DIFENDERE LA VERA FEDE

2 Aprile: come commemorare davvero un Sommo Pontefice

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    Caterina63
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    00 02/03/2009 16:43
    COSA FACCIO IO SIGNORE PER LA TUA CHIESA??
    Sono pronto/a solo a criticare?[SM=g1740733]

    In quale modo impegnerò i talenti?.....a criticarla siamo sempre pronti.....ma quanto all'impegno ed alla sofferenza nell'amarla, e quanto all'obbedienza incondizionata siamo veramente restii, cosa potremmo dire di NOI quando Dio ci chiederà "che cosa abbiamo fatto per Lei?"

    .....
    Amici....se volete approfondire e commemorare davvero un Grande Pontefice....Giovanni Paolo II ci racconta che cosa ha fatto LUI per testimoniare il suo amore alla Chiesa e al Cristo, rinunciando a TUTTO per servirlo pienamente....rinunciando ad una famiglia, rinunciando ad avere figli, rinunciando a vivere una vita mondana......è giunto ad oltre ottantanni avendo un solo scopo: PORTARE CRISTO AGLI UOMINI......[SM=g1740717]
    Uscì il Libro nel quale è Karol Wojtyla a RACCONTARSI.....interesante anche dal punto di vista storico, egli spiega minuziosamente il rito di quando venne inviato come vescovo, spiega i simboli che si usano:
    la mitra e il pastorale ad esempio, che cosa sono? Nel primo capitolo del libro leggiamo: "...il vescovo neoeletto la riceve (la mitra) come monito ad impegnarsi affinchè - risplenda in lui il fulgore della santità -, per essere degno di ricevere - l'incorruttibile corona della gloria - quando si manifesterà Cristo, il  -Principe dei Pastori-."
    Dunque la mitra, quel "copricapo" che i vescovi usano nel culto, simboleggia la "corona" CHE DEVONO GUADAGNARSI......e ricorda loro, ai vescovi, l'impegno che si sono assunti.....
    Il pastorale, che viene consegnato dopo aver ricevuto la mitra, è : "...il segno dell'autorità che compete al vescovo per adempiere al dovere di avere cura del gregge....(...), -PASCI I MIEI AGNELLI- "


    Il pastorale è un PASSAGGIO DI CONSEGNA al mandato apostolico
    , ecco perchè noi diciamo che questo è ininterrotto da 2000 anni nella Santa Chiesa Cattolica (ed anche Ortodossa, giacchè abbiamo gli stessi simboli)

     
    E l'anello?

    Scrive il Papa sempre nel suo libro:
    " L'anello, posto al dito del vescovo - scrive il Papa- significa che egli HA CONTRATTO UN SACRO SPOSALIZIO CON LA CHIESA. (In riferimento alle parole misteriose dello stesso Paolo 1Cor.7,32-34/Ef.5,31-32..... ) Per me -dice il Papa- è un continuo richiamo ALLA FEDELTA': mi dono totalmente alla mia Sposa, la Chiesa? Sono io sufficientemente "PER" le comunità, le famiglie, i giovani, gli anziani, e anche per coloro che ancora devono nascere? (...)....più di una volta mi sono tornate a mente le parole di Paolo a Timoteo: < Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, nè di me, che sono in carcere per Lui; ma soffri anche tu insieme con me per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio...> (2Tim.1,8)....
    A questo punto viene consegnato al neovescovo il Libro dei Vangeli. E' quindi il segno della presenza nella Chiesa di Gesù Cristo, L'UNICO MAESTRO. Ciò significa che l'insegnamento appartiene all'essenza prioritaria dell'essere vescovo: egli deve essere maestro: CUSTODISCI IL DEPOSITO...(1Tim.6,20).."[SM=g1740722]

     
    Il Papa ad un certo punto nel primo capitolo scrive con una tenerezza infinita:

     
    " Ho una particolare devozione e amore per l'Angelo Custode. (...)...il mio Angelo custode sa che cosa sto facendo. La mia fiducia in lui, nella sua presenza protettrice, si va in me costantemente approfondendo. San Michele, s.Gabriele, s.Raffaele, sono gli arcangeli che spesso invoco nella preghiera....."
    Che dirvi??

    Comprate il libro....15 euro spesi bene.....nella presentazione il Papa scrive:

     
    "Quando giunse la "sua ora", Gesù disse a coloro che erano con Lui nell'orto del Getsemani, Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli particolarmente amati: "Alzatevi, andiamo!". Non era Lui solo a dover "andare" verso l'adempimento della volontà del Padre, ma anch'essi con Lui. Anche se queste parole significano un tempo di prova, un grande sforzo e una croce dolorosa, non dobbiamo farci prendere dalla paura. Sono parole che portano con sé anche quella gioia e quella pace che sono frutto della fede. In un'altra circostanza, agli stessi tre discepoli Gesù precisò l'invito così: "Alzatevi e non temete!"." (Giovanni Paolo II) .........

     
    ottantaquattresimo compleanno, Alzatevi, andiamo è il  libro autobiografico di Giovanni Paolo II, in cui il Papa raccoglie pensieri e ricordi personali a partire dalla sua nomina a vescovo, nel 1858, fino all’elezione al soglio pontificio, nell’ottobre 1978. Il volume, dal tono semplice e colloquiale, si articola in sei capitoli che alternano il racconto degli avvenimenti alla riflessione e all’insegnamento.

    La vocazione, l’attività di vescovo, l’impegno scientifico e pastorale, la paternità del vescovo, la collegialità episcopale, Dio e il coraggio: sono questi gli argomenti affrontati in 180 pagine in cui è possibile cogliere i toni intensi e coinvolgenti a cui ci hanno abituato i discorsi di 25 anni di pontificato. Il racconto incomincia nel giorno del luglio 1958 quando il giovane Karol Wojtyla, impegnato in una vacanza in canoa nella regione della Masuria, lascia i suoi amici per ricevere l’annuncio della nomina a vescovo ausiliare di Cracovia dal cardinale Wyszyński.

    “Udendo le parole del primate che mi annunziava le decisione della Sede Apostolica, esclamai: «Eminenza, io sono troppo giovane, ho appena 38 anni». Ma lui mi replicò: «È una debolezza di cui si libererà presto. La prego di non opporsi alla volontà del Santo Padre».

    Dissi allora soltanto una parola: «Accetto».”

    Racconta così il principio della sua missione apostolica il primo Papa polacco della storia, accolto dall’arcivescovo Baziak con una frase che, anni dopo, dovette apparire profetica: «Habemus papam». Sul treno che lo riconduceva dai suoi amici e alla sua canoa il giovane sacerdote, che trascorse tutta la notte del viaggio leggendo Il vecchio e il mare di Hemingway, si sentiva piuttosto strano.

    «Quando mi misi a remare,- scrive - mi sentii ancora una volta un po’ strano. Pensavo che quella era forse l’ultima volta che potevo andare in canoa. In realtà, devo invece annotare che ci furono ancora molte altre occasioni in cui potei remare, ritemprando le forze, nelle acque dei fiumi e dei laghi della Mansuria.»
    Un’atmosfera confidenziale avvolge il racconto di questo Papa ormai anziano che non rinuncia a farci partecipi della sua vita privata e delle sue emozioni ma, allo stesso tempo, non dimentica di affrontare tematiche prettamente legate alla sua vocazione religiosa. Dai ricordi nascono infatti numerose digressioni sul dovere dei vescovi, sui compiti del loro mandato, in cui il linguaggio libero e colloquiale lascia lo spazio all’autorevolezza della guida spirituale, che cita con puntualità passi delle sacre Scritture e delle encicliche.

    Accanto al papa sportivo e amante della natura che non si vergogna di ammettere le sue passioni, «A me è sempre piaciuto cantare» e ancora: «Mi è sempre piaciuto viaggiare», appare il pontefice deciso e determinato che ha guidato con coraggio la Chiesa nel nuovo Millennio. Un Papa che questo libro ci insegna a conoscere in tutta la sua umanità e responsabilità di Apostolo autentico di Cristo...
    **********
    Grazie Giovanni Paolo II.....
    Prega per noi e con noi!



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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 02/03/2009 17:29

    "Cari giovani, allenatevi all'ascolto, docili all' autocontrollo"[SM=g1740733]
     

    Berna, 5 giugno 2004 - «Anch'io, come voi, ho avuto vent'anni. Mi piaceva fare sport, sciare, recitare. Studiavo e lavoravo. Avevo desideri e preoccupazioni».

    Giovanni Paolo II si immedesima ancora una volta nelle inquietudini giovanili, e per poter parlare dritto al loro cuore ricorda la sua esperienza personale e le circostanze difficili in cui è maturata la sua vocazione. «In quegli anni ormai lontani, in tempi in cui la mia terra natale era ferita dalla guerra e poi dal regime totalitario, cercavo il senso da dare alla mia vita. L'ho trovato nella sequela del Signore Gesù».


    È questo appello alla sequela di Cristo, pronunciato soffertamente con un filo di voce, il motivo per cui malgrado la crescente fragilità fisica ha affrontato un viaggio in una città come Berna, culturalmente e storicamente lontana da Roma, dove solo una minoranza è venuta ad ascoltarlo nell'indifferenza generale.


    Il Palaghiaccio di Berna è gremito da circa 12mila persone in festa, circa 2mila in più rispetto al previsto e a quanto la Bern Arena potrebbe contenerne.

    L'entusiasmo di questa minoranza, che lo attende da stamane tra musica e balli, sembra confortare il vecchio Papa che sembra ogni giorno sempre più eroico: «E’ bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio» dice, fra gli applausi.

    Visibilmente affaticato inizia a leggere in tedesco e rifiuta con un cenno della mano il gesto solerte di uno dei segretari del seguito, che alla prima interruzione si affretta a togliergli i fogli per continuare nella lettura. Ma Wojtyla non demorde. Si confonde un pò con i fogli del discorso ma prosegue stoicamente nella lettura, interrotto continuamente da applausi e incoraggiamenti.

    Giovanni Paolo II parte dal Vangelo per ricordare che, metaforicamente, anche i giovani possono finire in cortei funebri. «Ciò avviene se vi lasciate andare alla disperazione, se i miraggi della società dei consumi vi seducono -dice- e vi distolgono dalla vera gioia per inghiottirvi in piaceri passeggeri, se l'indifferenza e la superficialità vi avvolgono, se di fronte al male e alla sofferenza dubitate della presenza di Dio e del suo amore per ogni persona, se ricercate nella deriva di un'affettività disordinata l'appagamento della sete interiore di amore vero e puro». [SM=g1740729]

    È allora, spiega, che Cristo dice «Alzati». «Accogli l'invito che ti rimette in piedi!» dice lui stesso, da tempo costretto alla sedia a rotelle. «Il cristianesimo -prosegue il Papa sempre in tedesco- non è un semplice libro di cultura o un'ideologia, e neppure soltanto un sistema di valori o di principi, seppur elevati. Il cristianesimo è una persona, una presenza, un volto: Gesù, che dà senso e pienezza alla vita dell'uomo». Ripete ai giovani: «non abbiate paura di incontrare Gesù». [SM=g1740717]

    E’ allora che il Papa ricorda, passando al francese, che anche lui ha avuto vent'anni. Anche lui era appassionato di sport, di sci, di teatro. Anche lui si è domandato come i giovani di oggi «cosa fare dell'esistenza, come contribuire a rendere il mondo un pò migliore, come promuovere la giustizia e costruire la pace».


