DIFENDERE LA VERA FEDE

Intervista a S.E. Mons. Athanasius Schneider (IMPORTANTE)

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    Caterina63
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    00 19/10/2010 11:10
     Cari Amici, c'è poco da presentare, qui c'è da leggere, MEDITARE, CONTEMPLARE, ringraziare Dio per il dono di Vescovi attenti e premurosi come questi che davvero hanno a cuore non i propri interessi ma quelli DELLE ANIME DA SALVARE.....
    Il testo che segue portato in tre puntate anche dal Blog Messainlatino, ve lo offriamo qui ora in forma integrale per una lettura altrettanto integrale...



     

    Intervista di Paix Liturgique al vescovo Schneider


    PRIMA PARTE – SULLA COMUNIONE

    La riforma della riforma promossa dal Sommo Pontefice è un'opera che progredisce lentamente non avendo per ora riscontrato il supporto necessario nella gerarchia episcopale. Nonostante questo, alcuni prelati si sono gettati con entusiasmo e ubbidienza nella promozione del nuovo movimento liturgico voluto da Papa Benedetto. Siamo lieti di proporvi questa settimana la prima parte di un'incontro esclusivo con uno di questi, S.E. Mons. Athanasius Schneider [nella foto, al centro], Vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan, autore del libro “Dominus Est, Riflessioni di un Vescovo dell'Asia centrale sulla sacra Comunione
    ”, pubblicato nel 2008 dalla Libreria Editrice Vaticana.


    1) Eccellenza, innanzitutto, può presentarci l'ordine religioso al quale appartiene: i Canonici regolari della Santa Croce detti anche Canonici di Coimbra?

    S.E. Mons. Athanasius Schneider: Furono Don Tello e San Teotoneo, il primo santo del Portogallo, a creare l'ordine nel 1131 a Coimbra. Lo fondarono con altri dieci religiosi, scegliendo di seguire la regola di Sant'Agostino e mettendosi sotto la doppia protezione della Santa Croce e dell'Immacolata Concezione. L'ordine conobbe una crescita rapida.
    Portoghese di nascita, anche Sant'Antonio da Padova, prima di passare ai francescani, appartenne all'ordine. Nel 1834 il governo portoghese chiuse gli ordini religiosi. Per la Chiesa, però, un'ordine si estingue soltanto 100 anni dopo la morte del suo ultimo membro. Dopo il Concilio Vaticano II, fu il Primate di Portogallo a chiedere di rilanciare l'ordine. Il rilancio venne approvato nel 1979 da un decreto della Santa Sede, firmato dall’allora arcivescovo Augustin Mayer, Segretario della Congregazione per i Religiosi.
    L'ordine è dedicato alla venerazione della Santa Croce e degli angeli, in stretto legame con l'opera perseguita dall'Opus Angelorum. Nato nel 1949 in Austria, l'Opus Angelorum ha dato vita nel 1961 alla Confraternità degli Santi Angeli Custodi con la vocazione di raggrupare i “fratelli della Croce”. La fondatrice dell'Opus Angelorum, umile madre di famiglia austriaca, Gabrielle Bitterlich, voleva portare un aiuto spirituale ai sacerdoti e partecipare all'espiazione per i sacerdoti mediante la pratica dell'Adorazione eucaristica.

    L'Opus Angelorum è stato oggetto di vari interventi della Santa Sede per chiarirne il funzionamento ed è diventato alla fine, nel 2007, il terz'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce.
    L'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce conta 80 sacerdoti per 140 membri ed è presente in Europa, America e Asia.
    Nell’ordine la messa si celebra secondo il Novus Ordo, però versus Deum e dando la comunione nel modo tradizionale, quello che il Santo Padre ha riportato nelle sue cerimonie: Comunione in bocca data ai fedeli inginocchiati. In questo si perpetua anche la memoria della fondatrice dell'Opus Angelorum che soffriva molto per la generalizzazione della comunione nella mano.

    2) E' stato questo rispetto particolare per l'Eucaristia, Eccellenza, ad averla spinta ad unirsi all'ordine?

    AS: Si. Dovete sapere che per 12 anni, i primi della mia vita, ho vissuto sotto la tirannia del comunismo sovietico. Sono cresciuto nell'amore di Gesù Eucaristia grazie a mia madre che era una “donna eucaristica”. Una di quelle pie donne che custodivano l'Ostia consacrata per evitare che venissero commessi dei sacrilegi quando i sacerdoti venivano arrestati o messi sotto indagine dalle autorità.
    Quindi, quando siamo arrivati in Germania nel 1973, sono rimasto scioccato nel vedere come si faceva la comunione in chiesa. Mi ricordo di avere detto a mia madre, vedendo per la prima volta la comunione data in mano: “Mamma, ma è come quando distribuiscono le caramelle a scuola!”
    Più tardi, quando ho creduto di avere la vocazione sacerdotale, ho cercato una via che consentisse anche a me di poter essere custode di Gesù Ostia, a mio modo. La Providenza ha voluto che fosse proprio negli anni del rilancio dei Canonici della Santa Croce...

    3) Sin dalla sua elezione, avvenuta in pieno anno eucaristico, Benedetto XVI ha riaffermato spesso la presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Eucaristia. Ha anche ripreso, a partire dalla festa del Corpus Domini del 2008 l'uso di dare la comunione sulla lingua a fedeli inginocchiati. Colpiti da quest'esempio papale, numerosi sacerdoti, spesso tra i più giovani, cominciano a dubitare dei meriti della comunione generalizzata in mano, ritenuta per altro da alcuni come uno dei danni maggiori della riforma liturgica.
    Il suo libro, Dominus Est, affronta precisamente questo tema. Secondo Lei, possiamo dire, come S.E. Mons. Malcolm Ranjith nella prefazione del suo libro, che la comunione in mano ha favorito una perdita di fede, sia dei fedeli che dei chierici, nella presenza reale di Cristo e, di conseguenza, una mancanza di rispetto nei confronti del Santissimo Sacramento? Ci riferiamo allo spostamento dei tabernacoli negli angoli bui delle chiese, ai fedeli che non si genuflettono più davanti al Santissimo Sacramento, alle comunioni sacrileghe, ecc.

    AS: Vorrei innanzitutto dire che penso che si possa prendere la comunione con grande riverenza anche ricevendo l'Eucaristia nella mano. Nella sua forma più diffusa e generalizzata, però, dove la sacralità sembra venire dimenticata sia dal ministro che dal fedele, devo ammettere che la comunione in mano contribuisce a un indebolimento della fede e della venerazione del Signore eucaristico. E in questo senso sono in pieno accordo con le osservazioni di S.E Mons. Malcolm Ranjith.

    Alcune cose lo fanno capire:

    - Non c'è nessuna garanzia della protezione di Nostro Signore nei suoi frammenti più piccoli. Io soffro della perdita dei frammenti dell'Eucaristia, ormai assai diffusa a causa della pratica quasi generalizzata della comunione in mano. E' possibile, mi dico, una tale trascuratezza, che con il tempo conduce ad una diminuzione e persino ad una mancanza di fede nella Transustanziazione?
    - La comunione in mano favorisce fortemente il furto delle specie eucaristiche. Si commettono così dei sacrilegi veri che non dovremmo mai permettere.
    - Lo spostamento del tabernacolo, inoltre, non aiuta la centralità dell'Eucaristia, anche a scopo educativo: deve sempre essere visibile il luogo centrale dove si ripara Nostro Signore Gesù Cristo.

    4) Nonostante sia stato consentito solo da un apposito indulto all'inizio, il modo di comunicarsi in mano è divenuto una norma, quasi un dogma, nella maggioranza delle diocesi. Come mai una tale evoluzione?

    AS: Questa situazione si è imposta con tutte le caratteristiche di una moda ed ho inoltre il sospetto che la sua diffusione sia dovuta anche ad una vera e propria strategia. La consuetudine della comunione nella mano si è diffusa con l’effetto di una valanga. Mi domando: siamo così insensibili da non riconoscere più la sublime sacralità delle specie eucaristiche, Gesù vivente tra noi con la Sua maestà Divina?

    5) Per il momento pochissimi prelati hanno deciso di imitare il Santo Padre e di dare la comunione nel modo tradizionale. Di conseguenza numerosi preti esitano a seguire il Papa. Secondo Lei, si tratta delle solite resistenze conservatrici (non si toccano gli “avanzi” di Vaticano II) o, ciò che sarebbe quasi peggio, di un disinteresse per l'argomento?

    AS: Non possiamo giudicare le intenzioni, ma un'osservazione esterna ci lascia pensare che ci sia una reticenza o, almeno, un disinteresse per il modo più sacro e più sicuro di ricevere la comunione. Si ha l'impressione che una parte dei pastori nella Chiesa faccia finta di non vedere quello che porta avanti il Sommo Pontefice: un magistero eucaristico-pratico.





    continua...............

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 19/10/2010 11:16
    SULL'ARRICCHIMENTO RECIPROCO DELLE DUE FORME
    DEL RITO ROMANO

                                                    
     
    INTERVISTA CON MONS. SCHNEIDER - SECONDA PARTE


    Ecco la seconda parte dell'incontro che abbiamo avuto con S. E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda (Kazakistan). Dopo la prima parte, dedicata all'Eucaristia, ci soffermiamo in questa pubblicazione sull'arricchimento mutuo tra le due forme del rito romano, così come auspicato dal Santo Padre nella sua lettera ai vescovi del 7 luglio 2007. S.E. Mons. Schneider ci propone in particolare una riflessione inedita sul rafforzamento nella liturgia moderna, ma secondo una logica tradizionale, del ruolo del diacono, del lettore e dell'accolito. A questo riguardo ci piace sottolineare che, proprio nel periodo in cui abbiamo avuto la fortuna di poterlo intervistare, S. E. Mons. Athanasius Schneider stava per conferire gli ordini minori, secondo la forma straordinaria della liturgia romana, ad alcuni seminaristi dell'Istituto del Cristo Re.


    6) Nel Motu Proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI ha formulato un invito all'arricchimento reciproco delle due forme dell'unico rito romano: per Lei, che celebra senza difficoltà nella forma straordinaria, quali sono gli aspetti nei quali quest'arricchimento mutuo potrebbe manifestarsi con maggior frutto?

    AS: Dobbiamo prendere sul serio il Papa. Non possiamo continuare a fare come se Lui non avesse detto questa frase. Anzi, come se non l'avesse scritta. Ovviamente, anche senza cambiare i messali, c'è modo di avvicinare le due forme.

    La prima cosa potrebbe essere quella di celebrare versus Deum a partire dall'Offertorio, così com'è previsto dalle rubriche del Novus ordo. L'ordo missae di Paolo VI indica chiaramente che per due volte il celebrante si deve rivolgere verso il popolo. Una volta al momento dell'”Orate fratres” e poi quando il sacerdote dice “Ecce Agnus Dei” per la comunione dei fedeli. Che cosa significa questo se non che il sacerdote dovrebbe essere rivolto all'altare durante l'Offertorio e il Canone? Nel settembre 2000, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato una risposta relativa ad un “quaesitum” sull'orientamento del sacerdote durante la messa. Spiegando che “che la posizione versus populum sembra la piú conveniente nella misura in cui rende piú facile la comunicazione”, ricordava che “sarebbe un grave errore supporre che l’azione sacrificale sia orientata principalmente alla comunità. Se il prete celebra versus populum, cosa legittima e spesso consigliata, il suo atteggiamento spirituale deve sempre essere rivolto versus Deum per Iesum Christum, in rappresentanza dell’intera Chiesa.”

    Mi pare che oggi questa risposta, che consiglia la celebrazione verso il popolo, potrebbe venire adattata alla nuova realtà creata del MP Summorum Pontificum con la raccomandazione di celebrare ad orientem a partire dall'Offertorio.

    In merito alla comunione, poi, la Santa Sede potrebbe pubblicare un'altra raccomandazione universale per ricordare ciò che viene previsto dall'Ordinamento generale del Messale romano nel suo articolo 160: “I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.” Si nota che la prima forma di comunione menzionata dal testo ufficiale della Chiesa commentando il Novus Ordo è quella in ginocchio...

    Sarebbe inoltre opportuno limitare l'uso dei cosiddetti ministri laici dell'Eucaristia ai soli casi di assenza del sacerdote e del diacono.

    Un altro aspetto che potrebbe arricchire il Novus Ordo sarebbe che le letture della Sacra Bibbia vengano sempre fatte da un uomo in abito liturgico, e non da donne o uomini in vesti civili. Questo perchè la proclamazione della lettura si svolge nel presbiterio, un luogo che dai tempi apostolici era riservato al sacerdote e ai ministri ordinati, incluso i chierici degli ordini minori. Solo in mancanza di quest'ultimi un fedele laico maschio poteva supplire loro. Il servizio presso l’altare, sia del lettore, sia dell’accolito, non è un esercizio del sacerdozio comune, ma è contenuto nell’esercizio dell’ordine sacro, specificamente in quello del diaconato. Per questa ragione, almeno a partire dal III secolo, la Chiesa Romana ha voluto gli ordini minori come una specie di introduzione ai vari compiti concreti che in qualche modo sono contenuti nell’esercizio del diaconato, per esempio vigilare il santuario e chiamare i fedeli alla liturgia (ostiariato), leggere la parola di Dio nella liturgia (lettorato), espellere gli spiriti maligni (exorcistato), portare la luce e servire all’altare (accolitato). Per questo si può meglio vedere la ragione per la quale la Chiesa finora ha riservato il conferimento degli ordini minori o dell’istituzione di lettore e accolito ai soli fedeli laici maschi.

    Di conseguenza consideriamo che un'altra possibilità offerta dall'avvicinamento delle due forme liturgiche sia quella di tornare alla sana tradizione che riserva il coro ai soli uomini: diaconi, accoliti, lettori e chierichetti devono essere maschi. Non possiamo lamentare il crollo delle vocazioni se i ragazzi non sono più portati al servizio dell'altare.

    Infine, la preghiera dei fedeli deve essere riservata ai soli diaconi, accoliti o lettori in veste liturgica. Penso però che sia più consono alla bimilenaria tradizione della Chiesa, occidentale come orientale, che la preghiera universale o dei fedeli sia proclamata o meglio cantata solo dal diacono, giacchè la preghiera universale si chiamava anche oratio diaconalis. Quindi, in assenza del diacono, analogamente alla proclamazione del vangelo, la preghiera universale dovrebbe venire detta dal sacerdote stesso. Il nome preghiera dei fedeli non significa che sia proclamata da parte dei fedeli laici, questo è un errore storico e liturgico. Significa invece che questa preghiera si faceva all’inizio della liturgia dei fedeli dopo l'uscita dei catecumeni. Il diacono o il sacerdote offriva alla maestà Divina con le suppliche solenni le intenzioni di tutta la chiesa, cioè di tutti i fedeli, ed è proprio per questo che si chiamava anche preghiera dei fedeli.


    7) E per il Vetus Ordo? In che modo potrebbe venire arricchito dall'avvicinamento con la forma ordinaria del rito romano?

    AS: Direi che lo spirito che anima gli ultimi punti relativi al Novus Ordo si può applicare alla forma straordinaria. Le letture sacre dovrebbero essere sempre rese accessibili ai fedeli, cioè lette nella lingua locale e non soltanto in latino, fatta qualche eccezione particolare. Le letture potrebbero essere fatte, anche in questo caso, da un lettore ordinato o istituito o comunque da un fedele laico maschio in veste liturgica.

    Anche l'introduzione di alcuni dei prefazi del Novus Ordo sarebbe una cosa bella e utile, così come l'introduzione dei nuovi santi nel calendario liturgico tradizionale.


                   
    (nella foto in ordine in fila si vedono: padre Nuara O.P. mons. Schneider e mons. Burke)



    continua..............

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/10/2010 11:22
    Terza ed ultima parte dell'intervista:


    Ecco l'ultima parte dell'intervista esclusiva rilasciata per la lettera di Paix Liturgique da S.E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan. In questa occasione, Sua Eccellenza ci fa condividere il suo sguardo di cristiano d'Oriente sui temi dell'Offertorio tradizionale, della formazione dei sacerdoti e dell'inculturazione della fede cattolica nei paesi dell'Asia centrale.


                                       
                               

    - Nel settembre 2001, in un saluto alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato il fatto che: “Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.” (*) Possiamo considerare che l'Offertorio tridentino sia una di queste preghiere? O dobbiamo considerare, piuttosto, che la sua sparizione sia uno dei punti positivi della riforma liturgica, così come sostengono ancora oggi numerosi modernisti (vedere SE Mons. Pierre Raffin, Vescovo di Metz che in un'intervista del 2003 – in “Enquête sur L'Esprit de la Liturgie” – si dichiarava “felice della soppressione delle preghiere d'offertorio delle quali posso dimostrare il carattere eteroclito”)?

    In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l'Offertorio è sempre stato legato all'attuazione del sacrificio del Golgotha. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrifico della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un'anticipazione simbolica”.
    L'Offertorio richiama tutti i sacrifici dell'Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. E' una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l'Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.
    Così come per Sant'Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell'Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l'Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza.

    - Per una miglior pratica della liturgia, non è forse giunto il momento rivedere la formazione nei seminari? Pensando alla Francia potremmo citare l'insegnamento del latino, che pur rimanendo la lingua sacra della Chiesa non viene quasi più praticato, e anche l'approccio alla celebrazione della forma ordinaria, che spesso è lasciato all'ispirazione personale. Per non parlare della possibilità di scoprire la liturgia tradizionale, cosa rarissimamente offerta ai seminaristi. Senza giudicare i suoi fratelli francesi, può dirci, Eccellenza, qual è la situazione nel seminario di Karaganda, unico seminario cattolico nell'Asia Centrale?

    In realtà, la situazione dell'insegnamento del latino nei seminari è grave in tutto il mondo, non soltanto in Francia. E' una cosa che succede contro ogni volontà della Chiesa e del Santo Padre ma anche del Concilio Vaticano II. La Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” prevedeva in termini chiari che: “L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.” Nella sua esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del febbraio 2007, Papa Benedetto XVI chiedeva “che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia”.
    I sacerdoti devono essere padroni della lingua latina. Credo che in tutti i seminari dovrebbe venire celebrata e insegnata la Santa Messa (rito ordinario) in latino e anche periodicamente nella forma straordinaria. Questo gioverebbe molto alla dignità stessa della liturgia.
    A Karaganda, abbiamo una quindicina di seminaristi (per una popolazione di 150.000 cattolici nel paese) e proviamo a fare modo che nella formazione il latino sia un elemento importante.

    - Nei paesi dove il cattolicesimo è soltanto una religione minoritaria, se non addirittura marginale, come succede nel Kazakistan (il 2% della popolazione), l'uso della lingua volgare e della liturgia moderna è stato spesso presentato come un aiuto per “l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone, e, nelle stesso tempo, l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa” secondo la definizione dell'inculturazione data da Giovanni Paolo II nell'enciclica Slavorum Apostoli (VI, 21). In merito alla sua esperienza, Eccellenza, può dirci se la liturgia romana in latino e gregoriano – e non importa che sia nella forma ordinaria o straordinaria – possa o no rappresentare un ostacolo per l'inculturazione del cattolicesimo in Asia?

    Si deve tenere presente che il contesto dell'Asia centrale è molto diverso da quello europeo. Non si può fare a meno di ricordare i 70 anni di regime sovietico, così come si deve considerare oggi il peso della presenza musulmana. Inoltre sono ancora presenti l'elemento slavo ortodosso e la dimensione bizantina. Dunque, siamo culturalmente ben lontani dal mondo latino.
    Celebrare la liturgia totalmente in lingua latina, nel nostro contesto specifico, sarebbe difficile da realizzare. Si potrebbe però immaginare di usare una lingua slava come lingua liturgica e poi gradualmente introdurre l’uso del latino per qualche parte della liturgia.

    Ci sono due precedenti storici:
    - Nel IX secolo, sulla scia dell'azione dei santi Cirillo e Metodio, la Chiesa autorizzò l'uso della lingua slava in Dalmazia e Boemia e Moravia, disposizione che resisterà fino al concilio Vaticano II nel caso della Dalmazia, l'attuale Croazia.
    - Nel 1949, Papa Pio XII fece pubblicare un indulto che concedeva ai sacerdoti della Cina di celebrare la messa in cinese, tranne il Canone che doveva rimanere in latino.
    Questi due precedenti storici sono noti in Kazakistan (il paese ha una frontiera in comune con la Cina) e potrebbero essere fonti d'ispirazione per una disposizione da parte della Santa Sede a favore dell'uso della lingua russa nella forma straordinaria del Rito Romano.





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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 19/10/2010 11:25
    La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato un libro di Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda, sulla sacra Comunione, con la prefazione di Mons. Malcolm Ranjith.


    Athanasius Schneider


    DOMINUS EST

    Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione

    Libreria Editrice Vaticana 2008

    Euro 8,00



    “Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione”, scritto da Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda (Kazakhstan), è stato stampato di recente dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Mons. Malcolm Ranjith.

    Ecco la presentazione che si può leggere sulla contra-copertina di questo importante lavoro: La sacra Comunione non è soltanto un momento conviviale del nutrimento spirituale, ma anche l'incontro personale più vicino possibile in questa vita del fedele con il Signore e Dio. L'atteggiamento interiore più vero in questo incontro è quello della recettività, dell'umiltà, dell'infanzia spirituale. Un Tale atteggiamento esige da parte nostra gesti tipici di adorazione e di riverenza. Ne abbiamo testimonianze eloquenti nella bimillenaria tradizione della Chiesa, caratterizzata dal detto “con amore e timore” (primo millennio) e “quanto puoi, tanto osa” (secondo millennio).

    L'autore riporta anche l'esempio di tre “donne eucaristiche” di sua conoscenza del tempo della clandestinità sovietica. Tali testimonianze possono incoraggiare ed istruire i cattolici del terzo millennio su come trattare il Signore nell'augusto momento della sacra Comunione.

    * * *

    PREFAZIONE


    di S.Ecc.Rev.ma Mons. Malcom Ranjith
    Segretario della Congregazione del Culto Divino
    e della Disciplina dei Sacramenti



    Nel Libro dell'Apocalisse, San Giovanni rac­conta come avendo visto e udito ciò che gli fu rivelato, si prostrava in adorazione ai piedi del­l'angelo di Dio (cf. Ap 22, 8). Prostrarsi o mettersi in ginocchio davanti, alla maestà della presenza di Dio, in umile adorazione, era un'abitudine di riverenza che Israele attuava sempre davanti alla presenza del Signore.

    Dice il primo libro dei Re: « quando Salomone ebbe finito di rivolgere al Si­gnore questa preghiera e questa supplica, si alzò davanti all'altare del Signore, dove era inginoc­chiato con le palme tese verso il cielo, si mise in piedi e benedisse tutta l'assemblea d'Israele » (1 Re 8, 54-55). La posizione della supplica del Re è chiara: Lui era in ginocchio davanti all'altare. La stessa tradizione è visibile anche nel Nuo­vo Testamento dove vediamo Pietro mettersi in ginocchio davanti a Gesù (cf Lc 5, 8); Giairo per chiedergli di guarire sua figlia (Lc 8, 41), il Sama­ritano tornato a ringraziarlo e Maria, sorella di Lazzaro per chiedere il favore della vita per il suo fratello (Gv 11, 32). Lo stesso atteggiamento di prostrazione davanti allo stupore della presenza e rivelazione divina si nota in genere nel Libro dell'Apocalisse (Ap 5, 8, 14 e 19, 4).

    Intimamente legato a questa tradizione, era la convinzione che il Tempio Santo di Gerusalem­me era la dimora di Dio e perciò nel tempio bi­sognava disporsi in atteggiamenti corporali espressivi di un profondo senso di umiltà e rive­renza alla presenza del Signore. Anche nella Chiesa, la convinzione profonda che nelle specie Eucaristiche il Signore è vera­mente e realmente presente e la crescente prassi di conservare la santa comunione nei tabernaco­li, contribuì alla prassi di inginocchiarsi in atteg­giamento di umile adorazione del Signore nel­l'Eucaristia. Difatti, riguardo alla presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche il Concilio di Trento pro­clamò: « in almo sanctae Eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri » (DS 1651).

    Inoltre, San Tommaso d'Aquino aveva già definito l'Eucaristia latens Deitas (S. Tommaso d'Aquino, Inni). E, la fede nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche apparteneva già d'allora all'essenza della fede della Chiesa Catto­lica ed era parte intrinseca dell'identità cattolica. Era chiaro che non si poteva edificare la Chiesa se tale fede veniva minimamente intaccata. Perciò, l'Eucaristia, Pane transustanziato in Corpo di Cristo e vino in Sangue di Cristo, Dio in mezzo a noi, doveva essere accolta con stupo­re, massima riverenza e in atteggiamento di umi­le adorazione. Papa Benedetto XVI ricordando le parole di Sant'Agostino «nemo autem illam car­nem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando » (Enarrationes in Psalmos 89, 9; CCL XXXIX, 1385) sottolinea che « ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso, colui che riceviamo [...] soltanto nell'ado­razione può maturare un'accoglienza profonda e vera » (Sacramentum Caritatis 66).

    Seguendo questa tradizione è chiaro che as­sumere gesti e atteggiamenti del corpo e dello spirito che facilitano il silenzio, il raccoglimento, l'umile accettazione della nostra povertà davanti all'infinita grandezza e santità di Colui che ci vie­ne incontro nelle specie eucaristiche diventava coerente e indispensabile. Il miglior modo per esprimere il nostro senso di riverenza verso il Signore Eucaristico era quello di seguire l'esem­pio di Pietro che, come racconta il Vangelo, si gettò in ginocchio davanti al Signore e disse «Si­gnore, allontanati da me che sono un peccatore » (Lc 5, 8). Ora, si nota come in alcune chiese, tale prassi viene sempre meno e i responsabili non solo im­pongono i fedeli a ricevere la Santissima Eucaristia in piedi, ma hanno persino eliminati tutti gli ingi­nocchiatoi costringendo i loro fedeli a stare seduti, o in piedi, anche durante l'elevazione delle specie Eucaristiche presentate per l'adorazione.

