Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

DIFENDERE LA VERA FEDE

Unione superiori generali e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata

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    Caterina63
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    00 27/05/2010 18:29
    L'assemblea dell'Unione superiori generali

    La fede
    e la sfida nichilista


    Si conclude venerdì 28 a Roma la 75ª assemblea semestrale dell'Unione superiori generali sul tema "L'Europa interpella la vita consacrata:  situazioni e implicanze". Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento, dal titolo "La fede speranza per l'Europa?",  che ha inaugurato i lavori di giovedì 27.


    di Mauro Magatti
    Università Cattolica del Sacro Cuore

    L'Europa sta attraversando una transizione difficile:  la combinazione di declino demografico, rallentamento economico e fragilità politico-istituzionale costituisce una miscela micidiale che rischia di spingere l'Europa v

    erso un mesto declino. Il risultato è che, in Europa, l'emozione prevalente oggi è la paura. Paura del futuro e paura dell'altro. Ora, il rischio di declino e il diffondersi di sentimenti negativi non possono lasciare indifferenti le Chiese, visto l'intimo legame storico tra Europa e cristianesimo. Senza escludere la vivacità di comunità d'altri continenti, tocca certamente alle Chiese del Vecchio continente sforzarsi di trovare parole e elaborare pratiche capaci di rispondere alle tante domande inevase di questo tempo.

    La mia tesi è che l'Europa è progressivamente sprofondata in una spirale nichilistica, dove però il vuoto di valori e il libero affermarsi della volontà di potenza si esprimono nella forma molto più subdola e invisibile di un "nichilismo sorridente" che si compiace di smontare tutto quello che prova a sussistere, con scarsissima capacità di presa in carico dei problemi del presente e del futuro.

    Si tratta di una cultura di piccolo cabotaggio, che orienta le proprie energie verso l'affermazione di sé nei piccoli giochi della vita relazionale e istituzionale, sempre meno capace di interrogarsi sul senso - e quindi sul valore - di quello che sta facendo.

    La rinascenza dell'Europa, io credo, ha a che fare con queste sfide. Sfide che interpellano profondamente la coscienza cristiana. Rispetto a esse, mi domando:  qual è la vera identità cristiana dell'Europa?
     
    È l'affermazione di principio che il Vecchio continente è cristiano oppure è la capacità di pensare e costruire un continente che ospita, a un livello più maturo, il germe cristiano? Non è forse il nostro compito quello d'essere lievito della pasta, perché appunto la pasta cresca? Non è questo il modo tipico del cristiano di fare la storia, un modo che non passa dalla conquista del potere, ma dalla sua capacità di generare pensiero e pratiche che costruiscono la strada stessa sulla quale poi si cammina? Non è forse questa la parte migliore della nostra storia millenaria?

    Invece di considerare con paura il passaggio che stiamo vivendo, le Chiese sono chiamate ad avere l'audacia di reincarnare la fede nella temperie del tempo presente, scorgendo le opportunità nascoste nelle pieghe dell'esperienza contemporanea, in modo così da favorire una nuova "risorgenza" dell'Europa. Senza alcun dubbio, il passaggio storico segna una nuova chiamata alla fede, anche se non sappiamo davvero dire se e come potremo farvi fronte.

    Quello che intanto possiamo fare è sforzarci di capire che la situazione nella quale ci troviamo è figlia della cristianità e della sua idea di uomo. Proprio per questo, la cristianità ha ancora molto da dire a riguardo.

    Negli ultimi decenni, nella vecchia Europa sono crollate molte delle sue autorità. Per una società antica e stratificata, ciò non può che aver costituito un trauma dal quale ancora la società europea non si è ripresa.

    Per molti aspetti, ci troviamo in quella condizione che gli psicanalisti chiamano la "perdita del nome del padre". Tale condizione ha i suoi pericoli, dato che può preludere al caos, alla disorganizzazione morale, alla disgregazione, alla fine della fede. Mi piace, invero, pensare che ciò che stiamo vivendo non sia altro che una fase adolescenziale della libertà:  sempre più distintamente capiamo che la lunga storia moderna della libertà diventa realtà, ma è allo stesso tempo sempre più chiaro che non riusciamo bene a capire che cosa questa condizioni significhi. Specie in Europa, non siamo più capaci di dire a che cosa può servire questa libertà. Non siamo più capaci di orientare, di spendere la nostra libertà per qualche cosa di positivo. Mi sembra proprio questo fallimento l'elemento che contraddistingue, in modo particolarissimo, l'Europa.

    Se partiamo dal presupposto che la cristianità, qui in Europa, sia stata la vera culla della libertà moderna, allora diventa più chiaro capire cosa vuol dire sostenere che tocca ai cristiani - più che a chiunque altro - trovare una risposta. Il crollo dei sistemi tradizionali di autorità indubbiamente lascia un vuoto e suscita delle ben comprensibili paure. Ma personalmente non credo che la soluzione stia nel loro improbabile ristabilimento - non se ne vedono i segni e potrebbe essere molto pericoloso.

    La via che credo si debba e si possa percorrere per superare la deriva nichilista che avvolge l'Europa, sta invece nell'aiutare a capire che, per essere uomini liberi adulti, il segreto sta nel riconoscere che non si può vivere da fratelli senza Dio. E questo perché ci si rende conto che, per non rimanere condannati al regime delle equivalenze, occorre riconoscere che il valore non può che essere una dismisura.

    L'uscita dal nichilismo passa dal correre il rischio della fede e dall'agape:  entrambi elementi che interrompono l'equivalenza dello scambio, ma la interrompono secondo l'ottica esattamente cristiana del dono e della grazia (gratuità). Naturalmente l'idea di fede a cui faccio riferimento non è quella ottusa e irragionevole del fondamentalista, che è un pericolo per il mondo nel quale viviamo. È piuttosto la fede che consiste nello sporgersi, dentro la concretezza della vita, verso un'eccedenza che è, fondamentalmente, apertura dell'essere. Non, dunque, una fede cieca, ma una fede che impara dal passato, che scorge i segni d'una vicinanza e che ama dialogare con la ragione.

    Una fede capace di fare esistere il bene - cioè il buono, il bello e il vero - e in questo modo capace di rispondere all'obiezione di Nietzsche sulle grandi parole che non trovano seguito nella realtà. Una fede che in questo modo è sin dall'inizio impastata con la vita e che proprio per questo è capace, nei suoi limiti, di dar corpo a ciò che afferma. Una fede dunque che non è dimentica dell'importanza della ragione, ma che è prima di tutto e fondamentalmente vita - cioè esperienza incarnata. Lasciatemi dire che gli ordini religiosi hanno il compito di attestare questa possibile "interruzione" che costituisce la premessa per una nuova "rinascenza" dell'Europa.

    Il mio augurio è che, proprio qui nel Vecchio continente, essi continuino a essere, negli anni che verranno, le avanguardie - sul piano della fede, delle relazioni, delle istituzioni - del modo in cui potremo vincere, una volta per tutte, la sfida nichilista alla quale, come europei contemporanei, siamo assoggettati.



    (©L'Osservatore Romano - 28 maggio 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 29/05/2010 21:13
    Le conclusioni dell'assemblea dell'Unione superiori generali

    Spiritualità, fraternità e missione
    Come alle origini


    Roma, 29. Sarà Benedetto XVI a concludere, il prossimo novembre, la seconda fase dell'assemblea dell'Unione superiori generali (Usg) dedicata al tema "L'Europa interpella la vita consacrata". È stato il presidente dell'Usg, don Pascual Chávez Villanueva a darne notizia, chiudendo la prima fase dei lavori che si sono tenuti dal 26 al 28 maggio. Le voci sentite - ha spiegato il presidente nel suo intervento - "ci hanno fatto vedere innanzitutto un quadro sociale critico e drammatico frutto di fattori diversi, che si potrebbero riassumere nella crisi di valori, nella perdita d'identità, nella scelta di vivere ut si Deus non daretur. Tutto ciò provoca paura ed angoscia nel popolo credente, che non vede futuro e rischia di perdere la speranza".