    Per questo, dice ricorrendo a un termine agonistico, è importante che i giovani sappiano «allenarsi alla disciplina difficile dell'ascolto, all'autocontrollo»[SM=g1740722] . «Se saprai aprire il cuore e la mente con disponibilità, scoprirai la tua vocazionè, quel progetto cioè che da sempre Iddio, nel suo amore, ha pensato per te».[SM=g1740734] 

    Nel matrimonio o nella vocazione religiosa. «So bene che di fronte a una tale proposta -dice Giovanni Paolo II- ti senti esitante». Il Papa torna a parlare in prima persona: «Dopo quasi sessant'anni di sacerdozio, sono contento di rendere qui, davanti a tutti voi, la mia testimonianza: è bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio!» [SM=g1740734] 


    Sono tre gli inviti che il Papa rivolge ai giovani: «alzati, allenati all'ascolto, mettiti in cammino!». «La Chiesa -è la sua esortazione- ha bisogno delle vostre energie, del vostro entusiasmo, dei vostri ideali giovanili per far si che il Vangelo permei il tessuto della società e susciti una civiltà di giustizia autentica e di amore senza discriminazioni. Ora più che mai, in un mondo spesso senza luce e senza il coraggio di nobili ideali, non è tempo di vergognarsi del Vangelo». [SM=g1740721]

    «È tempo piuttosto di predicarlo dai tetti». Il Papa è arrivato alla fine del discorso, l'ha letto praticamente per intero, con la voce via via più chiara fino alla conclusione: «È Cristo che vi parla, ascoltatelo».[SM=g1740717] [SM=g1740720]







                            



    MESSAGGIO GMG COLONIA 2005 di Giovanni Paolo II, “GIOVANI SIATE ADORATORI DELL’UNICO VERO DIO, NON CEDETE A MENDACI ILLUSIONI E MODE EFFIMERE", messaggio che il Papa affiderà così al suo Successore, BenedettoXVI.....
    Non cedere a “mendaci illusioni e mode effimere” e rifiutare “le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media”. [SM=g1740730]

    È l’invito contenuto nel messaggio di Giovanni Paolo II per la XX Giornata Mondiale della Gioventù che si è poi svolta nell’agosto del 2005 a Colonia (Germania) con Benedetto XVI, sul tema “Siamo venuti per adorarlo”.

    “Cari giovani – scrive il Papa nel Messaggio - vi accingete a compiere un ‘viaggio’ da ogni regione del globo verso Colonia. È importante non solo che vi preoccupiate dell’organizzazione pratica della Giornata Mondiale della Gioventù, ma occorre che ne curiate in primo luogo la preparazione spirituale, in un’atmosfera di fede e di ascolto della Parola di Dio”. Per questo “è importante imparare a scrutare i segni con i quali Dio ci chiama e ci guida”.

    Per prepararsi in modo adeguato Giovanni Paolo II non esita a consigliare ai giovani la partecipazione alla “santa Messa, vero appuntamento d’amore con Colui che ha dato tutto se stesso per noi”.

    Ed avverte: “siate adoratori dell’unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza! L’idolatria è tentazione costante dell’uomo. Purtroppo c’è gente che cerca la soluzione dei problemi in pratiche religiose incompatibili con la fede cristiana. È forte la spinta a credere ai facili miti del successo e del potere; è pericoloso aderire a concezioni evanescenti del sacro che presentano Dio sotto forma di energia cosmica, o in altre maniere non consone con la dottrina cattolica. Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media. L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria
    [SM=g1740722]

     
    “Ascoltare Cristo e adorarlo – si legge ancora nel Messaggio - porta a fare scelte coraggiose, a prendere decisioni a volte eroiche. Gesù è esigente perché vuole la nostra autentica felicità. Chiama alcuni a lasciare tutto per seguirlo nella vita sacerdotale o consacrata. Chi avverte quest’invito non abbia paura di rispondergli ‘sì’ e si metta generosamente alla sua sequela. Ma, al di là delle vocazioni di speciale consacrazione, vi è la vocazione propria di ogni battezzato: anch’essa è vocazione a quella "misura alta" della vita cristiana ordinaria che s’esprime nella santità”.

    Sono ancora “tanti”, secondo Giovanni Paolo II “i nostri contemporanei che non conoscono ancora l’amore di Dio, o cercano di riempirsi il cuore con surrogati insignificanti”. È urgente, pertanto, “essere testimoni dell’amore contemplato in Cristo”.




                                     



    “Cari giovani – conclude il Pontefice - la Chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione. La Chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità, e solo i santi possono rinnovare l’umanità. Incontrandovi a Colonia, imparerete a conoscere meglio alcuni di loro, come san Bonifacio, l’apostolo della Germania, e i Santi di Colonia, in particolare Orsola, Alberto Magno, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e il beato Adolph Kolping. Fra questi, vorrei particolarmente citare sant’Alberto e santa Teresa Benedetta della Croce.
    Carissimi giovani, incamminati idealmente verso Colonia, il Papa vi accompagna con la sua preghiera.
    Maria, ‘donna eucaristica’ e Madre della Sapienza, sostenga i vostri passi, illumini le vostre scelte, vi insegni ad amare ciò che è vero, buono e bello. Vi porti tutti a suo Figlio, il solo che può soddisfare le attese più intime dell’intelligenza e del cuore dell’uomo”.


    ***************

       
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 13/03/2009 17:28
    Roma, 9 febbraio 2009



    Ai Rev.di Parroci
    Vicari parrocchiali
    Diaconi
    Responsabili di Prefettura della Pastorale giovanile
    Rettori dei Seminari
    Superiori di Istituti Religiosi
    che si occupano di giovani
    Responsabili degli Oratori
    Responsabili delle Aggregazioni laicali e Nuove Comunità
    Responsabili delle Scuole Cattoliche
    Insegnanti di religione
    Catechisti
    Cappellani Universitari, Ospedalieri, Migrantes
    Giovani tutti
    della DIOCESI DI ROMA


    Carissimi,

    anche questo anno in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, il Santo Padre ha accolto con gioia l’invito ad incontrare i giovani di Roma il giovedì precedente la Domenica delle Palme. Lo stesso giorno la Chiesa ricorderà il IV anniversario del ritorno alla casa del Padre del Servo di Dio Giovanni Paolo II, che tanto amò i giovani nei quali vedeva il futuro della Chiesa.

    Per ricordare il Suo amato predecessore e aiutare i giovani romani a prepararsi alla celebrazione della Giornate Mondiale della Gioventù, il Santo Padre Benedetto XVI presiederà alle ore 18 di giovedì 2 aprile la Santa Messa nella Basilica di San Pietro.

    Desidero invitare in maniera del tutto particolare i giovani della nostra Diocesi a essere presenti a questo intenso momento di preghiera e comunione ecclesiale. Avendo avuto modo di apprezzare il vostro zelo sacerdotale e l’amore che nutrite per i giovani che vi sono affidati, sono certo che non mancherete di favorire una loro partecipazione che spero sia la più ampia e numerosa possibile.

    All’inizio del tempo quaresimale, mi è caro assicurare a ciascuno di voi un particolare ricordo nella preghiera perché il Signore possa accompagnarvi in un cammino di profondo rinnovamento spirituale.
    Con questi sentimenti, mentre vi affido alla materna intercessione di Maria Salus populi romani, invoco su ciascuno di voi la benedizione del Signore.



    Agostino Card. Vallini
    Vicario Generale di Sua Santità
    per la Diocesi di Roma


    [SM=g1740722]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 29/03/2009 17:06
    L'invito di Benedetto XVI a commemorare l'anniversario di Giovanni Paolo II partecipando alla Santa Messa che celebrerà in san Pietro:

    Giovedì prossimo, alle ore 18, presiederò in San Pietro la Santa Messa nel quarto anniversario della morte del mio amato predecessore il Servo di Dio Giovanni Paolo II. Invito a partecipare specialmente i giovani di Roma, per prepararci insieme alla Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata a livello diocesano nella Domenica delle Palme.

    [SM=g1740734] [SM=g1740733]




    Fraternamente CaterinaLD

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    00 31/03/2009 10:54

    Giovanni Paolo II: "Qui c'è Gesù, per favore!", nella conferenza di Bux la testimonianza della devozione di un grande Papa.


    Dagli amici di Rinascimento Sacro:

    Mons. Nicola Bux, lavorando alla causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, coglie l'occasione della conferenza sulla liturgia di Monopoli per testimoniare la devozione eucaristica di questo grande Papa. Un eredità di fede pienamente colta dal pensiero liturgico di Benedetto XVI: "la liturgia è l'adorazione di Dio" e non "una danza intorno al vitello d'oro che siamo noi stessi".




    LA RIFORMA DI BENEDETTO XVI

    Relazione di Mons. Nicola Bux durante la settimana di formazione Liturgica
    tenuta a Monopoli nella chiesa di san Francesco d'Assisi il 27 Marzo 2009
    .

    >>> DOWNLOAD <<<

    File WAV - 22Mb



    Si ringrazia sentitamente R.R. e Mons. Bux.



    [SM=g1740733]

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 02/04/2009 20:05
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    Foto appena sfornate da me dalla diretta della Santa Messa....









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    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 02/04/2009 21:06

    Il Papa: "Gesù non vuole che i suoi discepoli recitino una parte, magari quella della speranza. Egli vuole che essi siano speranza..."



    Il Papa ai giovani della GMG 2009: "Il Cristiano autentico non è mai triste, anche se si trova a dover affrontare prove di vario genere, perché la presenza di Gesù è il segreto della sua gioia e della sua pace"

    Bellissima Omelia di Benedetto XVI[SM=g1740734] [SM=g1740722]



    OMELIA DEL SANTO PADRE

    Cari fratelli e sorelle!

    Quattro anni or sono, proprio in questo giorno, l'amato mio Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, concludeva il suo pellegrinaggio terreno, dopo un non breve periodo di grande sofferenza.

    Celebriamo la Santa Eucaristia in suffragio della sua anima, mentre ringraziamo il Signore di averlo dato alla Chiesa, per tanti anni, come zelante e generoso Pastore. Ci riunisce questa sera il suo ricordo, che continua ad essere vivo nel cuore della gente, come dimostra anche l'ininterrotto pellegrinaggio di fedeli alla sua tomba, nelle Grotte Vaticane. È pertanto con emozione e gioia che presiedo questa Santa Messa, mentre saluto e ringrazio per la presenza voi, venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, e voi, cari fedeli venuti da varie parti del mondo, specialmente dalla Polonia, per tale significativa ricorrenza.

