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DIFENDERE LA VERA FEDE

Luca 15,11-32 Parabola del Figliol Prodigo

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    Caterina63
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    00 26/01/2011 23:45

    Luca 15,11-32

    11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e si incamminò verso suo padre.
    Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

    25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».







    Ricordando la parabola del “Figlio prodigo”


    di Renzo Allegri

    ROMA, lunedì, 13 settembre 2010 (ZENIT.org).- Nei giorni scorsi, sui giornali ci sono state varie polemiche sul film “Gli angeli del male”, presentato a Venezia che si ispira alla vita di Renato Vallanzasca, autore di rapine, omicidi, sequestri condannato a due ergastoli e 260 anni. Altre polemiche riguardavano Gianfranco Stevanin, serial killer, condannato all’ergastolo per aver ucciso sei donne, facendole a pezzi, che ora dal carcere ha fatto sapere che vorrebbe iniziare una nuova fase della sua vita, diventando frate laico, nel Terz’Ordine francescano. Radio 24, prendendo spunto da queste vicende, ha fatto un sondaggio tra i suoi ascoltatori chiedendo: “Credete alla redenzione di chi ha ucciso?”. Il 70 per cento delle persone che hanno risposto ha detto no, e il 30 per cento sì.

    Un risultato che fa riflettere. Non è certo illuminato da una visione cristiana delle persone e, in un Paese in cui, volere o no, le radici sono intrise di cristianesimo, appare sconcertante. E’ una condanna non di “fatti accaduti”, ma di “probabilità future”. Afferma che una persona responsabile di certi delitti efferati, come l’omicidio, non può pentirsi, cambiare, redimersi. L’uomo è un essere libero, e può usare questa libertà per compiere il bene o il male. La sua esistenza, la sua condotta non sono predeterminate. E, per il cristiano, nella vita dell’uomo vi è sempre presente Dio, che segue ogni attimo del vivere con l’amore di un padre, come ha insegnato Gesù con la parabola del figlio prodigo.

    Un uomo, per quanto gravi siano state le sue azioni passate, può sempre cambiare la propria condotta. E questo avviene con grande frequenza. Ne sono testimoni proprio quei sacerdoti che svolgono il compito di “cappellani” nelle carceri. Ognuno di loro potrebbe raccontare decine di storie di assassini che hanno poi espiato le proprie colpe con responsabilità e con profonda umiltà. Come giornalista, io stesso mi sono trovato di fronte a casi del genere. Ricordo Piero Cavallero. Nel 1960, era il capo di una banda che portava il suo nome, e aveva, all’inizio, forti connotazioni politiche di estrema sinistra, con il miraggio di agire, sia pure fuori dalla legge, a favore della povera gente.

    Cavallero, con la sua banda, composta da quattro persone, iniziò con rapine, che chiamava “rivoluzionarie e sociali”, ma che in breve si trasformarono in scorribande violente, che seminavano terrore e morte. L’ultima impresa fu quella del 25 settembre 1967 a Milano. Dopo avere svaligiato una banca, Cavallero e i suoi scagnozzi inscenarono un raid per le vie della città, sparando all’impazzata. Un raid durato una trentina di minuti e che lasciò sull’asfalto tre morti e dodici feriti, tra i quali anche un bambino. In seguito i banditi furono catturati. Nel 1968, Cavallero fu condannato all’ergastolo essendo stato ritenuto responsabile di 5 omicidi, 23 rapine, 5 sequestri di persona.

    In carcere, il bandito cominciò a riflettere. La lettura del Vangelo gli fece capire che la vera rivoluzione sociale l’aveva compiuta Gesù ma non con il mitra bensì con l’amore. Divenne, come per incanto, un ammiratore di Gesù. Lo venni a sapere dal cappellano del carcere di Porto Azzurro nel 1969. Anche lui era stupito dal comportamento di Cavallero, e riteneva che far sapere che il terribile bandito si era convertito, poteva illuminare molti giovani che lo avevano ammirato nel male. Mi invitò al penitenziario di Porto Azzurro e organizzò in modo che potessi incontrare Cavallero. Infatti, mentre ero nell’ufficio del cappellano, all’interno del carcere, arrivò Cavallero, che aveva il permesso di andare a trovare il sacerdote. Restammo a parlare per circa un’ora. “Che ne pensi?”, mi chiese il cappellano al termine di quel colloquio. “Sono perplesso”, risposi.

    Ero colpito da quanto avevo ascoltato da Cavallero ma non mi fidavo di lui. Pensavo che stesse inventando tutto per finire ancora sui giornali. Anche se poteva essere un grosso scoop, non scrissi nessun articolo. Ma dopo un paio di mesi, telefonai al cappellano del carcere per avere aggiornamenti. Mi disse che tutto procedeva bene, anzi in meglio. Allora gli chiesi se poteva farmi avere da Cavallero una lettera, un documento scritto di suo pugno, sul proprio cambiamento. E Cavallero scrisse. Una lunghissima lettera. Pacata, ragionata, che mi convinse a raccontare la sua storia in un lungo articolo, pubblicato dal settimanale “Gente” (dove lavoravo come inviato) nel numero 28 del 1969.

