni iconoclastiche. Le monache trovarono rifugio all'ombra del convento di San Gregorio in Clivo Scauri, occupato nello stesso tempo dai monaci greci fuggiaschi dall'Oriente. Nella zona, archeologicamente tanto ricca, non era difficile rifugiarsi e stabilire la propria dimora in una delle rovine romane. C'erano ancora i resti ben visibili di Porta Capena e delle Mura dette Serviane del IV sec. a. C., le rovine del tempio di Onore e Virtù e altre.
    Detto monastero non era né grande né ricco. Anzi, avendo sofferto le incursioni saracene, le monache vi vivevano in grande povertà. Il Papa Sergio III, per rimediare a questo stato di cose, regalò al monastero, nel 905, una grande proprietà di circa 150 ettari, chiamata Casa Ferrata, sulla Via Laurentina fuori città, con l'obbligo alle monache di cantare ogni giorno cento volte il Kyrie eleison e Christe eleison. Oltre a questa proprietà, il monastero possedeva anche una vigna davanti alla chiesa, un orto al Circo Massimo e un terreno fuori Porta San Paolo. Migliorate cosi le condizioni materiali del monastero, nel X sec. si poté costruire un campanile attiguo alla piccola chiesa.

    Tutto questo, lo apprendiamo da 33 pergamene che vanno dal 1150 al 1220, e vengono attualmente conservate nell'Archivio dell'Ordine Domenicano. Esse sono per noi molto preziose, perché sono considerate reliquie di San Domenico, avendole egli toccate con le sue mani. Sono state queste pergamene ad aiutarci a stabilire con sicurezza 1'ubicazione precisa del monastero nella Via della Valle delle Camene, a circa 150 metri dalla chiesa di San Sisto, e ad identificare l'entità della sua rovina. Questa identificazione era necessaria, data la confusione dei copisti medioevali che scrivevano spesso Santa Maria in Trastevere per Santa Maria in Tempulo.

    Questo tempio, uno dei più caratteristici ricordi di San Domenico a Roma, si trova oggi in uno stato desolante e totalmente negletto. Una parte serve da studio a un esimio scultore che ha provveduto a un certo riattamento del locale e, soprattutto, a impedirne una peggiore rovina. Solo una cappellina al di là della strada rammenta al pellegrino o turista attento che i ruderi antistanti, un tempo, erano un edificio sacro (17).

    Dalle menzionate pergamene apprendiamo anche molti nomi di badesse e semplici monache che si avvicendarono nel monastero, e di quelle che qui vissero nel tempo di San Domenico. Nel modesto edificio abitavano allora la badessa Eugenia e cinque consorelle, delle quali la più giovane era Suor Cecilia. A costei spetta il merito di averci lasciato molti suggestivi ricordi circa l'attività di San Domenico a favore delle donne e monache romane, e circa la fondazione di San Sisto.

    L'ardente parola del Santo conquistò le monache di Santa Maria in Tempulo che si dichiararono disposte, eccetto una, a farsi riformare e ad andare ad abitare nel nuovo monastero di San Sisto sotto la direzione di Domenico e dei suoi frati, a condizione però che l'immagine della Beata Vergine, venerata nella loro chiesetta, fosse traslocata nella chiesa di San Sisto. Se tale immagine fosse tornata alla sua chiesa primitiva, le monache si sarebbero ritenute prosciolte da tale decisione" (18).


             



    Veniamo ora all'Icona Bizantina........

    3. L'ICONA BIZANTINA DI SANTA MARIA

    A questo punto ci viene incontro lo Scarfone, con altre notizie e precisazioni, e qualche anticipo circa l'Icona che dava il titolo al Tempulum e che poi prese il nome da San Sisto (19).

    "Il monastero in Tempulo, prima della fine del IX sec., si trasforma in un piccolo santuario mariano, per il culto e la grande venerazione che vengono tributati ad una sacra immagine della Vergine (che in seguito sarà) comunemente detta la Madonna di San Sisto. Si tratta di un dipinto, eseguito su di una sottile tavola di tiglio, in cui la Madonna è rivolta a destra ma ha lo sguardo verso lo spettatore. Ha la mano destra non dipinta, ma ritagliata in una lamina d'oro e sovrapposta; mentre quella sinistra è di metallo dorato. Tutta la composizione poi - e in questo anche consiste la sua particolarità - è stata realizzata su tre fasce di differenti materie. Nella parte alta, infatti, il volto è dipinto su cera, mentre la maggior parte del corpo compreso nella parte centrale è su gesso, e infine nella zona inferiore (allo stato attuale vi rimangono poche tracce di colore) è stato dipinto direttamente sulla tavola.

    Questa straordinaria Immagine, che si disse "Dei omnipotentis ineffabili virtute depicta", (dipinta in virtù di un ineffabile intervento di Dio onnipotente), e che non conosce esempi similari nella storia dell'arte, accompagna alla delicatezza dei lineamenti del viso una immensa soavità di espressione, che risulta - se il volto viene analizzato separatamente nelle due metà che lo compongono - dalla felice sintesi di due estrinsecazioni: di soavità appunto l'una, di mestizia l'altra.

    Bisogna dire che questo straordinario polimaterico, se non è proprio l'originale greco che era venerato a Costantinopoli col titolo di Hagiosorotissa, dal nome del piccolo tempio (o arca) in cui erano conservate oltre a detta immagine anche due reliquie della Vergine, certamente ne è copia fedelissima. Purtroppo, neanche dopo l'accurato restauro operato sulla tavola nel 1960 (20) è stato possibile stabilire la data esatta della sua esecuzione, che comunque viene fatta risalire al VII secolo.

    Detta Immagine, dopo essere stata per secoli in Santa Maria in Tempulo - donde il 28 febbraio 1221 le monache furono persuase a traslocare, anche per le ragioni sopra accennate -, venne portata nella vicina chiesa di San Sisto, dove rimase per 356 anni. Dopo questo tempo, essa venne nuovamente traslocata nella nuova sede dei Santi Domenico e Sisto a Magnanapoli, fatta costruire per ospitare la comunità domenicana che non poteva più vivere nell'antico monastero sistino.

    Infatti - anche secondo i motivi contenuti nella cronaca di Suor M. Domenica Salomoni (21) - la zona di San Sisto era divenuta inabitabile per l'abbandono delle colture dei campi intorno: cosa che produceva insicurezza materiale, e morale, nelle religiose ("impedimenti nell'hagumento dello spirito", scriveva a questo riguardo Suor Salomoni). Ed anche perché, esendo state dirottate le acque dei canali (è da ricordare che proprio vicino al monastero passava la notissima marrana, che oltre a fornire acqua per i campi azionava anche alcune mole), si era venuto a produrre "1'alto grande travaglio di una carestia" (22). Cosicché, "essendo disabitato ogni contorno", l'aria, "traendo a sé quei mali vapori che dalli luoghi vicini infetti di pestilenza sogliono uscire", aveva reso la zona altamente malarica.

    Per una strana coincidenza, anche dalla sede di Magnanapoli le suore dovettero traslocare dopo esattamente altri 356 anni. E lo fecero questa volta per la chiesa del SS. Rosario a Monte Mario, che, dopo lungo e laborioso iter di trattative tra lo Stato e l'Ordine, fu loro consegnata nel 1931. Qui le monache trasferirono la loro miracolosa immagine, nel coro della chiesa.

      

     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 16/02/2009 15:38
    5. LA BASILICA PALEOCRISTIANA DI SAN SISTO

    Riprendiamo la Guida del Pietrangeli per avere notizie archeologiche precise sulla chiesa di San Sisto. Egli scrive:
    "La prima menzione di questo sacro edificio, documentato, come vedremo, da importanti resti databili tra la fine del IV secolo e gli inizi del V secolo, è nel Liber Pontificalis, nella vita di Anastasio I (399-401) in cui si ricorda come il Pontefice fecit autem et basilicam, quae dicitur "Crescentiana" in regione II, Via Mamurtini, in urbe Roma. L'identificazione di San Sisto con il titulus Crescentianae fu molto discussa ma fu accettata ipoteticamente dal Duchesne, dal Mommsen, e dal Kirsch, mentre l'Armellini avanzò l'ipotesi che si trattasse del titulus 7 igridis.