    [Vorrei salutare i polacchi, in modo particolare, la gioventù polacca. Nel quarto anniversario della morte di Giovanni Paolo II accogliete il suo appello: "Non abbiate paura di affidarvi a Cristo. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione» (Tor Vergata, Veglia di preghiera 19.08.2000). Vi auguro che questo pensiero del Servo di Dio vi guidi nelle strade della vostra vita, e vi conduca alla felicità del mattino della Risurrezione.]

    Saluto il Cardinale Vicario, il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, il caro Cardinale Stanislao, e gli altri Cardinali e tutti gli altri Presuli; saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Saluto in modo speciale voi, amati giovani di Roma, che con questa celebrazione vi preparate alla Giornata Mondiale della Gioventù, che vivremo insieme domenica prossima, Domenica delle Palme. La vostra presenza mi richiama alla mente l'entusiasmo che Giovanni Paolo II sapeva infondere nelle nuove generazioni. La sua memoria è stimolo per tutti noi, raccolti in questa Basilica dove in molte occasioni egli ha celebrato l'Eucaristia, a lasciarci illuminare ed interpellare dalla Parola di Dio, poc'anzi proclamata.

    Il Vangelo di questo giovedì della quinta settimana di Quaresima propone alla nostra meditazione l'ultima parte del capitolo VIII del Vangelo di Giovanni, che contiene come abbiamo sentito una lunga disputa sull'identità di Gesù. Poco prima Egli si è presentato come "la luce del mondo" (v. 12), usando per ben tre volte (vv. 24.28.58) l'espressione "Io Sono", che in senso forte richiama il nome di Dio rivelato a Mosè (cfr Es 3,14). Ed aggiunge: "Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte" (v. 51), dichiarando così di essere stato mandato da Dio, che è suo Padre, a portare agli uomini la libertà radicale dal peccato e dalla morte, indispensabile per entrare nella vita eterna. Le sue parole però feriscono l'orgoglio degli interlocutori, ed anche il riferimento al grande patriarca Abramo diventa motivo di conflitto. "In verità, in verità io vi dico: - afferma il Signore - prima che Abramo fosse, Io Sono" (8,58). Senza mezzi termini, dichiara la sua pre-esistenza e, dunque, la sua superiorità rispetto ad Abramo, suscitando - comprensibilmente - la reazione scandalizzata dei Giudei. Ma non può tacere Gesù la propria identità; sa che, alla fine, sarà il Padre stesso a rendergli ragione, glorificandolo con la morte e la risurrezione, perché proprio quando sarà innalzato sulla croce si rivelerà come l'unigenito Figlio di Dio (cfr Gv 8,28; Mc 15,39).

    Cari amici, meditando su questa pagina del Vangelo di Giovanni, viene spontaneo considerare quanto sia difficile in verità rendere testimonianza a Cristo.

    Ed il pensiero va all'amato Servo di Dio Karol Wojtyła - Giovanni Paolo II, che sin da giovane si mostrò intrepido e ardito difensore di Cristo: per Cristo non esitò a spendere ogni energia al fine di diffonderne dappertutto la luce; non accettò di scendere a compromessi quando si trattava di proclamare e difendere la sua Verità; non si stancò mai di diffondere il suo amore.

    Dall'inizio del pontificato sino al 2 aprile del 2005, non ebbe paura di proclamare, a tutti e sempre, che solo Gesù è il Salvatore e il vero Liberatore dell'uomo e di tutto l'uomo. Nella prima lettura abbiamo sentito le parole ad Abramo "Ti renderò molto, molto fecondo" (Gen 17,6). Se testimoniare la propria adesione al Vangelo non è mai facile, è certamente di conforto la certezza che Dio rende fecondo il nostro impegno, quando è sincero e generoso. Anche da questo punto di vista significativa ci appare l'esperienza spirituale del servo di Dio Giovanni Paolo II. Guardando alla sua esistenza, vi vediamo come realizzata la promessa di fecondità fatta da Dio ad Abramo, ed echeggiata nella prima lettura tratta dal libro della Genesi. Si potrebbe dire che specialmente negli anni del suo lungo pontificato, egli ha generato alla fede molti figli e figlie. Ne siete segno visibile voi, cari giovani presenti questa sera: voi, giovani di Roma e voi, giovani venuti da Sydney e da Madrid, a rappresentare idealmente le schiere di ragazzi e ragazze che hanno partecipato alle ormai 23 Giornate Mondiali della Gioventù, in varie parti del mondo. Quante vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, quante giovani famiglie decise a vivere l'ideale evangelico e a tendere alla santità sono legate alla testimonianza e alla predicazione del mio venerato Predecessore! Quanti ragazzi e ragazze si sono convertiti, o hanno perseverato nel loro cammino cristiano grazie alla sua preghiera, al suo incoraggiamento, al suo sostegno e al suo esempio!

    È vero! Giovanni Paolo II riusciva a comunicare una forte carica di speranza, fondata sulla fede in Gesù Cristo, il quale "è lo stesso ieri, oggi e per sempre" (Eb 13,8), come recitava il motto del Grande Giubileo del 2000.

    Come padre affettuoso e attento educatore, indicava sicuri e saldi punti di riferimento indispensabili per tutti, in special modo per la gioventù. E nell'ora dell'agonia e della morte, questa nuova generazione volle manifestargli di aver compreso i suoi ammaestramenti, raccogliendosi silenziosamente in preghiera in Piazza San Pietro e in tanti altri luoghi del mondo. Sentivano, i giovani, che la sua scomparsa costituiva una perdita: moriva il "loro" Papa, che consideravano "loro padre" nella fede. Avvertivano al tempo stesso che lasciava loro in eredità il suo coraggio e la coerenza della sua testimonianza. Non aveva egli sottolineato più volte il bisogno di una radicale adesione al Vangelo, esortando adulti e giovani a prendere sul serio questa comune responsabilità educativa? Anch'io come sapete ho voluto riprendere questa sua ansia, soffermandomi in diverse occasioni a parlare dell'urgenza educativa che concerne oggi le famiglie, la chiesa, la società e specialmente le nuove generazioni. Nell'età della crescita, i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di proporre loro principi e valori; avvertono il bisogno di persone che sappiano insegnare con la vita, ancor prima che con le parole, a spendersi per alti ideali.[SM=g1740717]

    Ma dove attingere luce e saggezza per portare a compimento questa missione, che tutti ci coinvolge nella Chiesa e nella società? Certamente non basta far appello alle risorse umane; occorre fidarsi anche e in primo luogo dell'aiuto divino. "Il Signore è fedele per sempre": così abbiamo pregato poco fa nel Salmo responsoriale, certi che Iddio non abbandona mai quanti a Lui restano fedeli. Ciò richiama il tema della 24a Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata a livello diocesano domenica prossima. Esso è tratto dalla prima Lettera a Timoteo di san Paolo: "Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (4,10). L'Apostolo parla a nome della comunità cristiana, a nome di quanti hanno creduto in Cristo e sono diversi dagli "altri che non hanno speranza" (1 Ts 4,13), proprio perché invece sperano, nutrono cioè fiducia nel futuro, una fiducia non basata su idee o previsioni umane, bensì su Dio, il "Dio vivente".

    Cari giovani, non si può vivere senza sperare. L'esperienza mostra che ogni cosa, e la nostra vita stessa sono a rischio, possono crollare per qualche motivo a noi interno o esterno, in qualsiasi momento. È normale: tutto ciò che è umano, e dunque anche la speranza, non ha fondamento in se stesso, ma necessita di una "roccia" a cui ancorarsi.

    Ecco perché Paolo scrive che la speranza umana i cristiani sono chiamati a fondarla sul "Dio vivente". Solo in Lui e con Lui diventa sicura e affidabile. Anzi solo Dio, che in Gesù Cristo ci ha rivelato la pienezza del suo amore, può essere la nostra salda speranza. In Lui, nostra speranza, infatti siamo stati salvati (cfr. Rm 8,24).

    Fate però attenzione: in momenti come questo, dato il contesto culturale e sociale nel quale viviamo, potrebbe essere più forte il rischio di ridurre la speranza cristiana a ideologia, a slogan di gruppo, a rivestimento esteriore.

    Nulla di più contrario al messaggio di Gesù! Egli non vuole che i suoi discepoli "recitino" una parte, magari quella della speranza. Egli vuole che essi "siano" speranza, e possono esserlo soltanto se restano uniti a Lui! Vuole che ognuno di voi, cari giovani amici, sia una piccola sorgente di speranza per il suo prossimo, e che tutti insieme diventiate un'oasi di speranza per la società all'interno della quale siete inseriti. [SM=g1740722]

    Ora, questo è possibile ad una condizione: che viviate di Lui e in Lui, mediante la preghiera e i Sacramenti, come vi ho scritto nel
    Messaggio di quest'anno. Se le parole di Cristo rimangono in noi, possiamo propagare la fiamma di quell'amore che Egli ha acceso sulla terra; possiamo portare alta la fiaccola della fede e della speranza, con la quale avanziamo verso di Lui, mentre ne attendiamo il ritorno glorioso alla fine dei tempi. È la fiaccola che il Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato in eredità. L'ha consegnata a me, come suo successore; ed io questa sera la consegno idealmente, ancora una volta, in un modo speciale a voi, giovani di Roma, perché continuiate ad essere sentinelle del mattino, vigili e gioiosi in quest'alba del terzo millennio. Rispondete generosamente all'appello di Cristo! In particolare, durante l'Anno Sacerdotale che inizierà il 19 giugno prossimo, rendetevi prontamente disponibili, se Gesù vi chiama, a seguirlo nella via del sacerdozio e della vita consacrata.

    "Ecco ora il momento favorevole; è questo il giorno della salvezza!" Al canto al Vangelo, la liturgia ci ha esortati a rinnovare ora, - ed ogni istante è "momento favorevole" - la nostra decisa volontà di seguire Cristo, certi che Egli è la nostra salvezza. Questo, in fondo, è il messaggio che ci ripete questa sera il caro Papa Giovanni Paolo II. Mentre affidiamo la sua anima eletta alla materna intercessione della Vergine Maria che ha sempre amato teneramente, speriamo vivamente che dal Cielo non cessi di accompagnarci e di intercedere per noi. Aiuti ciascuno di noi a vivere, come lui ha fatto, ripetendo giorno dopo giorno a Dio, per mezzo di Maria con piena fiducia: Totus tuus. Amen!

    [© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana, aggiunte a cura di ZENIT]


                    
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 02/04/2009 23:35
    Santa Messa per Giovanni Paolo II...





























    grazie a http://benedettoxviforum.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8281109&p=13&#idm92736882

    [SM=g1740739] [SM=g1740739]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 29/03/2010 20:21
    CAPPELLA PAPALE NEL V ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO GIOVANNI PAOLO II

    OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


    Basilica Vaticana
    Lunedì, 29 marzo 2010

    Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
    cari fratelli e sorelle
    !