    E strano che tali provvedimenti siano stati presi nelle dio­cesi, dai responsabili della liturgia, o nelle chiese, dai parroci, senza una pur minima consultazione dei fedeli, anche se oggi più che mai, si parla in molti ambienti, di democrazia nella Chiesa. Allo stesso tempo, parlando della comunione sulla mano bisogna riconoscere che fu una prassi introdotta abusivamente e in fretta in alcuni am­bienti della Chiesa subito dopo il Concilio, cam­biando la secolare prassi precedente e divenendo ora la prassi regolare per tutta la Chiesa. Si giu­stificava tale cambiamento dicendo che rifletteva meglio il Vangelo o la prassi antica della Chiesa.

    E’ vero che se si riceve sulla lingua, si può ricevere anche sulla mano, essendo questo orga­no del corpo d'uguale dignità. Alcuni, per giusti­ficare tale prassi, si riferiscono alle parole di Gesù: « prendi e mangia » (Mc 14, 22; Mt 26, 26). Quali siano le ragioni a sostegno di questa prassi, non possiamo non ignorare ciò che succede a livello mondiale dove tale pratica viene attuata. Questo gesto contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell'atteggiamento di riverenza ver­so le sacre specie Eucaristiche.

    La prassi prece­dente invece salvaguardava meglio quel senso di riverenza. Sono subentrati invece, una allarmante mancanza di raccoglimento e uno spirito di ge­nerale disattenzione. Si vedono ora dei comuni­candi che spesso tornano ai loro posti come se nulla di straordinario fosse accaduto. Maggior­mente distratti sono i bambini e gli adolescenti. In molti casi non si nota quel senso di serietà e silenzio interiore che devono segnalare la presen­za di Dio nell'anima.

    Ci sono poi abusi di chi porta via le sacre specie per tenerle come souvenir, di chi le vende, o peggio ancora, di chi le porta via per profanare in riti satanici. Tali situazioni sono state rilevate. Persino nelle grandi concelebrazioni, anche a Ro­ma, varie volte sono state trovate delle specie sacre buttate a terra. Questa situazione non ci porta solo a riflette­re sulla grave perdita di fede, ma anche sugli ol­traggi e offese al Signore che si degna di venirci incontro volendo renderci simili a lui, affinché rispecchi in noi la santità di Dio.

    Il Papa parla della necessità non solo di ca­pire il vero e profondo significato dell'Eucaristia, ma anche di celebrarla con dignità e riverenza. Dice che bisogna essere consci dell'importanza « dei gesti e della postura, come inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera Euca­ristica» (Sacramentum Caritatis, 65). Inoltre par­lando della ricezione della Santa Comunione in­vita tutti a: « fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incon­tro personale con il Signore Gesù Cristo nel Sacramento » (Sacramentum Caritatis, 50).

    In questa ottica è da apprezzare il Libretto scritto da S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda in Kazakhstan dal titolo molto significativo Dominus Est. Esso vuole dare un contributo alla discussione attuale sul­l'Eucaristia, presenza reale e sostanziale di Cristo nelle specie consacrate del Pane e del Vino. È significativo che Mons. Schneider inizi la sua Pre­sentazione con una nota personale ricordando la profonda fede eucaristica della sua mamma e di altre due donne, fede conservata fra tante soffe­renze e sacrifici che la piccola comunità dei cat­tolici di quel Paese ha sofferto negli anni della persecuzione sovietica.

    Partendo da questa sua esperienza, che suscitò in lui una grande fede, stupore e devozione per il Signore presente nel­l'Eucaristia, egli ci presenta un excursus storico-teologico che chiarisce come la prassi di ricevere la Santa Comunione in bocca e in ginocchio sia stata accolta e praticata nella Chiesa per un lungo periodo di tempo. Ora io credo che sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi, e di rivedere e se, necessario, abbandonare quella attuale che difatti non fu indicata né nella stessa Sacrosanctum Con­cilium, né dai Padri Conciliari ma fu accettata do­po una introduzione abusiva in alcuni Paesi.

    Ora, più che mai, è necessario aiutare i fedeli a rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche allo scopo di rafforzare la vita stessa della Chiesa e di difenderla in mezzo alle pericolose distorsioni della fede che tale si­tuazione continua a causare. Le ragioni per tale mossa devono essere non tanto quelle accademiche ma quelle pastorali – spirituali come anche liturgiche – in breve, ciò che edifica meglio la fede. Mons. Schneider in questo senso mostra lodevole coraggio, perché ha saputo cogliere il vero significato delle parole di San Paolo: « ma tutto si faccia per l'edificazio­ne» (1 Cor 14, 26).

    Fonte: Luci sull'Est - Editrice Vaticana



     ora non potrete dire "ma io non lo sapevo!!" scegli da che parte stare, ma non negare la Verità....




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 14/02/2011 00:39
    Da Messainlatino apprendiamo quanto segue:


    "Il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana (Kazakhstan) S.E. Mons. Athanasius Schneider, O.R.C., Vescovo titolare di Celerina, finora Ausiliare di Karaganda (Kazakhstan)."  
    http://press.catholica.va/news_services/bulletin/news/26809.php?index=26809&po_date=05.02.2011&lang=it  
     
    Pratticamente e stato trasferito dalla diocesi di Karaganda /che conta 40 mila fedeli/ all' arcidiocesi di Astana  / il capitale di Kazakhstan e sede metropolitana della Chiesa Cattolica in quel paese -che conta 90 mila fedeli/.


     ci sembra un'ottima "promozione".... guardando soprattutto al domani lavorando oggi...



    Interessante discorso di un vescovo zelante

    «Non posso dimenticare quelle scene commoventi dai tempi della persecuzione della Chiesa, quando in piccolissime stanze riempite di fedeli durante la S. Messa, bambini, anziani e malati si mettevano in ginocchio ricevendo con riverenza edificante il corpo del Signore.

    Tra le innovazioni liturgiche apportate nel mondo occidentale, ne emergono specialmente due che oscurano in un certo modo l'aspetto visibile dell'Eucaristia riguardante la sua centralità e sacralità; queste sono: la rimozione del tabernacolo dal centro e la distribuzione della comunione sulla mano.

    Quando si rimuove il Signore eucaristico, "l'Agnello immolato e vivo", dal posto centrale e quando nella. distribuzione della comunione sulla mano si aumenta innegabilmente il pericolo della dispersione dei frammenti, delle profanazioni e dell'equiparazione pratica del pane eucaristico con il pane ordinario, si creano condizioni sfavorevoli per una crescita nella profondità della fede e nella devozione. La comunione sulla mano si sta divulgando e persino s'imponendo maggiormente come una cosa più comoda, come una specie di moda.

    Non siano in primo luogo gli specialisti accademici, ma l'anima pura dei bambini e della gente semplice che ci potrebbe insegnare il modo con cui dovremmo trattare il Signore eucaristico. Vorrei fare quindi umilmente le seguenti proposizioni concrete: che la Santa Sede stabilisca una norma universale motivata, secondo la quale il modo ufficiale di ricevere la comunione sia quello in bocca ed in ginocchio; la comunione sulla mano sarebbe riservata invece al clero. Che i vescovi dei luoghi, dove è stata introdotta la comunione sulla mano, si adoperino con prudenza pastorale a ricondurre gradualmente i fedeli al rito ufficiale della comunione, valido per tutte le chiese locali.»

    [Brano tratto dal discorso pronunciato il 4-10.2005 da Mons. Jan Paweł LENGA, M.I.C., Arcivescovo di Karaganda (Kazakistan) al Sinodo dei Vescovi sull'Eucarestia]
    [Modificato da Caterina63 16/02/2011 10:01]
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    00 04/04/2011 09:52
    [SM=g1740717] Conferenza "ll primato del culto di Dio come fondamento di ogni vera teologia pastorale:
    proposte per una corretta lettura del Vaticano II"
    di Mons. Atanasio Schneider al Convegno di studi sul Concilo Vaticano II, organizzato dal Seminario Teologico "Immacolata Mediatrice" dei Francescani dell'Immacolata a Roma, dal 16 al 18 dicembre 2010. Prod. TRBC.

    Le altre conferenze del convegno si possono seguire su:
    www.tvimmacolata.net/


    it.gloria.tv/?media=134757




    [SM=g1740738]

    [SM=g1740722]

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 17/02/2012 11:16

    Mons. Athanasius Schneider, La nuova evangelizzazione e la Santa Liturgia. Le cinque piaghe del corpo mistico e liturgico

    Quel che la Chiesa ha sempre insegnato e che il nostro cuore desidera.

    4° Incontro per l'Unità Cattolica - 15 gennaio 2012

    Intervento di Monsignor Athanasius Schneider
    Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria d’Astana,
    Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan



    Per parlare correttamente della nuova evangelizzazione è indispensabile portare innanzitutto il nostro sguardo su Colui che è il vero evangelizzatore, Nostro Signore Gesù-Cristo il Salvatore, il Verbo di Dio fatto uomo. Il figlio di Dio è venuto su questa terra per espiare e riscattare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato per eccellenza dell'umanità consiste nel rifiuto di adorare Dio, nel rifiuto di riservargli il primo posto, il posto d'onore. Questo peccato degli uomini consiste nel fatto che non si presta attenzione a Dio, nel fatto che non si possiede più il senso delle cose, nel fatto che non si vuol vedere Dio, nel fatto che non ci si vuole inginocchiare davanti a Dio.

    Di fronte ad un simile atteggiamento, l'incarnazione di Dio è imbarazzante, ugualmente e di riflesso imbarazzante è la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico, imbarazzante la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle chiese. L'uomo peccatore vuole in effetti mettersi al centro, tanto all'interno della Chiesa che al di fuori della celebrazione eucaristica, vuole esser visto, vuol farsi notare.

    È la ragione per cui Gesù eucaristia, Dio incarnato, presente nei tabernacoli sotto la forma eucaristica, si preferisce piazzarLo di lato. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all'altare al momento della celebrazione di fronte al popolo è imbarazzante, perché il viso del prete se ne troverebbe nascosto. Dunque l'immagine del Crocifisso al centro come pure Gesù eucaristia nel tabernacolo similmente al centro dell'altare, sono imbarazzanti. Conseguentemente la croce e il tabernacolo sono piazzati di lato. Durante la celebrazione, chi assiste deve poter osservare in permanenza il viso del prete, di colui a cui piace mettersi letteralmente al centro della casa di Dio. E se per sbaglio Gesù eucaristia è quanto meno lasciato nel suo tabernacolo al centro dell'altare, perché il ministero dei beni culturali persino sotto un regime ateo, ha vietato di spostarlo per ragioni di conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso durante tutta la celebrazione liturgica, gli gira senza scrupolo le spalle.

    Quante volte bravi fedeli adoratori del Cristo, nella loro semplicità ed umiltà, avranno esclamato : « Benedetti voi, Monumenti storici! Per lo meno voi ci avete lasciato Gesù al centro della nostra Chiesa. »
    È solo a partire dall'adorazione e dalla glorificazione di Dio che la Chiesa può annunciare in maniera adeguata la parola di verità, cioè evangelizzare. Prima che il mondo ascoltasse Gesù, il Verbo eterno fattosi carne, predicare e annunciare il regno, Gesù ha taciuto e ha adorato per trent'anni. Ciò resta per sempre la legge per la vita e l'azione della Chiesa così come di tutti gli evangelizzatori. « È dal modo di curare la liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa », ha detto il cardinal Ratzinger, nostro attuale Santo Padre e Papa Benedetto XVI. Il concilio Vaticano II voleva richiamare alla chiesa la realtà e l'azione che dovevano prendere il primo posto nella sua vita. È ben per questo che il primo documento conciliare è dedicato alla liturgia. In esso il concilio ci dà i seguenti principi: Nella Chiesa e da qui nella liturgia, l'umano deve orientarsi al divino ed essergli subordinato, ed anche ciò che è visibile in rapporto all'invisibile, l'azione in rapporto alla contemplazione, e il presente in rapporto alla città futura, alla quale aspiriamo (cf. Sacrosanctum Concilium, 2). La nostra liturgia terrestre partecipa, secondo l'insegnamento del Vaticano II, al pregustare la liturgia celeste della città Santa, Gerusalemme (cf. idem, 2)

    Per questo, tutto nella liturgia della Santa Messa deve servire ad esprimere in maniera più netta la realtà del sacrificio di Cristo, cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, d'espiazione, che l'eterno Sommo-Sacerdote ha presentato al Padre Suo.

    Il rito e tutti i dettagli del Santo Sacrificio della Messa devono incardinarsi nella glorificazione e nell'adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza del Cristo, sia nel segno e nella rappresentazione del Crocifisso, che nella Sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e soprattutto al momento della consacrazione e della santa comunione. Più ciò è rispettato, meno l'uomo di pone al centro della celebrazione, meno la celebrazione somiglia ad un circolo chiuso, ma è aperta anche in maniera esteriore sul Cristo, come una processione che si dirige verso di lui col prete in testa, più una tale celebrazione liturgica rifletterà in modo fedele il sacrificio d'adorazione del Cristo in croce, più ricchi saranno i frutti provenienti dalla glorificazione di Dio che i partecipanti riceveranno nelle loro anime, più il Signore li onorerà.

    Più il sacerdote e i fedeli cercheranno in verità durante le celebrazioni eucaristiche la gloria di Dio e non la gloria degli uomini, e non cercheranno di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li onorerà lasciando partecipare la loro anima in maniera più intensa e più feconda alla Gloria e all'Onore della Sua vita divina. Nel momento attuale e in diversi luoghi della terra, sono numerose le celebrazioni della Santa Messa delle quali si potrebbero dire le seguenti parole, inversamente alle parole del Salmo 113,9: « A noi, o Signore, e al nostro nome dai gloria » ed inoltre a proposito di tali celebrazioni si applicano le parole di Gesù : « Come potete credere, voi che ricevete la vostra gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo ? » (Giovanni 5, 44).

    Il Concilio Vaticano II ha emesso, riguardo ad una riforma liturgica, i seguenti principi:
    1. Durante la celebrazione liturgica, l'umano, il temporale, l'attività, devono orientarsi al divino, all'eterno, alla contemplazione e avere un ruolo subordinato in rapporto a questi ultimi (cf. Sacrosanctum Concilium, 2).
    2. Durante la celebrazione liturgica, si dovrà incoraggiare la presa di coscienza che la litrugia terrestre partecipa della liturgia celeste (cf. Sacrosanctum Concilium, 8).
    3. Non deve esserci alcuna innovazione, dunque alcuna nuova creazione di riti liturgici, soprattutto nel rito della messa, tranne se ciò è per un frutto vero e certo in favore della Chiesa, e a condizione che si proceda con prudenza sul fatto che eventuali forme nuove sostituiscano in maniera organica le forme esistenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 23).
    4. I riti della Messa devono esser tali che il sacro sia espresso più esplicitamente (cf. Sacrosanctum Concilium, 21).
    5. Il latino deve essere conservato nella liturgia e soprattutto nella Santa Messa (cf. Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
    6. Il canto gregoriano ha il primo posto nella liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 116).
    I padri conciliari vedevano le loro proposizioni di riforma come la continuazione della riforma di S. Pio X (cf. Sacrosanctum Concilium, 112 e 117) e del servo di Dio, Pio XII, e in effetti, nella costituzione liturgica, la più citata è l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII.

    Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa, tra gli altri, un principio importante della dottrina sulla Santa liturgia, e ciè la condanna di ciò che chiama archeologismo liturgico, le cui proposizioni coincidevano largamente con quelle del sinodi giansenista e protestantizzante di Pistoia del 1976 (cf. « Mediator Dei », n° 63-64) e che di fatto richiamano le idee teologiche di Martin Lutero.
    Perciò già il Concilio di Trento ha condannato le idee liturgiche protestanti, specialmente l''esagerata accentuazione di banchetto nella celebrazione eucaristica a detrimento del carattere sacrificale, la soppressione dei segni univoci della sacralità in quanto espressione del mistero della liturgia (cf. Concilio di Trento, sessio XXII).

    Le dichiarazioni liturgiche dottrinali del magistero, come nel caso del Concilio di Trento e dell'enciclica Mediator Dei, che si riflettono in una prassi liturgica secolare, anzi da più di un millennio, costante e universale, queste dichiarazioni dunque, fanno parte di quell'elemento della santa tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in grandi danni sul piano spirituale. Queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, il Vaticano II le ha riprese, come può constatarsi leggendo i principi generali del conto divino nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.

    Come errore concreto nel pensiero e nell'azione dell'archeologismo liturgico, il papa Pio XII cita la proposizione di dare all'altare la forma di una tavola (cf. Mediator Dei n° 62). Se già papa Pio XII rifiutava l'altare a forma di tavola, si immagini come avrebbe a fortiori rifiutato la proposizione di una celebrazione come intorno ad una tavola « versus populum » !
    Se la Sacrosanctum Concilium al n° 2 insegna che, nella liturgia, la contemplazione deve avere la priorità e che tutta la celebrazione della messa deve essere orientata verso i misteri celesti (cf. idem n° 2 et n° 8), vi si trova un'eco fedele della seguente dichiarazione di Trento che diceva: « E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.» (sessio XXII, cap. 5).

    I citati insegnamenti del magistero della Chiesa e soprattutto quello di Mediator Dei sono stati riconosciuti senza alcun dubbio anche dai padri conciliari come pienamente validi; di conseguenza essi devono continuare ancor oggi ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa.
    Nella lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica unita al Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, il papa fa questa dichiarazione importante: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso ». Dicendo questo, il papa esprime il principio fondamentale della liturgia che il Concilio di Trento e papa Pio XII hanno insegnato.

    Se si guarda senza idee preconcette e in maniera obbiettiva la pratica liturgica della stragrande maggioranza delle chiese in tutto il mondo cattolico nel quale è in uso la forma ordinaria del rito romano, nessuno può negare in tutta onestà che i sei principi liturgici menzionati dal Concilio Vaticano II sono rispettati poco o niente addirittura. Ci sono un certo numero di aspetti concreti nell'attuale pratica liturgica dominante, nel rito ordinario, che rappresentano una vera e propria rottura con una pratica religiosa costante da oltre un millennio. Si tratta dei cinque usi liturgici seguenti che si possono considerare come le cinque piaghe del corpo mistico liturgico del Cristo. Si tratta di piaghe, perché rappresentano una violenta rottura col passato, perché mettono apertamente meno l'accento sul carattere sacrificale che è quello centrale ed essenziale della messa, mettono avanti il banchetto; tutto ciò diminuisce i segni esteriori dell'adorazione divina, perché esse mettono meno in rilievo il carattere del mistero in ciò che ha di celeste ed eterno.

    In ordine a queste cinque piaghe, si tratta di quelle che - ad eccezione di una (le nuove preghiere dell'offertorio) - non sono previste nella forma ordinaria del rito della messa, ma sono state introdotte in modo deplorevole dalla pratica.

    La prima piaga, la più evidente, è la celebrazione del sacrificio della messa in cui il prete celebra volto verso i fedeli, specialmente durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro dell'adorazione dovuta a Dio. Questa froma esteriore corrisponde per sua natura più al modo in cui ci si comporta quando si condivide un pasto. Ci si trova in presenza di un circolo chiuso. E questa forma non è assolutamente conforme al momento della preghiera ed ancor meno a quello dell'adorazione. Ora questa forma, il concilio Vaticano II non l'ha auspicata affatto e non è mai stata raccomandata dal magistero dei papi postoconciliari. Papa Benedetto XVI nella sua prefazione al primo tomo della sua OperaOmnia scrive: « l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo. ».

    La forma di celebrazione in cui tutti portano il loro sguardo nella stessa direzione (conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche evocata dalle rubriche del nuovo rito della messa (cf. Ordo Missae, n. 25, n. 133 et n. 134). La celebrazione che si dice « versus populum » certamente non corrisponde all'idea della Santa Liturgia tal quale è menzionata nelle dichiarazioni di Sacrosanctum Concilium n°2 et n° 8.

    La seconda piaga è la comunione sulla mano diffusa dappertutto nel mondo. Non soltanto questa modalità di ricevere la comunione non è stata in alcun modo evocata dai Padri conciliari del Vaticano II, ma apertamente introdotta da un certo numero di vescovi in disobbedienza verso la Santa Sede e nel disprezzo del voto negativo nel 1968 della maggioranza del corpo episcopale. Solo successivamente papa Paolo VI l'ha legittimata controvoglia, a condizioni particolari.

    Papa Benedetto XVI, dopo la Festa del Corpus Domini 2008, non distribuisce più la comunione che a fedeli in ginocchio e sulla lingua, e ciò non soltanto a Roma, ma anche in tutte le chiese locali alle quali rende visita. Attraverso ciò egli donò all'intera Chiesa un chiaro esempio di magistero pratico in materia liturgica. Se la maggioranza qualificata del corpo episcopale, tre anni dopo il concilio, ha rifiutato la comunione nella mano come qualcosa di nocivo, quanti più Padri conciliari l'avrebbero fatto ugualmente!

    La terza piaga, sono le nuove preghiere dell'offertorio. Esse sono una creazione interamente nuova e non sono mai state usate nella Chiesa. Esse esprimono meno l'evocazione del mistero del sacrificio della croce che quella di un banchetto, richiamando le preghiere del pasto ebraico del sabato. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa d'Occidente e d'Oriente, le preghiere dell'offertorio sono sempre state espressamente incardinate al sacrificio della croce (cf. p. es. Paul Tirot, Storia delle preghiere d'offertorio nella liturgia romana dal VII al XVI secolo, Roma 1985). Una tale creazione assolutamente nuova è senza nessun dubbio in contraddizione con la formulazione chiara del Vaticano II che richiama « Innovationes ne fiant … novae formae ex formis iam exstantibus organice crescant » (Sacrosanctum Concilium, 23).

    La quarta piaga è la sparizione totale del latino nell'immensa maggioranza delle celebrazioni eucaristiche della forma ordinaria nella totalità die paesi cattolici. È una infrazione diretta contro le decisioni del Vaticano II.

    La quinta piaga è l'esercizio dei sevizi liturgici di lettori e di accoliti donne, così come l'esercizio degli stessi servizi in abito civile penetrando nel coro durante la Santa Messa direttamente oltre lo spazio riservato ai fedeli. Quest'abitudine non è giammai esistita nella Chiesa, o per lo meno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla messa cattolica il carattere esteriore di qualcosa di informale, il carattere e lo stile di un'assemblea piuttosto profana. Il secondo concilio di Nicea vietava già, nel 787, tali pratiche, redigendo questo canone: « Se qualcuno non è ordinato, non gli è permesso fare la lettura dall'ambone durante la santa liturgia », (can. 14). Questa norma è stata costantemente rispettata nella Chiesa. Solo i suddiaconi o i lettori avevano il diritto fare la lettura durante la liturgia della Messa. Al posto dei lettori e accoliti mancanti, sono uomini o ragazzi in veste liturgica che possono farlo, e non donne, essendo un dato di fatto che il sesso maschile sul piano sacramentale dell'ordinazione non sacramentale dei lettori ed accoliti, rappresenta simbolicamente il primo legame con gli ordini minori.

    Nei testi del Vaticano II, non è fatta alcuna menzione della soppressione degli ordini minori e del suddiaconato, né dell'introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium n° 28, il concilio fa la differenza tra « minister » e « fidelis » durante la celebrazione liturgica, e sancisce che l'uno e l'altro hanno diritto di fare ciò che loro spetta in ragione della natura della liturgia. Il n° 29 meziona i « ministrantes », cià gli addetti al servizio dell'altare che non hanno ricevuto alcuna ordinazione. In opposizione a costoro ci sarebbero, scondo i termini giuridici dell'epoca, i « ministri », cioè coloro che hanno ricevuto un ordine maggiore o minore che sia.

    Con il Motu proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI afferma che entrambe le forme del Rito romano sono da guardare e trattare con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera che accompagna il Motu proprio, il Papa auspica che le due forme si arricchiscano reciprocamente. Inoltre, auspica che nella nuova forma "appaia, più di quanto non sia avvenuto finora, il senso del sacro che attira molte persone verso il vecchio rito."

    Le quattro ferite liturgiche o usi infelici (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano e l'intervento delle donne per il servizio di lettura e quello di accolito) non hanno di per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa e sono inoltre in contraddizione con i principi liturgici del Vaticano II. Se si ponesse fine a questi usi, si ritornerebbe al vero insegnamento del Vaticano II. E allora le due forme del Rito romano si avvicinerebbero enormemente così che, almeno esternamente, non si dovrebbe constatare una rottura fra di loro e, quindi, nessuna rottura tra la Chiesa di prima del Concilio e quella del dopo.

    Per quel che riguarda le nuove preghiere dell'Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisca con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria o almeno che permetta il loro uso ad libitum. Così, non è solo esteriormente, ma interiormente, che la rottura tra le due forme sarebbe evitata. La rottura nella liturgia, è appunto quel che la maggior parte dei padri conciliari non ha voluto ; lo testimoniano gli atti del Concilio, perché in duemila anni di storia della liturgia nella Santa Chiesa, non c'era mai stata rottura liturgica e, pertanto, non deve mai essercene. Invece ci deve essere una continuità come deve essere per il Magistero.
    È per questo che c'è bisogno oggi di nuovi Santi, di una o più Santa Caterina da Siena. Abbiamo bisogno della "vox populi fidelis" che reclama la soppressione di questa rottura liturgica. Ma il tragico della storia, è che oggi, come al momento dell'esilio di Avignone, una larga maggioranza del clero, soprattutto del clero alto, si accontenta di questo esilio, di questa rottura.

    Prima che possiamo aspettarci frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve innanzitutto instaurarsi un processo di conversione all'interno della Chiesa. Come si può chiamare gli altri a convertirsi fino a quando, tra chi la reclama, nessuna conversione convincente a Dio non è ancora avvenuta perché, nella liturgia, non sono sufficientemente rivolti a Dio, sia interiormente che esteriormente. Si celebra il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della fede, l'atto di adorazione più sublime in un cerchio chiuso, guardandosi a vicenda.

    Manca la necessaria "conversio ad Dominum", anche esternamente, fisicamente. Perché durante la liturgia si tratta Cristo come se non fosse Dio e non Gli si mostrano i segni esterni chiari di un'adorazione dovuta a Dio solo, non solo nel fatto che i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi ma che la prendono nelle loro mani come un cibo ordinario, prendendolo e mettendolo loro stessi in bocca . C'è il pericolo di una sorta di arianesimo o un semi-arianesimo eucaristico.