    Recentemente il Geertman ha approfondito la ricerca ipotizzando che la regione ricordata sia la II ecclesiastica e che la Via Mamurtini sia da correggere in Via Mamertina, da porre in rapporto col balneum Mamertini ricordato nella Regio I sia nel Curiosum che nella Notitia; esso potrebbe prendere il nome dal suo costruttore M. Petronius Mamertinus praefectus praetorio dal 139 al 143.

    La Via Mamertina dovrebbe corrispondere all'incirca alla attuale Via Druso. Nel 499 i presbiteri del titulus Crescentianae firmano le decisioni prese nel sinodo di quell'anno, ma successivamente non appaiono più mentre nel 595 è presente il presbiter Felix tituli Sancti Sixti. Da allora il titulus Sancti Sixti compare regolarmente nei documenti; è ricordato nel 600 in una lettera di Gregorio Magno e il suo presbitero Giovanni firma il protocollo del sinodo del 721.
    Adriano I (772-795) rinnovò la chiesa che ebbe donazioni al tempo di Leone III (795-816) e Gregorio N (827-844) e accanto ad essa sotto Leone IV (847-855) è ricordato il monasterium Corsarum.

    Ma per trovare un rifacimento della chiesa documentato da resti sicuri occorre scendere ai tempi di Innocenzo III (1198-1216); la fabbrica paleocristiana, parzialmente interrata, fu ricostruita a livello più alto (oltre 2 metri) ad unica navata e in proporzioni più piccole; solo si conservò l'abside e si eresse ex novo il campanile" (28).

    Claudio Sterpi descrive cosi la basilica paleocristiana, in base alle rilevazioni del Geertman:
    "Nell'abside si aprivano tre finestroni, due dei quali ritrovati murati, forse per ragioni di staticità. Misuravano m. 2,70x4,95.
    La basilica aveva un quadriportico, il cui ingresso era sulla Via Mamertina (all'incirca dove ora passa Via Druso), strada nella quale si trovava il "Balneum Mamertinum" cioè i bagni costruiti da Marcus Petronius Mamertinus, Prefetto Pretorio dal 139 al 143.
    La primitiva facciata venne ricoperta da un muro durante i lavori eseguiti nel sec. XIII e a questo muro, cinque secoli dopo, venne appoggiata l'attuale facciata costruita tra il 1725 e il 1728.
    Undici arcate in laterizio, con mattoni di circa cm. 60 (bipedali) di lunghezza e di cm. 4 di spessore per la volta e di mattoni più corti messi a spina per i pilastri, sostenuti da dodici colonne alte m. 3,60 con capitelli a due ordini, molto belli (cinque dei quali ancora in situ), davano slancio a un piano sul quale si aprivano dodici finestre di m. 1,80x3,00. L'intercolumnio di m. 2,50, era nella proporzione classica delle costruzioni dell'epoca.

    Delle colonne originarie sei sono rimaste al loro posto, mentre quattro sono state riutilizzate nell'ingrandimento della vicina Aula Capitolare, unitamente ad altre due più piccole. Tutte le colonne ritrovate sono di granito grigio tranne una di marmo bianco.

    Il soffitto era a capriate e il pavimento in "opus sectile marmoreum", cioè a tasselli di marmi policromi. La lunghezza della basilica superava i 47 metri, mentre la larghezza totale delle tre navate era di metri 25,50, con il quadriportico la misura totale raggiungeva i metri 71,50. Poco elevata doveva essere invece l'altezza, calcolata sui m. 13,25. Da alcuni frammenti ritrovati, sembra che l'intonaco fosse decorato con dipinti e mosaici.
    Le prime notizie sicure su San Sisto risalgono soltanto alla fine del sec. VI per merito di San Gregorio Magno che ricorda nei suoi dialoghi la nomina di un prete di nome Basso e un altro di nome Bonifacio, al titolo della basilica. Inoltre al terzo Concilio, tenuto dallo stesso San Gregorio nel 601, si cita il presbitero Felice, quale titolare di San Sisto.

    In quella basilica veniva svolto lo scrutinio (o esame) dei catecumeni, prima di ammetterli al Battesimo del Sabato Santo che veniva impartito nel non lontano Battistero Lateranense.
    L'importanza della basilica di San Sisto nei primi secoli é confermata dal fatto che già all'epoca di San Gregorio Magno (590-604) era Stazione Quaresimale. Ancora oggi conserva questo privilegio e il rito viene celebrato il terzo mercoledì dopo le Ceneri.
    La chiesa, come ricorda il "Liber Pontificalis", fu restaurata al tempo di Adriano I (772-795), mentre fu colmata di doni dal successore Papa Leone III (795-816). In quegli anni in San Sisto erano conservate moltissime reliquie di santi martiri, in seguito trasferite in diverse chiese romane.
    Sotto Innocenzo III (1198-1216) la chiesa subì le più importanti trasformazioni.
    La storia della chiesa é infatti da quel tempo intimamente legata alla storia del monastero attiguo" (29).







    Le mie Suore..... Occhiolino mentre si accingono alla Salve Regina Domenicana della quale ne abbiamo parlato qui: La protezione di Maria per l'Ordine Domenicano
    ....


    3. LA RIFORMA DI SANTA MARIA IN TEMPULO

    Per ordine del Papa, Domenico dunque, si accinse alla riforma del monastero e anzi alla riunione delle monache superstiti, con altre, nel nuovo edificio fatto costruire presso San Sisto.

    Le monache di Santa Maria in Tempulo non volevano staccarsi dalla loro devota e miracolosa immagine, veramente veneranda e venerata. D'altro canto Domenico poteva rassicurarle delle sue migliori intenzioni. Egli stesso dette poi nell'estate un resoconto della situazione al Papa. Onorio III, allora, spedi il 3 agosto 1218 ai canonici di Sempringham una specie di ultimatum, nel quale li esortava ad inviare prima di Natale quattro canonici a Roma per occuparsi del monastero di San Sisto e della riforma delle monache romane; altrimenti l'incarico sarebbe stato dato ad un altro Ordine.

    Subito dopo, Domenico parti per la Spagna e passò da Parigi per visitare i suoi religiosi, colà inviati da un anno, allo scopo di incoraggiarli ed aiutarli a risolvere i vari problemi, spesso molto difficili, che man mano andavano sorgendo. Di ritorno, si fermò a Bologna, da dove nell'autunno del 1219 parti per Viterbo, dove si trovava allora la curia papale, perché Onorio III era fuggito da Roma a causa delle `molestie procurategli dai romani'.

    Venendo a sapere del prossimo arrivo di due canonici di Sempringham e della loro intenzione di rinunciare a San Sisto, il Santo si recò subito a Roma, portando con sé un delicato ricordo dalla Spagna alle monache di Santa Maria in Tempulo, cioè alcuni cucchiai di legno di cipresso. Siccome la badessa e le suore non erano ferme nel proposito di accettare la riforma sotto la nota condizione, chiese a loro di nominare un procuratore ufficiale per le trattative presso la curia pontificia. Il che fu fatto, e le monache davanti a tale procuratore e a Domenico, fecero ufficialmente la promessa comprendente anche il trasferimento dei beni.

    All'inizio del dicembre, avendo i canonici di Sempringham, rinunciato alla chiesa e al monastero di San Sisto, di cui del resto non avevano mai avuto cura, il Papa affidò l'una e l'altro con il noto incarico, a Domenico, scrivendo in pari tempo ai frati e alle monache di Prouille, di Fanjeaux e di Limoux per annunciare la donazione fatta al loro fondatore e per comandare ad alcune di loro di tenersi pronte ad un eventuale trasferimento a Roma. Nello stesso tempo nominò una com¬missione cardinalizia che appoggiasse e sorvegliasse Domenico nella esecu¬zione di si importante progetto.

    Il primo commissario era il famoso card. Ugolino, che diventerà poi Papa Gregorio IX; il secondo, Stefano di Fossanova, che sotto Innocenzo III era il camerlengo pontificio (ossia ministro delle finanze), e perciò era anche il miglior conoscitore delle idee di questo Papa e dell'opera che gli stava tanto a cuore; il terzo era il card. Nicolò, vescovo di Frascati. Tornato da Viterbo, Domenico stabili una piccola comunità di frati presso San Sisto, nella casa adiacente al presbiterio della chiesa, di fronte a quella dei Santi Nereo e Achilleo: casa, purtroppo, per metà distrutta all'inizio di questo secolo, nella sistemazione della Passeggiata Archeologica.