    Siamo riuniti intorno all’altare, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dell’anima eletta del Venerabile Giovanni Paolo II, nel quinto anniversario della sua dipartita. Lo facciamo con qualche giorno di anticipo, perché il 2 aprile sarà quest’anno il Venerdì Santo. Siamo, comunque, all’interno della Settimana Santa, contesto quanto mai propizio al raccoglimento e alla preghiera, nel quale la Liturgia ci fa rivivere più intensamente le ultime giornate della vita terrena di Gesù. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tutti voi che prendete parte a questa Santa Messa. Saluto cordialmente i Cardinali – in modo speciale l’Arcivescovo Stanislao Dziwisz – i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose; come pure i pellegrini giunti appositamente dalla Polonia, i tanti giovani e i numerosi fedeli che non hanno voluto mancare a questa Celebrazione.

    Nella prima lettura biblica che è stata proclamata, il profeta Isaia presenta la figura di un “Servo di Dio”, che è allo stesso tempo il suo eletto, nel quale egli si compiace. Il Servo agirà con fermezza incrollabile, con un’energia che non viene meno fino a che egli non abbia realizzato il compito che gli è stato assegnato. Eppure, non avrà a sua disposizione quei mezzi umani che sembrano indispensabili all’attuazione di un piano così grandioso. Egli si presenterà con la forza della convinzione, e sarà lo Spirito che Dio ha posto in lui a dargli la capacità di agire con mitezza e con forza, assicurandogli il successo finale. Ciò che il profeta ispirato dice del Servo, lo possiamo applicare all’amato Giovanni Paolo II: il Signore lo ha chiamato al suo servizio e, nell’affidargli compiti di sempre maggiore responsabilità, lo ha anche accompagnato con la sua grazia e con la sua continua assistenza. Durante il suo lungo Pontificato, egli si è prodigato nel proclamare il diritto con fermezza, senza debolezze o tentennamenti, soprattutto quando doveva misurarsi con resistenze, ostilità e rifiuti. Sapeva di essere stato preso per mano dal Signore, e questo gli ha consentito di esercitare un ministero molto fecondo, per il quale, ancora una volta, rendiamo fervide grazie a Dio.

    Il Vangelo poc’anzi proclamato ci conduce a Betania, dove, come annota l’Evangelista, Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro (Gv 12,1). Questo banchetto in casa dei tre amici di Gesù è caratterizzato dai presentimenti della morte imminente: i sei giorni prima di Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che non sempre lo avrebbero avuto con loro, il proposito di eliminare Lazzaro in cui si riflette la volontà di uccidere Gesù. In questo racconto evangelico, c’è un gesto sul quale vorrei attirare l’attenzione: Maria di Betania “prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli” (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, poi, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore.

    Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando – ci dice il quarto Vangelo – “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli” (Gv 13,4-5), perché – disse – “anche voi facciate come io ho fatto a voi” (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: “tutta la casa – annota l’Evangelista – si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.

    “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: “Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua ”ora” si avvicina, l’“ora” in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: “Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore” (In Ioh. evang., 50, 6).

    Cari fratelli e sorelle! Tutta la vita del Venerabile Giovanni Paolo II si è svolta nel segno di questa carità, della capacità di donarsi in modo generoso, senza riserve, senza misura, senza calcolo. Ciò che lo muoveva era l’amore verso Cristo, a cui aveva consacrato la vita, un amore sovrabbondante e incondizionato. E proprio perché si è avvicinato sempre più a Dio nell’amore, egli ha potuto farsi compagno di viaggio per l’uomo di oggi, spargendo nel mondo il profumo dell’Amore di Dio. Chi ha avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo, ha potuto toccare con mano quanto viva fosse in lui la certezza “di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”, come abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale (26/27,13); certezza che lo ha accompagnato nel corso della sua esistenza e che, in modo particolare, si è manifestata durante l’ultimo periodo del suo pellegrinaggio su questa terra: la progressiva debolezza fisica, infatti, non ha mai intaccato la sua fede rocciosa, la sua luminosa speranza, la sua fervente carità. Si è lasciato consumare per Cristo, per la Chiesa, per il mondo intero: la sua è stata una sofferenza vissuta fino all’ultimo per amore e con amore.

    Nell’Omelia per il XXV anniversario del suo Pontificato, egli confidò di avere sentito forte nel suo cuore, al momento dell’elezione, la domanda di Gesù a Pietro: “Mi ami tu? Mi ami più di costoro…? (Gv 21,15-16); e aggiunse: “Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato” (16 ottobre 2003). Sono parole cariche di fede e di amore, l’amore di Dio, che tutto vince!

    Na zakończenie pragnę pozdrowić obecnych tu Polaków. Gromadzicie się licznie wokół grobu Czcigodnego Sługi Bożego ze szczególnym sentymentem, jako córki i synowie tej samej ziemi, wyrastający w tej samej kulturze i duchowej tradycji. Życie i dzieło Jana Pawła II, wielkiego Polaka, może być dla Was powodem do dumy. Trzeba jednak byście pamiętali, że jest to również wielkie wezwanie, abyście byli wiernymi świadkami tej wiary, nadziei i miłości, jakich on nieustannie nas uczył. Przez wstawiennictwo Jana Pawła II niech was zawsze umacnia Boże błogosławieństwo.

    [Infine voglio salutare i polacchi qui presenti. Vi radunate numerosi intorno alla tomba del Venerabile Servo di Dio con un sentimento speciale, come figlie e figli della stessa terra, cresciuti nella stessa cultura e tradizione spirituale. La vita e l’opera di Giovanni Paolo II, grande polacco, può essere per voi motivo di orgoglio. Bisogna però che ricordiate, che questa è anche una grande chiamata ad essere fedeli testimoni della fede, della speranza e dell’amore, che egli ci ha ininterrottamente insegnato. Per l’intercessione di Giovanni Paolo II, vi sorregga sempre la benedizione del Signore.]

    Mentre proseguiamo la Celebrazione eucaristica, accingendoci a vivere i giorni gloriosi della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, affidiamoci con fiducia – sull’esempio del Venerabile Giovanni Paolo II – all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, affinché ci sostenga nell’impegno di essere, in ogni circostanza, apostoli infaticabili del suo Figlio divino e del suo Amore misericordioso.

    Amen!


                                          Pope Benedict XVI (L) leads the mass in memory of John Paul II on the anniversary of his death in Saint Peter's Basilic at the Vatican March 29, 2010.
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 01/04/2011 18:28

    Anniversario della morte di Papa Wojtyla: lo speciale dell'Osservatore Romano

    I sacerdoti e la Chiesa in Polonia agli inizi degli anni Settanta in un'intervista al cardinale Karol Wojtyla arcivescovo metropolita di Cracovia

    A tempo pieno per una vita diversa

    La libertà è l'elemento costitutivo della dignità della persona ininterrottamente proclamato e difeso dal pensiero cristiano

    Anticipiamo in esclusiva il testo di un'intervista all'arcivescovo metropolita di Cracovia, cardinale Karol Wojtyla, che esce nel numero speciale dedicato a Giovanni Paolo II da "Palabra" e che la stessa rivista aveva pubblicato nel numero 86, dell'ottobre 1972.

    Il futuro Giovanni Paolo II rispose sul sacerdozio - di cui l'assemblea del Sinodo dei vescovi si era occupata un anno prima - e sulla situazione della Chiesa in Polonia. Inedito è il testo manoscritto in polacco delle risposte, dove all'inizio di ogni pagina il porporato trascrisse versi del Veni sancte Spiritus e altre espressioni in latino: nihil est in homine, nihil est innoxium, lava quod est sordidum, et omnia mea tua sunt, totus tuus.


    di JOAQUÍN ALONSO PACHECO

    La Polonia è uno dei Paesi che ha registrato negli ultimi anni un maggiore incremento di vocazioni al sacerdozio. In questo fenomeno svolge un ruolo indubbiamente importante l'immagine del sacerdote che i cittadini polacchi desiderano per la loro Chiesa. Potrebbe spiegare, Eminenza, quali aspettative ha la Chiesa in Polonia in tal senso? Prima di tutto devo dire che dobbiamo all'ultimo Sinodo dei vescovi il fatto che si sia intensificata e sistematizzata la riflessione sul tema del sacerdozio ministeriale e che tale riflessione abbia coinvolto tutta la Chiesa, passando dalle Conferenze episcopali alle Chiese locali e a tutti i fedeli. In tal modo abbiamo affrontato uno dei punti fondamentali della coscienza della Chiesa. A questa coscienza della Chiesa ravvivata dal Sinodo si pone anche, per quanto riguarda la Polonia, il problema delle aspettative dei cattolici rispetto alla figura del sacerdote.

    È vero che la forte carenza di organizzazioni cattoliche nel nostro Paese ci ha impedito molte volte di consultare tutti i settori del laicato nella fase preparatoria del Sinodo; tuttavia altri eventi ci hanno permesso di prendere nota in modo diretto dei suoi sentimenti riguardo al problema del sacerdozio. La celebrazione nel 1970 del cinquantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Paolo VI, vissuta con particolare intensità in Polonia, il venticinquesimo anniversario della liberazione dei 250 sacerdoti dai campi di concentramento di Dachau, e, lo scorso anno, la preparazione della beatificazione di Massimiliano Kolbe - il sacerdote cattolico che diede la propria vita ad Auschwitz in cambio di quella di un padre di famiglia - hanno rappresentato per i nostri fedeli una sorta d'introduzione spirituale al Sinodo e, per noi, un'occasione per constatare che la figura del sacerdote si trova al centro della coscienza della Chiesa in Polonia.

    Lo dimostrano anche le risposte date dai nostri sacerdoti, la scorsa primavera, alle domande formulate dalla Segreteria del Sinodo nella fase preparatoria. Tali risposte si attengono a questa coscienza, ossia definiscono la figura del sacerdote nelle sue convinzioni proprie e allo stesso tempo in conformità con le esigenze concrete del resto del Popolo di Dio. In Polonia è un elemento confortante la stretta relazione che esiste fra la vita sacerdotale concreta - il modo in cui il sacerdote vede se stesso - e le esigenze della fede viva della Chiesa: il sensus fidei del Popolo di Dio per il quale egli è stato chiamato al ministero. Da quelle risposte si deduce che per i cattolici polacchi la problematica del sacerdozio verte soprattutto sul momento stesso della vocazione sacerdotale. Viene giustamente concepita come una particolarissima chiamata personale di Cristo, come il prolungamento naturale della chiamata rivolta da Gesù agli Apostoli. Tutti i fedeli, nelle diverse forme dell'esistenza umana, cercano di condurre una vita in sintonia con la speciale intenzione di Dio contenuta nel Battesimo, ma la vocazione sacerdotale s'intende proprio nella sua peculiarità. A questo nuovo "vieni e seguimi" pronunciato in modo imperativo da Cristo, corrisponde, nella sensibilità dei nostri fedeli, la certezza che, al carattere personale di tale chiamata, deve seguire un impegno totale della persona. Riassumendo, si vive, letteralmente, l'espressione con la quale la lettera agli ebrei descrive il sacerdote, ossia ex hominibus assumptus (Ebrei, 5, 1).