    Una delle condizioni necessarie per una fruttuosa nuova evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa sul piano del culto liturgico pubblico, osservando almeno questi due aspetti del culto divino, vale a dire:
    1. Che su tutta la terra la Santa Messa sia celebrata, anche nella forma ordinaria, nella "conversio ad Dominum", interiormente e necessariamente anche esternamente.
    2. Che i fedeli pieghino il ginocchio davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come San Paolo lo domanda, evocando il nome e la persona di Cristo (cfr. Phil 2, 10) e che Lo ricevano con il più grande amore e il massimo rispetto possibile, come è suo diritto in quanto Vero Dio.
    Dio sia lodato, Papa Benedetto ha iniziato, con due misure concrete, il processo di ritorno dall'esilio avignonese liturgico, attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del rito tradizionale per la comunione.

    C'è ancora molto bisogno di preghiera e forse di una nuova Santa Caterina da Siena perché seguano gli altri passi, in modo da guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con lo stesso amore, rispetto, senso del sublime che hanno sempre rappresentato la realtà della Chiesa e del suo insegnamento, specialmente attraverso il concilio di Trento, papa Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei, il concilio Vaticano II nella sua costituzione Sacrosanctum Concilium e papa Benedetto XVI nella sua teologia e liturgia, nel suo magistero liturgico pratico e nel Motu proprio citato.

    Nessuno può evangelizzare se non ha prima adorato, e parimenti se non adora in permanenza e non dà a Dio, il Cristo Eucaristia, la vera priorità nella maniera di celebrare e in tutta la sua vita. In aeffetti, per riprendere le parole del card Joseph Ratzinger : « È nel modo di trattare la Liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa ».
    _________________________

    [Fonte: Réunicatho] - Traduzione dall'originale francese di Maria Guarini
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 03/05/2012 14:29

    Mons. Athanasius Schneider. Note storico-liturgiche sull'Eucaristia

    Il Santo Padre ha nominato l'8.04.2006 Vescovo ausiliare della diocesi di Karaganda (Kazakhstan) il Rev.do Padre Athanasius Schneider, dell'Ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce, finora Cancelliere della Curia Diocesana della medesima circoscrizione ecclesiastica, assegnandogli la sede titolare vescovile di Celerina. Attakmente è ausiliare di Astana. Il Rev.do Padre Athanasius Schneider è nato il 7 aprile 1961 a Tokmak (Kyrgyzstan), da genitori di origine tedesca, in seguito emigrati a Rottweil - Germania. Nel 1982 è entrato nell'Ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce a S. Petersberg (Austria). Ha compiuto gli studi filosofici presso la Pontificia Università di San Tommaso a Roma (1982-1983), e quelli teologici presso l'Istituto Sapientiae ad Anápolis - Brasile. È stato ordinato sacerdote il 25 marzo 1990. Nel 1997 ha ottenuto il dottorato in Teologia Patristica. Attualmente è Direttore Spirituale del Seminario e Cancelliere della Curia diocesana di Karaganda. Parla il tedesco, il russo, l'italiano e il portoghese. Conosce, inoltre, l'inglese e il francese.

    cum amore ac timore.

     

    “ Come il lattante in braccio a chi lo nutre ”
    di Mons. Athanasius Schneider

    Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucaristia, ha lasciato alla Chiesa un'ammonizione ardente che suona come un vero testamento: « Dobbiamo badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza dell'Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono (...) non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero! » (n. 61). La consapevolezza della grandezza del mistero eucaristico si mostra in modo particolare nella maniera con cui è distribuito e ricevuto il Corpo del Signore.
    Consapevole della grandezza del momento della sacra Comunione, la Chiesa nella sua bimillenaria tradizione ha cercato di trovare un'espressione rituale che potesse testimoniare nel modo più perfetto possibile la sua fede, il suo amore e il suo rispetto. Questo si è verificato, quando nella scia d'uno sviluppo organico, a partire almeno dal sesto secolo, la Chiesa cominciò ad adottare la modalità di distribuire le sacre specie eucaristiche direttamente in bocca. Così testimoniano: la biografia di Papa Gregorio Magno e un'indicazione dello stesso Gregorio relativa a Papa Agapito (Dialoghi, III).
     
    Il sinodo di Cordoba dell'anno 839 condannò la setta dei cosiddetti "casiani" a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca.
    Poi il sinodo di Rouen nell'anno 878 ribadì la norma vigente della distribuzione del Corpo del Signore sulla lingua, minacciando i ministri sacri della sospensione dal loro ufficio, se avessero distribuito ai laici la sacra Comunione sulla mano.
    In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il corpo del Signore si osserva negli ambienti monastici già a partire dal sesto secolo, per esempio nei monasteri di san Colombano. Più tardi - nel decimo e nell'undicesimo secolo - questo gesto si è diffuso maggiormente.
    Alla fine dell'età patristica la prassi di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca diventa quindi una prassi ormai diffusa e quasi universale.
    Questo sviluppo organico si può considerare come un frutto della spiritualità e della devozione eucaristica del tempo dei Padri della Chiesa. Già nel primo millennio, a causa del carattere altamente sacro del Pane eucaristico, la Chiesa sia in Occidente sia in Oriente in un ammirevole consenso e quasi istintivamente ha percepito l'urgenza di distribuire la sacra Comunione ai laici solamente in bocca.
     
    Il liturgista Josef Andreas Jungmann spiegava che, a causa della distribuzione della Comunione direttamente in bocca, si eliminarono varie preoccupazioni: quella che i fedeli debbano avere pulite le mani, la preoccupazione ancora più grave che nessun frammento del Pane consacrato si perda, la necessità di purificare la palma della mano dopo la ricezione del sacramento. La tovaglia e, più tardi, il piattino per la Comunione saranno l'espressione di accresciuta attenzione riguardo al sacramento eucaristico.
     
    Papa Giovanni Paolo II così insegna nell'Ecclesia de Eucaristia: « Sull'onda di questo elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l'istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne » (n.49).
    L'atteggiamento più consono a questo dono è l'atteggiamento della ricettività, l'atteggiamento dell'umiltà del centurione, l'atteggiamento di lasciarsi nutrire, appunto l'atteggiamento del bambino. La parola di Cristo, che ci invita ad accogliere il Regno di Dio come un bambino (Cfr. Luca 18,17), può trovare la sua illustrazione in modo assai suggestivo e bello anche nel gesto di ricevere il Pane eucaristico direttamente in bocca ed in ginocchio.
    Giovanni Paolo II metteva in evidenza la necessità di espressioni esterne di rispetto verso il pane eucaristico: « Se la logica del ‘convito' ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa ‘dimestichezza' col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore (...) Il convito eucaristico è davvero convito ‘sacro', in cui la semplicità dei segni nasconde l'abisso della santità di Dio. Il pane che è spezzato sui nostri altari (...) è pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l'umiltà del centurione del Vangelo » (n.48).
    L'atteggiamento del bambino è il più vero e profondo atteggiamento di un cristiano davanti al suo Salvatore, che lo nutre con il suo corpo e il suo sangue, secondo le seguenti commoventi espressioni di Clemente di Alessandria: « Il Lògos è tutto per il bambino: padre, madre, pedagogo, nutritore. ‘Mangiate, dice Lui, la Mia carne e bevete il Mio sangue!' (...) O incredibile mistero! ». (Pedagogus, I, 42,3).
     
    Un'altra considerazione biblica è fornita dal racconto della vocazione del profeta Ezechiele. Egli ricevette simbolicamente la parola di Dio direttamente in bocca: « Apri la bocca e mangia ciò che io ti do". Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo (...) Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele » (Ezechiele, 2, 8-9; 3, 2-3).
     
    Nella sacra Comunione riceviamo la Parola, fatta carne, fatta cibo per noi piccoli, per noi bambini. Quindi, quando ci accostiamo alla sacra Comunione, possiamo ricordarci di quel gesto del profeta Ezechiele. Cristo ci nutre veramente con il Suo corpo e sangue nella sacra Comunione e ciò è paragonato nell'età patristica all'allattamento materno, come mostrano queste parole di san Giovanni Crisostomo nelle sue omelie sul Vangelo di Giovanni: « Con questo mistero eucaristico Cristo si unisce ad ogni fedele, e quelli che ha generato li nutre da sé e non li affida ad un altro. Non vedete con quanto slancio i neonati accostano le loro labbra al petto della madre? Ebbene, anche noi accostiamoci con tale ardore a questa sacra mensa e al petto di questa bevanda spirituale; anzi, con un ardore maggiore di quello dei lattanti! » (82,5).
    Il gesto più tipico dell'adorazione è quello biblico dell'inginocchiarsi, come lo hanno recepito e praticato i primi cristiani. Per Tertulliano, che visse tra il secondo e il terzo secolo, la più alta forma dell'orazione è l'atto dell'adorazione di Dio, che si deve manifestare anche nel gesto della genuflessione: "Pregano tutti gli angeli, prega ogni creatura, pregano il bestiame e le belve e piegano le ginocchia" (De Oratione, 29). Sant'Agostino avvertiva che noi pecchiamo, se non adoriamo il Corpo eucaristico del Signore, quando lo riceviamo: « Nessuno mangi quella carne, se prima non l'ha adorata. Pecchiamo se non l'adoriamo » (Enarrationes in Psalmos, 98, 9).
    In un antico Ordo communionis della tradizione liturgica della Chiesa copta fu stabilito: « Tutti si prostrino a terra, piccoli e grandi e così cominci la distribuzione della Comunione ».
     
    Secondo le Catechesi mistagogiche, attribuite a san Cirillo di Gerusalemme, il fedele deve ricevere la Comunione con un gesto di adorazione e venerazione: « Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione accostati al calice del sangue di Cristo » (5,22).
     
    San Giovanni Crisostomo nelle omelie sulla lettera ai Corinzi esorta coloro che si accostano al corpo eucaristico del Signore a imitare i Magi dell'Oriente nello spirito e nel gesto dell'adorazione: « Accostiamoci dunque a Lui con fervore e con ardente carità. Questo corpo, benché si trovasse in una mangiatoia, lo adorano gli stessi Magi. Ora, quegli uomini, senza conoscenza della religione ed essendo barbari, adorano il Signore con grande timore e tremore. Ebbene, noi che siamo cittadini dei cieli, cerchiamo almeno di imitare questi barbari! Tu, a differenza dei Magi, non vedi semplicemente questo corpo, ma ne hai conosciuto tutta la sua forza e tutta la sua potenza salvifica. Sproniamo dunque noi stessi, tremiamo e mostriamo una pietà maggiore di quella dei Magi » (24,5).
     
    Sullo stretto legame tra l'adorazione e la sacra Comunione Papa Benedetto XVI nell'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis ha scritto: "Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo" (n.66). Già da cardinale, Ratzinger sottolineava questo aspetto: « Cibarsene [dell'Eucaristia] (...) è un evento spirituale, che investe tutta la realtà umana. ‘Cibarsi' di essa significa adorarla. Per questo l'adorazione (...) neppure si pone accanto alla Comunione: la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall'adorazione » (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001, p.86).
     
    Nel libro dell'Apocalisse, il libro della liturgia celeste, il gesto della prostrazione dei ventiquattro anziani davanti all'Agnello può essere il modello e il criterio di come la Chiesa in terra debba trattare l'Agnello di Dio quando i fedeli si avvicinano a lui nel sacramento dell'Eucaristia.
     
    I Padri della Chiesa mostrarono una viva preoccupazione affinché non si perda nemmeno un minimo frammento del Pane eucaristico, come esortava san Cirillo di Gerusalemme in maniera suggestiva: « Sii vigilante affinché tu non perda niente del corpo del Signore. Se tu lasciassi cadere qualcosa, devi considerarlo come se tu avessi tagliato uno dei membri del tuo proprio corpo. Dimmi, ti prego, se qualcuno ti desse granelli d'oro, tu per caso non li terresti con la massima cautela e diligenza, intento a non perdere niente? Non dovresti tu curare con cautela e vigilanza ancora maggiore, affinché niente e nemmeno una briciola del corpo del Signore possa cadere a terra, perché è di gran lunga più prezioso dell'oro e delle gemme? » (Catechesi mistagogiche, 5,21).
     
    Già Tertulliano testimoniava l'angoscia e il dolore della Chiesa perché non si perda nessun frammento: « Soffriamo angoscia perché nulla dal calice o del pane cada a terra » (De Corona, 3).
     
    Sant'Efrem - quarto secolo - così insegnava: « Gesù ha riempito il pane di se stesso e di Spirito e lo ha chiamato il Suo corpo vivo. Ciò che adesso vi ho dato, diceva Gesù, non lo considerate pane, nemmeno calpestate i suoi frammenti. Il minimo frammento di questo pane può santificare milioni di uomini e basta per dare la vita a tutti quelli che lo mangiano » (Sermones in hebdomada sancta, 4,4).
     
    Nella tradizione liturgica della Chiesa copta si trova la seguente avvertenza: « Non c'è nessuna differenza tra le parti maggiori o minori dell'Eucaristia, persino quelle minime che non si possono percepire con l'acutezza della vista; esse meritano la stessa venerazione e possiedono la stessa dignità come il pane intero » (Heinrich Denzinger, Ritus Orientalium, Wurzuburg, 1863, I, p.405).
     
    In alcune liturgie orientali il Pane consacrato è designato con il nome "perla". Così nelle Collectiones canonum Copticae si dice: « Dio non voglia! Che nulla delle perle o dei frammenti consacrati aderisca alle dita o cada a terra! ».
     
    L'estrema vigilanza a cura della Chiesa dei primi secoli affinché non si perdesse nessun frammento del Pane eucaristico era un fenomeno universalmente diffuso: Roma (cfr Ippolito, Traditio apostolica, 32), Africa del nord (cfr Tertulliano, De Corona, 3, 4), Gallia (cfr Cesario di Arles, Sermo, 78, 2), Egitto (cfr Girolamo, In Psalmos, 147, 14), Siria (Efrem, In hebdomada sanctam, 4, 4).
     
    Nella Chiesa antica gli uomini prima di ricevere il pane consacrato dovevano lavarsi la palma della mano. Inoltre il fedele s'inclinava profondamente ricevendo il Corpo del Signore con la bocca direttamente dalla palma della mano destra e non dalla mano sinistra. La palma della mano serviva per così dire come patena o come corporale - specialmente per le donne. Così si legge in un sermone di Cesario di Arles (470-542): « Tutti gli uomini che desiderano comunicarsi, devono lavare le proprie mani. E tutte le donne devono portare un lino, sul quale ricevono il corpo di Cristo ». (Sermo, 227, 5).
     
    Di solito la palma della mano veniva purificata ossia lavata dopo la ricezione del pane eucaristico come è finora norma nella Comunione del clero nel rito bizantino.
     
    Nei vecchi canoni della Chiesa caldea, persino al sacerdote celebrante era vietato di mettere il pane eucaristico nella propria bocca con le dita. Invece doveva prendere il corpo del Signore dalla palma della sua mano; come motivo era indicato che si trattava non di cibo comune, ma di cibo celeste: « Al sacerdote - si legge nel Canone di Ioannis Bar-Agbari - si ordina di ricevere la particella del pane consacrato direttamente dalla palma della sua mano. Non gli sia permesso di metterla con la mano nella bocca, ma deve prenderla con la bocca, poiché si tratta di un cibo celeste ».
     
    Nell'antica Chiesa siriaca il rito della distribuzione della Comunione era comparato con la scena della purificazione del profeta Isaia da parte di uno dei serafini.
     
    In uno dei suoi sermoni sant'Efrem lascia parlare Cristo con queste espressioni: « Il carbone portato santificò le labbra di Isaia. Sono Io, che, portato adesso a voi per mezzo del pane, vi ho santificato. Le molle che ha visto il profeta e con le quali fu preso il carbone dall'altare, erano la figura di Me nel grande sacramento. Isaia ha visto Me, così come voi vedete Me adesso stendendo la Mia mano destra e portando alle vostre bocche il pane vivo. Le molle sono la Mia mano destra. Io faccio le veci del serafino. Il carbone è il Mio corpo. Tutti voi siete Isaia » (Sermones in hebdomada sancta, 4, 5).
     
    Nella liturgia di san Giacomo, prima di distribuire ai fedeli la sacra Comunione, il sacerdote recita questa preghiera: « il Signore ci benedica e ci renda degni di prendere con mani immacolate il carbone acceso, mettendolo nella bocca dei fedeli ».
     
    Se ogni celebrazione liturgica è azione sacra per eccellenza (cfr Sacrosanctum concilium, n.7), lo deve essere soprattutto il rito della sacra Comunione. Giovanni Paolo II insisteva sul fatto che, dinanzi alla cultura secolarizzata del tempo moderno, la Chiesa di oggi debba sentire uno speciale dovere riguardo alla sacralità dell'Eucaristia: « Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra sacrum e profanum, data la generale diffusa tendenza - almeno in certi luoghi - alla dissacrazione di ogni cosa. In tale realtà la Chiesa ha il particolare dovere di assicurare e corroborare il sacrum dell'Eucaristia. Nella nostra società pluralistica, e spesso anche deliberatamente secolarizzata, la viva fede della comunità cristiana garantisce a questo sacrum il diritto di cittadinanza ». (Dominicae cenae, 8).
     
    In base all'esperienza fatta nei primi secoli, alla crescita organica nella comprensione teologica del mistero eucaristico e al conseguente sviluppo rituale, il modo di distribuire la Comunione sulla mano fu limitato alla fine dell'età patristica ad un gruppo qualificato, cioè al clero, come è finora nel caso dei riti orientali. Ai laici si cominciò pertanto a distribuire il pane eucaristico - intinto nel vino consacrato nei Riti orientali - direttamente in bocca.
    Sulla mano si distribuisce nei Riti orientali soltanto il pane non consacrato, il ciosiddetto antidoron. Così si mostra in maniera evidente anche la differenza tra Pane eucaristico e pane semplicemente benedetto.
    La più frequente ammonizione dei Padri della Chiesa sull'atteggiamento da avere durante la sacra Comunione suonava così: cum amore ac timore.
     
    Lo spirito autentico della devozione eucaristica dei Padri della Chiesa si sviluppò organicamente alla fine dell'antichità in tutta la Chiesa - Oriente e Occidente - nei corrispondenti gesti del modo di ricevere la sacra Comunione in bocca con la precedente prostrazione a terra - Oriente - o inginocchiati - Occidente. Non corrisponderebbe maggiormente all'intima realtà e verità del pane consacrato, se anche oggi il fedele per riceverlo si prostrasse a terra aprendo la bocca come il profeta che riceveva la parola di Dio (cfr Ezechiele, 2) e lasciandosi nutrire come un bambino - poiché la Comunione è un allattamento spirituale? Un tale gesto sarebbe anche un impressionante segno della professione di fede nella presenza reale di Dio in mezzo ai fedeli. Se sopraggiungesse qualche non credente e osservasse un tale atto di adorazione, forse anche lui « si prostrerebbe a terra e adorerebbe Dio, proclamando che veramente Dio è tra voi » (1 Corinzi, 14, 24-25).
    ________________________
    [Fonte: L'Osservatore Romano del 9 gennaio 2008]


    [Modificato da Caterina63 19/06/2012 18:47]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 30/08/2012 23:26

    Nuova Cattedrale a Karaganda. Tele sull'Eucarestia di R.Papa. Intervista al vescovo ausiliare mons. Schneider.

    "Un silenzioso ma anche potente segno e mezzo di evangelizzazione"
    Intervista con monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare della diocesi di Karaganda (Kazakistan)

    di Paul De Maeyer

    ROMA, mercoledì, 29 agosto 2012 (ZENIT.org).-Domenica 9 settembre 2012, verrà consacrata la Cattedrale della Diocesi di Karaganda in Kazakistan, in una solenne concelebrazione presieduta dal card. Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio e Legato Pontificio per la consacrazione.

    Il programma delle celebrazioni prevede:

    - Sabato 8 settembre:
    15.00 Santa Messa del Cardinale Legato Angelo Sodano con i pellegrini nella vecchia cattedrale.
    18.00 concerto del Requiem di Mozart in onore delle vittime del Karlag (“Karaganda-Lager” o Campo di Concentramento di Karaganda).

    - Domenica 9 settembre:
    11.00 Santa della dedicazione della nuova Cattedrale, celebrata dal Cardinale Legato Angelo Sodano.
    18.00 Concerto di musica d’organo nella Nuova Cattedrale.

    - Lunedi 10 settembre: visita del Karlag.

    La cattedrale è stata pensata e voluta dall’allora arcivescovo-vescovo di Karagangda, mons. Jan Pawel Lenga, e dal vescovo ausiliare, mons. Athanasius Schneider, il quale ha commissionato all’artista prof. Rodolfo Papa un ciclo pittorico di 14 tele dedicate alla Eucaristia, per la cripta. Mons. Schneider ha dedicato alla Eucaristia il libro Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell’Asia centrale sulla Sacra Comunione, Libreria Editrice Vaticana 2008 (con prefazione di mons. Malcolm Ranjith).

    Nell’intervista che segue, mons. Schneider spiega le ragioni storiche e spirituali sottese alla costruzione della Cattedrale ed alla commissione del ciclo pittorico.

    Quale è il significato storico e spirituale della costruzione di questa cattedrale a Karaganda?

    Mons. Schneider: La prima ragione era questa: avere una cattedrale in un luogo più degno e visibile. Poiché la diocesi di Karaganda usava finora un edificio costruito ancora durante il tempo della persecuzione, e questo edificio si trova nella periferia della città ed è esteriormente non riconoscibile come chiesa.

    Una cattedrale in un posto più centrale, costruita in uno stile di tradizione inconfondibilmente cattolica, cioè nello stile neogotico, sarà un silenzioso ma anche potente segno e mezzo di evangelizzazione in un mondo dove i cattolici sono circa 1% o 2% della popolazione, dove la maggioranza degli abitanti sono musulmani e dove c’è una forte minoranza degli ortodossi. Inoltre, una considerevole parte della popolazione non appartiene a nessuna religione, sono persone che cercano Dio.

    L’architettura della cattedrale e anche gli oggetti nell’interno sono stati fatti con la cura più grande possibile, perché rappresentino una vera bellezza artistica e allo stesso tempo la sacralità e il senso del soprannaturale. Tutto questo è adatto sia per incitare il senso religioso e il senso della fede nei fedeli e nei visitatori, sia per esprimere l’atto di adorazione della Santissima Trinità. Tutto ciò è quindi adatto per facilitare l’esecuzione del primo comandamento e l’ultima finalità di tutta la creazione: l’adorazione e la glorificazione di Dio.

    Il significato storico e spirituale ha anche questa dimensione: la nuova Cattedrale è un luogo sacro per la memoria delle innumerevoli vittime del regime comunista, giacché intorno a Karaganda c’era uno dei più grandi e terribili campi di concentramento -detti Gulag-, nel quale hanno sofferto persone appartenenti a più di 100 diverse etnie. Nello stesso tempo la nuova Cattedrale sarà anche un santuario per la preghiera d’espiazione per i crimini del regime ateista e comunista.

    La bellezza architettonica, le opere d’arte, l’organo nella nuova cattedrale sono anche un mezzo di promozione della cultura.

    Come è stata accolta questa iniziativa cattolica dalle autorità politiche e dalla comunità islamica?

    Mons. Schneider: È stata accolta con senso di rispetto verso la chiesa cattolica. Le autorità civili e la popolazione si sentono onorati di poter aver nella loro città un tale edificio di straordinaria bellezza architettonica e di alto significato culturale. Le autorità civili considerano la nuova Cattedrale come un gesto da parte della Chiesa cattolica per la promozione della cultura.

    Una piccola comunità cattolica è in grado di costruire una cattedrale in terra di missione, potremmo dire che questo sia un modello in grado di spronare la rinascita della fede nella vecchia Europa?

    Mons. Schneider: La piccola comunità cattolica era in grado di dare soprattutto un contributo spirituale per la costruzione. Però, il maggior contributo materiale è provenuto dai nostri fratelli e sorelle dalla vecchia Europa. E questo è bello, poiché manifesta la solidarietà fraterna, manifesta un fraterno scambio di doni, simile ai primi tempi della Chiesa, quando le comunità più ricche aiutavano le comunità più bisognose.

    La fede rinascerà anche nella vecchia Europa quando si darà sempre più il primo posto in tutte le cose a Gesù, quando la vita della fede tornerà sempre più concreta, visibile e più “incarnata”.

    Quali sono i problemi che quotidianamente la comunità cattolica affronta in Kazakistan?

    Mons. Schneider: I problemi quotidiani sono l’insufficienza dei sacerdoti, le distanze enormi tra le comunità parrocchiali, gli insufficienti mezzi materiali per le opere di costruzione delle chiese e per le opere sociali ed educative, l’emigrazione dei giovani per l’estero, alcuni impedimenti di carattere burocratico.

    Quali i rapporti con le altre confessioni cristiane?

    Mons. Schneider: I rapporti con le altre confessioni cristiani sono buoni. Ci sono alle volte incontri con vescovi e sacerdoti della Chiesa russa-ortodossa e con rappresentanti delle comunità protestanti. Abbiamo, per così dire, un ecumenismo di vita, dove i rapporti umani sono più importanti delle discussioni teoriche o dottrinali. Abbiamo opere comuni con i fratelli ortodossi e protestanti nell’ambito della difesa della vita.

    Quali sono gli sviluppi e le prospettive?

    Mons. Schneider: Vogliamo conservare i rapporti di rispetto reciproco, di rapporti personali di amicizia e continuare a fare opere comuni per la difesa della vita e dei valori morali.

    L'arte è sicuramente uno strumento di evangelizzazione efficace, come il Magistero ci ricorda, ed il Santo Padre ci sprona ed incoraggia ad utilizzarla. Può raccontare la sua esperienza di committente, che ha voluto tanta arte e tanta bellezza nella sua diocesi, come segno della testimonianza della fede cattolica?

    Mons. Schneider: La costruzione di una nuova cattedrale con una vera estetica sacrale e opere d’arte è anche una proclamazione del primo dovere della Chiesa: dare a Dio, a Dio Incarnato, il primo posto, un posto visibile, poiché Dio si è fatto visibile nell’Incarnazione e nell’Eucaristia; dare a Dio il primo posto anche nel senso di offrire a Suo onore una bellezza artistica, poiché Dio è l’autore di tutta la bellezza e merita di ricevere in Suo onore dalla parte dei credenti opere veramente belle.