    I frati dovevano aiutare Domenico, sorvegliare e sollecitare i lavori per portare presto a termine la costruzione del monastero. Egli stesso, intanto, visitava i cinque monasteri romani di Sant'Andrea di Biberatica, di San Ciriaco, di Santa Maria in Campo Marzio, di Santa Bibiana e di Santa Maria in Massima, con l'intento di conquistare alla riforma le monache che vi appartenevano. Il monastero di Sant'Agnese Fuori le Mura non era invece compreso nel progetto di riforma, trovandosi in migliori condizioni econo¬miche e con monache abbastanza numerose.

    Il successo di Domenico presso i monasteri visitati non fu molto buono: soltanto tre o quattro monache di Santa Bibiana e qualcuna degli altri monasteri si lasciarono convincere a cambiare vita e a seguirlo a San Sisto;
    altre rifiutarono ostinatamente, portando come pretesto la gloriosa e nobile storia dei loro monasteri e le venerande tradizioni trasmesse loro da tante antiche consorelle di santa vita, nascondendo con questi nobili riferimenti al passato la ragione principale del rifiuto, cioè la loro pigrizia e resistenza alla riforma.
    Nell'aprile del 1220, Domenico parti per Bologna, dove aveva convocato per il 17 maggio il primo capitolo generale del suo Ordine.

    *****************

    E per chi fosse interessato ad un Libro più approfondito, suggerisco il seguente:

    di Padre Raimondo Spiazzi O.P. La chiesa e il monastero di San Sisto all'Appia: raccolta di studi storici (Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1992).
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 16/02/2009 15:41
    II LA CHIESA DI INNOCENZO III
    1. IL PROGETTO DEL PAPA SU SAN SISTO


    Come scrive il P. Koudelka: "Innocenzo III aveva inserito nel programma del suo pontificato la riforma monastica. Magnanimo com'era, il suo progetto di riforma era grandioso e poteva dirsi veramente ispirato dalla sua generosità. Nel 1207 egli decise di costruire presso la basilica di San Sisto un grande monastero destinato a ricevere 60 monache, la quasi totalità delle monache romane di allora.

    Per quanto riguarda i monasteri femminili, Roma, al tempo di Innocenzo III, si presentava in maniera molto diversa dai tempi moderni.

    Oggi il viaggiatore scorge quasi in ogni strada romana una casa religiosa femminile. In quel tempo non vi erano che sette monasteri con circa 80 religiose in tutto. Nella maggior parte di questi monasteri vivevano solo da quattro a sette monache, esenti dalla clausura e senza disciplina. Perciò molte sorelle vagavano nella città, spesso senza dimora fissa. I monasteri andavano in rovina non soltanto per l'incuria delle monache, ma più spesso per la cattiva amministrazione, affidata per lo più ai loro parenti.

    Per esplicita volontà di Innocenzo III, le monache dovevano cominciare a vivere in severa clausura, fatto quasi nuovo in quei tempi, non essendo la stretta clausura ancora in uso, se si eccettuano i tentativi di introdurla fatti dai Cistercensi". Domenico stesso l'aveva introdotta a Prouille e Santa Chiara l'aveva scelta per il suo monastero di Assisi (30).

    Per i lavori di costruzione del monastero di riforma il Papa destinò una forte somma in oro e denaro prelevato dall'erario della Santa Sede. Non ci fa meraviglia, perciò, che i cronisti contemporanei ritengano la fondazione e la costruzione del monastero di San Sisto un'opera "gloriosa", seconda impresa edilizia a Roma del grande Papa, dopo quella della costruzione dell'Ospedale di Santo Spirito.
    Gli architetti del Papa, messisi all'opera, incontrarono certamente non poche difficoltà nel realizzarla.

    San Sisto si trovava allora lontano dal centro abitato, sull'antica Via Appia, di fronte alle Terme di Caracalla in rovina, in una zona deserta, ma dove non mancavano le chiese: Santa Lucia in Settesoli, Santa Maria in Tempulo, Santi Nereo e Achilleo, San Cesareo, San Giovanni a Porta Latina, Sant'Angelo. Sfortunatamente, la zona, essendo stata in epoca molto remota una profonda valle che si estendeva dal Tevere fra il Palatino e il Celio da una parte e i due colli dell'Aventino dall'altra, non aveva perduto completamente nel Duecento il suo carattere di valle. Era, é vero, meno profonda, ma sempre umida e paludosa. Proprio sotto il monte Celio scaturivano ancora le fonti delle Camene, nell'antichità ritenute sacre, mentre il rivo della marrana, proveniente dai colli romani e fatto deviare dal Papa Callisto II nella città nel 1122 (oggi sotterraneo), costeggiava la proprietà di San Sisto. I due mulini dietro la chiesa, ancora visibili e menzionati nel libro dei Miracoli di San Domenico dettato da Suor Cecilia Cesarini, una delle prime monache di San Sisto, rompevano il silenzio della zona e aumentavano la carica di umidità.

    La basilica di San Sisto era già in pessimo stato di conservazione. Il piano stradale, più alto dell'antica chiesa, facilitava le inondazioni e l'umidità. Perciò, gli architetti pontifici si erano mesi all'opera demolendo le navate laterali e costruendo su quella centrale, a livello del nuovo piano stradale, una nuova chiesa di proporzioni più modeste, ma a loro avviso più adatta … ad accogliere una comunità religiosa. Dopo parziali scavi recenti, sono venute alla luce anche le antiche colonne della chiesa, sulle quali si osserva il dislivello del suolo tra il sec. V e il sec. XIII.

    Le fondamenta della navata destra sono servite da fondamenta per un lato del chiostro, opera insigne in marmo di quell'epoca, come si può vedere ancora oggi all'ingresso e alle finestre dell'aula capitolare. Dopo la morte del Papa Innocenzo III, nel 1216, la costruzione non ancora terminata, fu molto probabilmente sospesa per mancanza di mezzi o forse per la mancanza di un uomo adatto che fosse capace di dare anima all'impresa e continuare l'opera nel senso voluto da Innocenzo III. Questo uomo Onorio III lo scoprì in Domenico, a cui poté dare l'incarico, nel 1218 non ancora ufficiale, di occuparsi della riforma delle monache romane.

    La chiesa e l'edificio del nuovo monastero di San Sisto appartenevano all'Ordine dei canonici regolari di Sempringham in Inghilterra, ai quali il loro fondatore San Gilberto aveva assegnato come fine particolare l'assistenza spirituale delle monache. Innocenzo III canonizzando Gilberto nel 1202 venne a conoscenza di questo fatto e ritenne opportuno affidare più tardi allo stesso Ordine il monastero che doveva essere nella Città eterna un centro di riforma monastica" (31).

    A sua volta il Pietrangeli scrive: "Onorio III nel 1219 tolse la chiesa ai Monaci di Sempringham presso Norwich e la affidò a San Domenico ed all'Ordine da lui fondato, ma la permanenza dei Domenicani in un luogo così appartato durò poco: nel 1220-21 essi si trasferirono a Santa Sabina e furono sostituiti dalle Suore Domenicane, primo ordine monastico di clausura. Nel 1222 è costruito un monastero: la data era documentata da un'iscrizione sulla porta, che oggi è perduta.

    Il “Catalogo di Torino delle chiese di Roma” (1320 circa) rende noto che nel monastero erano settanta monache e sedici Predicatori. Particolarmente venerata era una icona mariana del VII sec. già nel vicino Monasterium "Tempuli”; rimase a San Sisto per 356 anni; oggi è m Santa Maria del Rosario a Monte Mario col titolo di Nostra Signora del Rosario" (32).


     


    L'INGRESSO NEL NUOVO MONASTERO DI SAN SISTO

    Domenico tornò a Roma solo verso la fine del 1220 per il suo ultimo soggiorno, dopo il lavoro spossante di una missione predicata a fianco del cardinale Ugolino nell'Italia settentrionale. Visitando subito le monache di Santa Maria in Tempulo dovette constatare con rammarico un grande cambiamento nei loro sentimenti, col proposito di non mantenere l'impegno assunto.

    Durante la sua assenza, i parenti delle monache avevano rimproverato la badessa e le sue consorelle che, fidandosi di quello sconosciuto ribaldo, permettevano la rovina del loro antico e nobile monastero. Con questo pretesto essi occultavano in realtà il loro scarso interesse per l'economia del monastero. La badessa Eugenia, messa in difficoltà, diede in affitto un terreno per poter restaurare un po' il monastero e assicurare i necessari vestiti alle consorelle onde togliere cosi una delle ragioni che avevano indotto alla riforma.