    Ciò spiega come, nonostante le difficoltà obiettive, i seminari siano oggetto di particolare attenzione da parte di tutti e vengano mantenuti grazie, esclusivamente, alle donazioni dei fedeli. E spiega anche la straordinaria partecipazione con cui - specialmente nelle comunità di provincia ma anche nelle grandi città - si seguono le ordinazioni sacerdotali e le celebrazioni delle prime Messe.
    Possiamo continuare a servirci del modello del testo paolino per illustrare un secondo aspetto importante di questa coscienza dei cattolici polacchi relativa al sacerdozio: pro hominibus constituitur. I fedeli vedono nel sacerdote il sostituto e il seguace di Cristo, che sa affrontare con piacere qualsiasi sacrificio personale per la salvezza delle anime che gli sono state affidate. Hanno fiducia in lui e apprezzano soprattutto il suo zelo apostolico concreto e il suo instancabile spirito di sacrificio per il prossimo, realizzato nello spirito di Cristo. Ed è proprio insistendo su queste dimensioni dell'esistenza sacerdotale che penso si possa superare qualsiasi "crisi d'identità". Il sacerdote è utile alla società se riesce a utilizzare tutte le sue capacità fisiche e spirituali nello svolgimento del suo ministero pastorale. I fedeli non hanno bisogno di funzionari della Chiesa, o di efficaci dirigenti amministrativi, ma di guide spirituali, di educatori (fra la mia gente regna la convinzione che il cristianesimo possieda principi morali e possibilità educative insostituibili).

    Tornando al documento sinodale, per vedere riflessa in esso la situazione polacca, sarebbe necessario apportare una lieve correzione: più che insistere sulla crisis identitatis, sarebbe bene mettere in evidenza la identificatio per vitam et ministerium che costituisce l'elemento più importante del modo in cui i nostri fedeli considerano il sacerdozio, alla luce di tutto ciò che hanno già sottolineato alcuni documenti conciliari come la Lumen gentium, e il Presbyterorum ordinis. Ciò non significa che i sacerdoti polacchi non guardino con gratitudine al compito realizzato dal Sinodo.

    In numerosi Paesi occidentali, dove con l'industrializzazione si è diffusa una mentalità sempre più tipica della società secolarizzata, si parla di sacerdozio part-time, e di attività professionali dei sacerdoti. Come considera, Eminenza, questo problema rispetto a quello della scarsità del clero?

    Il documento finale del Sinodo risponde a questa domanda in termini essenziali. Nella parte dedicata ai principi dottrinali si legge: "La permanenza per tutta la vita di questa realtà che imprime un segno, la quale è dottrina di fede e, nella tradizione della Chiesa, prende il nome di carattere sacerdotale, serve ad esprimere il fatto che Cristo si è associata irrevocabilmente la Chiesa per la salvezza del mondo, e che la Chiesa stessa è consacrata a Cristo in modo definitivo, affinché la sua opera abbia compimento. Il ministro, la cui vita reca il suggello del dono ricevuto attraverso il sacramento dell'Ordine, ricorda alla Chiesa che il dono di Dio è definitivo". In accordo con tutta la tradizione, il Sinodo ha affermato che il sacerdozio ministeriale, come frutto della particolare vocazione di Cristo, è un dono di Dio nella Chiesa e per la Chiesa; e questo dono, una volta accettato dall'uomo nella Chiesa, è irrevocabile. In effetti, il Sinodo ha riaffermato che "questa peculiare partecipazione al sacerdozio di Cristo non scompare in alcun modo, sebbene il sacerdote sia dispensato o rimosso dall'esercizio del ministero per motivi ecclesiali o personali". Nella pratica è la Chiesa che, attraverso il vescovo, chiama determinati individui al sacerdozio e lo trasmette loro in modo sacramentale, ma questo non deve far dimenticare che l'autore del dono, colui che ha istituito il sacerdozio, è Dio stesso. "Attraverso l'imposizione delle mani viene comunicato il dono indelebile dello Spirito Santo (cfr. 2 Timoteo, 1, 6). Tale realtà configura e consacra a Cristo sacerdote il ministro ordinato e lo rende partecipe della missione di Cristo nel suo duplice aspetto, di autorità e di servizio. Questa autorità non è propria del ministro: essa è, infatti, la manifestazione della exousìa, cioè della potestà del Signore, in virtù della quale il sacerdote svolge il ruolo di ambasciatore nell'opera escatologica della riconciliazione (cfr. 2 Corinzi, 5,18-20)". Che dire pertanto del sacerdote part-time?

    Anche qui la risposta ce la dà il documento finale del Sinodo: "come norma ordinaria, si deve attribuire tempo pieno al ministero sacerdotale. Per nulla, infatti, è da considerare quale fine principale la partecipazione alle attività secolari degli uomini, né può essa bastare ad esprimere la specifica responsabilità dei presbiteri". Si tratta pertanto di fornire una risposta adeguata alla domanda: che cos'è il sacerdote? e in tale ottica il Sinodo riprende le parole della Presbyterorum ordinis: i presbiteri, senza essere del mondo e senza avere il mondo come esempio, devono tuttavia vivere nel mondo (cfr. Presbyterorum ordinis, 3, 17; Giovanni, 17, 14-16) come testimoni e dispensatori di un'altra vita diversa da questa vita terrena (cfr. Presbyterorum ordinis, 3). Solo partendo da queste premesse si può trovare una soluzione realistica e conforme alla fede. Il Sinodo non ha dimenticato che anche in epoche passate della storia della Chiesa ci sono stati sacerdoti che si sono dedicati ad attività extra-sacerdotali, ma esercitandole sempre in stretta connessione con la specifica missione pastorale; per questo, "per determinare, nelle circostanze concrete, quale convenienza vi sia tra le attività profane ed il ministero sacerdotale, bisogna chiedersi se e come quelle funzioni e attività servano sia alla missione della Chiesa, sia agli uomini non ancora evangelizzati, sia, infine, alla comunità cristiana, a giudizio del Vescovo locale col suo presbiterio, e dopo aver consultato, in quanto è necessario, la Conferenza Episcopale".

    La decisione del vescovo o della Conferenza episcopale dovrebbe quindi tener conto di queste premesse. Infine, per quanto riguarda lo svolgimento delle attività propriamente extra-sacerdotali, il Sinodo lo consente, ma con alcune importanti precisazioni: "Quando codeste attività, ordinariamente di spettanza dei laici, siano richieste dalla stessa missione evangelizzatrice del presbitero, devono essere poste in armonia con le altre attività del ministero, dal momento che si possono considerare, in quelle circostanze, come modalità necessarie di un vero ministero (cfr. Presbyterorum ordinis, 8)". Il Sinodo si è pertanto assunto la responsabilità di proteggere la Chiesa dal rischio di sminuire il dono divino del sacerdozio. Conforme a questo stesso senso di responsabilità, ritengo che si debba inquadrare nelle sue giuste dimensioni il problema della scarsità del clero; non si può pensare di risolvere le difficoltà derivanti dalla quantità rinunciando alla qualità. Si tratta di migliorare l'impiego del sacerdote nella Chiesa, senza però dimenticare che solo "il Signore della Messe" può moltiplicare questo dono e che agli uomini spetta accoglierlo con la disposizione che per sua natura esso richiede.

    Dalle sue parole si può desumere che la crisi che ha coinvolto il sacerdozio deriva soprattutto da difficoltà di fede e dalla mancanza di una genuina spiritualità sacerdotale nella Chiesa di oggi. Le sembra tuttavia che, al di là di questa crisi, agisca anche una cultura enormemente scristianizzata? Il Sinodo, a cui lei ha fatto riferimento, ha affrontato anche questo aspetto: qual è la sua opinione al riguardo?

    Durante i lavori sinodali si parlò molto di crisi d'identità del sacerdote, inquadrandola in una crisi d'identità più essenziale della Chiesa stessa. Certe espressioni però mi sembra che restino vaghe: è chiaro che più che a una crisi obiettiva, in esse si alludeva a una coscienza soggettiva di crisi. Chiarito ciò, passo a rispondere direttamente alla sua domanda. Il documento finale sul sacerdozio, sebbene abbia evitato l'espressione "Crisi d'identità" - usata invece nel documento preparatorio - proprio nei punti dedicati a illustrare tale crisi, evoca questa idea. Ecco un esempio: "Dinanzi a tale realtà in alcuni nascono queste inquietanti domande: Esiste o non esiste una ragione specifica del ministero sacerdotale? È o non è necessario questo ministero? È permanente questo sacerdozio? Che cosa vuol dire oggi essere sacerdote? Non sarebbe sufficiente per il servizio delle comunità poter contare su alcuni presidenti designati per servire il bene comune, senza che debbano ricevere l'ordinazione sacerdotale e che esercitino il loro incarico temporaneamente?". Si può senza dubbio affermare che domande come questa sono nate storicamente nell'ambito teologico, facendo appello a presupposti teorici elaborati sistematicamente da alcuni teologi come forma di contestazione alla metodologia teologica tradizionale. Ma una volta formulati e comunicati all'opinione pubblica ecclesiale, esprimono un atteggiamento di contestazione esistenziale più profonda. Il testo si preoccupa proprio di ricostruire la genesi di questo secondo tipo di contestazione e a tale riguardo continua a riferirsi all'ambito globale della cultura contemporanea.
     
    "Le questioni anzidette, che in parte sono nuove ed in parte erano già note da tempo, ma che si presentano oggi in forma nuova, non possono esser comprese fuori dal contesto globale della cultura moderna, la quale dubita molto del suo stesso significato e valore. I nuovi ritrovati della tecnica suscitano speranze eccessivamente entusiastiche ed insieme profonde ansietà. Ci si domanda, giustamente, se l'uomo potrà essere capace di dominare la sua opera e di indirizzarla verso il progresso. Alcuni, soprattutto i più giovani, hanno una concezione pessimistica intorno al significato di questo mondo e cercano salvezza in sistemi puramente meditativi, o in paradisi artificiali e appartati, estraendosi da quello che è lo sforzo comune dell'umanità. Altri, animati da una grande speranza utopistica senza alcun riferimento a Dio, si impegnano nella conquista di uno stato di liberazione totale e trasferiscono dal presente al futuro il significato di tutta la loro personale esistenza. In tal modo, risultano profondamente scompaginate l'azione e la contemplazione, il lavoro e lo svago, la cultura e la religione, l'aspetto immanente e quello trascendente della vita umana".
    Il problema è: è giusta questa diagnosi? O meglio: spiega veramente tutto? Ossia, questo contesto della cultura contemporanea è veramente globale? I membri dell'Episcopato polacco, che devono affrontare difficoltà di ogni sorta, tendono a sostenere che il documento generalizza un insieme di sintomi caratteristici del mondo occidentale con grande sviluppo tecnologico: la situazione della Chiesa in altri Paesi presenta aspetti molti diversi.