    Inoltre, una tale cattedrale può essere una concreta manifestazione dell’amore tenero della comunità credente, la sposa di Cristo, verso il Corpo di Cristo, offrendo in onore di questo Corpo di Cristo in un certo senso la santa prodigalità della donna peccatrice, la quale ha offerto in onore di Cristo il vaso di profumo prezioso di prezzo straordinariamente grande (“più che trecento denari”, cf. Mc 14, 4). Per ungere il corpo di Cristo, la donna peccatrice ha speso una somma con la quale si poteva sostenere una famiglia per un anno intero. Le persone presenti si sono sdegnate per un tale spreco. Gesù però ha lodato questa santo spreco dicendo: “Ha compiuto verso di Me un’opera buona” (Mc 14, 6). Si deve fare ancora il “santo spreco” per Gesù.

    Molte persone già hanno visitato la nuova Cattedrale. La maggioranza sono state persone non cattoliche, e persino non cristiane. Queste sono state attratte dalla bellezza. Hanno espresso visibilmente la loro ammirazione. Alcune donne non cristiane hanno persino pianto di commozione in mia presenza. Una volta durante una mezz’ora ho mostrato e spiegato ad una giovane coppia non cristiana la Cattedrale con tutti i dettagli dell’arte e delle cose sacre. Quando ho finito e siamo usciti dalla Cattedrale, la donna non cristiana mi ha detto: “In questa mezz’ora ho purificato la mia anima. Posso venire ancora una volta da sola? poiché voglio nel silenzio ammirare queste belle cose”. Ho risposto: “Certamente, può venire tante volte quante vuole”. In quella mezz’ora ho fatto, per mezzo della spiegazione di una arte sacra e bella, una lezione sulle verità della fede cattolica. La reazione di quasi tutte le persone che hanno finora visitato la Cattedrale, specialmente persone non cristiane, è stata così spontanea: ammirazione, silenzio, apertura per il soprannaturale. Ho costatato in questi casi la verità che l’anima umana è naturalmente cristiana, come ha detto Tertulliano, cioè nell’anima umana Dio ha iscritto la capacità di conoscerLo, di venerarLo. Il dovere dei cattolici è di condurre queste anime aperte verso la fede e l’adorazione soprannaturale, alla fede ed all’adorazione di Cristo, della Santissima Trinità, di condurre le anime al cielo. Nelle grandi porte di bronzo all’entrata della cattedrale ci sono scritte queste parole della Sacra Scrittura: “Qui è la casa di Dio, qui è la porta del cielo” (Domus Dei - porta caeli). Perciò, queste parole sacre sono un motto molto adatto per questa Cattedrale, cioè per questa visibile opera dell’evangelizzazione, come anche per tutta l’opera dell’evangelizzazione.

    Potrebbe indicarci il significato spirituale e teologico dei dipinti che ha fatto realizzare per la Cripta?

    Mons. Schneider: Volevo esprime nella cattedrale in modo più profondo il mistero della Santissima Eucaristia, poiché l’Eucaristia costruisce spiritualmente la Chiesa, l’Eucaristia fa vivere la Chiesa continuamente fino alla fine dei tempi. Il vero fondamento della Chiesa è l’Eucaristia. Perciò ho posto nella cripta, quasi nelle fondamenta della Cattedrale, un ciclo di 14 immagini sull’Eucaristia, in analogia con le 14 stazioni della via Crucis nella navata principale. Tutta la Sacra Scrittura ci annuncia Cristo fatto carne, fatto uomo. Ma Cristo si è fatto Eucaristia, ci ha lasciato Sua carne realmente, veramente e sostanzialmente presente nel mistero eucaristico. In un certo senso possiamo dire: tutta la Sacra Scrittura ci annuncia Cristo nel mistero dell’Eucaristia. Ho scelto le immagini eucaristiche più conosciute della Sacra Scrittura ossia la simbologia eucaristica più conosciuta: il sacrificio di Abele, il sacrificio di Melchisedec, il sacrificio di Abramo, l’agnello pasquale, la manna nel deserto, il cibo del profeta Elia nel cammino verso il monte di Dio, il tempio di Gerusalemme, Betlemme come “casa del pane”, il miracolo delle nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani, il discorso eucaristico nel vangelo di Giovanni, l’Ultima Cena, Emmaus, l’Agnello nella Gerusalemme Celeste.

    I rapporti tra un vescovo ed un artista sono forse il segreto della riuscita di una opera così importante. Potrebbe raccontarci della sua esperienza di committente che ha commissionato queste 14 tele all'artista e teorico dell'arte Rodolfo Papa? Come è nata la vostra collaborazione e come si è sviluppato il rapporto di fiducia necessario perché nascano dei capolavori?

    Mons. Schneider: Il “ciclo eucaristico” è stato l’ultimo mio sogno per la cattedrale. Sapevo che qualcosa sarebbe mancato senza il “ciclo eucaristico”. Ho pregato il Signore che mi mandasse un artista anzitutto profondamente credente, un artista che ami l’Eucaristia, un artista che sappia dipingere in modo veramente sacro ed edificante per i fedeli. Tramite un signore conosciuto, ho incontrato il prof. Rodolfo Papa. Quando ho visto alcune delle sue opere religiose, e parlato con lui sulla fede e sull’Eucaristia, ho capito che questo artista è quello che il Signore mi ha mandato. La mia convinzione si è ancora consolidata quando ho letto il suo libro sulla teologia dell’arte sacra Discorsi sull’arte sacra (con introduzione del card. Cañizares, Cantagalli, Siena 2012).

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 07/11/2014 18:34


      Intervista a Mons. Schneider sul Sinodo: «Cercano di minare l'insegnamento di Nostro Signore ma Egli guida la sua barca»







    La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno di testimoni intrepidi e candidi della verità tutta intera del comandamento e della volontà di Dio, di tutta la verità delle parole di Cristo sul matrimonio. I moderni farisei e scribi clericali, i vescovi e cardinali che gettano i grani di incenso agli idoli dell' ideologia neo-pagana del genere e del concubinato, non convinceranno nessuno a credere in Cristo o ad essere pronti ad offrire la propria vita per Cristo. Lo ha detto Athanasius Schneider Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Santa Maria ad Astana, in Kazakistan in un'intervista ad Izabella Parowicz di Polonia Cattolica.


     



     


     


    Eccellenza, qual è la sua opinione sul Sinodo? Qual è il suo messaggio alle famiglie?

    Durante il Sinodo ci sono stati momenti di manipolazione manifesta da parte di alcuni chierici che detengono posizioni chiave nella struttura editoriale e di gestione del Sinodo. La relazione intermedia (Relatio post disceptationem) era chiaramente un testo prefabbricato senza alcun riferimento alle effettive dichiarazioni dei padri sinodali. Nelle sezioni su omosessualità, sessualità e "divorziati risposati" con la loro ammissione ai sacramenti il testo rappresenta una ideologia neo-pagana radicale. Questa è la prima volta nella storia della Chiesa che un testo eterodosso del genere è stato effettivamente pubblicato come documento di una riunione ufficiale dei vescovi cattolici, sotto la guida di un papa, anche se il testo aveva solo un carattere preliminare. 


    Grazie a Dio e alla preghiera dei fedeli di tutto il mondo, un consistente numero di padri sinodali ha risolutamente respinto tale documento-base; esso riflette la corrente morale egemone del nostro tempo, corrotta e pagana, che viene imposta a livello globale per mezzo della pressione politica e attraverso i quasi onnipotenti mass media ufficiali, che sono fedeli ai principi del partito mondiale sulla ideologia del genere. Tale documento sinodale, anche se solo preliminare, è un vero peccato e dà la misura di quanto lo spirito  anticristiano del mondo è già penetrato a livelli così importanti della vita della Chiesa. Questo documento rimarrà per le generazioni future e per gli storici una macchia nera che ha macchiato l'onore della Sede Apostolica. Fortunatamente il Messaggio dei Padri sinodali è un vero e proprio documento cattolico che delinea la verità divina sulla famiglia senza tacere sulle radici più profonde dei problemi, vale a dire circa la realtà del peccato. Dà vero coraggio e consolazione alle famiglie cattoliche. Alcune citazioni: "Pensiamo dell'onere imposto dalla vita nella sofferenza data da un bambino con bisogni speciali, da una grave malattia, dal deterioramento della vecchiaia, o dalla morte di una persona cara. Ammiriamo la fedeltà di tante famiglie che sopportano queste prove con coraggio, fede e amore. Lo vedono non come un peso inflitto loro, ma come qualcosa in cui si danno, vedendo il Cristo sofferente nella debolezza della carne. ... L'amore coniugale, che è unico e indissolubile, resiste nonostante le molte difficoltà. Si tratta di uno dei più belli di tutti i miracoli e il più comune. Questo amore si diffonde attraverso la fertilità e la generatività, che riguarda non solo la procreazione dei figli, ma anche il dono per loro della vita divina nel battesimo, nella catechesi, nell'educazione . ... La presenza della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe nella loro modesta casa aleggia su di voi ".


     


    Quei gruppi di persone che erano in attesa di un cambiamento nella dottrina della Chiesa per quanto riguarda le questioni morali (ad esempio consentendo ai divorziati risposati di ricevere la Santa Comunione o concedendo qualsiasi forma di riconoscimento per le unioni omosessuali) sono stati probabilmente delusi dal contenuto della Relatio finale. Non c’è, però, il pericolo che discutere le questioni che sono fondamentali per l’insegnamento della Chiesa stessa possa aprire le porte a gravi abusi come pure ad analoghi tentativi di rivedere questo insegnamento in futuro?


     


    In realtà l’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale è un comandamento divino, nel nostro caso il sesto comandamento, una regola divinamente stabilita, che comporta che coloro che sono in stato di peccato grave non possono essere ammessi alla Santa Comunione. Questo è insegnato da San Paolo nella sua lettera ispirata dallo Spirito Santo in 1 Corinzi 11, 27-30, questo non può essere messo ai voti, così come la divinità di Cristo non sarebbe mai messa ai voti. Una persona che è ancora sotto l’indissolubile vincolo matrimoniale sacramentale e che nonostante questo vive una unione di convivenza stabile con un’altra persona, per legge divina non può essere ammessa alla Santa Comunione. Farlo provocherebbe una dichiarazione pubblica da parte della Chiesa di efferata legittimazione e la negazione dell’indissolubilità del matrimonio cristiano e, allo stesso tempo, di abrogazione del sesto comandamento di Dio: «Non commettere adulterio». Nessuna istituzione umana, neanche il Papa o un Concilio Ecumenico, ha l’autorità e la competenza per invalidare anche solo in maniera minima o indiretta uno dei dieci comandamenti divini o le divine parole di Cristo: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi (Mt 19, 6)».


     


    Indipendentemente da questa lucida verità, insegnata in modo costante e immutabile – perché è immutabile – dal Magistero della Chiesa attraverso tutti i secoli fino ai nostri giorni, come ad esempio nella Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e da Papa Benedetto XVI, la questione della ricevibilità della Santa Comunione da parte dei cosiddetti “divorziati risposati” è stata messa in votazione nel Sinodo. Questo fatto è di di per sé atroce e rappresenta un atteggiamento di arroganza clericale verso la verità divina della Parola di Dio. Il tentativo di mettere la verità divina e la Parola divina al voto è indegno ad opera di coloro che in qualità di rappresentanti del Magistero devono trasmettere con uno zelo fatto di buone e fedeli norme (cfr. Mt 24, 45) il deposito Divino. Ammettendo i “divorziati risposati” alla Santa Comunione, questi vescovi stabiliscono una nuova tradizione sorta dal loro velleitarismo e trasgrediscono in tal modo il comandamento di Dio, per cui Cristo una volta rimproverò i farisei e gli scribi (cfr. Mt 15, 3). E ciò che è ancora più grave, è il fatto che tali vescovi cercano di legittimare la loro infedeltà con la parola di Cristo, per mezzo di argomenti come la «necessità pastorale», «misericordia», «apertura allo Spirito Santo». Inoltre non hanno paura e non si fanno scrupoli a pervertire in modo gnostico il vero significato di queste parole etichettando al tempo stesso i loro oppositori che difendono il comandamento divino immutabile e la vera tradizione non-umana come rigidi, scrupolosi o tradizionalisti.


     


    Durante la grande crisi ariana nel IV secolo, i difensori della divinità del Figlio di Dio sono stati etichettati come «intransigenti» e «tradizionalisti». Sant’Atanasio fu perfino scomunicato da Papa Liberio; il Papa si giustificò con l’argomento per cui Atanasio non era in comunione con i vescovi orientali, i quali erano per lo più eretici o semi-eretici. San Basilio il Grande, in quella situazione, dichiarò: «un solo peccato è oggi severamente punito: il rispetto attento delle tradizioni dei nostri padri. Per questo motivo i buoni sono scacciati dal loro posto e portati nel deserto» (Ep. 243).


     


    In realtà i vescovi che sostengono la Santa Comunione per i “divorziati risposati” sono i nuovi farisei e scribi, perché trascurano il comandamento di Dio contribuendo al fatto che i “divorziati risposati” continuino a «commettere adulterio» (Mt 15, 19); perché vogliono una soluzione «pulita» secondo l’esteriorità e vogliono apparire puliti anche agli occhi di coloro che hanno il potere mediatico (i social media, l’opinione pubblica). Ma quando, alla fine, appariranno innanzi al tribunale di Cristo, essi sicuramente sentiranno con loro sgomento queste parole di Cristo: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle …. degli adùlteri ti fai compagno» (Sal 50 (49), 16-18).


     


    La Relatio finale del Sinodo contiene anche, purtroppo, il paragrafo con il voto sulla questione della Santa Comunione per “divorziati risposati”. Anche se non ha ottenuto i necessari due terzi dei voti, resta tuttavia il fatto preoccupante e sorprendente che la maggioranza assoluta dei vescovi presenti ha votato a favore della Santa Comunione per i “divorziati risposati”: una ben triste riflessione sulla qualità spirituale dell’episcopato cattolico dei nostri giorni. È triste inoltre che il paragrafo – che non ha ottenuto l’approvazione richiesta della maggioranza qualitativa – resti tuttavia nel testo finale della Relatio e verrà inviato a tutte le diocesi per ulteriori discussioni. Aumenterà sicuramente la confusione dottrinale tra i sacerdoti e i fedeli, essendo ora ventilato che i comandamenti divini e le divine parole di Cristo e quelle dell’apostolo Paolo sono messi a disposizione di gruppi decisionali umani.


     


    Un cardinale che apertamente e con forza ha sostenuto la questione della Santa Comunione per i “divorziati risposati” – ed ha anche proferito dichiarazioni vergognose sulle «coppie» omosessuali nella Relatio preliminare – era insoddisfatto della Relatio finale, dichiarando sfacciatamente: «Il bicchiere è mezzo pieno»; analogamente ha dichiarato che si deve lavorare affinché sia pieno al Sinodo dell’anno prossimo. Dobbiamo credere fermamente che Dio dissiperà i piani di disonestà, infedeltà e tradimento. Cristo tiene infallibilmente il timone della barca della sua Chiesa in mezzo ad una simile grande tempesta. Noi crediamo e confidiamo nel vero sovrano della Chiesa, in Nostro Signore Gesù Cristo, che è la verità.



     


     


     



     


     


    Più avanti, nel corso dell'intervista, mons Schneider non nasconde la gravità della situazione, che torna a paragonare alla crisi ariana, come in questa precedente intervista [qui]. Mi ha colpito la sua affermazione che allora la fede è stata salvata dal popolo (la chiesa docta-discente, piuttosto che da quella docente) insieme a Atanasio e pochi sacerdoti in comunità sparse... Così risponde all'intervistatrice :



    Attualmente stiamo vivendo il culmine dell'aggressione contro la famiglia; questa aggressione è accompagnata da una confusione tremenda nel campo delle scienze sull'uomo e sull'identità umana. Purtroppo, ci sono alcuni membri della gerarchia della Chiesa che, discutendo questi argomenti, esprimono opinioni che contraddicono l'insegnamento di Nostro Signore. Come dovremmo parlare con quelle persone che diventano vittime di questa confusione, al fine di rafforzare la loro fede e per aiutarle verso la salvezza?


     


    In questo momento straordinariamente difficile Cristo purifica la nostra fede cattolica, in modo che attraverso questo processo la Chiesa splenderà più luminosa per essere veramente luce e sale per l' insipido mondo neo-pagano grazie alla fedeltà e alla fede pura e semplice in primo luogo dei fedeli, dei più piccoli nella Chiesa, della "ecclesia docta" (la chiesa che apprende), che ai nostri giorni rafforzerà la "docens Ecclesia» (la Chiesa docente, vale a dire il Magistero), in maniera simile a come accadde nella grande crisi della fede nel IV secolo come il beato John Henry Newman ha dichiarato: «Questo è un fatto molto notevole: ma c'è una morale in esso. Forse è stato permesso, al fine di imprimere alla Chiesa durante la persecuzione la grande lezione evangelica, il cui vero punto di forza non è costituito dal saggio e potente, ma dall'oscuro, l'ignorante e il debole. Il Paganesimo è stato rovesciato soprattutto dai fedeli; fu il popolo fedele, sotto la guida di Atanasio e dei vescovi egiziani, e in alcuni luoghi sostenuto dai propri Vescovi o sacerdoti, che ha resistito alle peggiori eresie che sono state espulse dal territorio sacro. ...in quel tempo di immensa confusione il dogma divino della Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo fu proclamato, imposto, mantenuto e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens; che gran parte dell'Episcopato fu infedele al suo mandato, mentre il popolo rimase fedele al suo battesimo; che a volte il Papa, a volte i Patriarchi, Metropoliti o Vescovi, a volte gli stessi Concili dichiararono ciò che non avrebbero dovuto o fecero cose che oscuravano o compromettevano la verità rivelata. Mentre, al contrario, il popolo cristiano, guidato dalla Provvidenza, fu la forza ecclesiale che sorresse Atanasio, Eusebio di Vercelli ed altri grandi solitari che non avrebbero resistito senza il loro sostegno. In un certo senso si può dire che vi fu una "sospensione temporanea" delle funzioni della Ecclesia docens. La maggior parte dell'Episcopato aveva mancato nel confessare la vera Fede». (Ariani del IV secolo, pp. 446, 466).


     


    Dobbiamo incoraggiare i cattolici ordinari ad essere fedeli al Catechismo che hanno imparato, ad essere fedeli alle chiare parole di Cristo nel Vangelo, ad essere fedeli alla fede che i loro padri e antenati hanno loro consegnata. Dobbiamo organizzare circoli di studio e conferenze sull’insegnamento perenne della Chiesa sulla questione del matrimonio e della castità, invitando soprattutto i giovani e le coppie sposate. Dobbiamo mostrare la grande bellezza di una vita nella castità, la grande bellezza del matrimonio cristiano e della famiglia, il grande valore della Croce e del sacrificio nella nostra vita. Dobbiamo presentare sempre più gli esempi dei santi e delle persone esemplari che hanno dimostrato che, nonostante il fatto che hanno sofferto le stesse tentazioni della carne, la stessa ostilità e derisione del mondo pagano, hanno tuttavia condotto con la grazia di Cristo una vita felice in castità, nel matrimonio e nella famiglia cristiani. La fede, la fede cattolica e apostolica pura e integra vincerà il mondo (cfr. 1 Gv 5, 4).


     


    Dobbiamo fondare e promuovere gruppi di giovani dal cuore puro, gruppi di famiglie, gruppi di coniugi cattolici, che saranno impegnati nella fedeltà delle loro promesse matrimoniali. Dobbiamo organizzare gruppi che aiutino le famiglie moralmente e materialmente distrutte, le ragazze madri, gruppi che assistano con la preghiera e con buoni consigli le coppie separate, gruppi e persone che aiutino le persone “divorziate risposate” a incamminarsi in un processo di conversione seria, cioè riconoscendo con umiltà la proria situazione di peccato e con la grazia di Dio abbandonino i peccati che violano il comandamento di Dio e la santità del sacramento del matrimonio. Dobbiamo creare gruppi che aiutino con attenzione le persone con tendenze omosessuali ad entrare nel cammino della conversione cristiana, il percorso di una vita casta felice e bella, ed infine ad offrire loro in modo discreto una cura psicologica. Dobbiamo mostrare e predicare ai nostri contemporanei nel mondo neo-pagano la Buona Novella di liberazione della dottrina di Cristo: che il comandamento di Dio, e anche il sesto comandamento è sapienza, è bellezza: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Sal 19 [18], 8-9).


     


    Durante il Sinodo, l'arcivescovo Gądecki di Poznań e alcuni altri prelati illustri hanno espresso pubblicamente il proprio dissenso per il fatto che i risultati delle discussioni si sono allontanati dall'insegnamento perenne della Chiesa. C'è speranza che, in mezzo a questa confusione, ci sarà un risveglio di membri del clero e di quei fedeli che finora ignoravano che, nel seno stesso della Chiesa, ci sono persone che minano l'insegnamento di Nostro Signore?


     


    È certamente un onore per il cattolicesimo polacco che il presidente dell'episcopato cattolico, Sua Eccellenza l'Arcivescovo Gądecki, abbia difeso con chiarezza e coraggio la verità di Cristo sul matrimonio e sulla sessualità umana, rivelando così di essere un vero figlio spirituale di san Giovanni Paolo II. Il Cardinale George Pell ha definito l'agenda sessuale liberale e il presunto sostegno misericordioso e pastorale della santa Comunione per "divorziati risposati" durante il Sinodo molto a proposito, dicendo che questa è solo la punta di un iceberg ed una sorta di cavallo di Troia nella Chiesa.


     


    Che nel seno stesso della Chiesa, ci siano persone che minano l'insegnamento di Nostro Signore è diventato un fatto ovvio e unico in tutto il mondo nel vedere grazie a internet e al lavoro di alcuni giornalisti cattolici che non sono rimasti indifferenti a ciò che stava accadendo alla fede cattolica, che essi ritengono essere il tesoro di Cristo. Mi ha fatto piacere vedere che alcuni giornalisti cattolici e blogger di internet si sono comportati come buoni soldati di Cristo e hanno richiamato l'attenzione su questo ordine del giorno clericale di minare il perenne insegnamento di Nostro Signore. Cardinali, Vescovi, sacerdoti, famiglie cattoliche, i giovani cattolici devono dire a se stessi: mi rifiuto di conformarmi allo spirito neo-pagano di questo mondo, anche quando questo spirito viene diffuso da alcuni vescovi e cardinali; Non accetterò il loro uso fallace e perverso della santa misericordia divina e della "nuova Pentecoste"; mi rifiuto di gettare grani di incenso davanti alla statua dell'idolo della ideologia del genere, davanti all'idolo delle seconde nozze, del concubinaggio, anche se il mio vescovo avesse fatto questo, io non voglio farlo; con la grazia di Dio io scelgo di soffrire, piuttosto che tradire la verità di Cristo sulla sessualità umana e sul matrimonio.


     


    I testimoni convinceranno il mondo, non i maestri, ha detto il Beato Paolo VI nella "Evangelii nuntiandi".1 La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno di testimoni intrepidi e candidi di tutta la verità del comandamento e della volontà di Dio, di tutta la verità delle parole di Cristo sul matrimonio. I Farisei e gli scribi ecclesiastici moderni, quei vescovi e cardinali che gettano i grani di incenso agli idoli dell'ideologia neo-pagana del genere e del concubinato, non convinceranno nessuno a credere in Cristo o ad essere pronti ad offrire la propria vita per Cristo. Infatti "veritas Domini manet in aeternum" (Sal 116: la verità del Signore rimane per sempre) e "Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13, 8) e "la verità vi farà liberi" (Gv 8 : 32). Quest'ultima frase era una delle frasi bibliche preferite di San Giovanni Paolo II, il papa della famiglia. Possiamo aggiungere: la verità divina rivelata e immutabilmente trasmessa sulla sessualità umana e del matrimonio porterà la vera libertà alle anime dentro e fuori della Chiesa. Nel bel mezzo della crisi della Chiesa e del cattivo esempio morale e dottrinale di alcuni vescovi del suo tempo sant'Agostino ha confortato i semplici fedeli con queste parole: «Così, come ho detto spesso e ripeto insistentemente: qualunque cosa noi siamo, voi siete sicuri: voi che avete Dio per padre e la Chiesa per madre». Contra litteras Petiliani III, 9, 10).



    ______________________________


    1. «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii nuntiandi, n.41) (ndT)


     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 20/03/2015 17:04

    venerdì 17 febbraio 2012





      Mons. Athanasius Schneider, La nuova evangelizzazione e la Santa Liturgia. Le cinque piaghe del corpo mistico e liturgico
    Quel che la Chiesa ha sempre insegnato e che il nostro cuore desidera.


    4° Incontro per l'Unità Cattolica - 15 gennaio 2012

    Intervento di Monsignor Athanasius Schneider
    Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria d’Astana,
    Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan


    Per parlare correttamente della nuova evangelizzazione è indispensabile portare innanzitutto il nostro sguardo su Colui che è il vero evangelizzatore, Nostro Signore Gesù-Cristo il Salvatore, il Verbo di Dio fatto uomo. Il figlio di Dio è venuto su questa terra per espiare e riscattare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato per eccellenza dell'umanità consiste nel rifiuto di adorare Dio, nel rifiuto di riservargli il primo posto, il posto d'onore. Questo peccato degli uomini consiste nel fatto che non si presta attenzione a Dio, nel fatto che non si possiede più il senso delle cose, nel fatto che non si vuol vedere Dio, nel fatto che non ci si vuole inginocchiare davanti a Dio.

    Di fronte ad un simile atteggiamento, l'incarnazione di Dio è imbarazzante, ugualmente e di riflesso imbarazzante è la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico, imbarazzante la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle chiese. L'uomo peccatore vuole in effetti mettersi al centro, tanto all'interno della Chiesa che al di fuori della celebrazione eucaristica, vuole esser visto, vuol farsi notare.