    Fra le cause di questa difficile condizione ci sono, per don Chávez Villanueva, "un'antropologia immanentista ed un modello sociale di sviluppo illimitato ("capitalismo tecno-nihilista"), per cui si trascende continuamente, ma senza rimanere aperto ad una autentica e definitiva trascendenza".
    Anche la Chiesa - ha sottolineato il religioso - e la vita consacrata in essa, "sono apparse indebolite, con perdita di rilevanza sociale e di credibilità istituzionale. Da qui uno strano paradosso, perché mai come oggi l'Europa ha bisogno di Dio, di Cristo, della Chiesa e della vita consacrata, e forse  mai  come oggi sembra che sia la Chiesa sia la vita consacrata si vedano chiamate ad un rinnovamento profondo".

    È vero comunque - ha aggiunto don Chávez Villanueva - che questo "è un impegno che portiamo dal concilio Vaticano ii", con convinzione e decisione, in uno sforzo di aggiornamento, cui ha fatto seguito il "bisogno dell'inculturazione della vita consacrata, quindi la sua inserzione negli ambienti popolari, e finalmente nell'urgenza di rifondazione. Tutto ciò non è stato un gioco linguistico, ma ha fatto vedere la serietà dell'impegno di lasciarci guidare dallo Spirito".

    Nel corso dell'assemblea ci si è comunque interrogati su quale modello di vita consacrata si debba seguire oggi, con quali tratti distintivi e con quali spazi da dare ai diversi carismi. Allo stesso tempo ci si è aperti al contributo, alla collaborazione e agli interventi dei laici, che hanno suggerito strade e obbiettivi.

    Si è evidenziato, come sottolineato dal presidente dell'Usg, "il bisogno di una vita con una forte spiritualità, con un intenso senso di fraternità, con un impegno appassionato nella missione, con un ancorato radicamento nell'essenziale. Spiritualità, fraternità e missione, dunque continuano ad essere elementi indispensabili della vita consacrata d'oggi, come lo furono nelle origini dei nostri ordini, congregazioni e istituti". Questo può voler significare - ha spiegato don Chávez Villanueva - che "forse negli ultimi tempi alla spiritualità è subentrata la superficialità, alla comunità l'individualismo, e alla missione l'attivismo, alla semplicità di vita l'efficacia sociale".

    La convinzione fondamentale dei religiosi "è che Dio ama questa Europa e che questa Europa è spazio privilegiato per la vita consacrata". Anche se "ce n'è una forma storica che è arrivata al capolinea e che deve lasciare spazio a un'altra che sta germogliando".

    La vita consacrata - ha detto ancora il presidente dell'Usg - oggi come ieri "è stata generata dallo Spirito Santo come forma specifica di sequela et imitatio Christi per essere "segno della presenza amorevole di Dio nel mondo", una metafora, e la sua attività non può essere mai filantropia ma rivelazione che Deus Caritas est, perciò dovrà essere più evangelica, più credibile, più visibile, più essenziale, più solidale, più povera, più mistica e più profetica".

    Nell'ultimo giorno dei lavori hanno tenuto un intervento anche due donne, l'irlandese Judith King e la spagnola Anna Sarrate, che hanno offerto apprezzate testimonianze sulle attese del laicato cattolico. Ha detto Judith King:  "Quando penso al futuro della vita consacrata in Europa, sono convinta che esso richiederà da voi uomini un sussulto di fede e di fedeltà altrettanto radicale e drammatico ed esigente di quello richiesto a Nicodemo (cfr. Giovanni, 3, 4). Prima di tutto voi dovrete farlo "sotto il velo delle tenebre". Inizialmente dovrete nascondere per un po' il vostro fuoco, come fece Nicodemo, quando, nonostante la sua iniziale reticenza, egli parlò profeticamente contro l'ingiustizia quando i farisei vennero coinvolti in un primo tentativo di arrestare Gesù. Ma verrà il tempo, molto presto in seguito, quando voi dovrete fare molto di più. Voi dovrete aiutare gli altri a seppellire il "morto" in un cimitero decente, andando persino a comprare un nardo prezioso e degli aromi e rotolando infine la gigantesca pietra sull'imboccatura. Dovrete consentire di lasciar morire cosa ha bisogno di morire, così che la "nuova cosa" di Dio possa avere lo spazio e l'energia per emergere. E allora? Allora voi dovete testimoniare la Resurrezione, sostenere la nuova fioritura del lavoro per il regno, sostenere coloro che non sono istruiti ma sono impegnati con le loro capacità e le loro risorse per rendere manifeste le visioni del regno".

    È chiaramente una rinascita che riguarda allo stesso modo e contestualmente la società civile, che però si dibatte alla ricerca di un approdo che non riesce a scorgere:  "Alcune cose che secondo me i laici stanno cercando - ha detto ancora King - possono essere già presenti nelle comunità che voi rappresentate, ma io ritengo che essi possano accostarsi a voi nella speranza di riscontrare talune priorità e sottolineature diverse". Fra queste "una rinnovata importanza all'essere piuttosto che al fare"; l'impegno a organizzare le persone e le attività in modo non patriarcale, non autoritario e non razzista - "voi avete una straordinaria opportunità di modellare il tipo di inclusività che viene richiesto da coloro che ritengono che tutti sono uguali dinanzi a Dio" -; un riconoscimento di quanto sia potenzialmente contro-culturale la scelta di vivere in comunità; il ruolo di religiosi impegnati che portano avanti una riflessione teologica; la creazione di spazi aperti per il culto e la riflessione; l'impegno nel dialogo tra le fedi religiose.


    (©L'Osservatore Romano - 30 maggio 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 16/11/2010 18:30
    L'Unione superiori generali e le sfide della società secolare

    La vita consacrata
    guarda con speranza al futuro


    di Josep M. Abella
    Clarettiano, vicepresidente dell'Unione superiori generali

    Così diceva Benedetto XVI a un gruppo di vescovi brasiliani, in visita ad limina Apostolorum lo scorso 5 novembre:  "Dinanzi alla diminuzione dei membri in molti istituti e al loro invecchiamento, evidente in alcune parti del mondo, molti si chiedono se la vita consacrata sia ancora oggi una proposta capace di attrarre i giovani e le giovani. Sappiamo, cari vescovi, che le varie famiglie religiose, dalla vita monastica alle congregazioni religiose e alle società di vita apostolica, dagli istituti secolari alle nuove forme di vita consacrata, hanno avuto la propria origine nella storia; ma la vita consacrata come tale ha avuto origine con il Signore stesso che scelse per sé questa forma di vita verginale, povera e obbediente. Per questo, la vita consacrata non potrà mai mancare né morire nella Chiesa:  fu voluta da Gesù stesso come porzione irremovibile della sua Chiesa".

    Questa famiglia di consacrati che oggi incarnano tale forma di vita cristiana, è costituita da circa un milione di uomini e donne presenti in tutti i continenti al servizio delle Chiese locali e dei popoli fra i quali lavorano e ai quali annunciano il Vangelo.

    Come vivono oggi questi uomini e queste donne la vocazione che hanno ricevuto? Che cosa li preoccupa? Quali sono le loro motivazioni? Dove trovano la fonte d'acqua che mantiene vivo il seme della vocazione ricevuta e permette di produrre frutti per la Chiesa e per il mondo? Quali problemi devono essi affrontare per vivere fedelmente la missione loro affidata? I consacrati cercano di vivere con radicalità il doppio riferimento che definisce la vita cristiana:  il riferimento a Dio e il riferimento all'umanità e all'intera creazione. Il congresso sulla vita consacrata che nel 2004 radunò a Roma circa ottocento religiosi e religiose delle diverse parti del mondo, nelle sue conclusioni tentò di esprimere in una frase che ha accompagnato il cammino di questi nostri ultimi anni e che spiega il senso della vocazione religiosa:  una forma di vita che manifesta "la passione per Cristo e per l'umanità".