    Il Sinodo, certamente, non ignorò questa realtà: "Sappiamo bene che esistono regioni del mondo, nelle quali fino ad ora meno si avverte quella profonda trasformazione culturale, e che le questioni, che sono state sopra richiamate, non si pongono dappertutto, né da parte di tutti i sacerdoti, né dallo stesso punto di vista". Ebbene, in Polonia, forse per l'influenza di un regime politico e socioeconomico diverso, la trasformazione culturale non solo si avverte meno, ma anche in modo abbastanza diverso. Dai sondaggi condotti di recente fra i sacerdoti polacchi si desume che fra noi non si può parlare né di crisi d'identità del sacerdote, né di crisi d'identità della Chiesa. Nell'impatto con l'ideologia marxista e il suo ateismo programmato e diffuso in modo propagandistico, la Chiesa non ha perso la propria identità. Le crisi, quando ci sono, sono individuali; e qui torniamo al problema della fede e della spiritualità. La fede è una grazia soprannaturale che si sviluppa nelle circostanze più diverse e contraddittorie. In questo tempo, posto che l'incremento del progresso materiale comporta forti tensioni nella vita spirituale, penso che si debba sottolineare che la sua risoluzione radicale dipende da un incremento proporzionale della vita della fede. È stata sempre questa, al di là delle diagnosi, la risposta fondamentale del Sinodo.

    Parallelamente alla missione di promuovere e di garantire la fede (Magistero) c'è la funzione di orientare i credenti, trasmettendo loro fedelmente le indicazioni magisteriali. Potrebbe in tal senso spiegare l'allusione fatta poco fa alla teologia?

    Non si tratta solo della teologia, bensì in generale, della formazione dell'opinione pubblica nella Chiesa. In questo settore svolgono un ruolo determinante i mass media, che, come è noto, si strutturano in base a leggi proprie. Questi, naturalmente, non possono agire a detrimento della loro fedeltà al messaggio. Il problema è così reale che lo stesso Sinodo se ne fece eco nel documento sulla giustizia con queste parole: "La coscienza del nostro tempo esige la verità nei sistemi di comunicazione sociale, il che include anche il diritto all'immagine obiettiva diffusa dagli stessi mezzi e la possibilità di correggere la sua manipolazione". La Chiesa ha trattato la problematica della comunicazione in modo sempre più positivo e fiducioso (basti pensare al decreto conciliare Inter mirifica e all'istruzione Communio et progressio), ma allo stesso tempo non si può occultare l'esistenza oggettiva del rischio che i mezzi di comunicazione ledano il diritto alla verità e diventino uno dei principali centri d'ingiustizia nel mondo contemporaneo. Per questo, assegnando ai mass media la loro giusta finalità, il testo sinodale afferma esplicitamente: "Questo tipo di educazione, dato che rende tutti gli uomini più integralmente umani, li aiuterà a non continuare ad essere in futuro oggetto di manipolazioni, né da parte dei mezzi di comunicazione, né da parte delle forze politiche, ma, al contrario, li renderà capaci di forgiare il proprio destino e di costruire comunità veramente umane".

    Questi testi toccano il nostro tema, anche se in un certo senso lo trascendono: aiutano a dissipare gli equivoci che nascono quando si passa dal piano della vita della Chiesa - al quale pastori e teologi apportano il loro specifico contributo, rimanendo fedeli al ministero pastorale e sacerdotale - al piano della comunicazione e della creazione di un'opinione pubblica. Ritengo pertanto giustificate le preoccupazioni dei padri sinodali per evitare che, nel passaggio delle comunicazioni sociali, si deformino elementi che sono fondamentali per la vita della Chiesa. Si tratta di porre in atto un movimento di sensibilizzazione che promuova nei responsabili della comunicazione una maggiore consapevolezza della loro responsabilità nell'edificazione della Chiesa secondo la volontà di Cristo, individuando con realismo quei fattori che - per interessi di parte e per un diffuso spirito di divismo - influiscono in modo negativo.

    Fra le raccomandazioni rivolte ai sacerdoti dal Magistero ecclesiastico recente, spicca, per la su frequenza, la messa in guardia contro la tentazione di adattare l'annuncio della parola e i criteri di azione pastorale alla mentalità mondana. Visto che questa mentalità si mostra sempre più intrisa d'ideologia permissiva, tanto che si parla già apertamente di "teologia permissiva", ritiene che sia necessario estendere tale monito anche ai teologi?

    Il permissivismo e le sue manifestazioni nell'ambito teologico sono fenomeni tipici della società occidentale che, in Paesi come la Polonia, hanno un'influenza per ora piuttosto relativa. Come osservatore dal di fuori posso quindi solo limitarmi a fare considerazioni generali.
    In primo luogo è chiaro che all'origine del permissivismo c'è una concezione esclusivamente orizzontale - e per questo un po' riduttiva - della libertà. La libertà è l'elemento costitutivo della dignità della persona ininterrottamente proclamato e difeso dal pensiero cristiano. Occorre però anche tener presente che la libertà cristiana non è mai un fine in se stesso. È piuttosto forzatamente finalizzata: è il mezzo per il conseguimento del vero bene. L'errore di prospettiva del permissivismo consiste nel capovolgere l'obiettivo: il fine diviene la ricerca della libertà individuale, senza alcun riferimento al bene con cui la libertà s'impegna. La conseguenza pratica è che, al di fuori della finalizzazione del bene, la libertà si trasforma in abuso, e invece di fornire alla persona l'ambito per la sua autorealizzazione, determina il suo svuotamento e la frustrazione. Della libertà non resta altro che lo slogan. È indubbio che una simile impostazione sia da considerare assolutamente contraria ai criteri che devono orientare una retta teologia e una efficace azione pastorale. Teologi e pastori devono, in tale situazione, interrogarsi incessantemente sui veri valori cristiani. L'uomo porta la norma della sua libertà - secondo l'espressione paolina - in "vasi di creta" (2 Corinzi, 4, 7). Le tentazioni sono molte, ma altrettante sono le possibilità di recuperare. Si potranno evitare molte confusioni non chiudendosi ai problemi della società permissiva, ma piuttosto ricordando che deve essere il messaggio cristiano - il suo radicamento nella coscienza naturale - e non il permissivismo, a dettare le leggi della lotta per l'autentica libertà, che è anche sempre una delle componenti indispensabili nella missione della Chiesa.

    Qual è, a suo giudizio, Eminenza, l'insegnamento che i sacerdoti di oggi, e in particolare i sacerdoti polacchi, possono trarre da una figura come quella di Massimiliano Kolbe?

    Il fatto che Massimiliano Maria Kolbe sia stato beatificato durante i lavori del Sinodo attribuisce alla sua figura - come ha sottolineato il cardinale Duval, presidente di turno dell'assemblea sinodale - un significato che valica i confini nazionali e fa di lui un esempio per tutti i sacerdoti: il simbolo di un tempo segnato da crudeltà disumane, ma anche da consolanti episodi di santità. Poi, per noi polacchi, la sua beatificazione acquista chiaramente un carattere particolare: ai più anziani fra noi sacerdoti ricorda i tormenti subiti con il resto della popolazione nei campi di sterminio, dove il dolore e la solidarietà prepararono la Chiesa in Polonia a nuove prove. Ma per i più giovani, padre Kolbe rappresenta un'indicazione di quanto il sacerdote deve esigere a se stesso nel servizio agli altri.
    Si possono anche considerare paradigmatici altri aspetti della sua personalità (basti pensare alla sua devozione a Nostra Signora e alla sua azione apostolica nella stampa). Tutta la sua figura, tanto intimamente raffigurata dalla croce, è un appello pressante alla finalità apostolica della vocazione cristiana e alla totale rinuncia a se stessi, che costituisce una dimensione costante dell'esistenza sacerdotale.

    (L'Osservatore Romano 2 aprile 2011)

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 01/04/2011 18:44

    Ricordo di Giovanni Paolo II a sei anni dalla morte

    Dove sta il centro del mondo


    di padre KONRAD KRAJEWSKI

    Stavamo in ginocchio attorno al letto di Giovanni Paolo II. Il Papa giaceva in penombra. La luce discreta della lampada illuminava la parete, ma lui era ben visibile.
    Quando è arrivata l'ora di cui, pochi istanti dopo, tutto il mondo avrebbe saputo, improvvisamente l'arcivescovo Dziwisz si è alzato. Ha acceso la luce della stanza, interrompendo così il silenzio della morte di Giovanni Paolo II. Con voce commossa, ma sorprendentemente ferma, con il tipico accento montanaro, allungando una delle sillabe, ha cominciato a cantare: "Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore".
    Sembrava un tuono proveniente dal cielo. Tutti guardavamo meravigliati don Stanislao. Ma la luce accesa e il canto delle parole che seguivano - "O eterno Padre, tutta la terra ti adora..." - davano certezza a ciascuno di noi. Ecco - pensavamo - ci troviamo in una realtà totalmente diversa. Giovanni Paolo II è morto: vuol dire che egli vive per sempre.
    Anche se il cuore singhiozzava e il pianto stringeva la gola, abbiamo ripreso a cantare. A ogni parola la nostra voce diventava più sicura e più forte. Il canto proclamava: "Vincitore della morte, hai aperto ai credenti il regno dei cieli".
    Così, con l'inno del Te Deum, abbiamo glorificato Dio, ben visibile e riconoscibile nella persona del Papa. In un certo senso, questa è anche l'esperienza di tutti coloro che lo hanno incontrato nel corso del pontificato. Chi entrava in contatto con Giovanni Paolo II, incontrava Gesù, che il Papa rappresentava con tutto se stesso. Con la parola, il silenzio, i gesti, il modo di pregare, il modo di incedere nello spazio liturgico, il raccoglimento in sagrestia: con tutto il suo modo di essere. Lo si notava immediatamente: era una persona ricolma di Dio. E per il mondo era diventato segno visibile di una realtà invisibile. Anche attraverso il suo corpo straziato dalla sofferenza degli ultimi anni.
    Spesso bastava guardarlo per scoprire la presenza di Dio e, così, cominciare a pregare. Bastava per andare a confessarsi: non solo dei propri peccati, ma di non essere santi come lui.

    Quando ha smesso di camminare e, durante le celebrazioni, è diventato totalmente dipendente dai cerimonieri, ho cominciato a rendermi conto che stavo toccando una persona santa. Forse facevo irritare i penitenzieri vaticani allorché, prima di ogni celebrazione, andavo a confessarmi, seguendo un imperativo interiore e sentendone una forte necessità. Avevo bisogno di ricevere l'assoluzione per stare accanto a lui. Quando si sta accanto a una persona santa, quando l'uomo in qualche modo tocca la santità, questa si irradia in tutta la persona. Ma, allo stesso tempo, si sperimenta sulla propria pelle anche la tentazione: evidentemente allo spirito maligno non piace l'aria di santità. Quando, verso le 3 di notte, sono uscito dall'appartamento del Palazzo Apostolico, a Borgo Pio c'era una moltitudine di gente: camminavano nel silenzio più raccolto. Il mondo si era fermato, si era inginocchiato e aveva pianto.
    C'era chi piangeva solo per il fatto di aver perso una persona amata e poi ritornava a casa così come era venuto. E c'era chi, alle lacrime esteriori, univa quelle interiori, che scaturivano dal sentirsi inadeguati e infedeli di fronte al Signore. Questo pianto era benedetto. Era l'inizio del miracolo della conversione. Per tutti i giorni successivi, fino al funerale del Papa, Roma è diventata un cenacolo: tutti si comprendevano, anche se parlavano lingue diverse.
    Sono stato a contatto con il Papa per sette lunghi anni: durante la sua vita, ma anche quando la sua anima si è staccata dal corpo. Nel momento della morte restano a noi solo le spoglie che si trasformeranno in polvere: il corpo svanisce, e la persona è accolta nel mistero di Dio.

