DIFENDERE LA VERA FEDE

La Madre di Dio nell'arte, nelle prose, nei poeti

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    Caterina63
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    00 21/05/2010 19:12
    La Madonna in Michelangelo dalla "Pietà" al "Giudizio Universale" passando per il "Tondo Doni"

    Da avvocata intrepida
    a madre affranta


    Venerdì 21 maggio viene presentato a Roma il volume La Madonna in Michelangelo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 239, euro 24). Pubblichiamo parte delle conclusioni dell'autore, e uno stralcio di un saggio introduttivo del direttore dei Musei Vaticani.
     

    di padre Stefano De Fiores

    Incontestabile è l'interesse di Michelangelo per la Madre di Gesù presente nei misteri dell'infanzia, nel mistero pasquale e infine nel Giudizio universale:  tre fasi importanti della storia della salvezza. Si può giustamente ipotizzare in questa scelta una propensione psicologica dell'artista orfano di madre a sei anni, che proietta su Maria la nostalgia del grembo materno e l'aspirazione a ritornare in esso dopo la morte. Ma non si può trascurare la fede cristiana di Michelangelo che riconosce la rilevanza di Maria nella storia dell'umanità come Madre di Cristo messia salvatore.

    In realtà la celebrazione della Madre si risolve nell'esaltazione di Cristo veramente fatto uomo per la nostra salvezza. Nel Tondo Doni Gesù bambino è al vertice della storia della salvezza dopo il tempo ante legem e quello sub lege, come redentore vittorioso. Nella Pietà vaticana lo sguardo contemplativo e dolente della Madre è concentrato sul corpo esanime del Figlio, mentre nella Pietà Rondanini l'unione dei due personaggi giunge a farne un solo corpo e un'unica realtà.

    Mentre i vangeli non parlano della presenza di Maria nel seppellimento di Cristo, Michelangelo non dimentica che il quarto Vangelo testimonia la presenza di Maria presso la croce (Giovanni, 19, 25) e avverte il bisogno di insistere sulla raffigurazione del Crocifisso che parla ai due testimoni privilegiati:  Maria e Giovanni. La Pietà non fa che prolungare logicamente questa presenza sul Calvario. Non pago di presentare Maria con le mani alzate e gli occhi al cielo nella Pietà disegnata per Vittoria Colonna, Michelangelo fa partire dalla testa della Madre la scritta dantesca sul legno della croce che proclama l'importanza del sangue redentore di Cristo:  "Non vi si pensa quanto sangue costa", richiamando la grande realtà da non banalizzare della grazia a caro prezzo.

    La lettura teologica della produzione mariana di Michelangelo conduce a sconfiggere il pregiudizio che vede nelle opere degli artisti occidentali, soprattutto del Rinascimento, solo dei contenuti naturalistici. Giovanni Paolo ii reagisce contro questa teoria affermando il valore spirituale dell'arte cristiana occidentale, compresa quella rinascimentale, in cui i sommi artisti "hanno riversato le ricchezze del loro genio, intriso spesso di grande profondità spirituale". Non si può negare che le Madonne di Michelangelo(...) pur nei loro tratti formali classici, manifestino dei contenuti dogmatici di alto profilo:  realismo del corpo della Vergine in prospettiva dell'autentica incarnazione del Figlio di Dio, preoccupazione per il futuro di Gesù e dolore per la sua passione in base ai dati della Parola biblica, tipologia ecclesiale, unione indissolubile tra Madre e Figlio.

    Le raffigurazioni michelangiolesche di Maria, inserite nella tradizione artistica mariana, sono da considerare non soltanto delle illustrazioni estetiche, ma dei veri "luoghi teologici", espressioni di fede e insieme simboli culturali di quel dato periodo. La vera bellezza di Maria interpretata da Michelangelo si trova nella coesistenza di umanità e mistero, espressione artistica e contenuto storico-salvifico, immanenza nello spazio materiale e trascendenza di significato.

    Il palese interesse per la donna in quanto madre e sposa, dimostrato da Michelangelo nell'interpretazione degli antenati, è la sorpresa di chi passa dal testo stereotipato e fondamentalmente maschilista della genealogia di Matteo alla lettura del vasto ciclo affrescato dal genio di Caprese sulla volta e sulle pareti laterali della Cappella Sistina. Oltre alla raffigurazione della Madre di Gesù nell'ultima lunetta dedicata a Giacobbe e a Giuseppe, i suoi lineamenti sono scorti dai commentatori nelle varie donne che Michelangelo sottrae dalla zona amorfa dell'implicito e dal grigiore muto del non detto. In particolare l'esaltazione della maternità in autentici capolavori che prendono posto nell'arte universale trova riscontro in bassorilievi, statue e disegni dove l'artista ha immortalato Maria e in essa la propria fede e insieme una sentita e quasi spasmodica ricerca personale del vettore materno.

