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ATTENZIONE: notizie importanti che i Media tacciono (notizie FILTRATE)

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2018 23:55
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26/01/2011 22:40
 
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  Amici.... apriamo qui una rubrica insolita... riporteremo quelle notizie che i Media tacciono o che FILTRANO ossia, notizie che secondo loro o per la "politica corretta" non devono essere lette dal popolino perchè sono notizie BUONE.... forse qualcuna meno buona, ma taciuta magari perchè potrebbe recare delle buone conseguenze....

Buona lettura!
e chi volesse contribuire, segnali con una email, oppure incolli qui la notizia....


Tribunale Europeo: gli Stati non sono costretti a favorire il suicidio


Sostiene la legge svizzera che esige una ricetta per le sostanze letali


STRASBURGO, mercoledì, 26 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Anche se il Tribunale Europeo dei Diritti Umani riconosce in qualche modo il cosiddetto diritto al suicidio, una decisione presa giovedì scorso nega che gli Stati abbiano il dovere positivo di fornire ai cittadini i mezzi per togliersi la vita.

La sentenza chiude un caso di suicidio assistito di alto profilo, Haas vs. Svizzera. Il caso è quello di un uomo che soffriva di una depressione maniacale e ha accusato lo Stato svizzero di violare il suo diritto alla vita privata perché lo costringeva ad avere una ricetta per ottenere una sostanza letale e potersi così togliere la vita.

Nessuno degli psichiatri contattati dal richiedente gli avrebbe fornito una ricetta; le sue condizioni non erano gravi.

L'appellarsi alla vita privata era basato sul significato di questo termine, nell'art. 8 della Convenzione Europea, previamente garantito dal Tribunale dei Diritti. Nel 2002, il Tribunale ha stabilito che la scelta del richiedente di come porre fine alla propria vita apparteneva all'ambito della sua vita privata, difeso dalla Convenzione Europea.

Il Tribunale ha confermato in questo modo il diritto al suicidio, ma lo ha sottoposto a due condizioni: che l'individuo sia capace di prendere questa decisione e che sia capace di portare a termine l'azione.

Il Tribunale, dunque, difende una sorta di diritto al suicidio, ma con la decisione di giovedì respinge l'esistenza di un diritto di assistenza al suicidio, derivante dalla Convenzione Europea.

Grégor Puppinck, direttore del Centro Europeo di Diritto e Giustizia, ha affermato che questa nuova sentenza conferma che non si può invocare la Convenzione per reclamare un presunto diritto all'eutanasia o al suicidio assistito.

Il Tribunale ha inoltre fatto riferimento all'articolo 2 della Convenzione Europea, che difende il diritto alla vita. Si dice che le autorità sono costrette a evitare che la persona si tolga la vita se la decisione non è presa “liberamente e con totale consapevolezza”.

Quanto al desiderio del richiedente di ottenere sostanze letali senza ricetta, il tribunale ha affermato che questa decisione ha l'obiettivo di prevenire gli abusi e preservare gli individui da una decisione presa in modo affrettato.

Un comunicato del Centro Europeo di Diritto e Giustizia ha riassunto la decisione in questo modo: “Per questo, nonostante un ancora problematico riconoscimento di una sorta di diritto al suicidio, come estensione peculiare e discutibile del diritto alla vita privata, il Tribunale non sostiene le dichiarazioni del richiedente secondo cui lo Stato avrebbe il dovere positivo di adottare misure che permettano un suicidio rapido e senza dolore”.

“Al contrario, secondo l'articolo 2 che garantisce il diritto alla vita, lo Stato deve assicurare la difesa della vita della gente che vive sotto la sua giurisdizione. Anche nel caso in cui il suicidio assistito sia permesso, con in Svizzera, lo Stato deve prevenire gli abusi nell'impiego di questa facoltà, perché il suo dovere è quello di difendere la vita”.










La Francia dice no all'eutanasia

di Antonio Giuliano
26-01-2011




La Francia che non t'aspetti dice no all’eutanasia. Ieri notte, dopo un lungo e animato dibattito, il senato francese ha respinto la proposta di legge che prevedeva l'instaurazione di «un’assistenza medica alla morte».

Il 18 gennaio scorso la commissione Affari sociali del Senato francese aveva approvato la proposta di legalizzazione dell’eutanasia. Ieri invece ampia è stata la maggioranza di senatori, 170 contro 142, che ha votato per la soppressione degli articoli del testo di legge. Prima della votazione si era detto contrario anche il primo ministro François Fillon che così aveva dichiarato al quotidiano Le Monde: «A titolo personale sono ostile alla legalizzazione di un aiuto attivo a morire». 

A suscitare la reazione negativa è stato soprattutto il primo articolo della normativa, per il quale: «Ogni persona maggiorenne e capace, in situazione terminale a causa di un incidente o di una malattia grave ed incurabile, e che subisca una sofferenza fisica o psichica che non può essere alleviata e che ritiene insopportabile, può chiedere di beneficiare di un'assistenza medica che permetta, con un atto deliberato, una morte rapida e indolore».

Diverse erano state le iniziative contro il disegno di legge. L’associazione “Plus digne la vie”, che conta tra i suoi fondatori i Premi Nobel Elie Wiesel (scrittore) e Françoise Barré-Sinoussi (virologa), aveva lanciato una petizione che ha raccolto migliaia di firme, fra cui quelle del professor Laurent Lantieri, autore del primo trapianto totale di viso. Per il chirurgo, «votare una legge che autorizza l'eutanasia, è negare i possibili progressi della medicina» (Zenit).  E anche l'Ordine dei medici francese aveva manifestato il proprio dissenso: «Istituire questo diritto è esporre le persone più vulnerabili, malate o handicappate, a delle derive incontrollabili», oltre al fatto che «compromette la fiducia dei malati nel personale curante ed esercita nei confronti dei medici una pressione di una estrema violenza».

Ma per i contrari al progetto di legge non è stata una vittoria facile. Alla vigilia del voto la stampa transalpina ha sbandierato un sondaggio secondo cui il 94% dei francesi si dichiara favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia in certi casi e a patto che venga rigorosamente regolata. In realtà poco credito è stato dato a un altro sondaggio condotto dalla Société Française d’Accompagnement et de Soins Palliatifs (SFAP), per cui almeno il 60% della popolazione preferisce le cure palliative all’eutanasia. Anche perché, hanno ricordato gli oppositori del provvedimento, in Francia esiste già una norma, la  “legge Léonetti” del 2005, di cui si ignora l'esistenza ma che proibisce già l'accanimento terapeutico.

Rimangono così tre gli stati europei che hanno legalizzato la “dolce morte”: Olanda (primo paese al mondo a introdurla nel 2001), Belgio e Lussemburgo. Ma il dibattito è destinato a rimanere acceso in tutt’Europa. E le organizzazioni contrarie all’eutanasia non possono certo abbassare la guardia. Se infatti in Svizzera è già in vigore una legge che consente l'aiuto al suicidio ("se prestato senza motivi egoistici"...), nel 2010 diversi sono stati i segnali preoccupanti in altre nazioni. In Svezia per esempio l’autorità sanitaria nazionale ha dato già il suo via libera all’eutanasia.  E in Germania la Corte di giustizia tedesca si è espressa a favore dell'eutanasia “passiva”. Senza dimenticare che in Spagna, il parlamento dell’Andalusia ha varato un provvedimento favorevole a quella che è stata definita «morte degna».












[Modificato da Caterina63 27/01/2011 11:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Tribunale europeo: non esiste il diritto all'aborto


Difende il divieto di abortire della Costituzione irlandese


STRASBURGO, venerdì, 17 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha deciso che non c'è un “diritto umano all'aborto” in un caso relativo a una sfida alla Costituzione irlandese.

La Grande Sala del Tribunale europeo ha emesso questo giovedì una sentenza sul caso A, B e C versus Irlanda, sottolineando che il divieto costituzionale irlandese di abortire non viola la Convenzione Europea dei Diritti Umani.

La sfida alla norma irlandese è stata portata in Tribunale nel dicembre scorso da tre donne che affermavano di essere state “costrette” a recarsi all'estero per abortire, sostenendo che in questo modo mettevano in pericolo la propria salute.

Il Tribunale ha deciso che le leggi del Paese non violano la Convenzione Europea dei Diritti Umani, che sottolinea il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”.

Il Centro Europeo di Diritto e Giustizia, terza parte in questo caso, ha  lodato il riconoscimento da parte Tribunale del “diritto alla vita del non nato”.

Il direttore del Centro, Grégor Puppinck, ha spiegato a ZENIT la preoccupazione che il Tribunale “riconoscesse il diritto all'aborto” come un “nuovo diritto derivato dall'interpretazione sempre più ampia dell'articolo 8”.

Ad ogni modo, ha aggiunto, “il Tribunale non ha riconosciuto questo diritto”, ma ha “riconosciuto il diritto alla vita del non nato come diritto legittimo”.

Puppinck ha spiegato che “il Tribunale non riconosce il diritto alla vita del non nato come un diritto assoluto, ma come un diritto che deve essere valutato con altri interessi in conflitto, come la salute della madre o altri interessi sociali”.

Equilibrio di interessi

Gli Stati, ha proseguito, “hanno un ampio margine di apprezzamento nel ponderare questi interessi in conflitto, anche se c'è un vasto consenso pro-aborto nella legisazione europea”.

“Questo è importante – ha riconosciuto –: l'ampio consenso pro-aborto nella legislazione europea non crea alcun nuovo obbligo, come in altri temi dibattuti a livello sociale e morale”.

“In questo modo, uno Stato è libero di fornire un grado molto elevato di protezione del diritto alla vita del bambino non nato”, diritto che “può superare legittimamente altri diritti in conflitto garantiti”.

Secondo Puppinck, “in quanto tale, non esiste un diritto autonomo a sottoporsi a un aborto basato sulla Convenzione”.

Il direttore del Centro Europeo di Diritto e Giustizia ha affermato di non ricordare “alcun caso precedente che riconosca chiaramente un diritto autonomo alla vita del bambino non nato”.

Un comunicato del Centro Europeo di Diritto e Giustizia sottolinea che “l'obiettivo naturale e il dovere dello Stato è quello di difendere la vita della sua popolazione; le persone, quindi, mantengono il diritto di vedere la propria vita difesa dallo Stato”.

“La reciprocità tra i diritti delle persone e il dovere dello Stato nel settore della vita e della sicurezza è tradizionalmente considerata la basa della società pubblica; è inoltre il fondamento dell'autorità e della legittimità statale”, indica.

“L'autorità per prescrivere la difesa del diritto alla vita spetta originariamente allo Stato e si esercita nel contesto della sua sovranità”, conclude.







Un aiuto per guarire chi è ricorso all'aborto


La Vigna di Rachele organizza ritiri in Italia



di Elizabeth Lev


ROMA, martedì, 26 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Nel 1767, i missionari europei si sono recati in California per portare un messaggio di speranza e amore attraverso il Vangelo; 250 anni dopo, quei semi sono tornati nel Vecchio Continente per portare frutto.

Monika Rodman, originaria della zona della Baia di San Francisco, si è trasferita nell'Italia meridionale nel 2007 e ha portato con sé La Vigna di Rachele, un ministero concepito per donne che hanno effettuato un aborto.

Ho avuto la fortuna di incontrare questa pioniera del Nuovo Mondo agli inizi di ottobre durante il V Congresso Mondiale di Preghiera a Roma, dove pubblicizzava il ritiro de La Vigna di Rachele dal 5 al 7 novembre a Bologna.

Negli Stati Uniti, dove sono stati effettuati più di 50 milioni di aborti da quando la decisione della Corte Suprema del 1973 Roe vs. Wade ha legalizzato questa pratica, la questione dell'aborto è molto discussa ed è una potente argomentazione politica. L'affare multimiliardario dell'aborto esercita pressioni sul Governo per il suo finanziamento, ed è onnipresente nella forma di cliniche in ogni città statunitense.

L'Italia ha legalizzato l'aborto nel 1978. Alla metà degli anni Ottanta c'era una media di 230.000 aborti all'anno. Il numero è diminuito negli anni Novanta, arrivando a circa 130.000. Tecnicamente l'aborto è legale solo nel primo trimestre della gravidanza, con eccezioni per aborti al secondo trimestre per anomalie fetali destinate ad avere gravi conseguenze psicologiche sulla madre. Gli italiani discutono raramente dell'aborto, e un partito politico non si fonderebbe o non cadrebbe mai sulla base della questione.

Nonostante le differenze nel discorso sociale che circonda l'aborto, Monika Rodman ha rilevato un aspetto comune: le donne che hanno effettuato un aborto erano isolate, sofferenti e trascurate da un lato e dall'altro dell'oceano.

La Rodman ha sottolineato che l'omertà regna non solo nelle zone in cui la mafia è particolarmente influente, ma anche nella cultura dell'aborto.

“I tuoi amici per il diritto all'aborto dicono 'Dimenticalo', e tu naturalmente temi la condanna di quanti si definiscono pro-vita”, ha detto la Rodman. “In un modo o nell'altro, le donne che hanno effettuato un aborto realizzano presto che la loro è una perdita indescrivibile e un dolore che devono nascondere”.

Ciò, afferma, è ancora più valido in Italia, dove “molte persone vivono con la famiglia d'origine, dove l'argomento non deve mai essere discusso”.

“L'aborto è una ferita universale, ed è difficile da guarire”, ha commentato la Rodman, che ha lavorato per 12 anni al progetto de La Vigna di Rachele a Oakland, in California, prima di trasferirsi in Puglia. Il silenzio che circonda l'aborto fa sì che la ferita si acuisca anziché guarire, distruggendo spesso famiglie, matrimoni e rapporti con Dio.

La Rodman nota anche alcuni contrasti interessanti. A differenza degli Stati Uniti, dove solo il 20% degli aborti interessa donne sposate, in Italia i due terzi sono effettuati da donne sposate. Questo trauma della morte di un figlio cresce nonostante la negazione, visto che la coppia non ne parla mai, e questo fatto si muove quindi in modo sotterraneo, danneggiando spesso il matrimonio alla base.

Un altro caso tipicamente italiano è quello delle madri che costringono le figlie nubili sui vent'anni ad abortire perché sono “troppo giovani” e non vogliono che danneggino le proprie possibilità di matrimonio o di carriera. Dopo il trauma dell'aborto, la madre e la figlia continueranno a vivere insieme, spesso per anni, con un risentimento inespresso che cresce tra loro.

