DIFENDERE LA VERA FEDE

4 Ottobre San Francesco d'Assisi Patrono d'Italia

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    Caterina63
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    00 23/09/2009 19:22

    Il sisma di Reggio e Bologna nelle cronache del Duecento

    Quando Francesco predisse il terremoto


    di Felice Accrocca

    Tommaso da Eccleston, morto poco dopo il 1259, nella sua opera sull'insediamento dei primi frati minori in Inghilterra (De adventu fratrum Minorum in Angliam), ci ha lasciato uno straordinario documento della vita e delle abitudini della comunità, giunta oltre la Manica nel 1224. Tra le altre cose Tommaso narra i ricordi di frate Martino da Barton, "che ebbe la fortuna di vedere spesso san Francesco".

    estasi san FrancescoTra questi compare il seguente:  "Un frate, che stava pregando a Brescia, nel giorno di Natale fu ritrovato illeso sotto le macerie della chiesa, durante quel terremoto che san Francesco aveva predetto e fatto annunciare dai frati in tutte le scuole di Bologna, con una lettera scritta in un latino scadente (in qua fuit falsum Latinum).

    Questo terremoto ebbe luogo prima della guerra ingaggiata dall'imperatore Federico, e si protrasse per quaranta giorni, così che "tutte le montagne della Lombardia - con Lombardia s'intendeva, allora, più o meno tutto il nord Italia - furono scosse" (Collatio vi dalla traduzione italiana delle Fonti francescane. Nuova edizione, Padova, 2004, n. 2460).

    Quale credito possiamo dare a questa testimonianza arcinota, citata spesso dagli storici, attenti però più al giudizio sulle capacità letterarie di Francesco che non a discutere il fatto in sé. Cominciamo con il dire che proprio l'accenno al falso latino di Francesco pone un tassello a favore di questo racconto. Per quale motivo, infatti, il cronista avrebbe dovuto inventare una notizia del genere, quale interesse, cioè, poteva ricavarne? In realtà i teologi francescani e i biografi del santo cercheranno di non insistere più di tanto sul fatto che Francesco stesso si era definito, in più di un'occasione, ignorante e illetterato. Alla metà del Duecento maestri francescani sedevano sulle più importanti cattedre universitarie:  l'ignoranza  del  fondatore  era  divenuta ormai una questione sconveniente.

    Non sussistono dubbi, poi, sul fatto che un tremendo terremoto scosse il nord dell'Italia nel giorno di Natale del 1222:  la notizia ci è stata testimoniata da troppi cronisti per poterla mettere in dubbio. Salimbene da Parma, loquace com'è sua abitudine, non manca - neppure in quest'occasione - di particolari pittoreschi:  "Nel giorno di Natale ci fu un grande terremoto nella città di Reggio, mentre predicava nella cattedrale di Santa Maria messer Nicolò, vescovo della città. E questo terremoto interessò tutta la Lombardia e la Toscana. E fu chiamato soprattutto terremoto di Brescia, perché in quella città fu sentito più forte, e i bresciani vivevano fuori della città in tende, perché gli edifici non cadessero sopra di loro. E molte case, torri e castelli dei bresciani furono distrutti da quel terremoto. E loro s'erano talmente abituati a quel terremoto che, quando cadeva un pinnacolo di qualche torre o di qualche casa, guardavano e ridevano forte" (Salimbene de Adam da Parma, Cronaca, traduzione di Berardo Rossi, Bologna, Radio Tau, 1987, pp. 48-49).

    Il racconto del cronista non si ferma qui, poiché aggiunge anche riferimenti personali:  "Mia madre era solita raccontare che al momento di questo grande terremoto io stavo nella culla ed essa sollevò sottobraccio le mie due sorelle - che erano piccoline - una di qua e una di là, e scappò nella casa di suo padre e di sua madre e dei suoi fratelli, abbandonando me nella culla. Aveva infatti paura - come raccontava - che le cadesse addosso il battistero, che stava vicino a casa mia. E per questo c'era qualche ombra nel bene che io le volevo; perché aveva il dovere di curarsi più di me, maschio, che delle figlie. Ma lei diceva che era molto più facile portare loro, essendo più grandicelle" (ivi, p. 49).

    Ma non solo. Alcuni predicatori accennarono a questa previsione del terremoto da parte di Francesco prima ancora che Tommaso da Eccleston redigesse la sua opera. Tra i sermoni di Giovanni de La Rochelle se ne conserva ad esempio uno che prende le mosse dal noto versetto biblico Creavit Deus hominem ad ymaginem et similitudinem suam ("Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza"), edito già nel 1979 da Jacques-Guy Bougerol (La teorizzazione dell'esperienza di san Francesco negli autori francescani pre-bonaventuriani, in Lettura biblico-teologica delle fonti francescane, a cura di Gerardo Luigi Cardaropoli e Martino Conti, Roma, Antonianum, 1979, pp. 257-260), secondo il manoscritto Paris, Bibl. Nat., lat. 16502, ff. 39v-40r. Malgrado in questa edizione il testo - che pure parla della prescienza di Francesco - non contenga alcun accenno al terremoto, in anni più vicini a noi esso è stato di nuovo pubblicato da Jean Désiré Rasolofoarimanana, il quale ne ha rintracciato una versione con molte varianti in un codice latino conservato a Monaco di Baviera:  è infatti possibile che lo stesso sermone sia stato stenografato da due diversi testimoni, presentando in tal modo  un numero notevole di varianti.

    Ora, nella versione conservatasi nel manoscritto di Monaco si afferma che Francesco "fu conformato al Figlio nella prescienza delle cose future, poiché preannunziò anzitempo un terremoto agli studenti e predisse il papato a papa Gregorio ix" (Jean de La Rochelle et Anonime. Trois sermons de Sanctis sur saint François d'Assise dans le ms. Clm 7776, in "Frate Francesco", 67, 2001, p. 63, ll. 60-62).

    Alcuni anni più tardi lo stesso sermone sarà preso a modello da un anonimo cardinale:  il testo pronunciato dal porporato fu in un primo tempo pubblicato tra i sermones di Bonaventura, nel volume ix dell'Opera omnia (Grottaferrata, Frati Editori di Quaracchi, 1901, 583a-585b), ma come ha mostrato Ignatius Brady (Saint Bonaventure's Sermons on Saint Francis, in Franziskanische Studien 58, 1976, pp. 129-141) esso non può essere del Dottore serafico. Anche il sermone pubblicato dai frati di Quaracchi contiene comunque un riferimento al terremoto:  san Francesco, si dice, "predisse il giorno e l'ora precisa di un terremoto che si sarebbe dovuto verificare, e così accadde, secondo quanto aveva predetto" (item predixit terremotum futurum certa die et hora, et sic accidit sicut predixit:  p. 583b). L'anonimo cardinale - Odo di Châteauroux? - prese così a modello un testo vicino a quello trasmessoci dal manoscritto di Monaco.

    È certo, dunque, che la notizia di una previsione del terremoto da parte di Francesco circolasse tra i frati indipendentemente dai ricordi di fra Martino da Barton, e così pure il fatto che il santo ne avesse fatto dare pubblicamente l'annuncio agli studenti. Ed è certo pure che nel 1222 Francesco fu a Bologna, sicuramente nella metà di agosto. Ce ne ha lasciato un ricordo colorito Tommaso da Spalato, arcidiacono e poi vescovo della sua stessa città, che in gioventù aveva completato la propria formazione intellettuale nella città felsinea, uno degli studia più celebri d'Europa:  "In quello stesso anno - scrive - nella festa dell'Assunzione della Genitrice di Dio, trovandomi allo Studio di Bologna, ho visto san Francesco che predicava sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città. (...) Tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace.

    Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace. Grandissime erano poi la riverenza e la devozione della folla, al punto che uomini e donne si gettavano alla rinfusa su di lui, con bramosia di toccare almeno le frange del suo vestito o di impadronirsi di un brandello dei suoi panni" (in Fonti francescane, num. 2252).



    (©L'Osservatore Romano - 24 settembre 2009)



    Leggasi anche:

    16 aprile 1209 Papa Innocenzo III approvò i FRANCESCANI MINORI

    Le Stigmate (segni della Passione di Gesù)

    29 Aprile: S.Caterina da Siena Patrona d'Italia

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 23/09/2009 19:24

                                     san Francesco

    Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”.
    Per questo è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva.
    Ma proprio a lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo.
    Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.

    Origini e gioventù
    Francesco, l'apostolo della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna detta “la Pica”, di origine provenzale.
    In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra.
    La madre in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo.
    Questo nome era l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e occasioni di mercato; disse s. Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega la familiarità con questa lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata dalla madre.
    Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che come tutti i ricchi assisiani godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
    Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia.
    Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste.

    Combattente e sua conversione
    Con la morte dell'imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l'elezione a papa del card. Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari politici cambiarono; il nuovo papa sostenitore del potere universale della Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen.
    Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti all'imperatore e sfruttatori dei loro concittadini, essi furono cacciati dalla rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia; poi con l'aiuto dei perugini mossero guerra ad Assisi (1202-1203).
    Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche.
    Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un lungo terribile anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia con la salute ormai compromessa.
    La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia; ma una volta guarito egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
    Come ogni animo nobile del suo tempo, pensò di arruolarsi nella cavalleria del conte Gualtiero di Brenne, che in Puglia combatteva per il papa; ma giunto a Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi.
    Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.
    Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il gran Re, ma non sapendo come; andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma con la speranza di trovare chiarezza.
    Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi, ma fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e mentre fissava un crocifisso bizantino, udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
    Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani, utilizzando anche il denaro paterno.
    A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo come dilapidatore dei beni di famiglia; notissima è la scena in cui Francesco denudatosi dai vestiti, li restituì al padre mentre il vescovo di Assisi Guido II, lo copriva con il mantello, a significare la sua protezione.
    Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”, indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.

    La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione
    Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza”.
    Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”, cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo e camminando a piedi scalzi.
    Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà” tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.
    Francesco apparve in un momento particolarmente difficile per la vita della Chiesa, travagliata da continue crisi provocate dal sorgere di movimenti di riforma ereticali e lotte di natura politica, in cui il papato era allora uno dei massimi protagonisti.
    In un ambiente corrotto da ecclesiastici indegni e dalle violenze della società feudale, egli non prese alcuna posizione critica, né aspirò al ruolo di riformatore dei costumi morali della Chiesa, ma ad essa si rivolse sempre con animo di figlio devoto e obbediente.
    Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la pace, l'uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità della povertà, l'amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa, la venuta del regno di Dio.

    Inizio dell'Ordine dei Frati Minori
    Ben presto attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco, quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni nella nuova vita: Bernardo di Quintavalle un ricco mercante, Pietro Cattani dottore in legge, Egidio contadino e poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro ed altri fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli, formanti una specie di 'fraternità' di chierici e laici, che vivevano alla luce di un semplice proposito di ispirazione evangelica.
    Il loro era un vivere alla lettera il Vangelo, senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali, indicando così una nuova vita a chi voleva vivere in carità e povertà all'interno della Chiesa; per la loro obbedienza alla gerarchia ecclesiastica, il vescovo di Assisi Guido prese a proteggerli, seguendoli con interesse e permettendo loro di predicare.
    Ai primi del 1209 il gruppo si riuniva in una capanna nella località di Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la Porziuncola, iniziando così la “prima scuola” di formazione, dove durante un intero anno Francesco trasmise ai compagni il suo carisma, alternando alla preghiera, l'assistenza ai lebbrosi, la questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.
    Giacché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III per farsi approvare la prima breve Proto-Regola del nuovo Ordine dei Frati Minori.
    Regola che fu approvata oralmente dal papa, dopo un suggestivo incontro con il gruppetto, vestito dalla rozza tunica e scalzo, colpito fra l'altro da “quel giovane piccolo dagli occhi ardenti”; nacque così ufficialmente l'Ordine dei Frati Minori, che riceveva la tonsura entrando a far parte del clero; sembra che in quest'occasione Francesco abbia ricevuto il diaconato.

    Chiara e le clarisse
    Tutta Assisi parlava delle 'bizzarie' del giovane Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo con il permesso del vescovo, augurando a tutti “pace e bene”; nella primavera del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di S. Rufino, dove nell'attigua piazza abitava la nobile famiglia degli Affreduccio e sicuramente in quell'occasione, fra i fedeli che ascoltavano, c'era la giovanissima figlia Chiara.
    Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica e cominciò a contattarlo, accompagnata dall'amica Bona di Guelfuccio e inviandogli spesso un poco di denaro.
    Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto il suo palazzo e correndo al buio attraverso i campi, giunse fino alla Porziuncola dove chiese a Francesco di dargli Dio, quel Dio che lui aveva trovato e col quale conviveva.
    Francesco, davanti all'altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura (ancora oggi conservata) consacrandola al Signore.
    Poi l'accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia, per sottrarla all'ira dei parenti, i quali dopo un colloquio con Chiara che mostrò loro il capo senza capelli, si convinsero a lasciarla andare.
    Successivamente Chiara e le compagne che l'avevano raggiunta, si spostò dopo alterne vicende, nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano, dove nel 1215 a 22 anni Chiara fu nominata badessa; Francesco dettò alle “Povere donne recluse di S. Damiano” (il nome 'Clarisse' fu preso dopo la morte di s. Chiara) una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella della stessa santa.
    Chiara con le compagne, sarà l'incarnazione al femminile dell'ideale francescano, a cui si assoceranno tante successive Congregazioni di religiose.

    L'ideale missionario
    Francesco non desiderò solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani.
    Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio.
    Mandò per questo i suoi frati prima dai Mori in Spagna, dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano e dopo in Marocco, dove il gruppo di frati composti da Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto, Ottone, mentre predicavano, furono arrestati, imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220.
    Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana nell'allora canonico regolare di S. Agostino, il dotto portoghese e futuro santo, Antonio da Padova.
    Francesco non si scoraggiò, nel 1219-1220 volle tentare personalmente l'impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata, il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, occupata dai musulmani, ma si ammalò e dovette tornare indietro, infine un terzo tentativo lo fece approdare in Palestina, dove si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil nei pressi del fiume Nilo, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse; il sultano non si convertì, ma Francesco poté dimostrare che il dialogo dell'amore poteva essere possibile fra le due grandi religioni monoteiste, dalle comuni origini in Abramo.

    La seconda Regola
    Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole, per cui l'originaria breve Regola era diventata insufficiente con la sua rigidità.
    Il Poverello non aveva inteso fondare conventi ma solo delle 'fraternità', piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando che la felicità non era nel possedere le cose ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio.
    Ma la folla di frati ormai sparsi per tutta l'Italia, poneva dei problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell'apostolato in un mondo sempre in evoluzione; quindi il vivere in povertà non poteva condizionare gli altri aspetti del vivere nel mondo.
    Nell'affollato “capitolo delle stuoia”, tenutosi ad Assisi nel 1221, Francesco autorizzò il dotto Antonio venuto da Lisbona, d'insegnare ai frati la sacra teologia a Bologna, specie a quelli addetti alla predicazione e alle confessioni.
    La nuova Regola fu dettata da Francesco a frate Leone, accolta con soddisfazione dal cardinale protettore dell'Ordine, Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e da tutti i frati; venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III.
    In essa si ribadiva la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gl'infedeli e l'equilibrio tra azione e contemplazione; si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi, si stemperò un poco il concetto di divieto della proprietà.

    Il presepe vivente di Greccio
    La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l'umile nascita di Gesù Bambino con figure viventi.
    Nacque così la bella e suggestiva tradizione del Presepio nel mondo cristiano, che sarà ripresa dall'arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi, con l'apporto dell'opera di grandi artisti, tale da costituire un filone dell'arte a sé stante, comprendenti orafi, scenografi, pittori, scultori, costumisti, architetti; il cui apice per magnificenza, realismo, suggestività, si ammira nel Presepe settecentesco napoletano.

    Il suo Calvario personale
    Ormai minato nel fisico per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine, che aveva creato pur non avendone l'intenzione.
    Nell'estate del 1224 si ritirò sul Monte della Verna (Alverna) nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per celebrare con il digiuno e intensa partecipazione alla Passione di Cristo, la “Quaresima di San Michele Arcangelo”.
    La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell'aria.
    Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce; quando la visione scomparve lasciò nel cuore di Francesco un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione; per la prima volta nella storia della santità cattolica, si era verificato il miracolo delle stimmate.
    Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi; era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi, inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.

    Il lungo declino fisico, il “Cantico delle creature”, la morte
    Dopo le ultime prediche all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e le sue suore.
    E in questo suggestivo e spirituale luogo di preghiera, egli compose il famoso “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, sublime poesia, ove si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio.
    Se la fede gli aveva fatto riscoprire la fratellanza universale degli uomini, tutti figli dello stesso Padre, nel 'Cantico' egli coglieva il legame d'amore che lega tutte le creature, animate ed inanimate, tra loro e con l'uomo, in un abbraccio planetario di fratelli e sorelle che hanno un solo scopo, dare gloria a Dio.
    In questo periodo, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche il suo famoso 'Testamento', l'ultimo messaggio d'amore del Poverello ai suoi figli, affinché rimanessero fedeli a madonna Povertà.
    Poi per l'interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti; poi ancora a Fabriano, Siena e Cortona, ma nell'estate del 1226 non solo non era migliorato, ma si fece sempre più evidente il sorgere di un'altra grave malattia, l'idropisia.
    Dopo un'altra sosta a Bagnara sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché potesse avere un po' di refrigerio, i frati visto l'aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni.
    Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il santo, che un giorno (fra Camara e Bevagna), aveva invitato gli uccelli a cantare lodando il Signore; e in altra occasione in un campo verso Montefalco aveva tenuto loro una predica, che gli uccelli immobili ascoltarono, esplodendo poi in cinguetii e voli di gioia.
    La mattina del 4 ottobre, il suo corpo fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato nel 1208 la predicazione.
    Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue “povere donne” potessero baciargli le stimmate.
    Nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato nella Basilica inferiore, costruita da frate Elia, diventato Ministro Generale dell'Ordine.
    Intanto il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte, proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre madonna Pica, del fratello Angelo e altri parenti, del vescovo Guido di Assisi, di numerosi cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.

    Il culto, Patronati
    Gli episodi della sua vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei “Fioretti di San Francesco”, opera di anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda 'Vita', scritte dal suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
    Alcuni episodi sono entrati nell'iconografia del santo e riprodotti dall'arte, come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, il ricevimento delle Stimmate, ecc.
    È patrono dell'Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA che da lui prese il nome; innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome; come pure tanti altri santi e beati, venuti dopo di lui, che ebbero al battesimo o adottarono nella vita religiosa il suo nome.
    Il grande santo di Assisi, che lo storico e scrittore, don Enrico Pepe definisce “Patrimonio dell'umanità”, fu riconosciuto da papa Pio XII, come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, lo proclamò Patrono principale d'Italia.
    Il cammino dei suoi 'Frati Minori'
    La Regola composta da s. Francesco su istanza del cardinale Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e approvata solennemente da Onorio III nel 1223, era formata da 12 capitoli, essa prescriveva una rigida e assoluta povertà, il lavoro per procurasi il cibo e l'elemosina come mezzo sussidiario di sostentamento.
    Capo dell'Ordine, che si propagò rapidamente al punto che, vivente ancora il fondatore, annoverava già 13 Province, fu un Ministro Generale. Le costituzioni furono redatte da San Bonaventura da Bagnoregio.
    Mentre ancora l'organizzazione del nuovo Movimento religioso si stava consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell'Ordine si divisero in due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e prescindere dall'obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno difficile lo sviluppo dell'Ordine stesso; la seconda al contrario, si proponeva di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
    I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si acuirono di più quando Gregorio IX con la bolla “Quo elongati” (1230), concesse ai frati, che presero in seguito il nome di 'Conventuali', la possibilità di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze.
    Nel campo opposto, correnti definite ereticali, come quelle degli spirituali e dei fraticelli, rappresentarono l'ala estrema del francescanesimo e agitarono un programma di rinnovamento religioso misto ad un'auspicabile rinascita politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell'avvento del regno dello Spirito, ma si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità ecclesiastiche e feudali.
    La divisione in due Movimenti, Osservanti e Conventuali, fu sanzionata nel 1517 da papa Leone X; nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati Cappuccini, guidato dal frate Minore Osservante Matteo da Bascio della Marca d'Ancona, dediti ad una più austera disciplina, povertà assoluta e vita eremitica; altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini, Riformati, Amadeiti) in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutti obbedivano al Ministro Generale dell'Osservanza.
    L'Ordine francescano comprende anche il ramo femminile, le Clarisse e il Terz'Ordine dei laici o Terziari francescani, fondati dallo stesso s. Francesco nel 1221, per raccogliere i numerosi seguaci già sposati e di ogni ordine sociale.
    L'Ordine, ai cui membri dei diversi rami, Leone XIII nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori, è tra i più importanti della Chiesa. Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, essi furono e sono dediti alla predicazione, ad un apostolato di tipo sociale in luoghi di cura, e soprattutto all'opera missionaria.


    Cantico delle Creature

    Altissimo, onnipotente, bon Signore
    Tue so' le laude, la gloria et l'honore
    et onne benedictione.
    A te solo, Altissimo, se konfanno
    Et nullo homo ene digno te mentovare.
    Laudato si', mi' Signore, cum tucte le tue creature,
    specialmente messer lo frate sole
    lo quale è iorno et allumini noi per lui,
    et ellu è bellu e radiante, cum grande splendore:
    de te, Altissimo, porta significatione.
    Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
    in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
    Laudato si', mi' Signore, per frate vento
    et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
    per lo quale alle tue creature dai sostentamento.
    Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
    la quale è molto utile et humile
    et pretiosa et casta.
    Laudato si', mi' Signore, per frate focu
    per lo quale enallumini la nocte
    ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
    Laudato si', mi' Signore, per sora nostra madre terra,
    la quale ne sustenta et governa,
    et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
    Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano
    per lo tuo amore,
    et sostengo' infirmitate et tribolatione.
    Beati quelli ke le sosterranno in pace
    ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
    Laudato si', mi' Signore,
    per sora nostra morte corporale
    da la quale nullo homo vivente po' skappare.
    Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
    beati quelli ke trovarà
    ne le sue sanctissime volutati,
    ka la morte secunda nol farrà male.
    Laudate et benedicete mi' Signore,
    et rengratiate et serviteli
    cum grande humilitate.
    (S. Francesco d'Assisi)


    Autore:
    Antonio Borrelli

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 23/09/2009 22:22
    Del Card. Biffi. Omelia presso la Basilica S. Maria degli Angeli. Quali sono gli insegnamenti che Francesco piu appassionatamente ci ripropone? Il primo è l'accoglimento del Vangelo come dell'unica valida norma di vita. Questa è la persuasione primaria che fonda tutta l'esperienza francescana. "La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo"....


    Omelia della mattina del 4 ottobre in San Francesco


    La Regione Emilia‑Romagna, presente qui nelle persone dei suoi vescovi e dei sindaci delle sue città, oggi è lieta e lusingata di farsi interprete di tutta la nazione nell'omaggio reso a Francesco d'Assisi, splendido fiore della nostra terra, patrono amato e invocato dalle genti d'Italia.

    L'Italia intera oggi è idealmente raccolta in questa basilica a onorare uno tra i più grandi dei suoi figli, a ravvivarne la memoria, soprattutto a riascoltarne il magistero di vita.



    Il vero Francesco e L’Italia di oggi
    Vogliamo raccoglierne la lezione vera, quella che con chiarezza risuona dalle sue parole, dai suoi scritti, dalle antiche. testimonianze.