    Domenico, venuto a conoscenza di queste cose, rimproverò energicamente le monache, essendo in gioco, per futili motivi, la salute delle anime. Dopo la severa predica, le monache dovettero rinnovargli la promessa e furono rinchiuse nel vecchio monastero. Domenico portò via le chiavi e inviò alcuni fratelli conversi che sorvegliassero il monastero notte e giorno e tenessero lontano dalla porta i parenti delle monache e gli altri secolari. Erano queste, anche per il monastero di San Sisto, le basi di una futura, severa clausura.

    (piccolo inciso: non vi spaventi leggere di questa severità, erano tempi difficili come sempre ci sono stati nella Chiesa la quale doveva provvedere che nulla potesse mettere in gioco la validità di quelle vocazioni. Erano anni in cui la dissolutezza e la leggerezza di nuovi modi di pensare e agire -come in fondo assistiamo anche alla nostra epoca - mettevano a dura prova non soltanto la pazienza dei Santi, ma si rischiava la rovina di tante altre anime coinvolte loro malgrado dalla spirale delle nuove mode. Non dimentichiamo che la stessa severa Riforma venne applicata dalla stessa santa Chiara di Assisi, anche Lei non senza problemi, ma animati, questi santi, dalla fiducia in Dio, con pazienza e carità vinsero la battaglia della nuova Riforma gettando semi per un futuro sempre più ricco di vocazioni e santità.....)


    Intanto i lavori della costruzione giungevano a termine. Domenico stabili, perciò, per il 25 febbraio 1221, mercoledì delle Ceneri (pratica già in uso), la solenne traslazione al nuovo monastero delle monache di Santa Maria in Tempulo, di Santa Bibiana e di altri monasteri, come pure di alcune donne secolari, tra le quali troviamo una parente di Innocenzo III. Le monache dovevano emettere ufficialmente la loro professione nelle mani di Domenico, il quale doveva sancire l'introduzione della clausura a San Sisto.

    Al canto dell'antifona Immutemur habitu, le monache romane dovevano cambiare l'abito religioso, che sarebbe stato unico per tutte. La data stabilita per tale cerimonia era anche molto comoda per la commissione cardinalizia. I tre cardinali, infatti, tenuti a partecipare alla cavalcata del Papa dal Laterano alla basilica di Santa Anastasia per la imposizione delle Ceneri e poi alla Messa solenne di Santa Sabina, potevano agevolmente recarsi con il loro seguito a San Sisto, di mattina presto, senza troppo deviare il loro percorso e soprattutto senza destare curiosità tra il popolo. L'avvenimento se fosse stato troppo vistoso avrebbe potuto causare una sommossa non solo tra i parenti delle monache, ma anche tra i devoti dell'icona della Vergine Maria. Con la scorta dei tre cardinali commissari, questa eventualità era meno probabile.

    Un altro fortuito caso, però, venne a turbare involontariamente lo svolgersi dell'avvenimento. Nella scorta del cardinale Stefano si trovava un suo giovane nipote di nome Napoleone. Questi cadde da cavallo proprio davanti al monastero di San Sisto così infelicemente che venne dato con sicurezza per morto. Domenico, lo restituì sano e salvo allo zio, ma la grande confusione e l'agitazione che il fatto causò fecero perdere tanto tempo che la cerimonia non potè più avere luogo. I cardinali, con il loro seguito, dovettero recarsi al Laterano e Domenico fu costretto a rimandare le monache nei loro rispettivi monasteri. Tre giorni dopo, il 28 febbraio, prima domenica di Quaresima, il Santo potè compiere il solenne atto e ricevere la professione delle monache. Tutto avvenne di notte, per timore dei romani, i quali erano contrari alla rimozione.

    Domenico trasferi, con l'assistenza di due cardinali, la miracolosa icona dalla chiesetta di Santa Maria in Tempulo a quella di San Sisto. L'immagine non tornò più alla sua antica chiesetta, confermando cosi la volontà di Dio circa il destino delle monache e togliendo loro il pretesto di far ritorno ai loro monasteri e ai loro passati costumi. A quell'immagine venne dato il nome di Madonna di San Sisto.

    L'icona - questo prezioso ricordo del Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, che egli portò con le sue mani a San Sisto e davanti alla quale egli pregó assieme alle sue figlie - resta anche oggi in mezzo alle monache da lui fondate, non a San Sisto però. Infatti, quando nel sec. XVI, resasi quasi inabitabile per la malaria la zona di San Sisto, le monache con l'aiuto di San Pio V costruirono il nuovo grandioso monastero dei Santi Domenico e Sisto sulle pendici del Quirinale, e vi si trasferirono, anche l'immagine della Vergine vi fu trasferita con loro nel 1575. Quando poi nel 1931, per poter dare una più degna sede all'Ateneo domenicano dell'Angelicum (attuale Pontificia Università San Tommaso), le monache dovettero lasciare anche questa loro seconda dimora ed essere trasferite a Monte Mario, sulla Via Trionfale dove ancora oggi risiedono. l'immagine le seguì nuovamente. Ora essa troneggia nel coro dell'attuale monastero, dedicato alla "Madonna del Rosario”.


     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 16/02/2009 15:49
    L'ESITO DELLA RIFORMA

    Dopo la fondazione di San Sisto, Domenico aveva altri gravi problemi da risolvere: in primo luogo, la poco fiorente situazione economica del monastero. I debiti di Santa Maria in Tempulo erano passati con le monache al nuovo monastero di San Sisto.

    Il card. Stefano, in riconoscenza della prodigiosa guarigione di suo nipote, porse la sua mano generosa. I debiti furono saldati, il principale creditore del monastero, Cencio di Gregorio Rampazoli, rimase anche in futuro persona di fiducia della nuova comunità monastica. Quando poi, prima di Pasqua, arrivò a Roma il vescovo Folco con alcuni amici tolosani e portarono con loro otto monache di Prouille, destinate a inquadrare e formare la nuova comunità cosi poco omogenea, Domenico poteva vedere la sua opera compiuta.

    A prima vista l'azione riformatrice di Domenico tra le monache romane potrebbe apparire come un fallimento.

    Di sette monasteri, il Santo riusci a riformarne soltanto uno, Santa Maria in Tempulo; degli altri sei solo poche monache lo seguirono. Se pensiamo però al breve tempo che Domenico potè consacrare ad una impresa cosi difficile, essa può considerarsi come un vero successo.

    Quello che soprattutto conta é che egli riusci a fondare allora un monastero modello. Gli altri monasteri romani, infatti, non poterono rimanere indifferenti alla vita edificante delle monache di San Sisto. Dopo undici anni dalla fondazione di San Sisto si fece perciò a Roma un nuovo tentativo di riforma delle monache, che porta tutti i caratteri di quella precedente. Presto la predicazione degli Ordini mendicanti suscitò tra le donne un entusiasmo straordinario per la vita spirituale in forma religiosa, così che dovettero aprirsi nuovi monasteri per l'aumento notevole di vocazioni in quelli antichi. Le giovani reclute, imbevute dal nuovo spirito monastico, portarono in essi quasi automaticamente la riforma.
    In testa a questo movimento stava a Roma il monastero di San Sisto, che divenne fin dall'inizio il più fiorente, raggiungendo, dopo appena 40 anni della sua esistenza, il numero massimo di 60 monache, numero previsto da Innocenzo III. '

    Intorno al 1300, dopo gli ingrandimenti dei dormitori e dell'aula capitolare, il monastero poteva ricevere 80 monache. Nel 1320 c., erano 70. Ma ciò che inserisce Domenico tra i principali promotori della vita religiosa è la Regola data da lui al monastero di San Sisto. Essa, con le Costituzioni dei Frati Predicatori, è l'opera del suo genio costruttivo ed equilibrato. La diffusione e accettazione di quelle norme da parte di monasteri, anche non legati all'Ordine domenicano, fa di Domenico uno dei principali legislatori della vita religiosa (33).

     
    S.Domenico converte a Prouille alcune donne catare, ed inizia la formazione delle prime Claustrali (Tarsia di Fra Damiano da Bergamo -1480-1538- sagrestia della Basilica di san Domenico a Bologna.

    6. IL CAPITOLO

    L'aula capitolare è situata al livello dell'antica costruzione e quindi più in basso del porticato attuale.