In Italia gli aborti vengono effettuati soprattutto negli ospedali, e coperti dal sistema sanitario statale. Queste procedure avvengono sullo stesso piano dei reparti maternità, per cui le donne che hanno effettuato un aborto vedono tutte le neomamme felici entrare e uscire dall'edificio, aumentando il proprio dolore.

Per la Rodman, in Italia le statistiche sull'aborto non sono molto accurate, visto che molti vengono effettuati illegalmente o al di fuori dei parametri della legge (ad esempio pagandoli in contanti in un ufficio privato). Alcune donne vogliono evitare il periodo di attesa di sette giorni, altre hanno paura di andare in un ospedale pubblico temendo di essere riconosciute. Queste donne sono ancora più isolate da assistenza e guarigione.

Monika Rodman organizza ritiri per le donne italiane che si sono sottoposte a un aborto. Anche se finora si sono svolti solo nel nord Italia, vi hanno partecipato anche donne giunte dal centro e dal sud. Il team del ritiro include uno psicologo e un sacerdote, e il metodo de La Vigna di Rachele offre esercizi di Scrittura e sui sacramenti, così come un servizio commemorativo per il bambino non nato. Durante questo periodo di riflessione, preghiera e condivisione di esperienze con altre donne e uomini che vivono la stessa sofferenza, molti intraprendono la lunga strada della guarigione.

La Vigna di Rachele è stata salutata con incoraggiamento da molte Diocesi italiane e ha trovato un forte alleato nella rete italiana dei centri di ascolto cattolici, fondati come alternativa ai centri per la pianificazione familiare spuntati negli anni Settanta. Le donne contattano la Rodman attraverso il suo sito Internet e perché ne hanno sentito parlare da amici, clero, centri di ascolto e di aiuto in gravidanza cattolici. Avendo compreso la natura particolarmente privata dell'aborto in Italia, la Rodman dà grande importanza alla discrezione.

Il suo apostolato italiano non è solo alimentato dall'amore, ma è stato provocato dall'amore. Il suo matrimonio con Domenico Montanaro nel 2007 l'ha portata in Italia, e ha portato anche suo marito ne La Vigna di Rachele.

Il marito, il suo più grande sostenitore, si sorprende della sua difesa appassionata e della sua comprensione. Come direbbe Virgilio, “Omnia vincit amor”.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]




                                                        fiore b

[Modificato da Caterina63 26/01/2011 23:25]
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L'agenda “Europa” sarà corretta e includerà le feste cristiane


Richiesta di più di 32.000 europei con una petizione in sette lingue


BRUXELLES, lunedì, 24 gennaio 2011 (ZENIT.org).- L'agenda Europa, edita dalla Commissione Europea (nota mia - che era stata pubblicata all'inizio del 2011 e che includeva tutte le feste fuorchè quelle cristiane....) per essere distribuita nelle scuole, verrà corretta, e nella sua nuova versione includerà le feste cristiane.

Verrà anche aggiunto un supplemento alle copie già stampate, che omettevano queste feste mentre menzionavano quelle di altre religioni.

Il presidente della Conferenza Episcopale Francese (CEF), il Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi, ha scritto al Ministro francese incaricato degli Affari Europei, Laurent Wauquiez, per chiedergli di intervenire in sede di Commissione Europea sul tema delle agende 2011.

“Mi piacerebbe sapere quali sono le misure adottate dal Governo francese nella Commissione  Europea per manifestare la propria disapprovazione di fronte a questo attentato alle convinzioni dei cristiani del nostro Paese (in piena opposizione con i trattati che reggono l'Unione Europea) e per ottenere una riparazione morale di quello che viene percepito legittimamente come uno scandalo”, ha scritto il presidente della CEF.

Una petizione lanciata su Internet il 12 febbraio ha ricevuto in una settimana 32.000 adesioni, in sette lingue.

Wauquiez ha dichiarato di aver reclamato con il commissario europeo incaricato della stampa: “Ho espresso la mia sorpresa per iscritto a John Dalli, commissario europeo incaricato della salute e della difesa dei consumatori, la cui direzione stampa l'agenza Europa”, ha spiegato.

“Gli ho chiesto di farmi sapere in quanto tempo potrà essere corretto questo errore”, ha aggiunto.

Per il Ministro, “questo episodio è l'opportunità di ricordare che nell'Unione Europea non viene tollerata alcuna discriminazione religiosa”.

John Dalli si è impegnato a inviare una correzione alle scuole che hanno già ricevuto l'agenda e a correggere l'errore nelle prossime versioni.

In una lettera all'ex Ministro francese Christine Boutin, ha segnalato: “Invieremo rapidamente un corrigendum a tutte le scuole dell'Unione Europea che hanno ordinato l'edizione 2010-2011 dell'agenda”.

“Il corrigendum sarà accompagnato da un annesso con i giorni festivi ufficiali, incluse le feste religiose, negli Stati membri – ha aggiunto –. Verranno incluse anche nelle edizioni future dell'agenda”.

In un lettera al presidente della Commissione Europea, José Manuel Durão Barroso, la Boutin ha dichiarato: “Sono lieta di queste disposizioni, che manifestano la coscienza della Commissione Europea dell'impossibilità di costruire l'Europa negando la sua storia, la sua cultura e i suoi valori fondanti”.

La Boutin, presidente del partito democratico-cristiano, ha chiesto un'udienza a Barroso. “Per rispetto nei confronti dei firmatari della nostra petizione, sarei lieta che mi concedesse un'udienza formale, per consegnargli ufficialmente la petizione e la lista dei firmatari”, ha spiegato.

“Sarebbe il segno del nostro desiderio di lavorare insieme per far crescere e brillare una civiltà comune, per aprire la pagina di un'Europa orgogliosa della sua eredità, rispettosa dei popoli e delle Nazioni e rivolta al futuro”, ha aggiunto.




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Stati Uniti: i leader religiosi uniti per difendere il matrimonio


WASHINGTON, D.C., giovedì, 16 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Leader religiosi delle comunità anglicana, battista, cattolica, evangelica, ebraica, luterana, mormone, ortodossa, pentecostale e sikh negli Stati Uniti si sono uniti per diffondere una lettera in cui affermano il proprio impegno a difendere il matrimonio.

Nel testo, diffuso la settimana scorsa, hanno sottolineato il matrimonio come “l'unione permanente e fedele di un uomo e una donna”.

La pubblicazione della lettera su “La difesa del matrimonio: un impegno condiviso” arriva nel momento in cui una Corte federale d'appello a San Francisco ha iniziato a sentire argomentazioni relative alla Proposizione 8.

Tale provvedimento, noto come California Marriage Protection Act, è stato approvato dalla maggioranza degli elettori dello Stato nel 2008. E' stato quindi aggiunto come emendamento costituzionale per cui “solo il matrimonio tra un uomo e una donna è valido e riconosciuto in California”.

Ad agosto, tuttavia, il giudice Vaughn Walker ha stabilito che il provvedimento era incostituzionale, e il caso è passato alla Corte federale d'appello.

L'Arcivescovo Timothy Dolan di New York, eletto di recente presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti e tra i firmatari della lettera, ha dichiarato che “è il momento di sostenere il matrimonio e il suo significato immodificabile”.

“Speriamo che la lettera incoraggi proprio questo”, ha aggiunto.

Per monsignor Dolan, “l'ampio consenso che si riflette in questa lettera – tra le grandi divisioni religiose – è chiaro: la regola del matrimonio non riguarda l'imposizione della religione di nessuno, ma la difesa del bene comune di tutti”.

“Le persone di ogni fede o di nessuna possono riconoscere che quando una legge definisce il matrimonio come tra un uomo e una donna vincola legalmente una madre e un padre l'uno all'altra e ai loro figli, rafforzando la cellula fondamentale della società umana”, ha sottolineato.

I leader religiosi hanno rimarcato questo aspetto, indicando che “il matrimonio è un'istituzione fondamentale per il benessere di tutta la società, non solo delle comunità religiose”.

“La difesa del significato unico del matrimonio non è un interesse speciale o limitato, ma serve il bene di tutti”.

“Per questo – concludono –, invitiamo e incoraggiamo tutti, dentro e fuori le nostre comunità di fede, a unirsi a noi nel promuovere e difendere il matrimonio come unione di un uomo e una donna”.

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Il Difendere la Vera Fede si unisce a questa difesa....




[Modificato da Caterina63 26/01/2011 23:08]
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In Europa, il “matrimonio” omosessuale non è un diritto


Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani



STRASBURGO, martedì, 6 luglio 2010 (ZENIT.org).- Lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) ha appoggiato la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) che ha affermato che non esiste un diritto di matrimonio o di partnership registrata per gli omosessuali in base alla Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Analizzando la sentenza Schalk e Kopf v. Austria (n° 30141/04), la Corte ha affermato il 24 giugno scorso che il Governo austriaco non ha discriminato la coppia non permettendo a due uomini di contrarre matrimonio.

La Corte ha ribadito all'unanimità che il diritto di sposarsi è garantito solo a “uomini e donne”, come esposto nell'articolo 12 della Convenzione.

Ha anche osservato che tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa “non c'è ancora una maggioranza di Stati per fornire un riconoscimento legale alle coppie dello stesso sesso. L'area in questione, dunque, deve ancora essere considerata uno dei diritti in evoluzione con un consenso non stabilito”.

Visto che “il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali profondamente radicate che possono differire ampiamente da una società all'altra, la Corte ribadisce che non deve affrettarsi a sostituire il proprio giudizio a quello delle autorità nazionali, che sono le più adatte ad affrontare e a rispondere alle necessità della società” (§62), e che “gli Stati sono ancora liberi, in base all'articolo 12 della Convenzione e all'articolo 14 considerato insieme all'articolo 8, di restringere l'accesso al matrimonio alle coppie di sesso diverso” (§108).

In altre parole, la Corte ha prudentemente rinunciato, anche se solo per il momento, a imporre agli Stati nazionali il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso.

Gregor Puppinck, direttore dell'ECLJ, interpreta questa rinuncia prudente alla luce dell'attuale “ribellione” di una dozzina di Stati membri nel caso italiano del crocifisso (Lautsi v. Italia) contro una tendenza della Corte di imporre nuovi diritti umani “post-moderni” che contraddicono i valori sottostanti la Convenzione.

“Gli Stati non possono essere vincolati ad accettare nuovi obblighi che non si trovino nella Convenzione e siano inoltre contrari ad essa”, ha aggiunto Puppinck in alcune dichiarazioni inviate a ZENIT.




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“C’erano una volta i maschi e le femmine…”


di Fabio Piemonte

ROMA, mercoledì, 6 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Venerdì 1 ottobre si è svolto presso il Salone “Genovesi” della Camera di Commercio di Salerno il convegno sul tema “C’erano una volta i maschi e le femmine…ora siamo nell’Era del Genere”, promosso dall’Associazione culturale “Veritatis Splendor”.

Dopo l’introduzione del prof. Marco Di Matteo, Presidente dell’Associazione, sono intervenuti la prof.ssa Dina Nerozzi Frajese, docente di Psiconeuroendocrinologa presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, che ha analizzato gli aspetti scientifici e storico-culturali della teoria del “gender”, e il prof. Giacomo Samek Lodovici, docente di Storia delle dottrine morali presso l’Università Cattolica di Milano, che ne ha affrontato i risvolti filosofici ed antropologici.

La prof.ssa Nerozzi ha iniziato la sua relazione chiarendo il significato dell’espressione “ideologia di genere”, che è fondata sulla negazione dell’esistenza di un’identità sessuale oggettiva, in quanto l’identità sessuale sarebbe il risultato di sovrastrutture culturali e sociali da demolire.

Alla luce di tale teoria, sbandierata dai famosi “rapporti Kinsey” sulle abitudini sessuali degli americani, che negli anni ‘50 divulgarono un dato falso, ossia l’esistenza di cinque generi sessuali di cui quello mediano “normale” sarebbe la bisessualità, ciascuno sarebbe libero di scegliere il proprio orientamento sessuale a seconda del proprio gusto.

Sulle radici filosofiche della teoria del genere si è soffermato soprattutto il prof. Samek Lodovici, richiamando l’attenzione sulle radici relativistiche della teoria del genere e sul ruolo che hanno svolto, nella diffusione di una concezione completamente distorta della sessualità e delle relazioni tra uomo e donna, il marxfreudismo e le teorie di Marcuse, il quale identificava nella differenza tra maschi e femmine una “diseguaglianza da abbattere”. Sulla scia di tale impianto si è sviluppato inoltre quel femminismo radicale che, mediante le parole della Firestone, ha ribadito a più riprese che “il fine ultimo della rivoluzione femminista non consiste nell’eliminazione dei privilegi, ma nella stessa cancellazione delle distinzioni tra sessi”.

Infine, come hanno ben evidenziato i due relatori, con questa teoria l’“antilingua”, introducendo un concetto ambiguo, quale quello di “genere”, che non si basa su alcuna evidenza scientifica, può celebrare il suo trionfo, in quanto la sessualità ha perso il suo referente reale, ossia il maschio e la femmina, per ridursi ad “orientamento sessuale”.

Si inaugura così una nuova etica del sesso ricreativo, quale quella in cui sperava il dottor Money, allorquando volle dimostrare nel 1972 che fosse possibile educare un bambino come una femminuccia. Ma può essere sufficiente tale presunta rieducazione del proprio orientamento sessuale a cancellare ogni distinzione biologica, se i cromosomi indicano incontrovertibilmente l’opposto?

Purtroppo però, e lo dimostrano tante politiche contemporanee, quando si crea una frattura tra l’idea e la realtà, non sempre si è disposti ad accantonare le proprie tesi, pur se smentite dalla realtà; meglio piuttosto sovvertire la realtà secondo le proprie idee. Ecco perché, a buon diritto, è corretto contraddistinguere tale teoria come un’ideologia, che sta ormai condizionando anche l’azione degli organismi internazionali.







[Modificato da Caterina63 26/01/2011 23:30]
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A cosa serve la fede? Ecco una risposta


di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 13 dicembre 2010 (ZENIT.org).- “Il bene non fa notizia” è un principio che si impara alla scuola di giornalismo. Infatti giornali e televisioni sono pieni di omicidi, scandali, rapine, furti, processi. Mancano (o sono molto scarse) le buone notizie. Eppure, a me capita spesso, visitando paesi e città per incontri e conferenze, di conoscere le meraviglie che gli italiani riescono a realizzare anche in un tempo di crisi delle famiglie e della società come il nostro.