    Dinanzi a questa missione ci riconosciamo, tuttavia, piccoli e deboli. Ci sovrastano sfide numerose che mettono in dubbio la nostra capacità d'assumere la missione che ci è stata affidata. Abbiamo bisogno di profondità spirituale e di appoggio da parte della comunità per vivere la nostra vita così come le esigenze della consacrazione l'hanno caratterizzata indelebilmente. Molto spesso sperimentiamo la fatica e soccombiamo alla tentazione della mediocrità. Nonostante tutto, però, sentiamo che vivere come persone consacrate è cosa che vale la pena.

    Grazie al cammino di riflessione e di discernimento condotto soprattutto dai capitoli generali, dopo il concilio Vaticano ii, abbiamo capito che è necessario ravvivare il fuoco interiore che dà senso alla nostra vita e dinamismo al nostro impegno apostolico. Questa fu anche l'esperienza dei nostri fondatori e delle nostre fondatrici e questa è stata l'esperienza di molti nostri fratelli e sorelle che oggi sono per tutti noi un chiaro punto di riferimento.

    Sappiamo molto bene che senza questo fuoco le nostre vite non saranno capaci di trasmettere né luce né calore. Senza di esso il nostro lavoro e le nostre istituzioni non saranno capaci di comunicare il Vangelo del regno Dio e i nostri processi formativi non saranno molto più che itinerari di preparazione professionale più o meno ben articolati. Senza questo fuoco, ancora, la preoccupazione, pur giustificata, di possedere i mezzi economici in grado di rendere possibile la vita e le attività dei nostri ordini e istituti, non si differenzierebbe da quella d'ogni altro gruppo umano.
    Ci siamo impegnati in un processo serio di rinnovamento di cui beneficia ugualmente l'intera comunità ecclesiale e siamo felici di averlo fatto. Lo abbiamo fatto in obbedienza alla Chiesa e scrutando i suoi orientamenti.

    Tutto ciò ha consentito una spiritualità più biblica e più liturgica che ha saputo integrare la sensibilità che proviene dalle realtà di questo mondo. Il ritorno alle fonti dei nostri carismi ci ha consentito di rileggerli e di cercare in essi nuove piste in risposta alle sfide di questo nostro momento storico.
    Nonostante questo, partendo da diversi presupposti si discute sullo stato attuale degli istituti di vita consacrata e si ipotizzano anche previsioni di scomparsa per molti di essi. È cosa certa che la vita consacrata, come qualsiasi altra realtà, è piena di luci e di ombre. Lo è anche il fatto che benché la vita consacrata è cosa essenziale per la Chiesa, i singoli istituti possono scomparire come è di fatto accaduto nel corso dei secoli.

    Alcuni hanno già vissuto l'esperienza evangelica di essere seme che dando la vita muore. Ciò su cui bisogna ragionare, invece, sono i criteri a partire dai quali si valuta la vita consacrata e si fanno previsioni per il futuro. Queste valutazioni sono più pessimistiche quando ci si riferisce alla vita consacrata in quei continenti e Paesi nei quali le statistiche evidenziano una notevole diminuzione dei loro membri. In tal senso, l'Europa è certamente il luogo più emblematico. E, appunto in Europa, si rileva come una delle ragioni principale della decrescita dei membri degli istituti sia l'incapacità di resistere al processo di secolarizzazione che caratterizza via via sempre più l'ambiente culturale del continente.

    È tuttavia importante chiarire che la secolarizzazione è un processo a largo raggio che riguarda tutte le persone, fra queste i credenti cristiani, e che non manca di avere un suo versante positivo:  implica il riconoscimento della libertà, della dignità, dell'autonomia dell'uomo, e dei suoi diritti. La secolarizzazione, in questo senso, è una grande opportunità di purificazione dell'immagine di Dio e della funzione del "religioso". Essa purifica il "religioso" dalla manipolazione sociale, politica e ideologica. Colloca il sacro e il santo in sintonia col Vangelo e con l'esperienza di Gesù.
    La secolarizzazione, viceversa, diventa negativa quando rinuncia al contatto con Dio e non sa vivere, qui e ora, l'incommensurabile vita di Dio. Se così, la secolarizzazione offusca l'orizzonte della vita dell'essere umano, che rinchiude in uno spazio nel quale diventa difficile l'esperienza dell'amore di Dio che abilita ad amare e che colma di senso e di speranza la vita delle persone.

    Di fatto, i processi di secolarizzazione hanno riguardato anche le persone consacrate. Non credo, tuttavia, che la maggioranza dei religiosi e delle religiose abbia ceduto alle sfide conseguenti. Al contrario, piuttosto:  proprio per essere stata messa in discussione da questo processo di secolarizzazione particolarmente aggressivo in Occidente, l'esperienza della fede e l'opzione per la sequela di Gesù, che sono proprie dei religiosi, sono diventate più mature, così come l'impegno conseguente si è espresso con una più ampia libertà. Forse la vita religiosa non produce oggi molta "ammirazione" - i conventi e gli abiti non sono molto visibili - ma continua ad afferrare molte persone e a essere fermento di rinnovamento nella Chiesa e di trasformazione del mondo.

    Nei vari momenti della storia sono nati nuovi ordini e nuove congregazioni sempre con una vocazione radicale di servizio. Si tratta di un servizio che rendiamo attraverso ciò che siamo e ciò che facciamo. L'essere decide il fare e determina il "che cosa" e il "come" si fa quello che si fa. Anche se rispondono a necessità pressanti del momento storico nel quale nascono, gli istituti non nascono in funzione del fare. Ciascuno di essi si articola intorno alle tre dimensioni fondamentali della vita ecclesiale - fraternità, celebrazione e missione - e le integra a partire dal carisma specifico ricevuto dal fondatore e sancito dalla Chiesa. Questo carisma caratterizza il modo di vivere la vita cristiana di coloro che sono chiamati a una determinata comunità e va oltre il lavoro specifico che è stato loro affidato. È un aspetto importante, questo, perché la vocazione di un istituto non si definisce per la sua "funzionalità" - ciò che si fece in un determinato periodo della storia e ha continuato a essere fatto per molto tempo - ma per il "profetismo" - una lettura della realtà che parte da Dio e che per ciò ispira un dinamismo che si rinnova secondo le condizioni cangianti dei tempi e dei luoghi.

    Noi religiosi e religiose abbiamo imparato ad ascoltare le voci che ci vengono dal mondo e a prendere sul serio le domande che ci pongono. Partendo dai nostri carismi specifici, abbiamo cercato di trovare risposte nuove, comprensibili per la gente, e abbiamo imparato a dirle con un linguaggio nuovo, capace di giungere fino al suo cuore e alla sua vita. Le nostre comunità sono più aperte e il contatto con tanta gente ci ha aiutati a scoprire l'azione dello Spirito in tutti gli ambiti della comunità ecclesiale, ma anche fuori di essa. Il contributo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle laiche ci ha fatto bene.

    La nuova coscienza dei laici circa la loro vocazione e missione nel popolo di Dio, che col concilio Vaticano ii si propose con forza nella Chiesa, è stata una benedizione e non costituirà mai un pericolo per noi religiosi. Nella comunione dei carismi e delle forme di vita, tutti finiamo col riscoprire la bellezza e il significato della nostra vocazione propria. E impariamo a crescere insieme nella sequela di Gesù, secondo la forma di vita alla quale ciascuno è stato chiamato oltre che ad assumere la parte che ci corrisponde nella realizzazione della missione affidata dal Signore alla Chiesa. Se un istituto scompare non è perché altri ormai realizzano ciò che i suoi membri erano stati chiamati a realizzare. Vi sono fattori diversi che entrano in gioco e che vanno dalla mancanza della capacità di trovare, a partire del proprio carisma, risposte nuove alle nuove sfide della realtà, fino alla coscienza che, nel piano di Dio, quell'istituto ha già compiuto la sua missione e ha reso possibile la vita a tanti.