    L’articolo fece molto scalpore. Venne ripreso, commentato, e, da molti, anche deriso, perché ritenevano impossibile la conversione di un assassino di quel tipo. Ma, come poi dimostrarono i fatti, il cambiamento di Cavallero era autentico. Chissà che cosa era accaduto in lui. Forse era rimasto colpito dalla parabola del Figlio prodigo, o dalle parole di Gesù sulla croce al ladrone crocifisso come lui, o aveva pensato al dolore della madre di Gesù ai piedi della croce, e lo aveva paragonato a quello che vedeva sul viso della propria madre durante le visite. Non scrisse niente di questo nella lettera, ma sta di fatto che il cambiamento era vero, la Grazia di Dio era entrata in lui e lo stava trasformando.

    Cavallero divenne un carcerato esemplare, pentito delle violenze commesse. Fu anche pestato dagli altri carcerati per le sue idee religiose. Nel 1988, tornò libero e da uomo libero volle dedicare la sua vita all’aiuto dei barboni nel movimento Sermig di Ernesto Olivero. Morì nel 1997. Alcuni mesi prima aveva scritto al cardinale Martini, arcivescovo di Milano. «Mi sono rivolto a lei, ed è la prima volta che oso compiere un gesto del genere, perchè ho sentito che lo debbo, che è un passo in più da fare per pagare i miei debiti. Proprio a Milano si concluse, in modo violentissimo e tragico, la mia carriera di bandito. Ed è a Milano, turbato, ferito e scosso, che devo soprattutto chiedere perdono, da penitente, in silenzio». E il cardinale volle incontrarlo.

    Molti hanno scritto che Cavallero si avvicinò alla religione negli ultimi anni della sua vita. Ma non è vero. Il cambiamento avvenne all’inizio della sua esistenza di carcerato, come dimostra quel mio lontano articolo del 1969. La storia cristiana è piena di pentiti, figli della Grazia di Dio. Emblematica è anche un’altra vicenda del nostro tempo, quella di Jacques Fesch. Nato in Francia nel 1930, figlio di un banchiere, famiglia cattolica, a 17 anni si ribella contro l’educazione ricevuta, abbandona la religione e inizia una vita sregolata. Sposa civilmente una ragazza che aveva messo incinta., ma poi abbandona moglie e figlia, ed ha un figlio da un’altra donna. Pensa di girare il mondo in barca, ma i suoi non gli danno i soldi per comperare l’imbarcazione. Nel 1954 tenta una rapina e uccide un poliziotto. Viene arrestato, processato e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il primo ottobre 1957, quando Jacques aveva soltanto 27 anni.

    In seguito, si venne a sapere che, in carcere, Jacques Fesch si era convertito. Anche lui era stato folgorato dalla Grazia di Dio e negli ultimi tre anni aveva tenuto una condotta esemplare. Il suo Diario, poi pubblicato, e le lettere ai parenti e agli amici, sono un documento commovente e inconfutabile. Così importante da convincere il cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, ad aprire, nel 1993, il processo di beatificazione di questo giovane assassino. Il 2 dicembre 2009, anche Benedetto XVI ha citato, in piazza San Pietro, il nome di questo giovane.

    E’ difficile immaginare che cosa possa accadere nel profondo della coscienza di una persona. Quello è il luogo dell’incontro inevitabile con Dio. E, se appena l’uomo ascolta e si apre alla Grazia, tutto diventa possibile.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 26/01/2011 23:48
    Amici....siamo così  abituati al calendario dei Santi e dei Beati che spesso rischiamo di perderci ulteriori storie del nostro tempo e che tanto hanno da dirci....

    Sappiamo bene che il Primo Novembre festeggiamo liturgicamente la Memoria di TUTTI i santi specialmente NON CONOSCIUTI, quelli "anonimi" per noi, ma di certo non al Cuore di Dio e sono "miriadi e miriadi" come dice la stessa Scrittura, miriadi fra beati santi, martiri e, come ci rammentò Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000, anche di TESTIMONI DELLA FEDE.....Fede in chi e in che cosa?

    Ve lo vogliamo raccontare attraverso una storia davvero commovente, dolorosa sotto molti aspetti eppure con un finale arricchito proprio da quella Fede in Colui che tutto può cambiare quando l'Uomo, pentito ed afflitto, lascia tutto e si abbandona nelle sue mani, nelle mani di Cristo Signore!

    La testimonianza di Leonardo Vitale conduce proprio a questo traguardo: il coronamento di quella giustizia che tanto ci fa soffrire qui sulla terra, è una testimonianza pura e semplice, DI NORMALE QUOTIDIANITA' all'interno di una società corrotta dalla mafia e soffocata dall'ingiustizia.... una storia che vede Leonardo all'inizio coinvolto, come accade per molti giovani oggi, coinvolto nelle maglie della malavita, schiavo del guadagno facile  e di una mentalità completamente contorta e sbagliata.... ma ecco la svolta, quel piccolo seme di BENE che il Divino Creatore ha posto in ogni Uomo, germoglia e pretende la sua parte, spinge Leonardo ad una lotta interiore fino a fargli cadere quel velo di omertà che gli impediva di essere davvero un Uomo LIBERO...