    Già dall'esterno s'intuisce la particolarità del luogo. Due lapidi poste ai lati dell'ingresso ricordano i miracoli compiuti dal Santo Fondatore in San Sisto.
    Molto belle sono le finestre a bifora, con due eleganti colonnine binate sormontate da capitelli detti benedettini o a foglia d'acqua (circa 1215). Quest'aula che ha vissuto tanti episodi della vita di S. Domenico, è nel cuore di tutti i Domenicani ed è frequentemente mèta di visitatori.

    All'interno notiamo subito la costruzione di due diverse epoche effet¬tuata in due diversi stili. La parte originale (che fino a pochi anni fa era rial¬zata) risulta del 1215 circa ed è un ingrandimento in stile gotico dovuto alla munificenza del cardinale domenicano Giovanni Boccamazzi (1285-1309), per il quale furono impiegate le colonne della basilica del V secolo.

    Gli affreschi delle lunette tra le colonne raffigurano a partire da sinistra:
    a ) S. Pietro e S. Paolo che consegnano il bastone e le loro lettere a S. Domenico;
    B ) l'incontro tra S. Domenico e S. Francesco in S. Giovanni in Laterano;
    c ) il Santo Fondatore riceve dalle mani della Vergine il Santo Rosario. Tra i pilastri sopra i capitelli sono raffigurate seguendo lo stesso ordine:
    a ) S. Agnese da Montepulciano e S. Caterina da Siena;
    B ) S. Rosa da Lima e S. Caterina de' Ricci.

    Le grandi pitture murali ricordano i miracoli compiuti dal Santo durante il soggiorno in San Sisto. Il primo a partire dalla parete di sinistra raffigura la resurrezione del bambino, già descritta in una delle lunette del chiostro.
    Il secondo, sempre da sinistra, mostra la scena svoltasi nella medesima aula capitolare, allorché S. Domenico resuscita il giovane Napoleone, nipote del card. Stefano (Orsini?) di Fossanova.

    Dall'altro lato è affrescato l'interno del chiostro di San Sisto in costru¬zione e il Santo che resuscita l'architetto morto in seguito alla caduta dal¬l'impalcatura.
    L'ultimo affresco, non completato, ricorda il miracolo avvenuto nel refettorio dello stesso convento, quando due angeli apparvero ai frati riuniti e dispensarono loro il pane.

    Il Capitolo durante i restauri
     

    Il Capitolo dopo i restauri
     

    Il Capitolo come è oggi
     

    Entrando nel Capitolo alla propria sinistra è posta la Tomba della Venerabile Madre Antonia Lalìa, Fondatrice delle Suore Domenicane Missionarie di San Sinto che nel lontano 1893 ridiede vita e splendore a tutto il complesso sistino, fondando la nuova Congregazione, in un periodo di grave decadenza di tutta la struttura per la quale sono occorsi molti anni per vederla nell'attuale splendore come dimostrano le immagini che avete appena visto......Disse Madre Lalia nel ricordare il suo ingresso: "A SAN SISTO MANCAVA TUTTO, TUTTO ERA IN DECADENZA, SPECIALMENTE IL CAPITOLO...."





       

    Alla vostra destra entrando nel Capitolo, c'è sistemata la tomba della Madre Cecilia Fichera, seconda nella successione del governo della nuova Congregazione che ebbi modo di conoscere.....della quale ho scritto qui: Cara Madre Lalìa (Lettera aperta)


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 16/02/2009 15:54
    7. IL REFETTORIO

    Uscendo dal Capitolo e passando davanti ad una graziosa statua moderna di San Domenico in meditazione, con ai piedi un bello stemma dei Boncompagni, scolpito su di un capitello, è possibile visitare l'antico refettorio, anch'esso riportato alla sua primitiva forma nei lavori di restauro degli anni trenta.
    Nel locale che precede il refettorio è murata una lapide in memoria di questo sacro luogo domenicano.

    È un'immensa sala con la volta a botte che misura m. 33,60 di lunghez¬za nella prima parte e m. 9 nella seconda, che ha la volta a crociera, e m. 8 di larghezza. Notevole e gradevole e significativa tra i tanti tavoli dove pren¬dono i pasti le suore che ora vivono in San Sisto Vecchio, è la riproduzione di un dipinto del Beato Angelico, raffigurante San Domenico ai piedi della Croce.

    Una lapide con uno stemma è infissa sulla volta a ricordo del restauro avvenuto nel 1619.

    Soffermiamoci un istante, per poter rivivere l'episodio della vita del Fondatore domenicano, visto nell'affresco dell'aula capitolare. Il Santo Domenico, avvertito dal frate cercatore della mancanza di cibo, fece ugual¬mente riunire nel refettorio tutti i frati. Poi, dopo aver recitato tutti insie¬me le preghiere, si videro entrare due giovani recanti un telo bianco a tra¬colla, dal quale, passando davanti ai frati, seduti a mensa, trassero un pane che deposero sul tavolo davanti a ciascuno di loro a partire dal più umile, e poi scomparvero.

    Riuscendo nel chiostro si possono vedere infissi nel muro di ponente i resti dell'abitazione trovata negli scavi eseguiti sotto l'antica basilica. Secondo quanto appurato dagli esperti sembrano risalire al III sec. d. C.; secondo altri all'epoca precristiana.

    Le due antiche colonne prive di capitelli, che si notano ai lati della por¬ta della sagrestia, sono state qui trasferite nella ristrutturazione del chiostro negli anni trenta. Prima si trovavano nel portale d'ingresso all'aula capi¬tolare, che s'apriva sul cortile davanti alla chiesa. Esse provenivano da una chiesa dei Colli Albani e non si sa quando siano state trasferite e impiegate a San Sisto. La questione è allo studio da parte di una laureanda nella facoltà di Architettura di Roma.


     

    il particolare
     



    5. IL CHIOSTRO

    Usciti nel chiostro ci attende un'altra parte indubbiamente interessan¬te del complesso sistino.


     

    Oltre agli archi dell'antica basilica, messi a nudo assieme ai resti di colonne e di capitelli, a cui abbiamo già accennato, é suggestiva la visione di tutto il chiostro dove sembra che si possa respirare l'aria di San Domenico. Magnifiche piante, tra i cui rami si nascondono cinguettanti uccellini, ci fanno dimenticare di essere, oggi, in un centro cittadino rumoroso e agitatissimo per il traffico.
    Un senso di pace e di mistica serenità sembra aleggiare in questo luogo così domenicano.

    La ghiera da pozzo al centro del giardino non appartiene all'antico convento.
    Gli affreschi delle lunette che girano intorno alle pareti del porticato, che nonostante ripetuti restauri, da tempo andavano scomparendo per l'azione dell'umidità implacabile, in questi ultimi anni sono stati sottoposti ad un , trattamento che li ha fatti riapparire nella loro forma e nei loro colori. Essi narrano la vita di San Domenico e sono opera del pittore lucchese Andrea Casale, allievo di Sebastiano Conca, che li eseguì tra gli anni 1725 e 1728.

    Per poter seguire cronologicamente le 32 scene si deve iniziare dalla lunetta posta sopra l'ingresso della sagrestia e continuare poi in senso orario tutta la vita di san Domenico e la fondazione dell'Ordine.
    1 - Giovanna d'Aza, moglie di Felice di Guzman, si reca al Santuario di S. Domenico abate di Silos, per ottenere dal santo benedettino la grazia di un figlio maschio.
    32 - i funerali di san Domenico.



     


    LA FACCIATA

    La facciata della chiesa é incassata tra due brevi edifici che le fanno da quinte. A1 centro vi é il portale riquadrato tra due alti pilastri schiacciati e prolungati da lesene che spartiscono delle caratteristiche finestre quadrilo¬bate; sul timpano spezzato si apre un finestrone rettangolare e più in alto un oblò racchiuso da volute non molto accentuate che permettono la vista della parete di fondo della precedente basilica.
    I draghi posti agli angoli del portale sono i simboli del casato del card. Filippo Boncompagni, restauratore della chiesa nel sec. XVI.
    Un piccolissimo atrio conserva una policroma lapide del 1745 e una memoria di papa Pio XII.
    Come ricorda il Pietrangeli (56): "La facciata, a terminazione orizzon¬tale, e il fianco sinistro della chiesa, rifiniti a stucco con lesene e fasce in ri¬salto, e caratterizzati da oculi polilobati, appartengono alla fase settecente¬sca e sono opera di Filippo Raguzzini al quale é dovuto anche l'inquadra¬mento della porta cinquecentesca.
    Essa é in travertino e risale ai restauri del 1582; sostituisce la porta del '400 del card. Ferrici reimpiegata come porta laterale della chiesa; questa reca lo stemma del porporato e la seguente iscrizione: Petri t.t. s. Sixti card. Tirasonensis / MCCCCLXXVIII ([opera] di Pietro del titolo di S. Sisto cardinale di Tarazona, 1478; Tarazona era la sede episcopale del cardinale prima della sua nomina cardinalizia).
    Sulla destra della chiesa si eleva il campanile romanico a tre piani di tri¬fore, costruito in laterizio con colonnine di spoglio (fine XII - inizio XIII secolo) e coperto con tetto a quattro spioventi. I piani sono divisi da fasce con mensoline marmoree. E stato intonacato fino al restauro del 1938. Nell'interno é una campana della fonderia Lucenti, del 1817".