    Non serve al bene del nostro paese un francescanesimo di maniera, svigorito in un estetismo senza convinzioni esistenziali, omogeneizzato (per cosi dire) in modo che tutti lo possano assumere senza ripulse e senza drammi interiori, stemperato in una religiosità indistinta che non inquieti nessuno.

    La dottrina e l'esempio di Francesco si possono accogliere o rifiutare; ma prima di tutto vanno conosciuti nella loro verità.

    Anche l'Italia dei nostri giorni, che spesso si dimostra assalita da mali spirituali contraddittori e tetti gravi, dominata al tempo stesso e nelle stesse persone dall'edonismo borghese e dalle ideologie populiste; anche l'Italia che ci appare largamente afflitta da un giustizialismo senza giustizia, da un solidarismo senza amore, da un permissivismo che sta uccidendo la libertà sostanziale, da un vitalismo senza fecondità e senza gioia; anche l'Italia di oggi qui deve sostare un poco e ascoltare. E se anche ci dirà parole, tutte germinate dalla sua limpidissima fede, che potranno stupire o forse irritare le nostre orecchie mondanizzate, il Poverello, che reca nelle sue carni i segni della crocifissione di Cristo, merita che gli prestiamo un po' di attenzione, con tutto quel residuo di serietà di cui siamo ancora capaci.



    Il Vangelo, sola norma di vita
    Quali sono gli insegnamenti che Francesco piu appassionatamente ci ripropone?

    Il primo è l'accoglimento del Vangelo come dell'unica valida norma di vita. Questa è la persuasione primaria che fonda tutta l'esperienza francescana.

    “La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo”(1).

    E ciò che gli si era manifestato come una specifica rivelazione dell'Altissimo per la sua esistenza personale (2), gli apparve ben presto come un impegno da proporre a tutto il popolo; e così divenne “araldo del Vangelo”(3).



    Il ritorno alla Chiesa
    Il secondo insegnamento si riferisce alla Chiesa.


    Già nello straordinario colloquio, che sta all'inizio dell'avventura spirituale di Francesco, il Crocifisso di san Damiano gli indica la Chiesa come l'oggetto della sua missione e delle sue cure: “Ripara la mia casa”(4). Da quel momento la Sposa di Cristo diventa la beneficiaria del suo amore appassionato e cortese, a fondamento di ogni sua fiducia. Egli ne parla solo in termini di affettuoso rispetto; per lui essa è sempre “la santa Chiesa cattolica e apostolica”(5).

    Dalla sua bocca non esce mai nei confronti della Chiesa una frase aspra o malevola, una critica amara, un accento sdegnoso. Bella e commovente è la parola che gli ritorna sul labbro ogni volta che nelle difficoltà decide di sottoporsi al giudizio della Sede apostolica: “Andiamo dalla madre nostra”(6)

    Agli Italiani di oggi, Francesco sembra rivolgere l'invito che risuona nell'epopea vergiliana: “Antiqua in exquirite matrem”: tornate a cercare la vostra madre antica.

    Tutto avete preso da lei: le vostre scuole, i vostri ospedali, le vostre istituzioni benefiche hanno per la più parte avuto origine dal suo amore inventivo. Lei ha custodito per voi e vi ha trasmesso i valori veramente umani dell'antico mondo pagano; all'ombra delle sue abbazie e delle sue cattedrali avete imparato l'arte del ragionamento; lei ha ispirato la maggioranza dei capolavori che adornano le vostre contrade; lei vi ha formato al senso di cordialità e di umanità verso tutti, che vi distingue tra le genti.

    E vero che da un po' di tempo nelle vostre leggi, nelle vostre abitudini, nelle idee più diffuse, sembrate farvi ogni giorno più remoti dalle vostre matrici, dalla vostra storia, dalla cultura che vi ha plasmato; ma è anche vero che in questo tempo non siete migliorati affatto. Sicché bisogna persuadersi che solo invertendo la vostra marcia potete sperare di risalire.

    Cosi pare dirci Francesco coll'esempio del suo amore alla Chiesa.



    La conversione
    Il terzo tema, che domina tutta la predicazione del Santo è quello evangelico della conversione.


    Il totale capovolgimento di mentalità è in lui l'inizio di una straordinaria esistenza, tutta contrassegnata da una grande docilità alla grazia dello Spirito; e questa stessa radicale mutazione dell'animo e del comportamento egli propone anche agli altri come il principio írrinunciabile di ogni vero arricchimento interiore.

    “La mano del Signore si posò su di lui e la destra dell'Altissimo lo trasformò, perché, per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia e restasse per tutti un esempio di conversione a Dio”(7).

    Il suo messaggio di pace, di letizia, di riconciliazione sarebbe del tutto frainteso, se ci si dimenticasse, pur se per un momento, che per lui pace, letizia, riconciliazione sono soltanto i frutti dolcissimi di quell'integrale mutamento del cuore che porta l'uomo dall'incredulità alla fede in Cristo crocifisso e risorto, e dalla fede inerte alla piena coerenza evangelica della vita.



    Ammonizioni particolari di Francesco
    Ma oggi noi vogliamo ascoltare anche quali siano le raccomandazioni particolari di Francesco alla nazione italiana in alcune delle sue componenti.


    Tra le sue lettere, ne troviamo una rivolta “a tutti i fedeli”, una indirizzata ai sacerdoti e una terza che ha come destinatari i “reggitori dei popoli”, cioè gli uomini politici.

    Sono ammonimenti che, nascendo dalla visione cattolica della vita accolta in forma piena e incontaminata, possono stupire e quasi provocare la nostra incredulità o la nostra fede rarefatta. Ma sarà bene almeno conoscerli nella loro autenticità.



    A tutti i fedeli
    A tutti i fedeli egli raccomanda soprattutto l'osservanza dei comandamenti di Dio e la preoccupazione di non morire in peccato mortale, lasciando situazioni di obiettiva ingiustizia.

    Con tutta la sua dolcezza, arriva a dire con la forza degli antichi profeti: “Coloro che non vogliono gustare quanto sia soave il Signore e preferiscono le tenebre alla luce, non volendo osservare i comandamenti di Dio, sono maledetti”(8)



    Ai sacerdoti
    Ai sacerdoti ricorda più di ogni altra cosa il loro dovere di trattare con riverenza il “santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo”. Egli si rammarica che “il corpo [del Signore] è lasciato in luoghi indegni, è portato via in modo lacrimevole, è ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato senza riverenza”(9).

    Un lamento che deve farci riflettere e ci invita a un esame del nostro modo di trattare l'eucaristia in questi tempi contrassegnati da una disinvoltura liturgica, che non aiuta affatto il popolo a crescere nella fede.



    Agli uomini politici
    Ai reggítori dei popoli dice testualmente: “Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo”.

    “Obbedite ai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che dimenticano il Signore e si allontanano dalle sue leggi sono maledetti e saranno dimenticati da lui”.

    “E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di avere saranno loro tolte.

    E quanto più saranno sapienti e potenti in questo mondo, tanto più dovranno patire le pene nell'inferno”.

    “Perciò vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria”(10)



    Le nostre implorazioni
    Poi che noi l'abbiamo ascoltato, ora ci ascolti lui. Ascolti la nostra fiduciosa implorazione: protegga la nostra patria, ottenga saggezza ai suoi governanti, ispiri concordia e spirito di collaborazione tra i cittadini; ridoni alla nostra gente il gusto e la fierezza del lavoro ben compiuto; ci salvi tutti dalla disgrazia nazionale di voler essere troppo furbi; persuada la famiglia italiana a ridiventare il luogo dove il patto nuziale si mantiene fino alla fine, dove l'amore diventa fecondo, dove l'egoi­smo dei genitori non prevale sul vero bene dei figli; soprattutto aiuti l'Italia a conservarsi in comunione vitale con la sua storia, che è per larga parte storia della fede in Cristo che progressiva­mente si è fatta nella nostra terra vita e cultura di un popolo.



    Note:
    (1) CELANO, Vita Prima, ‑84, FF 466.

    (2) Cfr. Testamento, FF 116.

    (3) S. BONAVENTURA, Leggenda Maggiore, IV, 5, FF 1072.

    (4) ID., Leggenda Minore, 1, Lez. V, FF 1334.

    (5) Regola non bollata, XXIII, FF 68.

    (6) Leggenda dei tre compagni, 46, FF 1455.

    (7) CELANO, Vita Prima, 2, FF 321.

    (8) Lettera a tutti i fedeli, 11, FF 186.

    (9) Lettera a tutti i chierici sulla riverenza del corpo del Signore, FF 208.

    (10) Ai reggitori dei popoli, FF 211‑212


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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 09/01/2010 16:22
    [SM=g1740722] Al Capitolo delle stuoie tenutosi ad Assisi il 2009 Padre Raniero Cantalamessa tiene una magistrale lezione sulla regola di San Francesco e i tempi moderni. Si intrattiene specialmente sul tema della predicazione, della preghiera e della povertà. Emerge la modernità del messaggio di Francesco d'Assisi oggi nella chiesa e il suo cristocentrismo. Dell'intero intervento è stato omessa un po' dell'introduzione.




    [SM=g1740721]

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 27/01/2010 14:43

    Udienza di mercoledì 27.1.2010

                            Pope Benedict XVI waves as he leads his weekly audience in Paul VI hall at the Vatican January 27, 2010.


    Cari fratelli e sorelle,

    in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo.

    Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.

    "Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano.

    Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali.

    Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III.

    Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio.
     
    Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

    Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione.

    Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.

    In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico.
     Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia.

    La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.

    E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

    Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.

    Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo.

    Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.

    Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.

    Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.

    La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.

    È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco.

    Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

    In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: "Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

    In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399).

    Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

    Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

    Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

    Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 01/02/2010 16:18
    IL TAU NON E' UN "FETICCIO"

    Che senso aveva per san Francesco?

    E che senso ha per noi oggi?


                                              

    Il Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall’Antico Testamento; se ne parla già nel libro di Ezechiele: “Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono...” (Ez.9,4). Esso è il segno che posto sulla fronte dei poveri di Israele, li salva dallo sterminio.

    Con questo stesso senso e valore se ne parla anche nell’Apocalisse: “Poi vidi un altro angelo che saliva da oriente e portava il sigillo del Dio vivente, e gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era ordinato di danneggiare la terra e il mare dicendo: non danneggiate né la terra, né il mare, né piante finché non abbiamo segnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio” (Ap.7,2-3).

    Il Tau è perciò segno di redenzione. E’ segno esteriore di quella novità di vita cristiana, più interiormente segnata dal Sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo (Ef.1,13).

    Il Tau fu adottato prestissimo dai cristiani. Tale segno si trova già nelle catacombe a Roma. I primi cristiani adottarono il Tau per un duplice motivo. Esso, come ultima lettera dell’alfabeto ebraico, era una profezia dell’ultimo giorno ed aveva la stessa funzione della lettera greca Omega, come appare dall’Apocalisse: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente dal fonte dell’acqua della vita... Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine” (Ap.21,6; 22,13).

    Ma soprattutto i cristiani adottarono il Tau, perché la sua forma ricordava ad essi la croce, sulla quale Cristo si immolò per la salvezza del mondo.
    San Francesco d’Assisi, per questi stessi motivi, faceva riferimento di tutto al Cristo, all’Ultimo: per la somiglianza che il Tau ha con la croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita come pure nei gesti. In lui il vecchio segno profetico si attualizza, si ricolora, riacquista la sua forza salvatrice ed esprime la beatitudine della povertà, elemento sostanziale della forma di vita francescana.

    Era un amore che scaturiva da una appassionata venerazione per la santa croce, per l’umiltà del Cristo, oggetto continuo delle meditazioni di Francesco e per la missione del Cristo che attraverso la croce ha dato a tutti gli uomini il segno e l’espressione più grande del suo amore. Il Tau era inoltre per il Santo il segno concreto della sicura salvezza, e la vittoria di Cristo sul male. Grande fu in Francesco l’amore e la fede in questo segno. “Con tale sigillo, san Francesco si firmava ogniqualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche sua lettera” (FF 980); “Con esso dava inizio alle sue azioni” (FF 1347). Il Tau era quindi il segno più caro per Francesco, il suo sigillo, il segno rivelatore di una convinzione spirituale profonda che solo nella croce di Cristo è la salvezza di ogni uomo.

                                                    
                                                (la "firma" di san Francesco)


    Quindi il Tau, che ha alle sue spalle una solida tradizione biblico-cristiana, fu accolto da Francesco nel suo valore spirituale e il Santo se ne impossessò in maniera così intensa e totale sino a diventare lui stesso, attraverso le stimmate nella sua carne, al termine dei suoi giorni, quel Tau vivente che egli aveva così spesso contemplato, disegnato, ma soprattutto amato.

    Oggi, moltissimi componenti della famiglia francescana: frati, suore, seminaristi aspiranti, francescani dell’ordine secolare, giovani devoti e ammiratori ed amici di san Francesco, portano il Tau come segno distintivo di riconoscimento della loro appartenenza alla famiglia o alla spiritualità francescana.


         Il Tau non è un feticcio, né tanto meno un ninnolo qualsiasi, esso è il segno concreto di una devozione cristiana, ma soprattutto un impegno di vita nella sequela del Cristo povero e crocifisso.

    Ricevere il Tau, portarlo sul proprio cuore, è l’impegno per un cammino, per una scuola di vita. Il cristiano segnato con il segno della croce al momento del suo battesimo, deve diventare, portando la croce, attraverso le immancabili sofferenze che comporta la vita, imitatore e seguace del Cristo povero e crocifisso. Quel Tau deve ricordarci una grande verità cristiana, la vita nostra associata a quella del Cristo nella croce come insostituibile mezzo di salvezza.

    Lo sappiamo: nulla nasce di grande senza passare per il sacrificio. Accogliamo allora questo segno, portiamolo con fierezza, difendiamolo, viviamone la spiritualità, rendiamo ragione anche attraverso di esso della “speranza che è in noi”, consapevoli che solo aggrappandoci alla croce ogni giorno potremo rinascere con Lui, come Francesco, alla vita veramente nuova.

    Il Tau…

    È il segno di riconoscimento del cristiano, cioè del figlio di Dio, del figlio scampato dal pericolo, del SALVATO. È un segno di potente protezione contro il male (Ez.9,6).
    È un segno voluto da Dio per me, è un privilegio divino (Ap.9,4; Ap.7,1-4; Ap.14,1).
    È il segno dei redenti del Signore, dei senza macchia, di coloro che si fidano di Lui, di coloro che si riconoscono figli amati e che sanno di essere preziosi per Dio (Ez.9,6).

    È l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico (Sal.119 in fondo).


    Ai tempi di Gesù la croce era la condanna per i malfattori, perciò simbolo di vergogna e scandalo. Ai condannati di quell’epoca veniva legato alle mani un palo dietro la schiena; arrivati sul luogo della esecuzione, venivano issati su un altro palo verticalmente conficcato nel terreno. Il TAU croce di Cristo, non è più un simbolo di vergogna e sconfitta, ma diventa simbolo di un sacrificio per mezzo del quale sono salvato.

    È simbolo della dignità dei figli di Dio, perché è la Croce che ha sorretto Cristo. È un segno che mi ricorda che devo essere anch’io forte nelle prove, pronto all’obbedienza del Padre e docile nella sottomissione, come è stato Gesù davanti alla volontà del Padre.

    Solitamente è in legno di ulivo, perché? Perché il legno è un materiale molto povero e duttile; i figli di Dio sono chiamati a vivere in modo semplice e in povertà di spirito (Mt.5,3). Il legno è un materiale duttile, cioè si lavora facilmente; anche il cristiano battezzato, deve lasciarsi plasmare nella vita di tutti i giorni, dalla Parola di Dio, essere Volontario del Suo Vangelo. Portare il TAU significa avere risposto il mio SI alla volontà di Dio di salvarmi, accettare la sua proposta di salvezza.

    Significa essere portatore di pace, perché l’ulivo è simbolo della PACE (“Signore fa di me uno strumento della tua pace” – San Francesco). S.Francesco, con il TAU benediceva e otteneva molte grazie. Anche noi possiamo benedire (vedi benedizione di S.Francesco o Nm.6,24-27). Benedire significa dire bene, volere il bene per qualcuno.

    Al momento del nostro Battesimo, hanno scelto per noi madrina e padrino, oggi ricevendo il TAU, facciamo una libera scelta da cristiani adulti nella fede.


    Un  grazie al sito: sanFrancescoPatronod'Italia

    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 15/04/2010 18:50
    San Francesco e l'imbarazzo dello storico

    Troppo affascinante per non essere frainteso



    Giovedì 15 aprile, nell'Oratorio dell'Immacolata Concezione della basilica di Santa Maria in Aracoeli, in un incontro organizzato dal Centro Cultura Aracoeli e dalla Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, è stato presentato il volume Francesco d'Assisi (Torino, Einaudi, 2010, pagine 378, euro 35). Pubblichiamo ampi stralci della premessa scritta dall'autore.

    di André Vauchez


    "Ancora una Vita di Francesco d'Assisi!" si potrebbe esclamare aprendo questo libro. Ne esistono già tanti da far apparire la sua figura ben conosciuta, persino familiare:  chi non ha sentito parlare di questo santo che amava la povertà, predicava agli uccelli e risulta essere il primo stimmatizzato?
    Scrivere una biografia è un'impresa legittima quando essa consenta di togliere dall'oblio in cui è caduto un personaggio che nella sua esistenza ha giocato un ruolo importante, oppure di riabilitare la figura di un uomo o di una donna incompresi o maltrattati dagli autori che di loro si sono occupati.
    Francesco non appartiene ad alcuna di queste categorie. Da tempo egli è celebre e universalmente riconosciuto come una delle grandi figure spirituali dell'umanità:  lo ha dimostrato ancora di recente il fatto che nel 1986 i rappresentanti delle principali religioni si siano riuniti ad Assisi rispondendo all'appello di Papa Giovanni Paolo ii, per pregare per la pace e riflettere insieme sui mezzi per realizzarla nel nostro mondo.

    Tuttavia, malgrado la notorietà di Francesco e della sua città natale, non è affatto sicuro che molti dei nostri contemporanei - al di fuori dell'Italia dove rimane una figura popolare - sappiano realmente chi egli fosse.
    Numerosi autori che di Francesco d'Assisi si sono interessati, sia nel passato sia ai giorni nostri, hanno cercato soprattutto di edificare i loro lettori presentandolo come un modello esemplare, oppure di far partecipare all'emozione, se non all'entusiasmo, che aveva suscitato in loro questo o quell'aspetto della sua personalità affascinante.

    Più recentemente altri autori gli hanno consacrato saggi brillanti, talvolta nati da un'intuizione illuminante - penso a Francesco e l'infinitamente piccolo di Christian Bobin - oppure incentrati sullo studio del contesto sociale e culturale, come il Francesco d'Assisi di Jacques Le Goff, senza avere l'ambizione di offrire una nuova visione d'insieme della sua esistenza e del suo messaggio.

    E non si dimentichino i numerosi film, più o meno romanzati, dedicati al Povero d'Assisi, in cui si tenta di ricostruirne la vita presentandone gli episodi principali. Salvo qualche rara eccezione - quale lo splendido Francesco, giullare di Dio del cineasta Roberto Rossellini (1950) - Si tratta quasi sempre di un simulacro o di un'illusione, in quanto la ricerca retrospettiva di una coerenza si rivela fittizia quando essa conduca a integrare con l'immaginazione le lacune della documentazione e a trasformare in destino unilineare un passato singolare segnato, al pari di quello di tutti gli esseri umani, dall'indeterminatezza e dalla discontinuità. Questi limiti nascono innanzitutto dal fatto che assai spesso coloro che si sono interessati di Francesco d'Assisi non sono risaliti alle fonti, del resto numerose e variegate, di cui potevano disporre, oppure ne hanno fatto un uso inadeguato.

    In effetti, la non conoscenza della specificità dei testi agiografici e il rifiuto di considerarli in una prospettiva comparativa hanno condotto troppo sovente i biografi di Francesco d'Assisi a intessere una sorta di patchwork, attaccando l'una all'altra informazioni ricavate da scritti di ispirazione e di epoche differenti:  cosicché l'immagine, in larga misura artificiale, che deriva da queste combinazioni più o meno arbitrarie, riflette la soggettività dei loro autori piuttosto che il clima dell'epoca in cui visse il Povero d'Assisi.

    Uno dei maggiori problemi posti dalla biografia di Francesco consiste nel fatto che ciascuno crede di conoscerlo così bene da poterlo interpretare a suo piacimento, in quanto la sua personalità è così ricca da dar luogo a diverse letture:  nel corso dei secoli si è celebrato in lui l'asceta e lo stimmatizzato, il fondatore di un grande ordine religioso e il paladino dell'ortodossia cattolica; poi, a partire dalla fine del secolo xix, lo si è considerato soprattutto un eroe romantico, sostenitore di un cristianesimo evangelico e mistico schiacciato dall'istituzione ecclesiastica. Ai giorni nostri, si privilegia l'immagine del difensore dei poveri, del promotore della pace tra gli uomini e le religioni, dell'uomo amante della natura, difensore e patrono dell'ecologia, o ancora del santo ecumenico in cui i protestanti, gli ortodossi e pure i non cristiani possono riconoscersi:  a ciascuno il suo Francesco, si sarebbe tentati di dire, come Paul Valéry parlava del "(suo) Faust", rivendicando perciò il diritto di interpretare a modo suo quel grande mito letterario. Una tale situazione, che attesta del resto l'importanza del personaggio e il fascino che non ha cessato di esercitare sugli spiriti, è senza dubbio inevitabile. Essa ben corrisponde al carattere poliedrico, se non polisemico, della personalità del santo d'Assisi, che si riflette nella varietà delle fonti che consentono di conoscerlo.

    Immancabilmente, davanti a siffatta confusione, lo storico si sente a disagio e volentieri lascia a volgarizzatori il compito di redigere sintesi poco soddisfacenti dal punto di vista scientifico, che, a eccezione di qualche dettaglio, non fanno che ripetersi. Inoltre, lo storico si mostra in tanto incline a rifugiarsi nell'erudizione e nella ricerca "pura" in quanto la recente storiografia è segnata da una profonda sfiducia di fronte alla possibilità effettiva di una ricostruzione biografica del personaggio di Francesco:  ricostruzione biografica che allo stato delle nostre conoscenze risulterebbe assai lontana dal poter essere realizzata.

    Invero, Francesco non è un mito né un personaggio leggendario, benché nel medioevo su di lui si siano scritte molte leggende. Neppure c'è ragione perché egli sia da ritenersi più inaccessibile dei suoi contemporanei san Luigi e Federico ii, che sono stati oggetto di rimarchevoli biografie di cui nessuno mette in dubbio il carattere storico. Certo, dopo Henri-Irénée Marrou sappiamo che l'oggettività assoluta non esiste in questi ambiti di ricerca e che pretendere di conoscere le cose "come esse si sono realmente svolte" si rivela un'illusione.

    Ciononostante, il problema del biografo, se vuole fare opera di storico, non è di rinunciare alla sua soggettività, poiché la biografia, come la storia, si scrive nel presente e riflette le attese della propria epoca. Essa è l'opera di un individuo appartenente a un tempo, a un ambiente e a una cultura che determinano necessariamente il suo modo di affrontare i problemi. L'autore di questo libro è ben cosciente di questi limiti:  egli si è interessato e si interessa a Francesco poiché a lungo ha vissuto e lavorato in Italia, frequentando assiduamente Assisi e l'Umbria; ha potuto misurare l'impatto profondo del francescanesimo in questo paese, in cui ha incontrato numerose persone per le quali il santo d'Assisi rimane un riferimento vivo. In quanto medievista, ha dedicato le sue ricerche alla storia della santità e allo studio dei testi agiografici - leggende e raccolte di miracoli - che costituiscono l'essenziale della documentazione di cui disponiamo per conoscere la figura del Poverello.