    Ma la libertà ha un duro prezzo da pagare, non pesa tanto la libertà quanto il difenderla con ragionevolezza.
    Leonardo è così il primo "pentito di mafia", ma ahimè NESSUNO GLI CREDE...
    Sembra un paradosso eppure è così: uno mente e tutti gli credono, e se uno dice la verità nessuno gli crede..i veri cattolici, i cristiani ne sanno qualcosa di quanto sia dura questa realtà...qui comincia il vero calvario di Leonardo Vitale....ed è qui che la strada del Cristo si incrocia con quella di Leonardo uniti da un medesimo destino, quello del Calvario per la verità, quello della Passione, quello della Crocifissione....

    Luigi Accattoli  nel presentare il volume NUOVI MARTIRI 393 storie cristiane nell’Italia di oggi lascia parlare il cardinale Angelo Comastri che nella Prefazione scrive queste parole:


    "...L'iniziativa del Papa Giovanni Paolo vuole un aggiornamento del catalogo dei martiri, perché la Chiesa possa disporre di un "Martirologio contemporaneo" (così lo chiamò nel discorso d'apertura del Concistoro straordinario, il 13 giugno 1994), che dia ragione dei segni di santità e delle testimonianze eroiche donate alla nostra epoca. Egli crede che siano straordinari,.... .. Alberto Dalla Chiesa e della sposa Emanuela Setti Carraro, come lui credente e quanto lui consapevole del rischio, è una scelta solo nostra. E solo nostra è la decisione di considerare martire il primo pentito di mafia Leonardo Vitale: pentito per conversione cristiana e ucciso dalla mafia all'uscita dalla messa. Valorizzare il martirio vuol dire anche esercitarsi a guardare più ampiamente alla vita cristiana, oltre i modelli ricevuti dalla tradizione...."

    cliccate qui per il resto del testo

    Anche noi allora, da qui, vogliamo VALORIZZARE ed esercitare il nostro sguardo a questa storia per aiutare i giovani a comprendere il valore della vita e a comprendere che ci si può fermare per ridare un senso alla vita quando si sono prese decisioni sbagliate ed incoraggiarli ad uscire dall'omertà.....

    Leonardo Vitale  (1941 - 1984)
    Nacque a Palermo il 27 giugno 1941 e nel 1960 entrò a far parte della famiglia di Altarello di Baida, comandata dallo zio. Arrestato il 17 agosto 1972 con l'accusa di aver partecipato al sequestro dell'ingegner Cassina, venne scarcerato per insufficienza di prove il 30 marzo 1973.

    In seguito ad una conversione cristiana ed alla comprensione di sensi di colpa, si recò spontaneamente dai giudici ai quali confessò di far parte di una potente associazione criminale: Cosa Nostra. La stessa spontaneità di rivelazioni così scottanti, per certi versi allora incredibili, venne valutata come indice di pazzia e pertanto Vitale, dopo essere stato sottoposto a numerose perizie psichiatriche, fu rinchiuso per dieci anni nel manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.

     La sua decisione di confessare e raccontare i fatti, lo conduce verso il baratro, in una cella piccolissima, in un manicomio criminale, e poi infine libero, verso le dure leggi della Mafia.
    (tratto dal film L'Uomo di vetro del 2007 che narra la sua storia)
    Il film di Incerti è un viaggio verso la disperazione, di un uomo che scopre la vita nel momento in cui si libera di ciò che lo rendeva schiavo, pur sapendo di andare incontro a morte certa.

    Sul merito delle sue rivelazioni non venne mai avviata alcuna indagine. Una conferma indiretta della loro veridicità si ebbe invece il 2 dicembre 1984. Solamente due mesi dopo essere tornato in libertà, all'uscita dalla messa domenicale, il primo pentito della storia della mafia venne ucciso. Il suo omicidio doveva costituire un monito per quei mafiosi che, come Buscetta e Contorno, stavano in quei mesi collaborando con la magistratura palermitana. A molti anni di distanza i collaboratori di giustizia più importanti confermarono le sue
    accuse.

    Vi lasciamo con la lettura del sito ufficiale di Leonardo Vitale e che ci auguriamo diventi davvero un esempio per i tanti giovani e meno giovani di oggi coinvolti nell'illegalità, un esempio ed un aiuto concreto a ritrovare quella vera libertà per la quale siamo stati creati....

    CLICCATE QUI: SITO UFFICIALE DEDICATO A LEONARDO VITALE DAL CUGINO Francesco Paolo Vitale



            

    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 26/01/2011 23:50
    " Senza il Lume soprannaturale  che è Dio stesso, l'uomo non conosce il vero nè la gravezza del male, nè la grandezza del bene; il gusto dell'anima sua è falsato e pensando di operare nel bene, finisce col soddisfare soltanto ciò che crede essere il bene. Chi ama la virtù per amore della virtù, senza pensare di avere un contraccambio, e questo fa solo per amore di Dio, allora ama il prossimo d'affetto schietto e liberale; così ordina a un fine tutte le proprie potenzie, così potrà dire come il grande Apostolo - Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me -. E' il Dolce Cristo, Signore nostro Gesù, che compie il bene e che opera il bene, non non siamo che il nulla! "
    (Lettera CCXLIV, di s. Caterina da Siena a Francesco, maestro Bartolomeo, medico di Siena )


    Dopo aver letto questo appunto della nostra Patrona d'Italia..... allora possiamo comprendere quanto segue....