Il 7 dicembre scorso, vigilia dell’Immacolata Concezione, ho parlato di Madre Teresa alla “Scuola professionale Oliver Twist” di Como (si definisce anche “Liceo del Lavoro”), che insegna a 450 ragazzi e ragazze un mestiere, mentre compiono i corsi scolastici medi e superiori, abbinando i programmi tradizionali con l’avviamento ad una professione: falegnameria, restauro, decorazione, tappezzeria, operatore dell’area tessile, del legno e dell’arredamento e dell’alberghiera. Nell’ottobre scorso, ad esempio, ha diplomato 15 ragazzi e ragazze come operatori del settore alberghiero.

Con una nota particolare che rende l’esperienza esemplare: i ragazzi che frequentano questa scuola sono ricuperati da situazioni sociali o familiari difficili, che hanno impedito loro di seguire una scuola normale. Secondo i dati del “Rapporto sulla dispersione scolastica” pubblicato nel 2008 dal “Ministero della Pubblica Istruzione”, ogni anno 47.455 ragazzi lasciano la scuola senza aver raggiunto una qualifica superiore, a volte nemmeno il diploma di media inferiore. Quei minorenni spesso sono preda di un progressivo disimpegno e disinteresse verso qualsiasi forma di apprendimento e di lavoro e vanno ad ingrossare le fila dei disadattati alla società in cui viviamo.

Oliver Twist è il protagonista di un famoso romanzo di Charles Dickens, che, dopo mille difficoltà, grazie all’incontro con una persona che lo accoglie e lo introduce alla vita, ritrova la sua strada e ricomincia a sperare. Così sta facendo il “Liceo del Lavoro” di Como, fondato dalla Comunità Cometa, anche questa una bella realtà generata dalla fede in Cristo.  

Tutto nasce da due fratelli comaschi, Erasmo e Innocente Figini, il primo stilista di tessuti e arredatore, il secondo chirurgo oftalmico e primario dell’oculistica all’Ospedale Valduce di Como, che dal 1986, dopo un incontro con don Luigi Giussani, ospitano nelle loro famiglie i ragazzi meno fortunati. Hanno iniziato con un bambino sieropositivo abbandonato dai genitori con problemi di droga. “L’incontro con don Giussani – dice Erasmo – resta una pietra miliare nella nostra vita. Lui ci ha dato la forza per decidere di intraprendere quel cammino, quando dell’Aids si sapeva poco o nulla”. Unendo le due famiglie, i fratelli Figini comperano una vecchia cascina alle porte di Como (la “Brusada”), la restaurano e iniziano ad accogliere i minorenni affidati loro dalla polizia o dal Tribunale dei minori e con l’aiuto di altri volontari creano l’associazione Cometa che continua nel cammino e attira simpatia e aiuti: il bene “non fa notizia”, ma crea partecipazione e aiuti economici. Si comperano terreni contigui alla cascina, si costruiscono altre case tutte unite fra di loro (in tutto 68 appartamenti), arrivano altre due famiglie che condividono l’esperienza dei Figini e di una comunità femminile dei “Memores Domini” (consacrate a vita di C.L.). Oggi Cometa ha quattro famiglie, una comunità religiosa e e una quarantina di minorenni, tra figli propri e adottati da allevare ed educare.  

Da questo inizio, nasce la Scuola Oliver Twist, che oggi insegna a 450 ragazzi un mestiere artigianale aiutandoli a terminare gli studi superiori. Un edificio modernissimo con tutta l’attrezzatura di laboratorio necessaria. E poi 250  imprese del territorio comasco accettano gli studenti della Oliver Twist per un periodo di “stage” o vengono assunti direttamente quando diplomati. Risultato: ragazzi che avevano rifiutato o erano stati espulsi dalla scuola, rientrano nei percorsi formativi istituzionali, imparano la passione per il lavoro e stipulano contatti di lavoro. Ho chiesto da dove vengono tutti questi soldi e mi spiegano che, oltre agli aiuti statali (della Regione Lombardia e della provincia e città di Como), molti privati aiutano l’associazione: Leonardo Del Vecchio, presidente di Luxottica, Vittorio Colao Ceo di Vodafon, il maestro Riccardo Muti, che nel novembre 2009 ha tenuto un concerto a Como ed ha voluto sul palco i ragazzi e i genitori della Cometa; e poi tanti altri amici che continuano ad aiutare secondo le proprie possibilità.  

Ho partecipato alla cena della comunità, sul muro una frase del Vangelo di Giovanni: “Senza di me non potete fare nulla”. Una cinquantina di persone, in un’atmosfera di gioia e di condivisione che non é facile trovare altrove. Durante la cena ho anche parlato al microfono raccontando in breve la storia di Marcello Candia e dei miei genitori servi di Dio Rosetta e Giovanni. Poi la conferenza su Madre Teresa a 250 comaschi nel salone della Scuola attigua alla comunità e il ritorno a Milano nella notte. Grazie, Signore, i tuoi miracoli sono ancora tra noi, dobbiamo saperli vedere per ringraziarti.  

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.


                                      



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Perché giornali e TV non ne parlano mai?


di padre Piero Gheddo* 

ROMA, mercoledì, 3 novembre 2010 (ZENIT.org).- Nel gennaio 2010 l’Onu ha lanciato un grido d’allarme nel suo “World Population Ageing 2009” (la popolazione del mondo invecchia): per la prima volta nella storia, entro il 2045 le persone sopra i 60 anni supereranno i bambini, perchè crescono del 2,6% all’anno, tre volte più velocemente rispetto alla crescita normale della popolazione.

Tale invecchiamento accomuna sia i Paesi ricchi che quelli in via di sviluppo. Nella maggioranza degli Stati al mondo gli abitanti diminuiscono, cioè ci sono più anziani che bambini. La Cina - che per legge ha sposato la politica del figlio unico - sperimenta le tremende ripercussioni sociali che tale scelta suicida provoca: oggi mancano in Cina milioni di donne in età di matrimonio, poiché tutte le coppie volevano il figlio maschio e le bambine venivano e vengono eliminate alla nascita! Il documento del Palazzo di Vetro segnala come il drammatico crollo demografico dell’umanità avrà conseguenze molto gravi in campo sociale ed economico. Cioè ci saranno meno soldi per il welfare, meno per le pensioni, meno per la sanità e per curare gli anziani.  

Benedetto XVI segnala al n.28 della “Caritas in veritate” come la questione demografica influisce sullo sviluppo: “L'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s'avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L'accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”.

L’ideologia anti-natalista degli organismi dell’Onu sta dando i suoi frutti di morte. Tutti ricordiamo come 30-40 anni fa si parlava di “boom demografico” e di un’Italia che “soffocava” per i troppi bambini. Fare meno figli era considerato benefico per la società e circolava lo slogan: “Meno figli più sviluppo”. Oggi l’Onu dice esattamente il contrario: più figli e più sviluppo, più produzione di ricchezza! Ma allora, aveva ragione Paolo VI con la sua “Humanae Vitae” (nel 1968), enciclica attaccata da una canea di voci abbaianti e offensive, provenienti anche dall’interno del mondo cattolico. Pare proprio di sì. Insomma, dobbiamo augurarci di avere lunga vita, per vedere che i Papi avevano ragione. Meglio crederci subito, fin dall’inizio.   

La nostra Italia è uno dei Paesi che più soffrono per la scarsa natalità. Secondo i dati Istat del 2008 il nostro Paese ha un tasso di fertilità di 1,37 figli per donna, mentre il livello minimo per assicurare almeno la parità fra nati e morti è di 2-2,1 figli. Nessun Paese europeo ha queste nascite, solo la Francia registra 2 figli per donna, grazie alle molte politiche di sostegno della maternità fatte dai vari governi fin dagli anni Settanta. I Paesi scandinavi e l’Irlanda sono ad un livello leggermente inferiore. Proprio per le scarse nascite, gli abitanti del nostro Paese aumentano solo perché abbiamo circa tre milioni di “terzomondiali” tra noi che hanno un alto tasso di fertilità. Nel 2009, sempre secondo l’Istat sono nati in Italia 80.000 bambini di immigrati su 560.000. Anche se fra loro si nota una progressiva diminuzione delle nascite, man mano che si integrano nella nostra società e cultura dominante.

Il demografo Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’Università di Milano Bicocca, afferma che  (“Avvenire”, 1 ottobre 2010) ci vogliono sostanziose politiche a sostegno della famiglia e della natalità, per cambiare questa tendenza suicida: occorrono 16 miliardi di Euro, anche investiti gradualmente, e il governo deve trovarli, spiegando agli italiani perché deve limitare altre spese. Infatti c’è “il rischio per l’Italia di un punto di non ritorno”. E spiega: “Quando in Italia nascevano un milione di bambini l’anno, 25 anni dopo c’erano mezzo milioni di madri potenziali. Tra 25 anni le madri potenziali saranno 250.000. O faranno quattro figli ciascuna, ma non credo, oppure, anche con le migliori politiche produrremo numeri inconsistenti”.

Mi chiedo: perché questo tema non viene mai o quasi mai discusso, studiato, commentato in giornali e televisioni? Ogni sera siamo sommersi dalle chiacchiere dei talk-show televisivi, i giornali portano ogni giorno editoriali e commenti su problemi di attualità. Le “culle vuote”, che nel 2004 il Presidente Ciampi aveva definito “la più grande disgrazia dell’Italia oggi”, è semplicemente ignorato. Forse perché è un tema scomodo. Bisognerebbe infatti anche parlare di quanti bambini italiani in meno nascono in Italia a causa dell’aborto e del divorzio, le due nefaste leggi suicide del nostro popolo e della nostra Italia. Ma anche questo è un argomento tabù.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.




                                                                                                


Salvati tre israeliani grazie agli organi di un bambino palestinese


Gesto di solidarietà dei genitori del piccolo


GERUSALEMME, martedì, 14 settembre 2010 (ZENIT.org).- Tre persone hanno beneficiato in Israele della possibilità di una nuova vita dopo che la famiglia di un bambino palestinese morto in un incidente ha donato il suo fegato e i suoi polmoni, ha reso noto il quotidiano israeliano Yedioth Aharonot mercoledì.

La notizia è stata rilanciata dal Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), ricordando che i beneficiari dei trapianti, eseguiti con successo, sono attualmente in convalescenza.

Dopo l'incidente, la famiglia del bambino, che aveva tre anni, lo ha portato subito in un ospedale locale. Da lì è stato trasferito all'ospedale Hadassah Ein Karem di Gerusalemme.

Il piccolo ha ricevuto assistenza e i medici hanno lottato per salvargli la vita. E' rimasto ricoverato per una settimana, ma il suo stato di salute ha continuato a peggiorare e alla fine è morto il 1° settembre.

I suoi genitori hanno acconsentito alla donazione degli organi, che ha salvato la vita di tre persone, tra cui un piccolo israeliano di cinque anni che aveva urgentemente bisogno di un trapianto di fegato.

Il bambino è ora ricoverato nell'unità di Terapia Intensiva dell'ospedale Schneider e le sue condizioni sono stabili.

Parallelamente, è stato trapiantato un polmone a una bambina di sette anni e mezzo che soffriva di una malattia polmonare. L'altro polmone è stato trapiantato a un uomo di 55 anni.

“Mio figlio era giunto a uno stato tale che era impossibile salvarlo”, ha dichiarato Moussa Salhut, il padre del bambino palestinese morto.

“Siamo felici di vederlo rivivere in altre persone, indipendentemente dal fatto che siano arabe o ebree”, ha sottolineato.

“Quando si tratta di salvare una vita non c'è differenza”, ha aggiunto. “Nella tristezza della nostra perdita, siamo contenti di aver potuto salvare delle vite”.


                                                                                    fiori c








In Iraq sorgeranno due “simboli di speranza”


Il Governo regionale curdo dona il terreno per un ospedale e un'università


ROMA, lunedì, 31 gennaio 2011 (ZENIT.org).- I progetti per la costruzione di un ospedale e di un'università vogliono essere “simboli di speranza” per i cristiani iracheni, aiutandoli a costruirsi un futuro lontano dalla violenza e dalle intimidazioni che hanno costretto tanti fedeli a fuggire dal Paese.

Le due iniziative, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), sorgeranno ad Ankawa, un sobborgo del capoluogo curdo Erbil. Questo lunedì, il Governo regionale ha garantito il dono di due appezzamenti di terreno su cui costruire le strutture.

Il sito di 30.000 metri quadri per l'università è vicino al lotto di 8.000 metri quadri destinato a ospitare l'ospedale, che avrà 100 posti letto e 8 sale operatorie.

Annunciando i due progetti ad ACS, l'Arcivescovo Bashar Warda di Erbil ha affermato che forniranno posti di lavoro, formazione e altre opportunità a migliaia di cristiani che si riversano nel relativamente sicuro Kurdistan, lontano dalla violenza religiosa che colpisce soprattutto Baghdad e Mosul.

“I progetti che abbiamo sviluppato negli ultimi mesi sono simboli di speranza per la presenza cristiana nel nostro Paese”, ha detto il presule dopo un incontro del comitato di clero e laici per discutere delle due iniziative.

Il progetto di realizzarle, ha aggiunto, è emerso in risposta alla crescente consapevolezza del fatto che tra i tanti cristiani affluiti nella zona ci sono molte persone con qualifiche professionali, soprattutto nel settore dell'istruzione e in quello medico.

“La gente che arriva qui da zone violente riceve il dono di una relativa sicurezza”, ha detto l'Arcivescovo Warda. “Sono loro stessi a voler offrire i propri servizi in una zona che non può far fronte alle richieste di una popolazione crescente”.

In questo modo, si scoraggerà anche un ulteriore esodo di cristiani dall'Iraq.

Anche se sia l'ospedale che l'università saranno gestiti dalla Chiesa e di proprietà dell'Arcidiocesi di Erbil, il presule ha sottolineato che apriranno le proprie porte a chiunque, indipendentemente dalle differenze religiose e politiche.

Prima che i lavori di costruzione possano iniziare, ha aggiunto, sarà necessaria una campagna di raccolta fondi. Per questo, spera nella generosità dei Governi occidentali, delle organizzazioni caritative e di altre ONG.

Allo stesso modo, ha aggiunto di confidare in consigli e sostegno da parte di chi gestisce progetti simili ovunque in Medio Oriente, come l'Università dello Spirito Santo a Kaslik, in Libano, fondata dai cattolici maroniti nel 1961.

Se tutto andrò come previsto, ha concluso, l'ospedale e l'università potrebbero aprire tra due anni.