    Tuttavia, evidenziare i fattori che possono averlo influenzato non è in contraddizione con la ricerca di rigore metodologico:  lo storico, anche e soprattutto quando dichiari il contrario, necessariamente è coinvolto nei temi della sua ricerca. Ciò non gli impedisce di fare onestamente il suo lavoro o, meglio, il suo "mestiere di storico", per riproporre una felice espressione di Marc Bloch, prendendo le distanze di fronte a tutte le leggende, auree o nere, e affrontando lo studio della documentazione, la più ampia possibile, con il massimo di oggettività, dimostrando quanto sia vero che la cosa migliore che noi abbiano "sta nella testimonianza e nella critica della testimonianza per accreditare la rappresentazione storica del passato".

    Lo storico deve avere ugualmente l'umiltà di non pretendere di tutto dire e di tutto sapere sulla vita e sulla personalità del suo eroe, intorno a cui occorre riconoscere che certi aspetti - anche non secondari - ci sfuggono o rimangono nell'ombra. In effetti, poiché la documentazione relativa a Francesco comporta, come vedremo, certe lacune, forte è la tentazione di riempire i vuoti ricorrendo a congetture e di conferire alla sua esistenza una unità e una logica di cui essa era ovviamente priva.

    Pertanto lo storico deve fare attenzione a mettere l'accento sull'evoluzione del suo eroe e a non mascherarne, se del caso, le incertezze e le contraddizioni:  compito tanto più difficile considerando che i testi agiografici relativi al Povero d'Assisi tendono a fare astrazione dal contesto temporale e a presentare la sua esistenza sotto forma di un racconto esemplare in cui l'individuo conta meno che il personaggio. Ciononostante, Jacques Le Goff ha ben mostrato nel suo San Luigi a qual punto le fonti medievali contemporanee del suo eroe, malgrado il loro carattere lacunoso e orientato, siano fondamentali per capire come sia stata costruita l'immagine del sovrano.

    A proposito di Francesco, è importante analizzare con precisione le tappe della genesi tormentata della sua memoria storica e, nel medesimo modo, le interpretazioni, talvolta contrastanti, di cui la sua persona e la sua proposta religiosa furono oggetto nel corso dei primi secoli che seguirono la sua morte, e anche oltre. Se la documentazione di cui disponiamo raramente ci permette di raggiungere il Francesco "autentico", quale fu nella sua esistenza, essa mette in chiara evidenza l'impatto considerevole che egli ebbe sui suoi contemporanei e sulle generazioni successive.

    Pertanto, questo volume non si presenta come una biografia classica, che si estende dalla nascita al decesso del proprio eroe; accanto alla descrizione delle principali tappe della sua esistenza terrena, essa fa largo spazio allo studio del destino postumo di Francesco e dell'impatto del suo messaggio attraverso i secoli, ossia, in sintesi, a tutto ciò che va sotto il termine di Nachleben. Infatti gli inizi non risolvono ogni cosa e la verità non è separabile dalla sua trasmissione. La storia del Povero d'Assisi non si è fermata il giorno della sua morte e si può dire che in un certo senso egli ha conosciuto una seconda vita in questo mondo dopo averlo lasciato.

    Così, il Francesco "storico" - l'unico che possiamo cogliere - risulta da quanto egli fa conoscere di sé nei suoi scritti e, nel contempo, dalle diverse percezioni che sia i suoi contemporanei, sia tutti coloro che nel corso dei secoli di lui si sono interessati hanno potuto avere della sua persona e della sua esperienza.

    L'approccio critico che ci sforzeremo di realizzare in questo libro mira non a produrre congetture - secondo una moda attuale - su un personaggio universalmente ammirato, ancor meno a mettere in discussione la sua grandezza in una prospettiva iconoclasta, bensì a tentare di ritrovarlo in ciò che in lui c'è di differente rispetto a noi:  non un Francesco precursore dei tempi moderni, o l'eroe poetico di una fusione armoniosa tra l'uomo e la natura, ma un personaggio vissuto nell'Italia comunale al volgere dal xii al xiii secolo, di cui cercheremo di rintracciare l'esistenza in quanto ha di unico.

    Il peggiore intoppo per lo storico è in effetti l'anacronismo:  volendo a ogni costo che il Povero d'Assisi si unisca al nostro presente sotto pretesto di renderlo accettabile e interessante per i nostri contemporanei, si rischia di snaturarlo e, insieme, di far perdere di vista sia i suoi tratti originali sia quanto egli ha messo concretamente in gioco nella sua vita.

    Come ha ben detto Peter Brown "non dobbiamo mai leggere Agostino come se fosse un nostro contemporaneo":  attualizzare Francesco, secondo quanto si fa spesso, non è che un modo camuffato di parlare di noi stessi fingendo di parlare di un altro. Prima di tutto, cerchiamo di ricollocarlo nel suo tempo, senza nutrire l'illusione di ritrovare il Francesco d'Assisi che percorreva con qualche compagno "straccione" le strade dell'Umbria e il cui vissuto sempre ci sfuggirà.

    La difficoltà maggiore consiste nel restituire a un lettore odierno un mondo che ci è divenuto estraneo e nel renderlo intelligibile, a dispetto della discontinuità insormontabile che esiste tra le sue categorie di pensiero, le sue forme di sensibilità e le nostre.
    Soltanto dopo questo sforzo di distanziamento diviene legittimo chiedersi in che cosa la vita e la testimonianza del Povero d'Assisi possano ancora riguardarci.


    (©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 29/04/2010 19:08

    Tutte le verità su Francesco



    Il 29 aprile a Roma, alla Pontificia Università Antonianum, si svolge un seminario di studio sui "Quarant'anni di fonti francescane" in occasione della pubblicazione dei due volumi dell'opera:  François d'Assise. Ecrits, légends et témoignages (Paris, Éditions franciscaines - Éditions du Cerf, 2010, pagine 3.400, euro 90). Pubblichiamo alcuni stralci dell'introduzione scritta dal responsabile scientifico.

    di Jacques Dalarun

    Nel 1968, la pubblicazione del volume Saint François d'Assise. Documents, écrits et premières biographies (Éditions du Cerf) fu, a suo modo, una sorte di rivoluzione, allo stesso tempo democratica e scientifica. Democratica perché il lavoro di traduzione consentiva alla maggioranza delle persone l'accesso alle fonti francescane primitive, in uno spirito autenticamente francescano. Scientifica perché il fatto di disporre, in un solo volume, di tutti gli scritti conosciuti su Francesco, delle principali leggende scritte nel secolo che seguì alla sua morte e di un gran numero di documenti che attestano la sua esistenza storica e il suo culto, permetteva di mettere in moto la dialettica delle testimonianze, circoscrivendo da vicino sia l'uomo sia la sua icona. Di tutti gli strumenti raccolti alla fine dello spesso "piccolo libro blu", il più prezioso era senza dubbio le tavole di concordanza fra le leggende francescane che, simultaneamente, tracciavano i legami di una narrazione con quelle seguenti, ma permettevano pure, per ogni episodio biografico, d'individuare immediatamente la sua testimonianza più antica. Giovanni Miccoli, il grande storico di Francesco in Italia, mi ha confidato il ruolo decisivo che svolse il "Desbonnets-Vorreux" nelle sue ricerche sul francescanesimo primitivo, la cui prima tappa risale proprio al 1970. La sua opera principale, Francesco d'Assisi. Realtà e memoria di un'esperienza cristiana, Einaudi, seguendo il filo della memoria per risalire con maggior vigore alla realtà storica di un'esperienza singolare, è una proiezione storica delle minuziose tavole di concordanza, e basterebbe da sola a giustificarle.

    Innovativa, creativa, l'impresa francese finì con l'essere vittima della sua precocità. Alla domanda posta nel settembre 2005 dai responsabili delle Éditions Francescaines - bisognava ristampare il Totum, rivederlo o rifarlo? - il piccolo comitato da loro riunito decise all'unanimità di scartare la soluzione centrale e optò rapidamente, ma non senza una certa angoscia, per l'ultima.
    Subentrare a Théophile Desbonnets e a Damien Vorreux non è cosa facile. Tutti e due questi eruditi frati minori, sembravano compiacersi d'incarnare lo spirito di sottigliezza e lo spirito di geometria. Alla profonda cultura e alla sensibilità letteraria di Damien Vorreux si affiancava il rigore scientifico di Théophile Desbonnets, ingegnere uscito dall'École centrale des arts e manufactures, che aveva riconvertito il suo gusto per l'algebra nella passione per una filologia che, seguendo allora con grande interesse i primi passi dell'informatica, poteva sperare di diventare una vera "scienza dei testi".
    Non è un omaggio sufficiente osservare che, laddove due uomini erano bastati, o quasi, a svolgere il compito, per noi è stato necessario mettere in piedi tutta una squadra per raccogliere la sfida che ci era stata lanciata? Lungi da noi l'idea di pretendere di far meglio dei nostri predecessori, come se il loro lavoro fosse incompleto. E l'idea che il nuovo Totum faccia dimenticare quello vecchio, come il capitolo generale dei frati minori riunito a Parigi nel 1266 avrebbe voluto che i testi appena scritti da Bonaventura si sostituissero a quelli precedenti, condannandoli così all'oblio.

    Nel corso di questi quattro anni di lavoro intenso, a guidarci è stato l'esempio di Théophile Desbonnets e di Damien Verroux. Ci sembra che la vera fedeltà al loro insegnamento non consista nel fissare o nel rielaborare la loro opera, ma nel cercare di offrire ai lettori ciò che avrebbero voluto produrre oggi, se la morte non li avesse colti a dieci anni di distanza, nel 1988 e nel 1998. Dopo tutto, questa scelta della fedeltà dinamica non è per nulla estranea al nostro proposito.
    Partiamo quanto meno da un dato evidente:  con la riserva di verificarne l'autenticità, nessuna delle fonti presenti nella precedente edizione poteva essere esclusa, come testimonia la nostra tavola delle materie, ma anche il fatto che il volume del "piccolo libro blu" è raddoppiato. Cosa aggiungere? Per quanto riguarda gli scritti di Francesco, il canone era stato pressoché fissato nel 1968. Per quel che concerne i testi narrativi, la situazione era più aperta. Théophile Desbonnets e Damien Vorreux, essendosi concentrati sulla ricerca del "vero Francesco", non avevano quasi prestato attenzione a due tipi di fonti alle quali noi abbiamo voluto dare spazio:  i testi liturgici e le raccolte di miracoli.
    Così nel presente volume troverete le prime traduzioni francesi della Leggenda del Coro attribuita a Tommaso da Celano e dell'Ufficio di san Francesco composto da Giuliano da Spira. Certo, questi testi non dicono nulla di nuovo sui fatti e sui gesti di Francesco; ma per generazioni di frati che hanno celebrato solennemente la feste del loro santo fondatore a partire dalla sua vigilia, il 3 ottobre sera, hanno scolpito la sua immagine e ne hanno fissato il ricordo, con tutta la forza che il canto e la recitazione collettiva hanno conferito a queste reliquie sonore.

    Mi sia permesso dire un'ultima parola a Thierry Gournay e alla famiglia francescana, a mio nome ma, credo, anche a nome dei membri laici della nostra équipe. Che Thierry, i suoi fratelli e le sue sorelle, sappiano che abbiamo valutato e apprezzato a fondo cosa ha significato per loro affidare a persone in buona parte esterne all'ordine la responsabilità del loro tesoro più caro, la sola eredità che hanno ricevuto da colui che rinunciò a ogni eredità e a ogni possesso. La famiglia francescana non ha mai indagato sulle nostre opinioni, né ha cercato di influire sul contenuto dei nostri scritti. La nostra libertà è stata totale. Sappiamo che se Francesco d'Assisi è per noi oggetto di studio, per la famiglia francescana è anche soggetto di vita. Per noi appartiene al passato, per loro è il presente. E non è in virtù della stessa "professione" che lo guardiamo pensare e vivere con la stessa empatia. Le nostre "professioni" coincidono almeno in un punto:  entrambi, membri della famiglia francescana ed esperti, siamo abitati dalla stessa esigenza di verità. Anche se loro mettono una parola in maiuscolo e noi in minuscolo, sappiamo di non fare altro che procedere verso la stessa verità. Ad accomunarci è il fatto che la verità non ci fa paura, soprattutto quella su Francesco. Nutriamo, al contrario, l'intima convinzione che, più risaliamo alla fonte della sua verità storica più abbiamo da imparare da lui.


    (©L'Osservatore Romano - 30 aprile 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 02/10/2010 17:00

    San Francesco d’Assisi celebrato in greco


    ROMA, venerdì, 1° ottobre 2010 (ZENIT.org).- Mentre si celebra la festa di san Francesco d’Assisi fervono i preparativi per il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. Ed ecco una pubblicazione che unisce i due eventi: infatti è in libreria il volume Ricco sposo della povertà. Ufficio liturgico italogreco per Francesco d’Assisi. Edizione critica, traduzione e commento a cura di Anna Gaspari (Medioevo, 19), Ed. Antonianum, Roma 2010.

    Un testo unico nel suo genere, ossia un ufficio liturgico del tardo Medioevo dedicato a san Francesco d’Assisi non solo scritto in greco, ma secondo la terminologia, teologia e spiritualità bizantine.

    Questa singolare ufficiatura liturgica è contenuta in un codice italogreco copiato nella Terra d’Otranto ellenofona alla fine del Medioevo, alla vigilia del tramonto della grecità.

    Il manoscritto, conservato nell’Archivio della Chiesa Matrice di Maria SS. Assunta di Galàtone, in provincia di Lecce, risulta di straordinaria importanza poiché rappresenta un unicum, in quanto il culto del santo umbro non ha avuto diffusione nella Chiesa bizantina: può considerarsi un esempio di inculturazione, il risultato di una reciprocità e di un’interazione, di una simbiosi e di un dualismo fra due riti, due lingue, due culture.

    In Puglia, infatti, che ha conosciuto la presenza della Chiesa greca e del rito bizantino (che sopravvive in qualche caso ben oltre il Concilio di Trento), l’incontro-scontro con il rito latino ha determinato non soltanto dispute a livello teologico e dottrinale, ma ha comportato anche reciproci influssi sui libri liturgici.

    Il testo greco proposto, che sperimenta una ricostruzione della colometria originaria del testo innografico, è corredato di note di apparato e loci similes (fonti bizantine e francescane), di un’accurata traduzione a fronte e di un commento dettagliato.

    Chiude il libro un’appendice dedicata allo studio di due frammenti liturgici – apparentemente in onore di san Nicola – che un tempo fungevano da “copertina” del libellus contenente l’ufficiatura per s. Francesco, con edizione critica e ipotesi di restauro ed integrazione del testo lacunoso.

    Ecco di seguito un passo di tale ufficio liturgico:

    «Ascolta, o cielo, e odi, o terra, /le azioni virtuose del nostro santo Padre [Francesco], / danzino gli angeli nei cieli / e cantino gli uomini sulla terra / nel giorno festivo / della sua memoria. / Ogni lingua e ogni bocca, / fiere e armenti, pesci, rettili / e uccelli alati / levatevi oggi per la sua lode. / I monti e le colline esultino, / ogni città e regione, / ogni stirpe ed età, / tutti insieme convenuti, / coroniamo di inni / il primo degli Assisiati; /egli invero più di tutti / intercede / per salvare le nostre anime».

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 02/10/2010 17:04

    Cronaca della Giornata di studio “San Francesco e il Sultano”


    di David Gagrcic, ofm*

    ROMA, venerdì, 1° ottobre 2010 (ZENIT.org).- Il giorno 25 settembre 2010 presso la sala “Le Laudi” del convento San Francesco in Firenze, ha avuto luogo la giornata di studio “San Francesco e il Sultano”, organizzata e promossa dalla Provincia Toscana di San Francesco Stimmatizzato e dalla Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma. Il convegno è stato moderato brillantemente dal padre Fortunato Iozzelli, professore presso la suddetta Scuola e neo direttore della rivista Studi Francescani.

    L’incontro tra Francesco e il Sultano è, a tutt’oggi, un vis à vis indecifrabile su cui gli intellettuali di ogni tempo, storici e teologi, artisti e scrittori non hanno mai smesso di interrogarsi: è stata una cosciente ricerca del martirio? O piuttosto un spontaneo e quasi ingenuo atto di audacia? Risultato ultimo di una specifica volontà di proselitismo o modello esemplare di dialogo interreligioso?

    Dopo aver letto il capitolo dodicesimo della Regola Bollata, e aver fatto presente l’urgenza e l’importanza della tematica per l’oggi, il padre Fortunato è passato ad una breve presentazione dei relatori alla quale è seguito il saluto ai presenti da parte del Ministro Provinciale, fra Paolo Fantaccini.

    Giuseppe Ligato, giovane ed eminente studioso di storia delle crociate, primo fra i relatori, ha introdotto il tema della giornata facendo un breve e preciso excursus storico del contesto in cui è avvenuto l’episodio dell’incontro tra Francesco e il Sultano, nell’ambito della V Crociata e delle particolari relazioni tra l’Impero e il Papato. In modo particolare l’assedio di Damietta, luogo di scontro e incontro, e le questioni sottese alle trattative di pace tra le parti. Nel corso della relazione è stata posta in risalto la particolare commistione tra svariati interessi politici-militari e una peculiare visione spirituale-escatologica – o profetica – di ambo le parti in guerra.

    Anna Ajello, giovane e preparata medievista, mettendo in secondo piano la questione della storicità dell’incontro tra Francesco e il Sultano, ha approfondito la modalità di missione e del farsi prossimi dei frati Minori verso “gli infedeli”, mettendo così in risalto la precedenza della testimonianza di vita cristiana sulla predicazione verbale, “verbo et exemplo”. In questa globalizzazione ante litteram, i frati minori si fanno amici di tutti e sperimentano l’importanza della conoscenza derivante dall’esperienza. Dalla visita di Francesco al Sultano e dalla regola minoritica prese avvio quel rapporto intenso e tutto particolare tra i francescani e l'islam che dura ancor oggi: e che fece – con una contraddizione solo apparente – dei frati francescani, al tempo stesso, i predicatori più accesi della Crociata e i sostenitori più convinti degli ideali missionari.

    Il professor Pacifico Sella, frate minore e docente all’Istituto Teologico di Verona, ha optato per un deciso sì per quanto concerne la storicità dell’incontro tra l’assisiate e il Sultano d’Egitto. Si è soffermato a riflettere sul motivo che potrebbe aver spinto Francesco a recarsi dal Sultano Melik Al Kamel, arrivando alla conclusione che la sua deve esser stata semplicemente una “missione di pace”, piuttosto che un invito alla conversione del Sultano o, sic et simpliciter, desiderio di martirio (pur avendone calcolato la possibilità).

    Il nostro relatore ha compiuto questo passaggio, attraverso un’attenta disamina di poche ma valide fonti di cui la più importante è la cronaca di Ernoul, della seconda metà del XII secolo, riguardante la caduta del Regno crociato di Gerusalemme. Il professore ha sottolineato poi, il cambio di prospettiva, avvenuto nei primi decenni del XIV secolo, riguardo al martirio in odium fidei, che assume nella prima storiografia francescana un’importanza quasi esclusiva mettendo così in secondo piano il profetico annuncio di pace portato da Francesco.

    Nel pomeriggio ha fatto da moderatore il padre Pietro Messa, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani. Prima di iniziare i vari interventi egli ha invitato tutti a cogliere uno dei primi frutti di questo incontro: la consapevolezza che la storia è una realtà complessa, contraddittoria tanto che a volte appare persino assurda e ogni tentativo di ridurla a schemi troppo semplicistici, porta fuori strada. Uno di questi tentativi è l’anacronismo, vale a dire, l’interpretazione della realtà del passato con categorie di pensiero attuali e il non tener conto dello spostamento semantico, ossia che una stessa parola, espressione o perfino gesto, nel tempo può aver avuto significati diversi. Ciò è sempre motivo di confusione. Il convegno ci fa intuire come invece sia possibile arrivare a cogliere numerosi elementi di verità e di conoscenza, senza per questo banalizzare e ridurre la storia a mero strumento di lotta ideologica.

    Egli ha introdotto come prima relatrice del pomeriggio la professoressa Chiara Frugoni, nota medievista, al quale ha relazionato con sapiente ed agile competenza esaminando attentamente alcune tra le più importanti fonti iconografiche del XIII- XIV secolo, come la Tavola Bardi e gli affreschi di Giotto. Partendo dall’analisi testuale di alcune fonti francescane, tra cui le due Regole, Bollata e non Bollata, la relatrice ha voluto dimostrare il passaggio di paradigma avvenuto nella concezione dell’incontro di Francesco con il Sultano, tra un prima e un poi: un primo momento in cui il Sultano compare quale interlocutore pieno di dignità e alla pari, fino ad arrivare poi ad essere rappresentato sotto sembianze simil- demoniache. L’aggiunta successiva, dell’elemento del fuoco e dell’episodio dell’ordalia – episodio riportato solo da san Bonaventura e esclusivamente nella Legenda Maior – porta proprio a un inversione di significato dell’incontro di Damietta: si passa così dal dialogo- incontro, alla predica, fino ad arrivare all’esorcismo-scontro- polemica.

    L’ultimo relatore della giornata è stato il professor John Tolan, studioso e professore all’Università di Nantes, che ha fatto una rassegna di diverse fonti scritte e iconografiche, dalle agiografie dei primi biografi alle svariate interpretazioni attualizzanti fino ad arrivare ai nostri giorni con riflessioni di Oriana Fallaci, di Tiziano Terzani fino a Joseph Ratzinger, dagli affreschi della basilica di Assisi alle incisioni di Gustave Doré: nel corso della relazione egli segue un fil rouge che il racconto del "santo dal sultano" ha descritto nel corso dei secoli – in particolare tra il XVI e il XX secolo – e spiega come quel curioso evento della storia medioevale sia venuto lentamente trasfigurandosi in un perenne luogo della memoria, paradigmatico ritratto delle paure e delle aspettative, dei desideri e delle speranze che da sempre accompagnano il difficile confronto fra Europa cristiana e Oriente musulmano.

    Le conclusioni sono state affidate allo storico fiorentino, Franco Cardini che con grande maestria, ma anche simpatia, ha saputo fare sintesi di quanto sentito e raccontato, mettendo in risalto la competenza degli autori convenuti. Ciò che è chiaro, ha detto, è che nulla è chiaro! È questo il prezzo della complessità ma è contemporaneamente la sua ricchezza. Che cos’è la verità storica? Non un soprammobile da mettere in un angolo, ma un movimento e uno stimolo per porre domande e non semplicemente per dare risposte. Il compito dello storico è quello di mettersi continuamente in discussione con lo scopo di avvicinarsi il più possibile ai fatti e soprattutto al fine di trarne qualche beneficio per l’oggi della nostra esistenza, se è vero che la storia è maestra di vita.

    Gli Atti di questo incontro saranno pubblicati nel fascicolo secondo dell’ann 2011 della rivista Studi Francescani, dei frati Minori di Firenze (per prenotazione segreteria@ofmtoscana.org).