    Cammina. Sorridi a tutti.
    Costruisci un album di
    famiglia. Con-
    ta le stelle.      Imita quelli che ami.
    Chia-
    ma i tuoi amici al telefono. Dì a qualcuno: "ti
    voglio bene". Parla con Dio.
    Ritorna bambino un'al-
    tra volta.         Salta alla corda. Abolisci la parola "ran-
    core". Di' di sì. Mantieni le promesse. Ridi. Leggi un buon
    libro. Chiedi aiuto. Cambia pettinatura. Corri. Canta una can-
    zone. Ricorda i compleanni. Pensa. Termina un progetto.
    Aiuta
    un ammalato. Salta per divertirti. Regala un bagnoschiuma. Offri-
    ti volontario. Sogna a occhi aperti. Compi un favore. Elimina un ve-
    stito.    Spegni il televisore e parla. Permettiti di sbagliare. Perdonati
    .
    Comportati amabilmente.    Ascolta il canto dei grilli. Ringrazia Dio per
    il sole.   Dimostra la tua felicità.  Fatti un regalo.    Lascia che qualcuno
    abbia cura di te.    Toccati la punta dei piedi.    Accetta un complimento.
    Concediti quello che hai sempre desiderato.           Guarda un fiore con
    attenzione. Impedisciti di dire 'non posso' per un giorno. Canta mentre
    fai la doccia. Vivi ogni minuto nella mano di Dio. Incomincia una tradi-
    zione familiare. Fai un pic-nic nell'anima. Per oggi non preoccuparti.
    Pratica il coraggio delle piccole cose.         Aiuta un vicino anziano.
    Accarezza un binbo. Guarda vecchie foto. Ascolta un amico. Im-
    magina le onde del mare. Gioca con la tua mascotte. Permet-
    titi di essere simpatico. Dai una pa-
    ca sulla spalla. Fai il tifo
    per la tua squadra.
    Dipingi un quadro.
    Delega un lavoro.
    Saluta il nuovo vicino di casa.
    Fai un piccolo scambio.
    Fai sentire 'benvenuto' qualcuno.
    Permetti a qualcuno di aiutarti. Convinciti che non sei solo
    Impegnati a vivere con passione: nulla di grande si fa senza di essa.

    FACCIAMO FIORIRE l'ALBERO DELLE RELAZIONI NUOVE!!

     






    cuorecuore2cuore3cuore1






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 26/01/2011 23:55

    Alessandra di Rudinì Carlotti, da amante di D'Annunzio a sposa di Gesù Cristo


    Alcuni pensano che per divenire frate o suora sia necessario aver custodito intatto il giglio della purezza sin dalla fanciullezza. In realtà anche coloro che hanno conosciuto il peccato possono entrare in convento, purché siano sinceramente pentiti e risoluti a tutto pur di non peccare più.

    Sentite la storia di una delle amanti di Gabriele D'Annunzio. Alessandra di Rudinì nacque a Napoli nel 1876. Suo padre era marchese e celebre politico (fu anche Ministro degli Interni e Capo del Governo). Da bambina ebbe un'infanzia “vivace”, e a causa della sua incontenibile indisciplinatezza venne “cacciata” dal collegio. Viveva in un'ambiente razionalista e la sua fede si indebolì molto; pensava che il cristianesimo fosse un fenomeno puramente politico-sociale.

    Poi, leggendo un pessimo libro di Renan, la sua fede crollò a terra. Era considerata una ragazza molto bella e vari giovanotti altolocati le fecero proposte di matrimonio. Tra i suoi spasimanti vi era anche il Marchese Marcello Carlotti, col quale accettò di sposarsi, e dal quale ebbe due figli. Ma dopo pochi anni di matrimonio, rimase vedova.

    Aveva solo 24 anni, ed essendo ricca e bella, non sarebbe stato difficile per lei trovare un nuovo marito. Nel 1903 conobbe Gabriele D'Annunzio, famoso sia come poeta che come forsennato conquistatore di donne. Prima le conquistava, poi le abbandonava e passava a corteggiare qualche altra sventurata. D'Annunzio corteggiò anche Alessandra, la quale inizialmente lo respinse, ma alla fine capitolò, e andò a convivere “more uxorio” (cioè come se fossero coniugi) nella lussuosa villa del poeta. Ciò era (e lo è ancora oggi) un grave peccato contrario al sesto comandamento che proibisce di commettere fornicazione (rapporti sessuali fuori dal matrimonio). Ma la Madonna, essendo una madre affettuosa, vegliava su di lei, e il buon Dio le inviò un salutare castigo. Il Signore è amore infinito, e quando ci invia qualche croce, lo fa per il nostro bene, ossia per trarne un bene maggiore.

    Così, Alessandra si ammalò gravemente, e rischiò di morire senza ricevere gli ultimi sacramenti. Quando guarì, D'Annunzio la lasciò. Dopo la malattia, la giovane marchesa di Rudinì Carlotti non era più bella come prima, e poi il poeta si era già innamorato di un'altra donna.