    IL CAMPANILE

                   

    Prima di entrare in chiesa per una visita particolareggiata, osserviamo la facciata principale, sovrastata dall'elegante campanile romanico, uno tra i più interessanti di Roma, tornato nel 1938 al suo primitivo splendore.

    Non molto alto (circa 13 metri), il campanile é a tre piani sui quali si aprono armoniose trifore sorrette da colonnine di marmo bianco con capitelli del tipo detto mensoliforme, i cui fianchi risultano schiacciati. Alla base del campanile, sui lati N.O. e S.O. é possibile ancora oggi riconoscere una meridiana, in parte nascosta da successive costruzioni.
    Una sola campana di modeste proporzioni, ma dal suono argentino, ci riporta indietro nel tempo, a quando cioè San Sisto era all'estremità della città e le sue campane richiamavano i viandanti che nel buio della notte stentavano a ritrovare la strada.

    Dell'opera innocenziana, oltre i muri perimetrali e il rudero absidale, rimane superstite anche questa torre campanaria.
    Di essa nelle cronache sistine si trova solo questa notizia: "Il padre di Suor Maria (religiosa del monastero), Guido Carbonis, rifece a sue spese, nella chiesa e monastero di San Sisto, il campanile".

    Quando sia stato compiuto questo rifacimento non é detto, ma non si andrà lontani dal vero pensando alla fine del sec. XIII o ai primi del seguente, e s'intende che tale lavoro non comprende l'intero campanile, ma solo la parte superiore, come vedremo.

    A. Serafini nella sua opera fondamentale Le Torri Campanarie di Roma, (55) dopo un accurato esame di questo campanile, cosi lo descrive: "Torre campanaria già addossata alla fronte della chiesa primitiva in cornu espistolae, ed ora incorporata alla facciata, su pianta quadrilatera leggermente asimmetrica, con tre piani di trifore in alto. Costruita interamente in laterizio di spoglio con sporadiche inserzioni di materiale marmoreo di risulta. Sono del pari colletizie le colonne delle trifore, e quindi di marmi e tagli diversi; ma i capitelli mensoliformi, a fianchi schiacciati, furono eseguiti appositamente.

    Alle colonne fu dato poi un pezzo informe di marmo per base: tutto fu buono: il marmo con l'epigrafe, con quello frammentario di uno stipite o di una trabeazione. Il paramento murario, sia all'esterno che all'interno, era secondo il solito a cortina, ma poi, probabilmente ne' restauri del sec. XVIII, fu intonacato... Il campanile attuale, per quello che appare, é quanto rimane del rifacimento della stessa chiesa titolare avvenuto tra la fine del sec. XII e il principio del seguente. Tuttavia é assai probabile che esso rispecchi le forme di quello annesso all'edificio più antico e non si può escludere che la sua parte inferiore sia piuttosto da attribuirsi al sec. XI, e facesse parte della primitiva costruzione. Ma é indubbiamente di tempi molto più tardi la cella campanaria, che si distingue dalle analoghe costruzioni roma¬ne per l'inusitata altezza di muratura in pieno tra il sommo degli archi delle trifore e il cornicione". E a questa cella deve riferirsi l'accenno fatto dalla Salomoni nelle cronache quando attribuisce a Guido Carbonis il rifacimento del campanile.
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 16/02/2009 16:00
    L'INTERNO

    L'interno, ad una navata, tutta decorata a stucchi, si presenta completamente restaurato nel '700 da Filippo Raguzzini; il soffitto attuale e la cantoria risalgono ai restauri del card. Liénart.

    Primo altare a destra: La Madonna con il Bambino, S. Domenico, S. Tommaso, S. Giacinto, S. Caterina da Siena, S. Rosa da Lima e S. Pio V (1727).
    Secondo altare a destra: Madonna del Rosario, S. Domenico, S. Filippo Neri, S. Tommaso d'Aquino e S. Agnese da Montepulciano.

    Altare maggiore: nella calotta dell'abside, S. Sisto che battezza dal carcere e S. Lorenzo che distribuisce i tesori della Chiesa ai poveri; nell'ovale al centro, SS. Trinità e figurazioni allegoriche. Lo Strinati ritiene che gli affreschi possano essere opera di Bartolomeo Spranger (1576-78) o che almeno l'artista vi abbia collaborato.


     

     

     



    Continua l'interno della Basilica



     
    (le foto alle Suore, sono mie....le ho fatte io  Occhiolino )

    Secondo altare a sinistra, dedicato a S. Domenico di Soriano: La Madonna con l'immagine di S. Domenico di Guzman; ai lati S. Maria Maddalena e S. Caterina di Alessandria.
    Primo altare a sinistra: Miracolo di S. Vincenzo Ferreri.

    Dal "Diario Ordinario" si sa che lavorò a S. Sisto in questo periodo il pittore Carlo Roncalli; i quadri sarebbero invece opera di Emanuele Alfani (57).

    Ad unica navata la basilica di San Sisto misura m. 42,40 di lunghezza (fino all'arco trionfale m. 34) e metri 11,10 di larghezza all'altezza dell'ingresso, mentre al limite del Presbiterio non supera i metri 10,90. L'altezza é di oltre 11 metri.
    L'umidità che a San Sisto ha sempre regnato, aveva quasi distrutto le tele: attualmente sono state restaurate con grande perizia.
    Siamo cosi giunti davanti all'opera più valida della chiesa, cioè al Presbiterio con l'abside ricostruita nel XIII sec.
    È ancora possibile vedere parte della primitiva abside del V sec. assieme a frammenti di affreschi del XIII sec., attribuiti alla scuola giottesca, o del Cavallini.
    L'attuale abside, pur conservando l'insieme delle strutture e delle pitture dell'epoca Rinascimentale, ha perduto gli affreschi lungo le pareti, causa l'abbandono in cui si era venuta a trovare la basilica.
    L'intradosso dell'arco trionfale é decorato con figure e simboli liturgici. Gli affreschi della calotta dell'abside e della volta del Presbiterio illustrano scene della vita di San Sisto.
    Probabilmente l'artista si sarà ispirato agli affreschi del Beato Angelico nella Cappella di Niccolò V in Vaticano, dove appunto sono dipinte, fra le altre, immagini di San Sisto e di San Lorenzo.
    Una delle pitture principali mostra il Papa martire che in carcere battezza i nuovi fedeli, mentre nell'altra si vede lo stesso Pontefice consegnare i tesori della Chiesa a San Lorenzo suo diacono, affinché li distribuisca ai poveri.


     

    Ai lati del Presbiterio sono murate due lapidi. In quella di destra è ri¬cordata l'appartenenza di San Sisto Vecchio ai Domenicani irlandesi. In quella di sinistra sono incise le date della riconsacrazione della chiesa e degli altari (1927).
    Le tre lapidi in terra, al centro della navata, sono le tombe di tre titolari di San Sisto, vissuti nel XVIII secolo.
    Circa il primo altare di sinistra è forse interessante per il visitatore sapere che è dedicato a S. Domenico di Soriano e che la tela raffigura Maria SS. con la immagine di S. Domenico com'è apparsa in Soriano di
    Calabria ad un frate chevoleva conoscere 1'effige del Santo Fondatore dell'Ordine religioso cui egli apparteneva.
    Ai lati della Vergine sono S. Maria Maddalena e S. Caterina d'Alessan¬dria, protettrici dell'Ordine dei Predicatori.