    La Madonna della Cappella Sistina pone di fronte al lavorio di Michelangelo che elabora la raffigurazione definitiva del Giudizio universale sotto l'influsso di testi teologici e letterari, ma sostanzialmente perfezionando la figura di Cristo e in conseguenza modificando radicalmente quella di Maria. Occorre da una parte superare l'interpretazione vasariana che legge nell'affresco sistino la "terribilità" del giudice senza misericordia e l'emarginazione di Maria impaurita lei stessa dalla minacciosa mano del Figlio. La Madonna sistina è posta nello stesso alone di luce di Cristo, la prima dei salvati e benedetti alla destra di lui, affranta dalla sorte dei dannati e non insensibile alla loro rovina. Ella non può intercedere perché la condanna non dipende da Cristo, ma dalle loro scelte irrevocabili.


    (©L'Osservatore Romano - 22 maggio 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/05/2010 19:14
    Il ritorno dell'Atteso
    e il compimento della storia


    di Antonio Paolucci

    Entriamo nella Cappella Sistina e poniamoci di fronte al Giudizio. Chi lo guarda ha l'impressione che non ci sia una parete, ma che lo sguardo si apra verso uno spazio infinito, fatto di aria gelida e azzurra. In questa dimensione irrealistica metafisica dove non c'è più il Tempo perché la Storia è finita, avviene tutto contestualmente: la Resurrezione dei corpi e il Giudizio, l'Inferno e il Paradiso.

    "Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine" (Apocalisse, 21, 5-6).
    Il Giudice di Michelangelo non siede sul trono, è imberbe, ha l'aspetto di un giovane atleta glorioso e vittorioso, ma il pittore ha saputo rappresentare con straordinaria efficacia l'angoscia teologica della Parusia, dell'ultima venuta di Cristo per giudicare i vivi e i morti.

    Il Tempo è finito, la Storia non c'è più. Anche la Chiesa ha concluso la sua missione. E infatti Pietro restituisce a Cristo le chiavi. Non c'è più spazio per la misericordia e per il perdono. Tutte le cose sono compiute. Per sempre. È questa la sensazione che noi proviamo di fronte al Giudizio e che deve aver fatto inginocchiare sgomento, con le lacrime agli occhi - così raccontano le cronache - Papa Paolo iii Farnese quel giorno di ottobre del 1541 quando il grande affresco venne scoperto.

    La parte alta del Giudizio ha al centro il Cristo Giudice. Intorno, disposta a emiciclo, c'è la Chiesa trionfante, fatta di patriarchi e di profeti, di apostoli, di santi, di martiri.
    La Vergine Maria si stringe rassegnata al Figlio perché la Storia è finita. Perché il suo ruolo di Madre misericordiosa, di advocata nostra, di regina degli afflitti e dei peccatori, non ha più senso ora che tutto è finito, che tutto è stato deciso.

    Al vertice della composizione, nelle due lunette affiancate, due gruppi di angeli raffigurati in volo vorticoso inalberano ed esibiscono gli strumenti della Passione: la croce, la colonna della flagellazione, la corona di spine, la spugna dell'ultimo supplizio.
    Sono quelle infatti le prove testimoniali al tribunale dell'Altissimo. Proprio perché Cristo è morto per noi sulla croce, ha effuso per noi il Suo sangue, saremo giudicati. La fedeltà alla Croce ci salverà o ci dannerà il giorno del Giudizio.

    La Madonna, nell'affresco di Michelangelo, sa di non avere più ruolo. Non è più, sa di non potere più essere, advocata nostra, refugium peccatorum, mantello di misericordia. È spodestata dalle sue funzioni. Come Pietro consegna le Chiavi perché non c'è più nulla da sciogliere o da legare, così la Madonna sa di non essere più Porta del Cielo. Da ciò la sua rassegnazione, la sua malinconia, lo sguardo pietoso che non riesce comunque a staccarsi dai figli amati che non le è più consentito aiutare.

    Stefano De Fiores ci accompagna attraverso i capolavori di Michelangelo con sensibilità di studioso facendoci intendere, grazie alla efficacia delle immagini supportate dalle argomentazioni teologiche, quale grande e tormentato spirito cristiano fosse l'autore del Giudizio.