    Ecco come è fragile l'amore mondano e come svanisce velocemente! Alessandra pianse amaramente il suo amore perduto, ma ben presto si accorse che quell'amore era solo vanità: “vanitas vanitatum et omnia vanitas”, dice la Sacra Scrittura. Dopo un lungo periodo di ricerca, si sentì attrarre da un Uomo speciale, il migliore di tutti gli uomini, Colui che non tradisce mai: Gesù Cristo, il Re del Cielo. Dopo essersi consigliata col suo direttore spirituale, e aver preso contatti con le suore, entrò in un monastero di clausura francese, dove le venne imposto il nome religioso di suor Maria di Gesù, e visse in maniera esemplare la sua vocazione. I peccatori scellerati che si convertono sinceramente a Dio, in genere diventano zelantissimi seguaci del Vangelo.

    E così, suor Maria di Gesù venne eletta priora del suo monastero, ed ella si dimostrò un'ottima superiora, e fondò altri monasteri in Francia. Morì in concetto di santità nel gennaio del 1931, felice di aver abbandonato il mondo traditore e di essersi donata a Gesù buono. Gabriele D'Annunzio non poté riempire di gioia e di pace il cuore di Alessandra, il quale era stato creato per amare Dio e solo in Lui riuscì a trovare la felicità. “Inquietum est cor nostrum”, il nostro cuore è inquieto sin tanto che non riposa in Dio.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 27/01/2011 00:12
    [SM=g1740733] Una storia incredibile.....


                              convertito

    Jacques Fesch



    Nell’esteso panorama della santità del Novecento, fra tante figure di grandi apostoli della fede, fondatori e fondatrici, moderni martiri, laici impegnati, operatori di pace o votati al sollievo della sofferenza e dei disagi sociali, ci sono state anche figure chiamate alla santità nella quotidianità, capaci di far risplendere la luce della fede nella vita di ogni giorno, spesso in circostanze difficili o addirittura drammatiche.

    E certamente una delle più sconvolgenti testimonianze, di quanto Dio può operare nella conversione di un’anima e nella sua elevazione spirituale, è la figura di Jacques Fesch, giovane francese di 27 anni, ghigliottinato il 1° ottobre 1957.

    Egli nacque a Saint-Germain-en-Laye presso Parigi, il 6 aprile 1930, da genitori belgi di nobili origini, trasferitasi a Parigi una decina d’anni prima.

    Purtroppo i genitori non seppero tenere unita la famiglia e col tempo questa divisione diede i suoi frutti nefasti; il padre, direttore di banca, era colto, avventuriero, amante della musica, pianista, ma anche cinico, donnaiolo, dichiaratamente ateo; dei figli si interessava quel tanto che bastava.
    La madre, buona di carattere ma introversa, in disaccordo con il marito, non riusciva a neutralizzare la sua nefasta influenza; il tenore di vita era alto, con cambio di case lussuose ma prive di calore umano e il piccolo Jacques cresceva bello, simpatico, ma chiuso.

    Fortunatamente venne ducato per tutta la fanciullezza in un collegio di religiosi cattolici, acquistando una “fede sensibile”, cioè una fede che si amalgama con gli affetti, con la vita.
    Nel difficile periodo dell’adolescenza, cresceva troppo in fretta e quanto più avrebbe avuto bisogno di una guida, tanto più si trovava abbandonato a sé stesso; cominciò ad andare male negli studi, diventò pigro, ostentò a sua volta del cinismo.

    Il padre cominciò a diventare un ideale per il ragazzo, anche se lui per primo si sentiva disprezzato. In una sua lettera, ne scriverà tante dal carcere, Jacques diceva: “A casa nostra c’era tanta religione quanta ce n’era in una scuderia, ed eravamo tutti dei mostri di egoismo e di orgoglio”.

    Alla ricerca di uno scopo nella vita, Jacques Fesch cresceva disorientato, inquieto, molto infelice, corteggiato dalle ragazze, ma senza amore; metteva nel letto un manichino al suo posto, per trascorrere le notti fuori casa, ma forse non era necessario, perché i suoi genitori non volevano accorgersene.
    Aveva 19 anni quando interruppe gli studi, si impiegò in banca, ma per poco tempo, non sopportava il lavoro subordinato; continuò ad appassionarsi al suo amato jazz, ai racconti di viaggi, alla mineralogia; di Dio non si interessava più, anzi copiando il padre, diceva a chi gli poneva domanda a riguardo: ”Dio è una graziosa leggenda, la consolazione di coloro che soffrono, la religione dello schiavo e dell’oppresso”.

    Da quando aveva 17 anni cominciò un’amicizia con Pierrette Polack, primogenita di una numerosa e ricca famiglia di origini ebraica; erano così diversi fra loro, ma si sentivano attratti proprio per questa diversità.
    A vent’anni nel 1950 fu chiamato al servizio di leva e venne inviato tra le truppe francesi operanti ancora in Germania.
    Pierrette allora convinse il padre di poter andare a lavorare a Strasburgo, più vicino a Jacques, che così poté passare le sue licenze nell’appartamentino di lei. La tenerezza di quei momenti, intrisi da un’evidente povertà, sfociò inevitabilmente nell’attesa di un bambino.

    Il conseguente desiderio di sposarsi, fu necessariamente accantonato, perché il matrimonio era osteggiato dal padre di lei ebreo e da suo padre antisemita arrabbiato. Attesero così la maggiore età e poi si sposarono civilmente (con la sola presenza del padre di Pierrette), un mese prima della nascita della piccola Véronique.
    La loro luna di miele fu spezzettata secondo le licenze di Jacques, con qualche bella vacanza in Svizzera, nella villa di montagna di proprietà dei Polack.