    Ci sentiamo in "missione condivisa". Si tratta propriamente di una realtà che nasce da una visione della Chiesa nella quale i carismi e i ministeri, così come le forme di vita che essi suscitano, si relazionano in una profonda esperienza di comunione che li rende reciprocamente fecondi e portatori di vita per il mondo. La "missione" è il sostantivo; "condivisa" è l'aggettivo che ci indica il modo di capirla e realizzarla. Si tratta di una missione che "appartiene a tutti" e alla quale noi aderiamo partendo dalla nostra vocazione specifica.

    La collaborazione corresponsabile con i laici e con altre persone non è mai un fattore destabilizzante per i nostri istituti. La sentiamo come una benedizione, non come una minaccia.
    La vita religiosa non solo si è mossa in direzione della periferia, ma sta addirittura  cercando di pensarsi a partire dalla periferia - geografica, sociale e culturale - per poter essere, come disse  sempre il Papa, parola di Dio per gli uomini e le donne del nostro tempo.

    A ogni modo, siamo meno e meno ancora sono quelli che vengono a bussare alle nostre porte. Stranamente, questo ci va conducendo verso l'esperienza della piccolezza che fu all'origine delle nostre congregazioni e che ci fa diventare più umili. Non abbiamo paura del futuro perché ci sappiamo, ogni volta più, nelle mani di Dio, e questo nonostante l'ambiente secolarizzato del mondo che ci circonda. In altri luoghi cresciamo, ma nessuno ci assicura che i cambiamenti sociali e culturali prevedili anche in quegli spazi, non debbano in futuro mutare questa tendenza.

    È chiaro che la vita consacrata ha una valenza essenzialmente escatologica, perché, essendo testimonianza del mondo futuro, anticipa e rende visibile i beni nei quali speriamo. In una sana escatologia cristiana, però, non si può contrapporre o addirittura opporre il tempo presente a quello futuro. Quanto più intensa è la speranza nella vita futura, tanto più c'impegniamo alla trasformazione del mondo presente secondo il piano di Dio. Ed è così che facciamo nostra questa dimensione tanto fondamentale della vita consacrata.

    Importante è che tutti cerchiamo la fedeltà alla vita consacrata che lo Spirito accompagna in direzione del futuro e non coltiviamo la nostalgia di ciò che fu nei secoli passati. Si è parlato spesso di un "ritorno all'essenziale". L'espressione, che manifesta un desiderio sincero di più grande fedeltà, ha bisogno di essere pronunciata sempre con grande attenzione, perché non si va in direzione dell'essenziale presupponendo che una volta - chissà quando! - lo abbiamo posseduto. In direzione dell'essenziale dobbiamo continuare ad avvicinarci sempre perché c'impegna ad avvicinare la sequela e l'imitazione del nostro Signore Gesù Cristo. La vita religiosa è viva, perché lo Spirito continua a colmarla di vita. Ci sappiamo poveri e peccatori. Siamo però desiderosi di continuare a essere fedeli alla nostra vocazione "nel cuore della Chiesa e alle frontiere della missione".



    (©L'Osservatore Romano - 17 novembre 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 24/11/2010 18:53
    Duecento superiori generali in assemblea decidono il nuovo percorso

    La vita consacrata
    torna missionaria in Europa


    Roma, 24. L'Europa è il continente più segnato dalla storia dalla vita consacrata, ma anche la terra dove la fede cristiana, i religiosi e le religiose oggi per il loro futuro vivono le maggiori sfide della società secolare e dove si sente l'esigenza di una testimonianza cristiana di qualità. Per questo l'Unione dei superiori generali (Usg) che riunisce la quasi totalità degli ordini e delle congregazioni religiose maschili, nel corso del 2010 ha dedicato due assemblee per ridisegnare la presenza e la missione della vita consacrata nel vecchio continente. Una verifica che sarà sigillata venerdì 26 novembre nell'incontro con Benedetto XVI.

    La vita consacrata, dopo attenta analisi, sta decidendo d'assumere in Europa l'impegno per una profezia evangelica che risvegli davanti alla mente e al cuore della gente la bellezza della fede cristiana e della vita donata a Dio. Più del mantenimento delle opere che nel passato hanno fatto la gloria dei religiosi - si è ripetuto nell'assemblea di maggio e, oggi, nei lavori di apertura dell'attuale assemblea - ora si devono rivitalizzare i carismi delle origini che hanno contribuito a plasmare anche il volto cristiano dell'Europa. Un continente in affanno dentro le sfide della globalizzazione e le fatiche dell'unione e perciò bisognoso anche dell'aiuto della vita consacrata per ritrovare se stesso e guardare con fiducia il futuro dell'integrazione.

    A differenza dell'Europa - ha ricordato aprendo l'assemblea il rettore maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez  Villanueva,  presidente dell'Usg - in altre zone del mondo la vita consacrata "sta conoscendo una crescita e uno sviluppo inimmaginabili". Una lettura "più serena e profonda dei dati e della realtà odierna ci dice che i religiosi in verità sono stati i primi a capire il fenomeno della globalizzazione e le sue conseguenze, a denunciare il suo volto inumano e quindi a schierarsi a favore degli esclusi. Crediamo che, anche se i religiosi tornano alle cifre di prima del secolo XIX, la vita consacrata non sparirà mai. E non parlo in modo generico della vita consacrata, ma anche dei religiosi nella diversità degli istituti secondo i carismi specifici. Essi sono, oggi come ieri, una riserva dell'umanità. E oggi come ieri la chiave di rinnovamento sarà sempre il ritorno a Cristo come prima missione per essere testimoni di Dio nel mondo, la formazione di comunità umanamente attraenti, socialmente rilevanti, vocazionalmente feconde, e la collocazione nelle frontiere sociali, geografiche e culturali della missione, lì dove ci attendono gli uomini e donne più bisognosi".

    Per Chávez Villanueva, occorre "fare dunque i conti con questa nuova situazione, cioè che in Europa e nel mondo occidentale in genere la vita consacrata potrà contare su un numero assai inferiore di membri, rispetto a quanti ne ha potuto annoverare nell'ultimo secolo, e con nuove configurazioni, almeno finché non ci sarà un'inversione di tendenza. Ciò però non significa che i religiosi conteranno di meno nei diversi contesti sociali. La rilevanza sociale non dipende dalla quantità, ma dalla qualità. Da qui l'esigenza di tornare all'essenziale, alla radicalità evangelica. Non è perciò questione di sopravvivenza della vita consacrata e dei diversi istituti, ma di profezia. Siamo validi non perché siamo utili, ma perché siamo significativi e rilevanti, capaci di suscitare interrogativi e coinvolgere persone che vogliano condividere la nostra missione, incarnando la profezia di Cristo con una vita paradossale, quella del Vangelo. Per raggiungere questo abbiamo bisogno di liberarci dalla cultura del declino e del susseguente pessimismo e far sprigionare l'entusiasmo proprio di persone appassionate per Dio e per l'uomo".

    Questo - ha concluso don Chávez Villanueva - "comporta il dovere ineludibile di risituarci, di lasciar morire quanto deve morire - opere, strutture, forme di organizzazione e di azione - perché la vita consacrata possa risorgere con una fedeltà dinamica, che le consenta di privilegiare le scelte essenziali - il primato di Gesù Cristo, il Vangelo senza glossa, la comunione con la Chiesa, il servizio agli uomini - quelle che le danno la sua propria identità, dinamismo e fecondità, e le permettono di adeguare le strutture alla missione, in modo tale di farle a essa rispondenti".

    Attualmente - ha osservato, in una delle relazioni, padre Wilhelm Steckling, missionario oblato di Maria Immacolata - "l'Europa si trova immersa in una crisi. L'Europa sta invecchiando e sta perdendo la propria influenza sul mondo. Sta sperimentando anche una profonda trasformazione culturale di ciò che può essere attribuito al suo essere esposta al processo di globalizzazione, che la allontana dalle sue radici cristiane e dall'accoglienza di un gran numero di immigrati che sono culturalmente piuttosto distanti".