    Mi piace l'incursione dell'autore nel mondo "femminile" del Buonarroti; un mondo che è fatto di Madonne in numerose varianti e in differenziati significati teologico-scritturali, dalla Madre gloriosa del Tondo Doni alla Madre dolente della Pietà Rondanini che sembra riappropriarsi del Corpo del Figlio, quasi volesse riassorbirlo nel grembo che l'ha generato. Ma De Fiores guarda anche all'universo femminile che brulica e si agita in quella parte della volta della Sistina che conosciamo come gli Antenati di Cristo.

    Stretti negli spazi angusti delle vele e delle lunette e come oppressi dal gigantismo cosmogonico (le scene del Genesi) e profetico (i veggenti) che li sovrasta e li affianca, gli antenati che Matteo elenca nel suo Vangelo (1, 1-17) sembrano significare la pazienza, la noia, forse l'accidia dell'attesa. È una umanità oscura, spesso rappresentata con punte di realismo quasi caricaturale in atti di feriale attività. Molte sono le donne: donne che si pettinano, che provvedono alle faccende domestiche, che si occupano dei bambini. È l'umanità che prepara nelle sue viscere, generazione dopo generazione, la venuta dell'Atteso profetizzata dagli abissi dei secoli.

    Gli antenati sono i meno noti fra i personaggi della volta della Sistina e anche i più trascurati dalla critica. Non però da Stefano De Fiores e questo è, per me, particolarmente apprezzabile. Spesso si ha l'impressione che la serie degli antenati venga considerata un riempitivo iconografico necessario e tuttavia ideato e realizzato da Michelangelo con attenzione minore. Non è così. Queste donne e questi uomini malinconici e inconsapevoli, presi dalla banalità e dalla materialità di esistenze comuni, sono l'umanità nella quale il Verbo si è incarnato.


    (©L'Osservatore Romano - 22 maggio 2010)


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    00 21/05/2010 19:19
    Un database sulle rappresentazioni della Vergine nera in Europa

    La Signora della rete



    È in corso fino a sabato 22 maggio, presso i santuari di Oropa e di Crea, il convegno internazionale "Nigra sum. Culti, santuari e immagini delle Madonne nere d'Europa". Pubblichiamo ampi stralci della relazione introduttiva.

    di Claudio Bernardi
    Università Cattolica del Sacro Cuore


    Nell'ambito del patrimonio artistico, religioso e culturale dei Sacri monti spicca la dedicazione a Maria e la centralità del culto mariano in ben quattro dei nove complessi riconosciuti dall'Unesco patrimonio dell'umanità:  Oropa, Varese, Crea, Belmonte. Oropa non deve la sua fama al Sacro monte, ma al celebre santuario in cui si venera una Madonna nera. È noto come il complesso di Oropa fosse sotto il dominio sabaudo una sorta di santuario "nazionale". Queste due caratteristiche, la presenza di un simulacro o di una icona di Vergine Nera e il legame "patriottico" del santuario mariano, sono presenti in altri celebri santuari d'Europa, come Czestochowa e Montserrat.

    Da questi e altri stimoli, come l'antica coloritura scura della Madonna di Crea o la diffusa curiosità scientifica e popolare sul fenomeno delle Madonne nere, è partito il progetto del convegno internazionale in corso a Oropa e Crea, per il quale occorreva però raccogliere velocemente una serie di dati e di problematiche da affrontare.

    Una preliminare consultazione dei siti in rete aveva subito svelato l'imponenza del fenomeno delle Madonne nere, per cui si decise di effettuare una più seria ricerca. Il primo obiettivo dell'indagine, condotta tra il dicembre 2008 e l'aprile 2009 da Emanuele Rolando, era quello di stilare una sorta di censimento delle Madonne nere (statue, simulacri, icone, dipinti) presenti in Europa.

    La scelta di utilizzare come unica fonte di ricerca quell'immenso serbatoio informativo che è la rete, se da una parte ha permesso di creare in tempi rapidi un elenco il più possibile esaustivo, dall'altra ha messo in evidenza la scarsa attendibilità di molte informazioni, dovuta in gran parte alle problematiche e controverse interpretazioni del fenomeno. Ciò ha imposto il congelamento del materiale schedato, perché ci è sembrato necessario verificare, attraverso un lungo e rigoroso controllo, la bontà delle informazioni raccolte. Il database tuttavia, si propone come prezioso e necessario strumento di partenza e consultazione.