    È la ragione per cui Gesù eucaristia, Dio incarnato, presente nei tabernacoli sotto la forma eucaristica, si preferisce piazzarLo di lato. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all'altare al momento della celebrazione di fronte al popolo è imbarazzante, perché il viso del prete se ne troverebbe nascosto. Dunque l'immagine del Crocifisso al centro come pure Gesù eucaristia nel tabernacolo similmente al centro dell'altare, sono imbarazzanti. Conseguentemente la croce e il tabernacolo sono piazzati di lato. Durante la celebrazione, chi assiste deve poter osservare in permanenza il viso del prete, di colui a cui piace mettersi letteralmente al centro della casa di Dio. E se per sbaglio Gesù eucaristia è quanto meno lasciato nel suo tabernacolo al centro dell'altare, perché il ministero dei beni culturali persino sotto un regime ateo, ha vietato di spostarlo per ragioni di conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso durante tutta la celebrazione liturgica, gli gira senza scrupolo le spalle.

    Quante volte bravi fedeli adoratori del Cristo, nella loro semplicità ed umiltà, avranno esclamato : « Benedetti voi, Monumenti storici! Per lo meno voi ci avete lasciato Gesù al centro della nostra Chiesa. »
    È solo a partire dall'adorazione e dalla glorificazione di Dio che la Chiesa può annunciare in maniera adeguata la parola di verità, cioè evangelizzare. Prima che il mondo ascoltasse Gesù, il Verbo eterno fattosi carne, predicare e annunciare il regno, Gesù ha taciuto e ha adorato per trent'anni. Ciò resta per sempre la legge per la vita e l'azione della Chiesa così come di tutti gli evangelizzatori. « È dal modo di curare la liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa», ha detto il cardinal Ratzinger, nostro attuale Santo Padre e Papa Benedetto XVI. Il concilio Vaticano II voleva richiamare alla chiesa la realtà e l'azione che dovevano prendere il primo posto nella sua vita. È ben per questo che il primo documento conciliare è dedicato alla liturgia. In esso il concilio ci dà i seguenti principi: Nella Chiesa e da qui nella liturgia, l'umano deve orientarsi al divino ed essergli subordinato, ed anche ciò che è visibile in rapporto all'invisibile, l'azione in rapporto alla contemplazione, e il presente in rapporto alla città futura, alla quale aspiriamo (cf.Sacrosanctum Concilium, 2). La nostra liturgia terrestre partecipa, secondo l'insegnamento del Vaticano II, al pregustare la liturgia celeste della città Santa, Gerusalemme (cf. idem, 2)

    Per questo, tutto nella liturgia della Santa Messa deve servire ad esprimere in maniera più netta la realtà del sacrificio di Cristo, cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, d'espiazione, che l'eterno Sommo-Sacerdote ha presentato al Padre Suo.

    Il rito e tutti i dettagli del Santo Sacrificio della Messa devono incardinarsi nella glorificazione e nell'adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza del Cristo, sia nel segno e nella rappresentazione del Crocifisso, che nella Sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e soprattutto al momento della consacrazione e della santa comunione. Più ciò è rispettato, meno l'uomo di pone al centro della celebrazione, meno la celebrazione somiglia ad un circolo chiuso, ma è aperta anche in maniera esteriore sul Cristo, come una processione che si dirige verso di lui col prete in testa, più una tale celebrazione liturgica rifletterà in modo fedele il sacrificio d'adorazione del Cristo in croce, più ricchi saranno i frutti provenienti dalla glorificazione di Dio che i partecipanti riceveranno nelle loro anime, più il Signore li onorerà.

    Più il sacerdote e i fedeli cercheranno in verità durante le celebrazioni eucaristiche la gloria di Dio e non la gloria degli uomini, e non cercheranno di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li onorerà lasciando partecipare la loro anima in maniera più intensa e più feconda alla Gloria e all'Onore della Sua vita divina. Nel momento attuale e in diversi luoghi della terra, sono numerose le celebrazioni della Santa Messa delle quali si potrebbero dire le seguenti parole, inversamente alle parole del Salmo 113,9: « A noi, o Signore, e al nostro nome dai gloria » ed inoltre a proposito di tali celebrazioni si applicano le parole di Gesù : « Come potete credere, voi che ricevete la vostra gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo ? » (Giovanni 5, 44).

    Il Concilio Vaticano II ha emesso, riguardo ad una riforma liturgica, i seguenti principi:
    1. Durante la celebrazione liturgica, l'umano, il temporale, l'attività, devono orientarsi al divino, all'eterno, alla contemplazione e avere un ruolo subordinato in rapporto a questi ultimi (cf. Sacrosanctum Concilium, 2).
    2. Durante la celebrazione liturgica, si dovrà incoraggiare la presa di coscienza che la liturgia terrestre partecipa della liturgia celeste (cf. Sacrosanctum Concilium, 8).
    3. Non deve esserci alcuna innovazione, dunque alcuna nuova creazione di riti liturgici, soprattutto nel rito della messa, tranne se ciò è per un frutto vero e certo in favore della Chiesa, e a condizione che si proceda con prudenza sul fatto che eventuali forme nuove sostituiscano in maniera organica le forme esistenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 23).
    4. I riti della Messa devono esser tali che il sacro sia espresso più esplicitamente (cf.Sacrosanctum Concilium, 21).
    5. Il latino deve essere conservato nella liturgia e soprattutto nella Santa Messa (cf.Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
    6. Il canto gregoriano ha il primo posto nella liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 116).
    I padri conciliari vedevano le loro proposizioni di riforma come la continuazione della riforma di S. Pio X (cf. Sacrosanctum Concilium, 112 e 117) e del servo di Dio, Pio XII, e in effetti, nella costituzione liturgica, la più citata è l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII.

    Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa, tra gli altri, un principio importante della dottrina sulla Santa liturgia, e cioè la condanna di ciò che chiama archeologismo liturgico, le cui proposizioni coincidevano largamente con quelle del sinodi giansenista e protestantizzante di Pistoia del 1976 (cf. « Mediator Dei », n° 63-64) e che di fatto richiamano le idee teologiche di Martin Lutero.
    Perciò già il Concilio di Trento ha condannato le idee liturgiche protestanti, specialmente l'esagerata accentuazione di banchetto nella celebrazione eucaristica a detrimento del carattere sacrificale, la soppressione dei segni univoci della sacralità in quanto espressione del mistero della liturgia (cf. Concilio di Trento, sessio XXII).

    Le dichiarazioni liturgiche dottrinali del magistero, come nel caso del Concilio di Trento e dell'enciclica Mediator Dei, che si riflettono in una prassi liturgica secolare, anzi da più di un millennio, costante e universale, queste dichiarazioni dunque, fanno parte di quell'elemento della santa tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in grandi danni sul piano spirituale. Queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, il Vaticano II le ha riprese, come può constatarsi leggendo i principi generali del culto divino nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.

    Come errore concreto nel pensiero e nell'azione dell'archeologismo liturgico, il papa Pio XII cita la proposizione di dare all'altare la forma di una tavola (cf. Mediator Dei n° 62). Se già papa Pio XII rifiutava l'altare a forma di tavola, si immagini come avrebbe a fortiori rifiutato la proposizione di una celebrazione come intorno ad una tavola « versus populum » !

    Se la Sacrosanctum Concilium al n° 2 insegna che, nella liturgia, la contemplazione deve avere la priorità e che tutta la celebrazione della messa deve essere orientata verso i misteri celesti (cf. idem n° 2 et n° 8), vi si trova un'eco fedele della seguente dichiarazione di Trento che diceva: « E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.» (sessio XXII, cap. 5).

    I citati insegnamenti del magistero della Chiesa e soprattutto quello di Mediator Dei sono stati riconosciuti senza alcun dubbio anche dai padri conciliari come pienamente validi; di conseguenza essi devono continuare ancor oggi ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa.

    Nella lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica unita al Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, il papa fa questa dichiarazione importante: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso ». Dicendo questo, il papa esprime il principio fondamentale della liturgia che il Concilio di Trento e papa Pio XII hanno insegnato.

    Se si guarda senza idee preconcette e in maniera obbiettiva la pratica liturgica della stragrande maggioranza delle chiese in tutto il mondo cattolico nel quale è in uso la forma ordinaria del rito romano, nessuno può negare in tutta onestà che i sei principi liturgici menzionati dal Concilio Vaticano II sono rispettati poco o niente addirittura. Ci sono un certo numero di aspetti concreti nell'attuale pratica liturgica dominante, nel rito ordinario, che rappresentano una vera e propria rottura con una pratica religiosa costante da oltre un millennio. Si tratta dei cinque usi liturgici seguenti che si possono considerare come le cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di piaghe, perché rappresentano una violenta rottura col passato, perché mettono apertamente meno l'accento sul carattere sacrificale che è quello centrale ed essenziale della messa, mettono avanti il banchetto; tutto ciò diminuisce i segni esteriori dell'adorazione divina, perché esse mettono meno in rilievo il carattere del mistero in ciò che ha di celeste ed eterno.

    In ordine a queste cinque piaghe, si tratta di quelle che - ad eccezione di una (le nuove preghiere dell'offertorio) - non sono previste nella forma ordinaria del rito della messa, ma sono state introdotte in modo deplorevole dalla pratica.

    La prima piaga, la più evidente, è la celebrazione del sacrificio della messa in cui il prete celebra volto verso i fedeli, specialmente durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro dell'adorazione dovuta a Dio. Questa forma esteriore corrisponde per sua natura più al modo in cui ci si comporta quando si condivide un pasto. Ci si trova in presenza di un circolo chiuso. E questa forma non è assolutamente conforme al momento della preghiera ed ancor meno a quello dell'adorazione. Ora questa forma, il concilio Vaticano II non l'ha auspicata affatto e non è mai stata raccomandata dal magistero dei papi post-conciliari. Papa Benedetto XVI nella sua prefazione al primo tomo della sua Opera Omnia scrive: «l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo. ».

    La forma di celebrazione in cui tutti portano il loro sguardo nella stessa direzione (conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche evocata dalle rubriche del nuovo rito della messa (cf.Ordo Missae, n. 25, n. 133 et n. 134). La celebrazione che si dice « versus populum » certamente non corrisponde all'idea della Santa Liturgia tal quale è menzionata nelle dichiarazioni di Sacrosanctum Concilium n°2 e n° 8.

    La seconda piaga è la comunione sulla mano diffusa dappertutto nel mondo. Non soltanto questa modalità di ricevere la comunione non è stata in alcun modo evocata dai Padri conciliari del Vaticano II, ma apertamente introdotta da un certo numero di vescovi in disobbedienza verso la Santa Sede e nel disprezzo del voto negativo nel 1968 della maggioranza del corpo episcopale. Solo successivamente papa Paolo VI l'ha legittimata controvoglia, a condizioni particolari.

    Papa Benedetto XVI, dopo la Festa del Corpus Domini 2008, non distribuisce più la comunione che a fedeli in ginocchio e sulla lingua, e ciò non soltanto a Roma, ma anche in tutte le chiese locali alle quali rende visita. Attraverso ciò egli donò all'intera Chiesa un chiaro esempio di magistero pratico in materia liturgica. Se la maggioranza qualificata del corpo episcopale, tre anni dopo il concilio, ha rifiutato la comunione nella mano come qualcosa di nocivo, quanti più Padri conciliari l'avrebbero fatto ugualmente!

    La terza piaga, sono le nuove preghiere dell'offertorio. Esse sono una creazione interamente nuova e non sono mai state usate nella Chiesa. Esse esprimono meno l'evocazione del mistero del sacrificio della croce che quella di un banchetto, richiamando le preghiere del pasto ebraico del sabato. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa d'Occidente e d'Oriente, le preghiere dell'offertorio sono sempre state espressamente incardinate al sacrificio della croce (cf. p. es. Paul Tirot, Storia delle preghiere d'offertorio nella liturgia romana dal VII al XVI secolo, Roma 1985). Una tale creazione assolutamente nuova è senza nessun dubbio in contraddizione con la formulazione chiara del Vaticano II che richiama « Innovationes ne fiant … novae formae ex formis iam exstantibus organice crescant » (Sacrosanctum Concilium, 23).

    La quarta piaga è la sparizione totale del latino nell'immensa maggioranza delle celebrazioni eucaristiche della forma ordinaria nella totalità dei paesi cattolici. È una infrazione diretta contro le decisioni del Vaticano II.

    La quinta piaga è l'esercizio dei sevizi liturgici di lettori e di accoliti donne, così come l'esercizio degli stessi servizi in abito civile penetrando nel coro durante la Santa Messa direttamente oltre lo spazio riservato ai fedeli. Quest'abitudine non è giammai esistita nella Chiesa, o per lo meno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla messa cattolica il carattere esteriore di qualcosa di informale, il carattere e lo stile di un'assemblea piuttosto profana. Il secondo concilio di Nicea vietava già, nel 787, tali pratiche, redigendo questo canone: « Se qualcuno non è ordinato, non gli è permesso fare la lettura dall'ambone durante la santa liturgia », (can. 14). Questa norma è stata costantemente rispettata nella Chiesa. Solo i suddiaconi o i lettori avevano il diritto di fare la lettura durante la liturgia della Messa. Al posto dei lettori e accoliti mancanti, sono uomini o ragazzi in veste liturgica che possono farlo, e non donne, essendo un dato di fatto che il sesso maschile sul piano sacramentale dell'ordinazione non sacramentale dei lettori ed accoliti, rappresenta simbolicamente il primo legame con gli ordini minori.

    Nei testi del Vaticano II, non è fatta alcuna menzione della soppressione degli ordini minori e del suddiaconato, né dell'introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium n° 28, il concilio fa la differenza tra « minister » e « fidelis » durante la celebrazione liturgica, e sancisce che l'uno e l'altro hanno diritto di fare ciò che loro spetta in ragione della natura della liturgia. Il n° 29 meziona i « ministrantes », cioè gli addetti al servizio dell'altare che non hanno ricevuto alcuna ordinazione. In opposizione a costoro ci sarebbero, scondo i termini giuridici dell'epoca, i «ministri », cioè coloro che hanno ricevuto un ordine maggiore o minore che sia.

    Con il Motu proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI afferma che entrambe le forme del Rito romano sono da guardare e trattare con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera che accompagna il Motu proprio, il Papa auspica che le due forme si arricchiscano reciprocamente. Inoltre, auspica che nella nuova forma "appaia, più di quanto non sia avvenuto finora, il senso del sacro che attira molte persone verso il vecchio rito."

    Le quattro ferite liturgiche o usi infelici (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano e l'intervento delle donne per il servizio di lettura e quello di accolito) non hanno di per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa e sono inoltre in contraddizione con i principi liturgici del Vaticano II. Se si ponesse fine a questi usi, si ritornerebbe al vero insegnamento del Vaticano II. E allora le due forme del Rito romano si avvicinerebbero enormemente così che, almeno esternamente, non si dovrebbe constatare una rottura fra di loro e, quindi, nessuna rottura tra la Chiesa di prima del Concilio e quella del dopo.

    Per quel che riguarda le nuove preghiere dell'Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisca con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria o almeno che permetta il loro uso ad libitum. Così, non è solo esteriormente, ma interiormente, che la rottura tra le due forme sarebbe evitata. La rottura nella liturgia, è appunto quel che la maggior parte dei padri conciliari non ha voluto ; lo testimoniano gli atti del Concilio, perché in duemila anni di storia della liturgia nella Santa Chiesa, non c'era mai stata rottura liturgica e, pertanto, non deve mai essercene. Invece ci deve essere una continuità come deve essere per il Magistero.
    È per questo che c'è bisogno oggi di nuovi Santi, di una o più Santa Caterina da Siena. Abbiamo bisogno della "vox populi fidelis" che reclama la soppressione di questa rottura liturgica. Ma il tragico della storia, è che oggi, come al momento dell'esilio di Avignone, una larga maggioranza del clero, soprattutto del clero alto, si accontenta di questo esilio, di questa rottura.

    Prima che possiamo aspettarci frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve innanzitutto instaurarsi un processo di conversione all'interno della Chiesa. Come si può chiamare gli altri a convertirsi fino a quando, tra chi la reclama, nessuna conversione convincente a Dio non è ancora avvenuta perché, nella liturgia, non sono sufficientemente rivolti a Dio, sia interiormente che esteriormente? Si celebra il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della fede, l'atto di adorazione più sublime in un cerchio chiuso, guardandosi a vicenda.

    Manca la necessaria "conversio ad Dominum", anche esternamente, fisicamente. Perché durante la liturgia si tratta Cristo come se non fosse Dio e non Gli si mostrano i segni esterni chiari di un'adorazione dovuta a Dio solo, non solo nel fatto che i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi ma che la prendono nelle loro mani come un cibo ordinario, prendendolo e mettendolo loro stessi in bocca. C'è il pericolo di una sorta di arianesimo o un semi-arianesimo eucaristico.

    Una delle condizioni necessarie per una fruttuosa nuova evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa sul piano del culto liturgico pubblico, osservando almeno questi due aspetti del culto divino, vale a dire:

    1. Che su tutta la terra la Santa Messa sia celebrata, anche nella forma ordinaria, nella "conversio ad Dominum", interiormente e necessariamente anche esternamente.
    2. Che i fedeli pieghino il ginocchio davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come San Paolo lo domanda, evocando il nome e la persona di Cristo (cfr. Phil 2, 10) e che Lo ricevano con il più grande amore e il massimo rispetto possibile, come è suo diritto in quanto Vero Dio.
    Dio sia lodato, Papa Benedetto ha iniziato, con due misure concrete, il processo di ritorno dall'esilio avignonese liturgico, attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del rito tradizionale per la comunione.

    C'è ancora molto bisogno di preghiera e forse di una nuova Santa Caterina da Siena perché seguano gli altri passi, in modo da guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con lo stesso amore, rispetto, senso del sublime che hanno sempre rappresentato la realtà della Chiesa e del suo insegnamento, specialmente attraverso il concilio di Trento, papa Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei, il concilio Vaticano II nella sua costituzione Sacrosanctum Concilium e papa Benedetto XVI nella sua teologia e liturgia, nel suo magistero liturgico pratico e nel Motu proprio citato.

    Nessuno può evangelizzare se non ha prima adorato, e parimenti se non adora in permanenza e non dà a Dio, il Cristo Eucaristia, la vera priorità nella maniera di celebrare e in tutta la sua vita. In effetti, per riprendere le parole del card Joseph Ratzinger : « È nel modo di trattare la Liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa ».

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    [Fonte: Réunicatho] - Traduzione dall'originale francese di Maria Guarini
     


     
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 20/08/2015 08:40


    Francesco Federico     28/02/2015 00:37

     


    Mons. Athanasius Schneider:
    'Siamo nella quarta grande crisi della Chiesa'




    Mons. Scneider, Pontificale a West Grinstead nel Sussex
    Recentemente, prima di conferire le ordinazioni presso la FSSP di Omaha, Mons. Athanasius Schneider ha tenuto una serie di allocuzioni e conferenze in giro per l'Inghilterra, riconoscendo che oggi la chiesa sta vivendo una «confusione tremenda» tanto che stiamo attraversando la sua «quarta grande crisi».
    Il Catholic Herald [qui] ha pubblicato le sue affermazioni in occasione di un'intervista, che ho tradotto e inserisco di seguito. Colpisce la chiarezza e la precisione del vescovo ausiliario soprattutto se la si paragona con l'imprecisione e la confusione dei discorsi cosiddetti «pastorali» della maggior parte dei vescovi di oggi. In precedenza abbiamo pubblicato il suo intervento in occasione del Convegno sul Concilio Vaticano II organizzato dai Francescani dell'Immacolata nel 2010 [qui] e una sua vibrante relazione sulle Cinque piaghe del corpo mistico e liturgico [qui]. Ogni volta che l'ho incontrato, ho trovato un punto di riferimento saldo e corroborante. Il Signore lo benedica lo custodisca e ce lo conservi. Dovrebbero leggere e meditare i "normalisti" che crescono come funghi, persino tra i tradizionisti oggi voltagabbana.
    Nulla di nuovo rispetto a quanto andiamo sostenendo da tempo. Ma almeno abbiamo una conferma da parte di un autorevole membro della gerarchia ecclesiale, che non teme di esprimersi in pubblico.
    Siamo nella quarta grande crisi della Chiesa
    Mons. Athanasius Schneider

    Mons. Athanasius Schneider, specialista in liturgia, sta portando avanti una lotta di retroguardia contro gli "abusi" nella Chiesa. Egli afferma che i liberali, collaborando con il "nuovo paganesimo", stanno guidando la Chiesa cattolica verso una scissione.

    I problemi sono così gravi, che questa è la quarta grande crisi nella storia della Chiesa, paragonabile alla eresia ariana del IV secolo nella quale è stata coinvolta una grande parte della gerarchia della Chiesa.

    Se non avete sentito parlare del vescovo nato in unione Sovietica, ora lo conoscete. Sacerdote studioso e schietto, egli è vescovo ausiliare della lontana Arcidiocesi di Santa Maria in Astana, Kazakistan. Ma questo mese ha ricevuto un'accoglienza da rock star da parte di congregazioni di tutto il paese per il suo tour in Inghilterra e ha abbracciato il cyberspazio per collocarvi una tagliente difesa della Chiesa tradizionale. Ha detto: "Grazie a Dio, internet esiste".

    Le sue vedute non sono popolari presso tutti, soprattutto presso alcuni dei suoi colleghi liberali, oppure, dice, presso i media di regime del mondo secolare. Ma chi lo ascolta e lo segue racconta un'altra storia.

    Mons. Schneider è meglio conosciuto per il fatto che sostiene che la Santa Comunione dovrebbe essere ricevuta sulla lingua in ginocchio. Egli ripete che è il modo più efficace per favorire il rispetto del Sacramento e per prevenire l'abuso sulle Sacre Specie. Il vescovo 53enne ha anche chiesto chiarimenti (un nuovo Sillabo), rivolto ai sacerdoti, per porre fine alla deriva liturgica e dottrinale su una serie di questioni nello "spirito del Concilio Vaticano II" [qui].

    Nella sua intervista, Mons. Schneider ha detto che il trattamento "banale" e casuale del Santissimo Sacramento è parte di una grave crisi nella Chiesa nella quale alcuni, sia tra i laici che tra il clero, non escluse posizioni di autorità, risultano schierati con la società laica. Egli crede che al cuore dei problemi, ci sia l'introduzione strisciante di un'agire centrato sull'uomo, mentre in alcune chiese Dio, nel tabernacolo, in realtà è materialmente messo in un angolo, mentre il sacerdote prende il centro della scena. Mons. Schneider ha sostenuto che questa situazione sta ora venendo al pettine. "Direi che siamo nella quarta grande crisi [della Chiesa], in una confusione tremenda sulla dottrina e la liturgia. Ci siamo già da 50 anni. "

    Quanto durerà ancora? «Forse Dio sarà misericordioso verso di noi in 20 o 30 anni."

    In autunno, il Sinodo dei Vescovi si riunirà in sessione straordinaria per discutere sula famiglia, alla luce del questionario che Papa Francesco ha invitato i fedeli a compilare, dando loro punti di vista sul matrimonio e sulla sessualità. Si fanno sempre più strada aspettative sul rilassamento delle regole intorno ad una serie di questioni sessuali e riguardo alle persone divorziate che ricevono la Comunione come un segno di "misericordia" dalla Chiesa.

    Tali visuali, secondo il vescovo Schneider, rivelano la profondità del problema. "Penso che la questione della ricezione della Santa Comunione da parte dei risposati farà saltare in aria e mostrerà la vera crisi della Chiesa. La vera crisi della Chiesa è l'antropocentrismo e l'abbandono del Cristo-centrismo...

    "Questo è il male più profondo: l'uomo, o il clero, ponendosi al centro quando si celebra la liturgia e quando si cambia la verità rivelata da Dio, ad esempio, per quanto riguarda il sesto comandamento e la sessualità umana".

    Anche se sostiene che i discorsi di cambiamento vengono principalmente da "media anti-cristiani", egli vede clero e laici cattolici "collaborare" con quello che lui chiama il nuovo paganesimo. Mons. Schneider è particolarmente critico con l'idea che questi cambiamenti devono essere fatti in modo da essere misericordiosi verso coloro ai quali attualmente è vietato ricevere i Sacramenti. È "una sorta di sofisma", egli ha detto. "Non è misericordia, è crudeltà."

    Ha suggerito quindi che si tratta di "un falso concetto di misericordia", dicendo: "È paragonabile a un medico che dà dello zucchero ad un paziente [diabetico], anche se sa che lo ucciderà"

    Il vescovo ritiene che vi siano evidenti parallelismi con le grandi crisi del passato, quando i sacerdoti erano complici con eresie. Durante l'eresia ariana, ha detto, solo una manciata della gerarchia, da contare sulle dita, ha resistito. "Noi [i cristiani] siamo una minoranza. Siamo circondati da un mondo pagano molto crudele. La tentazione e la sfida di oggi possono essere confrontati con i primi secoli."

    Ha aggiunto: "Purtroppo ci sono stati ...membri del clero e persino vescovi che hanno bruciato grani di incenso di fronte alla statua dell'imperatore o di un idolo pagano o che hanno consegnato i libri della Sacra Scrittura, perché fossero bruciati. Tali cristiani collaborazionisti e chierici sono stati chiamati in quei tempi thurificati o traditores".[1]

    E anche oggi, ha confermato, abbiamo coloro che collaborano, i nostri "traditori della Fede".

    Si ha la percezione che Papa Francesco sia in prima linea in un nuovo atteggiamento liberale proveniente da Roma. Ma Mons. Schneider dice: "Grazie a Dio, Papa Francesco non si è espresso nel modo in cui i mass media si aspettano da lui. Fino ad ora, nelle sue omelie ufficiali, ha espresso cose molto belle della dottrina cattolica. Spero che continuerà a insegnare con chiarezza la dottrina cattolica".

    Il vescovo ha detto che spera che "la maggioranza dei vescovi abbia ancora abbastanza spirito cattolico e fede per respingere quanto proposto e non accettarlo".

    Tuttavia, si può prevedere una imminente divisione, che porti ad un eventuale rinnovamento della Chiesa sulle linee tradizionali. Ma, egli crede, questo non avverrà prima che la crisi getti la Chiesa ulteriormente nel caos. Alla fine, pensa, il sistema clericale "antropocentrico" crollerà. "Questo edificio ecclesiale liberale crollerà perché non ha radici e non dà frutti", ha detto.