[Modificato da Caterina63 01/02/2011 18:04]
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Cardinal Cipriani: “C'è un'agenda occulta contro il matrimonio”


ROMA, lunedì, 7 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Il Cardinale peruviano Juan Luis Cipriani ha spiegato nel suo programma “Dialogo di Fede” gli insegnamenti della Chiesa in relazione al matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita, nel contesto dei dibattiti sulla proposta dell'“unione civile tra persone dello stesso sesso”.

L'Arcivescovo di Lima ha espresso ciò che significano per la società la famiglia e il matrimonio tra un uomo e una donna, istituzione di complementarietà incaricata della procreazione e della formazione dei figli, e che obbedisce all'ordine naturale.

“A livello anatomico e psicologico, l'uomo e la donna sono fatti in modo da complementarsi meravigliosamente”, ha segnalato.

Di fronte alla proposta di legalizzare le unioni tra omosessuali, ha affermato che la società peruviana si definisce pluralista e tollerante, per cui sorprendono le dure critiche quando questa stessa società “pluralista e tollerante” dice alla Chiesa di non esprimersi su certi concetti.

“Non è un tema su cui la Chiesa deve tacere, non  può tacere!”, ha esclamato. “Non dico che dobbiamo essere d'accordo, ma il pastore della Chiesa deve dire ai suoi fedeli che il matrimonio è sempre stato tra un uomo e una donna e deve essere indissolubile, per tutta la vita”.

“Se oggi si vuole promuovere qualcosa di simile, anche se si dice che non è un matrimonio, commento che le istituzioni giuridiche di tipo economico già esistono; ma quando si dà carattere di unione o di nozze, si sta favorendo un'agenda occulta contro qualcosa che è di diritto naturale”.

“Chi vuole che ci siano aborti lo dica; chi vuole che ci siano matrimoni tra omosessuali lo dica. Si chiarisca tutto per sapere chi stiamo votando”, ha chiesto riferendosi ai dibattiti in corso in vista delle prossime elezioni alla Presidenza del Perù
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ATTENZIONE, LA NOTIZIA CHE SEGUE VA LETTA IN GINOCCHIO E CHIEDIAMO ALLE DONNE: SIETE ANCORA CONVINTE CHE L'ABORTO SIA RAGIONEVOLE E UN DIRITTO?

Clinica abortista americana: bambini uccisi a forbiciate!



Gli Stati Uniti sono sotto schock per una vicenda che riguarda ancora le cliniche abortiste. Parlavamo l’altro giorno (cfr. Ultimissima 7/2/11) dell’ente abortista più importante del mondo, il Planned Parenthood, (ricordate Gianna Jessen?) i cui dipendenti sono stati incriminati per favoreggiamento della prostituzione minorile. Ma sotto accusa è anche finito Kermit Gosnell, noto medico abortista di Philadelphia, specializzato in aborti tardivi da ben 30 anni, incriminato -assieme alla moglie e a nove suoi collaboratori- per la morte di una paziente, Karnamaya Mongar, e per aver ucciso sette bambini nati vivi nella sua clinica di salute, la Gosnell West Philadelphia Women’s Medical Society.
 
La relazione della Grand Jury, reperibile qui, ha rilevato che i bambini sono stati fatti nascere per poi essere massacrati tagliando loro il midollo spinale con delle forbici.
 
La crudeltà degli episodi ha spinto l’Arcidiocesi di Philadelphia ad intervenire dichiarando che: «Le ripetute azioni di Dr Gosnell e il suo staff sono ripugnanti e intrinsecamente malefiche nel loro disprezzo per la vita del nascituro e il benessere delle donne che hanno cercato i loro servizi. Siamo pronti ad assistere con servizi di supporto le donne che hanno subito questi aborti e siamo pronti ad offrire degna sepoltura ai bambini abortiti». Il procuratore distrettuale Seth Williams ha dichiarato in una nota che i bambini erano «vivi e in salute».
 
Inoltre ha parlato della probabilità che centinaia di altri bambini siano morti nella clinica tra il 1979 e il 2010. Williams ha anche aggiunto che nell’incursione dell’FBI, gli agenti hanno trovato, sparsi per tutta la clinica, dei vasi con piedi di bambini, contenitori come brocche di latte, recipienti per cibo dei gatti e sacchetti, contenenti feti abortiti. Mobili e pavimenti erano macchiati di sangue e urina. Molti membri del personale sono stati inoltre trovati privi di licenza. In un rapporto di 260 pagine, la grande giuria ha definito la clinica un «ossario per bambini».

Il rapporto contiene vivide descrizioni delle procedure e foto dei bambini morti (o almeno dei loro resti). Come si è detto, la clinica abortista procurava frequentemente aborti a bambini di 24-32 settimane di gestazione, nonostante per le legge della Pennsylvania fosse vietato. Gli agenti dell’FBI hanno descritto la struttura abortista con termini come “deplorevole”, “sporca”, “disgustosa” e “insalubre, molto arretrata, orrenda”, si legge sempre nel rapporto. Un tanfo di urina riempiva l’aria mentre feci di gatto si trovavano sulle scale. I membri del personale (tra cul la moglie di Gosnell) sono accusati di omicidio, aborto illegale, cospirazione, racket, ostacolo dell’accusa, manomissione, ostruzione alla giustizia, furto con inganno, falsa testimonianza e corruzione di un minore. La giuria ha quindi proposto raccomandazioni per i governi statali e locali a prendere in considerazione la possibilità di modificare e disciplinare il lavoro all’interno delle cliniche abortiste. La notizia in Italia è apparsa su Informazione Libera e su Leggo. MENTRE I MEDIA TACCIONO!





[Modificato da Caterina63 13/02/2011 17:44]
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20/02/2011 22:50
 
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MISSIONARI IN AFRICA DENUNCIANO L'ATROCE PRATICA DI PREGUITARE BAMBINI ALBINI PER MANGIARNE LE OSSA.... ORA SI STA CERCANDO DI SALVARE QUESTA BAMBINA....FATE CONOSCERE QUESTA NOTIZIA...


[SM=g1740720] Signore abbi pieta' di noi peccatori liberaci dal maligno E DALL'IGNORANZA....



it.gloria.tv/?media=131947




[SM=g1740717]



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La mamma dice no al sesso a scuola: va in prigione

www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-la-mamma-dice-no-al-sesso-a-scuola-va-in-prigione-...

di Marco Respinti22-02-2011

I cristiani vengono perseguitati. Dove? Nella libera e democratica Germania, dove chi disobbedisce ai diktat scolastici finisce in galera. Recentissimo è il caso di una mamma di dodici figli trascinata in carcere nientemeno che per sei settimane per essersi rifiutata di sottoporre tre dei suoi piccoli alle lezioni di educazione sessuale volute dall’ordinamento scolastico di Stato. E non è la prima volta.

Nel settembre 2010 una mamma di quattro figli si è fatta cinque giorni di prigione e nell’agosto precedente un papà di 12 figli ne ha scontati 40 per gli stessi motivi. Identica sorte incombe peraltro ora sul capo di un’altra mamma (di nove bimbi, il maggiore di 14 anni e il più piccolo di 10 mesi) che potrebbe farsi 21 giorni di galera, come già il marito. Accade tutto nella medesima cittadina, nella medesima scuola, per le medesime ragioni. Cioè a Salzkotten, nel land del Nord Reno-Westfalia, nella Germania centrale, dove ha sede la scuola elementare Liborius a cui sono iscritti i figli di molte famiglie di fede cristiana battista indignate di quanto viene loro ammannito. La cosa più scioccante però è che la Liborius è pure una scuola cattolica. Ma in Germania è così: nessuno può sottrarsi, nemmeno le scuole private, ai programmi scolastici decisi dallo Stato nei quali dal 1970 è contemplata anche quell’educazione sessuale che dal 1992 è divenuta insegnamento obbligatorio per tutti, oggi con tanto di “pratica”.

L’avviamento scolastico alla sessualità prevede, infatti, maratone di più giorni di cui sono parte integrante anche certi spettacolini teatrali a cui i giovanissimi studenti sono tenuti a partecipare in prima persona. Del resto la Germania è il Paese dove nel luglio 2007 scoppiò la bomba del Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung (il Centro federale tedesco di educazione alla salute), ovvero una sussidiaria del ministero per gli Affari familiari che diffuse nel Paese due libriccini con cui si invitava in modo diciamo disinvolto i genitori a “giocare al dottore” con i propri bimbi (si trattava di due libretti predisposti accuratamente per altrettante fasce di età: 12-36 mesi e 4-6 anni) e su cui piovvero subito le accuse di “pedofilia di Stato”.

Ora, a Salzkotten accade che diverse famiglie battiste stiano da anni praticando un braccio di ferro con la Liborius, ma in realtà con lo Stato tedesco, giudicando contrarie al proprio credo religioso le lezioni di educazione sessuale predisposte (dal 2005) dalla scuola e quindi praticando una resistenza passiva fondata sull’obiezione di coscienza. Meglio, dicono, affrontare il delicato argomento fra le mura domestiche. E però dal 2006 la legislazione tedesca vieta senza la minima eccezione e reprime duramente ogni concetto e pratica di home-schooling, quel fenomeno invece legalissimo e diffusissimo per esempio negli Stati Uniti d’America dove a garantire sia la scolarizzazione sia l’educazione dei ragazzi sono i genitori, le associazioni di genitori e i tutor ingaggiati ad hoc.

È stato così che poche settimane fa a Salzkotten è arrivata la polizia, ha stilato il verbale per sottrazione di minore dall’obbligo scolastico ai danni di una mamma, questa non ha pagato la multa comminata e la vicenda si è conclusa con 43 giorni di sole a scacchi per la signora. Del resto le famiglie incriminate non hanno violato la legge tedesca sull’home-schooling: mai hanno avuto intenzione di togliere completamente i figli dalla scuola per educarli privatamente, semplicemente li hanno sottratti a un insegnamento della sessualità che in coscienza, come il diritto internazionale consente ai genitori di fare, hanno ritenuto moralmente inaccettabile.

Alla base di tutto vi sono peraltro due casi “madre”, risalenti al febbraio 2007. Willi e Anna Dojan sono genitori di 8 figli, Eduard ed Elisabeth Eischeidt ne hanno invece tre. Entrambe le famiglie sono cristiane battiste, entrambe le famiglie avevano al tempo una ragazza undicenne, rispettivamente Lilli e Franziska, entrambe le famiglie all’epoca avrebbero per volere della scuola dovuto sottoporle a un corso di 4 giorni di educazione sessuale comprendente pure una performance interattiva e obbligatoria nello spettacolo Mein Körper gehört mir, ossia “Il mio corpo mi appartiene”. Provare, insomma, per imparare… Mamma e papà si sono allora guardati diritti negli occhi e hanno pensato che le loro ragazze meritassero qualcosa d’altro. Mica immaginavano che sarebbe finito tutto in tribunale.

L’Alliance Defense Fund (ADF), una organizzazione statunitense nata nel 1994 per riunire associazioni e avvocati a difesa della libertà religiosa a livello internazionale, ha portato i casi dei Dojan e degli Eischeidt davanti alla Corte Europea dei diritti umani. Il legale dell’ADF che li difende, l’avvocato Roger Kiska di Bratislava, ritiene infatti essere un diritto sacrosanto delle famiglie in questo caso tedesche quello di potersi in piena coscienza opporre a un insegnamento che palesemente cozza con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1950), per la precisione l’art. 2 del Protocollo addizionale approvato il 20 marzo 1952 il quale sancisce: «Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche».

Complessivamente, l’ADF sta difendendo oggi ben cinque famiglie che si trovano a dover in coscienza resistere a una situazione grave che quando, poche settimana fa, l’ha apertamente denunciata Papa Benedetto XVI tutti si sono sentiti in dovere di canzonarlo.
Torniamo a Salzkotten, con il caso dell’ultima mamma incarcerata che gira sul web oramai da qualche giorno, ma con un’avarizia di notizie che lascia a bocca spalancata. Che nel nostro mondo annegato dall’informazione una mamma che vive nel cuore del mondo civile, a un tiro di schioppo dalle nostre telecamere sempre guardone e dai nostri giornali sempre voyeur, si faccia un mese e mezzo di galera per resistenza a pubblico programma scolastico e che la cosa sia ignorata dai giornali è quantomeno sconcertante.



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03/03/2011 09:26
 
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Si riaccendono le polemiche.... ecco l'ennesima strumentalizzazione alle parole del Pontefice:


"Papa Benedetto ha dichiarato inequivocabilmente che il popolo ebraico non era - e quindi non è - responsabile della morte di Gesù"



si tratta del secondo volume, in uscita, del libro di Benedetto XVI sul Gesù di Nazareth...

Sarebbe AUSPICABILE, ora.... che i tanti VATICANISTI in giro per il web, pronti a lanciare anatemi contro il mondo Tradizionale....siano altrettanto solleciti per spiegare a questi MEDIA e titoloni di giornali che la notizia, buttata così facendola apparire come una RISCRITTURA (dice Repubblica, sic!) dei Vangeli... è il solito FALSO....e la solita MANIPOLAZIONE alle parole del Papa...

la questione del "deicidio" fu già chiarita AL CONCILIO DI TRENTO....

598 La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che « ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle [...] sofferenze » del divino Redentore. (434) Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, (435) la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei:

« È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti – afferma san Paolo – se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici ». (436)..........

..........

Queste parole del Catechismo Cattolico CHE RICHIAMANO L'ESPRESSIONE USATA DALLO STESSO CONCILIO DI TRENTO.. .ci rammentano la storia del nostro passato...passato in cui la Chiesa ha dovuto, pian piano, camminare con gli uomini di ogni tempo nel bene come nel male, nella buona e nella cattiva sorte.....

Si legge spesso in particolare il cosiddetto "deicidio" ( cioè solo gli ebrei sarebbero responsabili della morte di Cristo ).
Qui si confondono le opinioni di certi teologi con la dottrina autentica della Chiesa.
La dottrina della Chiesa ha sempre detto che Gesù è stato ucciso dai nostri peccati: vedi catechismo di Trento


Studiamo ancora il Concilio di Trento.... Benedetto XVI non fa altro che ripartire da li...

GESU' E' STATO UCCISO DAI NOSTRI PECCATI

Scrive il Catechismo di Trento(1546): " In Gesù Cristo Nostro Signore si verificò questo di speciale: che morì quando volle morire e sostenne una morte non già provocata dalla violenza altrui, ma una morte volontaria, di cui aveva egli stesso fissato il luogo e il tempo. Aveva scritto infatti Isaia: è
stato sacrificato perché lo ha voluto ( Isa LIII,7 ).