    Il lungo e appassionante lavoro di schedatura è stato portato avanti con l'ausilio di uno dei più noti programmi per la creazione di database, strutturato in modo da poter effettuare ricerche incrociate ed elaborare i dati, esportabili anche su altri software, come programmi di scrittura o fogli elettronici. La schedatura ha prodotto una corposa banca dati sulle Madonne nere che si intende, appena possibile, mettere a disposizione di tutti, sia in rete che in formato cartaceo. Per dare solo un'idea dei risultati del censimento, diremo che per la sola Europa sono state individuate 741 Madonne nere, così distribuite:  Francia:  431; Italia:  121; Spagna:  108; Germania:  18; Belgio:  17; Malta:  8; Svizzera:  7; Austria:  5; Repubblica Ceca:  4; Romania:  3; Portogallo:  3; Polonia:  2; Croazia:  2; Lussemburgo:  2; Regno Unito:  2; Irlanda:  1; Kosovo:  1; Lettonia:  1; Lituania:  1; Montenegro:  1; Ungheria:  1; Turchia:  1.

    Va detto che esistevano già alcuni siti sul tema delle Madonne rete, alcuni dei quali riportano anche elenchi, più o meno approfonditi, dei luoghi dove le raffigurazioni si trovano. Ad esempio quello curato dal ministero della Cultura francese (www.culture.gouv.fr/culture/inventai/patrimoine), propone schede precise e ricche di informazioni. Altri siti forniscono molte informazioni, ma a volte risultano piuttosto confusi. Qualche imprecisione si trova ad esempio su http: //campus.udayton.edu/mary/resources/blackm/blackm.html, che comunque fornisce una grossa mole di dati. A sua volta l'"Inventaire des sanctuaires et lieux de pèlerinage chrétiens en France" è affidabile e schematico, ma finora ha schedato poche Madonne nere. Sintesi e affidabilità si trovano anche su www.mariedenazareth.com.

    La documentazione maggiore è comunque reperibile in Francia. L'altissimo numero di Madonne nere trovate è dovuto anche al fatto che Oltralpe la ricerca delle Vierges noires è ormai giunta a un livello molto avanzato. Nessun altro Paese ha fornito informazioni sull'argomento in modo altrettanto accurato.

    A proposito della complessa questione del pigmento della Vergine, trattandosi di una primissima schedatura o ricognizione, si è preferito tenere conto di ogni caso di Madonna considerata "nera" o "bruna". Oltre alle Madonne universalmente riconosciute come "nere" (ad esempio Oropa), ci sono infatti molti altri casi:  Madonne "brune" (di incarnato scuro, ma non nere); Madonne "sbiancate" (che erano nere, ma che sono state rese bianche, ma sono ancora venerate come nere o brune, ad esempio Crea); Madonne che da alcuni sono considerate nere e da altri no (Orcival).



    (©L'Osservatore Romano - 22 maggio 2010)
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    00 20/08/2010 23:55
    Una mostra a Motta di Livenza per i 500 anni dell'apparizione

    La Madonna e le icone ortodosse


    di Riccardo Burigana

    "Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre":  sono parole della preghiera per la festa ortodossa della Dormizione della Madre di Dio (che si celebra il 15 agosto), presenti in una delle icone attualmente esposte nel santuario mariano di Motta di Livenza, in provincia di Treviso.

    Si tratta di una mostra di icone ortodosse contemporanee, voluta dall'Istituto di studi ecumenici "San Bernardino" di Venezia per promuovere una sempre migliore conoscenza delle tradizioni liturgiche e iconografiche dell'oriente cristiano.
     
    L'evento fa parte di un percorso di iniziative scientifiche - dallo scambio di docenti all'ospitalità di studenti ortodossi, dalla celebrazione di convegni internazionali alla pubblicazione di volumi - che l'Istituto di studi ecumenici è venuto costruendo in questi anni, soprattutto con la Chiesa ortodossa romena. L'obiettivo è di contribuire alla crescita di un ecumenismo radicato  sulla conoscenza delle diverse tradizioni cristiane e sulla condivisione  della quotidiana esperienza della testimonianza cristiana, dal momento che  (come nel caso di questa mostra a Motta di Livenza) ogni iniziativa scientifica è sempre accompagnata dalla preghiera e dal confronto amicale.