    Da un punto di vista cristiano - ha aggiunto - "osserviamo con dispiacere che molte persone in Europa non fondano più la propria vita sulla fede nel Dio di Gesù Cristo. In questo contesto, come hanno osservato i laici partecipanti alla nostra assemblea, l'Europa avrebbe un disperato bisogno della forte presenza delle persone consacrate che sono state così importanti nella sua storia. Statisticamente, l'Europa è la casa di circa il 25 per cento dei cattolici presenti nel mondo e di circa il 40 per cento dei suoi religiosi. Tuttavia, mentre la vita religiosa presenta ancora grandi numeri in Europa, questa sta invecchiando e arretrando. Nei gruppi si è ulteriormente fatto presente che abbiamo bisogno di rinnovare la qualità delle nostre comunità, dando spazio a tutte le generazioni; che dobbiamo imparare a usare un linguaggio nuovo che possa essere compreso al giorno d'oggi; e che siamo chiamati a rinnovare la nostra scelta per i poveri andando alla periferia della società".

    Padre Mario Aldegani, giuseppino del Murialdo, presentando le sfide, le possibilità, i segni di speranza per la vita consacrata ha riannodato i lavori dell'assemblea alle conclusioni raggiunte nell'incontro di maggio. "La sfida più grande che la vita consacrata deve affrontare - ha detto - è se stessa, ricominciando ad avere fiducia che il Signore, come al mar Rosso, apre sicuramente una strada per superare le difficoltà. Vi è poi la sfida del linguaggio, della capacità di far comprendere la vita consacrata. Molto spesso ci rendiamo conto che la gente ha una conoscenza limitata e distorta dei religiosi. Occorre individuare modalità nuove per far percepire quello che siamo e viviamo. Non è solo questione di "abito", ma della capacità di farci percepire come persone che vivono insieme per un ideale. Siamo oggi sfidati nel vivere il voto di povertà, come stile di vita - potremmo chiederci, per esempio, quanto ci tocca o ci ha toccato la crisi economica mondiale - ma anche come capacità di situarci sulla frontiera dell'emarginazione.
     
    Lasciare che i poveri siano i nostri maestri. Povertà vissuta anche come libertà di fronte alle strutture:  a volte sembriamo come soffocati nella gestione di strutture che non hanno futuro. La situazione "generazionale" della vita consacrata in Europa - tanti anziani e pochi giovani - è una doppia sfida. Anzitutto a valorizzare gli anziani che sono fra noi. E allo stesso tempo, è necessaria un'adeguata integrazione dei religiosi più giovani, poiché spesso manca una generazione intermedia che faciliti questa integrazione. C'è da porsi il problema di come dare maggior protagonismo ai giovani:  forse sono superprotetti, perché sono pochi o forse non gli si dà responsabilità".


    (©L'Osservatore Romano - 25 novembre 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 26/11/2010 19:28
    Il Papa incontra i superiori e le superiore generali

    Cercatori di Dio
    e profeti di fraternità


    L'invito a essere sempre "appassionati cercatori e testimoni di Dio" è stato rivolto dal Papa ai partecipanti all'assemblea dell'Unione dei superiori generali (Usg), ricevuti nella mattina di venerdì 26 novembre, nella Sala Clementina. All'udienza ha partecipato anche il comitato direttivo dell'Unione internazionale delle superiore generali (Uisg).

    Carissimi Fratelli e Sorelle!
    Sono lieto di incontrarvi in occasione dell'Assemblea Semestrale dell'Unione dei Superiori Generali, che state celebrando, in continuità con quella del maggio scorso, sul tema della vita consacrata in Europa. Saluto il Presidente, Don Pascual Chávez - che ringrazio per le parole rivoltemi - come pure il Consiglio Esecutivo; un saluto particolare al Comitato Direttivo dell'Unione Internazionale delle Superiore Generali e ai numerosi Superiori Generali.

    Estendo il mio pensiero a tutti i vostri confratelli e consorelle sparsi nel mondo, specialmente a quanti soffrono per testimoniare il Vangelo. Desidero esprimere vivo ringraziamento per quanto fate nella Chiesa e con la Chiesa in favore dell'evangelizzazione e dell'uomo. Penso alle molteplici attività pastorali nelle parrocchie, nei santuari e nei centri di culto, per la catechesi e la formazione cristiana dei bambini, dei giovani e degli adulti, manifestando la vostra passione per Cristo e per l'umanità. Penso al grande lavoro nel campo educativo, nelle università e nelle scuole; alle molteplici opere sociali, attraverso le quali andate incontro ai fratelli più bisognosi con l'amore stesso di Dio. Penso anche alla testimonianza, a volte rischiosa, di vita evangelica nelle missioni ad gentes, in circostanze spesso difficili.

    Le vostre due ultime Assemblee sono state dedicate a considerare il futuro della vita consacrata in Europa. Questo ha significato ripensare il senso stesso della vostra vocazione, che comporta, prima di tutto, il cercare Dio, quaerere Deum:  siete per vocazione cercatori di Dio. A questa ricerca consacrate le migliori energie della vostra vita. Passate dalle cose secondarie a quelle essenziali, a ciò che è veramente importante; cercate il definitivo, cercate Dio, mantenete lo sguardo rivolto a Lui. Come i primi monaci, coltivate un orientamento escatologico:  dietro il provvisorio cercate ciò che rimane, ciò che non passa (cfr. Discorso nel Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008).

    Cercate Dio nei confratelli che vi ha dato, con i quali condividete la stessa vita e missione. Lo cercate negli uomini e nelle donne del nostro tempo, ai quali siete inviati per offrire loro, con la vita e la parola, il dono del Vangelo. Lo cercate particolarmente nei poveri, primi destinatari della Buona Notizia (cfr. Lc 4, 18). Lo cercate nella Chiesa, dove il Signore si fa presente, soprattutto nell'Eucaristia e negli altri Sacramenti, e nella sua Parola, che è via maestra per la ricerca di Dio, ci introduce nel colloquio con Lui e ci rivela il suo vero volto. Siate sempre appassionati cercatori e testimoni di Dio!

    Il rinnovamento profondo della vita consacrata parte dalla centralità della Parola di Dio, e più concretamente del Vangelo, regola suprema per tutti voi, come afferma il Concilio Vaticano ii nel Decreto Perfectae caritatis (cfr. n. 2) e come ben compresero i vostri Fondatori:  la vita consacrata è una pianta ricca di rami che affonda le radici nel Vangelo. Lo dimostra la storia dei vostri Istituti, nei quali la ferma volontà di vivere il Messaggio di Cristo e di configurare la propria vita ad esso, è stata e rimane il criterio fondamentale del discernimento vocazionale e del vostro discernimento personale e comunitario. È il Vangelo vissuto quotidianamente l'elemento che dà fascino e bellezza alla vita consacrata e vi presenta davanti al mondo come un'alternativa affidabile. Di questo ha bisogno la società attuale, questo attende da voi la Chiesa:  essere Vangelo vivente.

    Un altro aspetto fondamentale della vita consacrata che vorrei sottolineare è la fraternità:  "confessio Trinitatis" (cfr. Giovanni Paolo ii, Esort. Ap. Vita consecrata, 41) e parabola della Chiesa comunione.
    Attraverso di essa, infatti, passa la testimonianza della vostra consacrazione. La vita fraterna è uno degli aspetti che maggiormente cercano i giovani quando si avvicinano alla vostra vita; è un elemento profetico importante che offrite in una società fortemente individualistica. Conosco gli sforzi che state facendo in questo campo, come conosco anche le difficoltà che la vita comunitaria comporta. C'è bisogno di un serio e costante discernimento per ascoltare quello che lo Spirito dice alla comunità (cfr. Ap 2, 7), per riconoscere quello che viene dal Signore e quello che gli è contrario (cfr. Vita consecrata, 73).