     

    continua..........
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 16/02/2009 16:06
    L'ultimo altare di sinistra è dedicato a San Vincenzo Ferreri, di cui si riconosce la figura nella tela sovrastante. Il bambino, che si vede dipinto in basso sulla sinistra, ricorda un miracolo compiuto dal Santo che qui ci piace ricordare.
    San Vincenzo Ferreri era un predicatore tra i più efficaci e i suoi discorsi erano sempre diretti a ricordare il Giudizio Universale al quale saremo tutti chiamati. Per questa sua singolarità fu chiamato "1'Angelo dell'Apocalisse".

    Durante una delle sue continue peregrinazioni tra una predica e l'altra, San Vincenzo si trovò a dover sostare in una locanda per rifocillarsi. L'oste servi della carne, ma il Santo nel vederla ebbe dei dubbi e cosi pregò il locandiere di portargli tutta la carne che aveva.
    I suoi dubbi si rivelarono esatti, quella carne era umana e precisamente di un bambino. San Vincenzo allora si raccolse in preghiera, poi mise insieme tutti i pezzi ricevuti, ricompose il bambino e lo fece resuscitare tra lo stupore dei presenti e il pentimento dell'oste.
    Infatti nel quadro, accanto al bambino, si vedono i pezzi del suo corpo, mentre in alto a sinistra le figure alate simboleggiano l'Apocalisse.
    È un "fioretto" vincenziano che può essere d'auspicio e di monito sul rispetto della vita
    .

     

    La piccola lapide a sinistra dell'altare è l'antica pietra ritrovata sul primitivo pavimento che racchiudeva la cassetta dove erano custoditi i resti di alcuni martiri, tra i quali, stando alla lapide, quelli dello stesso San Sisto.

     


    Il Coro attuale, sovrastante il portone d'ingresso, è un buon rifacimento eseguito nel restauro del 1930, il precedente era più grande e aveva una forma diversa.


    ..........e per concludere......... Occhiolino

    LA NUOVA VITA DI SAN SISTO

    L'OPERA DI SUOR M ANTONIA LALÌA


    Quando in seguito alla presa di Roma, venne soppresso il monastero di San Sisto e ne furono incamerati i beni dallo Stato (era l'anno 1873), furono risparmiate la basilica attigua al monastero, metà dell'aula capitolare - quella affrescata - e poche stanze adiacenti alla chiesa, sopra il capitolo. Il municipio di Roma adibi il convento a deposito di materiale di vario genere e a rimessa di carri funebri. Il refettorio di San Domenico fu trasformato in scuderia; la parte dell'aula capitolare incamerata, in deposito di fieno per i cavalli delle pompe funebri. Alcune delle religiose anziane fino a qualche anno fa ancora piene di vita a San Sisto ricordarono quel miserando stato di cose, che durò fino agli anni trenta del nostro secolo.

    Nel 1893 Suor M. Antonia Lalia, proveniente dal convento delle domenicane di Misilmeri, vicino Palermo, e venuta a Roma per chiedere alla Santa Sede l'autorizzazione a recarsi in Russia per fondare a Pietroburgo un collegio per ragazze, ottenne in custodia dai Padri irlandesi di San Clemente i locali di San Sisto (53).

    Appassionatamente domenicana, nel giro di pochi anni, in mezzo a stenti e incomprensioni, e con pochissimi denari, riusci a ridare non solo decoro, ma vita, all'antico complesso sistino, dove fondò la nuova congregazione di Suore Domenicane, che prese il nome di San Sisto Vecchio (come era stato chiamato il monastero dopo il trasferimento delle monache a San Sisto Nuovo, a Magnanapoli). San Sisto divenne cosi la casa madre della congregazione, e vi ebbero sede 1'aspirandato, il probandato, il noviziato e lo iuniorato. Tuttora vi ha sede la curia generalizia della congregazione, in un edificio costruito nel 1958.
    In attesa e preparazione alla missione in Russia, le prime suore si impegnarono nell'insegnamento del catechismo e nella preparazione alla prima comunione dei fanciulli della zona, per lo più rozzi e analfabeti in quel periodo.
    In seguito ebbero inizio a San Sisto altre opere.

    Nel 1929 vi fu aperta una scuola tipografica missionaria per l'apostolato della buona stampa. Nel vecchio convento, senza danno per le linee architet¬toniche antiche, veniva così introdotta una attività molto nuova, perfetta¬mente rispondente alla missione specifica dell'Ordine dei Predicatori, fatta propria e affidata alla sua congregazione da Madre Lalìa: l'evangelizzazione. Già la Fondatrice aveva ottenuto dal municipio di Roma alcuni vani del monastero incamerato. Le successive superiore continuarono quell'opera di riscatto e di restauro, e costruirono nuovi vani, dove si poté aprire un convitto per ragazze del popolo, educate secondo le norme pedagogiche più rispondenti alle esigenze della vita familiare e sociale.

    LE OPERE SCOLASTICHE

    Nel 1937 cominciarono a funzionare una scuola materna e una scuola elementare (con tutte le 5 classi nel 1953). Quest'ultima ricevette quasi subito il riconoscimento legale da parte dello Stato. La scuola prese il nome di “Istituto Femminile Santa Caterina da Siena”, con l’ingresso attiguo alla Basilica, iniziando a dare vita al sogno di Madre Lalìa: occuparsi delle giovani. Il collegio femminile si occupò di tale formazione con numeri forti, spesse volte anche di duecento convittrici dai quali si ebbero molte vocazioni ma anche molte madri di famiglia e di donne impegnate nel sociale in un mondo in continua evoluzione.

    Inoltre, per completare la preparazione alla vita delle giovani convittrici, delle quali non poche erano orfane o appartenevano a famiglie disagiate, si apriva una scuola di taglio e cucito, mentre le convittrici che rivelavano le attitudini necessarie veniva¬no avviate al lavoro tipografico o di legatoria.
    Nel 1948 aveva inizio la scuola media legalmente riconosciuta, ceduta alla congregazione di San Sisto dalle Suore Teresiane. Anche questa scuola fun¬zionò per due anni in alcuni locali dell'antico convento; ma nel 1951 venne trasferita in uno speciale edificio, aperto su Via Druso e costruito nel 1949.

    Qui cominciò a funzionare nello stesso anno l'istituto per la prepara¬zione di maestre elementari, che nel 1953 ottenne dallo Stato la parificazio¬ne delle prime 3 classi, e nel 1955 dell'ultima. Nel 1990, per ragioni di ade¬guamento al sistema europeo che andrà in vigore nel 1993, esso è stato trasformato in liceo sperimentale, con due indirizzi: classico e psico¬pedagogico. Gli esami di maturità sono interni e i titoli rilasciati al termine degli studi hanno valore legale per lo Stato italiano.

    I programmi statali vengono integrati da corsi liberi di educazione civica, di cinematografia, di pianoforte, di danza classica e di ginnastica artistica. È particolarmente curata la formazione e l'assistenza religiosa. Sono
    permesse le libere assemblee, su argomenti di studio di interesse comune, sotto la diretta sorveglianza della direzione dell'istituto, allo scopo di favorire negli alunni la ricerca spontanea del vero, nel dialogo aperto e sincero, atto a sviluppare un sano senso critico e ad orientare la mente verso i superiori valori della vita.

    Il corpo insegnante è formato di religiose e di laici, rispettosi - anche questi ultimi - del carattere etico e religioso dell'istituto con il quale si impegnano, per un contratto di lavoro riconosciuto dalle autorità statali, ad osservarne il regolamento in base alle direttive dell'autorità ecclesiastica e della congregazione a cui l'istituto stesso appartiene.

    Dalla scuola è esclusa ogni discriminazione classista o razziale degli alunni ed è invece inculcato il rispetto per le condizioni etniche e sociali di tutti.


     

    * FINE *

    Pregate per me.....e grazie per l'attenzione....preghiamo perchè tutto sia rivolto sempre a Dio e per il bene di ogni Uomo....

    fraternamente Caterina O.P.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 1.867
    Sesso: Femminile
    00 27/04/2011 10:57

    Carisma  Ecumenico - Missionario
    di  Madre  Lalía  e  della  sua  Congregazione
     
           Ciò che distingue Madre Antonia e la Congregazione da lei fondata è la spiritualità missionaria - ecumenica, che ne costituisce quel particolare carisma che la rese madre e maestra spirituale, fondatrice di un nuova famiglia religiosa in seno alla grande Famiglia domenicana. Da questa sua spiritualità deriva la missione che Dio volle affidare a lei ed alle sue figlie all’interno della Chiesa e dell'Ordine. Tutta la sua vita spirituale si può sintetizzare in tre parole:

     Umiltà -  zelo apostolico - spirito profetico

         Lo spirito profetico si manifesta in tante sue esperienze soprannaturali. L'umiltà e lo zelo derivano dalla sua intensa vita contemplativa, da cui scaturisce anche quell’ardente carità, che la spingeva a prodigarsi in opere di bene e che sfociava nell’anelito missionario.