    L'esposizione, che si apre con una suggestiva icona della Madonna Platytera ("più ampia dei cieli"), offre la possibilità di cogliere le ricchezze della spiritualità della Chiesa ortodossa romena attraverso le icone delle dodici festività che segnano il calendario ortodosso, tanto più che ogni icona è accompagnata da una preghiera, tradotta in italiano, della tradizione ortodossa romena. La scelta di porre accanto a ogni icona una preghiera appare significativa, poiché la sua lettura introduce il visitatore a una dimensione di dialogo ecumenico che sottolinea quanti siano gli elementi in comune tra occidente e oriente e al tempo stesso le peculiarità che non possono costituire più motivi di contrapposizione ma solide ragioni per proseguire nel cammino verso l'unità visibile della Chiesa.

    La mostra, di un'essenziale semplicità, comprende anche immagini di altre tradizioni cristiane:  da un'icona "popolare" russa a un gruppo di icone ucraine, a una etiope, a un'altra di scuola cretese. Queste opere possono aiutare a riflettere sulla pluralità delle tradizioni che percorrono il cristianesimo orientale, evitando semplificazioni banalizzanti, tanto più in un tempo nel quale anche l'Italia fa esperienza di siffatta pluralità, dopo la nascita di decine e decine di comunità ortodosse in seguito ai fenomeni migratori di questi ultimi anni.

    Ripercorrere il calendario ortodosso attraverso le icone dedicate alla Santa Teofania del Signore Nostro Gesù Cristo, alla Domenica delle Palme, alla Dormizione, fino alla Trasfigurazione, favorisce la comprensione del patrimonio comune a tanti cristiani che, in questi anni, mostre, pubblicazioni, convegni hanno contribuito a fare proprio, partendo dalla spiritualità iconografica dell'oriente cristiano.

    L'esposizione si colloca all'interno del ricco programma di iniziative in occasione del cinquecentesimo anniversario dell'apparizione della Madonna:  il 9 marzo 1510, infatti, Maria apparve a Giovanni Cigana, un contadino che era solito fermarsi a pregare di fronte a un capitello che si trovava all'incrocio delle strade per Motta di Livenza, Oderzo e Redigole.

    La Madonna indicò nel digiuno la vera forma di pentimento con la quale ottenere misericordia e perdono dal Signore e ordinò la costruzione di una chiesa in quel luogo in ricordo della sua apparizione. Pochi mesi dopo, il 16 agosto 1510, iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa e del convento dei francescani, che venne inaugurato ufficialmente nella prima domenica di settembre del 1513, quando una comunità di venticinque frati giunse da Venezia per prendersi cura dei pellegrini che avevano cominciato a giungere numerosi nel luogo dell'apparizione.

    Da allora, fatta eccezione per due brevi periodi, quando sotto l'impero napoleonico (1810) e con il giovane Stato italiano (1866) vennero occupati i locali, i francescani della provincia veneta sono stati i fedeli custodi del santuario, che nel 1875 ha ricevuto il titolo di basilica minore.

    Il programma di quest'anno giubilare, che si è aperto con una processione il 7 marzo e si chiuderà il 9 marzo 2011, comprende una pluralità di iniziative che si propongono di rafforzare la centralità di Maria nella vita di ogni cristiano. Per questo si sono svolti un pellegrinaggio in Terra Santa con il gemellaggio tra la basilica di Motta di Livenza e la basilica di Nazareth, proprio per sottolineare il forte legame con il luogo dove è nato il cristianesimo e con il quale i francescani hanno un rapporto particolare. In programma anche un concerto del gruppo artistico internazionale "Gen Verde", dedicato a Maria, per mostrare l'attualità e l'universalità della sua figura.

    Nell'immediato futuro è da segnalare il convegno internazionale ""Ecco tua madre!" (Giovanni, 19, 27). La presenza di Maria in mezzo a noi", organizzato dalla Pontificia accademia mariana internazionale, presieduta dal padre francescano Vincenzo Battaglia, decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università "Antonianum". Durante l'incontro, che si terrà dal 16 al 19 settembre, la riflessione sulla dimensione interconfessionale e interreligiosa di Maria sarà accompagnata da un'attenta analisi della presenza della Madonna nel contesto dei francescani veneti.

    La mostra delle icone si colloca quindi in un programma di iniziative con le quali ricordare - come ha detto il vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, in occasione dell'apertura dell'anno giubilare a Motta di Livenza, che "Maria ci è stata consegnata da Gesù come Madre".



    (©L'Osservatore Romano - 21 agosto 2010)

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    00 31/05/2011 12:00
    Quei poeti così moderni, così mariani


    di Giovanni Fighera

    da la BussolaQuotidiana 28-05-2011

    In età moderna pochi letterati hanno cantato la grandezza di Maria. Chi ha provato a decantarne la bellezza è stato, spesso, non capito e accusato di essere troppo incline ad un tono retorico. I suoi versi sono stati, così, declassati al rango di poesia melensa e poco sentita.