    Senza il discernimento, accompagnato dalla preghiera e dalla riflessione, la vita consacrata corre il pericolo di accomodarsi sui criteri di questo mondo:  l'individualismo, il consumismo, il materialismo; criteri che fanno venir meno la fraternità e fanno perdere fascino e mordente alla stessa vita consacrata.
    Siate maestri di discernimento, affinché i vostri confratelli e le vostre consorelle assumano questo habitus e le vostre comunità siano segno eloquente per il mondo di oggi. Voi che esercitate il servizio dell'autorità, e che avete compiti di guida e di progettualità del futuro dei vostri Istituti Religiosi, ricordate che una parte importante dell'animazione spirituale e del governo è la ricerca comune dei mezzi per favorire la comunione, la mutua comunicazione, il calore e la verità nelle relazioni reciproche.

    Un ultimo elemento che voglio evidenziare è la missione. La missione è il modo di essere della Chiesa e, in essa, della vita consacrata; fa parte della vostra identità; vi spinge a portare il Vangelo a tutti, senza confini. La missione, sostenuta da una forte esperienza di Dio, da una robusta formazione e dalla vita fraterna in comunità, è una chiave per comprendere e rivitalizzare la vita consacrata. Andate, dunque, e in fedeltà creativa fate vostra la sfida della nuova evangelizzazione. Rinnovate la vostra presenza negli areopaghi di oggi per annunciare, come fece san Paolo ad Atene, il Dio "ignoto" (cfr. Discorso nel Collège des Bernardins).

    Cari Superiori Generali, il momento attuale presenta per non pochi Istituti il dato della diminuzione numerica, particolarmente in Europa. Le difficoltà, però, non devono farci dimenticare che la vita consacrata ha la sua origine nel Signore:  è voluta da Lui per l'edificazione e la santità della sua Chiesa, e perciò la Chiesa stessa non ne sarà mai privata. Mentre vi incoraggio a camminare nella fede e nella speranza, vi chiedo un rinnovato impegno nella pastorale vocazionale e nella formazione iniziale e permanente. Vi affido alla Beata Vergine Maria, ai vostri Santi Fondatori e Patroni, mentre di cuore vi imparto la mia Apostolica Benedizione, che estendo alle vostre Famiglie religiose.


    (©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2010)

                                              Pope Benedict XVI approaches his seat in St Peter's Square at the Vatican before addressing his weekly general audience on October 27, 2010. Pope Benedict XVI called upon the international comunity to aid the people of Indonesia and Benin hit by natural disasters.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 08/07/2011 23:28

    L’INVITATO

    O. PORI

    Una FMA (Figlie di Maria Ausiliatrice) in vaticano

    Incontro con suor Enrica Rosanna sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di Vita apostolica della Santa Sede

     

    Scherzando, si potrebbe dire che lei è una primadonna! Se non sbaglio, lei è stata la prima donna che ha conseguito il dottorato alla Pontificia Università Gregoriana e ora è la prima donna Sottosegretario di una Congregazione romana.

    Non sbaglia. Ma dobbiamo un po’ ridimensionare questo “essere una primadonna”. Qualcuno ha avuto fiducia in me e mi ha aiutato a fare tanti passi: le Superiore dell’Istituto delle FMA mandandomi a conseguire la licenza e il Dottorato in una Università Pontificia (teniamo presente che le Università pontificie diedero l’accesso alle donne solo dopo il Concilio Vaticano II); Sua Santità Giovanni Paolo II chiamandomi come esperta a tre Sinodi dei Vescovi e nominandomi poi Sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Mentre ringrazio per questa grande e inaspettata (e forse immeritata fiducia: perché a me e non ad altre migliori di me?, mi domando spesso), ringrazio il Signore perché mi ha permesso attraverso queste responsabilità di capire che senza di Lui non possiamo fare nulla. è Lui che ci precede e ci accompagna nella fatica e nel gaudio della responsabilità.

    Ha dovuto lottare molto per sfatare certi tabù?

    Ho cercato sempre di fare il mio dovere con responsabilità, gioia e sacrificio, puntando molto sulla collaborazione. Il tempo e l’esempio faranno il resto.

    Com’era la sua famiglia?

    Modesta e bellissima. Dalla mia famiglia ho imparato ad amare il Signore, a pregare, a servire, a collaborare. In parole povere, ho imparato quei valori umani e cristiani che fanno bella la vita, la colorano di onestà e la rendono degna di essere vissuta. Siamo in tre sorelle. La maggiore, suor Teresina, è anche lei figlia di Maria Ausiliatrice, la minore, Angela, è sposata e ha sei figli. Mamma e papà sono in paradiso. A loro mi affido spesso perché ci proteggano e diano modo a noi figlie di imitarne gli esempi.

    Chi le ha raccontato per primo la storia di Gesù?

    Nella mia famiglia si respirava un clima di religiosità profonda. Un esempio splendido di religiosità ci veniva dal nonno materno che viveva con noi: pregava in continuazione e frequentava quotidianamente la parrocchia. Quando non poté più camminare faceva tutte le funzioni religiose seduto sulla sedia o nel letto alternando la lingua italiana con quella latina e con il dialetto. Noi ragazze non eravamo in grado allora di apprezzare tutto questo. Soltanto con il passare degli anni ci rendemmo conto della ricchezza che avevamo ricevuto.

    La mia famiglia ci ha rese “familiari” con la parrocchia, dove abbiamo ricevuto tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana e dove abbiamo vissuto l’esperienza entusiasmante dell’Azione Cattolica. Un contributo grande per conoscere Gesù ci è stato offerto dal nostro parroco: uomo di Dio, padre e pastore.

    Com’è nata la sua vocazione?

    Cominciai a riflettere seriamente sul mio futuro a 20 anni dopo la domanda di una suora, che a bruciapelo un giorno mi chiese: «Hai mai pensato a farti religiosa?». Devo dire sinceramente che durante gli anni delle scuole superiori, con le amiche più vicine, parlavamo spesso del nostro futuro, ma la scelta della vita religiosa ci faceva paura e la accantonavamo sempre. Ringrazio il mio parroco e le mie suore che mi hanno aiutato ad ascoltare la voce di Dio! Da sola non ci sarei arrivata.

    Perché Figlia di Maria Ausiliatrice?

    Frequentavo l’oratorio delle FMA e mi colpiva tanto la loro gioia e lo stare in mezzo a noi sempre. Non eravamo abituate a questa familiarità e a questa gioia. Ci rendevano gioiosa anche la preghiera, anche il servizio, anche il sacrificio e sapevano accettarci come eravamo: vivaci e terribili. Avevano tanta fiducia in noi e ce la dimostravano in modo concreto. Era bello stare con le suore, sempre.

     

    In Vaticano mi sento a casa

    Qual è il suo compito attuale?

    Dal 24 aprile 2004 sono sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di Vita apostolica della Santa Sede. È stato il beato Giovanni Paolo II a chiedermi questo servizio.

    Come si trova a lavorare in un ambiente come il Vaticano?

    Bene. Mi sento a casa. La mia esperienza di lavoro con sacerdoti e vescovi non è però nuova. Penso al servizio presso alcune commissioni della Conferenza episcopale italiana, al Sinodo di Roma, al Convegno della Chiesa italiana a Palermo, al Progetto culturale, ai Sinodi dei Vescovi e al mio servizio come Preside dell’Auxilium, per non parlare della mia giovinezza vissuta in ambienti sociali e politici.

    Dal suo posto privilegiato di osservazione, che cosa pensa della situazione attuale della vita religiosa e di quella femminile, in particolare?

    La presenza delle consacrate e delle religiose è oggi particolarmente importante; esse hanno un peso notevole nell’evangelizzazione anche se molte volte svolgono una missione nascosta, sono cioè lievito nella massa. Sono però anche lampada sul candelabro perché la gente vede e riconosce in loro “persone sempre disponibili ad accogliere” per risolvere problemi, dare consigli, sostenere, guidare, confortare, educare. Esse mettono a disposizione della gente non solo il loro “genio femminile”, ma i diversi carismi che hanno ricevuto in dono da Dio: il carisma della compassione, il carisma dell’educazione, il carisma dell’evangelizzazione, il carisma del servizio ai poveri. Pensiamo alle grandi sante a cui ispirano il proprio servizio: Teresa di Calcutta, Maria Domenica Mazzarello, Angela Merici, Chiara d’Assisi, Maddalena di Canossa, Teresa d’Avila, Caterina da Siena… e tante altre ancora. Queste sante insegnano a noi religiose non solo a servire, valorizzando i nostri carismi, ma ad imparare dalle persone che abbiamo l’onore di servire. Dai poveri e dai bisognosi si impara sempre. Non dobbiamo dimenticare la parola del Signore: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

    Di meno, ma più vividi

    È possibile un’inversione di tendenza nelle vocazioni alla vita consacrata?