        Questa donna, emula di S. Caterina, si sentiva chiamata ed inviata da Dio alla missione e percepiva tale vocazione con intensità, pur dichiarandosi pronta a rinunciarvi in nome dell'obbedienza, a cui si sottometteva umilmente, garantendo così l'azione genuina dello Spirito Santo nella sua anima e nella sua vita: la totale sottomissione all'autorità fu una nota caratteristica del suo stile contemplativo.

         L'intima percezione che Dio avesse un piano misterioso su di lei si associò ben presto al voto di andare in Russia  (22 aprile 1877), voto emesso con chiara coscienza dell’obiettivo da raggiungere: l'educazione gratuita delle bambine russe nella dottrina cattolica per poter preparare le future madri di famiglia.

        Madre Lalía  guardava al S. Padre Domenico ed a S. Caterina da Siena come ai suoi modelli, certa che la sua vocazione fosse insita nello stesso carisma generale dell'Ordine dominicano:  ardente zelo apostolico e desiderio intenso di salvare le anime.

        Essa trasmetterà questo spirito alle sue figlie, chiamate ad essere missionarie ed educatrici, prima di tutto con la santità di vita, con deliberata e forte volontà di non commettere alcuna mancanza volontaria: esse dovranno avere una piena umiltà di cuore e di volontà, per poter “abbracciare volontariamente ogni tipo di disprezzo, ogni sofferenza ed ogni fatica, riconoscendosi meritevoli di qualunque umiliazione non solo per i propri peccati ed imperfezioni, ma anche per  i peccati degli altri, ad esempio di Gesù Cristo.”

        L'ideale missionario, diretto in un primo momento verso una realizzazione esterna, (teniamo presente che prima della Fondazione della Congregazione di San Sisto Madre Antonia Lalìa aveva chiesto di recarsi in missione a Tripoli, stabilendo accordi col Cardinale Lavigerie), gradualmente comincia ad interiorizzarsi ed ad approfondirsi, prendendo una nuova fisionomia, quella ecumenica.
     La Madre stessa descrive nei particolari questa nuova chiamata:

         “Oggi, giorno di Pentecoste ... fui spinta a pregare per l'unità delle Chiese separate dalla Chiesa Cattolica, apostolica, romana ... Pregai con tutta l'anima e l'effusione del mio povero spirito, energicamente mi sentii ispirata a consegnarmi tutta per l'unità delle menzionate chiese. Mi fu fatto conoscere che, come la nostra Santa Madre Caterina era stata strumento per ristabilire qui a Roma il Papato, in ugual maniera io sarei strumento dell'unità di dette Chiese separate dal seno materno della nostra sacra Chiesa unica e sola Maestra di ineffabile verità. Io volendo assecondare detta sacra ispirazione, soggetta alla sacra obbedienza, mi dedico col pensiero, con le opere e col discorso al su ricordato sacro fine. Perciò, sin d’ora, intendo pregare in tutti i minuti della mia vita futile, e per quanti sono i momenti dell’eternità, perché venga e presto la sospirata e santa unione di tutte le chiese sotto il regime del Pastore universale, il Santo Romano Pontefice.” (SD, vol. 7, pp. 13‑14)

         Russia ed ecumenismo si trasformano così in un solo ideale, un unico fine per il quale pregare ed immolarsi  e per rendere più efficace la sua preghiera, Madre Lalìa si sente spinta a presentarsi a Dio insieme a tutte le figlie che la seguiranno, immolandosi  a nome loro e con loro per il fine ecumenico.

    Da qui nasce la sua offerta:

     “A tal fine e per l’adempimento di ciò – dedico me, le mie care consorelle presenti ed avvenire, tutti i miei e i loro desideri, tutti i miei e i loro pensieri, tutte le mie e le loro aspirazioni, tutti i miei e i loro sacrifici, tutte le mie e le loro operazioni, tutte le mie e le loro umiliazioni, tutte le mie e le loro espropriazioni, tutte le mie e le loro sante gioie, tutti i miei e i loro contenti, tutti i miei e i loro battiti di cuore – tutte le mie e loro sante osservanze della santa regola professata - tutti i miei ed i loro passi, tutti i miei e i loro movimenti delle mani degli occhi e di tutti quanti i nostri fragili corpi. Tutto ciò ed altro intendo offrire in uno al sagratissimo cuore di Gesù e dentro l’ardentissime fiamme dello Spirito Santo, all’Ente Supremo. Lui si degni ordinare alle dette Chiese dissidenti che vengano contrite ed umiliate in seno alla Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana e per essa ai sacri piedi del Santo Romano Pontefice, a tributargli rispetto profondo ed obbedienza fedele [...]

        Così lo scopo di questa nascente miserabile nostra casa di S. Sisto e delle altre nostre casette fatte e da farsi,  sarà l’apostolato coi sacrifici con l’opere e con la preghiera a prò e per la riunione delle ripetute Chiese dissidenti al seno santissimo della nostra unica, Santa e vera Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.  I nostri sacrifici saranno quelli stessi che c’impone l’osservanza esatta della nostra santa regola Domenicana. Le nostre opere saranno quelle che c’imporrà la santa carità dello Spirito Santo, facendoci tutte a tutti per condurre tutti ai piedi del Santo Romano Pontefice ed all’occorrenza, all’estero in mancanza di preti,  predicando sulla Cattedra, imitando in ciò la nostra Santa Madre Caterina.

        Con le nostre preghiere in uno a quelle delle nostre casette esistenti e da esistere, indirizzandole al prezioso santissimo scopo suddetto per l’unione sospirata. A mezzo della stessa preghiera, la nostra piccola Congregazione - però sempre soggetta al Superiore Generale del nostro santo Ordine Domenicano -  attingerà i santi doni dello Spirito Santo per essere pronta a recarsi in qualsiasi punto della terra ed affrontare il Martirio, con tutta lena e coraggio. Ho ferma speranza che, in questa nostra rozza e spregevole congregazione, un dì vi saranno delle Suore Martiri!

        In più, oggi dopo la santa comunione pregavo il buon Dio a farmi adempiere il voto, da me fatto in Sicilia, di recarmi nella Russia, per aprire lì un Collegio di nostre Suore, perciò fortemente pregavo perché l’Imperatore di lì concedesse la libertà dell’insegnamento Cattolico, Apostolico, Romano, come pure dicevo al Divinissimo Spirito: - Fate presto, perché io sono vecchia e mi si renderà impossibile andare lì,  se non farete presto. - Poi inoltrai la preghiera con più efficacia e dicevo al buon Dio: - Fatemi vedere lì  l’Imperatore della medesima Russia soggetto al Santo Romano Pontefice ! Mentre pregavo così, la Divina Maestà mi rispose un rotondo no e mi disse: - Lo vedranno le tue consorelle religiose di questa nascente Congregazione di San Sisto. - Ma la libertà d’insegnamento ho certezza di vederla io, come pure di andare io in Russia, per adempiere, ivi, il voto di aprirvi una nostra casa religiosa.”

    La più triste di tutti gli esseri, Lalia  Sr.  Maria Antonia

    (SD, vol. 7, pp. 14-19).


    Vi ricordiamo che è ora attivo il sito ufficiale:
    http://www.domenicanedisansisto.org/chi-siamo/carisma?lang=it 

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 1.867
    Sesso: Femminile
    00 09/09/2012 22:57
    MERAVIGLIOSA ricostruzione della vita di Madre Antonia Lalìa e della nascita della Congregazione....
    due video da gustare e meditare..... [SM=g27998]

    www.youtube.com/watch?v=5v2PfCpqMH0&feature=plcp
    www.youtube.com/watch?v=t9vlnYT2mIQ&feature=plcp
    www.youtube.com/watch?v=XKiAoswC47c&feature=plcp






    1 - [SM=g27998]

    2 - [SM=g27998]

    3 - [SM=g27998]

    [SM=g27998]
    [Modificato da Caterina63 09/09/2012 22:58]
    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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