    È il destino riservato agli Inni sacri dello scrittore lombardo A. Manzoni (1785-1873) in cui la Madre di Dio, in perfetta sintonia con la tradizione, è partecipe della missione di Gesù, fino ai piedi della croce, e, nel contempo, presente nella storia della Chiesa, fino alla fine dei tempi, vicino a noi tutti figli suoi. Lì, nella grotta, «la mira Madre in poveri/ panni il Figliol compose,/ e nell’umil presepio/ soavemente il pose». Come profetizzato, però, un dolore atroce Le trafiggerà il cuore: ai piedi della croce rimarranno solo Maria e Giovanni, il discepolo prediletto. Ecco perché a Lei, che ha conosciuto il dolore estremo, noi tutti possiamo rivolgerci con le parole di Manzoni: «E tu, Madre, che immota vedesti/un tal Figlio morir sulla croce,/per noi prega, o regina de’ mesti,/che il possiamo in sua gloria veder;/che i dolori, onde il secolo atroce/fa de’ boni più tristo esiglio,/misti al santo patir del tuo Figlio,/ci sian pegno d’eterno goder». A «Il nome di Maria», che la tradizione cristiana declama nelle preghiere («Salve Regina», «Rosario», …), il Poeta lombardo riserva un intero inno sacro (1812-1813), forse il più bello, ma «stranamente» anche poco conosciuto. Sentiamo alcuni versi in cui Manzoni attesta che la profezia «Tutte le genti» la «chiameranno beata» si è adempiuta: «E detto salve a lei, che in reverenti/accoglienze onorò l’inaspettata,/Dio lodando, esclamò: Tutte le genti/mi chiameran beata». Noi, oggi, siamo senz’altro «testimoni che alla tua parola/obbediente l’avvenir rispose,/[…] Noi sappiamo, o Maria, ch’Ei solo attenne/l’alta promessa che da Te s’udìa,/ei che in cor la ti pose: a noi solenne/è il nome tuo, Maria». Ogni popolo ha conosciuto la grandezza della Madonna, la «Vergine, […] Signora, […] Tuttasanta». A Lei ricorrono il bambino, nelle «paure della veglia bruna», a Lei «ricorre il navigante». A lei «la femminetta … della sua immortale/ alma gli affanni espone».

    La Madonna ascolta le nostre suppliche e le nostre preghiere «non come suole il mondo». A Lei ogni popolo canti: «Salve, o degnata del secondo nome,/o Rosa, o Stella, ai periglianti scampo,/inclita come il sol, terribile come/oste schierata in campo». Solo una vera e profonda devozione mariana potrebbe partorire versi di tale bellezza e di tale forza espressiva!

    Nel contempo, soltanto un lettore devoto e grato alla Madonna avverte la verità di questa poesia, non certo «retorica», ma solenne, come si addice alla «Madre di tutti i viventi».

    Pochi anni più tardi, tra il novembre e il dicembre del 1816, G. Leopardi scrive un componimento intitolato L’appressamento della morte, composto in terzine dantesche. Il richiamo a Dante è non solo nell’uso della forma metrica. In maniera sorprendente, infatti, il testo si conclude come la Commedia dantesca con un’invocazione alla Madonna. Scrive il Recanatese: «O Vergin Diva, se prosteso mai/ Caddi in membrarti, a questo mondo basso, / Se mai ti dissi Madre e se t’amai,/ Deh tu soccorri lo spirito lasso/ Quando de l’ore udrà l’ultimo suono, / Deh tu m’aita ne l’orrendo passo». Leopardi invoca la Madonna perché possa soccorrerlo nell’ora della morte. Così, Leopardi può rivolgersi al Padre Redentore con la sicurezza di un figlio che ha riposto bene la sua fiducia: «Se ‘l mondo cangiar co’ premi tuoi/ Deggio morendo e con tua santa schiera, / Giunga il sospir di morte». Una perlustrazione integrale dell’intera opera leopardiana, in prosa e in poesia, darà poi esiti impensati, perché il poeta più volte esalta la figura della Madonna e la invoca. Inoltre, Leopardi strinse rapporti stretti con i Gesuiti negli anni della permanenza a Napoli dal 1833 al 1837, anno della sua morte. Secondo la testimonianza scritta del gesuita F. Scarpa Leopardi «si confessò e si riconciliò con Dio per mezzo del Sacramento della Penitenza». La richiesta alla Madonna fatta in giovinezza di stargli vicino «all’appressamento della morte» si è dunque compiuta.