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    *David Gagrcic è un frate francescano del Convento di Santa Margherita da Cortona (Arezzo)

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    00 04/10/2010 21:26

    Il vero volto di S. Francesco di Assisi


    da Marco MESCHINI


    Nell’ottavo centenario della conversione del santo di Assisi, papa Benedetto XVI ricorda alla Chiesa e al mondo le vere caratteristiche di Francesco. Ne esce un’immagine un po’ diversa da quella sostenuta dalla cultura dominante.


    Lo scorso 17 giugno Benedetto XVI ha visitato Assisi, una delle città che, al mondo, più consentono di "toccare" la presenza del divino sulla terra. È lo stesso Pontefice ad aver ricordato, nel discorso lì pronunziato, l'eccezionale testimoniano za religiosa che anche le «pietre» assisiate riescono a trasmettere a chi vi si reca, per turismo o per caso, in cerca di Dio o sulle tracce dei santi, come appunto ha fatto il Papa quest'anno in occasione dell'VIII centenario della conversione di san Francesco (1207).Ed è proprio a partire dalla memoria di quella storica conversione che Benedetto XVI ha riproposto una sintetica, ma completa, rilettura dell'esperienza del grande mistico medievale, spazzando via - con la consueta chiarezza e mansuetudine - i travisamenti che da decenni si ripetono intorno alla sua figura. Il Papa ha infatti rimosso le etichette che, da più parti, sono state appiccicate addosso a Francesco al fine di renderlo un simbolo dell'ecologismo, del pacifismo e del relativismo religioso: «Voler separare, nel suo messaggio, la dimensione "orizzontale" da quella "verticale" significa rendere Francesco irriconoscibile». Vediamo in che senso.


    Nel nome del Creatore

    «Laudato sie mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole... Laudato si' mi' Signore, per sora luna e le stelle... per frate vento, et per aere et nubilo et sereno et onne tempo... per sor'aqua... per frate focu.. per sora nostra matre terra... ». Sono tra le parole più note del famoso Cantico di frate sole, una delle ultime opere (in volgare) di Francesco che, nato nel 1182 morì nel 1226. E sono pure - con la celebre predica agli uccelli - uno degli appigli più ricorrenti di quanti cercano di farne un ecologista ante-litteram.È certamente vero che Francesco visse un amore profondo per la creazione e le creature tutte, animate e inanimate, ma l'errore di chi vorrebbe trasformarlo in un iscritto di Green Peace sta nel fatto che, per Francesco, la lode al creato non era separabile da quella al Creatore: «Laudato sie mi' Signore, cum tucte le tue creature». Per Francesco, come per il Medioevo in genere, la creazione rimandava visibilmente a Dio e alla sua potenza e bontà eterne, secondo un procedimento tipico della teologia patristica e poi medievale, compendiato dall'espressione ad invisibilia per visibilia. E cioè la capacità di giungere «alle realtà invisibili» (in primis Dio stesso) «attraverso quelle visibili», in questo caso le creature. Insomma non si può capire la passione "ecologica" di Francesco senza il suo ardore per il Signore, giacché è da quest'ultimo che la prima viene generata. In altri termini, Francesco non ama Dio perché ci sono le creature, ma ama queste perché esiste Dio. Ecco dunque perché cade in errore chi vorrebbe sganciare il "Francesco verticale" da quello "orizzontale": l'amore peri il creato non può sussistere senza il desiderio di Dio, giacché Egli è la sorgente di tutto.


    Tu sei la pace

    Una simile "svista" traligna anche a proposito della pace in Francesco: quante volte abbiamo assistito a sedicenti "marce per la pace" che hanno puntato su Assisi per fare della città stessa una bandiera da schierare al fianco dei drappi con i colori dell'arcobaleno? Sia chiaro: sono sostenitore di ogni sforzo a favore della pace, anche tramite manifestazioni pubbliche (purché siano a loro volta pacifiche e non, come purtroppo accade spesso, ricettacolo di estremisti e violenti) ma da qui a far diventare multicolore il saio francescano ce ne corre.Francesco fu senz'altro un uomo di pace: rinunciò da giovane alla carriera militare per abbracciare le armi della povertà e dell'obbedienza, ma per farne cosa? Ancora una volta, chi vuole deturpare la vera immagine del Poverello prende spunto dalla sua mansuetudine per contrapporlo genericamente all'uso della forza, quasi che Francesco abbia contestato la possibilità per il potere terreno di ricorrervi in taluni casi. Non è così, come ho già mostrato nel numero di marzo del Timone, quando ho spiegato i rapporti intercorsi tra il santo e l'lslam. Qui voglio solo ricordare che Francesco non condannò la crociata, intesa come guerra giusta (e santa) di «recupero» della Terrasanta, ingiustamente occupata dai musulmani. Francesco testimoniò anche che la vera (la sola...) pace è quella che viene da Dio, perché Egli è la pace, come recitano le sue Lodi dell'altissimo Dio (in latino): «Tu sei il bene, tu sei sicurezza, tu sei quiete, tu sei gioia, tu sei soavità e letizia, tu sei giustizia e temperanza, tu sei ogni nostra ricchezza e ciò ci basta». Sono parole chiarissime, che spazzano via anche il pauperismo fine a se stesso o inteso come contestazione della società del tempo, come qualche storico vorrebbe interpretare la rinuncia di Francesco ai beni del padre mercante: certo, egli rifiutò uno dei modelli propostigli dal suo tempo (il godimento dei beni terreni: salute, ricchezze, amicizie facili...) ma non per una forma di protesta sociale, bensì per la profondità della sua unione con Dio e in Dio: «Tu sei ogni nostra ricchezza e ciò ci basta».


    Tu sei la Verità

    «Il Signore Dio vivo», che è «amore e sapienza», è anche «vero»: sono ancora parole delle Lodi dell'altissimo Dio, che annichilano l'ultima tendenza erronea che ho denunciato in apertura, quella del "relativismo religioso". Secondo taluni, Francesco avrebbe voluto dai cristiani una "pura" testimonianza, muta, non missionaria, quasi che ciascuno potesse scegliersi indifferentemente la propria religione perché, al fondo, esse sono tutte uguali. Niente di più falso: non si capisce il Dio di Francesco senza il Crocifisso della Porziuncola; non si capisce il Cristo che Francesco sposò nel suo spirito senza il matrimonio ultimo della carne, con i segni eccezionali delle stimmate.Si possono, si devono rispettare tutti gli uomini e le loro fedi, ma non per questo si deve tacere della «bellezza, letizia, felicità, dolcezza» di Cristo, «Salvatore misericordioso». E ricordiamo che i francescani assunsero la predicazione, in collaborazione con la Chiesa del tempo, tra i loro compiti fondamentali: predicazione, cioè missione, sia verso quanti, già cristiani, avevano smarrito il cammino della santità che il battesimo traccia in ognuno di noi (ma non era forse questa la strada percorsa dallo stesso Francesco?), sia quanti ancora non conoscevano il Vangelo, vale a dire la persona di Cristo.Alla luce di tutto ciò risulta chiaro, una volta di più, come anche i celebri "incontri di preghiera per la pace" che Giovanni Paolo Il volle indire proprio ad Assisi non rappresentavano un cedimento a quel relativismo di cui si diceva. Ed è proprio per questo che papa Ratzinger è tornato sulle tracce del suo predecessore, sia perché non li avversò quando era cardinale, sia perché vuole proseguire il cammino di pace e missione che ha trovato tracciato.


    IL TIMONE - N.66 - ANNO IX - Settembre/Ottobre 2007 pag. 28 - 29
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 05/10/2010 11:22

    PREGHIERA A SAN FRANCESCO


    Francesco che innanzi alla Croce
    udisti l'ordin del Signore
    di riparar la sua casa in rovina,
    proteggi la tua e nostra Chiesa,
    ché dimentica di quell'onore
    da tributare al sol Redentore,
    senza più udir la Sua voce,
    procura con lena feroce
    d'innalzargli false dimore,
    per brama vile e meschina
    di denaro e plauso mondano;

    e distrugge quegli antichi altari
    che nei secoli accolser fedeli
    di Cristo il Santo Sacrificio,
    pervertendo lo spazio del rito
    da tempio a teatro profano.

    Converti, o Santo Francesco
    cardinali, episcopi e preti,
    ormai fedeli funzionari
    d'un novello ordin mondiale,
    e non già servi del Signore
    che sempre ci apprendesti ad amare.

    Proteggi poi il nostro Papa,
    di Pietro sapiente successore,
    e a noi concedi alfine
    un lieto cammino terreno,
    una fede autentica e sincera,
    più di quella smarrita dal clero,
    del Concilio nella trista primavera.

    (di F.Colafemmina)


    dalla Leggenda Maggiore di San Bonaventura da Bagnoreggio

    "Il servo dell'Altissimo, in questa sua nuova esperienza, non aveva altra guida, se non Cristo, perciò Cristo, nella sua clemenza, volle nuovamente visitarlo con la dolcezza della sua grazia. Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com'era, spinto dall'impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all'immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: " Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina! ". All'udire quella voce, Francesco rimane stupito e tutto tremante, perché nella chiesa è solo e, percependo nel cuore la forza del linguaggio divino, si sente rapito fuori dei sensi. Tornato finalmente in sé, si accinge ad obbedire, si concentra tutto nella missione di riparare la chiesa di mura, benché la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa, che Cristo acquistò col suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati.

    Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno, per venderle. Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era venuto, incassandone il prezzo. Tornando ad Assisi, entrò devotamente nella chiesa che aveva avuto l'incarico di restaurare. Vi trovò un sacerdote povere!lo e, dopo avergli fatta debita reverenza, gli offrì il danaro per la riparazione della chiesa e umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo. Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro - e quel vero dispregiatore del denaro lo buttò su una finestra, stimandolo polvere abbietta.
    (...)

    Ormai ben radicato nell'umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l'obbedienza di restaurare la chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto. Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l'ordine della voce divina, se non altro con la mendicazione. Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar l'elemosina da coloro con i quali un tempo aveva vissuto nell'abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai digiuni, al peso delle pietre. Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l'aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi, per non lasciare intorpidire il corpo nell'ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po' più distante dalla città, la chiesa dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e sincera, verso il Principe degli Apostoli.

    Riparata anche questa chiesa, andò finalmente in 1048 un luogo chiamato Porziuncola, nel quale vi era una chiesa dedicata alla beatissima Vergine: una fabbrica antica, ma allora assolutamente trascurata e abbandonata. Quando l'uomo di Dio la vide così abbandonata, spinto dalla sua fervente devozione per la Regina del mondo, vi fissò la sua dimora, con l'intento di ripararla. Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della chiesa stessa, chiamata fin dall'antichità Santa Maria degli Angeli. Perciò la scelse come sua residenza, a causa della sua venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo. Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l'umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la mèta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine.

    Riguardo a questo luogo, un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l'alto e, piangendo, invocavano da Dio misericordia e luce. Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso, che penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e la salvezza desiderate.

    E' questo il luogo, nel quale san Francesco, guidato dalla divina rivelazione, diede inizio all'Ordine dei frati minori. Proprio per disposizione della Provvidenza divina, che lo dirigeva in ogni cosa, il servo di Cristo aveva restaurato materialmente tre chiese, prima di fondare l'Ordine e di darsi alla predicazione del Vangelo. In tal modo non solamente egli aveva realizzato un armonioso progresso spirituale, elevandosi dalle realtà sensibili a quelle intelligibili, dalle minori alle maggiori; ma aveva anche, con un'opera tangibile, mostrato e prefigurato simbolicamente la sua missione futura. Infatti, così come furono riparati i tre edifici, sotto la guida di quest'uomo santo si sarebbe rinnovata la Chiesa in tre modi: secondo la forma di vita, secondo la Regola e secondo la dottrina di Cristo da lui proposte - e avrebbe celebrato i suoi trionfi una triplice milizia di eletti. E noi ora costatiamo che così è avvenuto."

    [Modificato da Caterina63 12/03/2011 13:00]
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    00 16/09/2011 11:13
    [SM=g1740733]Ringraziando il sito di "papalepapale" per aver accolto questo mio modesto contributo e pubblicato sul loro sito , lo riporto anche qui....

    MA POI, S. FRANCESCO,

    ERA DAVVERO IL CICCIOBELLO CHE DICONO?

    Francesco d’Assisi:

    dalla Legenda aurea alla leggenda metropolitana

    PARTE 1

    Ma è davvero il santo della sedizione dissimulata contro il papa?…no, quello era Valdo. Davvero è il santo bucolico e sognatore che ci viene propinato oggi? Poi c’è quella storia strana della sortes apostolorum. Francesco, “romantico” una come lama affilata! Il santo “decattolicizzato”. Francesco e il sultano: dialogo interreligioso una cippa! La povertà secondo Francesco, non è quella che s’immaginano le ideologie. Quindi, dove diavolo sta questo santo “marxista”?…per tacer di quello “pacifista”.

     

     

    L’errore di un certo francescanesimo moderno sta nel fatto di ingnorare che un conto è il messaggio di san Francesco che ragionevolmente valica i confini della Chiesa e s’instaura anche fra gruppi non cattolici, secondo il detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma ben altra cosa è aver fatto di san Francesco, e spesso proprio dai suoi, una sorta di “giullare” in senso negativo, sobillatore e riformatore contro il Papa e i vescovi del suo tempo.

    Dovrebbe forse meravigliarci che, al giorno d’oggi, non si senta più predicare un francescano con le parole del santo Fondatore, ma bensì usando un linguaggio del mondo e giungendo perfino all’uso dei balli sfrenati, salti e danze senza dire più la verità ai giovani, senza dire loro che “se restano nella concupiscenza e non vivono di penitenza per frenare i desideri della carne, restano prigionieri del diavolo”?

    No, nessuna meraviglia. I francescani di oggi usano il Waka Waka per sollecitare i giovani a trovare ugualmente l’amicizia di Dio senza fare una benchè minima penitenza, e lo fanno in nome di san Francesco, citando, non si sa bene da dove, un bucolico san Francesco, o interpretandolo secondo le mode del momento…

    Francesco ha subito una sorta di “decattolicizzazione”

     

     

    di Tea Lancellotti

     

     

    In una Catechesi all’inizio del 2010, Benedetto XVI mette in guardia da un “san Francesco non di Chiesa”. E infatti, dice testualmente il Papa:

    “In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia.”

    Dice ancora Benedetto XVI:

    “E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi”.

     

    E’ DAVVERO IL SANTO DELLA SEDIZIONE DISSIMULATA CONTRO IL PAPA? NO, QUELLO ERA VALDO…

    Uno dei tanti monumenti dedicati nelle città italiane agli eresiarchi nell'800, quando la massoneria giunse al potere con i Savoia, invasori d'Italia. Qui Pietro Valdo

    Il Papa ci ha confermato ciò che in fondo si sapeva, ma non se ne parlava volentieri: san Francesco non voleva fondare un Ordine religioso, meno ancora tre, e fu invece la Chiesa di quel tempo a ritenere necessario un Ordine.

    Il vero ed autentico “Poverello d’Assisi” dimostrò chiaramente, fin da subito, la sua filiale obbedienza al Papa. Lo stesso gesto, alla radice, di quello “spogliarsi” in piazza ha un duplice significato, sia materiale che teologico: egli rinuncia al bene e si spoglia, togliendosi di dosso tutto, perfino le proprie opinioni, anche il grado di parentela umana, per assumere, accettando il mantello del Vescovo, l’adozione a Figlio della Chiesa dove il Papa è il Padre che rappresenta Cristo in terra.

    Una spiegazione simile la da anche Caterina da Siena, portandolo come esempio di colui che “rinuncia tutto a se stesso, muore a se stesso”. In una lettera, la Santa scrive: “Affinchè il mondo non gli gonfiasse lo stomaco (nutrisse di superbia), il padre nostro santo Francesco elesse la santa e vera estrema povertà, maggiormente davanti al Dolce Cristo in terra, in obbedienza e carità…”. In queste parole, è chiaro l’insegnamento: san Francesco non fu mai contro il Papa.

    Va detto che l’interesse a presentare un Francesco contro il papato, specialmente nell’Ottocento, proviene da ambienti massonici e protestanti, come da questi ambienti pervenne, di fatto, una ricca letteratura, falsa, sulla storia della Chiesa. San Francesco è stato sempre associato, dal mondo protestante e catto-sincretista, a Pietro Valdo (valdesi) il quale era, solo fino a qualche anno prima, all’origine del movimento i “Poveri di Lione”. La sintesi della predicazione è apparentemente (ripeto: apparentemente) identica a quella di Francesco: richiamo ad una fede vissuta nella povertà del Vangelo, la non violenza, il riferimento alla pace, uno stile di vita che porti a rinunciare alle carriere politiche ed ecclesiastiche viste come tali, ossia “carriere”, l’interessamento alla natura che ci circonda, etc.

    Una prima differenza con Pietro Valdo fu proprio l’obbedienza al Papa di san Francesco e la sua fedeltà.

    In sostanza, l’errore di un certo francescanesimo moderno sta nel fatto di ingnorare che un conto è il messaggio di san Francesco che ragionevolmente valica i confini della Chiesa e s’instaura anche fra gruppi non cattolici, secondo il detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma ben altra cosa è aver fatto di san Francesco, e spesso proprio dai suoi, una sorta di “giullare” in senso negativo, sobillatore e riformatore contro il Papa e i vescovi del suo tempo.

    Francesco, infatti, non sarebbe mai diventato un santo, nè sarebbe rimasto dentro la Chiesa se, in quel paragonarlo a Pietro Valdo, si facesse della povertà che rincorreva lo scopo della sua predicazione, il fine ultimo come invece intendeva Valdo… o peggio i catari-albigesi. Al contrario, Francesco usava la virtù della povertà evangelica quale mezzo, e non come scopo, nè fine, per rivitalizzare la Chiesa, ponendosi sotto la guida del Papa, aiutandolo a combattere la grave crisi di corruzione penetrata anche nel basso clero, e tutto questo, a differenza di Valdo, senza mai mettere in discussione il Magistero dottrinale del Pontefice, men che meno il magistero dottrinale del suo vescovo.

    Valdo in un primo tempo accettò l’obbedienza al Papa, salvo ritirarla dopo. San Francesco, invece, rimase fedele prima e dopo, e principalmente a riguardo della Dottrina, lasciandosi consigliare e correggere dal Papa e dal vescovo.

    Non a caso così ha ricordato, Benedetto XVI, ai Figli di san Francesco nell’aprile 2009 in occasione dell’udienza concessa per gli 800 anni dall’approvazione della regola dei Frati Minori:

    “Viene spontanea qui una riflessione: Francesco avrebbe potuto anche non venire dal Papa.

    Molti gruppi e movimenti religiosi si andavano formando in quell’epoca e alcuni di essi si contrapponevano alla Chiesa come istituzione o, per lo meno, non cercavano la sua approvazione.

    Sicuramente un atteggiamento polemico verso la Gerarchia avrebbe procurato a Francesco non pochi seguaci”.

    Invece egli pensò subito a mettere il cammino suo e dei suoi compagni nelle mani del Vescovo di Roma, il Successore di Pietro. Questo fatto rivela il suo autentico spirito ecclesiale. Il piccolo “noi” che aveva iniziato con i suoi primi frati lo concepì fin dall’inizio all’interno del grande “noi” della Chiesa una e universale. E il Papa lo riconobbe e l’apprezzò.

    Anche il Papa, infatti, da parte sua, avrebbe potuto non approvare il progetto di vita di Francesco.

    Anzi, possiamo ben immaginare che, tra i collaboratori di Innocenzo III, qualcuno lo abbia consigliato in tal senso, magari proprio temendo che quel gruppetto di frati assomigliasse ad altre aggregazioni ereticali e pauperiste del tempo.

    Invece, il Romano Pontefice, ben informato dal vescovo di Assisi e dal cardinale Giovanni di San Paolo, seppe discernere l’iniziativa dello Spirito Santo e accolse, benedisse ed incoraggiò la nascente comunità dei frati minori.”

    Nulla a che vedere pertanto con il Francesco modernista o protestante, o peggio, sobillatore contro il Papa! Resta famoso l’episodio di san Francesco che, dopo una predica in un villaggio, si vede portare davanti un sacerdote macchiato dai peccati, del quale il popolo furioso vuol fare giustizia (non dimentichiamo che siamo nel mezzo dell’eresia catara-albigese, dei cosiddetti “puri”). Il prete, inginocchiato davanti a Francesco, attende la dura condanna, sa di essersi macchiato di gravi colpe e attende il verdetto, ma Francesco prende quelle mani e le bacia. Davanti agli sguardi attoniti degli ignoranti contadini o dei saggi del villaggio, il “poverello d’Assisi” spiega come quelle mani, seppur insudiciate dal peccato, sono le stesse che compiono il Prodigio nella Messa, e di quante volte queste avessero tenuto fra le mani Gesù-Ostia-Santa. Nel dirlo, Francesco si commuove e il sacerdote e gli abitanti del villaggio si convertono.

    E sappiamo bene che san Francesco non volle mai diventare prete non perchè ce l’avesse con il clero, come certa letteratura ottocentesca ha millantato, ma perchè non si stimava degno di un dono così immenso, di un potere così grande, e ritenendosi un indegno peccatore fino alla fine, bisognoso, mendicante del perdono di Dio, ritenne inopportuno che gli si affidasse la confessione delle anime.

     

     

    MA DAVVERO E’ IL SANTO BUCOLICO E SOGNATORE CHE CI VIENE PROPINATO OGGI?

    San Francesco fu tutt’altro che romantico, sognatore, bucolico: la sua virilità si era semplicemente spostata, da sotto la cintola, salendogli su, nel cuore e nella mente, quando si convertì e si consegnò al suo vescovo. Altro che romantico! Ragionava e meditava, vedeva il cielo ma restava coraggiosamente con i piedi per terra, ma ciò non toglie che il francescanesimo ha sempre tentato di presentare un Francesco al di fuori della normalità e spesso anche fuori della stessa ecclesialità, una sorta di Riformatore interno alla Chiesa, per cambiare la Chiesa; un Francesco che spesso camminava “per conto suo” (qualcosa di vero, in fondo, potrebbe anche esserci)….ma fu proprio grazie all’umiltà di Francesco ed alla sua ostinata obbedienza al Papa, che egli potè restare sui binari giusti, contrariamente al deragliamento di non pochi suoi fraticelli!

    Non so quanto la pratica de le Sortes Apostolorum aiuti a comprendere la situazione, ma forse aiuta noi a comprendere perchè è giunto a noi un san Francesco spesse volte al di fuori di ciò che era veramente…

    Nel 2000, l’università di Verona ha presentato un Convegno Internazionale, molto interessante, dal titolo “L’illusione religiosa, rive e derive”, convegno riconosciuto, ai fini dell’aggiornamento degli insegnanti di religione cattolica, dall’Ufficio Diocesano apposito della curia veronese.

    Riporto il passo di pagina 23 che ritengo importante:

    “San Francesco d’Assisi è ricorso per ben tre volte nella sua vita alla pratica della sortes apostolorum. Questa pratica dell’apertura casuale della parola di Dio ha segnato i momenti fondamentali della sua vita spirituale: l’inizio della sua vocazione, la vocazione del primo compagno san Bernardo, le stimmate.

    Francesco dà di questo testimonianza nel suo Testamento scrivendo: “e dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Santo Vangelo”.