E il Signore stesso disse di sé prima della passione: Io do la mia vita per riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma io la do da me stesso e sono padrone di darla, e padrone di riprenderla ( Giov., X, 17,18 ).(...)

Chi indaghi la ragione per la quale il Figlio di Dio affrontò la più acerba delle passioni, troverà che, oltre la colpa ereditaria dei progenitori, essa deve riscontrarsi principalmente nei peccati commessi dagli uomini dall'origine del mondo sino ad oggi, e negli altri che saranno commessi fino alla fine del mondo. Soffrendo e morendo, il Figlio di Dio nostro salvatore mirò appunto a redimere ed annullare le colpe di tutte le età, dando al Padre soddisfazione cumulativa e copiosa.



e infine ancora:

Per meglio valutarne
l'importanza, si rifletta che non solamente Gesù Cristo soffrì per i peccatori, ma che in realtà i peccatori furono cagione e ministri di tutte le pene subìte. Scrivendo agli Ebrei, l'Apostolo ci ammonisce precisamente:
pensate a Colui che tollerò tanta ostilità dai peccatori, e l'animo vostro non si abbatterà nello scoraggiamento. ( Ebr.XII,3 ).

Più strettamente sono avvinti da questa colpa coloro, che più di frequente cadono in peccato. Perché se i nostri peccati trassero Gesù Cristo Nostro
Signore al supplizio della Croce, coloro che si tuffano più ignominiosamente nell'iniquità, di nuovo, per quanto è da loro, crocifiggono in sé il Figlio
di Dio e lo disprezzano ( ib. VI, 6 ).
Delitto ben più grave in noi che negli Ebrei.
Questi, secondo la tesimonianza dell'Apostolo, se avessero conosciuto il Re della gloria, non l'avrebbero giammai crocifisso ( I Cor.II,8 ); mentre noi, pur facendo professione di conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti, e quasi sembriamo alzar le mani violente contro di Lui ".
( Catechismo Tridentino, catechismo ad uso dei parroci, pubblicato dal Papa
S. Pio V per decreto del Concilio di Trento, trad. italiana a cura del P. Tito S. Centi, O.P., ed. Cantagalli Siena 1981, p. 79 e pp.82-83 ).



ordunque.... siano solleciti questi vaticanisti dalla penna solerte contro un certo tradizionalismo "nuovo" perchè è naturale che se nessuno parlerà, si alzeranno loro a dire che IL CONCILIO DI TRENTO LO AVEVA GIA' CHIARITO, ma detto da loro sembrerà l'ennesimo attacco al Papa, mentre il Papa non ha fatto altro che riportare la fede di Trento ai giorni nostri...


 apprendo così dal Blog di Raffaella:

"Confutare il deicidio e la verità di Gesù, ecco il cuore del libro del Papa (Rodari)"




Benedetto XVI e i responsabili della morte di Gesù.


di don Alfredo Morselli

L’anticipazione di alcuni stralci del nuovo libro di Benedetto XVI su Gesù non mancherà di suscitare polemiche e sciorinamenti di pareri di Perpetua – a cui siamo tristemente abituati. Ed è verosimile che ciò accada soprattutto a motivo delle pagine in cui il Pontefice esprime il suo pensiero circa le responsabilità nella condanna a morte di Nostro Signore Gesù Cristo, e circa le parole della folla, che invoca: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).

Fin troppo facilmente profeta di queste reazioni allergiche (o entusiasmi da parte di progressisti, che esultanti proclameranno cambiamenti e/o rovesciamenti), vorrei qui semplicemente mostrare come Benedetto XVI riprende – né più né meno – la dottrina tradizionale.

Quali sono le tesi del Papa? Sono sostanzialmente due:

1) La responsabilità morale della morte di Gesù è principalmente dei capi e non del popolo ebraico o di tutti gli Ebrei, e l’espressione “i giudei” non deve farci pensare “al popolo d’Israele come tale”.

2) L’invocazione della folla “il suo sangue ricada su di noi” si muta in benedizione.

Per quanto riguarda la I tesi, mi basta riportare alcune parole di San Tommaso:

“Parlando dei giudei bisogna distinguere tra maggiorenti e la gente del popolo. I maggiorenti, che erano detti loro principi, certo lo conobbero, secondo l'autore delle Quaestiones Novi et Veteris Testamenti, come del resto gli stessi demoni riconobbero che egli era il Cristo promesso: "infatti essi vedevano avverarsi in lui tutti i segni predetti dai profeti". Essi però non conobbero la sua divinità: ecco perché l'Apostolo afferma, che "se l'avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria".


Si noti però che tale ignoranza non li scusava dal delitto: perché si trattava di un'ignoranza affettata. Essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità: ma per odio ed invidia verso Cristo li travisavano, e così non vollero credere alle sue affermazioni di essere il Figlio di Dio. Di qui le parole del Signore: "Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero peccato: ma ora non hanno nessuna scusa del loro peccato". E ancora: "Se non avessi compiuto tra loro le opere che nessun altro ha compiuto, non avrebbero peccato". Perciò si possono applicare ad essi le parole di Giobbe: "Essi dissero a Dio: Allontanati da noi, noi non vogliamo conoscere le tue vie".

Il popolo invece, che non conosceva i misteri della Scrittura, non conobbe pienamente né che egli era il Cristo, né che era Figlio di Dio: sebbene alcuni del popolo abbiano creduto in lui. E anche se talora essi sospettarono che fosse il Cristo, per la molteplicità dei segni e per l'efficacia del suo insegnamento, come nota l'evangelista Giovanni, tuttavia poi furono ingannati dai loro capi, al punto di non credere né che era il Figlio di Dio, né che era il Cristo. Di qui le parole di S. Pietro: "So che avete agito per ignoranza, al pari dei vostri capi"; cioè perché sedotti da essi” (S. Th. IIIª q. 47 a. 5 co).

Per quanto riguarda la seconda affermazione, basta citare S. Agostino:

“Risorto che fu il Signore, molti credettero. Non capivano allorché lo crocifiggevano, ma più tardi hanno creduto in lui, ed è stato loro perdonato un così grande delitto. Il sangue del Signore, che essi avevano versato, venne dato in dono agli stessi omicidi, non propriamente deicidi (ut non dicam deicidis); perché, se avessero conosciuto il Signore della gloria, mai lo avrebbero crocifisso. Agli omicidi è stato ora dato in dono il sangue dell'innocente che essi avevano versato: e così lo stesso sangue che essi avevano versato nella loro follia, hanno ora bevuto come grazia. Dite dunque a Dio: quanto sono terribili le tue opere! Perché terribili?Perché si è compiuta la cecità di una parte di Israele affinché entrasse la totalità delle genti. O totalità delle genti, di' a Dio: Quanto sono terribili le tue opere! Erallègrati, ma insieme trema; e non ti gloriare nei confronti dei rami tagliati. Dite a Dio: quanto sono da temere le tue opere!” (Enarr. in Ps. LXV, 5).
.

Conclusione

Oggi il modernismo propina la teoria della duplice via parallela di salvezza per Ebrei e cristiani (secondo la quale gli Ebrei non avrebbero bisogno di Gesù Cristo) e va a braccetto con le assurde pretese di certi esponenti ebrei, ad es. Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si esprimeva in questi termini:

«Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua. Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità». («Un futuro di amicizia», Osservatore Romano, 10 novembre 2010, p. 5; articolo pubblicato senza alcun commento di disapprovazione).
La risposta al neo-modernismo non è un antigiudaismo da strapazzo; che fare allora? Non ho ricette, ma sempre Sant’Agostino mi va benissimo:
“Or dunque, voi genti che siete state chiamate, notate bene come nella sua severità Dio abbia reciso certi rami e come voi, per la sua bontà, vi siate state innestate. Voi siete divenute partecipi dell'abbondanza dell'olivo; ma non nutrite pensieri di alterigia, cioè, non vi insuperbite. Perché - dice - non sei tu che porti la radice, ma la radice porta te.
Ancora di più dovete, anzi, spaventarvi, se vedete recisi i rami naturali. I giudei infatti discendono dai patriarchi; sono nati dalla stirpe di Abramo. Che cosa afferma l'Apostolo? Tu forse dici: i rami sono stati spezzati perché io sia innestato. Bene! Per l'incredulità sono stati spezzati. Ma tu, se stai saldo, è per la fede. Non insuperbirti dunque, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato i rami naturali, neppure te risparmierà. Guarda quindi come certi rami sono stati spezzati e come tu stesso ci sei stato innestato.

"Non insuperbirti contro i rami spezzati, ma piuttosto di' a Dio: Quanto sono da temere le tue opere! Fratelli, se non dobbiamo inorgoglirci guardando i giudei, recisi tanto tempo addietro dalla radice dei patriarchi, ma dobbiamo piuttosto temere e dire a Dio: Quanto sono tremende le tue opere!, quanto meno dobbiamo rallegrarci per le ferite delle recenti scissioni! Un tempo sono stati recisi i giudei, e vi sono state innestate le genti. Dalla pianta così innestata sono stati tagliati via gli eretici; ma neppure contro costoro dobbiamo insuperbire, se non vogliamo meritarci di essere a nostra volta recisi, come gente che prova gusto nell'insultare i recisi. Fratelli miei, comunque sia il vescovo di cui voi udite la voce, noi vi scongiuriamo di stare in guardia! Tutti voi, che siete nella Chiesa, non insultate coloro che ne sono estranei, ma piuttosto pregate affinché anch'essi entrino nella Chiesa. Dio onnipotente può innestarli di nuovo”. (Enarr. in Ps. LXV, 5).

[Modificato da Caterina63 04/03/2011 09:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Editoria cattolica e Salone internazionale del libro

Quando le amnesie
hanno cattive radici


di ANDREA POSSIERI

Dimenticarsi di dedicare uno spazio alla storia dell'editoria cattolica all'interno della mostra che celebrerà i centocinquanta anni dell'Unità d'Italia al ventiquattresimo salone internazionale del libro, se non nella striminzita sezione dedicata all'editoria religiosa, desta ovviamente più di una perplessità. Non foss'altro per gli studiosi che fanno parte del comitato scientifico della mostra e che di sicuro conoscono approfonditamente la storia della nostra industria culturale. Eppure dai virgolettati comparsi sulla stampa dei giorni scorsi e attribuiti a Gian Arturo Ferrari, curatore dell'esposizione, sembra proprio che si sia trattato di una banale dimenticanza. Un'amnesia che, beninteso, trova delle solide radici culturali in un diffuso costume intellettuale che tende spesso a relegare l'editoria cattolica soltanto alla produzione di messali, libri liturgici, opuscoli di facile fruizione, nella sempiterna pubblicistica anti-risorgimentale o in una ostentata polemica anti-scientista.

In questo modo, la storia dell'editoria cattolica viene spesso incasellata all'interno di un processo - al contempo sociale, economico e politico - che vede un rapporto inversamente proporzionale tra la produzione e la diffusione del libro religioso e la creazione di un mercato editoriale all'interno del neonato Stato nazionale. Il variare dei generi letterari, la nascita di una società civile sempre più dinamica e la diffusione di una progressiva secolarizzazione dei costumi avrebbe, di fatto, secondo questa interpretazione, relegato tutta l'industria del sacro a una sorta di reminiscenza di un passato arcaico e devozionale quasi fosse un dato residuale del patrimonio culturale del nostro vissuto storico.

Un'interpretazione che dimentica, però, come sia impossibile scindere la cultura cattolica, nelle sue più diverse e contraddittorie sfumature, dalla costruzione di una identità italiana che preesiste e che precede sia l'elaborazione di una moderna identità nazionale che la costruzione dello Stato formalmente avvenuta il 17 marzo 1861.

Fra l'altro, non è proprio così insignificante rilevare come, ancora oggi, il mercato religioso vale circa il 13 per cento dell'intero comparto e che le librerie cattoliche, pur non conoscendo le formule del franchising e di affiliazione tipiche delle grandi catene di distribuzione, rappresentano il 14 per cento delle librerie italiane.

Tuttavia, al di là del dato quantitativo odierno, ciò che non si può non sottolineare è il portato storico e il deposito culturale di un'esperienza secolare che trae le sue origini nelle tradizioni artigianali delle moltissime tipografie diffuse in tutta la penisola, che non si limitarono soltanto a pubblicare libri a sfondo religioso ma espressero una cultura politica, una visione del mondo e, da un certo momento in poi, dettero vita ad alcune iniziative editoriali decisive per la storia culturale italiana. D'altro canto il dilagare della "cattiva stampa" e delle "cattive letture" insieme alla "mancanza di buoni libri popolari", come aveva scritto Lambruschini sin dagli anni Trenta, avevano fatto emergere - come ha giustamente notato in un recente saggio Isotta Piazza - l'esigenza di una nuova alfabetizzazione delle masse in una realtà sociale e scolastica sempre più de-clericalizzata e secolarizzata. "I torchi sono più potenti dei cannoni" scrisse nel 1853 "La Civiltà Cattolica" riprendendo uno spunto dell'enciclica di Pio IX Noscitis et nobiscum (1849).

Nel corso dell'Ottocento, sorsero in tutta la penisola una miriade di iniziative culturali - come le edizioni Marietti e la Libreria del Sacro Cuore a Torino, D'Auria a Napoli, Civiltà Cattolica a Roma e la Libreria editrice vescovile Queriniana fondata a Brescia nel 1886 - che, è il caso della Tipografia dell'Immacolata Concezione di Modena e di quella salesiana, diventarono delle rigogliose imprese editoriali.

Anche se a metà del secolo la produzione libraria religiosa registrò un calo rispetto ai volumi editi prima del 1846, non mancò lo sforzo per promuovere l'editoria e la stampa cattolica. Per questo scopo sorsero, in molte città, società e associazioni per la diffusione dei buoni libri, la cui priorità assoluta era la finalità educativa. Le Letture cattoliche di don Bosco, ad esempio, rappresentarono il modello di collana di maggior successo: se negli anni Cinquanta la collana ebbe una tiratura di tremila copie, venti anni dopo aveva raggiunto le dodicimila e nel decennio successivo, negli anni Ottanta, toccò addirittura le ventimila copie.