    Nell’aprile 1952 ebbe finalmente il congedo militare con l’attestato di buona condotta; fu necessario mettersi a lavorare, con nuove divisioni della famigliola, Pierrette con la bambina a Strasburgo e Jacques a Nancy nell’industria di carbone del suocero, vivendo in un albergo.
    La vita della giovane coppia si svolgeva senza un minimo di organizzazione, in pratica alla giornata, dando libero sfogo ai divertimenti e i soldi non bastavano per tutto il mese.

    Scriverà Jacques alla moglie: “Mia Minou, a Strasburgo io non ti amavo, avevo solo un vivissimo affetto per te, rafforzato dai legami di intimità; è tutto”.

    E alla fine il matrimonio infatti non durò; in parte erano fragili i due ragazzi, in parte si misero di mezzo le famiglie, ci furono dei pasticci economici nella fabbrica del suocero provocati da Jacques, il quale si disaffezionò dal lavoro progressivamente.

    Pierrette tornò dai genitori e Jacques licenziatasi dalla ditta del suocero, andò a vivere con la madre (ormai anch’essa separata dal marito); la mamma gli diede un milione di vecchi franchi per aiutarlo ad intraprendere un’attività in proprio, egli ne spese subito la metà per comprarsi un’auto di lusso e per l’impresa che voleva aprire, essa fallì prima di cominciare, consumando i pochi soldi rimasti.
    La madre a questo punto, infastidita, si disinteressò di lui; allora ritornò dalla moglie Pierrette, la cui lontananza insieme alla bambina lo tormentava, ma per l’opposizione delle famiglie si vedevano di nascosto, a volte in albergo, con atteggiamenti più da fidanzati che da sposi, illudendosi di rivivere i bei tempi della prima giovinezza.

    Ma nel suo intimo Jacques Fesch era disorientato, inquieto, insoddisfatto e di conseguenza molto infelice; tutto sommato una situazione personale e sociale, comune a molti giovani, poi di solito interviene provvidenzialmente un incontro, un’opportunità, un consiglio giusto, ecc. e la maggior parte trova prima o poi una soluzione per uscirne.
    Ma a Jacques, solo, senza lavoro, senza un vero scopo della vita, mancò questo salutare apporto, poi in quegli anni di dopoguerra, i giovani cercavano evasioni, desiderando intraprendere viaggi per conoscere il mondo, e la fantasia di Jacques galoppava sui viaggi fatti dal padre nelle lontane isole del Pacifico, da cui aveva portato ricordi, souvenir, esperienze, amori.
    Per questo gli occorrevano almeno due milioni di franchi per comprare una barca e prendere a viaggiare da solo verso quelle isole sognate.

    Tutti gli chiusero la porta in faccia compreso il padre, e i soldi diventarono la sua ossessione, alla fine decise che bisognava rubarli. E venne il giorno fatidico, il 24 febbraio 1954 con l’appoggio di due delinquenti abituali, armato di una pistola che doveva servire a spaventare il derubato, si recò a sera nel negozio di un cambiavalute ebreo, conosciuto dal padre, a ritirare dell’oro che aveva ordinato la mattina stessa.
    Mentre l’uomo girato, tirava fuori dalla cassaforte l’oro, egli lo colpì alla testa col calcio della pistola, ma partì un colpo e si ferì lui stesso alla mano.

    A questo punto, preso dal panico, scappò a piedi senza prendere nemmeno la macchina parcheggiata lì vicino, sanguinante alla mano, perse anche gli occhiali che portava per la forte miopia.
    I complici per distogliere l’attenzione della polizia da loro, furono i primi a descriverlo; fu inseguito e lui si infilò in un grosso caseggiato salendo le scale fino al tetto, dove rimase finché ritenne che la caccia si fosse interrotta, ma all’uscita dal caseggiato fu riconosciuto.

    Gli fu intimato di fermarsi, ma Jacques in preda al panico, non riconoscendo per la miopia, chi gli stava davanti, sparò attraverso l’impermeabile, uccidendo così un agente; scappando disperatamente ormai in preda al terrore, sparò ancora ferendo di striscio un’altra guardia e sparando all’impazzata contro chiunque gli si parasse davanti, fortunatamente senza colpire altre persone; fu alla fine disarmato e catturato da un anziano ispettore di polizia.

    Percosso a sangue, strattonato, venne condotto piangente e in manette in una cella de “La Santé”, il carcere di Parigi, dove naufragarono i suoi sogni di mari sconfinati ed isole tropicali.

    Cominciò così la seconda fase della disordinata vita di Jacques, con la scoperta, la riflessione, la sofferta risalita, verso le vette della spiritualità più alta, che solo Dio può donare all’anima che lo cerca.

    Mentre la giustizia degli uomini, faceva il suo corso con i processi, gli interrogatori, le accuse della Procura, i piani di difesa dell’avvocato, Jacques Fesch nella solitudine della sua cella, prese a leggere libri, riviste, classici, romanzi, che passava il carcere, altri libri gli pervenivano dalla famiglia, dai genitori in parte rappacificati, dai suoceri e poi dal cappellano e dall’avvocato Baudet, un convertito e Terziario carmelitano; non mancarono opere di un certo livello spirituale, le vite di s. Francesco d’Assisi, s. Teresa d’Avila, s. Teresa del Bambin Gesù.

