Quale situazione ecumenica possiamo presentare? Esiste un dialogo?
Cristiani e musulmani in tandem
Secondo lo Yearbook (annuario) 2002 delle Chiese statunitensi, le prime dieci, per numero di fedeli, sono:
1) cattolica romana 63,6 milioni;
2) Southern Baptist Church 15,9;
3) metodista 8,3;
4) Chiesa di Dio in Cristo 5,4;
5) Chiesa di Gesù Cristo dei santi dell'ultimo giorno (mormoni, anche se non sono ben visti nel mondo cristiano) 5,2;
6) evangelica luterana 5,1;
7) Convenzione nazionale battista 3,5;
8) Pcusa (Presbiteriani) 3,4;
9) Assemblee di Dio 2,5;
10) luterana del Sinodo del Missouri (si è scissa dalla Chiesa Lutyerana) 2,5.
Primeggia, dunque, la Chiesa romana; ma, nell'insieme, sono più numerose le Chiese protestanti ed "evangelicali" perché, oltre alle citate, ce ne sono molte altre, le denominazioni sono circa 30.000, anche se frazionate. La Pcusa (Chiesa Presbiteriana Americana) è all'ottavo posto nella "classifica"; tuttavia il suo peso politico ed ecclesiale nel paese è più grande di quello che dicano i nudi numeri.
La Pcusa - una Chiesa riformata, cioè legata alla tradizione calvinista - già da anni aveva programmi di "Peacemaking" (promozione della pace) e di dialogo inter-religioso; ma in vista dell'anniversario dell'11 settembre, ha varato il Presbyterian Interfaith Listening Pilot Project (progetto pilota presbiteriano per l'ascolto inter-religioso). Esso prevedeva che da dieci paesi (Kenya, Egitto, Niger, Etiopia, Libano, Giordania, India, Filippine, Indonesia, Italia) venissero due persone, l'una cristiana (protestante, cattolica-romana e ortodossa) e l'altra musulmana, che in tandem visitassero varie città statunitensi, per incontrare comunità presbiteriane, ma anche un pubblico più variegato e università, per raccontare - partendo dal proprio vissuto - del dialogo inter-religioso e del rapporto Cristianesimo-Islam all'interno dei propri paesi.
Gli invitati hanno ottenuto il visto per gli Usa, ma con due eccezioni, il che ha obbligato a cambiamenti nella rete di incontri previsti da mesi. Mostafa El Ayoubi, nato in Marocco, musulmano, da dodici anni residente in Italia, giornalista a Confronti, malgrado le molte attese - protrattesi per oltre due mesi - al Consolato statunitense a Roma, ha ottenuto il visto fuori tempo massimo per poter partecipare al programma; nessun visto invece per Hadji Billamin Hasan, musulmano, filippino, impegnato nell'isola di Mindanao in negoziati per la liberazione di ostaggi (presi da gruppi islamici che si oppongono al governo centrale di Manila). Nel caso di Mostafa, malgrado le molte sollecitazioni della direzione di Confronti e della Pcusa, nessuna spiegazione plausibile ha dato il Consolato Usa a Roma per motivare un rifiuto che sembra violare in modo flagrante la Carta dell'Onu.
L'intero gruppo degli invitati (per la Chiesa Cattolica un cardinale e due vescovi) ha trascorso tre giorni (7-9 settembre) a Stony Point, un villaggio nello stato di New York, a quaranta chilometri della metropoli, ove la Pcusa ha un centro adatto per incontri. Il dialogo tra gli intervenuti, e tra essi e i dirigenti della Pcusa, ha permesso di inquadrare meglio modi e contenuti delle conferenze che i vari tandem avrebbero dovuto poi tenere dalla Florida alla California, dal Texas al Michigan, dall'Illinois al Missouri.
A Stony Point era presente anche il moderatore della Pcusa, Fahed Abu-Akel. Nato da una famiglia cristiana araba nel 1944, a Kafr-Yassif, un villaggio della Galilea che allora faceva parte della Palestina del Mandato britannico (e che oggi fa parte di Israele), Fahed già da bambino ha conosciuto le sofferenze legate alla contestata spartizione del suo paese, che originò il conflitto arabo-israeliano. Nel 1966 emigrò negli Stati Uniti, dove nell'81 ottenne la cittadinanza. Laureato in teologia a Chicago, ordinato ministro nel '78, nel giugno scorso è stato eletto moderatore (carica che di norma dura un anno) della stessa Chiesa. Il fatto che, dopo September eleventh, i presbiteriani abbiano eletto al loro "vertice" un cristiano di origine palestinese è stato certamente un atto di singolare coraggio politico ed ecclesiale, in un paese ove per molti vigono le equazioni musulmano=arabo, ed arabo=terrorista.
A Stony Point hanno parlato anche rappresentanti dell'Islam: Naeem Baig, segretario generale dell'Islamic circle del Nordamerica, Mokhtar Maghraoui, altro dirigente musulmano, e Aisha al-Adawiya, direttrice dell'associazione statunitense "Donne nell'Islam". I tre hanno ribadito che una lettura attenta del Corano spinge ad operare per la pace; confermato che essi, come tutti i cittadini degli Usa, hanno sofferto per la tragedia dell'11 settembre, condannando con fermezza assoluta i responsabili della strage; e ripetuto che i musulmani statunitensi (secondo alcuni cinque-sei milioni, secondo altri, più verosimilmente, sui due-tre milioni) sono gente tranquilla che non mira a sovvertire le istituzioni.
Un "pellegrinaggio" a "Ground Zero" ha concluso la tre-giorni di Stony Point. Lascia sgomenti la vista del buco nero nel cuore di Manhattan. Le torri gemelle che là sorgevano ora si possono vedere solo in gigantografie appese ai vicini grattacieli. Le inferriate del giardino della vicinissima chiesa episcopaliana (anglicana) di San Paolo, rimasta miracolosamente illesa dal crollo delle torri colpite dagli aerei-kamikaze, sono ricoperte da migliaia di bandierine, fazzoletti, foto, in ricordo delle vittime della tragedia. Su molti fogliettini è scritto: "Perché?".
Poi, i "tandem" sono partiti in "missione" nei vari Stati, tornando due settimane dopo a Stony Point, dove si sono condivise le diverse esperienze vissute. Ne è nato un'ampio dibattito al temine del quale Jay Rock, co-direttore con Debby Vial del Pilot Project, ci ha chiesto con umile franchezza: "Diteci come si possa annunciare credibilmente l'evangelo nel cuore dell'impero".
L'incontro di Stony Point si è concluso il 24 settembre con una singolare preghiera in comune, preparata insieme dai partecipanti; una preghiera vista non come scorciatoia per superare le grandi divergenze teologiche tra Cristianesimo ed Islam, ma per invitare ciascun credente in Dio a collaborare con il fratello per costruire la pace sulla terra. "Quale che sia il nome e quale che sia la via con cui conosciamo l'Unico Dio - diceva il testo - celebriamo la nostra comune chiamata e rivolgiamoci al Solo Santo. Il Dio Vivente ci ha riuniti in testimonianza, in impegno e in celebrazione. Ringraziamo Dio il tutto-misericordioso… O Dio dai mille nomi e dalle mille facce, Madre e Padre di ogni vita sulla terra, Tu che vivi nelle cellule di ogni vita, insegnaci a conoscerTi e ad amarTi".
Quindi Sheik Abdurahman Hussein Mussa, capo del Supremo Consiglio etiopico per gli affari islamici, ha cantato un versetto del Corano; e i cristiani hanno letto alcuni passi biblici. I diversi testi invitavano i credenti alla fede in Dio ed alla pace.