     

     

    POI C’È QUELLA STORIA STRANA DELLA SORTES APOSTOLORUM

    La pratica della sortes apostolorum era nota in ambiente popolare, ma era solo tollerata dall’istituzione ecclesiale perché era considerata una sorta di pratica magica o pagana. Nonostante questi divieti, essa era una pratica diffusa che traeva le proprie origini dalle ordalie, con un profondo significato spirituale e psicologico.

    La sortes apostolorum infatti può essere letta alla luce del concetto junghiano di sincronicità, vale a dire la corrispondenza tra avvenimenti che riguardano la sfera collettiva e i significati che essi assumono a livello individuale.

    Nell’esperienza di s. Francesco il ricorso alla sincronicità pone in rapporto il mondo divino con il mondo umano senza intermediari. Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui la sortes apostolorum è sempre stata osteggiata dalla Chiesa: proprio perché questa pratica non necessita dell’intermediazione dell’istituzione nel rapporto con il divino.

    Ma ben sappiamo che s. Francesco d’Assisi non volle diventare sacerdote perché si riteneva troppo indegno di così eccelsa vocazione. E anche un po’, certamente, per un calcolo di “convenienza”, affrancandosi da quale eventuale vescovo non troppo ben disposto verso di lui… non c’è nulla di male in ciò.

    Ma soprattutto venerava i sacerdoti con tale devozione da considerarli suoi “Signori”, poiché in essi vedeva solamente “il Figlio di Dio”; e il suo amore all’Eucaristia si fondeva con l’amore al sacerdote, il quale consacra e amministra il Corpo e Sangue di Gesù, e assolve dai peccati. In particolare, venerava le mani dei sacerdoti, che egli baciava sempre in ginocchio con grande devozione, quindi è palese che la pratica sortes apostolorum non influenzò san Francesco che riteneva il sacerdote l’unico intermediario fra l’uomo e Dio, fra il penitente e Dio, e riteneva il Papa l’intermediario fra tutti, sacerdoti e laici, vescovi e imperatori, villici o stranieri, un intermediario necessario per l’uomo, e per questo usava anche per lui il termine “Signor, Signor Papa!” e, a differenza di certa interpretazione spicciola, l’uso del termine “Signore” per Francesco era rivolto proprio non all’immagine, ma alla funzione del prete, alla funzione del Papa, in quanto “Alter Christi” e non per sminuirne il ruolo.

     

     

    ROMANTICO? COME LAMA AFFILATA!

    Si comprende così e meglio ciò che ha detto Benedetto XVI citato all’inizio:

    “E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i vescovi.” E, ancora, ricorda il Papa, una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399).”

    E non era bucolico, o sognatore o romantico…. ciò che doveva dire lo diceva usando la parola come lama affilata. Ecco un passo dalla Letteraai Fedeli di san Francesco nelle Fonti Francescane, dove già il titolo dice tutto:

    Guai a quelli che non fanno penitenza. Cap II°

    [178/4] Tutti quelli e quelle, invece, che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e si abbandonano ai vizi e ai peccati e camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri della loro carne, e non osservano quelle cose che hanno promesso al Signore, e servono con il proprio corpo al mondo, agli istinti carnali ed alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: costoro sono prigionieri del diavolo del quale sono figli e fanno le opere; sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non hanno la sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre; di loro è detto: ” La loro sapienza è stata ingoiata” e: ” Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti”. Essi vedono e riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro anima.

    [178/5] Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato e cosa amara sottoporsi a servire Dio, poiché tutti i vizi e i peccati escono e procedono dal cuore degli uomini, come dice il Signore nel Vangelo. E non avete niente in questo mondo e neppure nell’altro. E credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora alla quale non pensate, non sapete e ignorate. Il corpo si ammala, la morte si avvicina e così si muore di amara morte.”

    Dovrebbe forse meravigliarci che, al giorno d’oggi, non si senta più predicare un francescano con le parole del santo Fondatore, ma bensì usando un linguaggio del mondo e giungendo perfino all’uso dei balli sfrenati, salti e danze senza dire più la verità ai giovani, senza dire loro che “se restano nella concupiscenza e non vivono di penitenza per frenare i desideri della carne, restano prigionieri del diavolo”?

    No, nessuna meraviglia. I francescani di oggi usano il Waka Waka per sollecitare i giovani a trovare ugualmente l’amicizia di Dio senza fare una benchè minima penitenza, e lo fanno in nome di san Francesco, citando, non si sa bene da dove, un bucolico san Francesco, o interpretandolo secondo le mode del momento…

    E meno male che san Francesco chiude la Lettera ai Fedeli con questa memorabile raccomandazione:

    [178/7] Tutti coloro ai quali perverrà questa lettera, li preghiamo, nella carità che è Dio, che accolgano benignamente con divino amore queste fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo scritto. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, poiché sono spirito e vita. Coloro che non faranno questo, dovranno renderne ragione nel giorno del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.

    Non mi pare ci sia molto da interpretare: c’è solo il fatto che queste raccomandazioni del Santo Patrono d’Italia, sono letteralmente disattese da gran parte dei Frati dei tre Ordini, ma anche da non poche suore. Non si tratta di giudicare, basti pensare al fatto che, se vuoi sapere cosa ha detto Francesco, te lo devi andare a cercare da solo, perchè nelle prediche troviamo solo il trito e ritrito Signore fa di me uno strumento della tua pace, preghiera attribuita a Francesco, ma che non è sua e lo spiegheremo al termine di questo modesto lavoro, e il Cantico delle Creature aggiornato con le frasi più consone allo spirito di questo mondo e di questo tempo, tagliato nelle sue frasi più severe:

    Laudato si’ mi’ signore per quelli ke perdonano per lo tuo amore,

    et sostengo infirmitate et tribulatione.

    Beati quelli ke l’ sosterrano in pace,

    ka da te altissimo sirano incoronati.

    Laudato si’ mi’ signore per sora nostra morte corporale,

    da la quale nullu homo vivente pò skappare.

    Guai acquelli ke morrano ne le peccata mortali,

    beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,

    ka la morte secunda nol farrà male”.

    Ringraziamo il cielo che ci sono i Francescani dell’Immacolata che stanno riportando alla luce l’autentico carisma, integrale, del Fondatore!

     

     

    IL SANTO “DECATTOLICIZZATO”

    Ad aprile del 2009 il francescanesimo ha vissuto un anno di grazia: 800 anni dall’approvazione dei Frati Minori (il primo gruppo di Francesco) da parte di Papa Innocenzo III (era il 16 aprile 1209) ed è curioso come il 16.4.2009 l’OR riportò un interessante articolo sul “Vero san Francesco delle origini”, liberando un Francesco appesantito da leggende varie e successive, messe oggi, finalmente ed ufficialmente, in discussione. L’occasione è l’uscita di una nuova ed ultima traduzione della Vita di san Francesco, la cosiddetta Legenda Maior di san Bonaventura da Bagnoregio, di Fr. Pietro Messa, della Pontificia Università Antonianum.

    Vi riporto i passi più salienti della presentazione che vale la pena meditare:

    “Francesco ha subito una sorta di decattolicizzazione, ed è stato sottoposto alla critica rigorosa dell’analisi storica, la quale, tuttavia, non è giunta al superamento del mito, ma anzi la questione francescana ha rappresentato un esempio piuttosto raro in cui la ricerca storica ha contribuito alla formazione di un vero e proprio mito contemporaneo.

    Di fronte a queste osservazioni, che costringono a ripensare il rapporto tra storia e agiografia, diviene inevitabile porsi anche altri quesiti: chi decide dove finisce la historia salutis – intesa come lettura provvidenziale degli avvenimenti – e comincia la storia? E ancora, chi decide dove debba collocarsi il confine tra mito e realtà? Similmente, sempre circa l’approccio che abbiamo definito decattolicizzato con Francesco d’Assisi, si deve quanto meno ricordare che il contesto in cui si colloca la sua vicenda è quello cristiano cattolico, come mostra, ad esempio, l’importanza della liturgia nella vicenda della fraternità minoritica. Gli studi moderni hanno certamente contribuito a creare il mito di una determinata immagine di san Francesco, spesso raffigurato come un antesignano dell’idea di tolleranza.

    (…) A questo proposito sono interessanti alcune osservazioni inerenti al passaggio dalla storia alla teologia che l’arcivescovo Giuseppe Betori ha esposto nelle conclusioni a un convegno inerente al Liber di Angela da Foligno, una penitente francescana il cui pensiero è debitore anche della teologia di Bonaventura: Non è vero forse che proprio la separazione tra fatti e dottrina, tra storia e teologia, tra contesto e testo è ciò che conduce a due assurdi: quello di ridurre Angela – nel nostro caso san Francesco– a un trattato mistico e quello di annullarne l’originalità nella temperie spirituale del suo tempo? Qui proprio dall’esperienza dell’esegesi biblica può venire un decisivo aiuto: gli ultimi due secoli della sua storia non insegnano forse come sia impossibile separare il Gesù della storia dal Cristo della fede, se non si vuole rendere irrilevante il primo e inconsistente il secondo?.”

     

     

    FRANCESCO E IL SULTANO: DIALOGO INTERRELIGIOSO UNA CIPPA!

    La pace secondo il mondo. Cioè secondo lo Spirito del Mondo. Che poi altro non è che Lucifero

    Un altro esempio concreto è la famosa storia, trita e ritrita per certi versi, dell’incontro di san Francesco con il Sultano, in Terra Santa.

    Storia spesso infarcita di buonismo e semplicismo. La realtà dell’incontro è, però, piuttosto complessa perchè riportata da più fonti con sfumature diverse, ma oseremo dire provvidenziale nel suo insieme, per come è avvenuta e per come si è conclusa: senza spargimento di sangue per Francesco, ma senza dubbio con una grande lezione per noi, oggi, sull’autentico dialogo che dovremo tenere in campo interreligioso.

    Nel san Francesco autentico, delle autentiche Fonti francescane, si narra di quando andò dal Sultano in piena crociata e gli mostrò che cosa comportasse l’essere cristiani: “I cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete”…

    San Francesco non è andato lì per intraprendere un dialogo interreligioso! Non è andato ad accusare il Papa e le Crociate! È andato, invece, a giustificare l’offensiva dei cristiani anche se è vero che preferiva la predicazione di Cristo alle armi, ma era consapevole che ognuno doveva agire nel posto in cui Dio l’aveva messo, avendo come bene comune la causa ultima: la conversione a Cristo.

    Era andato perchè voleva convertire il Sultano, non lo voleva fare con la forza o con le armi, però voleva parlare con lui di Gesù Cristo, e riportano le Fonti: “Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano di Babilonia; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista”. E rifiutò i ricchi doni del Sultano perchè non volle convertirsi…. un segnale, come a sottolineare che non c’era nulla fra loro che valesse uno scambio di doni: il dono che portava Francesco era Cristo!

    Ma vale la pena riflettere sull’insieme del dialogo avvenuto fra i due:

    FF. 2690-2691

    IL SULTANO: II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici.

    FRANCESCO: Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato.

    Gesù infatti ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino”. Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima.

    Altrove, oltretutto, è detto: “Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete.

    Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi.

    Troviamo forse oggi predicatori francescani con lo stesso coraggio puramente cristiano del loro Fondatore? E poichè avere questo tipo di coraggio non è detto che a tutti sia dato, diciamo dunque: troviamo predicatori francescani onesti nell’ortodossia della fede come lo fu il loro Fondatore? Senza dubbio sì, e se qualcuno può additarceli quale esempio e perchè noi possiamo ascoltarli, ne saremo infinitamente grati!

    Notare che san Francesco pone una condizione all’essere amati: se voi voleste conoscere, confessare, adorare… il Redentore, allora i cristiani vi amerebbero come se stessi: ossia, l’amore Cristiano è solo quello che si vive attraverso il Cristo, tutto il resto non è amore, non è amare, ma illusione, ipocrisia, mediocrità, non è la radicalità chiesta e vissuta da Francesco!

     

     

    LA POVERTÀSECONDO FRANCESCO, NON È QUELLA CHE S’IMMAGINANO LE IDEOLOGIE

    Leonardo Boff. Che da francescano inventò la criminale Teologia della Liberazione. Traditore di Francesco, del sacerdozio, dei fedeli, dei poveri, dei peccatori, dei santi, del papa, della Chiesa, di Cristo di Dio

    Cominciamo con il sottolineare un punto fermo: la povertà a cui sorride Francesco è quella verso se stesso, ossia “morire a se stesso”, una netta conversione dal ciò che era al ciò che divenne: sempre più “conforme al Cristo”. La povertà di Francesco è la radicalità: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Francesco si spoglia di tutto letteralmente, per lasciarsi vestire da Cristo in tutto. La sua radicalità è talmente eccessiva che non può impedire ai suoi le collette, o l’elemosina, per mangiare almeno un tozzo di pane. La povertà evangelica di Francesco è una penitenza continua.

    E attenzione, come dicevamo sopra, a differenza di altri movimenti che inseguivano la povertà come scopo, per Francesco la povertà non è lo scopo della sua missione, nè della sua vocazione, ma un mezzo, e questo mezzo è la sua penitenza che si esprime nella spoliazione totale. Francesco comprende che senza radicalità non può essere un degno testimone di ciò che va predicando all’interno di un mondo corrotto: il suo fine dunque, è Cristo Crocefisso e Risorto; il suo scopo è testimoniare la radicalità della povertà (intesa anche in quel “morire a se stessi”) per convertire a Cristo. Inoltre, come si accennava, c’era il problema dell’eresia catara-albigese, i cosiddetti “puri” per i quali c’era bisogno di essere autentici testimoni per dimostrare loro che avevano torto.

    Lo scopo di Francesco è raggiungere Cristo passando per la cosa più semplice che sente di fare meglio: vivere quella povertà come stile di vita PER AMORE di Cristo e non come impeto di una moda del momento, non come ideologia. Il suo “piacere” non gli viene certo dalle privazioni in sè che sono per lui una vera sofferenza, una continua penitenza, ma da ciò che la privazione e tale sofferenza provoca nel suo cuore, facendolo sentire libero, totalmente, libero non di fare ciò che vuole, ma libero di andare verso Cristo, senza pesi, libero di aderire con questi sentimenti alla Chiesa e di sentirsi accolto, compreso dal “Signor Papa” al quale rimette a giudizio ciò che ritiene essere un “buon progetto”.

    Tale povertà è così radicale per “contrastare lì piaceri dello mondo“, che san Francesco la invoca affettuosamente come “sposa”: rappresenta, quindi, una convivenza nuziale, una compagna per la vita, uno stile di vita che potesse convincere la gente che la povertà non è l’origine dei mali che affliggevano le popolazioni del suo tempo. Era semmai la schiavitù delle ricchezze, la schiavitù del possesso, la schiavitù del peccato a condurre verso una vita infelice ed inquieta, mentre la povertà evangelica, che non era altro che vivere da persone semplici e “povere di spirito”, arricchiva e donava il centuplo perchè, spiegava Francesco, “sollecita la Divina Provvidenza a farsi prodiga, in tutto”. Esisteva, pertanto, ed esiste la povertà dignitosa, una dignità nell’essere povero… che produce “valori salvifici”, produce frutti.

    Attenzione a non confondere la povertà evangelica predicata e vissuta da Francesco con la miseria e la fame, causate dalla schiavitù del vizio e del peccato: non era questo che egli intendeva per povertà da “sposare”. Non a caso, nella regola definitiva, Francesco spiega ai suoi frati in modo chiaro e inequivocabile il suo concetto di povertà, quali ne siano i fondamenti e quali i valori salvifici: “I frati non si approprino di niente, né casa, né luogo, né cosa alcuna. E come pellegrini e forestieri, servendo in questo mondo al Signore in povertà e umiltà, vadano per elemosina con confidenza; e non sta bene che si vergognino, perché il Signore per amor nostro si fece povero in questo mondo. Questa è la vetta sublime di quell’altissima povertà, che ha fatto voi, fratelli carissimi, eredi e re del regno dei cieli, e, rendendovi poveri di sostanze, vi ha arricchito di virtù. Questa sia la vostra porzione che conduce nella terra dei viventi. E a essa, fratelli dilettissimi, totalmente stando uniti, nient’altro mai dovete, per il nome del Signor Nostro Gesù Cristo, cercare di possedere sotto il cielo”.

    La radicalità di Francesco è chiara: Gesù si fece povero in questo mondo, ma non andava chiedendo l’elemosina materiale, piuttosto “mendicava cuori da convertire, mendicava anime e non disdiceva l’offerta di un pasto o di un invito a Nozze…”. Ecco allora che Francesco sente la necessità di andare oltre e per amore del Signore, che si fece umile e povero, è necessario che ci spogliamo di ogni vanità (appropriarsi di case e cose), per testimoniare l’amore totale a Lui. Non dobbiamo vergognarci di chiedere perché, chiedendo, sollecitiamo gli altri alla carità in nome di Cristo, questo è lo scopo di Francesco. Per lui il povero è un dono e, di conseguenza, egli si fa dono al prossimo.

    Nel sontuoso inno Veni Creator, la Chiesa canta: “Vieni, Padre dei poveri”. Francesco dà prova di conoscere le Scritture e conosce i due concetti di povertà biblica: quella effettiva e quella spirituale; sa che quei due concetti sono inseparabili e che può viverli entrambi arricchendoli vicendevolmente e ottenendo da Dio ogni favore.

    Diceva santa Teresa del Bambin Gesù: “La santità non consiste in tale o tal’altra pratica, bensì consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle braccia di Dio, consci della nostra debolezza e fiduciosi fino all’impudenza nella sua bontà di Padre….Quello che piace (al Buon Dio) nella mia anima, è il vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la cieca speranza che ho nella sua misericordia e nella sua provvidenza…Non temere; rinuncia a tutto ciò che puoi, perchè più sarai povero e più sarai amato da Gesù.”

     

     

    QUINDI, DOVE DIAVOLO STA QUESTO FRANCESCO “MARXISTA”? PER TACER DI QUELLO “PACIFISTA”

    Una "pace" falsa e bugiarda, che si è inventata un Francesco altrettanto falso e bugiardo

    Nulla a che vedere con lo schema marxista!

    Visto che a proposito ha parlato il papa, lasciamo dire a lui direttamente. Spiega, infatti, Benedetto XVI nella Deus Caritas Est, la sua prima enciclica:

    “Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione — si asseriva in tale dottrina — doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito. Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la Dottrina Sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa [...]

    L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane, ma è attualizzazione qui ed ora dell’amore di cui l’uomo ha sempre bisogno […]

    Il programma di Gesù è « un cuore che vede ». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente [...] La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza [...]

    È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera [...]

    Fede, speranza e carità vanno insieme. La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità”.

    Nulla a che vedere con il pacifismo, dunque: il suo stile di vita è sofferenza e penitenza, ma con “Laude e gaudio”. San Francesco, come Gesù, era pacifico, ma non lesinava parole severe, come abbiamo potuto leggere sopra, quando c’era da predicare la Salvezza al prossimo. Non imponeva a nessuno il suo stile di vita, ma la sua testimonianza personale conduceva gli altri a seguirlo, come, del resto, avveniva per tutti i grandi santi Fondatori e Fondatrici della Chiesa.



    Fine prima parte

    [SM=g1740771]
    [Modificato da Caterina63 16/09/2011 11:15]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 25/09/2011 09:24

     

    MA POI, SAN FRANCESCO,

     ERA DAVVERO IL CICCIOBELLO CHE DICONO? 2

     

    S. Francesco d’Assisi:

    da santo stigmatizzato a santo “mutilato”

     

    PARTE SECONDA e FINE

    Avete capito male: l’Indulgenza riguardava la pena non l’assoluzione dei peccati. Benedetto XVI: quella preghiera che sapevo certamente esaudita.

    E dinanzi al Francesco trasformato in lacchè dei cattocomunisti (alla Bernabei), pure Sandro Magister perse la pazienza. I frati talvolta parlano senza capire, ok; ma Chiara Frugoni, invece, parla capendo benissimo (di mentire). Gli hanno tolto la preghiera, l’adorazione, la penitenza, la croce; l’hanno lasciato solo a parlare con gli animali: un matto! Cosa resta dell’antico carisma francescano nei suoi figli religiosi: in cosa lo hanno tradito? Il tradimento più grande (per tacer del pollo sgozzato sull’altare).

    E “alli boni frati” il papa tolse la bandiera della pace… secondo il mondo (quella di Lucifero). Il papa ricorda ai francescani di Assisi che la devono piantare col Francesco “mutilato” anzichè “stigmatizzato”. A proposito: vogliamo parlare del “Tau”?! no, non è la stessa cosa di una testa mozza di Che Guevara. Concludiamo con un canto francescano: falso (naturalmente)

     

     

    Al contrario, Francesco – insieme a tutti i santi, di cui la Chiesa ha redatto le motivazioni per le canonizzazioni, che sono un atto dell’infallibilità stessa – è veramente santo. Probabilmente è vero che spesso rasentava il rischio di oltrepassare i limiti consentiti, come è stato già spiegato, ma è proprio quando i limiti non vengono superati (e la volontà umana resta fedele all’ortodossia della fede) che la persona diventa santa. Per tutti i santi valgono le parole dell’Apostolo Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede…”: naturalmente, la fede della Chiesa Cattolica e nessun’altra.

    Come è stato ampiamente mostrato, l’identità di Francesco è stata compromessa. Ne è prova sia l’attenzione che il Papa ha dedicato al santo in diverse Catechesi, centrate proprio sul Francesco storico ed ecclesiale

     

     

     

    di Tea Lancellotti

     

     

    AVETE CAPITO MALE: L’INDULGENZA RIGUARDAVA LA PENA NON L’ASSOLUZIONE DEI PECCATI…

    Curiosa espressione di papa Onorio III mentre ascolta interessato questo fraticello sui generis: Francesco l’assisiate

    Chi è il vero san Francesco? in cosa è l’immagine per antonomasia dell’ortodossia portata allo zelo estremo?

    Il vero san Francesco, oggi, a mio parere, lo ritroviamo nel “Perdono di Assisi” dove ritengo sia racchiuso tutto il suo essere e il suo pensiero.

    Illuminante, in tal senso, è l’opuscolo che nel 2005 Benedetto XVI ha dedicato proprio a questo “Perdono d’ Assisi”, riproponendo, per altro, la sua stessa esperienza.

    “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”: in questa affermazione si trova il vero san Francesco, con tutto quello che, naturalmente, comporta perché in Paradiso non si va se non per la via stretta dell’ortodossia dei Comandamenti – tutti: nessuno è escluso – che è la via “ordinaria”. Non ci si va senza penitenza, non ci si va se non si è “poveri” bisognosi del Perdono, della misericordia di Dio…

    Possiamo citare brevemente il passo dalle Fonti:

    (FF 3391-3397): «Insieme ai vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, Francesco disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in paradiso!”». Poco prima, il santo si era recato dal papa Onorio III, che in quei giorni si trovava a Perugia, per chiedergli il privilegio dell’indulgenza plenaria per tutti coloro che in stato di grazia, nel giorno del 2 agosto, avrebbero visitato questa chiesetta, dove egli viveva in povertà, aveva accolto s. Chiara, fondato l’Ordine dei Minori per poi inviarli nel mondo come messaggeri di pace. Alla domanda del Papa: «Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?», il santo rispose: «Padre Santo, non domando anni, ma anime». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento; questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni».

    Per lucrare l’indulgenza occorre essere in “stato di grazia”: più chiaro di così non si può! Nessuno sconto al peccato. L’indulgenza riguarda infatti la pena, non l’assoluzione dei peccati senza essersi confessati e senza essersi convertiti.

