Preghiera, affetto e vicinanza al Papa, insieme alla riconferma della validità del celibato sacerdotale e dell'azione educativa della Chiesa nonostante i casi di abusi su minori compiuti da alcuni suoi ministri, casi venuti alla luce e amplificati, talora artificiosamente, dai mass media. Questi gli aspetti messi in luce da numerosi presuli nel corso della messa crismale del Giovedì santo. "Nessuna ombra, per quanto grave, dolorosa, deprecabile - ha detto il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana - può annullare il bene compiuto" da tantissimi sacerdoti. "Il sacerdote - ha affermato - è l'uomo della gioia, una gioia intrisa di bontà, una gioia impenitente perché non è fondata su illusioni e su beni effimeri, ma su Dio". La gente - ha proseguito rivolgendosi ai numerosi sacerdoti presenti - "vi vuol bene, vi guarda con stima e a volte con quella curiosità che la vostra vita, semplice e dedicata nel segno della gratuità, sollecita", perché "sempre e comunque, il mondo, credente o meno, guarda al sacerdote con l'aspettativa di vedere in noi il meglio dell'umanità e del bene. Vuole dal sacerdote niente meno che la santità".
Particolare vicinanza al Pontefice è stata espressa dal cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. "Vogliamo dire a Papa Benedetto XVI, specie in queste settimane e con particolare intensità di sentimenti, la nostra fede, la nostra preghiera e il nostro affetto". Ricordando come una delegazione diocesana sarà a Roma con il Santo Padre in occasione della celebrazione conclusiva dell'Anno sacerdotale, Tettamanzi ha dedicato interamente l'omelia al suo presbiterio. "Siamo radunati a contemplare il nostro essere presbiteri come dono grande di Dio, che precede ogni nostro merito ed eccede ogni nostra attesa, come vocazione personalissima e insieme essenzialmente ecclesiale".
A Venezia, il patriarca cardinale Angelo Scola è intervenuto al termine della messa crismale sulla "questione del peccato e del crimine di pedofilia commesso da sacerdoti e consacrati". In particolare, ha ribadito l'"affetto" e la propria "appassionata sequela" a Benedetto XVI che "tanto ha fatto e tanto fa per togliere "ogni sporcizia" dalla compagine degli uomini di Chiesa" e al quale "vengono rivolte accuse menzognere". E avverte: i vescovi italiani "moltiplicheranno i loro sforzi per prevenire i casi di pedofilia", ma la Chiesa non può subire "strategie di discredito generalizzato".
Di fronte ai numerosi casi di abusi su minori la Chiesa prova - assicura Scola - "sgomento, senso di tradimento e rimorso", ma reagisce anche con "rinnovato impegno a rendere conto di ognuno di questi misfatti, decisi a non nascondere nulla, senza tentennamenti e minimizzazioni". Tuttavia, è "fuorviante e inaccettabile" mettere in discussione il celibato dei sacerdoti sulla base di queste accuse. Un "santo celibato" - ha sottolineato - che "la Chiesa latina domanda, in piena libertà, ai candidati al sacerdozio alla luce di una lunghissima tradizione". Il celibato "quando è vissuto con lo sguardo fisso in Gesù sacerdote e con cuore indiviso per il bene del popolo di Dio che ci è affidato, è una preziosa esperienza d'amore che fa fiorire la nostra umanità. Accogliere liberamente il dono del celibato e percorrerne la via non implica alcuna mutilazione psichica e spirituale. Per coloro che sono chiamati, la grazia del celibato è strada per una singolare ma compiuta espressione della propria affettività e sessualità. Certo siamo vasi di argilla e portiamo in essi un tesoro grande ma, con l'aiuto di Dio ed il sostegno della comunità cristiana, lo portiamo con responsabilità e letizia".
Per il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, "obbedienza e sacro celibato" sono i segni caratteristici del ministero sacerdotale.
Se con l'obbedienza "il sacerdote non è più a disposizione di se stesso, è stato espropriato da se stesso", vivendo il sacro celibato ha "la capacità di donarsi totalmente a ciascuno senza possedere nessuno né essere posseduto da alcuno". E "se la nostra persona - ha concluso rivolgendosi ai sacerdoti - non fosse "stigmatizzata" da questi due segni, segnata a fuoco da essi, il mistero della nostra partecipazione all'unzione di Cristo sarebbe come il seme seminato in un terreno roccioso".
Nel frattempo, la Chiesa in Austria chiede perdono e riconosce le colpe di cui si sono macchiati alcuni suoi ministri responsabili di abusi su minori. A farlo è stato mercoledì sera il cardinale arcivescovo di Vienna, nonché presidente della Conferenza episcopale austriaca, Christoph Schönborn, nel corso di una celebrazione penitenziale nella quale hanno preso la parola anche alcune vittime degli abusi. "Riconosciamo la nostra colpa e siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità di fronte alla storia e al presente", ha detto il porporato. La celebrazione, alla quale hanno partecipato circa tremila fedeli, si è svolta nel duomo di Santo Stefano ed è stata organizzata in collaborazione con alcune organizzazioni come Wir sind Kirche ("Noi siamo Chiesa") e le associazioni delle vittime degli abusi.
Una decina di testimoni, donne e uomini, vittime dirette degli abusi o loro rappresentanti, hanno parlato denunciando e presentando davanti a Dio le violenze subite, le ferite insanabili, la delusione, ma anche le speranze e le richieste. Dinanzi a tanto dolore, ha osservato il porporato, ogni parola diventa "fuori luogo". Meglio il silenzio, ma non certamente quello dell'omertà, bensì quello riflessivo e sapienziale di Giobbe, la cui fede, secondo il racconto biblico, viene duramente messa alla prova. Schönborn ha così ringraziato le vittime degli abusi per aver rotto il silenzio, sottolineando tuttavia che "c'è ancora molto da fare" per far emergere con chiarezza i confini delle responsabilità. Gli abusi nella Chiesa sono particolarmente gravi - ha detto - perché "avvelenano il nome di Dio". E i colpevoli di questi orribili abusi sono in un certo senso "distruttori del rapporto con Dio". È questo "che rende ancora più gravi gli abusi nella Chiesa". È terribile "quando l'accesso a Dio viene ostacolato dagli uomini".
Il rito è culminato in un atto di contrizione pronunciato da Schönborn, in cui il porporato ha riconosciuto la responsabilità di alcuni sacerdoti, sia in casi di "violenza sessuale" che nell'aver "occultato i fatti". E ha riconosciuto, a nome della Chiesa, "di avere dato più importanza alla sicurezza, al potere, all'apparenza".