    Tra i compiti dei cerimonieri c'è anche quello di prendersi cura del corpo del Papa defunto. L'ho fatto per sette lunghi giorni, fino al funerale. Poco dopo la sua morte, ho vestito Giovanni Paolo II insieme a tre infermieri che lo avevano seguito per lungo tempo. Anche se era già trascorsa un'ora e mezza dal decesso, essi continuavano a parlare con il Papa come se stessero parlando al proprio padre. Prima di mettergli la tonaca, il camice, la casula, lo baciavano, lo accarezzavano e lo toccavano con amore e riverenza, proprio come se si trattasse di una persona di famiglia.
    Il loro atteggiamento non manifestava solo la devozione al Pontefice: per me rappresentava il timido annuncio di una beatificazione vicina.
    Forse è per questo che non mi sono mai dedicato a pregare intensamente per la sua beatificazione, dal momento che avevo già cominciato a parteciparvi.
    Ogni giorno celebro l'Eucaristia nelle Grotte Vaticane. Osservo come i dipendenti della basilica e tutti coloro che si recano al lavoro nei diversi dicasteri e uffici del Vaticano, i gendarmi, i giardinieri, gli autisti, cominciano la giornata con un momento di preghiera presso la tomba di Giovanni Paolo II: toccano la lapide e gli mandano un bacio. È così tutte le mattine.
    Dal 2000 il Papa aveva cominciato a indebolirsi sempre di più. Aveva grande difficoltà nel camminare. Preparando il grande Giubileo con l'arcivescovo Piero Marini ci auguravamo che almeno potesse aprire la porta santa. Era quasi impossibile pensare al futuro.

    Mentre mi trovavo sulle montagne polacche, una volta ho sentito questa affermazione: "Ancora non ci conosciamo, perché non abbiamo sofferto insieme". Con monsignor Marini abbiamo partecipato per cinque lunghi anni alle sofferenze del Papa, al suo eroico combattimento con se stesso per sopportare la sofferenza. Mi vengono in mente le parole del salmo 51: "Purificami con issopo e sarò mondato", che si possono intendere anche così: "Toccami con la sofferenza e sarò puro".

    Essere con Giovanni Paolo II voleva dire vivere nel Vangelo, essere dentro il Vangelo.
    Negli ultimi anni del servizio accanto a lui mi sono reso conto che la bellezza è sempre legata alla sofferenza. Non si può toccare Gesù senza toccare la croce: il Pontefice era così provato, si può dire martoriato dalla sofferenza, ma così estremamente bello, in quanto con gioia ha offerto tutto ciò che ha ricevuto da Dio e con gioia ha restituito a Dio tutto ciò che da Lui ha avuto. La santità infatti - come diceva Madre Teresa di Calcutta - non significa soltanto che noi offriamo tutto a Dio, ma anche che Dio prende da noi tutto quello che ci ha dato.
    L'atleta che camminava e sciava sulle montagne ora aveva smesso di camminare; l'attore aveva perso la voce. A poco a poco gli era stato tolto tutto.
    Prima di cominciare le esequie, monsignor Dziwisz e monsignor Marini hanno coperto il volto del Papa con un panno di seta, un simbolo dal significato molto profondo: tutta la sua vita è stata coperta e nascosta in Dio. Mentre compivano questo gesto, stavo accanto alla bara e tenevo in mano l'Evangeliario, un altro segno forte. Giovanni Paolo II non si vergognava del Vangelo. Viveva secondo il Vangelo. Scioglieva secondo il Vangelo tutti i problemi del mondo e della Chiesa. Secondo il Vangelo ha costruito tutta la sua vita interiore ed esteriore.

    Il mistero di Giovanni Paolo II, cioè la sua bellezza, si esprime molto bene attraverso la preghiera di Papa Clemente XI che si trovava negli antichi breviari: "Voglio tutto ciò che tu vuoi, lo voglio perché tu lo vuoi, lo voglio come e quando lo vuoi tu". Chi pronuncia queste parole con il cuore diventa come Gesù che, umile, si nasconde nell'ostia e si offre per essere consumato. Chi fa proprie queste parole comincia a vivere con lo spirito di adorazione del Santissimo Sacramento.
    Seguendo il Pontefice nei viaggi apostolici, durante le lunghe trasvolate, mi domandavo spesso: dove sta il centro del mondo?

    Tredici giorni dopo l'elezione, con alcuni suoi collaboratori, il Papa si recò vicino Roma, alla Mentorella, dove c'è il santuario della Madre delle Grazie. Domandò ai suoi compagni di viaggio: "Cosa è più importante per il Papa nella sua vita, nel suo lavoro?". Gli suggerirono: "Forse l'unità dei cristiani, la pace nel Medio Oriente, la distruzione della cortina di ferro...?". Ma egli rispose: "Per il Papa la cosa più importante è la preghiera".
    Nel mio Paese c'è questo detto: "Il re è nudo davanti agli occhi dei suoi servi". Quanto più cominciavamo a conoscere Giovanni Paolo II, tanto più eravamo convinti della sua santità, la vedevamo in ogni momento della sua vita. Egli non oscurava Dio.

    Se volessi indicare cosa è più importante per la vita sacerdotale e per ciascuno di noi, guardando a lui potrei dire: non coprire o offuscare Dio con se stesso, ma, al contrario, mostrarlo e diventare il segno visibile della sua presenza. Dio nessuno lo ha visto, ma Giovanni Paolo II lo ha reso visibile attraverso la sua vita.
    Quando pregava, ho avuto l'impressione che si gettasse ai piedi di Gesù. Quando pregava, sul suo viso era visibile il totale affidamento a Dio. Era veramente trasparente; era, per usare un'immagine poetica, come l'arcobaleno che lega il cielo alla terra e la sua anima correva sulle scale dalla terra al cielo. Torno ora alla domanda: "Dove sta il centro del mondo?".

    Pian piano ho cominciato a rendermi conto che il centro del mondo era sempre dove io mi trovavo con il Papa: non perché stavo con Giovanni Paolo II, ma perché lui ovunque egli si trovasse, pregava. Ho capito che il centro del mondo è dove io prego, dove io sono insieme a Dio, nella più intima unione che c'è: la preghiera. Sono al centro del mondo quando cammino alla presenza di Dio, quando "in lui infatti vivo, mi muovo ed esisto" (cfr. Atti degli apostoli, 17, 28). Quando celebro o partecipo all'Eucaristia sono al centro del mondo; quando confesso e mi confesso, nel confessionale c'è il centro del mondo; il posto e il tempo della mia preghiera costituiscono il centro del mondo perché, quando prego, Dio respira dentro di me. Il Papa ha permesso a Dio di respirare attraverso di lui: ogni giorno passava tanto tempo davanti al tabernacolo. Il Santissimo Sacramento era il sole che illuminava la sua vita. E lui davanti a quel sole andava a riscaldarsi con la luce di Dio. La vita di Giovanni Paolo II era intessuta di preghiera. Aveva sempre tra le dita la coroncina del rosario, con la quale si rivolgeva a Maria confermando il suo Totus tuus.
    Una volta, dopo l'infortunio del 1991, il cardinale Deskur portò al Papa un contenitore di acqua santa da Lourdes e gli disse: "Santità, quando laverà la parte dolente, dovrà recitare l'Ave Maria". Giovanni Paolo II rispose: "Caro Cardinale, io dico sempre l'Ave Maria".

    Il mio compito nell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche consiste nel curare, sotto la guida del maestro, le celebrazioni pontificie e non di scrivere articoli o preparare conferenze. È stato così per tredici anni. Dopo il 2 aprile 2005, quando qualcuno mi chiede di dare testimonianza su Giovanni Paolo II, rispondo spesso: "Sì, con grande gioia!". E invito a prendere parte ogni giovedì alla messa davanti alla sua tomba nelle Grotte Vaticane. Così come invito a recarsi nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, dove ogni pomeriggio si recita la coroncina della Divina Misericordia seguita dalla Via Crucis. Ogni giovedì sera si incontrano nel mio appartamento sacerdoti che lavorano o studiano a Roma, suore e laici. Insieme recitiamo i vespri, preghiamo e ci sediamo alla tavola comune.
    Radunarsi in preghiera e stare insieme per ritrovarsi al centro del mondo: ho imparato questo da Giovanni Paolo II.

    Non mi meraviglia che il Papa sia beatificato nella domenica della Divina Misericordia, anche se è una sorpresa della Provvidenza il fatto che quest'anno coincida con il 1° maggio. Così quel giorno si parlerà principalmente di santità. Benedetto XVI e Giovanni Paolo II trasformeranno quella ricorrenza in un evento religioso inedito nella storia: una processione di maggio verso la santità e la preghiera.

    (L'Osservatore Romano 2 aprile 2011)


    dello stesso Padre e Cerimoniere pontificio, vi offriamo quest'altra testimonianza tratta nel 2008


    Quando il Papa veniva nella sagrestia e restavamo soltanto noi due, si metteva in ginocchio o, negli ultimi anni del Pontificato, rimaneva sulla sua sedia, e pregava in silenzio. Questa preghiera durava dieci, quindici o anche venti minuti e, durante i viaggi apostolici, perfino di più. Sembrava che il Pontefice non fosse presente tra di noi. Quando il momento di preghiera sembrava protrarsi troppo a lungo, entrava monsignor Stanislaw Dziwisz, tentando di suggerire al Papa di prepararsi: spesso il Pontefice non rispondeva a questa chiamata.
    A un certo momento, alzava la mano destra, e noi ci avvicinavamo per cominciare a vestirlo in assoluto silenzio.

    Sono convinto che Giovanni Paolo II, prima di rivolgersi alla gente, si rivolgeva - o, per dire meglio, parlava - a Dio. Prima di rappresentarLo, chiedeva a Dio di poter essere la Sua immagine vivente davanti agli uomini.
    Lo stesso accadeva dopo la celebrazione: appena deposte le vesti sacre, si metteva in ginocchio nella sagrestia, e pregava.