    Nel tumulto, il vescovo Schneider, teme che i cattolici tradizionali possano, per un certo tempo, essere perseguitati o discriminati, anche per volere di coloro che hanno "potere nelle strutture esterne della Chiesa". Ma secondo lui avverrà che coloro che sono coinvolti con l' "eresia non prevarranno contro la Chiesa". E, nella speranza, il vescovo ha detto: "Certamente il Supremo Magistero rilascerà una dichiarazione dottrinale inequivocabile, rifiutando ogni collaborazione con le idee neo-pagane."

    A questo punto, il vescovo Schneider ritiene che, i moderni thurificati e traditoreslasceranno la Chiesa. Ha detto: "Posso presumere che tale separazione interesserà ogni livello di cattolici: laici senza escludere l'alto clero".

    Tali osservazioni rendono improbabile che Mons. Schneider possa acquistare popolarità in alcuni ambienti, ma lui sostiene: "È insignificante essere popolari o impopolari. Il primo interesse di ogni membro del clero dovrebbe essere quello di essere popolare agli occhi di Dio e non agli occhi dell'oggi o dei potenti. Gesù ha dato un avvertimento: 'Guai a voi quando gli uomini diranno bene di voi.' "

    Ha aggiunto: "La popolarità è falsa ... grandi santi della Chiesa, come Thomas More e John Fisher, hanno respinto la popolarità ... quelli che oggi sono preoccupati per la popolarità sui mass media e nell'opinione pubblica ... saranno ricordati come codardi e non come eroi della Fede".

    Mons. Schneider osserva con rammarico che ci sono molti, i cui punti di vista coincidono con quelli del mondo pagano, che "si dichiarano cattolici e anche fedeli al Papa", mentre "coloro che sono fedeli alla fede cattolica o chi promuove la gloria di Cristo nella liturgia sono etichettati come estremisti".

    Tali critici potrebbero affermare che la preoccupazione del Vescovo Schneider sulla Santa Comunione equivale a preoccuparsi del numero degli angeli su una capocchia di spillo. Ma il vescovo insiste sul fatto che il trattamento riservato all'Eucaristia è al centro della crisi. "L'Eucaristia è il cuore della Chiesa", ha detto. "Quando il cuore è debole, tutto il corpo è debole."

    Egli ha sostenuto che ricevere la Comunione in mano "contribuisce progressivamente alla perdita della fede cattolica nella presenza reale e nella transustanziazione".

    Mons. Schneider ha anche respinto l'idea che la preoccupazione per la liturgia è meno importante, o addirittura separata, dalla preoccupazione per i poveri. "Questo è falso. Il primo comandamento che Cristo ci ha dato è stato quello di adorare Dio solo. La liturgia non è un incontro di amici. È nostro compito prioritario adorare e glorificare Dio nella liturgia e anche nel nostro modo di vivere. L'amore per i poveri e il nostro prossimo cresce da una vera adorazione e amore di Dio. È una conseguenza. "

    Le convinzioni del vescovo sono state plasmate dalla sua prima infanzia: è cresciuto come un perseguitato nella comunità cattolica tedesca in Unione Sovietica, dove ha anche dovuto frequentare lezioni di ateismo a scuola. Il suo libro Dominus Est [qui] rivela come la comunità cattolica tedesca abbia mantenuto viva la propria fede nonostante le gravi difficoltà e persecuzioni. Nella sua esperienza, la madre e la prozia hanno corso grandi rischi per la loro fede e per sostenere altri nella comunità. Così il vescovo Schneider e la sua famiglia erano inorriditi degli atteggiamenti e delle pratiche liberali in Occidente, soprattutto per quanto riguarda la Santa Comunione, che era stata così rara e così preziosa per i cattolici tedeschi perseguitati dell'Unione Sovietica.

    Similmente al ragazzino della storia de I vestiti nuovi dell'imperatore, il vescovo ora si sente in dovere di parlare e lui non riesce a capire perché gli altri non fanno lo stesso. "Sembra che la maggioranza del clero e dei vescovi siano contenti di questo uso moderno della Comunione in mano... Per me questo è incredibile. Come è possibile, quando Gesù è presente nelle piccole Ostie?"[2]

    Ha continuato: "C'è il fatto grave della perdita dei frammenti eucaristici. E i frammenti dell'Ostia consacrata sono calpestati. Questo è orribile! Il nostro Dio, nelle nostre chiese, è schiacciato sotto i piedi! "

    Mons. Schneider ha ammesso che è "molto triste che mi sento come uno che è grida nel deserto".

    Egli ha detto: "È ora che i vescovi alzino la voce per Gesù Eucaristia che non ha voce per difendersi. Ecco, un attacco al Santissimo, è un attacco alla fede eucaristica ".

    Ma nonostante le sue preoccupazioni, il vescovo Schneider non è pessimista e ritiene che vi sia già una ondata di sostegno per i valori tradizionali che, nel tempo, rinnovino la Chiesa: "i piccoli nella Chiesa sono state tenuti in basso e trascurati", ha detto. "[Ma] hanno mantenuto la purezza della loro fede e sono loro che rappresentano il vero potere della Chiesa agli occhi di Dio, non quelli che gestiscono.

    "Ho parlato con i giovani studenti di Oxford e sono stato molto impressionato da questi studenti. Ero così felice di vedere la loro purezza di fede e le loro convinzioni, e la loro chiara mente cattolica. Questo rinnoverà la Chiesa. Quindi io sono fiducioso e pieno di speranza anche nei confronti di questa crisi nella Chiesa. Lo Spirito Santo vincerà questa crisi con questo piccolo esercito. "

    Ha poi aggiunto: "Io non sono preoccupato per il futuro. La Chiesa è la Chiesa di Cristo e Lui è il vero capo della Chiesa, il Papa è solo il vicario di Cristo. L'anima della Chiesa è lo Spirito Santo ed Egli è potente ".

    Il Libro “Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione”, scritto da Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana (Kazakhstan), è stato stampato dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Mons. Malcolm Ranjith. [qui]
    _______________

    1. Termini anticamente usati per designare i cristiani che, nelle persecuzioni, cadevano nell'apostasia. I cosiddetti Lapsi (letteralmente "scivolati"), termine latino usato, nel III e IV secolo, per indicare i cristiani che, sotto la minaccia delle persecuzioni, compirono atti di adorazione verso gli dei pagani. Vigeva la seguente distinzione:
    Turificati, coloro che avevano bruciato l'incenso agli dei.
    Sacrificati, coloro che avevano offerto sacrifici agli dei.
    Libellatici, coloro che si erano procurati documenti falsi che, pur non avendolo fatto, attestavano il loro sacrificio agli dei.
    Traditores, termine riferito a vescovi e presbiteri che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane. Il termine trae la sua radice dal verbo latino tradere che significava "consegnare" e assunse poi il significato di "tradire", in riferimento a Giuda che aveva consegnato Gesù al sinedrio.
    2. Naturalmente si tratta di un uso che deriva da tutto un atteggiamento di fondo sulla liturgia trasformata da Sacrificio che rende possibile il banchetto escatologico, in convito fraterno: da sacrificio di espiazione, di lode, comunione e ringraziamento - protagonista il Signore per il Padre e noi in Lui -, in festa e agape dell'Assemblea. L'uomo e non Dio, al centro.





    Athanasius Schneider: “Le buone intenzioni del Concilio Vaticano II sono finite nelle mani di uomini senza Dio”


    Monsignor Athanasius Schneider.

    Monsignor Athanasius Schneider.

    Dopo l’intervista in esclusiva rilasciata a www.lafedequotidiana.com, monsignor Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan e uno dei vescovi più impegnati in difesa delle verità cattoliche, ha rilasciato alcune dichiarazioni al sito spagnolo Adelante la Fè. Ricordando il beato Alexis Saritski, Mons. Schneider rammenta che era «affabile e simpatico» ma allo stesso tempo era un uomo «senza compromessi» che «ha insegnato la verità piena della legge di Dio», e che invitava a «mantenere la purezza del cuore e la fedeltà alla fede cattolica». Ripescando nei suoi ricordi, Schneider ha ricordato anche Padre Janis Pawlowski che, celebrando «la Messa con tanta devozione e riverenza» ha lasciato un’impronta indelebile nella sua anima, tanto che, «quando, a dodici anni, ho sentito la chiamata del sacerdozio – ricorda Schneider – mi è venuto improvvisamente in mente il volto santo del sacerdote».

    Autore di Dominus est (pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2009), testo che spiega benissimo i motivi della contrarietà alla pratica della Santa Comunione data sulla mano, Schneider ha detto che «è innegabile che una parte considerevole di quelli che ricevono la Santa Comunione sulla mano, soprattutto i più giovani, non hanno conosciuto la ricezione del ginocchio dell’Eucaristia e sulla lingua e non hanno la fede cattolica piena nella Presenza reale». Parlando delle cinque piaghe del Corpo mistico liturgico di Cristo (il sacerdote celebrante che guarda verso i fedeli e non più verso Cristo, la Santa Comunione data sulla mano, le nuove orazioni dell’offertorio, la scomparsa del latino nelle celebrazioni liturgiche, il lettorato e l’accolitato dato alle donne), Schneider ricorda che «nessuna di queste ferite liturgiche trova supporto, anche lontanamente, nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia Sacrosanctum Concilium» ma «sono state introdotte in conformità con un piano specifico elaborato da un piccolo gruppo di liturgisti che, fatalmente, occupavano posizioni chiave nella Curia romana durante l’immediato periodo post-conciliare».

    Schneider  denuncia che tutto ciò è stato fatto «con astuzia e inganno», facendole passare come «se fossero la volontà del Papa» mentre le manipolazioni sono state documentate, ad esempio, nei libri del cardinale Antonelli e nei ricordi di Louis Bouyer, entrambi membri della Commissione post-conciliare sulla Liturgia, e quindi testimoni oculari. «Per qualche misteriosa ragione – sottolinea Schneider – Dio ha permesso che le buone intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II cadessero nelle mani di uomini senza Dio e ideologi-rivoluzionari liturgici. Hanno messo la sacra liturgia di Santa Romana Chiesa in stato di prigionia, in una sorta di esilio ad Avignone». Secondo il vescovo kazako, per guarire da queste piaghe sono necessarie delle contromisure, per esempio studiare «attentamente il testo della Sacrosanctum Concilium e, in particolare, i verbali delle discussioni del Consiglio su questo tema, al fine di conoscere la vera intenzione dei Padri conciliari (mens Patrum)», «scoraggiare e limitare la ricezione della Comunione sulla mano», «istruire catechesi e omelie sull’ineffabile mistero divino della Santa Eucaristia, la liturgia cattolica perenne e immutabile della sacra teologia, e il significato spirituale dei dettagli dei riti», «organizzare conferenze scientifiche e liturgiche per seminaristi, sacerdoti e laici per insegnare i principi liturgici perenni e la natura organica della liturgia, interrompendo i moderni “miti liturgici”», applicare e non ostacolare «gli insegnamenti del motu proprio Summorum Pontificum del Papa Benedetto XVI».

    Schneider insegna che «l’essenza del protestantesimo è di respingere la piena verità dell’Incarnazione, con tutte le sue conseguenze: la visibilità della Chiesa, la vita sacramentale, la realtà e la grandezza della Presenza eucaristica, le caratteristiche “incarnative” della liturgia. L’attuale crisi della Chiesa si manifesta principalmente in questi due atteggiamenti: una spiritualità gnostica e un naturalismo orizzontale, la cui radice è l’antropocentrismo, che a sua volta è una caratteristica tipica del protestantesimo”.

    In conclusione di intervista Schneider sottolinea che «se la Chiesa non riesce a influenzare, o non lo fa a sufficienza, il mondo e le sue realtà attraverso doni soprannaturali (la grazia, la luce della verità divina) e, invece, si occupa principalmente di questioni naturali e realtà temporali (ad esempio la giustizia sociale, l’ecologia), priva il mondo della dimensione eterna del cielo. L’attività principale della maggior parte della struttura ufficiale della Chiesa cattolica (associazioni, commissioni, etc.) è immersa nel temporale e orizzontale, isolandoci dal sovrannaturale, dal cielo. È questo il problema centrale della crisi della Chiesa. Un tale atteggiamento conduce al relativismo dogmatico, morale e liturgico, e, infine, a una grave mancanza di fede, al confine con l’apostasia e il paganesimo».

    Matteo Orlando






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    Athanasius Schneider: “Travisati i documenti del Concilio Vaticano II”

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    Monsignor Athanasius Schneider

    Monsignor Athanasius Schneider

    Mons. Athanasius Schneider, segretario Generale della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, è il vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan) e vescovo titolare di Celerina. Nato Anton Schneider (il 7 aprile 1961), a Tokmok, nell’allora Unione Sovietica, ha assunto il nome religioso Atanasio dopo essere entrato nell’ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce di Coimbra. Studioso e docente di patristica, Mons. Schneider, da qualche anno, fa sentire la sua voce profetica per cercare di svegliare l’Occidente dal torpore spirituale che sta vivendo, a seguito, specialmente, di false interpretazioni dei perenni insegnamenti della Chiesa e della teologia cattolica. Ha concesso una intervista esclusiva per l’Italia a www.lafedequotidiana.it

    Monsignor Schneider, nel suo libro “Dominus Est – Riflessioni di un Vescovo dell’Asia Centrale sulla sacra Comunione”, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, lei ha incoraggiato la Chiesa a sostenere la pratica della Santa Comunione sulla lingua e in ginocchio. Ci spiega brevemente le motivazioni teologiche e storiche di tale modalità?

    “Le motivazioni teologiche si appoggiano sulla verità della fede della presenza vera, reale e sostanziale del Corpo e del Sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino, e questa presenza contiene anche la divinità di Cristo a causa dell’unione ipostatica, cioè contiene “totum et integrum Christum“, come ha detto il Concilio di Trento. C’è anche la verità che Cristo è presente in ogni parte o frammento del pane. Poi c’è la verità della transubstanziazione. Tutte queste verità sono state dogmaticamente definite dal Magistero della Chiesa. Se prediamo sul serio la verità nella quale crediamo, dobbiamo mostrare la nostra fede con il nostro comportamento esteriore. La fede deve riflettersi nelle opere concrete, la teoria e la prassi, la fede e il culto, la lex credendi e la lex orandi devono concordare vicendevolmente. Altrimenti la nostra fede diviene zoppicante e col tempo prenderà la forma di una fede gnostica. Alla fine la fede concreta nella presenza reale, la fede nella presenza della divinità, la fede nella presenza di Cristo nei minimi frammenti, la fede nella transustanziazione svanisce. C’è una legge inesorabile della psicologia umana: i gesti ripetuti e divenuti poi abituali, determinano con il tempo il modo di pensare. Quindi, se io tratto ciò che è il più sacro, il più sublime, ciò che è il mistero per eccellenza, ciò che è Dio onnipotente stesso (totus et integer Christus) quasi con lo stesso gesto come io prendo l’alimento ordinario e con un modo sprovvisto di un inequivocabile gesto d´adorazione, io non solamente contraddico la profondità della mia fede, ma commetto oggettivamente un atto d’informalità, indegno della maestà infinita di Cristo (anche se questa maestà è umilmente nascosta nella specie del pane). Questo pericolo reale rappresenta una vera motivazione pastorale. Qui entrano ancora altri due aspetti d’importanza eminentemente pastorale: – il fatto sempre più diffuso della perdita dei frammenti eucaristici, i quali cadono sulla terra e in seguito sono calpestati; – il furto dilagante delle ostie sacre. Tutto ciò si verifica a causa del gesto così insicuro, banale e mai esistito nella Chiesa, cioè l’uso odierno di distribuire la santa Comunione sulla mano (l’uso dei primi secoli era notevolmente diverso)”.

    In teologia sembra avanzare l’antropocentrismo a discapito del cristocentrismo. Cosa comporterà questo nel prossimo futuro della Chiesa?

    “L’antropocentrismo, in ultima analisi, comporta:
    – lo svanimento e la perdita della fede soprannaturale;
    – l’eliminazione della grazia Divina e dei mezzi della grazia;
    – l’eliminazione del senso soprannaturale dei sacramenti, dando loro un significato puramente sociologico;
    – l’eliminazione della preghiera personale e delle concrete opere di penitenza e ascesi;
    – l’eliminazione, col tempo, dell’adorazione di Dio, cioè della Santissima Trinità e favorisce l’adorazione dell’uomo e della terra (del clima, dell’oceano etc.);
    – la dichiarazione pratica e anche teorica che questa terra è il giardino del paradiso, cioè il paradiso sulla terra (teoria dei Comunisti);
    – l’apostasia.
    L’antropocentrismo comporterà una spaventosa codardia davanti al mondo e la collaborazione dei fedeli e dei chierici con le ideologie anticristiane. Si verificheranno oggi queste parole del Nostro Divino Maestro e dell’apostolo san Paolo: “Quando si dirà: Pace e sicurezza, allora d’improvviso li colpirà la rovina” (1 Tess. 5,3), “Senza de Me non potete far nulla” (Gv 15,5) e “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)”.

    Recentemente, in una bellissima quanto documentata conferenza, Lei ha parlato del Concilio Vaticano II e dei suoi documenti. Può spiegarci quello che non è stato ancora attuato alla luce dei documenti conciliari e quali sono le false e pericolose interpretazioni che alcuni teologi progressisti danno dell’ultimo concilio.

    “Il contributo più originale e specifico del Concilio Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità nel capitolo 5 di “Lumen gentium” e nella chiamata universale missionaria all’evangelizzazione (il Decreto “Ad gentes“), la quale si manifesta nella collaborazione dei fedeli laici con i pastori della Chiesa nel testimoniare e nel difendere la purezza e l’integrità della fede cattolica nell’odierno mondo fino al martirio, se necessario (il Decreto “Apostolicam actuositatem“). La seguente affermazione conciliare rimane una delle più belle, necessarie e attuali: “I cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s’adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all’effusione del sangue” (Dichiarazione “Dignitatis humanae“, n. 14). Questi contributi più essenziali dell’ultimo Concilio sono stati purtroppo offuscati e soffocati in larga misura dalla gran parte di chi ha occupato le cattedre teologiche, cioè dai nuovi scribi, e purtroppo anche da parte di non pochi rappresentanti del clero e persino dell’alto clero. Sono state diffuse interpretazioni completamente arbitrarie e interpretazioni erronee di alcune espressioni non sufficientemente chiare o ambigue in alcuni testi conciliari. Si sono creati dei miti conciliari. Questa situazione si spiega, da un lato, dal carattere pastorale e non-definitivo di una considerevole parte dei testi conciliari e, dall’altra parte, di una mancata refutazione dettagliata e sistematica di queste interpretazioni erronee da parte del Magistero. Ci vuole un sillabo degli errori di interpretazioni conciliari”.

    L’idea di cambiamenti sulla morale matrimoniale crede che sia un reale pericolo che possa verificarsi in occasione del prossimo sinodo dei vescovi a Roma o è solo un pericolo auspicato dai media anti-cristiani?

    “Alcuni fatti hanno dimostrato che c’è un pericolo del cambiamento della comprensione e dell’applicazione pratica delle verità Divine sul matrimonio e sulla sessualità umana nell’ambito ecclesiale stesso. Esempi sono stati lo svolgimento del sinodo nel mese di ottobre 2014 con momenti di manipolazione all’interno dello stesso sinodo, la Relatio post disceptationem, il nuovo questionario mandato alle diocesi, le affermazioni pubbliche del Segretario del Sinodo, di alcuni cardinali, di rappresentanti di alcune conferenze episcopali. Questi ecclesiastici usano, sorprendentemente, lo stesso linguaggio e lo stesso modo di argomentare dei mass-media anti-cristiani. Essi hanno, riguardo a questa tematica, la forma mentis del mondo e non del Vangelo. Rimane l’impressione che nelle stesse file del clero ci siano dei collaboratori con la dittatura mediatica e politica della nuova ideologia anti-cristiana “.

    Sembra che la società si sia sempre più omosessualizzando e, recentemente, anche in Irlanda, sono stati riconosciuti i matrimoni gay. Quali saranno i pericoli per la Chiesa in questo campo?

    “Una delle caratteristiche essenziali della Chiesa è la testimonianza e – se necessario – il martirio della verità. Gesù ha solennemente confessato davanti ai potenti del Suo tempo: “Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). E questo rimane sempre la missione della Chiesa e di ogni cristiano. Avere paura, davanti alla prepotenza ideologica del mondo, sarebbe una contraddizione alla missione essenziale della Chiesa e dei cristiani. Le parole di Gesù con le quali Egli incoraggiava all’inizio della predicazione del Vangelo l’apostolo Paolo, sono dirette anche a noi oggi, in primo luogo ad ogni vescovo e poi anche ad ogni fedele: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché Io sono con te” (At 18,9). Ed anche queste parole di San Pietro, nella sua Prima Lettera, cioè nella prima enciclica papale, sono attuali più che mai: “E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male” (1 Pt3,13-17)”.

    Eccellenza, in che senso è possibile dialogare cristianamente con gli esponenti delle altre religioni e dell’Islam in particolare?

    “Il comandamento dell’amore al prossimo vale per tutti e non c’è un’eccezione. Dobbiamo amare persino i nostri nemici e tutti coloro che ci sono ostili. Dobbiamo amare tutti coloro che si trovano nell’errore della fede e della morale. Anzi, dobbiamo avere in modo speciale misericordia verso queste persone, perché da Dio siano liberati dall’errore e dal peccato, giacché l’errore e il peccato sono la più grande miseria e infelicità dell’uomo. Quindi dobbiamo e possiamo dialogare con tutti, e specialmente con i musulmani, seguendo il metodo di san Paolo e di tutti i Santi: “Operando la verità nella carità (veritatem facientes in caritate)” (Ef 4,15)”.

    Matteo Orlando









    «Scisma o non scisma»? Mons. Schneider: non è questo il problema

     
    Il vescovo Athanasius Schneider è stato indotto a fornire "chiarimenti" in seguito ai commenti pubblicati daAdelante la Fe, versione spagnola diRorate Caeli, dei quali - in attesa della traduzione integrale - abbiamo riportato un interessante stralcio qui.
    Evidentemente, c'è chi è ancora inesorabilmente fermo e focalizzato senza appello sul termine "scisma", che appare ben lontano dalla realtà ed anche dalla visione del vescovo Schneider sulla FSSPX. Il che viene confermato nei chiarimenti che seguono, che mons. Schneider ha espresso via mail, chiedendone la diffusione.
    Richiamo la vostra attenzione sul punto 9 che mostra consapevolezza della gravità della crisi attuale e dell'inanità, per non dir peggio, delle lotte fratricide tra componenti ecclesiali....
    Questo discorso dovrebbe valere per tutti coloro - e sono di solito tra i più accaniti "normalisti" - che si ostinano a spargere veleni contro l'opera di mons. Lefebvre, così drammaticamente provato nella sua responsabilità di vescovo fedele alla Verità. Traduco di seguito i 'punti chiave' dei chiarimenti riportati da Rorate Caeli :
    Chiarimenti a Michel Voris sulla questione della Fraternità San Pio X:
    1. Non ho detto che non ci sono ragioni che impedirebbero un riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X, ma ho detto più cautamente: "A mia conoscenza non ci sono ragioni pesanti".
    2. Non ho detto che l'attuale situazione canonica della Fraternità San Pio X è OK. Al contrario, a causa del loro status è necessario che essi ricevano il riconoscimento canonico da parte della Santa Sede.
    3. Ho detto che la Fraternità San Pio X dovrebbe essere accolta, nel frattempo, così com'è. Il mio pensiero è questo: per ragioni pedagogiche e pastorali dovrebbe essere nel frattempo accettata così com'è, al fine di correggere per tempo le cose che devono esservi corrette.
    4. Non ho mai detto che sostengo le posizioni della Fraternità San Pio X sul Vaticano II. Ho solo detto che c'è da entrambe le parti, vale a dire Santa Sede e FSSPX, una sopra-valutazione e sovrastima del Concilio Vaticano II, ma su punti di vista opposti. La questione è la giusta misura, cioè dobbiamo avere una stima ed una buona valutazione del Vaticano II, ma non in modo esagerato. Non dobbiamo fare del Vaticano II un Concilio isolato da tutti i Concili precedenti o una specie di super-Concilio.
    5. La tragedia della storia è che in tempi confusi come il nostro, le forze buone della Chiesa, che vogliono restaurare la vera fede e il culto divino spesso combattono una contro l'altra, a scapito del vero rinnovamento e per la gioia dei nemici fuori e dentro la Chiesa.
    6. Naturalmente, la FSSPX deve formulare le proprie critiche con maggiore rispetto verso l'autorità suprema della Chiesa e deve evitare espressioni e giudizi errati ed esagerati. Si deve agire con il principio del «veritatem facientes in caritate» (difendere la verità con amore). Questo ho spesso detto ai rappresentanti della Fraternità San Pio X.
    7. Bisogna avere abbastanza onestà intellettuale e obiettività per ammettere che la Fraternità San Pio X formula alcune critiche teologiche, che devono esser prese sul serio, su alcune affermazioni non strettamente dogmatiche dei testi del Vaticano II e di alcuni documenti postconciliari. Purtroppo la critica a volte manca della dovuta forma rispettosa. Tuttavia, alcune obiezioni teologiche della Fraternità San Pio X possono essere un contributo costruttivo per un maggiore approfondimento teologico di alcuni temi, come ad esempio la collegialità, la libertà religiosa, la riforma liturgica.
    8. Ogni vero cattolico dovrebbe soltanto esser contento e grato a Dio, quando la Fraternità San Pio X con tutti i loro sacerdoti e famiglie cattoliche, che per la maggior parte sono i fedeli cattolici, fosse riconosciuta dalla Santa Sede, in modo che ci sia una nuova forza rilevante per un rinnovamento della Chiesa secondo il pensiero dei Santi, dei nostri padri e secondo la vera intenzione di Papa Giovanni XXIII, intenzione dimostrata nei suoi discorsi e soprattutto nelle bozze di documentazione (schemata) che questo Papa ha ordinato di preparare e che ha personalmente approvato.
    9. La situazione attuale della Chiesa è simile a quella della crisi ariana nel 4° secolo: assistiamo ad una battaglia navale nella notte, dove i nemici della Chiesa attaccano con veemenza la grande nave della Chiesa, mentre nello stesso tempo piccole navi di diversi gruppi cattolici sferrano veri attacchi l'un l'altro, invece di fare una difesa comune contro i nemici.
    Vi do il permesso di usare queste mie precisazioni e diffonderle. Dio vi benedica, 
    + Athanasius Schneider






    [Modificato da Caterina63 20/08/2015 09:21]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 04/11/2015 18:01

    Il non possumus di Mons. Athanasius Schneider.
    La voce di un intrepido Pastore

    schneiderPubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo di un importante intervento, pubblicato da Sua Eccellenza mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliario di Astana, sul sito Rorate Caeli.