    Quasi un secolo più tardi lo scrittore cattolico Charles Peguy, curiosamente nato l’anno della morte del Manzoni (1873-1914), dedica pagine bellissime alla Madonna.

    Chi è padre o madre non può non avvertire la preoccupazione per i propri cari figliuoli e, nel contempo, la consapevolezza dell’insufficienza di ogni premura a felicitare i nostri piccoli. Ci sono situazioni – noi tutti, credo, le abbiamo sperimentate – in cui avvertiamo chiaramente il limite umano, la precarietà e la labilità della vita e faremmo di tutto per confortare i nostri figli, per fornire loro qualcosa di importante e di bello, ma ci dimentichiamo magari di svolgere il compito più semplice.

    Lo dice con limpidità espressiva e con monolitica chiarezza Charles Peguy ne Il portico del Mistero della II virtù (1911). Ivi, il grande scrittore cattolico francese racconta una storia tenerissima e commovente. Un padre guarda stupito i propri figli, pieno del desiderio che essi possano essere felici. Allora, ripensa a quei giorni in cui li ha posti «particolarmente sotto la protezione della Santa Vergine». «Un giorno che erano ammalati. /E che lui ha avuto gran paura […] /Soltanto all’idea che erano ammalati». Quello di Peguy è uno stile franto, essenziale, senza fronzoli, che non ha paura di ripetere pur di scavare in profondità la pura e semplice verità così che i semplici dettagli si stampino nella mente del lettore. «Lo stile di Pèguy […] ci offre sempre un testo che cresce su se stesso, in una tensione di perfezionamento che va in direzione della larghezza e della profondità, quasi bramando e acquistando forza di persuasione». Con delicatezza lo Scrittore ci invita a seguire i gesti di quest’uomo che, con grande umiltà, affida i figli nelle mani della Santa Vergine. Scrive Pèguy: «Bisogna dire che lui era stato bellamente ardito e che era stato un colpo ardito./E tutti i cristiani possono fare altrettanto». Lui, il padre, «con la preghiera aveva messi» i figli nelle braccia amorose di «colei che è carica di tutti i dolori del mondo/[…] Perché il Figlio ha preso tutti i peccati./Ma la madre ha preso tutti i dolori». Come è liberante la preghiera recitata da quel padre di famiglia nella quale si rivolge alla Madonna dicendole: «Io non capisco più niente. Ne ho fin sopra la testa./Non ne voglio più sapere…/Prendeteli. Io ve li lascio. Fatene quel che volete. Io ne ho abbastanza./Colei che è stata la madre di Gesù Cristo può anche essere bene la madre di questi due bambini e di questa bambina./Che sono i fratelli di Gesù Cristo./E per i quali Gesù Cristo è venuto al mondo./[… ]Voi li vedete. Io ve li affido».

    Da allora, da quell’affettuosa e intima preghiera con la Madonna, tutto cambia e tutto inizia ad andare bene, perché il padre di famiglia ha messo i suoi figli nelle mani della Santa Vergine e «se n’è andato a mani vuote». Il padre è tornato ad essere «l’affittuario dei suoi bambini./ Non ne ha che l’usufrutto./Ed è il buon Dio che ne ha la nuda (e la piena) proprietà./Ma è un buon proprietario il buon Dio».

    Quale saggezza ha mostrato quest’uomo, quale coraggio di riconoscere una semplice evidenza : «Tutta la creazione non è forse nelle mani di Dio. / Tutta la creazione non è forse la proprietà di Dio». Come è stato semplice per quest’uomo riconoscere il Mistero che fa tutte le cose, com’è stato liberante farsi abbracciare da Lui!


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 02/05/2012 18:54
    Il secondo volume della «Storia della Mariologia»

    Metamorfosi di una Stella

    Letteratura, teatro e devozione alla Madre di Dio nel medioevo
    di LUCA DI GIROLAMO
    Pontificia Facoltà Teologica Marianum

    Dopo la panoramica biblico-patristica propria dei primi secoli del cristianesimo contenuta nel primo volume della Storia della Mariologia (edito da Marianum- Città Nuova) prosegue, nel secondo volume (Dal modello letterario europeo al modello manualistico , curato da E. Boaga e L. Gambero), l'esame delle epoche successive con particolare riferimento alla letteratura e al teatro nell'epoca medievale e rinascimentale.