    È un dato di fatto che il numero dei religiosi e delle religiose, negli ultimi decenni, è calato in modo drastico, in particolare nei paesi industrializzati. A questo proposito, un autore ha scritto opportunamente che in questi momenti di prova noi consacrati dobbiamo vivere quella “spiritualità del crepuscolo”, che ci porta ad essere più fervorosi, più impegnati, più evangelizzatori e perciò doppiamente testimoni del Signore Gesù. Precisamente perché siamo di meno, il Signore ci chiama ad essere lampade più vivide sul moggio.

    Sono convinta che Dio continua a chiamare alla sua sequela, ma ci sono troppe cause che impediscono alle giovani generazioni di ascoltare la voce di Dio. Ciò nonostante, o proprio per questo, dobbiamo guardare la realtà con speranza, dando una testimonianza gioiosa della nostra sequela, nonostante l’invecchiamento, le difficoltà di ogni genere, le defezioni. Finché c’è speranza c’è vita anche per i nostri Istituti.  Dobbiamo dire con la vita alle giovani generazioni che è bello, entusiasmante, seguire il Signore, anche se la sequela è fatica e coraggio. Dobbiamo aiutare le giovani e i ragazzi a seguire Gesù e a impegnarsi per Lui e con Lui per tradurre nell’oggi il discorso della Montagna.

    Quindi lei ha fiducia nel futuro?

    Le vocazioni alla vita consacrata ci sono e ci sono giovani, e io lo credo fermamente, che hanno bisogno di essere guidati a comprendere come è bello seguire il Signore Gesù con cuore indiviso. Questa constatazione mi nutre il cuore di speranza: speranza che il cuore delle giovani generazioni è ancora terra fertile e vale perciò la pena seminare, anche se una parte del seme cadrà sui rovi, un’altra sulle pietre…; speranza che noi consacrati e consacrate abbiamo la forza per creare quella cultura vocazionale che porta le giovani generazioni a scoprire Cristo, a incontrarlo, a credere in Lui, a seguirlo come Pietro, Giovanni, Andrea, Simone, come Teresa d’Avila, Chiara d’Assisi, Teresa del Bambino Gesù, Teresa di Calcutta, Maria Domenica Mazzarello; speranza che tutta la vita consacrata con le sue risorse ha qualcosa da dire alla società e alla chiesa; speranza che verranno tempi migliori anche per la vita consacrata e la messe continuerà ad essere abbondante. Se è vero infatti che molti Istituti patiscono una profonda crisi vocazionale, e che gli abbandoni ammontano ad una percentuale significativa, è pure vero che gli Istituti di antica fondazione, come i nostri, sono sempre coraggiosamente in frontiera (penso per esempio alla missione Africa della Famiglia Salesiana) per essere balsamo per le antiche e nuove povertà;  che nascono nuove forme di vita evangelica, che le vocazioni fioriscono nelle giovani Chiese, che la testimonianza di tante consacrate e consacrati coraggiosi fino al martirio è realtà anche di oggi.

    Come vede la Congregazione salesiana nella Chiesa di oggi?

    Don Bosco, madre Mazzarello e tutti i nostri santi e beati ci hanno insegnato ad amare la Chiesa, l’hanno amata e servita con tutte le proprie forze dedicandosi all’educazione della gioventù. Ogni giorno, quando passo nella Basilica di San Pietro, mi soffermo a guardare il quadro di madre Mazzarello e la statua di don Bosco (che sono posti l’uno di fronte all’altro e si guardano) e chiedo loro di dare a tutta la Famiglia Salesiana quell’amore alla Chiesa e al Vicario di Cristo che ha caratterizzato la loro vita e li ha portati a spendersi totalmente e con gioia per l’educazione dei giovani, in particolare dei più poveri. Il mio lavoro in Curia è un gesto di fiducia del S. Padre, oggi bea-
    to Giovanni Paolo II, non solo nei miei riguardi, ma verso il mio Istituto e tutta la Famiglia Salesiana e uno stimolo per ogni salesiano e salesiana a rinnovarsi nella fedeltà al Vicario di Cristo e nell’adesione sincera e generosa ai suoi insegnamenti.

    Ha un messaggio per la Famiglia Salesiana?

    Il Papa, nell’Esortazione apostolica Vita consacrata, coraggiosamente invita i consacrati e perciò anche ciascuno di noi e, perché no anche tutti i membri della Famiglia Salesiana, non solo a ricordare e a raccontare la propria gloriosa storia, ma a costruire una grande storia.

    “Guardate al futuro – Egli afferma – nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi cose grandi. Siate sempre pronti, fedeli a Cristo, alla Chiesa, al vostro Istituto e all’uomo del nostro tempo. Sarete così da Cristo rinnovati di giorno in giorno, per costruire con il suo Spirito comunità fraterne, per lavare con Lui i piedi ai poveri e dare il vostro insostituibile contributo alla trasfigurazione del mondo”.

    Faccio mio questo augurio e chiedo che i nostri santi aiutino tutti i membri della Famiglia Salesiana a farlo diventare realtà quotidiana.

     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 19/04/2012 17:26

    giovedì 19 aprile 2012

    Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede rivolta alle Superiore Maggiori degli Stati Uniti (Radio Vaticana)



    Rinnovare per offrire un più solido fondamento dottrinale: questo l’obiettivo sotteso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella Valutazione dottrinale delle attività della Leadership Conference of Women Religious. Il documento è stato al centro ieri di un incontro tra i superiori del dicastero vaticano e le rappresentanti della Conferenza di Superiore di Ordini religiosi presenti negli Stati Uniti. Il servizio di Roberta Gisotti.

    “Rafforzare una ecclesiologia di comunione” è l’intento principale della Valutazione, condotta fin dal 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei confronti della Conferenza di Superiore Maggiori negli Stati Uniti, spiega in una nota il cardinale William Levada, prefetto del dicastero vaticano. Il documento, pubblicato ieri, ha lo “scopo – sottolinea il porporato – di incoraggiare un rinnovamento paziente e collaborativo di questa Conferenza”, “per dotare le sue molteplici e lodevoli iniziative ed attività di un più solido fondamento dottrinale”. E l’incontro svoltosi in Vaticano è stato “il primo passo – osserva il cardinale Levada - per attuare i risultati della valutazione”, offrendo “la possibilità di esaminare il documento in uno spirito di rispetto reciproco e collaborazione, nella speranza di evitare ogni eventuale incomprensione degli intenti e degli scopi del testo.”

    La Valutazione – chiarisce un comunicato del dicastero – “riguarda l’Associazione delle Superiore Maggiori e non si occupa della fede e della vita delle religiose negli Istituti membri di tale Associazione”. Sono però emersi “problemi dottrinari seri che toccano molti nella Vita consacrata”. Nella Valutazione si riferisce di posizioni non accettabili manifestate nelle Assemblee annuali dell’Associazione e di posizioni di dissenso – ad esempio in tema di ordinazione delle donne e di approccio pastorale all’omosessualità - o di affermazione di femminismo radicale incompatibili con l’insegnamento cattolico. [SM=g1740730]

    Ricorda il dicastero che “le Associazioni di Superiori maggiori sono espressione della collaborazione tra la Santa Sede, i Superiori generali e le Conferenze episcopali a sostegno della Vita consacrata”. Da qui la necessità di prevedere per l’Associazione “un solido radicamento dottrinale nella fede della Chiesa”. A tal fine la Santa Sede ha nominato mons. Peter Sartain, arcivescovo di Seattle “Delegato per l’esame, la guida e l’approvazione, se necessario, del lavoro dell’Associazione (LCWR)”, lavorando insieme alle sue rappresentanti “per realizzare gli obiettivi delineati nella Valutazione.” [SM=g1740721]
     
    Il delegato riferirà poi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che informerà e consulterà gli altri due dicasteri interessati quello per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e quello per i Vescovi. “La Santa Sede – conclude il cardinale prefetto Levada – spera in questo modo di offrire un contributo di rilievo per il futuro della vita religiosa negli Stati Uniti”.
     