    Nella Relazione Finale del Sinodo porta aperta ad una prassi neo-mosaica

    La XIV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (4-25 ottobre 2015), dedicata al tema “La vocazione e la missione della Famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, ha pubblicato una Relazione Finale con alcune proposte pastorali ora sottoposte al discernimento del Papa. Lo stesso documento è solo di natura consultiva e non possiede alcun formale valore magisteriale.

    Eppure, durante il Sinodo, sono apparsi autentici neo-discepoli di Mosé e neo-farisei, che ai numeri 84-86 della Relazione Finale hanno aperto una porta secondaria o collocato bombe ad orologeria a scoppio ritardato circa l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione. Contemporaneamente, chi tra i Vescovi ha intrepidamente difeso «la fedeltà propria della Chiesa a Cristo ed alla Sua Verità» (Papa Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 84), è stato ingiustamente etichettato da alcuni media come fariseo.

    I nuovi discepoli di Mosé ed i nuovi farisei durante le ultime due Assemblee del Sinodo (2014 e 2015) hanno nascosto il fatto d’aver negato nella prassi l’indissolubilità del matrimonio e di aver come sospeso il sesto Comandamento sulla base del “caso per caso”, sotto un apparente concetto di misericordia, usando espressioni come “via del discernimento”, “accompagnamento”, “orientamenti del Vescovo”, “dialogo col sacerdote”, “foro interno”, “un’integrazione più piena nella vita della Chiesa”, per indicare una possibile eliminazione dell’imputabilità per i casi di convivenza all’interno di unioni irregolari (cfr. Relazione Finale, nn. 84-86).

    Questi brani della Relazione Finale contengono infatti tracce di una nuova prassi di divorzio di stampo neo-mosaico, benché i redattori abbiano abilmente e scaltramente evitato qualsiasi mutamento esplicito della Dottrina della Chiesa. Pertanto, tutti gli attori in gioco, tanto i promotori della cosiddetta agenda Kasperquanto i loro avversari, possono apparentemente  dirsi soddisfatti: “E’ tutto OK. Il Sinodo non ha cambiato la Dottrina”. Quest’opinione però è del tutto ingenua, poiché ignora la porta secondaria e le incombenti bombe ad orologeria presenti nei brani sopra citati che si rendono evidenti se si esamina attentamente il testo  alla luce di criteri interpretativi interni.

    Anche quando, parlando di una “via del discernimento”, si fa riferimento al “pentimento” (Relazione Finale, n. 85), il testo rimane comunque carico di ambiguità. Infatti, secondo le reiterate affermazioni del Card. Kasper e degli uomini di Chiesa che la pensano allo stesso modo, tale pentimento riguarderebbe i peccati commessi in passato contro il coniuge del primo matrimonio, quello valido, mentre non si riferirebbe in alcun modo al fatto della convivenza coniugale col nuovo partner, sposato civilmente.

    Resta ambigua l’assicurazione contenuta nel testo ai numeri 85 ed 86 dellaRelazione Finale secondo cui tale discernimento debba essere fatto in accordo con l’insegnamento della Chiesa ed essere formulato secondo un retto giudizio. Infatti, il Card. Kasper ed i prelati che ne condividono la posizione, hanno ripetutamente e vigorosamente garantito che l’ammissione alla Santa Comunione dei divorziati e risposati civilmente non intaccherebbe  il dogma dell’indissolubilità e della sacramentalità del matrimonio, ma hanno anche sostenuto che un giudizio secondo coscienza in tali casi sarebbe da considerarsi corretto quand’anche i divorziati risposati continuassero a convivere in modo coniugale, senza che sia richiesta loro una vita di completa continenza, come fratelli e sorelle.

    Citando il famoso punto n. 84 dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di papa Giovanni Paolo II all’interno del n. 85 della Relazione Finale, i redattori ne hanno censurato il testo, tagliando la seguente formulazione, decisiva: «L’Eucarestia può essere concessa solo a quanti facciano proprio l’impegno di vivere in piena continenza, cioè astenendosi dagli atti propri dei coniugi».

    Tale prassi della Chiesa è fondata sulla Divina Rivelazione della Parola di Dio, scritta e trasmessa attraverso la Tradizione. E’ espressione di un’ininterrotta Tradizione, che dagli Apostoli è rimasta immutata ed immutabile in tutti i tempi. Già Sant’Agostino affermava: «Chi respinge la moglie adultera e sposa un’altra donna, vivente la prima moglie,  si trova in perpetuo stato di adulterio. Costui non compie alcuna penitenza davvero efficace, qualora si rifiutasse di abbandonare la nuova moglie. Se è catecumeno, non può essere ammesso al Battesimo, poiché la sua volontà resta radicata nel male. Se è penitente (battezzato), non può ricevere la riconciliazione (ecclesiastica), finché non interrompa la propria condotta negativa» (De adulterinis coniugiis, 2, 16). Di fatto, la parte dell’insegnamento della Familiaris Consortio, intenzionalmente censurata al n. 85 della Relazione Finale rappresenta, per qualsiasi sana ermeneutica,  la vera chiave interpretativa per la comprensione del brano sui divorziati risposati (nn. 84-86).

    Ai nostri giorni viene esercitata una pressioni ideologica permanente ed onnipresente da parte dei mass-media, allineati al pensiero unico imposto da poteri mondiali anti-cristiani, con l’obiettivo di abolire la verità sull’indissolubilità del matrimonio – banalizzando il carattere sacro di questa divina istituzione mediante la diffusione di un’anti-cultura del divorzio e del concubinato. Già 50 anni fa, il Concilio Vaticano II affermò che i tempi moderni sono infettati dalla piaga del divorzio (cfr. Gaudium et Spes, 47). Lo stesso Concilio avvertì come il matrimonio cristiano in quanto Sacramento di Cristo non debba «mai venire profanato dall’adulterio o dal divorzio» (Gaudium et Spes, 49).

    La profanazione del «grande Sacramento» (Ef 5, 32) del matrimonio tramite adulterio e divorzio ha assunto proporzioni enormi ed un ritmo di crescita allarmante non soltanto nella società civile, ma anche tra i cattolici. Quando i cattolici, attraverso il divorzio e l’adulterio, ripudiano, nella teoria o nella prassi la volontà di Dio espressa nel sesto Comandamento, si pongono in uno stato di grave pericolo spirituale : quello di perdere la salvezza eterna.

    L’atto più misericordioso da compiersi come Pastori della Chiesa è quello di richiamare l’attenzione su questo rischio con un chiaro – ed allo stesso tempo amorevole – monito sulla necessità di accettare pienamente il sesto Comandamento di Dio. Essi devono chiamare le cose col loro giusto nome, ammonendo : “il divorzio è divorzio”, “l’adulterio è adulterio” e “chi commette consapevolmente e liberamente peccati gravi contro i Comandamenti di Dio – ed in questo caso contro il sesto Comandamento – e muore impenitente riceverà la condanna eterna e verrà escluso per sempre dal Regno di Dio”.

    In questo monito ed in quest’esortazione consiste la vera azione dello Spirito Santo, come Cristo ha insegnato: «Convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio» (Gv 16, 8). Spiegando l’azione dello Spirito Santo nel «convincere circa il peccato», papa Giovanni Paolo II ha affermato: «Ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo – e, dunque, indirettamente anche al peccato di coloro che “non hanno creduto in Lui”, condannando Gesù Cristo alla morte di Croce» (Enciclica Dominum et Vivificantem, 29). Coloro che conducono una vita coniugale con un partner, che non sia il legittimo sposo, come nel caso delle persone divorziate e civilmente risposate, rigettano la volontà di Dio. Convincere costoro del proprio peccato è opera mossa dallo Spirito Santo e comandata da Gesù Cristo, il che lo rende un’opera eminentemente pastorale e misericordiosa.

    La Relazione Finale del Sinodo, sfortunatamente, omette di convincere i divorziati risposati in merito al loro peccato. Al contrario, col pretesto della misericordia e di un falso senso della pastoralità, i Padri Sinodali, che hanno sostenuto le teorie formulate nei numeri 84-86 della Relazione, hanno tentato di occultare la condizione di pericolo spirituale in cui si trovano i divorziati risposati.

    Difatti, gli si dice che il loro peccato di adulterio non è un peccato e non può essere definito adulterio. O quanto meno non è un peccato grave e la loro condizione di vita non comporta alcun pericolo spirituale. Un atteggiamento di questo tipo da parte dei Pastori è direttamente in contrasto con l’azione dello Spirito Santo ed è pertanto anti-pastorale, opera di falsi profeti cui si possono applicare le seguenti parole della Sacra Scrittura: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5, 20) e «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità per cambiare la tua sorte; ma ti han vaticinato lusinghe, vanità e illusioni» (Lam 2, 14). A questi Vescovi l’Apostolo Paolo senza alcun dubbio rivolgerebbe oggi queste parole: «Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo» (II Cor 11, 13).

    Il testo della Relazione Finale del Sinodo non solo omette di convincere senza ambiguità coloro che sono divorziati e risposati civilmente circa la realtà adultera e quindi il carattere gravemente peccaminoso della loro condizione di vita. Esso la giustifica indirettamente collocando la questione, in definitiva,  nell’area della coscienza individuale ed applicando, in modo improprio, il principio morale dell’imputabilità al caso della convivenza tra divorziati risposati. Tuttavia, l’applicazione di tale principio ad uno stato stabile, permanente e pubblico di adulterio è inappropriata ed ingannevole.

    La diminuzione della responsabilità soggettiva si dà solo nel caso in cui i partner abbiano la ferma intenzione di vivere in completa continenza e di compiere per questo sforzi sinceri. Finché persistono intenzionalmente in un’esistenza peccaminosa, non può esservi alcuna sospensione d’imputabilità. La Relazione Finale dà invece l’impressione di voler suggerire che una condizione pubblica di adulterio – come nel caso di quanti si siano risposati civilmente – non violi alcun vincolo di matrimonio sacramentale indissolubile oppure che non rappresenti in ogni caso un peccato mortale o grave ed, in ultimo, che si tratti di una questione di coscienza privata. In questo modo la si può definire una situazione più vicina al principio protestante del giudizio soggettivo in materia di fede e di disciplina ed una prossimità intellettuale all’erronea teoria dell’“opzione fondamentale” già condannata dal Magistero (cfr. papa Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 65-70).

    I Pastori della Chiesa non dovrebbero in alcun modo promuovere una cultura del divorzio tra i fedeli. Anche il più piccolo cenno di cedimento alla prassi o alla teoria del divorzio dovrebbe essere evitato. La Chiesa nel suo insieme dovrebbe dare una testimonianza convincente e forte circa l’indissolubilità del matrimonio. Papa Giovanni Paolo II ha definito il divorzio «una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile» (Familiaris Consortio, 84).

    La Chiesa deve aiutare i divorziati risposati con amore e pazienza a riconoscere il loro peccato ed a convertirli con tutto il cuore a Dio, obbedendo alla Sua Santa volontà, come dice il sesto Comandamento. Finché proseguono nel dare una pubblica contro-testimonianza sull’indissolubilità del matrimonio e finché contribuiscono a diffondere una cultura divorzista, essi non possono esercitare nella Chiesa quei ministeri liturgici, catechetici ed istituzionali, che richiedono per loro stessa natura una vita pubblica conforme ai Comandamenti di Dio.

    E’ ovvio che i pubblici trasgressori, ad esempio, del quinto e del  settimo Comandamento, come i titolari di una clinica abortista o i membri di una rete di corruzione, non solo non possono ricevere la Santa Comunione, ma non possono evidentemente neanche essere ammessi ai pubblici servizi liturgici e catechetici. In modo analogo, anche i trasgressori pubblici del sesto Comandamento, quali i divorziati risposati, non possono essere ammessi agli uffici di lettore, padrino o catechista. Naturalmente, occorre distinguere in termini di gravità il male provocato da chi promuova pubblicamente l’aborto e la corruzione da quello dell’adulterio proprio delle persone divorziate. Non si possono porre sullo stesso piano. Sostenendo però l’ammissione dei divorziati risposati al ruolo di padrini e catechisti, in ultima analisi, non si fa il vero bene spirituali dei bambini, ma sembra invece essere la strumentalizzazione di un preciso programma ideologico. E’ un atteggiamento disonesto ed una presa in giro dell’istituzione di padrini o catechisti i quali, tramite una promessa pubblica, si sono assunti il compito di educare alla fede.

    Se i divorziati risposati facessero i padrini o i catechisti, la loro vita contraddirebbe in continuazione le loro parole, per cui dovrebbero rispondere all’ammonizione dello Spirito Santo per bocca dell’Apostolo San Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1, 22). Purtroppo, il n. 84 della Relazione Finale invoca l’ammissione dei divorziati risposati agli uffici liturgici, pastorali ed educativi. Tale proposta rappresenta un supporto indiretto alla cultura divorzista, nonché la negazione pratica di uno stile di vita oggettivamente peccaminoso. Papa Giovanni Paolo II, al contrario, ha indicato loro solo le seguenti possibilità di partecipazione alla vita della Chiesa, con l’obiettivo di agevolare un’autentica conversione: «Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità ed alle iniziative della comunità in favore della giustizia, ad educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio» (Familiaris Consortio, n. 84).

    Deve restare una salutare area di esclusione (non ammissione ai Sacramenti ed agli uffici pubblici liturgici e catechetici), per ricordare alle persone divorziate la loro reale condizione spirituale, grave e pericolosa, ed allo stesso tempo per promuovere nelle loro anime un atteggiamento di umiltà, di obbedienza e di anelito ad un’autentica conversione. Umiltà significa coraggio verso la verità e solo coloro che umilmente si sottomettono a Dio possono ricevere le Sue grazie.

    I fedeli, non ancora disposti a porre termine alla propria condizione di adulteri e privi della volontà necessaria per farlo, devono essere aiutati spiritualmente. Il loro stato è simile ad una sorta di “catecumenato” riguardo al Sacramento della Penitenza. Possono ricevere il Sacramento della Confessione, chiamato nella Tradizione della Chiesa “secondo Battesimo” o “seconda penitenza”, solo quanti siano decisi a por fine alla convivenza adultera e ad evitare il pubblico scandalo in una modalità analoga a quanto fanno i catecumeni, i candidati al Battesimo. La Relazione Finaleomette di richiamare i divorziati risposati all’umile riconoscimento del proprio stato di peccato oggettivo ed evita d’incoraggiarli ad accettare con spirito di fede la loro non ammissione ai Sacramenti ed agli uffici pubblici, liturgico e catechetico. Senza tale riconoscimento realistico ed umile della propria condizione spirituale, non v’è progresso effettivo verso un’autentica conversione cristiana, che nel caso dei divorziati risposati consiste in una vita di piena continenza, cessando di peccare contro la santità del Sacramento del matrimonio e di disobbedire pubblicamente al sesto Comandamento di Dio.

    I Pastori della Chiesa e soprattutto i testi pubblici del Magistero devono parlare in modo estremamente chiaro, poiché questo è ciò che caratterizza essenzialmente il compito proprio di coloro che ufficialmente esercitano l’insegnamento. Cristo richiede a tutti i Suoi discepoli di agire così: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). Ciò vale tanto più quando i Pastori della Chiesa predichino o quando il Magistero si esprima in un documento.

    Nei brani 84-86, la Relazione Finale rappresenta, purtroppo, un grave distacco da questo comando divino. Infatti, nei passaggi citati, non si chiede direttamente di legittimare l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione, ed evita addirittura di parlare di “Santa Comunione” o di “Sacramenti”. Il testo, attraverso strumenti tattici diretti a confondere, ricorre ad espressioni ambigue come «una partecipazione più piena alla vita della Chiesa» e «discernimento e integrazione».

    Con tali metodi la Relazione Finale di fatto piazza bombe ad orologeria ed apre una porta secondaria, con cui ammettere i divorziati risposati alla Santa Comunione, profanando i due grandi Sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia, nonché contribuendo, almeno indirettamente, ad una cultura divorzista – a diffondere cioè la «piaga del divorzio» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 47).

    Una lettura attenta dell’equivoca sezione intitolata “Discernimento e integrazione” nella Relazione Finale, suscita l’impressione di un’ambiguità elaborata con finezza ed abilità. Vengono alla mente le seguenti parole di S. Ireneo in Adversus Haereses: «Così chi conserva salda in sé stesso la regola della Verità, che ha ricevuto per mezzo del Battesimo, riconoscerà bensì le parole, le frasi e le parabole delle Scritture, ma non riconoscerà il blasfemo insegnamento che gli uomini ne fanno. Perché, se anche riconoscerà le pietre preziose, non accetterà la volpe fatta con esse al posto dell’immagine del re. Poiché però a questa rappresentazione manca l’atto finale, che cioè qualcuno riveli la loro farsa dandole il colpo di grazia, crediamo necessario mostrare in primo luogo quelle cose sulle quali i padri di questa favola siano in disaccordo tra loro, tributari come sono di diversi spiriti erronei. In tal modo si potrà scoprire perfettamente, anche prima della dimostrazione, la saldezza della verità predicata dalla Chiesa e la falsità delle favole inventate da loro» (I, 9, 4-5).

    La Relazione Finale sembra lasciare alle autorità della Chiesa locale la risoluzione della questione relativa all’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione: «l’accompagnamento dei sacerdoti» e «gli orientamenti del Vescovo». La materia è in ogni caso connessa essenzialmente al deposito della fede, cioè alla Parola di Dio rivelata. La non ammissione dei divorziati, che vivano in stato di pubblico adulterio, discende dalla verità immutabile della Legge propria della fede cattolica e, di conseguenza, anche dalla Legge della prassi liturgica cattolica.

    La Relazione Finale sembra inaugurare una cacofonia dottrinale e disciplinare nella Chiesa Cattolica, che contraddice l’essenza propria del Cattolicesimo. Si devono ricordare le parole di Sant’Ireneo circa la forma autentica della Chiesa in ogni tempo ed in ogni luogo: «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto questa predicazione e questa fede, le conserva con cura, come se abitasse un’unica casa. Crede anche in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca. Infatti, anche se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono in Gallia, né quelle dell’Oriente, dell’Egitto, della Libia, né quelle che si trovano al centro del mondo (Italia). Ma come il sole, creazione di Dio, è uno e lo stesso in tutto il mondo, così anche la predicazione della Verità risplende ovunque e illumina tutti gli uomini disposti a conoscere la Verità medesima. Né alcuno dei capi delle Chiese, per quanto dotato di grande talento nell’eloquenza, insegna dottrine diverse da questa (poiché nessuno è più grande del Maestro); né, d’altra parte, chi manchi in capacità espressiva può infliggere ferite alla tradizione. Per la fede che è sempre stata una e la stessa, nessuno è tanto abile da discorrerne a lungo, aggiungendovi o togliendovi alcunché» (Adversus haereses, I, 10, 2).

    La Relazione Finale nella sezione relativa ai divorziati risposati evita sistematicamente di ammettere il principio immutabile dell’intera tradizione cattolica ovvero che quanti vivano un’unione coniugale invalida possono essere ammessi alla Santa Comunione solo a condizione di promettere di vivere in piena continenza e di evitare il pubblico scandalo. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno confermato con forza tale principio cattolico. Evitare intenzionalmente di menzionarlo e di riaffermarlo nel testo della Relazione Finale può essere paragonato alla programmatica elusione dell’espressione “homoousios” da parte degli avversari del dogma del Concilio di Nicea nel IV secolo – gli Ariani formali ed i cosiddetti semi-Ariani –, che hanno inventato, una dopo l’altra, altre espressioni per non riconoscere direttamente la consustanzialità del Figlio di Dio a Dio Padre.

    Tale allontanamento da un’aperta professione cattolica da parte di una maggioranza dell’episcopato nel IV secolo provocò una febbrile attività ecclesiastica con continui incontri sinodali ed una proliferazione di nuove formule dottrinali aventi quale comune denominatore quello di evitare la chiarezza terminologica dell’espressione “homoousios”. Allo stesso modo, ai nostri giorni i due Sinodi sulla Famiglia hanno evitato di nominare e di ammettere con chiarezza il principio proprio dell’intera tradizione cattolica per il quale, chi vive un’unione coniugale invalida può essere ammesso alla Santa Comunione solo a condizione che prometta di vivere una completa continenza e di evitare il pubblico scandalo.

    Ciò è provato anche dall’inequivocabile ed immediata reazione avuta dai media secolarizzati, nonché dai principali fautori della nuova pratica non-cattolica di ammettere i divorziati risposati alla Santa Comunione, pur permanendo la loro condizione di pubblico adulterio. Il Card. Kasper, il Card. Nichols e l’Arcivescovo Forte, ad esempio, hanno apertamente dichiarato che, secondo la Relazione Finale, si può supporre che una porta in qualche modo sia stata aperta alla Comunione ai divorziati risposati. V’è anche un considerevole numero di Vescovi, sacerdoti e laici, che gioiscono di fronte alla prospettiva di questa “porta aperta”, trovata nellaRelazione Finale. Anziché guidare i fedeli ad una Dottrina chiara ed in sommo grado inequivocabile, la Relazione Finale ha provocato una situazione di oscurità, di confusione, di soggettivismo (il giudizio di coscienza sul divorzio ed il foro interno) ed un particolarismo dottrinale e disciplinare, a sua volta non cattolico, in una materia essenzialmente collegata al deposito della fede trasmesso dagli Apostoli.

    Coloro che ai nostri giorni difendono strenuamente la santità dei Sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia vengono etichettati come farisei. Tuttavia, dal momento che il principio logico di non contraddizione è valido ed il senso comune funziona ancora, è vero il contrario.

    Son più simili ai farisei coloro che offuscano la Verità divina nella Relazione Finale. Pur di conciliare una vita adultera con la ricezione della Santa Comunione, si sono abilmente inventati nuovi significati, una nuova legge di «discernimento e integrazione», introducendo nuove tradizioni umane contro il cristallino Comandamento di Dio. Ai sostenitori della cosiddetta agenda Kasper sono rivolte queste parole di Verità incarnata: «Avete fatto decadere la Parola di Dio con la tradizione che voi avete tramandato» (Mc 7, 13). Coloro che per duemila anni han parlato incessantemente e con la massima chiarezza dell’immutabilità della Verità divina, spesso a costo della propria vita, oggi verrebbero pertanto etichettati come farisei: così San Giovanni il Battista, San Paolo, Sant’Ireneo, Sant’Atanasio, San Basilio, San Tommaso Moro, San Giovanni Fisher, San Pio X, solo per citarne gli esempi più luminosi.

    Il vero risultato del Sinodo nella percezione tanto dei fedeli quanto dell’opinione pubblica secolarizzata è l’impressione che, in pratica, si sia focalizzata soltanto la questione dell’ammissione delle persone divorziate alla Santa Comunione. Si può affermare che il Sinodo in un certo senso si sia rivelato agli occhi dell’opinione pubblica come il Sinodo dell’adulterio, non della Famiglia. In effetti, tutte le belle affermazioni della Relazione Finale sul matrimonio e sulla famiglia vengono poste in ombra dalle dichiarazioni ambigue dei brani sui divorziati risposati, argomento peraltro già definito e risolto dal Magistero degli ultimi Pontefici Romani in fedele conformità all’insegnamento bimillenario ed alla prassi della Chiesa. E’ pertanto una vera vergogna che i Vescovi cattolici, i successori degli Apostoli, abbiano utilizzato le assemblee sinodali per attentare alla costante ed immutabile prassi della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio ovvero sulla non ammissione ai Sacramenti dei divorziati, che vivano un’unione adulterina.

    Nella sua lettera a papa Damaso, San Basilio ha tracciato un quadro realistico della confusione dottrinale provocata all’epoca da quegli ecclesiastici alla ricerca di un vacuo compromesso e di un accomodamento allo spirito del mondo: «Le tradizioni non sono fissate a nulla; i piani degli innovatori sono di moda nelle chiese; vi son più ideatori di astuti meccanismi che teologi; la sapienza di questo mondo conquista i riconoscimenti più alti e rifiuta la gloria della Croce. Gli anziani si rammaricano, quando confrontano il presente al passato. Ancor più v’è da compatire i più giovani, poiché non sanno nemmeno di cosa siano stati privati» (Ep. 90, 2).

    In una lettera a papa Damaso ed ai Vescovi occidentali, San Basilio descrisse così la confusa situazione vigente nella Chiesa: «Le leggi della Chiesa sono preda della confusione. L’ambizione degli uomini, che non hanno timore di Dio, li fa balzare ai posti più elevati e chi magnifica il rito è ora conosciuto da tutti come preda dell’empietà. L’esito è che più un uomo bestemmia, più la gente pensa che sia un vescovo. La dignità clericale è una cosa del passato. Non vi è alcuna conoscenza precisa dei Canoni. Vi è totale immunità nel peccare; chi ha raggiunto un determinato incarico col favore degli uomini, è obbligato a restituirlo, mostrandosi in continuazione indulgente verso i trasgressori. Anche il retto giudizio è una cosa del passato ed ognuno procede secondo le brame del proprio cuore. Chi detiene l’autorità ha paura di parlare, chi ha raggiunto il potere in virtù dell’umano interesse è schiavo di coloro ai quali deve la propria affermazione. Ed ora rivendicare l’autentica ortodossia viene visto in taluni ambienti come l’opportunità per attaccarsi reciprocamente; gli uomini occultano nell’intimo la loro cattiva volontà e pretendono che il loro atteggiamento ostile tragga interamente motivo dall’amore della verità. Mentre i miscredenti ridono, gli uomini deboli nella fede restano scossi, il credere è incerto, le anime sono immerse nell’ignoranza, poiché chi adultera le parole imita la verità. I migliori tra i laici evitano le chiese come cattedre di empietà e levano le loro mani al cielo nel deserto con sospiri e lacrime rivolti al loro Signore. La fede ricevuta dai Padri, quella che sappiamo segnata col simbolo degli Apostoli, a questa fede noi diamo il nostro assenso, così come a tutto quanto in passato era stato promulgato canonicamente e legalmente» (Ep. 92, 2).

