Ieri, nella festa dei Santi Pietro e Paolo, si sono svolte come consuetudine le ordinazioni diaconali e sacerdotali nel seminario svizzero di Ecône, della Fraternità Sacerdotale S. Pio X. Dodici nuovi preti e dieci nuovi diaconi sono stati ordinati dalle mani del vescovo spagnolo de Galarreta (nella foto), che tra l'altro è il coordinatore dei teologi della FSSPX che prendono parte ai colloqui dottrinali in Vaticano, da poco conclusi.
L'omelia del vescovo, che insieme a mons. Fellay non è considerato appartenere all'ala dura della Fraternità, a differenza del confratello Tissier de Mallerais (per non parlare di Williamson), era attesa per quanto avrebbe potuto lasciar intendere circa lo stato dei colloqui e dei rapporti con Roma.
L'attesa non è andata delusa.
Nell'omelia di tre quarti d'ora, che è disponibile in formato audio a questo link, il presule si sofferma lungamente nella prima parte sulla funesta illusione del Vaticano II di conciliare la fede cattolica con alcuni dei principi dell'illuminismo e della rivoluzione francese; e a testimone di quell'intenzione fallace chiama a testimone lo stesso Joseph Ratzinger, che ebbe a definire i testi conciliari come un "contro-sillabo" e considerò che la Chiesa dovesse far propri, purificandoli, alcuni ideali nati al di fuori di essa, e segnatamente dal liberalismo.
Ma se questa è la pars destruens della predica di mons. de Galarreta, viene poi la pars construens e la difesa appassionata dell'esigenza di cercare in Roma la soluzione dei problemi della Chiesa.
Premessa infatti la gravità della situazione e degli errori dottrinali così diffusi nella Chiesa conciliare, si dovrà dunque abbandonare quest'ultima a se stessa, si chiede retoricamente il presule? Tutto il contrario, risponde con trasporto: "Per principio dobbiamo avere dei contatti e per principio dobbiamo andare a Roma". In primo luogo - osserva - perché siamo cattolici, apostolici e ROMANI. Poi, perché se Roma è il centro del cattolicesimo, è da Roma che la soluzione deve venire. Quindi, vale più il poco di bene che si può fare a Roma, che il molto bene che si può fare altrove.
E poi, charitas Christi urget nos, aggiunge il presule. Il quale dichiara di comprendere che è estremamente difficile abbandonare gli errori di tutta una vita, rompere con attitudini e abitudini legate a insegnamenti erronei e acquisiti con il beneplacito dell’autorità. Riconosce che non è facile, e invita i suoi ad avere compassione. La carità è un dovere; chi si oppone per principio e accanitamente ad ogni contatto con i modernisti, con Roma, dovrebbe ricordare un passaggio del vangelo: quando il Signore non è stato ricevuto in una città, Giacomo e Giovanni gli chiedono di far scendere il fuoco divino su di essa. Ma Gesù li rimprovera: essi non avevano ancora ricevuto lo Spirito, che è Spirito di carità.
L’amore di Nostro Signore si è manifestato non nella guerra, negli anatemi, nelle condanne, facendo scendere folgori dal cielo, ma nell’umiltà, nell’umiliazione, nell’obbedienza, nella pazienza, nella sofferenza, nella morte, e ancora perdonando i nemici sulla croce. Nella Sua vita, ha cercato in tutti i modi di far ammettere la Verità ai farisei per offrir loro la salvazione e il perdono. Ecco dunque l’esempio da seguire. E così conclude (parafrasi nostra):
Non vedo come la fermezza della Verità sarebbe opposta alla leggerezza, all’ingegnosità e perfino all’arditezza della Carità. Né l’intransigenza dottrinale è contraria alle viscere della misericordia e al sale missionario e apostolico della carità. Non c’è da scegliere tra fede e carità, ma abbracciare entrambe. Senza la carità, non sono niente: se sposto le montagne e dò tutto ai poveri, senza la carità non sono niente, come dice l’epistola ai Corinzi. La carità è paziente, la carità è buona, non è invidiosa, non cerca il proprio interesse e non tiene conto del male. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Ecco come possiamo cooperare alla restaurazione della Fede, alla restaurazione di tutte le cose in Cristo. E se il rimedio consiste in Cristo, questo rimedio passa necessariamente per il Cuore della Nostra Madre la S. Vergine Maria. E’ lei, la madre di Cristo, la madre di Dio, la madre di tutti gli uomini, la Corredentrice, la Mediatrice di tutte le grazie; è la Regina di tutta la creazione, del cielo e della terra.
Nell'ambito dei discorsi dai toni sovente assai 'duri' dei membri della Fraternità, specie quando sono rivolti precipuamente ad un uditorio interno e più ancora in una circostanza fondativa come le ordinazioni annuali nel principale seminario della Fraternità, il sermone di mons. de Galarreta si distingue per le nuances filoromane che traspaiono palesemente dal testo ed inducono ad un moderato ottimismo circa gli umori interni alla FSSPX in relazione all'offerta vaticana di regolarizzazione canonica. Netto è infatti il rimprovero che il vescovo riserva a coloro che vorrebbero l'interruzione dei contatti con Roma e anelano allo splendido isolamento di una deriva scismatica. Egli, con San Paolo, li considera 'cembali che tintinnano', uomini zelanti e operosi che tuttavia mancano della sola caratteristica che possa rendere virtuoso il loro agire: la carità, ossia l'amore per il prossimo. E ancor più chiaro è il messaggio che esprime ricordando come sia meglio poco bene fatto a Roma, ossia nel cuore della Chiesa, che molto bene fatto altrove, ossia fuori di essa. La Fraternità sente di avere una missione benefica da compiere in favore della Chiesa. Ma per farlo, ricorda il presule, si deve passare attraverso Roma, poiché è da Roma che dovrà venire la soluzione della attuale crisi della Chiesa.
da Enrico di Messainlatino