     Radio Vaticana
     
    ******************
    [SM=g1740732]E' L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA!! ATTENTE SUORE A NON CADERE IN QUESTA TRAPPOLA INFERNALE DELLA DISOBBEDIENZA! [SM=g1740730]
     
    ********************
     
    DA LA BUSSOLAQUOTIDIANA
     
    Suore americane "commissariate"

    di Massimo Introvigne
    20-04-2012


    I lettori della Bussola Quotidiana, in grande maggioranza cattolici, pensano che il buon cattolico metta al centro delle feste comandate la Messa. E che chi ha scelto la vita religiosa lo faccia con particolare zelo e solennità.

    Se pensate questo, però, non conoscete le suore americane. In molti ordini di suore negli Stati Uniti le buone sorelle si pongono la questione se sia opportuno o meno che «l'Eucarestia sia al centro delle loro celebrazioni comunitarie solenni», perché purtroppo «la celebrazione della Messa richiede un sacerdote ordinato, qualche cosa che alcune suore giudicano "discutibile"». Detto in altri termini, vedere un maschio sull'altare è intollerabile per suore intrise di «femminismo radicale», le cui superiore nazionali da anni e sistematicamente «protestano contro gli insegnamenti della Santa Sede in materia di ordinazioni delle donne», anzi li «rifiutano pubblicamente», benché si tratti d'insegnamenti che - come il Papa ha ribadito di recente - dichiarano il rifiuto di queste ordinazioni definitivo e irrevocabile. Può darsi che la presenza di un maschio che celebra Messa dia fastidio a queste suore anche per un'altra ragione, in quanto - sempre spalleggiate e anzi guidate dalle loro superiori nazionali - hanno adottato un atteggiamento sulle «persone omosessuali» - trattandosi di suore, particolarmente persone lesbiche - che, per usare forse un eufemismo, «non corrisponde all'insegnamento della Chiesa in materia di sessualità umana».

    Il problema se si debba o no ammettere il prete a celebrare la Messa nelle feste dei conventi di suore non dev'essere occasionale, se è vero che se ne occupa il «Systems Thinking Handbook», che è «un manuale per la formazione dottrinale delle superiori religiose». E quale soluzione propone il manuale? Una bella discussione democratica, convento per convento, dove si esclude che scopo del «dialogo» sia «accettare l'insegnamento della Chiesa». Si tratta invece d'imparare a dare spazio non solo alla «mentalità occidentale» - che procede per dottrina e per logica, e potrebbe portare a concludere che sulla Messa va seguito quanto la Chiesa insegna - ma anche al «modello mentale organico», più tipico delle religioni orientali, dove ciascuna sorella va dove la porta il cuore.

    Naturalmente, una volta adottato questo «modello mentale organico» - il cui nome più preciso sarebbe relativismo - per decidere che cosa è bene pensare e insegnare nei conventi di suore americani, non c'è nessuna ragione di fermarsi alla Messa. Il rifiuto della dottrina della Chiesa in tema di sessualità, omosessualità, ma anche «famiglia», «aborto» e «eutanasia» è dato per scontato. Ma ormai non ci si ferma più alla morale. In molti casi la franca e democratica discussione condotta secondo il nuovo modello porta a rifiutare «la Trinità, la divinità di Cristo e il carattere ispirato della Sacra Scrittura». E neppure qui ci si arresta.

    Nel corso dell'assemblea annuale delle superiore religiose statunitensi del 2007 una delle oratrici principali, la suora e teologa domenicana Laurie Brink, ha affermato che molte suore ormai hanno deciso di andare «al di là della Chiesa» e ora anche «al di là di Gesù», verso un orizzonte di vaga religiosità dove Gesù è un maestro fra tanti altri e «lo spirito del Sacro» vive in tutte le religioni, anzi «in tutta la creazione». [SM=g1740732]

    È vero che molte congregazioni di suore fanno un buon lavoro caritativo e promuovono pratiche a sostegno dei poveri che spesso sono «conformi alla dottrina sociale della Chiesa». Ma questo non basta, e non distingue le suore da una comune associazione umanitaria, se rischia di andare perduto «il fondamentale centro e punto focale cristologico della consacrazione religiosa, il che porta a sua volta a perdere il senso costante e vivo della Chiesa».

    Se tutto quanto avete letto finora tra virgolette derivasse da un'inchiesta giornalistica sarebbe già abbastanza grave. Ma viene da un documento del Magistero. Si tratta della «Valutazione dottrinale della Conferenza delle Superiore Religiose Femminili [degli Stati Uniti]», resa pubblica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 18 aprile 2012, come si precisa su ordine e con l'approvazione di Benedetto XVI. Si tratta del risultato di un lavoro iniziato nel 2008, condotto sotto la guida del vescovo di Toledo, nell'Ohio, mons. Leonard Blair, il quale ha esaminato le assemblee annuali, le politiche e i documenti della Conferenza delle Superiore, la Leadership Conference of Women Religious (LCWR). Il documento dà atto delle risposte fornite dalla LCWR al vescovo Blair e alla Congregazione, che giudica «inadeguate».

    Le superiore da una parte hanno risposto che tutti gli interventi alle loro assemblee sono pronunciati a titolo personale: il che non convince, risponde il documento vaticano, perché anni di interventi vanno tutti nello stesso senso e perché le Conferenze delle Superiori Religiose sono esplicitamente regolate dal diritto canonico e «approvate dalla Santa Sede», e come tali hanno «una responsabilità positiva per la promozione della fede e per offrire alle comunità che ne fanno parte e al più vasto pubblico cattolico una posizione chiara e persuasiva a sostegno della visione della vita religiosa proposta dalla Chiesa».

    Dall'altra parte, le suore hanno utilizzato un vecchio argomento che - per coincidenza - all'estremo opposto della teologia si sente ripetere in questi giorni anche da alcuni «tradizionalisti». Le suore, cioè, affermano che è obbligatorio per i cattolici, religiose comprese, seguire solo tra gli insegnamenti del Magistero quelli infallibili o che almeno «sono stati dichiarati insegnamenti autorevoli». Il documento vaticano risponde che, a parte il fatto che alcuni degli insegnamenti pubblicamente rifiutati dalla LCWR, tra cui quelli che negano il sacerdozio alle donne, per non parlare della Trinità o della divinità di Gesù Cristo, rientrano certamente in questa categoria, il buon fedele cattolico, e tanto più la religiosa che ha fatto voto di obbedienza, sono tenuti a seguire anche il Magistero ordinario e non solo quello straordinario.

    Alla diagnosi - secondo cui la situazione della LCWR è «grave», «davvero preoccupante» e su alcuni punti perfino «scandalosa» - segue nel documento vaticano la terapia. La Congregazione per la Dottrina della Fede nominerà un Arcivescovo Delegato, assistito da due vescovi, sotto la cui guida la LCWR dovrà riformare i suoi statuti. Il famoso «Systems Thinking Handbook» sarà «ritirato dalla circolazione mentre si procederà alla sua revisione». Il materiale formativo sarà rivisto per renderlo conforme al «Catechismo della Chiesa Cattolica». Gli oratori alle assemblee annuali e ai principali convegni della LCWR dovranno essere approvati dall'Arcivescovo Delegato. Si procederà a una revisione della vita liturgica, assicurandosi che «l'Eucarestia e la Liturgia delle Ore abbiano un ruolo centrale». L'Arcivescovo Delegato resterà in carica «fino a cinque anni». I danni prodotti sono tali che potrebbero non bastare.
     
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    [Modificato da Caterina63 23/04/2012 15:31]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)