La tipografia di San Francesco di Sales fondata nel 1861 (e che all'inizio fu una delle tante tipografie connesse alle attività delle congregazioni religiose) si trasformò in una sempre più importante industria editoriale, grazie al genio imprenditoriale di don Bosco. Nel 1887, un anno prima della sua morte, erano state create ben nove tipografie. D'altro canto, l'attività editoriale salesiana avrebbe trovato poi un rinnovato sviluppo nel Novecento con la nascita della Società anonima internazionale della buona stampa sorta a Torino nel 1908, e che sarebbe diventata nel 1911 la Società editrice internazionale (Sei). In circa quindici anni, tra il 1908 e il 1923, la Sei stampò circa ventiquattromila volumi, di cui un migliaio destinati alla scuola. La finalità educativa si legò inscindibilmente con due altre iniziative editoriali: La Scuola e Vita e Pensiero.

La casa editrice La Scuola nacque a Brescia nel 1904 con lo scopo di sostenere e promuovere la rivista "Scuola Italiana Moderna" - fondata nell'aprile del 1893 da una figura fondamentale del cattolicesimo italiano dell'Ottocento come Giuseppe Tovini - e soprattutto dopo la prima guerra mondiale, si specializzò nella pubblicazione dei testi per le scuole elementari. Vita e Pensiero, invece, legata all'omonima rivista, venne fondata nel 1918 e grazie all'intuizione di padre Agostino Gemelli diventò, non solo uno strumento di comunicazione fondamentale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore, ma rappresentò un luogo fondamentale per l'elaborazione culturale del mondo intellettuale cattolico italiano attraverso, ad esempio, la pubblicazione di alcune collane come "Profili di santi", "Biblioteca ascetica" e "Testi francescani".

Nella prima parte del Novecento videro la luce altre case editrici cattoliche come l'Anonima Veritas Editrice (Ave) di proprietà della Gioventù italiana di Azione Cattolica, la Libreria Editrice Vaticana, la Società anonima cooperativa editrice Studium, la Guanda di Modena, la Morcelliana di Brescia - tra i cui soci fondatori figurava anche un giovane Giovanni Battista Montini - e, soprattutto, la Società San Paolo di don Giacomo Alberione che ebbe l'idea di fondare una "organizzazione cattolica di scrittori, tecnici e librai" direttamente ispirata da una congregazione religiosa. Nell'immediato secondo dopoguerra, a testimonianza di questo vivace dinamismo intellettuale, nacque l'Unione editori cattolici italiani che raccolse ben 71 case editrici: dalle piccole tipografie confessionali alle Edizioni Cinque Lune (la casa editrice della Democrazia cristiana), da Morcelliana a La Scuola, da Marietti alla Sei, da Studium alla San Paolo. Mentre nei vivaci anni intorno al concilio sorsero altre nuove esperienze editoriali come la Cittadella di Assisi, la Gribaudi di Torino, la Città Nuova di Roma e le Edizioni Dehoniane di Bologna. Un percorso differente, ma in qualche modo collegato al mondo culturale cattolico, è quello intrapreso dalla casa editrice Il Mulino che coagulò, sin dall'inizio, intellettuali di provenienza cattolica, socialista e liberale.

Di tutta questa vicenda complessa e variegata (tratteggiata solo in minima parte) che si snoda soprattutto attraverso Torino, Milano e Roma, non sembra rimanere una traccia importante nella mostra del Salone Internazionale di Torino: né tra gli editori, né tra i personaggi. Sarebbe bastato sottolineare come alcuni dei libri più importanti "che hanno fatto l'Italia" furono pubblicati ben prima del 1861 e tra questi avrebbero avuto un ruolo di primo piano, volendo sintetizzare al massimo, Alessandro Manzoni, Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini.

Ma anche volendo rimanere all'interno dell'ingessata cornice celebrativa non si può non guardare con attenzione a quella sempre feconda stagione dell'editoria cattolica che, per prima, grazie all'opera di don Bosco e di Giuseppe Tovini, capì l'importanza delle letture per la scuola dell'infanzia e trovò una enorme diffusione in molti centri cittadini dell'Italia centro-settentrionale. Di fatto, però, l'editoria cattolica sembra rimanere schiacciata, anche con qualche responsabilità propria, da un duplice stereotipo che, in fin dei conti, l'ha relegata ai margini dell'interesse degli studiosi "laici". Da un lato la diffusione del "libro religioso" è stata associata al mondo che precedette la nascita dell'editoria di massa, dello Stato unitario e del mercato nazionale; dall'altro, l'editoria cattolica è stata letta essenzialmente come una grande produttrice di messali, opuscoli e libri devozionali, scarsamente produttrice di cultura politica e sempre posta ai voleri ora degli ordini religiosi ora della Santa Sede. A questo dato, si aggiunge poi il ruolo assolutamente non secondario che svolse l'editoria e la stampa cattolica nel dar voce per tutto l'Ottocento, e anche oltre, a quella vasta cultura anti-risorgimentale che non si riconosceva nel nuovo Stato unitario.

Tutti questi fattori hanno sicuramente giocato un ruolo in questa imbarazzante amnesia intellettuale, segno di una scarsa sensibilità culturale che affonda le radici nella tradizione dei colti del nostro Paese, in quel "partito degli intellettuali" che ha cercato spesso di rappresentare il popolo o la nazione senza riuscirvi se non in quell'afflato populistico, così efficacemente delineato in un vecchio saggio di Asor Rosa degli anni Sessanta, Scrittori e popolo, e in un sommesso quanto pervicace pregiudizio intellettualistico-borghese verso tutto ciò che riguarda il sacro e il mondo culturale-cattolico su cui pesa più di un'ipoteca simbolica. Dalle stravaganti teorie di Sismondo de Sismondi, secondo cui la controriforma, i preti e la Chiesa avrebbero rovinato il carattere nazionale degli italiani, fino all'infausta espressione di Scelba sul "culturame" che, ancora oggi, a distanza di anni, sembrerebbe confermare, a un diffuso ceto intellettuale, le teorie dello studioso ginevrino.



(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2011)
Fraternamente CaterinaLD

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07/03/2011 18:39
 
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[SM=g1740733] ANTIDOTI di Rino Cammilleri


Hillary grida che Gheddafi deve andarsene, la flotta americana si mobilita… Possibile scenario, a questo punto: gli Usa e l’Inghilterra hanno trovato il sistema per uscire dalla crisi economica. Mettendo le mani sul petrolio del Maghreb con governi più “amici”. La Francia (la più furba, da sempre, d’Europa) si accoda. Occorre fare le scarpe all’Italia. Berlusconi, non a caso screditatissimo sul piano personale sui media esteri, deve fare la fine di Craxi. Il quale, con Sigonella e, pare, l’avvertimento a Gheddafi di scappare perché gli americani lo avrebbero bombardato, segnò la sua sorte. Fini, avvisato per tempo, si smarca per porsi come leader di un centrodestra più “ragionevole”. Anche perché per l’establishment angloamericano un governo delle sinistre in Italia è preferibile (per eseguire i bombardamenti sulla Serbia, infatti, un governo D’Alema fu l’ideale). In tal modo l’Italia si allineerebbe al nuovo ordine antipapista delle nazioni c.d. più avanzate: nozze gay e quant’altro...

Tra bufale mediatiche (sulle presunte fosse comuni, per esempio) e soprapporsi frenetico di notizie e di “esperti” televisivi, ho l’impressione che qualcuno voglia buttare fuori l’Italia dalla Libia per prenderne il posto. L’Italia, si sa, è il primo partner commerciale del Paese e ha in Libia, fin dai tempi di Mattei, interessi enormi. Da dove cavo questa impressione? Da una serie di coincidenze sospette, tra cui il sostanziale abbandono dell’Italia da parte della Ue e il veloce attivarsi di Nato, Usa e compagnia bella per l’”intervento umanitario” da quelle parti. A pensare male, diceva Andreotti…



 

Dall’agenzia Zenit del 23 gennaio 2011 apprendo che il 41% dei bambini di New York vengono abortiti e la percentuale è persino maggiore nel Bronx e tra le comunità nere (afroamericane). «Quasi il 40% di tutte le gravidanze di donne nere finiscono con l’aborto. Si tratta di un dato che è tre volte quello delle donne bianche e due volte quello di tutte le altre etnie messe insieme». Le organizzazioni per la pianificazione familiare (sì, è un eufemismo ma si sono autodenominate così) hanno da sempre «lavorato sodo per promuovere l’aborto tra i neri e i poveri». Ed è inutile nascondersi dietro un dito: l’ideologia eugenetica fin dal Settecento ha predicato che i troppo indigenti o i troppo ignoranti (per tacere dei tarati, degli alcolisti eccetera) non devono riprodursi. Anche se si tratta di interi popoli (da qui la valanga di preservativi che, con la scusa dell’Aids, piomba ininterrotta sul Terzomondo). Ed è dai tempi di Platone che i «saggi» cercano di disciplinare la riproduzione umana come si fa con quella animale. Ma prima li chiamavano «utopisti» (v. il mio «I mostri della Ragione», ed. Ares). Fu col Novecento che si cominciò a fare sul serio. Partirono alcuni States americani. I nazisti applicarono il principio su vasta scala ma è significativo che al processo di Norimberga si siano difesi asserendo che non avevano iniziato loro.


Anna Bono, sul quotidiano online «La Bussola» del 21 gennaio 2011 ha ricordato che il caso di Ben Alì (ex presidente tunisino fuggito, pare, con la cassa) non è il solo in Africa. Certe ong francesi da anni cercano di far incriminare almeno cinque presidenti africani, nati poveri e diventati nababbi. Uno è quello del Congo, N’Guesso, al potere praticamente dal 1979. Tra le sue molte proprietà (naturalmente all’estero) anche un albergo con piscina in Francia. L’ormai defunto (nel 2009) Ondimba, presidente del Gabon dal 1967, aveva pure un hotel di lusso sui parigini Champs Elisées. Segue Eduardo dos Santos, presidente angolano dal 1979, poi Blaise Compaoré, presidente del Burkina Faso dal 1987, e Obiang Nguema, presidente dalle Guinea Equatoriale dal 1979: questo colleziona Bugatti, ne ha una quindicina.
Mugabe, presidente dello Zimbabwe, mentre il suo Paese si sfama solo grazie agli aiuti esteri, nel 2009 ha festeggiato il suo 85° compleanno con una festa così sfarzosa, a caviale e champagne e aragoste, da aver scandalizzato i diplomatici stranieri invitati. E si è fatto di regalo una sontuosa villa a Hong Kong. E’ morto nel 1998 il presidente nigeriano Abachi, che in soli cinque anni aveva accumulato 2,2 miliardi di dollari (qualcuno dice il doppio). Una delle sue mogli era stata fermata all’aeroporto con 36 bauli zeppi di preziosi. C’è chi si ricorda ancora del congolese Mobutu, presidente dal 1965 al 1997. Era nella classifica degli uomini più ricchi del mondo (ville, castelli, aerei privati…).
Certo, non c’è solo l’Africa. I patrimoni personali degli sceicchi islamici richiederebbero però troppo spazio. In entrambi i casi, i soldi glieli abbiamo dati noi occidentali. E loro li hanno reinvestiti in Occidente. Così, siamo tutti contenti.



Apprendo che l’aborto libero sta impensierendo la Russia, la cui popolazione diminuisce a vista d’occhio. Nel 1920 fu la Russia bolscevica la prima nazione al mondo a legalizzare l’aborto. Paradossalmente, toccò a Stalin vietarlo (c’era bisogno di «figli per la Patria») nel 1936. E occorse attendere la sua morte per reintrodurlo, nel 1955. Nel 1964 ci fu il picco: 5,6 milioni di aborti. Oggi il governo cerca di correre ai ripari, anche perché le curve demografiche, così artificialmente intaccate, stano “femminilizzando” la Russia. All’inizio del 2011 la Chiesa ortodossa ha presentato una sua proposta al governo. Staremo a vedere. Certo, in un Paese in cui l’alcolismo registra livelli patologici non è facile raccomandare profilattici e contraccezioni varie

Il Centro Studi Federici mi ha girato un articolo del Corsera (23 dicembre 2010) in cui si riporta che la Regione Liguria ha bocciato i finanziamenti da sempre concessi agli oratori e approvato un ordine del giorno della sinistra che la impegnava a sostenere «politicamente e finanziariamente» i centri sociali. L’opposizione di centrodestra ha lasciato l’aula per protesta, accusando la maggioranza di dire che non c’è un soldo per gli oratori ma poi darli, i soldi, ai centri sociali. Burlando ha sostenuto la necessità di aiutare i centri sociali anche perché «la violenza può anche essere generata dall’abbandono e dall’indifferenza delle istituzioni». Poverini. Comunque, siamo sicuri che gli oratori rimasti a becco asciutto non metteranno, per questo, la città a ferro e fuoco.

Per consacrarlo nel ruolo di «padre» dei sovietici, dal gennaio 1936 Stalin venne sempre più spesso ritratto insieme a bambini. La più famosa di questa foto, riprodotta in milioni di manifesti, era quella in cui Stalin teneva tra le braccia la piccola Gelya Markinova. Non tutti sapevano, però, che il padre della bambina era stato giustiziato come nemico del popolo e la madre, arrestata, aveva fatto la stessa fine qualche tempo dopo.


Il filosofo russo Semjon Frank, ebreo, nel 1912 si convertì al cristianesimo ortodosso. Osservando i suoi contemporanei, molto prima della rivoluzione bolscevica, scrisse: «Chi sacrifica se stesso per il bene di un’idea non esita a sacrificare anche gli altri. (…) L’astio nei confronti dei nemici del popolo costituisce il concreto e attivo fondamento psicologico della sua vita. Così, un grande amore per l’umanità del futuro anima un grande odio per le persone».

«In campo protestante la teologia cosiddetta “dell’ordine della creazione” recepì l’eugenetica molto tempo prima che i nazisti emanassero le leggi sulla sterilizzazione. (…) Nel 1930 la “Missione interiore”, la principale associazione assistenziale protestante con una vasta rete organizzativa ramificata in tutta la Germania, stabilì che la sterilizzazione era legittima dal punto di vista religioso e morale, ed era dunque un dovere morale nei confronti della generazioni future. (…) Queste misure erano rivolte soprattutto a persone il cui comportamento indicava in modo chiaro che avrebbero avuto dei figli “antisociali”» (Michael Burleigh, «In nome di Dio. Religione, politica e totalitarismo», Rizzoli, pp. 130-131).