    Ogni periodo di confusione nella storia della Chiesa è allo stesso tempo un periodo in cui è possibile ricevere grandi grazie di forza e di coraggio, nonché un’opportunità di mostrare il proprio amore per Cristo, Verità incarnata. A Lui ogni battezzato, ogni sacerdote ed ogni Vescovo ha promesso fedeltà inviolabile, ciascuno nel proprio stato: mediante le promesse battesimali, quelle sacerdotali e quella solenne dell’ordinazione episcopale: «Io manterrò puro ed integro il deposito della fede, secondo la tradizione sempre ed ovunque preservata nella Chiesa». L’ambiguità contenuta nella sezione divorziati risposati della Relazione Finale contraddice il solenne giuramento episcopale sopra riportato. Nonostante ciò, tutti nella Chiesa – dal semplice fedele ai detentori del Magistero – dovrebbero dire:

    “Non possumus!”. Io non accetterò  un discorso nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio. Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina «immagine di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose» (S. Ireneo), perché «conosco ciò in cui ho creduto», «Scio cui credidi» (II Tm 1, 12).

     

    2 novembre 2015

     

    + Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

     

    (Fonte: Rorate Caeli. Trad. it. di Mauro Faverzani per Corrispondenza Romana)






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 04/02/2016 16:56

    Intervista di mons. Athanasius Schneider a Rorate Caeli: Chiesa post-sinodale e i non credenti nella gerarchia

     
    Testo integrale dell'intervista di Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, pubblicata il 2 febbraio 2016 dal sito Rorate Caeli


    Rorate Caeli: Per qualche tempo non conosceremo l’impatto giuridico che avrà sulla Chiesa il recente Sinodo poiché la prossima mossa spetta a Papa Francesco. Indipendentemente dal risultato finale, esiste già  a tutti gli effetti uno scisma nella Chiesa? In caso affermativo, cosa significa concretamente? Come si manifesterà per i cattolici praticanti comuni?
     
    S.E. Schneider: Secondo il can. 751 del Codice di Diritto Canonico, scisma significa il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Occorre distinguere il difetto nel credere o eresia dallo scisma. Il difetto nel credere o eresia è in effetti un peccato più grave dello scisma, come dice San Tommaso d’Aquino: «La mancanza di fede (infidelitas nella Summa - ndT) è un peccato commesso contro Dio stesso, in quanto Egli stesso è la Verità Prima, sulla quale la fede si fonda; mentre lo scisma si oppone all’unità della Chiesa, che è un bene minore rispetto a Dio stesso. È dunque evidente che il peccato di eresia  è per suo genere un peccato più grave di quello dello scisma» (II-II, q.39, a.2c). La vera crisi della Chiesa di oggi consiste nel fenomeno ingravescente che coloro che non credono pienamente e non professano l’integralità della fede cattolica occupano spesso posizioni strategiche nella vita della Chiesa, come professori di teologia, formatori nei seminari, superiori religiosi, parroci e persino vescovi e cardinali. E queste persone con la loro fede manchevole si professano sottomessi al Papa.

    Il colmo della confusione e dell’assurdità si manifesta quando questi religiosi semi-eretici accusano coloro che difendono la purezza e l’integrità della fede cattolica di essere contro il Papa, di essere, secondo loro, in qualche modo scismatici. Per i semplici cattolici praticanti, una tale situazione di confusione rappresenta una vera sfida alla loro fede secondo l’indistruttibilità della Chiesa. Devono mantenere salda l’integrità della loro fede secondo le immutabili verità cattoliche trasmesse dai nostri padri, che ritroviamo nel catechismo tradizionale e nelle opere dei Padri e dei Dottori della Chiesa.
     
    Parlando di cattolici comuni, cosa deve affrontare ora un parroco che già non dovesse affrontare prima del Sinodo? Quali pressioni, come la lavanda dei piedi delle donne il Giovedì Santo a seguito dell’esempio di Francesco, graveranno sul parroco più di quanto non sia accaduto fino ad oggi?
     
    Un normale parroco cattolico dovrebbe conoscere bene il significato perenne della fede cattolica, nonché quello delle norme della liturgia cattolica e, conoscendolo, dovrebbe avere fermezza e sicurezza interiore. Dovrebbe sempre ricordare il principio fondamentale di discernimento: «Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus», ossia «Ciò che è stato creduto e praticato sempre, ovunque e da tutti».

    Le categorie «sempre, ovunque, tutti» non devono esser intese in un senso aritmetico, ma morale. Un criterio concreto di discernimento è questo: Questo cambiamento in una affermazione dottrinale, in una pratica pastorale o liturgica rappresenta una rottura rispetto al passato dei secoli e millenni trascorsi? Questa innovazione fa sì che la fede risplenda più chiara e luminosa? Questa innovazione liturgica ci immette sempre più vicini alla santità di Dio, o esprime in modo più profondo e meraviglioso i divini misteri? Questa innovazione disciplinare favorisce davvero uno zelo maggiore per la santità di vita?
     
    Riguardo, concretamente, alla lavanda dei piedi delle donne durante la Santa Messa dell’Ultima Cena del Giovedì Santo: questa Santa Messa celebra la commemorazione dell’istituzione dei sacramenti dell’Eucarestia e del Sacerdozio. Cosicché la lavanda dei piedi delle donne insieme agli uomini, non solo distrae dal focus principale sull’Eucarestia e sul Sacerdozio, ma genera confusione riguardo al simbolismo storico dei “dodici” e dal fatto che gli apostoli sono di sesso maschile. La tradizione universale della Chiesa non ha mai consentito la lavanda dei piedi durante la Santa Messa, ma piuttosto al di fuori di essa, in una cerimonia speciale.
     
    In ogni caso: la lavanda pubblica e in generale anche il bacio dei piedi delle donne da parte di un uomo, nel nostro caso di un prete o di un vescovo, è considerato da qualunque persona di buon senso in tutte le culture come improprio e anche indecente. Grazie a Dio nessun vescovo è obbligato a lavare pubblicamente i piedi delle donne il Giovedì Santo, perché non vi è una norma che lo vincoli a ciò, e la stessa lavanda dei piedi è facoltativa.

    La Fraternità Sacerdotale di San Pio X (FSSPX)

    Una situazione atipica della Chiesa è quella della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX). Casa pensa Sua Eccellenza, del perché tanti cattolici temono la FSSPX o sono titubanti dall'associarsi ad essa? Dalla sua esperienza, quali doni ritiene che la FSSPX possa apportare alla Chiesa corrente?
     
    Se qualcuno o qualcosa è senza importanza e debole, nessuno lo teme. Coloro che temono la Fraternità Sacerdotale San Pio X in definitiva temono le verità cattoliche perenni e le loro esigenze in campo morale e liturgico.
     
    Quando la FSSPX cerca di credere, praticare il culto e vivere moralmente come i nostri progenitori e i Santi più famosi nel corso di millenni, allora dobbiamo considerare la vita e l’opera di questi sacerdoti cattolici e fedeli della FSSPX come un dono per la Chiesa di oggi, ed anche come uno dei numerosi strumenti di cui si serve la Divina Provvidenza per rimediare all’enormità dell’attuale crisi generale della fede, della morale e della liturgia in seno alla Chiesa.
     
    In alcuni settori della FSSPX vi sono tuttavia, come accade in tutte le società umane, alcune personalità eccentriche. Esse hanno un metodo e mentalità carenti di giustizia e carità e quindi del vero “sentire cum ecclesia”, e c'è il pericolo di un’autocefalia ecclesiastica e di essere l’ultima istanza giuridica nella Chiesa. Tuttavia, a mia conoscenza, la parte sana corrisponde alla parte maggiore della FSSPX e considero il Superiore Generale, Sua Eccellenza Monsignor Bernard Fellay, come un vero ed esemplare vescovo cattolico. Ci sono speranze per un riconoscimento canonico della FSSPX.

    Il Sinodo e la papolatria

    Tornando al Sinodo, e focalizzandoci sulla tradizione, Sua Eccellenza ritiene che i cambiamenti nella liturgia romana successivi al Vaticano II abbiano contribuito alla crisi attuale nella Chiesa, alla crisi del matrimonio, della famiglia e della morale sociale in generale?
     
    Non lo affermerei proprio così. In realtà la vera origine dell’attuale crisi nella Chiesa, della crisi del matrimonio, della famiglia e della morale in generale non è la riforma liturgica, ma la mancanza di fede, il relativismo dottrinale, da cui scaturisce il relativismo morale e liturgico. Se credo in modo carente, vivrò una vita morale carente e praticherò il culto in modo carente e indifferente. È necessario in primo luogo ripristinare la chiarezza e la fermezza della dottrina della fede e della morale a tutti i livelli e da lì cominciare a migliorare la liturgia. L’integrità e la bellezza della fede esigono l’integrità e la bellezza della propria vita morale e ciò richiede l’integrità e la bellezza del culto pubblico.
     
    Ancora sul Sinodo, è evidente, per coloro che hanno occhi per vedere, che Papa Francesco, nell'andamento del sinodo ha creato confusione invece che chiarezza, ed ha incoraggiato una svolta verso la rottura con l'innalzare il ruolo dei Cardinali Kasper e Danneels, dell’Arcivescovo Cupic, ecc. Qual è il giusto atteggiamento che un cattolico dovrebbe avere nei confronti del Papa in questi tempi difficili? I cattolici sono obbligati a far conoscere le loro vedute ed a “resistere” come aveva detto il Cardinale Burke lo scorso anno in una nostra intervista [qui -qui], anche quando i loro punti di vista sono critici nei confronti del papa?
     
    Fin da molte passate generazioni regna nella vita della Chiesa una sorta di “papo-centrismo” o di “papolatria” che è senza dubbio eccessiva se paragonata con la visione moderata e soprannaturale della persona del Papa e la venerazione a lui dovuta, com'era in passato. Un simile atteggiamento eccessivo verso la persona del Papa genera nella pratica un significato teologico eccessivo ed errato riguardo al dogma dell’infallibilità papale.
     
    Se il Papa dicesse a tutta la Chiesa di fare qualcosa che danneggiasse direttamente una verità divina immutabile o un comandamento divino, ogni cattolico avrebbe il diritto di correggerlo, col dovuto rispetto, mosso da riverenza e amore per la sacra funzione, e per la persona del Papa. La Chiesa non è proprietà privata del Papa. Il Papa non può dire “Io sono la Chiesa”, come aveva detto il re francese Luigi XIV: “Lo Stato sono io”. Il Papa è solo il Vicario, non il successore di Cristo.
     
    Quanto riguarda la purezza della fede è in definitiva una questione che interessa tutti i membri della Chiesa, che è una, ed è un corpo vivente unico. Anticamente, prima di affidare a qualcuno l’ufficio di sacerdote o di vescovo, i fedeli erano chiamati a garantire che il candidato avesse una fede retta ed una elevata condotta morale. Il vecchio Pontificale Romano dice: “Il capitano di una nave, così come i passeggeri, hanno uguale motivo di sentirsi al sicuro o in pericolo in un viaggio, e perciò dovrebbero quindi essere unanimi nel loro comune interesse”. Fu il Concilio Vaticano II ad incoraggiare fortemente i fedeli laici a contribuire al vero bene della Chiesa, al rafforzamento della fede. 
     
    Ritengo che in un’epoca in cui gran parte dei detentori dell’officio del Magistero sono negligenti nel loro sacro compito, lo Spirito Santo chiama oggi, particolarmente i fedeli, a intervenire e a difendere coraggiosamente la fede cattolica con un autentico «sentire cum ecclesia».

    La Tradizione ed i suoi nemici interni

    Il Papa è la misura della tradizione o è moderato dalla tradizione? Ed i fedeli cattolici dovrebbero pregare perché venga presto un papa tradizionale?

     
    Certamente il Papa non è la misura della tradizione, ma piuttosto il contrario. Dobbiamo sempre tenere a mente il seguente insegnamento dogmatico del Concilio Vaticano I: L’ufficio del successore di Pietro non consiste nel rivelare qualche nuova dottrina, ma nel per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà il deposito di fede trasmesso dagli apostoli (v. Costituzione dogmatica Pastor aeternus, cap. 4)
     
    Nell’adempimento di uno dei suoi compiti più importanti, il Papa deve mirare a che “l’intero gregge di Cristo sia tenuto al riparo dal cibo avvelenato dell’errore” (Concilio Vaticano I, ibid.). La seguente espressione che era in uso fin dai primi secoli della Chiesa è una delle espressioni più evidenti dell’ufficio papale, e deve in qualche modo essere una seconda natura di ogni Papa: “Aderire fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della Fede cristiana” (Concilio Vaticano I, ibid.).
     
    Dobbiamo sempre pregare affinché Dio doni alla Sua Chiesa Papi di orientamento tradizionale. Tuttavia dobbiamo credere in queste parole: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta». (Atti, 1, 7).
     
    Sappiamo che numerosi vescovi e cardinali, probabilmente la maggioranza, vogliono cambiare il linguaggio dottrinale della Chiesa e la sua disciplina di lunga data, col pretesto della “evoluzione della dottrina” e della “compassione pastorale”. Cos'è sbagliato nel loro argomento?
     
    Espressioni come “sviluppo della dottrina” e “compassione pastorale” in genere sono di fatto un pretesto per cambiare l’insegnamento di Cristo, contro il suo significato e la sua perenne integrità così come gli Apostoli l’hanno trasmessa a tutta la Chiesa e come è stata fedelmente preservata dai Padri della Chiesa e dagli insegnamenti dogmatici dei Concili Ecumenici e dei Papi.
     
    In definitiva questi chierici vogliono un’altra Chiesa, ed anche un’altra religione: una religione naturalistica, adattata allo spirito del tempo. Dei simili chierici sono veri lupi travestiti da agnelli, e flirtano spesso col mondo. Non già pastori coraggiosi, ma vili conigli.

    Il ruolo delle donne nella Chiesa

    Oggi si sente parlare molto del ruolo delle donne nella Chiesa, del cosiddetto “genio femminile”. Le donne hanno giocato un ruolo fondamentale nella Chiesa fin dall’inizio, a cominciare dalla Beata Vergine Maria. Ma liturgicamente Cristo ha reso chiarissima la Sua posizione, così come hanno fatto i papi pre-conciliari. Sua Eccellenza considera che il coinvolgimento femminile nella liturgia, sia le stesse donne nella Messa Novus Ordo sia le bambine-chierichette, abbia avuto un ruolo positivo o negativo nella Chiesa durante gli ultimi quattro decenni?
     
    Non c'è dubbio che il coinvolgimento femminile nei servizi liturgici all’altare (lettura dei Testi, servizio all’altare, distribuzione della Santa Comunione) rappresenti una rottura radicale con l’intera e universale tradizione della Chiesa. Una simile pratica è contraria alla Tradizione apostolica.
     
    Questa pratica ha dato alla liturgia della Santa Messa una evidente forma protestante, e la caratteristica di un incontro informale di preghiera o di un evento catechetico. È una pratica del tutto contraria alle intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II e non se ne trova la minima indicazione nella Costituzione sulla Sacra Liturgia.

    La Messa Latina Tradizionale

    Sua Eccellenza è ben nota per celebrare la Messa Latina tradizionale in tanti luoghi in tutto il mondo. Quali pensa siano le lezioni più profonde che ha appreso, come prete e come vescovo, dalla celebrazione del Rito Latino, e che altri preti e vescovi possono sperare di acquisire dicendo essi stessi la Messa tradizionale?
     
    La lezione più profonda che ho appreso dalla celebrazione della forma tradizionale della Messa è questa: sono solo un povero strumento di un’azione soprannaturale e sommamente sacra, il cui celebrante principale è Gesù Cristo, l’Eterno Sommo Sacerdote. Sento che durante la celebrazione della Messa perdo in qualche modo la mia libertà individuale, poiché le parole e i gesti sono stabiliti fin nei minimi dettagli, e non posso disporne. Sento nel più profondo del cuore che sono solo un servo ed un ministro, che ancora con libera volontà, con fede e amore, compio non la mia volontà ma quella di Un Altro.
     
    Il Rito tradizionale e antico di millenni della Santa Messa, che neppure il Concilio di Trento aveva cambiato, poiché l’Ordo Missae prima e dopo quel Concilio era pressoché identico, proclama ed evangelizza con forza l’Incarnazione e l’Epifania del Dio ineffabilmente santo ed immenso, che nella liturgia del “Dio è con noi,” come “Emanuele”, si fa così piccolo e così vicino a noi. Il rito tradizionale della Messa è di un’alta sapienza e al tempo stesso una potente proclamazione del Vangelo, che compie l’opera della nostra salvezza.

    Se Papa Benedetto è nel giusto quando dice che il Rito Romano attualmente esiste (benché in modo strano) in due forme piuttosto che in una, perché non avviene ancora che a tutti i seminaristi sia richiesto di studiare ed apprendere la Messa Latina tradizionale, come parte della loro formazione di Seminario? Come mai un parroco della Chiesa Romana può non conoscere entrambe le forme dell’unico rito della sua Chiesa? E come possono tanti cattolici essere ancora privati della Messa tradizionale e dei sacramenti se si tratta di una forma equivalente?
     
    Secondo l’intenzione del Papa Benedetto XVI, e le chiare norme dell’Istruzione “Universae Ecclesiae”, tutti i seminaristi cattolici devono conoscere la forma tradizionale della Messa ed essere capaci di celebrarla. Lo stesso documento afferma che questa forma della Messa è un tesoro per l’intera Chiesa, e dunque lo è per tutti i fedeli.
     
    Papa Giovanni Paolo II aveva rivolto un appello urgente a tutti i vescovi di accogliere generosamente il desiderio dei fedeli di celebrare la forma tradizionale della Messa. Quando il clero ed i vescovi ostacolano o limitano la celebrazione della Messa tradizionale, essi non obbediscono a ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa, e si comportano in maniera anti-pastorale. Si comportano come se fossero i possessori del tesoro della liturgia, che non appartiene loro, perché essi sono solamente gli amministratori.
     
    Negando la celebrazione della Messa tradizionale o facendo ostruzione e discriminazione nei suoi confronti, si comportano come un amministratore infedele ed inaffidabileche, contrariamente agli ordini del padrone di casa,  tiene la dispensa chiusa a chiave oppure come una cattiva matrigna che dà ai bambini un cibo insufficiente.
     
    Forse questi chierici temono che il grande potere della verità s’irradi dalla celebrazione della Messa tradizionale. Possiamo paragonare la Messa tradizionale ad un leone: lasciatelo libero e saprà difendersi.

    La Russia non è stata esplicitamente consacrata

    Dove vive Sua Eccellenza ci sono molti Russi Ortodossi. Aleksandr di Astana o chiunque altro del Patriarcato di Mosca l’ha forse interrogata sul recente Sinodo o su quello che avviene nella Chiesa sotto Francesco? Sono interessati fino a questo punto?
     
    I Prelati Ortodossi con i quali ho dei contatti non sono in genere bene informati sulle dispute interne che intercorrono nella Chiesa Cattolica, o almeno non mi hanno mai parlato di queste questioni. Anche se non riconoscono il primato giurisdizionale del Papa, vedono tuttavia nel Papa la prima carica gerarchica della Chiesa, dal punto di vista dell’ordine protocollare.

    Siamo ad un anno dal centesimo anniversario di Fatima. La Russia non è stata, attendibilmente, consacrata al Cuore Immacolato di Maria e certamente non convertita. La Chiesa, per quanto sempre senza macchia, è in grande disordine, forse peggio che durante l’Eresia Ariana. Le cose sono destinate a peggiorare ancora prima di poter migliorare e come devono prepararsi i cattolici veramente fedeli a ciò che deve succedere?
     
    Dobbiamo credere fermamente: la Chiesa non è nostra, e neanche del Papa. La Chiesa è di Cristo e Lui solo la tiene e la conduce in modo indefettibile anche attraverso i periodi più oscuri di crisi, come appunto nella nostra attuale situazione.
     
    È una dimostrazione del carattere divino della Chiesa. La Chiesa è essenzialmente un mistero, un mistero soprannaturale, e non possiamo avere con essa lo stesso approccio che possiamo avere con un partito politico o una società puramente umana. Nello stesso tempo, la Chiesa è umana ed al suo livello umano oggi sopporta una passione dolorosa, che la rende partecipe della Passione di Gesù.
     
    Si può pensare che oggi la Chiesa è flagellata come Nostro Signore, è spogliata come lo è stato Nostro Signore, alla decima stazione della Croce. La Chiesa, nostra madre, è tenuta legata non solo dai nemici di Gesù ma anche da alcuni suoi collaboratori nei ranghi del clero, talvolta anche dell’alto clero.
     
    Noi tutti buoni figli della Madre Chiesa, come soldati valorosi, dobbiamo cercare di liberare questa madre, con le armi spirituali della difesa e della proclamazione della verità, col promuovere la liturgia tradizionale, l’Adorazione Eucaristica, la Crociata del Santo Rosario, la lotta contro il peccato nella nostra vita privata e l’aspirazione alla santità.
     
    Dobbiamo pregare affinché il Papa consacri presto esplicitamente la Russia al Cuore Immacolato di Maria, ed allora Essa vincerà, come la Chiesa ha pregato fin dai tempi antichi : “Rallegrati, o Vergine Maria, perché da sola hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero” (Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo).

    [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
     




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 08/03/2016 23:47

    Mons. Schneider è una roccia

     
    Il carissimo Mons. Schneider - vero pastore coraggioso -, ci entusiasma con i suoi interventi contro in nuovo triste andazzo ecclesiale. Riportiamo qui la traduzione di un articolo pubblicato da LifeSiteNews qualche giorno fa. Traduzione a c. di Thomas Marshall, delCoetus fidelium di Ferrara
     
    Un Vescovo rimprovera la Santa Sede per un tentativo di fare dei bambini degli “agenti per la riforma” con il clima.

    ROMA, 26 febbraio, 2016 (LifeSiteNews) – Monsignor Atanasio Schneider, Prelato noto per la sua strenua difesa della Santa Religione Cattolica, solleva delle preoccupazioni dopo una recente conferenza in Vaticano che voleva discutere come fanno i bambini a diventare degli “agenti per il cambiamento” nella lotta contro il “cambiamento climatico”.
     
    Il workshop congiunto, su “I bambini e lo sviluppo sostenibile: una sfida per l'educazione”, ebbe luogo dal 13 al 15 novembre 2015 presso la Pontificia Accademia della Scienze (PAS), il cui Cancelliere è Mons. Marcelo Sánchez Sorondo.
     
    Tra gli invitati più discussi c’era anche l’economista  Jeffrey Sachs, che ha già chiesto di limitare in maniera drastica la natività in Africa con programmi imposti dai vari governi (ivi compreso l’uso degli anticoncezionali e dell’aborto come modo per limitare la fertilità delle africane). Il Vaticano aveva già fatto parlare Sachs nell’aprile dell’anno scorso, chiedendogli di presiedere una conferenza sul clima.

    Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Schneider, Ausiliare della Diocesi di Maria Santissima in Astana nel Kazakistan, ha detto che i fedeli si devono “sconvolgere” per il fatto che i nemici della Chiesa vengano invitati a delle conferenze del genere.
     
    “È terribile rendersi conto fino a che punto i nemici della Santa Religione Cattolica possono proporre liberamente le loro idee in conferenze del genere, proprio nel Vaticano. Dobbiamo alzare la voce in protesta.
    Con l’aiuto di simil gente, i cui libri sono chiaramente contrari ai dogmi, si prendono in giro le verità della Fede e la legge naturale”.
     
    “Dio non si prende in giro e noi Lo prendiamo in giro. Ad un certo punto, il Padre eterno interverrà e bisogna provare già da ora compassione per i responsabili di quelle conferenze, perché dovranno rispondere un giorno davanti al Trono della Somma Giustizia.”
     
    “Chi durante simili conferenze vendono per due soldi la Santa Religione – che sia Sacerdote o anche Vescovo – non deve scordare il monito delle Sacre Scritture: ‘È cosa spaventevole cader nelle mani dell'Iddio vivente’ (Ebrei 10, 31). Dobbiamo pregare per quei sedicenti Cattolici, Sacerdoti e Vescovi, e dire, ‘Convertitevi al Signore nel cuore vostro, finché rimane tempo’. 
     
    Presidente della conferenza fu la Prof. Courtney Sale, fondatrice della scuola Ross nello stato di Nuova York e vedova di Steve Ross, pluridivorziato presidente della Warner di Hollywood e della rete televisiva MTV. Molti studenti della Ross hanno parlato alla conferenza, specialmente in tema del clima. 
     
    Una studentessa diceva che i politici devono servirsi delle scuole e “usare i ragazzi come agenti per la riforma” in quanto più colti e bravi. 
     
    “Dovrebbero chiederci come possiamo fare per migliorare la vita degli altri”, diceva.
     
    La dichiarazione finale della conferenza si concentra sull’importanza di usare i ragazzi come “agenti per la riforma” nella lotta contro il cambiamento climatico. 
     
    “I ragazzi non sono solo recipienti del sapere; devono incoraggiarsi ad agire nel contesto locale e concepire delle iniziative sostenibili a scuola e nella comunità” dice la raccomandazione finale. 
     
    Capovolgendo completamente l’ordine delle cose, dove i genitori insegnano i giovani, le raccomandazioni proseguono: “i giovani possono incoraggiare la riforma attraverso l’interazione positiva non solo con altri giovani, ma anche con gli adutli. Le reti sociali e informatiche possono essere utili. È essenziale dare più potere alle fanciulle perché diventino agenti per la riforma”. 
     
    Le raccomandazioni finali parlano di un presunto collegamento tra questioni ambientali e problemi sociali e morali. I docenti devono sottolineare per i ragazzi “i collegamenti e gli abiti mentali che siano aperti e flessibili, per cancellare le vecchie maniere in cui si tende a dei punti fermi e fissi”.
     
    Quando dei nostri colleghi alla LifeSiteNews hanno scritto al P. lombardi per chiedere dei chiarimenti sull’atteggiamento del Papa a questo riguardo, nessuna risposta è pervenuta loro.Anche Mons. Sanchez Sorondo si è rifiutato di rispondere alle domande di LifeSiteNews.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)