     

     

    BENEDETTO XVI: QUELLA PREGHIERA CHE SAPEVO CERTAMENTE ESAUDITA

    Un successore di Onorio III, Benedetto XVI spiega ad Assisi di nuovo "alli boni frati" chi era il Fondatore che hanno sfigurato

    Racconta il papa Benedetto XVI, in un passo molto significativo perchè parla anche di se stesso:

    “Qui devo aggiungere che nel corso del tempo l’indulgenza, in un primo momento riservata solo al luogo della Porziuncola, fu poi estesa prima a tutte le chiese francescane e, infine, a tutte le chiese parrocchiali per il 2 agosto. Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del perdono d’Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera. Indipendentemente da ogni teoria sull’indulgenza (qui vi suggeriamo di leggere il testo integralmente perché spiega altre cose interessanti), era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti…”

    Che cosa è stato portato alle estreme conseguenze?

    Non è semplice racchiudere una risposta esauriente in poche righe e, in parte, quello che occorre dire è stato spiegato nella prima parte dell’articolo [vedi nella home la Parte 1]: la trasformazione di un “santo” in una una sorta di “mito, decattolicizzandolo” è già una risposta coraggiosa.

     

     

    E DINANZI AL FRANCESCO TRASFORMATO IN LACCHÈ DEI CATTOCOMUNISTI (ALLA BERNABEI), PURE SANDRO MAGISTER PERSE LA PAZIENZA…

    Sandro Magister

    Il 10 ottobre 2007, Sandro Magister scrive un breve e durissimo attacco all’ennesimo tentativo di far passare san Francesco come “pacifista”. Rivediamone alcuni punti salienti.

     

    San Francesco pacifista, ennesima bugia della tv.

    - Ma che san Francesco è quello portato in tv dalla Lux Vide del “cattolicissimo” Ettore Bernabei? Quando il racconto ha toccato il tasto delle crociate, quel che sappiamo dai resoconti dell’epoca è stato capovolto come una frittata.

    - Davanti al sultano Malik al-Kamil, san Francesco non chiese affatto perdono per l’offensiva dell’esercito cristiano. Dalla testimonianza di frate Illuminato, che l’accompagnò nella missione, sappiamo che il santo disse invece:

    I cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”.

    - Quanto poi al dialogo interreligioso, sappiamo da san Bonaventura che san Francesco col sultano andò subito al sodo, mettendo nel conto che rischiava il martirio: “Predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo”.

    E quando capì che nessuno gli dava retta? ‘Vedendo che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani’.

    - Contro le moderne “mutilazioni” di san Francesco è utile ripassare quanto ha detto Benedetto XVI ad Assisi, lo scorso 17 giugno:

    Perché san Francesco ‘è un vero maestro’ per i cristiani d’oggi”.

    Confesso che non conosco il Bernabei citato da Sandro Magister, ma conosco molti francescani che hanno predicato il medesimo Francesco pacifista, e spesso nelle omelie domenicali; così come ho conosciuto, è giusto dirlo, alcuni (purtroppo pochi) che si mantengono all’interno dell’ortodossia di un san Francesco ecclesiale e dottrinale.

     

     

    I FRATI TALVOLTA PARLANO SENZA CAPIRE, OK. MA CHIARA FRUGONI, INVECE, PARLA CAPENDO BENISSIMO (DI MENTIRE)

    La medievista Chiara Frugoni. Sorriso bonario da suora e cieca furia ideologica

    E’ onesto sottolineare che le voci peggiori di un Francesco “distorto” non provengono dai suoi frati (molti dei quali hanno avuto “solo” la debolezza di sposarne un’immagine deformata perché, spesso, il vero san Francesco non è conosciuto neppure da loro), ma da una storica medievista italiana, Chiara Frugoni, che sul santo ne ha scritte di cotte e di crude, spingendosi perfino a parlare di “invenzione delle stimmate”. E’ lei oggi la principale “fonte” – specialmente in campo catto-progressista – del Francesco pacifista, del Francesco contro il papato, contro le Crociate, perfino contro le Indulgenze. Tanto per fare un esempio, spiega la Frugoni:

    «Francesco non era un asceta. Ammirava il creato. Amava il cibo, purché consumato con parsimonia. Quando sta per morire chiede a una matrona romana, sua amica spirituale: “Portami quei mostacciòli, che mi piacciono tanto!”. E lei glieli offre. In un tempo in cui tutti sono molto osservanti quanto a regole ed astinenze, dice ai suoi: “Se vi offrono un pollo di venerdì, mangiatelo, perché è essenziale che percepiate la carità di chi lo offre”. Un novizio, dedito a digiunare per sacrificio, una certa notte si sente morire. Lui, Francesco, lo rimprovera: “Non fare più così”. Poi fa accendere le lucerne e indice una cena con tutti i frati». Un agguato in pieno stile progressista: ideologico e autodemolitorio. Vediamo come stanno veramente le cose.

    C’è del vero nei racconti sul santo (a parte la storia di un Francesco morente che, in mezzo agli spasmi del dolore, chiede i mostaccioli: altre fonti, infatti, sostengono che il racconto non sia vero), ma questi vanno letti nel contesto. Come abbiamo spiegato in precedenza, Francesco “sposa” la povertà e di conseguenza sa benissimo che non può imporla a nessuno: la povertà non è il suo scopo, bensì un mezzo. Se c’è qualcuno che non resiste, la carità e l’umiltà di riconoscere il proprio limite conducono alla seconda povertà biblica, quella del cuore. In tal senso la prova del digiuno e la prova dell’estrema povertà hanno prodotto l’effetto che ci si prefiggeva: l’umiltà del riconoscersi limitati (Francesco non attribuisce mai a se stesso i meriti del suo successo nella penitenza), la semplicità, la povertà di spirito.

    Come è stato già ricordato, il tempo in cui visse il santo è quello dei Catari-Albigesi, i “puri”, per i quali il digiuno era lo scopo, era uno strumento di tortura e di ricatto, era un obbligo anche di fronte alla malattia, essendo il fondo della loro dottrina eretica, nemico della vita stessa, sostanzialmente tendente alla distruzione fisica, al suicidio (è loro la teoria che non ci si debbe più riprodurre). San Francesco invece non fa altro che comportarsi come dice Cristo: “In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10, 5-9). E’ ovvio che, per Francesco, la pratica dell’autentica povertà si applica principalmente all’interno della comunità, proprio perché ci si può anche aiutare nel perseguire tale virtù. E, quando si va in giro a predicare, occorre raccogliere anche la carità della gente, il cibo che le persone possono offrire…

     

     

    GLI HANNO TOLTO LA PREGHIERA, L’ADORAZIONE, LA PENITENZA, LA CROCE. L’HANNO LASCIATO A PARLARE SOLO CON GLI ANIMALI: UN MATTO!

    Tutto questo non può essere usato per dire che san Francesco non era un’asceta! Ed anche se “ammirare il creato” non fa di lui un asceta, egli lo era ogni volta che leggeva la Scrittura perché la “incarnava in sè”, gli dava vita, gli diventava via, gli indicava la Verità. Togliendo al Francesco ecclesiale la preghiera, che era il suo vero e principale nutrimento, togliendogli l’adorazione, che faceva sovente ai piedi del Crocefisso e davanti al Tabernacolo, è ovvio che lo si trasforma in un pacifista sornione, in un visionario che parlava agli animali… un matto inoffensivo, in pratica.

    La Frugoni, da studiosa e ideologa, riporta dei fatti raccolti dalle fonti, ufficiali e non. Tuttavia il suo errore consiste nell’interpretazione che offre di questi, mettendo in bocca a Francesco il suo personale anticlericalismo, nemmeno troppo velato, trasformando il santo in un rivoluzionario assai particolare, insofferente verso la Chiesa…

    Secondo la medievista, Francesco non attacca direttamente la Chiesa, ma “la contesta nei fatti”. Spiega, ad esempio, che la richiesta del Perdono di Assisi in realtà era contro le Indulgenze, interpretando, a modo suo, la frase a noi già nota (la riportiamo ancora, ripetersi serve talora): «Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?», il Santo rispose: «Padre Santo, non domando anni, ma anime». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento; questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni». Questa ripetizione, vi è stata utile o no, a capire da voi stessi, la malafede dell’interpretazione dell’ideologa medievista Frugoni? Rileggete, in caso.

    In verità, spiega papa Ratzinger, la richiesta di Francesco serviva proprio per facilitare i poveri, coloro che non potevano recarsi in Terra Santa o in nessun altro Pellegrinaggio per ottenere le indulgenze. Pertanto, le disposizioni sul come lucrare un’indulgenza non vengono affatto contestate dal santo, ma egli chiede al Papa un nuovo metodo che favorisca i poveri e il Papa viene incontro alla sua richiesta. Questa – e solo questa – è l’interpretazione!

    L’immagine di un Francesco pio e devoto sarebbe, invece, per la Frugoni, una invenzione di san Bonaventura. Pur facendo molte ricerche, trovo assolutamente inspiegabile perché la studiosa non abbia trovato “prove” di un altro santo che smentisca la santità di vita che san Bonaventura ha attribuito a Francesco!

    Resta palese che la cosiddetta “questione francescana” è purtroppo una realtà, causata dalla spaccatura interna ai tre Ordini, molto in competizione fra loro, tale da spingere ognuno di essi a dipingersi un Francesco a propria immagine, seguendo le mode del momento.

    Ciò che è importante è, come diciamo sempre, la “parola della Chiesa e la sua interpretazione”. Pietro Valdo, ad esempio, sarà stato pure un santo per molti nei gesti e nelle intenzioni, ma resta scritto “in terra e in cielo” che era un eretico! Al contrario, Francesco – insieme a tutti i santi, di cui la Chiesa ha redatto le motivazioni per le canonizzazioni, che sono un atto dell’infallibilità stessa – è veramente santo. Probabilmente è vero che spesso rasentava il rischio di oltrepassare i limiti consentiti, come è stato già spiegato, ma è proprio quando i limiti non vengono superati (e la volontà umana resta fedele all’ortodossia della fede) che la persona diventa santa. Per tutti i santi valgono le parole dell’Apostolo Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede…”: naturalmente, la fede della Chiesa Cattolica e nessun’altra.

     

     

    COSA RESTA DELL’ANTICO CARISMA FRANCESCANO NEI SUOI FIGLI RELIGIOSI. IN COSA LO HANNO TRADITO?

    Non sono una francescana (semmai, sono una terziaria domenicana): pertanto non avrei diritto di rispondere a queste domande, ma siamo “ecclesiali” e, in questa “Comunione dei Santi”, abbiamo il dovere della correzione fraterna e di segnalare ciò che ci appare anomalo.

    Torniamo a quello che diceva Francesco e che è stato già riportato in precedenza.

    Cap II delle Fonti Francescane: Guai a quelli che non fanno penitenza.

    [178/4] Tutti quelli e quelle, invece, che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e si abbandonano ai vizi e ai peccati e camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri della loro carne, e non osservano quelle cose che hanno promesso al Signore, e servono con il proprio corpo al mondo, agli istinti carnali ed alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: costoro sono prigionieri del diavolo del quale sono figli e fanno le opere; sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non hanno la sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre; di loro è detto: ” La loro sapienza è stata ingoiata” e: ” Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti”. Essi vedono e riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro anima.

    [178/5] Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato e cosa amara sottoporsi a servire Dio, poiché tutti i vizi e i peccati escono e procedono dal cuore degli uomini, come dice il Signore nel Vangelo. E non avete niente in questo mondo e neppure nell’altro. E credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora alla quale non pensate, non sapete e ignorate. Il corpo si ammala, la morte si avvicina e così si muore di amara morte.”

    [178/7] ” Tutti coloro ai quali perverrà questa lettera, li preghiamo, nella carità che è Dio, che accolgano benignamente con divino amore queste fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo scritto. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, poiché sono spirito e vita. Coloro che non faranno questo, dovranno renderne, ragione nel giorno del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.”

    Io credo che queste raccomandazioni di Francesco siano state abbondantemente e “tradite” oggi dai suoi per le seguenti ragioni:

    -la penitenza è stata congedata dalle prediche e dalle catechesi;

    - il demonio, la sua azione, l’inferno, sono stati messi al bando;

    - parlare dei vizi è diventato un tabù o, peggio, antifrancescano.

     

     

    IL TRADIMENTO PIÙ GRANDE  (PER TACER DEL POLLO SGOZZATO SULL’ALTARE)

    ASSISI 1986. Uno dei giorni più neri del cattolicesimo del XX secolo: l'idolo buddista è posto sull'altare della basilica di Assisi, dopo che per "rispetto" (verso l'idolo) li "boni frati", avevano scacciato il Santissimo dal Tabernacolo. Li "boni frati" si inginocchiarono all'idolo. Oggi non si inginocchiano più neppure alla consacrazione.

    Resiste il “Perdono di Assisi”, forse perché è un fatto ecclesiale e non prettamente di “proprietà” francescana: le concessioni le ha fatte il Papa. Inoltre, si può lucrare non solamente recandosi alla Porziuncola, ma in ogni Chiesa parrocchiale. Quindi, il francescanesimo non ne ha il monopolio perché il “Perdono di Assisi” è diventato una “pratica ecclesiale”.

    Il tradimento più grande credo, però, sia in quel sincretismo religioso che ha fatto di Assisi la sua capitale. Mi si obbietterà: “guarda che l’ha voluto il Papa”. Certo. Il Papa ha voluto l’incontro interreligioso-ecumenico, ma in quali termini lo ha pensato il Santo Padre e in quali modi, invece, lo hanno realizzato i francescani?

    Vittorio Messori riportò il triste episodio accaduto ad Assisi nel 1986: durante il Meeting interreligioso che lì si celebrava, “li boni frati” pensarono di far cosa buona e giusta di ospitare i non cattolici. Fin qui nulla di male: questa era la richiesta del Papa e l’ospitalità non si nega a nessuno. Il problema sopraggiunse, però, quando “li boni frati”, di loro iniziativa, prestarono ai non cattolici l’altare dedicato a santa Chiara, sul quale “sacerdoti” animisti non meglio identificati sgozzarono un pollo per fare il loro sacrificio propiziatorio…

    C’è anche un altro episodio poco piacevole. Quello della statua di Budda, messa sull’altare davanti alla tomba di san Francesco, con tanto di ceri accesi, mentre “li boni frati” osservavano attenti la cerimonia sincretista. Dalle foto, rarissime e fatte sparire presto, si vedeva bene perfino qualche frate in ginocchio! Gli stessi che sarebbero capaci pure di prenderti a calci se ti inginocchi a ricevere l’eucarestia, e che peggio, in moltissimi casi, oggi neppure si inginocchiano quando è previsto dal canone alla consacrazie eucaristica. Solo un benedettino lì presente si ribellò a questo sacrilegio osceno, lo additarono come pazzo, “li boni frati”, e lo fecero trascinare via dai carabinieri.

     

     

    E “ALLI BONI FRATI” IL PAPA TOLSE LA BANDIERA DELLA PACE… SECONDO IL MONDO (QUELLA DI LUCIFERO: CHE PREPARA LA GUERRA)

    Un esempio tipico di "francescana" idiozia clericale

    Faccio notare che appena eletto Papa, Benedetto XVI il primo Motu Proprio che scrive e firma (19.11.2005), con l’urgenza di essere immediatamente applicato, è proprio su Assisi, su “li boni frati” e sull’obbedienza che devono al vescovo, naturalmente dopo aver sostituito anche il vescovo….

    Da quel momento ci saranno altri cambiamenti. Per esempio, la bandiera della pace: una truffa sincretista, bambinescamente adottata da “li boni frati”, portata in giro come in trionfo e usata perfino come “tovaglia per l’altare” o per accogliere i giovani nelle Messe del Pontefice. Ebbene: Benedetto XVI la farà eliminare dalle manifestazioni cattoliche ecclesiali.

    Possiamo dire, senza ombra di dubbio, che il Papa è arrivato a toccare i punti nevralgici di un’esasperazione francescana spinta “ai limiti del sopportabile”, per nulla fedele allo “spirito del Fondatore”. Tuttavia, ciò che ancora il Papa non ha toccato è la modalità evangelizzatrice interna al francescanesimo modernista. Non credo che ci arriverà con ulteriori atti magisteriali: al Papa sta a cuore l’elemento ortodosso di livello ecclesiale dal quale, spera, si diparta l’autentica Riforma atta a ripulire ogni comunità, non solo Francescana, della Chiesa, dagli abusi seminati in questi ultimi 40 anni…

    Come è stato ampiamente mostrato, l’identità di Francesco è stata compromessa. Ne è prova sia l’attenzione che il Papa ha dedicato al santo in diverse Catechesi, centrate proprio sul Francesco storico ed ecclesiale, e sia la visita dello stesso Benedetto XVI ha fatto ad Assisi in occasione (una coincidenza?) dell’Ottavo centenario della conversione di Francesco, nel 2007.

     

     

    IL PAPA RICORDA AI FRANCESCANI DI ASSISI CHE LA DEVONO PIANTARE COL FRANCESCO “MUTILATO” ANZICHÈ “STIGMATIZZATO”

    Nel Discorso tenuto al Capitolo Generale (altra coincidenza?), il Papa ha esordito con queste parole:

    Con la mia odierna visita, infatti, ho voluto sottolineare il significato di questo evento, al quale occorre sempre ritornare, per comprendere Francesco e il suo messaggio. Egli stesso, quasi a sintetizzare con una sola parola la sua vicenda interiore, non trovò concetto più pregnante di quello di penitenza: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così” (Testamento,1: FF 110). Egli dunque si percepì essenzialmente come un “penitente”, in stato, per così dire, di conversione permanente.[...] Sia dunque per ogni figlio di San Francesco saldo principio quello che il Poverello esprimeva con le semplici parole: “La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo (Rb I,1: FF 75).

    Al Clero di Assisi, nel suo Discorso, il Papa, con la sua ferma mitezza, ha espresso chiaramente il nucleo di un tradimento allo spirito autentico di Assisi, dicendo:

    I milioni di pellegrini che passano per queste strade attirati dal carisma di Francesco, devono essere aiutati a cogliere il nucleo essenziale della vita cristiana ed a tendere alla sua “misura alta”, che è appunto la santità. Non basta che ammirino Francesco: attraverso di lui devono poter incontrare Cristo, per confessarlo e amarlo con “fede dritta, speranza certa e caritade perfetta” (Preghiera di Francesco davanti al Crocifisso, 1: FF 276). I cristiani del nostro tempo si ritrovano sempre più spesso a fronteggiare la tendenza ad accettare un Cristo diminuito, ammirato nella sua umanità straordinaria, ma respinto nel mistero profondo della sua divinità. Lo stesso Francesco subisce una sorta di mutilazione, quando lo si tira in gioco come testimone di valori pur importanti, apprezzati dall’odierna cultura, ma dimenticando che la scelta profonda, potremmo dire il cuore della sua vita, è la scelta di Cristo. Ad Assisi, c’è bisogno più che mai di una linea pastorale di alto profilo.

    [...] è chiaro che la vocazione dialogica di Assisi è legata al messaggio di Francesco, e deve rimanere ben incardinata sui pilastri portanti della sua spiritualità. In Francesco tutto parte da Dio e torna a Dio. Le sue Lodi di Dio altissimo rivelano un animo costantemente rapito nel dialogo con la Trinità. Il suo rapporto con Cristo trova nell’Eucaristia il luogo più significativo. Lo stesso amore del prossimo si sviluppa a partire dall’esperienza e dall’amore di Dio.

    [...] Francesco è un uomo per gli altri, perché è fino in fondo un uomo di Dio. Voler separare, nel suo messaggio, la dimensione “orizzontale” da quella “verticale” significa rendere Francesco irriconoscibile…

    Non sembrano, queste, parole di circostanza o dette “per caso”: esse ci spiegano bene il nucleo del problema.

     

     

    A PROPOSITO: VOGLIAMO PARLARE DEL “TAU”?! NO, NON È LA STESSA COSA DI UNA TESTA MOZZA DI CHE GUEVARA

    Un’ultima riflessione mi sia concessa per il Tau, l’ormai famosa “croce” francescana, che, senza voler giudicare il cuore delle persone, è portata più per superstizione o come talismano, anziché essere usata con lo spirito sensibile di Francesco. Ma cosa significava il tau per il santo di Assisi?

    Il tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall’Antico Testamento. Se ne parla già nel libro di Ezechiele: “Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono…” (Ez.9,4). Esso è il segno che, posto sulla fronte dei poveri di Israele, li salva dallo sterminio: san Francesco lo collega subito anche al passo dell’Apocalisse 7,2-3 dove si parla di un sigillo posto sulla fronte e lo identifica quale segno di redenzione, segno esteriore di quella novità di vita cristiana, più interiormente segnata dal Sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo (Ef.1,13).

    Esso fu adottato prestissimo dai cristiani e, per la verità, prima del Crocefisso. Tale segno si trova già nelle catacombe a Roma. I primi cristiani adottarono il Tau perché, come ultima lettera dell’alfabeto ebraico, era una profezia dell’ultimo giorno ed aveva la stessa funzione della lettera greca Omega, come appare dall’Apocalisse: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente dal fonte dell’acqua della vita… Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine” (Ap.21,6; 22,13).

    San Francesco d’Assisi, per lo stesso motivo, faceva riferimento al Cristo, l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine, anzi il fine: per la somiglianza che il Tau ha con la croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita come pure nei gesti.

    Vi è da dire, però, che se il Tau era per Francesco “il segno, il simbolo” – tanto da usarlo anche come firma nelle lettere – il Crocefisso era l’oggetto della sua adorazione: davanti a Lui si inginocchiava, trascorrendo molte ore e aspettando spesso anche risposte alle sue domande. Il tau, dunque, non sostituisce il Crocefisso, come taluni erroneamente credono trasformandolo in una sorta di feticcio. Portare il Tau significa avere risposto sì alla volontà di Dio di salvarci, accettare la sua proposta di salvezza: significa, quindi, convertirci a Gesù Cristo – incarnato, morto e risorto – e non ad una sua immagine generica, privandolo, come spesso avviene, della Sua Sposa, la Chiesa…

     

     

    CONCLUDIAMO CON UN CANTO FRANCESCANO. FALSO (NATURALMENTE)

    Per concludere, come ciliegina sulla torta, non possiamo dimenticare il famoso canto attribuito a san Francesco: Signore fa’ di me uno strumento della tua pace. E’ uno di quei fiori all’occhiello, fino a qui descritti, di un Francesco “mitico” e pacifista, che nulla ha a che vedere con quello autentico.