    Sono essi a porre allo scoperto e a modulare la situazione dell'uomo dinanzi al Mistero che, come ci ricorda la Lumen gentium al n. 62, "non esclude, ma suscita nelle creature una cooperazione partecipata dall'unica fonte". Una frase densa che mostra la condizione del credente, quale testimone e, al contempo, collaboratore della propria salvezza.

    Pellegrino diretto verso luoghi santi come le cattedrali e i santuari, ma che sperimenta nel viaggio molte difficoltà, le stesse che la vita gli impone e opera questo cammino non senza una dimensione penitenziale. Ecco allora il farsi largo di tutta una simbolica che, riprendendo alcune istanze proprie dell'epoca patristica diviene canale di comunicazione di diversi aspetti dell'esistenza umana. L'esempio più concreto lo troviamo proprio con una connotazione mariana: è la diffusione dell'elemento della 'stella' applicato a Maria, sappiamo come esso ha radici bernardiane e come produce, nell'ambito dell'innografia, il famoso inno Ave Maris stella. Questo innesca un meccanismo, non certo nuovo nella spiritualità cristiana di affidamento per ottenere quella realizzazione vera che si chiama salvezza. Affidamento dell'uomo a Dio e che trova, a sua volta, un'ulteriore espressione nell'atto del vassallaggio con il quale alcuni Ordini religiosi nascenti esprimono il loro culto e dedicazione a Maria.

    Ma perché proprio la Madre del Signore? La devozione e la spiritualità del tempo, prima di incanalarsi nelle vie della speculazione, emergono dal vissuto concreto e lo caratterizzano fortemente avendo a cuore di mantenere quali costanti contenutistiche e formali: da un lato, la dimensione salvifica pasquale e, dall'altro, l'impiego della Scrittura e della Tradizione che alimentano anche le diverse opere letterarie e teatrali. Per l'uomo medievale la venerazione alla Madre del Signore si incanala soprattutto nella triplice forma dell'onorarla, nel pregarla con una certa confidenza e nell'imitarne per quanto possibile le virtù delle quali Maria è specchio.

    Si tratta di un programma che, soprattutto con gli Ordini mendicanti, si viene ad estendere all'intero popolo cristiano che lo recepisce, alimentando così la propria vita di preghiera. Abbiamo così il sorgere di alcuni generi letterari che giungono fino all'epoca umanistica non privi anche di una certa finalità pedagogica ed edificante: la 'Lauda' che non ha una propria omogeneità se si pensa che, proprio nel centro Italia, ne troviamo alcune a carattere penitenziale, altre più distese e di tono popolareggiante non prive di una contemplazione serena (i componimenti sono molti e diversamente datati, ma va citato per importanza il Laudario Cortonese, vero monumento di letteratura religiosa, dove un certo Garzo - considerato avo del Petrarca - compone Ave Vergene gaudente), il 'Contrasto' che da un discorso di tipo moraleggiante finisce, a volte, per essere un serio manifesto di natura teologica. Alla base della grande cattedrale gotica che è la Commedia - secondo la felice espressione di C. De Lollis - c'è una triplice protezione, tutta al femminile: Maria, S. Lucia e Beatrice sono le tre donne che ispirano e sostengono l'Alighieri a scandire tutta la sua esistenza in veste poetica fino a giungere alla contemplazione diretta dell'"amor che move il sole e l'altre stelle" (Paradiso. XXXIII,145).

    Davvero il massimo poeta italiano ed europeo - per il quale M. Zink non esita a coniare l'espressione "santo patrono della letteratura europea" - sperimenta tutto il disagio che la barca dell'esistenza trova nel mare in tempesta e fissando la stella-Maria può approdare e consolarsi definitivamente. Il tutto inserito in quella cornice definita dal rapporto esistente tra poetica e teologia che, per Dante, non si identificano ma mantengono forti legami.

    Ma Maria resta "termine fisso d'eterno consiglio" (Par. XXXIII,3) anche per l'altro gigante della letteratura europea del Medioevo, ossia Francesco Petrarca (+1374). Rispetto all'Alighieri, egli ci svela una tempra interiore molto più complessa ed in bilico fra le passioni terrene e il desiderium coeli. Ad acuire tutto questo è la sua forte frequentazione dei testi di Agostino che lo spingono ad un'autocritica e ad un'introspezione spietata che non si stancano di porre allo scoperto l'incompiutezza e l'impossibilità di un vero punto di approdo pacificante.



    (©L'Osservatore Romano 2-3 maggio 2012)


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)