    Attraverso la lettura dei numerosi libri (250 il primo anno), cominciò a conoscere la vita, i caratteri, le passioni, i desideri, le possibilità di peccare e di raggiungere la santità, la grandezza e la miseria del genere umano, le altezze e le volgarità del pensiero; lesse fra l’altro la “Divina Commedia”.

    Davanti al figlio carcerato, stranamente i genitori trovarono il modo di andargli a far visita e consolarlo e quando la madre seppe con terrore, che rischiava la ghigliottina, giunse ad offrire a Dio la propria vita, affinché il tanto trascurato figlio potesse almeno “morire bene”.

    Dopo un anno di detenzione, una sera che era a letto, avvenne il momento cruciale della sua definitiva conversione, lo raccontò lui stesso nel suo “Giornale intimo”, scritto per comunicare la sua fede alla figlia.
    “Quella sera ero a letto con gli occhi aperti, e soffrivo realmente, per la prima volta in vita mia con un’intensità rara, per ciò che mi era stato rivelato riguardo a certe cose di famiglia. E fu allora che un grido mi scaturì dal petto ‘Mio Dio!’ e istantaneamente, come un vento impetuoso che passa, senza che si sappia donde viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola”.

    Gli sarà di aiuto e conforto nella salita della difficile via della conversione totale, un amico convertito anche lui, Thomas, diventato frate benedettino, a lui verranno scritte le lettere più intime e al quale racconterà l’itinerario spirituale per cui Dio lo conduceva.

    Alle otto del mattino leggeva in un messalino la Messa del giorno, perché era l’ora in cui vi assisteva l’amico frate, poi faceva la meditazione su quanto letto, a sera concludeva la giornata con la “Compieta” della domenica.

    Meditava attentamente la ‘Via Crucis’ e quando ormai capì che la sua vicina condanna era quella capitale, offrì la sua vita per placare la giustizia divina irritata, riteneva che la pena inflittagli fosse ingiusta, nonostante questo egli volle accettarla cooperando all’esecuzione, sembrandogli così di morire meno indegnamente.

    Pregava per la conversione del padre; scoprì l’amore perduto e sciupato per il suo comportamento per la moglie Pierrette, il 7 giugno 1956 morì la madre che aveva offerto la vita per la sua redenzione.
    Il 6 aprile 1957, giorno del suo 27° compleanno, giunse la sentenza definitiva del tribunale, a cui aveva concorso l’agitazione della Polizia, che richiedeva una condanna esemplare; fu trasferito nella ‘cella 18’, quella riservata ai condannati a morte.

    Da qui vincendo la naturale paura e l’odio che vorrebbe invadergli il cuore, perché la pena era sproporzionata alle sue reali intenzioni nell’aver commesso il delitto, intensificò lo scrivere delle lettere piene di fede indirizzate all’amata figlia Véronique, a sua moglie Pierrette, all’avvocato Baudet, all’amico Thomas, alla suocera considerata ormai come una madre, al cappellano del carcere; sempre compilando ogni giorno il “Giornale intimo”.

    Questi scritti sono la testimonianza di una conversione e di una dirompente, genuina, sublime fede che in una situazione drammaticissima, lo accompagnò alla morte mediante la ghigliottina, trasfigurando l’orrore in gioia, per l’imminente incontro con il suo Dio.

    Voleva che fosse celebrato il matrimonio religioso con Pierrette, la quale però era chiusa in un circolo vizioso senza sbocchi spirituali; scriveva Jacques alla suocera: “In fondo, lei aspetta la fede per pregare e non vuole pregare per avere la fede. Allora, ecco, quando sarò lassù, toccherà a me pregare a mia volta per voi, e nell’ora della vostra morte…”.

    Il Presidente della Repubblica Francese René Coty, pur respingendo la domanda di grazia, gli mandò a dire: “Dite che gli stringo la mano per ciò che egli è diventato”.

    Il giorno prima della sentenza, ebbe la consolazione di sapere che Pierrette si era confessata e ricevuto la Santa Comunione, e a sera tramite l’amico Thomas, fu celebrato per procura il loro matrimonio religioso.
    La sentenza era fissata per il 1° ottobre 1957 e Jacques qualche giorno prima disse: “Io tendo una mano alla Vergine, e l’altra alla piccola Teresa; in tal modo non corro alcun rischio, ed esse mi attireranno a sé per consegnarmi al piccolo Gesù per l’eternità”.

    All’alba del 1° ottobre, si avviò all’orribile macchina, con dignità, compostezza e perfino con una certa serenità, baciando il crocifisso, chiedendo perdono a tutti; al punto che la cinquantina di persone presenti e lo stesso boia rimasero scossi.
    A conclusione, si riporta alcuni brani dalle tante lettere scritte, in quei tre anni di tormentata attesa e di felice riscoperta di Dio e dei valori umani e cristiani.

    “Per la prima volta io piango lacrime di gioia, nella certezza che Dio mi ha perdonato e che ora Cristo vive in me, nella mia sofferenza, nel mio amore. Poi è venuta la lotta, silenziosamente tragica, tra ciò che sono stato e ciò che sono divenuto… bisogna che io abbatta, adatti, ricostruisca, e non posso essere in pace che accettando questa guerra” (A Thomas, 14.5.55).