«Nell’ottobre del 1958 l’eminente teologo svizzero Karl Barth, uno dei pochi teologi protestanti a essersi opposto radicalmente al nazismo, scrisse un’incredibile lettera ai pastori protestanti della RDT, sostenendo che la Geremania Ovest fosse sotto il controllo degli ex nazisti e dei guerrafondai della NATO, ed esortandoli a non avere alcuna esitazione nel dimostrare lealtà verso il regime comunista tedesco-orientale». Cfr «In nome di Dio. Religione, politica e totalitarismo da Hitler ad Al Qaeda» di Michael Burleigh, Rizzoli, p. 506. Senilità ingravescente o semplice outing? Chissà…



Rino Cammilleri parla di se:
è in libreria la mia utlima fatica: “Come fu che divenni c.c.p. (cattolico credente e praticante)”, Lindau. Con molte foto d’epoca. E’ la storia della mia conversione, se interessa a qualcuno. Ma forse sì, giacchè ho traversato il ‘68 (Scienze Politiche a Pisa) e ho anche un passato di cantautore



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/03/2011 18:18
 
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Cassazione: solo il Crocefisso come unico simbolo religioso in aule di scuole e di tribunali!

Un altro tiro è stato messo a segno in difesa del "nostro" caro Crocefisso nella lunga e dura lotta contro la rimozione dagli uffici pubblici.

*
.
.
SOLO IL CROCEFISSO PUO' e DEVE ESSERE ESPOSTO NEGLI UFFICI PUBBLICI.


Son state depositate le motivazioni della Corte di Cassazione-Sez. II civ. 5924/2011, con le quali ha confermato la rimozione dall'ordine giudiziario (decisa dal Consiglio Superiore della Magistratura nel gennaio 2010) del giudice 'anticrocefisso' Luigi Tosti, che rifiutava di tenere udienza finchè il simbolo della Cristianità non fosse stato tolto da tutti i tribunali italiani. In alternativa Tosti chiedeva, anche in Cassazione, di poter esporre la 'Menorah', simbolo della fede ebraica.

Dopo aver respinto la pretesa di Tosti per quanto riguarda la richiesta di esporre il simbolo ebraico accanto al Crocefisso, la Cassazione rileva che una simile scelta potrebbe anche essere fatta dal legislatore valutando, però, anche il rischio di «possibili conflitti» che potrebbero nascere dall'esposizione di simboli di identità religiose diverse. [...]

NON E' una MINACCIA ALLA LIBERTA' RELIGIOSA.

La Suprema Corte ha statuito inoltre che l'esposizione del Crocefisso nelle aule dei tribunali, e negli uffici pubblici, può non essere avvertito come un pericolo per la libertà religiosa di chi non è cristiano. «La presenza di un Crocefisso - scrive la Cassazione - può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un'aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani, con la conseguenza» che il giudice Tosti non poteva «rifiutare la propria prestazione professionale solo perchè in altre aule di giustizia (rispetto a quella in cui egli operava) era presente il Crocefisso».
Secondo Tosti invece, la presenza del Crocefisso violava i diritti di libertà religiosa e di coscienza degli utenti di quelle aule. A Tosti era stata messa a disposizione un'aula senza alcun simbolo ma lui, lo stesso aveva rifiutato di tenere udienza chiedendo la rimozione del Crocefisso da tutti i tribunali italiani.

ALEMANNO: SIMBOLO IDENTITA' CULTURALE

«Accolgo con grande soddisfazione le motivazioni della Corte di Cassazione secondo le quali l'unico simbolo religioso autorizzato ad essere esposto nelle aule dei tribunali è il Crocifisso». È quanto dichiara il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in merito alla sentenza che ha confermato la rimozione del giudice Tosti. «Il Crocifisso viene finalmente riconosciuto come simbolo della nostra identità culturale. In questi anni - prosegue Alemanno - contro i simboli cristiani è stata fatta una vera e propria campagna demagogica alla quale oggi viene data dalla Cassazione una risposta decisa». [...]

Fraternamente CaterinaLD

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17/03/2011 12:40
 
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 Mi viene da pensare: i Tradizionalisti sono senza Chiese, ma qualcuno vuole dare loro quelle in DISUSO AI MUSULMANI... ai quali NON mancano le Moschee E' CHE SONO TRIPLICATI LORO...
ottimo il commento NEGATIVO di padre Samir, ben conoscitore dell'Islam e di certo impossibile accusare di tradizionalismo... cari Vescovi Francesi, non c'è "molto da pensare" si deve dire "NO" con tutta la carità di questo mondo.... dobbiamo dirlo noi, laici, che le Chiese consacrate anche se in disuso NON possono essere usate per altri culti NON cattolici?

Musulmani che pregano per strada


di padre Piero Gheddo*

ROMA, mercoledì, 16 marzo 2011 (ZENIT.org).- Leggo su “Asia News” una notizia sorprendente (15 marzo). In Francia un’organizzazione islamica ha chiesto alla Chiesa francese di poter pregare nelle chiese non utilizzate. In Francia i musulmani sono circa quattro milioni (alcuni dicono cinque) e ormai da molti anni per la preghiera del venerdì occupano le strade di varie città bloccando il traffico. Occupazione illegale che il governo finora tollera, ma che suscita nei francesi un forte sentimento anti-islamico. La Chiesa francese non ha ancora risposto, ma Asia News ha chiesto un parere al padre Samir Khalil Samir, che è assolutamente negativo.

Anche in Italia i nostri musulmani (da un milione a uno e mezzo) hanno preso questa abitudine ed è interessante conoscere cosa ne pensa il gesuita egiziano (professore all’Università cattolica di Beirut). Sintetizzo per gli amici lettori il suo lungo articolo, che si sviluppa in tre punti:  

 1)  La causa della richiesta è la mancanza di spazio nelle moschee, che a Parigi sono 75 e assolutamente non bastano. Ma anche col doppio di spazio non basterebbero. Sta alla comunità musulmana risolvere il problema. Lo Stato e la Chiesa non c’entrano. Se non si vogliono suscitare reazioni negative nei francesi, bisogna riconsiderare anche la pratica piuttosto generalizzata dei sindaci di concedere dei terreni in enfiteusi (il più sovente per un euro all’anno) per la costruzione delle moschee, che poi vengono costruite con aiuti dall’estero.

2)  Secondo problema: bloccare le strade (in genere vicino alle moschee) per la preghiera e deviare il traffico. In Francia, questa situazione è riconosciuta come totalmente inaccettabile da tutte le persone ragionevoli, indipendentemente dal principio di laicità. Lo diventa ancora di più se si tiene conto del fatto che questa eccezione non ha più nulla di eccezionale, dal momento che si ripete ogni venerdì.  E dal momento che non si applica che a una religione precisa, l’islam. L’impressione di molti è che si tratti di una “invasione” di territorio, una specie di “conquista” del territorio nazionale da parte dei “musulmani”. Non ci sono motivi per giustificare queste occupazioni. I musulmani sono in parte responsabili dell’islamofobia che tende ad allargarsi in tutta l’Europa. E sta ai musulmani stessi risolvere il problema.

La stessa cosa avviene non solo in Francia, ma anche nei paesi islamici, il venerdì a mezzogiorno quando è l’ora della preghiera. Il problema non è solo dell’Occidente, ma dell’islam. Se i cristiani dovessero riunirsi tutti a mezzogiorno di domenica per pregare, le strade delle città sarebbero completamente bloccate. Nessuna chiesa potrebbe contenerli. Ma la Chiesa ha istituito anche la S. Messa del sabato sera, valida per la celebrazione della domenica, quando di S. Messe ce ne sono molte. E’ un problema interno alla comunità, che, se è viva, deve trovare delle soluzioni per adattarsi al mondo, e non chiedere al mondo di adattarsi a lei!

3)  Mettere a disposizione le chiese vuote per le preghiere del venerdì. Proposta sorprendente. Le “chiese vuote” sono luoghi consacrati e non verrebbe in mente a un cristiano di utilizzarli per qualche cosa che non siano le funzioni sacre, o per la musica sacra – un’eccezione sempre possibile. Impensabile utilizzarle per celebrare un culto non cristiano. Inoltre, queste “chiese vuote” non sono destinate a restare vuote, ma al contrario a essere occupate non appena possibile da una comunità cristiana o da una comunità monastica, come accade sempre di più ovunque in Europa. Ora sembra difficile che un tale locale, una volta trasformato più o meno in moschea, possa essere “ripreso” e trasformato di nuovo in chiesa. Immaginiamo per un attimo il contrario. Se in un Paese musulmano (l’Egitto o l’Algeria, per esempio) i cristiani autoctoni (in Egitto) o emigrati (in Algeria) chiedessero ai musulmani di cedere loro una moschea, dal momento che ne hanno tante, o di prestarla per la domenica, o solamente per le grandi feste cristiane: quale sarebbe la reazione dei musulmani?

Padre Samir conclude dicendo che in Europa deve stabilirsi fra cristiani e musulmani un rapporto basato sulla cooperazione, l’amicizia e la stima reciproca. Le due comunità religiose debbono fare dei passi in questa direzione. L’islam però, pone un problema all’Europa: non è vissuto semplicemente come una religione, ma anche come una cultura e una politica che penetrano in tutti i settori della vita quotidiana. Di conseguenza, ci può essere un conflitto di culture. L’Europa ha lavorato, per secoli, a separare religione e società, e tutto è segnato da una cultura cristiana secolarizzata. La comunità musulmana deve fare uno sforzo serio per accettare che il fenomeno religioso resti, per quanto è possibile, un affare privato. Più l’islam andrà in questa direzione, meno opposizioni troverà. Il che non significa affatto essere meno musulmani, ma esserlo in maniera diversa, più interiore. E poi aggiunge che il grosso sforzo da fare è nella formazione di imam francesi, che siano integrati nella cultura e nella mentalità francese (o più largamente europea). Fino a che l’islam sarà culturalmente “arabo”, finché i musulmani penseranno che per essere un vero musulmano bisognerà riavvicinarsi alla cultura araba originaria, ci sarà malessere. Questa è la vocazione dei musulmani europei: creare un’interpretazione occidentale (francese, europea…) dell’islam, che armonizzi la fede e la spiritualità musulmane con la modernità occidentale, e cioè con la laicità e i diritti dell’uomo.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.


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IL VALORE DELLA VITA anche se si e' disabili

                 Pope Benedict XVI (L) meets Canadian Manitoba Keewatinowi Okimakanak (MKO) Grand Chief David Harper at the end of his weekly audience in St. Peter's Square at the Vatican March 23, 2011.

Dal Papa i nativi del Manitoba

Jessica Cox, ventottenne statunitense dell'Arizona, è nata senza braccia ma non si è mai arresa, abituando i suoi piedi a comportarsi come fossero mani. È con i piedi che ha regalato al Papa la medaglia ufficiale del Guinness World Records che attesta il suo impegno tenace a testimoniare «il valore della vita sempre e comunque, in qualunque condizione». Infatti Jessica, usando solo i suoi piedi, sa pilotare l'aereo, guidare l'automobile, suonare il pianoforte, compiere tutti i gesti della vita quotidiana. Nello sport è cintura nera di taekwondo. «È uno stile di vita -- dice -- con cui cerco di contagiare i giovani che vivono nella disperazione e senza valori autentici». Speranza e valori autentici sono anche le realtà che continuano a essere al centro della vita dei nativi del Manitoba, antiche popolazioni che vivono nel territorio canadese. Il grande capo David Harper, con il tradizionale copricapo piumato, ha presentato al Pontefice le loro aspettative, soprattutto per ottenere una migliore assistenza sanitaria. «Stiamo dando vita -- dice Harper -- a una campagna di sensibilizzazione sul diabete, particolarmente diffuso tra la nostra gente».
Infine, in vista del prossimo Congresso eucaristico nazionale, che si svolgerà dal 3 all'11 settembre ad Ancona, gli agenti della polizia stradale delle Marche, «già al lavoro per garantire il servizio organizzativo», sono venuti a incontrare il Papa -- accompagnati dall'arcivescovo Edoardo Menichelli -- «per prepararsi anche spiritualmente» dice il dirigente Roberto Razzano.

(L'Osservatore Romano 24 marzo 2011)


                          Pope Benedict XVI (L) meets Canadian Manitoba Keewatinowi Okimakanak (MKO) Grand Chief David Harper at the end of his weekly audience in St. Peter's Square at the Vatican March 23, 2011.


vi ricordo di leggere anche questa:

La carezza di Benedetto XVI a Giampiero Steccato

                            



[Modificato da Caterina63 24/03/2011 16:48]
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31/03/2011 12:05
 
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Salva 70 bambini dall'aborto per tener fede a un voto


di Raffaella Frullone


27-03-2011


Quante volte, soprattutto nel momento del bisogno, preghiamo il Signore con ardore chiedendo una grazia e facendo un voto? «Signore se mi fai questa grazia ti prometto che da oggi in poi mi impegno a …», «Signore se mi concedi quanto ti chiedo, ti prometto che rinuncio a …».
E quante volte poi il voto è rimasto inadempiuto e delle nostre promesse non sono rimaste che parole vuote?

Oggi noi vi raccontiamo la storia di un uomo che, per tenere fede ad una voto fatto a Dio in un momento tragico, ha salvato le vite di 70 bambini e cambiato per sempre quella delle loro madri. Tong Phuoc Phuc è un 44enne vietnamita. Nel 2001 viveva nella città costiera di Nha Trang con la moglie che aspettava il loro primogenito.

La gravidanza però presentava delle complicazioni tali da mettere in serio pericolo le vite di mamma e figlio. Ecco che allora Phuc inizia a pregare, e incessantemente chiede al Signore che il figlio nasca sano e che sua moglie sopravviva al parto «Se mi concedi questa grazie Signore – supplicava – ti prometto che mi impegnerò ad aiutare gli altri». Non sapeva ancora quanto quella promessa avrebbe cambiato la sua e molte altre vite.
Il parto si svolse senza problemi e il bambino nacque sanissimo, mentre la moglie di Phuc per riprendersi ebbe bisogno di una lunga permanenza in ospedale per le complicanze della gravidanza. Fu in quel periodo che Phuc notò qualcosa di strano: «Vedevo molte donne entrare in ospedale col pancione e uscire senza il loro bambino… quando ho realizzato che tutte quelle donne avevano abortito sono rimasto scioccato e ho deciso che dovevo assolutamente fare qualcosa».