    Avevo sempre la stessa impressione, che non fosse presente tra di noi. Di tanto in tanto, durante i viaggi, entrava il suo segretario e sfiorandolo con delicatezza lo esortava a uscire dalla sagrestia, perché la gente lo aspettava per salutarlo (presidenti, sindaci, autorità...), ma quasi mai il Papa reagiva: rimaneva sempre in profonda preghiera e di nuovo, a un certo momento, si alzava da solo, o dava a noi un segnale per essere aiutato.
    Questi momenti di preghiera, prima e dopo l'azione liturgica, mi colpivano sempre profondamente. Quando lo assistevo, ponevo la mitra, passavo il fazzoletto, ero sicuro di toccare una persona non solo straordinaria, ma veramente santa. Negli ultimi anni del Pontificato ero cerimoniere stabile del Pontefice: seguivo tutte le celebrazioni stando accanto al Papa, vedevo la sua sofferenza e le sue difficoltà in ogni movimento.

    Una volta, quando egli stava molto male, durante una celebrazione sul sagrato della basilica di San Pietro, inchinandomi, mi sono permesso di dire: "Santità, posso aiutarla in qualche modo? Forse qualcosa le fa male?". Egli mi ha risposto: "Ormai tutto mi fa male, ma deve essere così...". 

      Vorrei ancora sottolineare alcuni momenti molto significativi, che mi hanno colpito profondamente durante l'ultima celebrazione del Corpus Domini presieduta dal Papa.
    Ormai il Pontefice non camminava più.
    Il maestro delle celebrazioni e io lo abbiamo issato con la sedia sulla piattaforma della macchina appositamente preparata per la processione: davanti al Papa, sull'inginocchiatoio, era posto l'ostensorio con il Santissimo Sacramento.
    Durante la processione il Pontefice si è rivolto a me in polacco, chiedendo di potersi inginocchiare. Sono rimasto imbarazzato da tale domanda, perché fisicamente il Papa non era in grado di farlo. Con grande delicatezza, ho suggerito l'impossibilità di inginocchiarsi, poiché la macchina oscillava durante il percorso, e sarebbe stato molto pericoloso compiere un gesto simile. Il Papa ha risposto con il suo famoso dolce "mormorio".

    Trascorso un po' di tempo, all'altezza della Pontificia Università "Antonianum", ha ripetuto di nuovo: "Voglio inginocchiarmi!", e io, con grande difficoltà nel dover ripetere il rifiuto, ho suggerito che sarebbe stato più prudente tentare di farlo nelle vicinanze di Santa Maria Maggiore; e di nuovo ho sentito quel "mormorio".

    Tuttavia, dopo qualche istante, giunti alla curia dei padri Redentoristi, ha esclamato con determinazione, e quasi gridando, in polacco: "Qui c'è Gesù! Per favore...".
    Non era più possibile contraddirlo.

    Il maestro è stato testimone di quei momenti. I nostri sguardi si sono incontrati, e, senza dire nulla, abbiamo cominciato ad aiutarlo a inginocchiarsi. Lo abbiamo fatto con grande difficoltà, e quasi lo abbiamo messo di peso sull'inginocchiatoio. Il Papa si aggrappava al bordo dell'inginocchiatoio e cercava di sorreggersi; tuttavia le ginocchia non lo reggevano più, e abbiamo dovuto subito rimetterlo sulla sedia, tra difficoltà che non erano solo fisiche, ma erano dovute anche all'ingombro dei paramenti liturgici.
     Avevamo assistito a una grande dimostrazione di fede: anche se il corpo non rispondeva più alla chiamata interiore, la volontà rimaneva salda e forte. Il Pontefice aveva mostrato, nonostante la sua grande sofferenza, la forza interiore della fede, che voleva manifestarsi attraverso il gesto di inginocchiarsi. Non contavano nulla i nostri suggerimenti di non compiere quel gesto.

    Il Papa ha sempre ritenuto che, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento, bisogna essere molto umili ed esprimere questa umiltà attraverso il gesto fisico. Infine, voglio sottolineare che, attraverso il mio semplice servizio al Romano Pontefice, anch'io sono diventato migliore, come uomo e come sacerdote. Egli ci ha insegnato che "il vero amico è colui grazie al quale io divento migliore": allora posso dire che, secondo tale definizione, Giovanni Paolo II era il mio vero amico.

    (Articolo tratto dall’Osservatore Romano del 2 Aprile 2008)



    [Modificato da Caterina63 01/04/2011 18:52]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 01/04/2011 19:01
    La profonda spiritualità mariana di Karol Wojtyla

    L'architettura
    è fatta di amore e correttezza



    di GIOVANNI COPPA
    Cardinale diacono di San Lino

    L'amore di Giovanni Paolo II per la Vergine fu un amore sconfinato. Non ha mai tralasciato occasione per parlare di Maria. Le ha dedicato l'enciclica Redemptoris Mater: la redenzione è stata infatti il filo conduttore del suo magistero petrino. Inoltre l'ha onorata non solo col suo ministero di Sommo Pontefice, ma anche in tante altre forme.

    Fin dall'inizio ha voluto recitare per tanti anni il Rosario ogni primo sabato del mese, insieme con i fedeli in Vaticano. Con la sua fantasia instancabile ha arricchito il rosario con i misteri della luce. E ormai quasi alla fine del pontificato, ha celebrato l'Anno del rosario, che ha avuto tanti frutti di devozione e di rinnovamento spirituale.

    Ricordo poi i suoi pellegrinaggi a Lourdes e a Fátima. In ogni suo viaggio, inoltre, ha programmato una visita ai più importanti santuari mariani del mondo.

    So con quanto desiderio voleva che un'immagine della Madonna campeggiasse nella basilica Vaticana, dove del resto ci sono stupende cappelle a Lei dedicate. E volle che almeno il Palazzo Apostolico mostrasse un'immagine della Madonna, che si leva, alta e materna, su piazza San Pietro.

    Tutti sanno che il motto da lui scelto prima della sua ordinazione episcopale è Totus tuus. Il futuro Papa trasse queste parole dalla preghiera di un grande santo mariano, Luigi Maria Grignion de Montfort. Ebbene, il Papa non solo recitava ogni giorno quella preghiera, ma ne scriveva un brano su ogni pagina dei testi autografi delle sue omelie, dei discorsi, delle encicliche, in alto a destra del foglio. Nella prima pagina metteva l'inizio della preghiera: Tuus totus ego sum, "Io sono tutto tuo"; nella seconda, Et omnia mea tua sunt, "E tutte le cose mie sono tue"; nella terza, Accipio Te in mea omnia, "Ti accolgo in tutte le cose mie"; nella quarta, Praebe mihi cor tuum, "Dammi il tuo cuore". E così proseguiva su ogni pagina, ripetendo, se necessario, le singole invocazioni, finché non aveva terminato di scrivere. Negli archivi della Segreteria di Stato vi sono migliaia di queste pagine, dove Giovanni Paolo II ha manifestato in modo così intimo e commovente il suo amore alla Madonna.

    Questo amore sconfinato a Maria nasceva dall'amore che egli aveva per Cristo. Amare Gesù è il fulcro di tutta la nostra vita. E se ciò è vero per ogni cristiano, tanto più lo è per il Papa. È una cosa tanto ovvia che potrebbe sembrare inutile sottolinearla. Ma vi accenno, perché ho un ricordo particolare, che riguarda l'ultima visita apostolica che Giovanni Paolo II compì nel 1997 nella Repubblica Ceca.

    Era già venuto in Cecoslovacchia nel 1990, appena caduto il muro di Berlino, fermandosi a Praga, Velehrad e Bratislava. Nel 1995 venne per la seconda volta, sostando a Praga, in Boemia, e a Olomouc, in Moravia. Era già sofferente. Cominciava a portare il bastone e ci scherzava sopra con i giovani, sempre entusiasti di stringersi attorno a lui. Ma era ancora in forze, tanto da fare le scale senza ascensore.
    La prima sera, dopo l'arrivo e la cena con i vescovi, sostò in cappella davanti al Santissimo. Le suore avevano preparato per lui un grande inginocchiatoio, ma egli preferì pregare nel banco. Io lo accompagnai, attendendo fuori della cappella. La sera seguente fui trattenuto da impegni e telefonate urgenti, e non potei accompagnarlo in cappella.

    Ci arrivai dopo, quando era già inginocchiato. Prima di entrare avevo udito come una musica indistinta, e quando aprii silenziosamente la porta, sentii che, inginocchiato nel banco, cantava sommessamente davanti al tabernacolo. Il Papa cantava sottovoce davanti a Gesù Eucaristia: il Papa e Cristo nell'Ostia, Pietro e Cristo. Fu per me una cosa sconvolgente, un fortissimo richiamo alla fede e all'amore per l'Eucaristia, e alla realtà del ministero petrino. Non ho più dimenticato quell'esile canto, che era come un colloquio d'amore con Cristo. Ho raccontato una sola volta questo episodio, in Repubblica Ceca, ma è bene che sia noto, tanto più ora che si avvicina la sua beatificazione, perché dice magnificamente che dobbiamo avere un legame sempre vivo, intimo e profondo con Gesù, vivente nell'Eucaristia. E dimostra, in modo superlativo, che Giovanni Paolo II è stato veramente un innamorato di Cristo.

    Infine, vorrei sottolineare l'amore dei popoli slavi per il Pontefice polacco. Nel 1990 fui inviato in Cecoslovacchia, che due anni dopo si divise pacificamente in due Stati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Questo è stato il regalo più grande che mi abbia fatto Giovanni Paolo II, dopo quello di avermi ordinato vescovo. Ricordo che, ancora la vigilia della mia partenza per Praga, lo vidi all'eliporto vaticano, di ritorno da una visita in una diocesi italiana, e gli dissi: "Padre Santo, domani parto, e finalmente vedrò anch'io, in Slovacchia, i "suoi" monti Tatra". Ma lui, sorridendo bonariamente, mi disse. "Oh! I Tatry sono molto più belli dal versante polacco che non da quello slovacco!".

    L'esperienza come nunzio apostolico è stata la più intensa che io abbia fatto. In quegli anni, potei toccare con mano quanto il Papa fosse amato dal popolo ceco e slovacco, a cominciare dalle autorità. Il presidente Havel mi disse due volte che Giovanni Paolo II aveva svolto un ruolo fondamentale nella caduta del comunismo: "Certamente - sosteneva - ci furono anche altre cause per la vittoria della libertà sul comunismo, ma, senza di lui, il risultato non sarebbe stato così subitaneo e inatteso". Altre volte mi sottolineò che i suoi colloqui col Papa erano sempre molto informali e cordiali: "Lui parla in polacco, io in ceco - diceva - e ci intendiamo molto bene".

    Ciò che gli attirava le simpatie di tutti era il fatto che fosse il primo Papa slavo della storia. La gente, che per quarant'anni era stata frastornata dalla propaganda ateistica, cominciava a capire che cos'era la Chiesa, quale mistero di comunione e di fratellanza portasse agli uomini insieme con la fede in Dio e l'amore di Cristo, negati per così lungo tempo. Anche per questo, Giovanni Paolo II è stato un grande dono di Dio alla Chiesa e all'umanità.



    (©L'Osservatore Romano 2 aprile 2011)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)