    “A due riprese Dio mi ha detto: ‘Tu ricevi le grazie della tua morte!’. Dio si è impadronito della mia anima. Un velo si è squarciato, e se continuassi a vivere, non potrei mai rimanere sulle vette che ho raggiunto. È meglio che io muoia” (All’avvocato, che tenta di fargli ottenere la grazia).

    “Una cosa sola conta agli occhi del Signore, salvare le anime!… La vita è un cammino stretto che fa capo a una porta piccola che si apre sulla vita vera. Per passare, bisogna prima lasciarsi crocifiggere sulla croce che sbarra l’entrata. Se la sofferenza e la paura ti fanno indietreggiare, non entrerai.. Ma con la prova viene la fede e con la fede i doni, non sono distribuiti grettamente, bensì a profusione.. E questa morte è nient’altro che dona la vita…” (Alla suocera, 3/8/57).

    “Quando Cristo dirige un’anima, è a Maria che in primo luogo la indirizza. Ma chi potrebbe crederlo, se non gli è stato dato dall’alto?… Gesù mi manda da sua Madre, ed è lei che ha in mano la mia salvezza. Nessuna preghiera mi apporta maggior consolazione delle ‘Ave Maria’ e della ‘Salve Regina’, prego ogni giorno per te, bambina mia Veronique, che ti colmi di grazie e ti prenda sotto la sua protezione” (‘Giornale intimo’, 4, 9.8.1957).

    “Mi sono unito con tutta l’anima a Pierrette, che ora è mia moglie in Dio… Reciterò il mio rosario e delle preghiere per i moribondi, poi affiderò la mia anima a Dio. Buon Gesù, aiutami!… Sono più tranquillo di un momento fa, perché Gesù mi ha promesso di portarmi subito in paradiso…Non sono solo, ma il Padre mio è con me. Solo più cinque ore da vivere! Fra cinque ore vedrò Gesù!..

    La pace è svanita per dar posto all’angoscia! È orribile! Ho il cuore che salta nel petto. Santa Vergine, abbi pietà di me! Addio a tutti e che il Signore vi benedica” (‘Giornale intimo’, 30/9/57).


    Autore:
    Antonio Borrelli




    P.S.
    è stato avviato il processo di beatificazione.....


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 21/02/2011 14:30
    [SM=g1740733] Uno sguardo dell'altro mondo

    di Andrea Tornielli
    21-02-2011





    All’Angelus di ieri Benedetto XVI ha ricordato l’«audace obiettivo» della perfezione cristiana. «Dice, infatti, il Signore: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che “alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo”. In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità».

    Sono parole impegnative, per certi versi, dell’altro mondo. Eppure l’esperienza cristiana testimonia che è possibile, nonostante tutto, vivere così. È possibile amare i nemici e pregare per i persecutori. È possibile perdonare, essere capaci di un nuovo inizio. Non contando sulle nostre forze (più ci contiamo, più scopriamo di fare buchi nell’acqua), ma affidandoci quotianamente a un Altro che cambiando giorno dopo giorno la nostra vita, nonostante i macigni dei nostri limiti e dei nostri peccati, rende possibile uno sguardo diverso sulla realtà. Ogni logica umana e mondana viene stravolta da quelle parole di Gesù.

    Quanto ci sarebbe bisogno di questo nuovo inizio nella vita di ciascuno, in un Paese come il nostro sempre più dilaniato a tutti i livelli da scontri, contrapposizioni, ingiurie. Quanto ci sarebbe bisogno di questo nuovo inizio nella vita di tanti Paesi nei quali regnano l’odio, la violenza, la guerra. Eppure il cammino verso la perfezione cristiana, verso uno sguardo dell’altro mondo sulla realtà, è qualcosa di veramente possibile per chiunque.

    Dopo il processo diocesano celebrato a Parigi, stanno per arrivare a Roma gli atti della causa di beatificazione di Jacques Fesch, (la cui storia è nel messaggio precedente, nota mia ), un giovane francese ghigliottinato 53 anni fa per aver ucciso un poliziotto e ferito un cambiavalute durante una rapina. Fesch in carcere si è convertito, ha ascoltato la voce di Dio, ha raggiunto le vette della spiritualità, ha affrontato senza ribellarsi la pena capitale alla quale era stato condannato. Aprendo la causa, l’allora cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger, disse spiegò che «dichiarare qualcuno santo non significa per la Chiesa far ammirare i meriti di questa persona ma dare l’esempio della conversione di qualcuno che, quale che sia il suo percorso umano, ha saputo ascoltare la voce di Dio e convertirsi. Non esistono peccati tanto gravi da impedire che Dio raggiunga l’uomo e gli proponga la salvezza».

    Non esistono limiti o precondizioni per intraprendere il cammino della perfezione cristiana. Occorre che accada un fatto, che l’uomo riconosca di essere nulla, bisognoso di tutto. Riconosca di appartenere a un Altro, e permetta alla grazia di Dio di operare dicendo di sì.

    E.... LEGGETE ANCHE QUI:
    Verso gli altari un giovane condannato a morte per omicidio (Izzo)




    [Modificato da Caterina63 21/02/2011 14:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)