    Roberto Beretta, in un articolo intitolato Gli apocrifi del Poverello (Avvenire 9 gennaio 2002, p.23), ha scritto:

    Tutti conoscono la cosiddetta “Preghiera semplice” – quella che suona: “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace. Dove è odio, fa’ che io porti l’amore…”- e quasi tutti ne allegano la paternità all’autore del “Cantico delle creature”. Gli storici, peraltro, e gli addetti ai lavori hanno sempre saputo invece che tale suggestiva orazione è tutt’altro che francescana: infatti ha un secolo d’anzianità al massimo e non è stata neppure composta da un frate minore; l’attribuzione al Poverello si deve al fatto accidentale che essa fu stampata una volta sul retro di un santino di Francesco d’Assisi…

    Certo: la “Preghiera semplice” è un inno alla pace, all’amore, insomma alle virtù cristiane che ben corrispondono all’immagine di san Francesco divulgata popolarmente. Ma si tratta comunque di uno stereotipo: è corretto alimentarlo senza ricorrere alle fonti originali? Padre Willibrord-Christian van Dijk, un cappuccino che ha studiato la vicenda della “Preghiera semplice” per 40 anni, ha notato, per esempio, la stranezza di attribuire a un “santo che passa per essere un grande mistico cristiano un testo che non s’indirizza a Gesù Cristo e nemmeno lo nomina, né vi si trova alcuna citazione evangelica o biblica”. Osservazione pertinente, visto che tutte le preghiere autentiche di Francesco sono nient’altro che centoni di frasi desunte dalle Scritture e/o dalla liturgia…

    San Francesco non è un “archetipo” astratto, bensì un personaggio storico; e come tale merita di essere trattato anche nell’esame dei suoi scritti. Con metodo rigoroso, infatti, lo studioso francese arriva a risultati pressoché definitivi sull’origine della “Preghiera semplice”: la sua più antica stampa conosciuta risale al dicembre 1912, quando l’orazione comparve sulla pia rivista parigina La Clochette (“La campanella”), bollettino mensile della Lega della Santa Messa: era anonima, ma forse attribuibile al direttore del periodico stesso, il prete poligrafo normanno Esther Auguste Bouquerel.

    Di lì a poco la strofetta fu ripresa da un’altra rivista francese e quindi, nel 1916, sulla prima pagina dell’Osservatore romano, che la lanciò internazionalmente come invocazione per la pace.

    L’abbinamento col saio del grande Assisate avviene dopo il 1918, quando il cappuccino padre Etienne Benoit stampa il testo dell’orazione sul retro di un’immaginetta destinata al suo terz’ordine e recante in facciata la figura del Fondatore: “Questa preghiera riassume meravigliosamente la fisionomia esterna del vero figlio di san Francesco”, scrive il religioso. E’ un santino, dunque, l’origine della falsa attribuzione francescana, che però diventa esplicita per la prima volta nel 1927 in una pubblicazione protestante: i cattolici infatti rifiuteranno tale abusiva paternità almeno fino agli anni Cinquanta…”

    Chiudiamo così, con un falso, uno dei tanti, questa ricapitolazione del Francesco autentico .

     

    **********************

    Nota

    Rileggendo l’articolo e la prima parte… noto con immenso piacere il duro lavoro di Claudia Cirami, dello staff di “papalepapale” perchè mi rendo conto solo ora del ciclopico lavoro svolto nel dare forma e sostanza alla raccolta dei dati su san Francesco che ho inviato alla Redazione per mezzo di Mastino :-)

    Cara Claudia, grazie di cuore ;-)
    se qualcuno riuscirà a comprendere la vera grandezza di san Francesco d’Assisi, molto sarà opera tua e senza dubbio il lavoro di squadra che sempre funziona quando ognuno da il proprio contributo…

    Siamo vicini al 4 ottobre, festa del Santo Patrono d’Italia, rimettiamo a lui le buone intenzioni di questo lavoro e che torni a risplendere di verità san Francesco d’Assisi….
    Ancora mille ringraziamenti per questa opportunità,
    Tea


     

    [SM=g1740738] 

     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/08/2013 12:47
    [SM=g1740733] già profeticamente Benedetto XV nel 1921 scrisse una breve Enciclica per correggere da una falsa immagine di san Francesco d'Assisi.....


    dall'enciclica "Sacra Propediem" di Papa Benedetto XV

    Venerabili Fratelli,
    salute e Apostolica Benedizione.

    Noi riteniamo assai opportuna la prossima celebrazione del settimo centenario del Terzo Ordine della Penitenza. A raccomandarla a tutto il mondo cattolico con la Nostra autorità apostolica, Ci induce innanzi tutto la certezza che essa riuscirà di grande vantaggio al popolo cristiano, ma c’è anche qualcosa che Ci riguarda personalmente. Infatti nell’anno 1882, quando fra il plauso commosso dei buoni fu celebrato solennemente il centenario della nascita del Santo di Assisi, Ci ricordammo con soddisfazione che anche Noi volemmo essere iscritti fra i discepoli del grande Patriarca, e nella insigne basilica di Santa Maria di Ara Coeli, officiata dai Frati Minori, vestimmo regolarmente l’abito dei Terziari Francescani. Pertanto, ora che per volontà divina siamo stati assunti alla cattedra del Principe degli Apostoli, ben volentieri, anche per la Nostra devozione verso San Francesco, cogliamo l’occasione che Ci viene offerta per esortare i fedeli della Chiesa di tutto il mondo ad iscriversi espressamente — o, se già iscritti, ad operare con impegno — a questa istituzione del santissimo uomo, la quale ancor oggi risponde meravigliosamente ai bisogni della società.

    Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di San Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione dei modernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga e vana religiosità, tanto che egli non può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo.



    Quel profondo conoscitore dei nostri tempi, che fu il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, per rendere la disciplina dei Terziari più accessibile ad ogni grado di persone, molto saggiamente con la Costituzione « Misericors Dei Filius » dell’anno 1883, mitigò la loro regola, « secondo le presenti circostanze della società », variando alcune cose di minore importanza, che non parevano consentanee con i nostri costumi. « Con questo però, egli dice, non bisogna credere che sia stato tolto all’Ordine alcunché di essenziale, volendo Noi che la sua natura si conservi integra ed immutata ».
    (..)

    Perciò ogni cambiamento fu soltanto estrinseco, e non toccò per nulla la sostanza di essa, la quale continua ad essere tale quale la volle lo stesso Santo fondatore. È Nostra convinzione che lo spirito del Terz’Ordine, tutto pervaso di sapienza evangelica, molto contribuirà al miglioramento dei costumi privati e pubblici, purché rifiorisca nuovamente, come quando Francesco, con la parola e con l’esempio, predicava per ogni dove il regno di Dio.

    Infatti egli volle innanzi tutto che nei suoi Terziari rifulga in modo speciale la carità fraterna, autrice di concordia e di pace. Ben comprendendo che questo è il principale precetto di Gesù Cristo, quale sintesi di tutta la legge cristiana, rivolse ogni sua cura ad informarne gli animi dei suoi seguaci: e con ciò stesso egli ottenne che il Terz’Ordine riuscisse utile di per sé all’umana società.

    Francesco era talmente infiammato di ardore serafico per Dio e per gli uomini, da non riuscire a contenerlo nel suo cuore, ma avvertiva la necessità di portarlo all’esterno, a favore di quanti più potesse. Pertanto, avendo cominciato a riformare la vita privata e domestica dei suoi fratelli, indirizzandoli all’acquisto della virtù, quasi non mirasse ad altro, pensò di non doversi fermare qui, ma di servirsi di questa riforma individuale come di uno strumento per recare in seno alla società un soffio di vita cristiana, e così guadagnare tutti a Gesù Cristo.(...)


    la pace che è tanto invocata dai popoli non è quella faticosamente elaborata con le arti della politica, ma quella che ci fu recata da Cristo, il quale disse: «Vi dò la mia pace: non come la dà il mondo, io la dò a voi » [2].
    Quell’accordo fra gli Stati e le varie classi civili che può essere escogitato dagli uomini, non può infatti durare né avere forza di vera pace se non ha la sua base nella tranquillità degli animi; la quale esiste a sua volta solo a patto che siano tenute a freno le passioni, fomentatrici di ogni genere di discordie. « E donde le guerre e le liti tra voi, si domanda l’Apostolo Giacomo, se non di qui? dalle vostre concupiscenze le quali militano nelle vostre membra? » (..)



    Perciò quella lode che fu data dal Signore ai suoi discepoli che gli erano più devoti, quando disse: « Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo » [4], giustamente la stessa lode va attribuita a quei figli di Francesco che, osservando con vero spirito i consigli evangelici, per quanto loro è dato nel secolo, possono dire di sé con l’Apostolo: «Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio » [5].

    Perciò, tenendosi lontani il più possibile dallo spirito del mondo, cercheranno di far penetrare nella vita comune, ad ogni occasione, lo spirito di Gesù Cristo.
    Per la verità, due sono oggi le passioni predominanti in questa incredibile perversità di costumi, l’amore sconfinato delle ricchezze e un’insaziabile sete di piaceri.

    Da qui la vergogna e il disonore del nostro secolo, il quale, mentre fa continui progressi in ciò che appartiene ai comodi ed ai conforti della vita, per quanto riguarda il dovere di vivere onestamente — il che ben più importa — pare che voglia ritornare a gran passi verso la corruzione del paganesimo. In realtà, quanto più gli uomini perdono di vista i beni eterni che sono loro preparati nei cieli, tanto più sono attratti verso i caduchi; e una volta che si siano vilmente incurvati verso la terra, facilmente si intorpidisce in essi ogni virtù: così che nauseati di tutto ciò che sa di spirituale, non agognano che l’ebbrezza dei volgari piaceri.

    (...)

    e per non mostrarsi figlioli degeneri, abbraccino almeno in spirito la povertà e portino con abnegazione, ciascuno, la propria croce. Per ciò poi che riguarda in modo speciale le Terziarie, sia nel vestire come in tutto il loro contegno esteriore, siano esempio di santa pudicizia alle giovani e alle madri; e non credano di poter meglio meritare della Chiesa e della società che cooperando all’emendamento dei corrotti costumi.


    [SM=g1740733]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 04/10/2013 17:33

                  VISITA PASTORALE AD ASSISI

    SANTA MESSA

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Piazza San Francesco, Assisi
    Venerdì, 4 ottobre 2013

    Video

     assisi 3

    «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). 

    Pace e bene a tutti! Con questo saluto francescano vi ringrazio per essere venuti qui, in questa Piazza, carica di storia e di fede, a pregare insieme.

    Oggi anch’io, come tanti pellegrini, sono venuto per rendere lode al Padre di tutto ciò che ha voluto rivelare a uno di questi “piccoli” di cui ci parla il Vangelo: Francesco, figlio di un ricco commerciante di Assisi. L’incontro con Gesù lo portò a spogliarsi di una vita agiata e spensierata, per sposare “Madonna Povertà” e vivere da vero figlio del Padre che è nei cieli. Questa scelta, da parte di san Francesco, rappresentava un modo radicale di imitare Cristo, di rivestirsi di Colui che, da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). In tutta la vita di Francesco l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, le due facce di una stessa medaglia.        

    Che cosa testimonia san Francesco a noi, oggi? Che cosa ci dice, non con le parole – questo è facile – ma con la vita?

    1. La prima cosa che ci dice, la realtà fondamentale che ci testimonia è questa: essere cristiani è un rapporto vitale con la Persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilazione a Lui.

    Da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso, che anch’io oggi potrò venerare. In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una «nuova creatura». Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori. Per questo Francesco può dire, come san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).

    Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare da Lui, a lasciarci perdonare, ricreare dal suo amore.

    2. Nel Vangelo abbiamo ascoltato queste parole: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29).

    Questa è la seconda cosa che Francesco ci testimonia: chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette?  Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. E’ la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro (cfr Gv 20,19.20).

    La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito!  [SM=g1740721]

    La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore.

    Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci ad essere “strumenti della pace”, della pace che ha la sua sorgente in Dio, la pace che ci ha portato il Signore Gesù. 

    3. Francesco inizia il Cantico così: “Altissimo, onnipotente, bon Signore… Laudato sie… cun tutte le tue creature” (FF, 1820). L’amore per tutta la creazione, per la sua armonia! Il Santo d’Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo; aiutarlo a crescere, a essere più bello e più simile a quello che Dio ha creato. E soprattutto san Francesco testimonia il rispetto per tutto, testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio - il Creatore - lo ha voluto. Non strumento degli idoli che noi creiamo! L’armonia e la pace! Francesco è stato uomo di armonia, uomo di pace. Da questa Città della Pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’amore: rispettiamo la creazione, non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione. Sentiamo il grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa, tanto amata da san Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, in tutto il mondo. 

    Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: ottienici da Dio il dono che in questo nostro mondo ci sia armonia, pace e rispetto per il Creato!  

    Non posso dimenticare, infine, che oggi l’Italia celebra san Francesco quale suo Patrono. E do gli auguri a tutti gli italiani, nella persona del Capo del governo, qui presente. Lo esprime anche il tradizionale gesto dell’offerta dell’olio per la lampada votiva, che quest’anno spetta proprio alla Regione Umbria. Preghiamo per la Nazione italiana, perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide. 

    Faccio mia la preghiera di san Francesco per Assisi, per l’Italia, per il mondo: «Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordarti sempre della sovrabbondante pietà che in [questa città] hai mostrato, affinché sia sempre il luogo e la dimora di quelli che veramente ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e gloriosissimo nei secoli dei secoli. Amen» (Specchio di perfezione, 124: FF, 1824).

     

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 04/10/2013 19:05


                  VISITA PASTORALE AD ASSISI

    INCONTRO CON IL CLERO, PERSONE DI VITA CONSACRATA
    E MEMBRI DI CONSIGLI PASTORALI

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Cattedrale di San Rufino, Assisi
    Venerdì, 4 ottobre 2013

    assisi


     

    Cari fratelli e sorelle della Comunità Diocesana, buon pomeriggio!

    Vi ringrazio per la vostra accoglienza, sacerdoti, religiosi e religiose, laici impegnati nei consigli pastorali! Quanto sono necessari, i consigli pastorali! Un Vescovo non può guidare una diocesi senza i consigli pastorali. Un parroco non può guidare la parrocchia senza i consigli pastorali. Questo è fondamentale! Siamo nella Cattedrale! Qui si conserva il fonte battesimale dove san Francesco e santa Chiara furono battezzati, che in quel tempo si trovava nella Chiesa di Santa Maria. La memoria del Battesimo è importante! Il Battesimo è la nostra nascita come figli della Madre Chiesa. Io vorrei farvi una domanda: chi di voi sa il giorno del suo Battesimo? Pochi! Pochi… Adesso, compiti a casa! Mamma, papà, dimmi: quando sono stato battezzato? Ma, è importante, perché è il giorno della nascita come figlio di Dio. Un solo Spirito, un solo Battesimo, nella varietà dei carismi e dei ministeri. Che grande dono essere Chiesa, far parte del Popolo di Dio! Tutti siamo il Popolo di Dio. Nell’armonia, nella comunione delle diversità, che è opera dello Spirito Santo, perché lo Spirito Santo è l’armonia e fa l’armonia: è un dono di Lui, e dobbiamo essere aperti a riceverlo!

    Il Vescovo è custode di questa armonia. Il Vescovo è custode di questo dono dell’armonia nella diversità. Per questo il Papa Benedetto ha voluto che l’attività pastorale nelle Basiliche papali francescane sia integrata in quella diocesana. Perché lui deve fare l’armonia: è il suo compito, è il suo dovere e la sua vocazione. E lui ha un dono speciale per farla. Sono contento che stiate camminando bene su questa strada, con beneficio di tutti, collaborando insieme con serenità, e vi incoraggio a continuare. La Visita pastorale che si è da poco conclusa e il Sinodo diocesano che state per celebrare sono momenti forti di crescita per questa Chiesa, che Dio ha benedetto in modo particolare. La Chiesa cresce, ma non è per fare proselitismo: no, no! La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio.

    Ora, brevemente, vorrei sottolineare alcuni aspetti della vostra vita di Comunità. Non voglio dirvi cose nuove, ma confermarvi in quelle più importanti, che caratterizzano il vostro cammino diocesano.

    1. La prima cosa è ascoltare la Parola di Dio. La Chiesa è questo: la comunità – lo ha detto il Vescovo – la comunità che ascolta con fede e con amore il Signore che parla. Il piano pastorale che state vivendo insieme insiste proprio su questa dimensione fondamentale. E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità…

    Penso che tutti possiamo migliorare un po’ su questo aspetto: diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole. Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio? Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente. Questo è per voi! Penso al papà e alla mamma, che sono i primi educatori: come possono educare se la loro coscienza non è illuminata dalla Parola di Dio, se il loro modo di pensare e di agire non è guidato dalla Parola; quale esempio possono dare ai figli? Questo è importante, perché poi papà e mamma si lamentano: “questo figlio …” Ma tu, che testimonianza gli hai dato? Come gli hai parlato? Della Parola di Dio o della parola del telegiornale? Papà e mamma devono parlare già della Parola di Dio! E penso ai catechisti, a tutti gli educatori: se il loro cuore non è riscaldato dalla Parola, come possono riscaldare i cuori degli altri, dei bambini, dei giovani, degli adulti? Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse: è proprio Gesù che parla nelle Scritture, è Gesù che parla in esse. Bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono! Si riceve e si trasmette. E’ lo Spirito di Dio che rende vive le Scritture, le fa comprendere in profondità, nel loro senso vero e pieno! Chiediamoci, come una delle domande verso il Sinodo: che posto ha la Parola di Dio nella mia vita, la vita di ogni giorno? Sono sintonizzato su Dio o sulle tante parole di moda o su me stesso? Una domanda che ognuno di noi deve farsi.

    2. Il secondo aspetto è quello del camminare. E’ una delle parole che preferisco quando penso al cristiano e alla Chiesa. Ma per voi ha un senso particolare: state entrando nel Sinodo diocesano, e fare “sinodo” vuol dire camminare insieme. Penso che questa sia veramente l’esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi! Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme.

    Qui penso ancora a voi preti, e lasciate che mi metta anch’io con voi. Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? E’ bello! Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco il nome del cane di ogni famiglia”, anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era! Che cosa c’è di più bello? Lo ripeto spesso: camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi. Che cosa c’è di più bello? E nel Sinodo ci deve essere anche che cosa lo Spirito Santo dice ai laici, al Popolo di Dio, a tutti.

    Ma la cosa più importante è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando – quanto è importante questo! Alle volte penso ai matrimoni che dopo tanti anni si separano. “Eh… no, non ci intendiamo, ci siamo allontanati ”. Forse non hanno saputo chiedere scusa a tempo. Forse non hanno saputo perdonare a tempo.

    E sempre, ai novelli sposi, io do questo consiglio: “Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!”. E se i matrimoni imparano a dire: “Ma, scusa, ero stanco”, o soltanto un gestino: è questa la pace; e riprendere la vita il giorno dopo. Questo è un bel segreto, e questo evita queste separazioni dolorose.

    Quanto è importante camminare uniti, senza fughe in avanti, senza nostalgie del passato. E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia. Qui chiediamoci: come camminiamo? Come cammina la nostra realtà diocesana? Cammina insieme? E che cosa faccio io perché essa cammini veramente insieme? Io non vorrei entrare qui nell’argomento delle chiacchiere, però voi sapete che le chiacchiere dividono sempre!

    3. Dunque: ascoltare, camminare, e il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino alle periferie. Anche questo l’ho preso da voi, dai vostri progetti pastorali. Il Vescovo ne ha parlato, recentemente. Ma voglio sottolinearlo, anche perché è un elemento che ho vissuto molto quando ero a Buenos Aires: l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale. E’ il caso della diocesi che avevo prima, quella di Buenos Aires. Una periferia che mi faceva tanto male, era trovare nelle famiglie di classe media, bambini che non sapevano farsi il Segno della Croce. Ma, questa è una periferia! E io vi domando: qui, in questa diocesi, ci sono bambini che non sanno farsi il Segno della Croce? Pensateci. Queste sono vere periferie esistenziali, dove Dio non c’è.

    In un primo senso, le periferie di questa diocesi, per esempio, sono le zone della Diocesi che rischiano di essere ai margini, fuori dai fasci di luce dei riflettori. Ma sono anche persone, realtà umane di fatto emarginate, disprezzate. Sono persone che magari si trovano fisicamente vicine al “centro”, ma spiritualmente sono lontane.

    Non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal famoso “si è sempre fatto così!”. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!

    Ecco, cari amici, non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della vostra Chiesa aspetti belli e importanti che vanno fatti crescere e voglio confermarvi in essi. Ascoltate la Parola, camminate insieme in fraternità, annunciate il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi protegga, e san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli del Signore! Grazie.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 08/10/2013 22:08

    IL (VERO) FRANCESCO CHE NON APPLAUDE SCALFARI. OGGI IL SANTO DI ASSISI SAREBBE BOLLATO DAI GIORNALI COME “FONDAMENTALISTA” E “FANATICO”.

    4 ottobre 2013 / In News

    La visita del Papa ad Assisi riporta agli onori della cronaca il più famoso dei santi, quello di cui Bergoglio ha preso il nome. Francesco d’Assisi però è anche il più incompreso dei santi, perché fu l’opposto esatto del santino che ne fanno oggi i media, rappresentandolo come uno svagato ecologista, ecumenista e buonista umanitario.

     

    IL VERO SAN FRANCESCO

    Il cardinal Biffi, celebrandone la festa ad Assisi nel 2004, disse che vedeva in giro “un francescanesimo di maniera, svigorito in un estetismo senza convinzioni esistenziali”, un brodino tale “che tutti lo possano assumere senza ripulse e drammi interiori, stemperato in una religiosità indistinta che non inquieti nessuno”.

    Invitava dunque a conoscere l’opera e la figura di Francesco “nella loro verità”. La verità di questo santo è l’adesione totale e assoluta al Vangelo, letteralmente. Sine glossa. Senza accomodamenti con la mentalità dominante.

    Senza quelle concessioni allo spirito dei tempi che qualche cattolico oggi fa in nome del “dialogo col mondo” e della cosiddetta “apertura alla modernità”.

    Per capire cosa significa ai giorni nostri – come suggeriva Biffi – bisogna rileggere le sue (quasi sconosciute) lettere considerandole scritte per i tempi odierni. Scopriremo che oggi Francesco verrebbe sicuramente liquidato dai media come “un fanatico”, un “fondamentalista”, un cattolico “integralista e reazionario”.

     

    AI POLITICI E ALTRI POTENTI

    Prendiamo la lettera che scrisse “a podestà, consoli, magistrati e reggitori dei popoli”, cioè tutte le cariche pubbliche (non solo i politici). Pensate che abbia fatto loro l’elenco dei problemi sociali, parlando di disoccupazione, pace, ambiente o economia? Tutt’altro.

    Li esortò potentemente a professare la fede cattolica per salvare le anime loro e quelle dei loro popoli:

    “Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo. Obbedite ai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che dimenticano il Signore e si allontanano dalle sue leggi sono maledetti e saranno dimenticati da lui. E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di avere saranno loro tolte”.

    Proseguiva (e penso a intellettuali e giornalisti):

    E quanto più saranno sapienti e potenti in questo mondo, tanto più dovranno patire le pene nell’inferno. Perciò vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria”.

    Continua (e faccio una dedica a tutti quei politici e governanti che oggi cancellano ogni memoria cristiana):

    “Siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che siano rese lodi e grazie all’onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo. E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

     

    AI FEDELI LAICI

    San Francesco indirizzò poi un’altra lettera ai semplici fedeli laici a cui raccomandò di stringersi alla “dolcezza” e “soavità” del Signore Gesù, osservando i comandamenti e facendo penitenza.

    Chi invece non segue Cristo è esortato a convertirsi e se persevera nel peccato è accoratamente ammonito dal santo di Assisi: “costoro sono prigionieri del diavolo… essi vedono e riconoscono, sanno e fanno il male, e consapevolmente perdono la loro anima”.

    Perché “chiunque muore in peccato mortale… il diavolo rapisce l’anima di lui… e tutti i talenti e il potere e la scienza e la sapienza che credevano di possedere sarà loro tolta… e andranno all’inferno dove saranno tormentati eternamente”.

     

    AI SACERDOTI E SULLA CHIESA

     

    C’è poi una lettera di san Francesco ai sacerdoti. Anch’essa sorprendente, perché non esorta i sacri ministri all’azione sociale o all’attività umanitaria, ma li esorta principalmente a tributare il massimo onore “al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo”.

    Il santo infatti è addolorato perché da molti “il corpo del Signore viene collocato e lasciato in luoghi indegni, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato senza riverenza”.

    Sembra qui di sentir riecheggiare la preoccupazione di Benedetto XVI, il suo invito a cessare gli abusi liturgici del postconcilio, il desiderio di riportare il sacrificio eucaristico, con i più santi riti, al centro della Chiesa e l’adorazione al cuore della vita (proprio di recente alcuni figli spirituali del santo, i Francescani dell’Immacolata, hanno fatto parlare di sé per l’amore alla sacra liturgia).

    Eguale sottolineatura san Francesco fa per le preziose parole del Signore, ossia il Vangelo, alla cui difesa (dagli attacchi ideologici) papa Benedetto ha dedicato tre poderosi libri.

    Dice san Francesco:

    “Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, perché ‘l’uomo carnale non comprende le cose di Dio’ (1Cor 2,14). Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno?”.

    Ecco perché san Francesco ha un particolare atteggiamento di venerazione per la santa Chiesa. Da quando riceve dal crocifisso di San Damiano il mandato “Ripara la mia Chiesa” egli avrà per la Sposa di Cristo solo parole di amore.

    E quando va a sottoporsi al giudizio della Santa Sede dice con tenerezza “Andiamo dalla madre nostra”. E quando sa di ecclesiastici indegni o corrotti (e ce n’erano!) lui va a baciare le loro mani perché sono quelle mani che consacrano il corpo del Signore.

    E di fronte alla corte pontificia non lancia strali e anatemi sui lussi e le vanità ecclesiastiche, ma, povero e umile, promette l’obbedienza sua e quella dei suoi frati ai pastori stabiliti da Cristo.

     

    PROSELITISMO E POVERTA’

     

    Infine nella sua “Regola non bullata” invita i suoi frati a dare testimonianza a Cristo (fino al martirio) anche “tra i saraceni e gli altri infedeli” (del resto lui stesso andò ad annunciare Cristo al Sultano e molto presto i suoi frati ricevettero il martirio).

    Non ritenne la testimonianza un deteriore “proselitismo”. Infatti per lui la conversione era la via della salvezza.

    Anche il tema della “povertà”, centrale nell’esperienza francescana, è stato totalmente frainteso. Per il santo la povertà non era una condizione sociale da sradicare, ma anzi un modo di vita da abbracciare con amore.

    Non considerava infatti la “povertà” una categoria economica, ma teologica. La riferiva al Figlio di Dio che “spogliò se stesso assumendo al condizione di servo”, Colui che “da ricco che era”, cioè Dio, si fece uomo di carne mortale, che annientò se stesso per la salvezza degli uomini.

    La povertà di Francesco era memoria dell’incarnazione.

     

    SCEGLIERE: O SAN FRANCESCO O MARTINI

    Questo è il santo di cui papa Bergoglio ha preso il nome e che oggi va ad omaggiare ad Assisi. Lui che è il primo papa gesuita sa che storicamente un certo filone del gesuitismo si è duramente scontrato con la radicalità evangelica di san Francesco.

    C’è infatti una parte del movimento gesuitico che – invece di innalzare gli uomini al Vangelo (come san Francesco) – ha pensato di abbassare il Vangelo ai costumi delle genti e alle culture delle corti principesche.

    E’ la polemica contro i gesuiti del Pascal delle “Lettere provinciali” che li accusò di lassismo.

    Anche il dotto gesuita Matteo Ricci in Cina ritenne di poter accettare riti pagani e culture ritenute invece inaccettabili dai francescani (la Santa Sede dette ragione a questi ultimi e i gesuiti si giocarono il favore della corte cinese).

    Del resto fu un papa francescano, Clemente XIV a sopprimere nel 1773 i gesuiti. Dunque anche oggi c’è un bivio, bisogna scegliere fra la radicalità di san Francesco e – per fare un esempio attuale – lo “spirito dialogante” col mondo del gesuita cardinal Martini.

     

    Antonio Socci

     

    Da “Libero”, 4 ottobre 2013

    Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”



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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/12/2015 22:45

      FRA MAURO JOEHRI SU CAPPUCCINI ED ALTRO (MONTAGNA COMPRESA) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 19 dicembre 2015

    Ampia intervista al Ministro generale dei Cappuccini, da poco anche presidente dell’Unione Superiori generali – Tra gli argomenti la situazione dell’ordine cappuccino, la questione degli scandali finanziari nel mondo religioso, la collaborazione tra i rami francescani, gli incontri con Benedetto XVI e Francesco, l’ultimo Sinodo, l’idea di un Sinodo del popolo, gli anni passati al Santuario della Madonna del Sasso a Orselina sopra


    Locarno, l’amore per la montagna.
     

     

    Chi è fra Mauro Jöhri? Nato nel 1947 nell’elvetica Bivio grigionese e trilingue, dal 2006 è Ministro generale dell’Ordine cappuccino e dal 27 novembre scorso anche presidente dell’Unione Superiori Generali. Novizio dal 1964, studente di teologia al Seminario di Soletta, sacerdote dal 1972 e dottore in teologia nel 1980, ha vissuto e operato per undici anni nel Canton Ticino, presso il santuario locarnese della Madonna del Sasso, diventando poi nel 1995 provinciale dei Cappuccini elvetici.

     

    Appassionato di montagna, sguardo schietto e sorridente, fra Mauro ci attende presso la Curia generalizia cappuccina per una nuova intervista dopo quelle rilasciateci per il mensile “Il Consulente RE” nel 2007 e nel 2010 (vedi in www.rossoporpora.org , rubrica Svizzera) e, sempre perwww.rossoporpora.org e il “Giornale del Popolo” di Lugano, nell’ottobre del 2014 (“Parlano gli svizzeri”, rubrica Interviste a personalità). Nell’intervista si parte dalla… montagna (e si conclude con la stessa); tra gli argomenti principali l’elezione a presidente dell’Unione Superiori Generali, la situazione nell’Ordine cappuccino, gli scandali finanziari nel mondo religioso con conseguente deterioramento dell’immagine nell’opinione pubblica anche cattolica, gli incontri con Benedetto XVI e papa Francesco, l’intensificarsi della collaborazione tra i rami francescani (vedi progetto di un’Università francescana a Roma), il biennio sinodale, l’idea di un Sinodo del popolo, gli anni nel Canton Ticino…

     

    Fra Mauro, Lei è Ministro generale dei Cappuccini dal 2006, da fine novembre  anche presidente dell’Unione Superiori Generali (USG/che raccoglie circa 200 Congregazioni nel mondo)… trova ancora il tempo necessario per le arrampicate grigionesi sopra Bivio?

    Anche quest’estate sono riuscito a stare qualche settimana a casa mia. E ne ho approfittato per risalire alcune montagne amate, certamente non più scalando rocce, ma in ogni caso facendo lunghe passeggiate e godendomi i bei panorami grigionesi. L’ho fatto e sono stato fiero di essere riuscito ancora a farlo.

    Ma nel 2016, essendosi aggiunta la carica di presidente dell’USG?

    Penso di sì, poiché l’impegno richiestomi come presidente dell’USG non mi impedirà di continuare ad essere a pieno tempo Ministro generale dei Cappuccini e anche di prendermi il giusto tempo del riposo e del recupero. Come USG ci riuniamo annualmente due volte per due giorni e mezzo, poi incontriamo ogni tanto la Congregazione vaticana per gli istituti di vita consacrata e Propaganda fide. L’USG ha un segretariato permanente che funziona. Quindi, se ho accettato di presiedere l’USG, significa che ho pensato di farcela senza sacrificare il resto del servizio e anche le pause ristoratrici necessarie.

     

    L’ORDINE CAPPUCCINO CALA IN EUROPA, MA ‘TIENE’ NEL MONDO

    Lei è Ministro generale di un Ordine che conta ancora su truppe consistenti. Anche da voi però si registra un certo calo…

    Sì, un certo calo c’è, ma non così sensibile: da anni continuiamo a mantenerci sopra quota diecimila membri. In ogni caso sto constatando che il calo complessivo sta diminuendo. Non solo: da noi ormai la categoria d’età più numerosa è quella tra i 30 e i 50 anni.

    Un fatto non così banale, se si pensa alle tante congregazioni maschili e femminili dall’età media dei membri tra i 70 e gli 80 anni…

    Se scendiamo in qualche dettaglio geografico, si può rilevare che il nostro calo continua in Europa (salvo che in Polonia) sia per l’invecchiamento che per la carenza di vocazioni. In Italia si registra comunque un calo meno forte, dato che qualche vocazione c’è ancora. Se guardiamo al mondo, l’Ordine sta tenendo. La crescita maggiore si registra in Asia: in India, in Indonesia, mentre le Filippine si stanno riprendendo. Aumentiamo anche in Africa, siamo più o meno stabili in America latina; e si nota una certa ripresa negli Stati Uniti, dovuta penso alla presenza in parrocchie di periferia di immigrati, dai vietnamiti ai salvadoregni. Lì sono molte le persone in cerca di un’identità: sono dei cattolici e il cattolicesimo può orientare la loro vita in misura rilevante.

     

    GLI SCANDALI FINANZIARI NELLA VITA CONSACRATA: LA STORIA DOVREBBE INSEGNARE…

    In questi ultimi anni l’immagine della vita consacrata, perlomeno in Europa (in primis in Italia) si è assai deteriorata nell’opinione pubblica (cattolici compresi) per l’emergere, purtroppo ricorrente, di scandali di vario genere, anche finanziari…

    E’ evidente che gli scandali non giovano mai all’immagine. Per esempio, nel caso dei Frati minori, si è suicidato il faccendiere cui alcuni economi avevano affidato più o meno 50 milioni di euro da far fruttare. La gente si chiede non come mai i frati siano stati derubati, ma come mai avessero così tanti soldi. Tuttavia, guardando agli oneri di un Ordine come quello dei Frati minori che ha 14.000 membri, impegni vari, strutture, università, uno può dire: beh, di soldi ne dovevano per forza avere tanti per gestire bene il tutto.

    Il problema è che non sono stati gestiti bene…

    Bisogna evitare una tentazione: quella di far soldi facilmente, prestando fede e denaro  al faccendiere che ti offre interessi elevati. Capisco che di fronte alle difficoltà di trovare i soldi per ristrutturare questo o quell’edificio, scuola, ospedale, uno possa lasciarsi allettare dalla promessa di tassi d’interesse superiori al normale. Può capitare… ma la storia dovrebbe insegnarci che operazioni del genere sono sempre andate male. Noi Cappuccini ne sappiamo qualcosa a causa del ‘caso Giuffrè’, il cosiddetto ‘banchiere di Dio’, che verso la fine degli Anni Cinquanta ci fece perdere una somma enorme promettendo interessi altissimi. Sono fatti che non dovrebbero più capitare e sono anche ben cosciente che ripulire, ricostituire l’immagine costa molto più tempo e fatica che non sporcarla.

     

    DA BENEDETTO XVI A PAPA FRANCESCO


    Da Ministro generale dei Cappuccini Lei ha già conosciuto due Papi: incominciamo da Benedetto XVI…

    L’ho sempre molto apprezzato per la sua profondità di pensiero. Mi ricordo di un   incontro molto bello con lui, durante il quale gli ho tra l’altro prospettato di permettere l’accesso anche ai nostri fratelli consacrati non sacerdoti alle cariche nel nostro Ordine (una questione per noi assai importante). Benedetto XVI mi disse, da professore di teologia, che non sarebbe stato possibile, fornendo anche tutta una serie di argomenti a favore della sua tesi. Io gli chiesi allora se era possibile fare un’obiezione. Accettò di ascoltarla e dunque la esposi brevemente: osservai che la Regola di San Francesco del 1223 prevede che alle cariche possano accedere sia religiosi che laici consacrati. Benedetto XVI osservò che il problema stava proprio lì. Per la verità speravo che lui mi dicesse che quella era la soluzione, ma… non sono il Papa! Poi mi ricordo molto bene quando venne ad Assisi per un momento molto intenso di dialogo interreligioso. Infine non posso dimenticare l’atto della rinuncia al Papato… per me e per tanti altri un fulmine a ciel sereno, un momento di grande sorpresa, un atto – penso – di grande umiltà e di grande coraggio.

    Passiamo a papa Francesco…

    Non l’ho ancora mai incontrato a tu per tu come per Benedetto XVI, però è un religioso e questo si nota continuamente. Già è emerso nella prima grande intervista rilasciata nell’estate del 2013 a padre Spadaro, direttore de ‘La Civiltà cattolica’. Poi l’abbiamo incontrato come Consiglio dell’USG il 29 novembre del 2013: un’intera mattinata, tre ore in cui abbiamo parlato a lungo di tanti argomenti che toccano la vita religiosa. Il Papa ci spronati a essere più coraggiosi, ad andare alle frontiere, a svegliare il mondo, ad essere autentici nella nostra vocazione…. 

    Spesso papa Francesco si occupa di vita religiosa nei suoi interventi: secondo alcuni non fa quasi altro che rimproverare, per altri invece in ogni caso è uno stimolo a migliorare il proprio servizio…

    Stimola, stimola, ma certo i messaggi che lancia non sono comodi. Ad esempio, se scoppia uno scandalo finanziario in una Congregazione, il Papa ci avverte senza troppi riguardi: “Se non ci pensate voi a diventar poveri, ci penserà il Signore a togliervi quello che avete di troppo”. Papa Francesco certo ha rivalorizzato la vita consacrata, messa un po’ in ombra dalla nascita e dalla crescita dei nuovi movimenti laicali, quando sembrava che farsi frate o suora fosse una scelta un po’ fuori moda. Si deve dire: papa Francesco ci ha ridato considerazione, indicendo anche ad esempio il recente Anno della vita consacrata. Poi, per noi cappuccini, è particolarmente commovente che il Papa abbia voluto l’esposizione in san Pietro nella prima metà del prossimo febbraio, per l’Anno giubilare della Misericordia, delle spoglie di due nostri grandi amministratori della misericordia di Dio, ambedue santi, padre Leopoldo Mandic e padre Pio da Pietrelcina.

    Un paragone tra papa Benedetto XVI e papa Francesco?

    Sono diversi, hanno un retroterra diverso, una formazione diversa… non si possono fare paragoni!

     

    UN’UNICA UNIVERSITA’ FRANCESCANA A ROMA NEL 2018?

    In Europa, salvo l’eccezione polacca come già notato, la diminuzione del numero dei frati richiede forse una collaborazione più incisiva tra i vari rami francescani, per esempio in ambito educativo…

    L’intenzione comune perseguita da Cappucini, Frati Minori, Minori Conventuali e Terzo Ordine francescano è di concretizzare, entro Pasqua 2018, un progetto di un’Università unica francescana a Roma - eventualmente integrando anche gli istituti storici, mettendo in rete tutte le nostre biblioteche centrali - facendone un polo che offra il massimo a livello di ricerca storica e di riflessione sull’apporto dei francescani alla Chiesa e al mondo di oggi. Noi cappuccini in questo ambito siamo un po’ i ‘parenti poveri’, ma abbiamo comunque un Istituto di spiritualità all’interno della Pontificia Università Antoniana dei Frati Minori. I Minori conventuali dal canto loro oggi hanno ilSeraphicum e stanno già cercando sinergie con l’Antonianum

    E fuori Roma? 

    Ad Assisi è nata un’altra iniziativa, “Francescani a capitolo”, che punta sul 2017, anno in cui ricorrono i 500 anni di una Bolla papale prevista per riunificare e che però de facto finì per sancire la divisione tra Francescani Conventuali e Frati Minori dell’Osservanza. Ora non si può celebrare una divisione interna. Sarebbe come se noi ci rallegrassimo per l’anniversario della nascita della Riforma protestante, che spaccò la Chiesa. Noi vogliamo prepararci allora per il 2017 con un percorso di riconciliazione, ricordando che nel 1216 san Francesco ottenne l’indulgenza del Perdono di Assisi… dobbiamo riconciliarci tra noi, dimenticare la storia delle angherie che ci si è fatti a vicenda. In tal senso poi nel 2017 potranno anche nascere iniziative per una più stretta collaborazione tra le famiglie francescane: è un’esigenza quella di creare esperienze inter-obbedienziali (ogni francescano obbedisce alla sua famiglia). Ne esistono per esempio già a Bruxelles per la formazione in comune di missionari, utili anche a chi viene dal resto del mondo. Ad esempio di fronte all’urgenza del problema dei rifugiati si potrebbero far interagire non solo nostre strutture, ma anche persone nostre competenti in materia, indipendentemente dalla loro ‘obbedienza’. .

    Ancora sul tema: ci sono luoghi in Europa in cui itutti  principali rami francescani sono presenti e altre in cui invece non c’è ormai più nessuno. In tal senso è ipotizzabile una miglior distribuzione delle risorse umane e materiali francescane?

    Sto pensando ad esempio alla situazione di Friburgo. Vi troviamo i Cordéliers , Frati minori conventuali e i Cappuccini. Noi Cappuccini fatichiamo abbastanza ormai a mantenere la casa, anche se essa è molto utile, poiché permette ai francofoni che arrivano da varie parti del mondo o anche ad esempio agli indiani destinati a un servizio pastorale nella Svizzera Romanda di frequentare la facoltà di teologia. In questi giorni ho scritto al ministro provinciale di Svizzera rilevando che non sarebbe oggi così auspicabile chiudere il nostro convento, ma sarebbe invece più interessante studiare le modalità di una collaborazione più stretta con i Cordéliers. Il discorso lo voglio portare anche a livello di Unione dei Superiori generali… è un po’ l’eredità che ci ha lasciato il mio predecessore, il gesuita padre Nicolas: bisogna intensificare la collaborazione tra le varie congregazioni religiose, in modo che in determinate diocesi non venga meno la presenza di religiosi.

     

    IL SECONDO SINODO SULLA FAMIGLIA

    Lei è stato padre sinodale in occasione del primo Sinodo sulla famiglia, quello del 2014; ma nel secondo, dell’ottobre scorso, no…

    Nel secondo non lo sono stato: vi ho rinunciato, poiché sapevo che, finito il Sinodo, mi avrebbero aspettato quattro settimane intense di Consiglio plenario del nostro Ordine. Ho l’esperienza di tre Sinodi e so che partecipare al Sinodo comporta un grande dispendio di energie intellettuali e fisiche. Perciò, quando c’è stata l’elezione dei dieci religiosi scelti dall’USG, dissi che non mi sarei sentito di accettare la nomina…

    Che idea si è fatta del secondo Sinodo, in attesa che sia promulgato l’atteso (con speranze o timori a seconda dei punti di vista) documento magisteriale conclusivo di papa Francesco?

    Ho ascoltato la relazione dei dieci nostri padri sinodali e ne ho tratto l’impressione che, se all’inizio del recente Sinodo di ottobre, la situazione sembrava burrascosa con il rischio quasi di una spaccatura o addirittura di uno scisma, poi in realtà con lo scorrere dei giorni l’ambiente si è rasserenato. Il fatto di aver dato più spazio ai Circuli minores linguistici ha permesso certo di approfondire meglio gli argomenti. E’ vero che molti hanno evidenziato che durante i lavori è emersa qualche lacuna in materia di riflessione teologica, essendo data troppo per scontata questa o quella asserzione. Non a caso il gruppo linguistico tedesco pieno di teologi è forse quello che ha dato l’apporto teologico più approfondito, al di là delle note divergenze tra i suoi membri.  

     

    ANCHE UN SINODO DEL POPOLO DI DIO?

    A proposito di Sinodo, si è letto di una proposta emersa dall’assemblea dell’USG nel senso di prefigurare un Sinodo di popolo insieme con quello tradizionale dei vescovi. Ci può spiegare di che si tratta?

    E’ un fatto nuovo e interessante che, prima del Sinodo 2014 e poi nel periodo intersinodale, il popolo cattolico sia stato consultato sull’argomento dei lavori, dando  una serie di risposte diverse a seconda della sua sensibilità, esperienza, formazione in materia. Noi certo siamo dell’idea che il Sinodo dei vescovi debba rimanere. Lì noi religiosi abbiamo una nostra presenza istituzionale in quanto sacerdoti, ma se un superiore di congregazione non è sacerdote, dal Sinodo è escluso. Sappiamo che la vita consacrata è rappresentata da noi religiosi, ma in misura molto più ampia dalle suore: perché loro non possono essere tra i membri del Sinodo? Anche i laici sono solo uditori. E allora ci si chiede: perché non pensare a una struttura sinodale in cui il popolo di Dio possa esprimere la sua opinione su certi grandi temi della vita ecclesiale, così da farsi sentire, camminando insieme con la Chiesa gerarchica?

    In tal caso avremmo due Sinodi: e i religiosi dove li collocheremmo?

    Se si intendono i religiosi come dono carismatico per la Chiesa, noi non facciamo parte in sé della struttura gerarchica, siamo dei battezzati che cercano di vivere con molto impegno il loro battesimo e ci sentiamo più dalla parte del popolo di Dio che della gerarchia…

    La proposta precisa di un Sinodo del popolo è stata formalizzata e votata dall’assemblea dell’USG?

     

    No, no… è un’idea che circolava e che dobbiamo prima ben approfondire. Ci vorrà il suo tempo.

     

    GLI ANNI BELLI DELLA MADONNA DEL SASSO

    Tornando in quel Ticino da Lei ha ben conosciuto, come ricorda gli anni vissuti alla Madonna del Sasso a Orselina, sopra Locarno?

    E’ stato un bellissimo periodo quello degli undici anni alla Madonna del Sasso.   Insegnavo al Liceo, alla Magistrale, poi alla Facoltà di teologia di Coira, poi qualcosa anche a Lugano. Ho un bel ricordo dei locarnesi, soprattutto della gioventù, degli amici della montagna con i quali ho fatto diverse scalate… il 19 dicembre sarò a Locarno per celebrare la tradizionale messa per commemorare i due amici morti tanti anni fa sulla Bluemlisalp. E io ero con loro. Il legame con il Ticino c’è, è vivo e forte anche se non posso sempre onorarlo; è un legame che mi ha segnato… io ci tornerei domani!

    Concludiamo come abbiamo iniziato: con l’amata montagna…

    La montagna è la mia radice. Sono nato e cresciuto in montagna. La montagna è lo sforzo, la fatica, il cercare la via… è anche la gioia immensa del silenzio, del fermarsi, del guardare, dell’ascoltare, dello scovare la selvaggina, la vita della montagna… a me piace moltissimo scoprire dove sono i camosci. La montagna me la porto dentro. Quando uno sa dove sono le sue radici, può andare dovunque. Non posso usare l’immagine dell’ancora, perché è marina… ma io sono incordato, ho un punto fisso, una sicurezza. Non può capitarmi niente. E’ la mia radice interiore, che è poi anche quella della fede. Se penso alla fede che mi ha trasmesso soprattutto il papà, che mi ha portato con sé per la prima volta in chiesa, che mi ha insegnato le risposte della messa e quelle del catechismo, che mi condusse al santuario di Ziteil a 2400 metri sopra Savognin, il più alto d’Europa prima di portarmi in Seminario… questi sono fatti che segnano la vita!

    P.S. L’intervista appare in originale su www.rossoporpora.org e, in versione cartacea leggermente ridotta, nell’inserto ‘Catholica’ del ‘Giornale del Popolo’, quotidiano cattolico della Svizzera italiana (edizione di sabato 19 dicembre 2015).




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)