Da quel giorno Puch, che lavorava come muratore, inizia a risparmiare per riuscire a comprare un piccolo appezzamento di terreno fuori città. Poi inizia a recuperare feti abortiti dagli ospedali e dalle cliniche per seppellirli nel terreno e poter pregare per loro. All’inizio medici e infermieri pensavano fosse pazzo e anche la moglie era perplessa, soprattutto rispetto all’idea di risparmiare per costruire un cimitero per feti. Ma Puch era seriamente convinto e con costanza e determinazione bussava alle porte degli ospedali e portava via i corpicini abortiti, tanto che oggi sono 9000 i bimbi mai nati seppelliti nel suo cimitero «Questi bambini hanno un’anima – dice – e non voglio che la loro anima vaghi nel nulla senza che nessuno preghi per loro». Ma la parte più straordinaria del voto di Puch ancora doveva venire.

In Vietnam l’aborto è molto diffuso. Il paese asiatico nel 2010 è entrato nella classifica dei dieci stati con la più alta diffusione dell’interruzione di gravidanza, fenomeno che interessa soprattutto le ragazze con meno di 19 anni.. Nel 2006 nel solo ospedale di Ho Chi Minh City sono stati praticati 114 mila aborti, numero di gran lunga superiore a quello delle nascite. Purtroppo molte donne vietnamite vedono l’aborto come una scelta obbligata dal momento che vivono in situazioni di estrema povertà, le minorenni inoltre, temono di non riuscire a crescere il bambino visto che ai rapporti prematrimoniali quasi sempre segue un allontanamento della giovane da parte della famiglia.

Non solo, ad incidere è anche il numero degli aborti di figlie femmine, pratica cui i mariti costringono le mogli che non portano in grembo un erede maschio. Ecco che allora Puch decide di aprire la porta della sua casa alle madri in difficoltà accogliendo loro insieme ai lori piccoli. Il muratore garantisce loro un tetto e i pasti fino alla nascita del bambino e si impegna ad accogliere e allevare il piccolo fino al momento in cui la madre non si possa prendere cura di lui. Dal 2001 a oggi sono oltre 70 i bambini cui ha salvato la vita, 70 le donne alle quali è riuscito ad evitare il dramma dell’aborto soltanto parlando con loro mentre si recavano in ospedale con l’intenzione di interrompere la gravidanza.

Almeno metà di queste donne hanno trascorso la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino in uno dei due appartamenti che Puch ha allestito nel corso degli anni, anche grazie alle numerose offerte ricevute da chi veniva a conoscenza della sua storia. «A volte arrivo ad avere fino10-13 mamme che vivono qui con i loro bambini naturalmente. Quando i letti che ho a disposizione sono occupati, dormono sul pavimento. E’ difficile anche per loro ma appena si rendono conto della gioia della quale si sarebbero private rinunciando ad un figlio e del dramma che avrebbero vissuto, affrontano tutto con uno spirito ottimista. Cerco solo di dare agli altri la stessa gioia che il Signore ha dato a me».
 
Minimizza Tong Phuoc Puch, recita filastrocche ad un bimbo mentre accarezza l’altro, rassicura le loro madri e le fa sentire parte di un’unica e grande famiglia. Ogni mattina cura i dettagli del cimitero che accoglie i feti come se fosse uno stupendo giardino, si ferma davanti alla statua della Vergine Maria e prega, poi lavora, torna a casa e si prende cura di tutte le vite che ha salvato o cambiato. Una storia straordinaria, ancor più straordinaria se si pensa a come è cominciata, con una supplica al Signore, con una grazia ottenuta, con una promessa mantenuta.

fonte:
La Bussola Quotidiana


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05/04/2011 19:16
 
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[SM=g1740733] Madre Teresa di Calcutta lanciò una sfida che possiamo definire anche come PROFEZIA, disse a chi gli chiedeva se il mondo potesse avere pace:
"NON CI SARA' MAI LA PACE VERA FINO A QUANDO QUESTA NON COMINCERA' DAL GREMBO MATERONO" alludendo appunto alla maledetta legge dell'aborto che sta portando il nostro futuro nel baratro....perchè una Nazione che per legge UCCIDE i propri figli, sta uccidendo il proprio futuro... e non è una battuta invitarvi a pensare quanti futuri Premi Nobel sono stati fino ad oggi UCCISI nel ventre materno... o quanti futuri geni... e chissà quante eccellenti madri e padri di famiglia, o quanti intelligenti scienziati o professori, ma anche semplici CITTADINI, anche se malati o dall'intelletto normale ma che proprio per il loro ESSERE, avrebbero potuto dare un ottimo contributo al nostro tempo o al domani....
MILIONI DI VITE UMANE UCCISE NEI GREMBI MATERNI...per legge... e noi però pretendiamo la pace, vogliamo la pace, vogliamo vivere bene...


Oltre a questo c'è dell'altro, domandiamoci:
MA DAVVERO SIAMO IN UN'EPOCA DI PACE? [SM=g1740733]
Ne siamo certi?

Non stiamo vivendo, forse, in un tempo di grave inquietudine e di devastazione della Famiglia?

Non si tratta di parlare di apocalisse o di fine del mondo, ma di imparare a scoprire ciò che è MALE E AVERE IL CORAGGIO DI DENUNCIARLO, DI CHIAMARLO PER NOME E DI COMBATTERLO...
Non si tratta di fare i super eroi...

La Madonna a Fatima SI CONFIDO' a tre BAMBINI semi analfabeti... a tre bambini affidò delle RIVELAZIONI due della quali realizzate, come è possibile ignorare quell'evento?

Ascoltate questo video fino in fondo....ascoltatelo in silenzio e meditando ciò che ascolterete... e poi pensateci un pò su! e se potrete, prendete la CORONA DEL ROSARIO e preghiamo....

ATTENZIONE alla fine del video vi rimandano al sito www.fatima.it l'URL è stata cambiata, il sito di riferimento è questo:
www.fatima.org/it/default.html


O Maria santissima! mia padrona, nella Tua benedetta fiducia, nella Tua speciale protezione e nel seno della Tua misericordia mi raccomando oggi e tutti i giorni e nell'ora della morte. Ogni mia speranza e ogni consolazione, le mie angosce e tutte le mie miserie, la mia vita e il termine della mia vita, tutto a Te affido, affinché, per i Tuoi altissimi meriti e intercessione Tua, tutte le mie opere si facciano e si dirigano secondo la Tua volontà e quella del Tuo Figlio. Amen.


*****

O DOMINA mea, sancta Maria, me in tuam benedictam fidem ac singularem custodiam et in sinum misericordiae tuae, hodie et quotidie et in hora exitus mei animam meam et corpus meum tibi commendo: omnem spem et consolationem meam, omnes angustias et miserias meas, vitam et finem vitae meae tibi committo, ut per tuam sanctissimam intercessionem et per tua merita, omnia mea dirigantur et disponantur opera secundum tuam tuique Filii voluntatem.
Amen.

(St. Aloysius Gonzaga)

Buona meditazione

fr.gloria.tv/?media=128391




[SM=g1740750]

[Modificato da Caterina63 05/04/2011 19:49]
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Quando la medicina nega le cure ai neonati

L'erosione dei diritti umani


 

di CARLO BELLIENI

È possibile che vengano erosi dalla scienza e dalla medicina i diritti umani nell'epoca che a parole moltiplica le garanzie civili? Difficile da credere, ma è proprio quello che sta avvenendo. E non ci riferiamo solo alla perdita di valore della vita fetale, ma all'erosione sistematica dei diritti di chi è già nato.
Basta leggere la stampa scientifica per vedere come i diritti alle cure di bambini già nati siano volutamente ridotti rispetto a quelli di cui godono gli adulti.

Iniziò la canadese Annie Janvier, con una serie di studi, a mostrare come a parità di prognosi la percentuale di medici pronti a fornire cure salvavita a un neonato malato sia molto inferiore a quella che rianimerebbe un adulto con prognosi simile. E uno studio pubblicato nel 2000 sul "Journal of the American Medical Association" evidenziava che molti medici europei e statunitensi, al momento di rianimare un bambino, prendono in considerazione il peso che questi può diventare per i genitori. Tanto che Michael Gross concludeva un'altra ricerca su quattro Paesi occidentali spiegando che "esiste un assenso generale al neonaticidio, a seconda del parere del genitore sull'interesse del neonato definito in modo da considerare sia il danno fisico" sia il danno a terzi ("Bioethics", 2002).
E come se questo non bastasse, sull'ultimo numero di "Pediatrics" si spiega che i medici in Canada e negli Stati Uniti tengono conto dell'età della madre o del tipo di famiglia al momento di rianimare il neonato, dando la preferenza a chi è stato concepito in vitro, o a chi ha la madre avvocato. Ma quanto sia grave la situazione è dimostrato dall'ultimo numero dell'"American Journal of Bioethics", in cui Dominic Wilkinson, neonatologo e filosofo, spiega che "è giustificabile in alcune circostanze per genitori e medici decidere di lasciar morire un bambino anche se la sua vita meriterebbe di essere vissuta".

L'assunto di Wilkinson è che oggi, per decidere se rianimare un neonato si fa un conto del suo benessere futuro e del peso che una eventuale disabilità gli porterebbe; e se la bilancia si inclina in questo senso, s'interrompono le cure, dato che la vita in quel caso "non merita di essere vissuta": visione tragica e mercantilistica della vita stessa, la quale assume un valore che può essere ritenuto inaccettabile. Wilkinson va oltre e spiega che anche se la bilancia si inclina moderatamente verso il futuro benessere - cioè anche se "la vita merita di essere vissuta" - il genitore o il medico possono scegliere di sospendere le cure.
Si tratta di una vera e propria erosione dei diritti: non una trascuratezza, ma una reale e scientifica selezione di soggetti ai quali toglierli a favore di altri, tanto che Annie Janvier ha intitolato due suoi studi Il criterio di fare il miglior interesse del paziente non viene applicato ai neonati ("Pediatrics", 2004) e I neonati sono diversi dagli altri pazienti? ("Theoretical Medicine and Bioethics", 2007).
Ma questa tendenza non si limita ai neonati: nel 1996 il maggior studioso mondiale di nanismo pubblicava su "Archives de Pédiatrie" un terribile articolo (J'accuse! Il nanismo ha ancora diritto di cittadinanza?), in cui parlava della discriminazione che pesa su chi è di bassa statura. E cosa dire quando si legge che le persone con disabilità mentale o addirittura con un danno fisico altamente invalidante perdono il diritto a essere chiamati "persone"?
La citata ricerca del "Journal of the American Medical Association" mostrava come un'alta percentuale di medici pensi che in caso di disabilità (fisica o mentale) la morte sia preferibile alla vita. Non bisogna allora stupirsi se in alcuni Paesi ai malati di demenza senile che non riescono più ad alimentarsi da soli si riducano le cure ("Annals of Internal Medicine", agosto 2002) o si eviti di fornire l'idratazione, e se le persone con disabilità mentali sono diventate "invisibili" per il sistema sanitario ("Lancet", 2008).

Ma, nel caso dei neonati, questo lasciare l'ultima parola ai genitori - spesso in preda all'angoscia e certamente non in possesso di cognizioni scientifiche - e legare la rianimazione alla disabilità futura, dà proprio l'idea di un'estensione a dopo la nascita delle leggi sull'aborto, con la differenza che qui non si provoca direttamente la morte, ma semplicemente si sospendono le cure, con analogo risultato. In un'epoca che a parole scrive i diritti dell'infanzia, ma nei fatti è pronta ad archiviarli quando questa infanzia non risponde a un modello ideale o alle attese.

In molti Paesi, significativamente in quelli a maggior benessere, esistono protocolli per non rianimare bambini nati con possibilità di sopravvivenza - in alcuni casi decisamente alta ("Pediatrics" gennaio 2006) - per la possibilità residua di morire o di avere un handicap. E stupisce l'accettazione di questi protocolli da parte degli operatori: forse per un malinteso senso di solidarietà verso i parenti, o per un'avversione verso la disabilità che sconfina nell'eugenetica.

Non risulta che nei Paesi dove questi protocolli sono in auge ci siano ospedali che si dissociano o operatori che facciano obiezione. Preoccupa seriamente che la rianimazione selettiva sia diventata una routine accettata come normale pratica clinica. Insomma, una banale consuetudine.



(©L'Osservatore Romano 6 maggio 2011)




Inno alla vita...

Riportiamo di seguito la risposta ad una lettera scritta al direttore del Bollettino Salesiano del giugno 2007:

Egregio direttore... perché continuate a ostinarvi contro l’aborto? ...
Possibile che anche lei che sembra intelligente non capisce che è un gran bene per lo Stato, per la famiglia, per la società che si impedisca che vengano al mondo bambini indesiderati, che soffrirebbero e farebbero soffrire, che avrebbero una vita d’inferno …

Il sacerdote risponde:

“Cara signorina, prima di tutto grazie per l’apprezzamento. Sono già altre volte intervenuto
sul tema della vita. Per non ripetermi, vado a ripescare quanto mi ha inviato un amico
qualche mese fa: mi sembra una di quelle risposte ad hominem che può essere illuminante.
Eccoti cinque casi:
1. Una coppia, lui asmatico lei tubercolotica, hanno avuto 4 figli: il primo cieco, il secondo
sordo, il terzo nato morto e il quarto ha ereditato la malattia del padre. La donna è di nuovo incinta. Consiglieresti l’aborto?
2. Un bianco stupra una ragazzina negra di 13 anni che resta incinta. Se tu fossi il padre le consiglieresti di interrompere la gravidanza ?
3. Una signora rimane incinta. Ha già altri figli, il marito è in guerra e lei, ammalata, non ha
molto da vivere. Le consiglieresti di sbarazzarsi del bimbo che porta in grembo ?
4. Una coppia estremamente povera ha avuto 14 figli. Vivono nella fame. Incoraggeresti la
donna ad abortire il suo 15° rampollo ?
5. Una ragazza di poco più di 15 anni resta incinta. Non è sposata e il padre del bebè non è il promesso sposo. Le diresti che è meglio abortire ?

Allora, se rispondi sì, avresti impedito che venisse al mondo nel
1° caso Ludwing van Beethoven, uno dei maggiori geni musicali del mondo; nel
2° caso Ethel Waters, una delle più famose cantanti nere di blues; nel
3° avresti ucciso papa Woityla e ciò non ha bisogno di commenti; nel
4° John Wesley, uno dei più grandi predicatori del Settecento. E nel
5° caso, cara signorina, avresti impedito che venisse al mondo Gesù Cristo!
Non so se mi spiego




[Modificato da Caterina63 05/05/2011 20:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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AC(Alleanza Cattolica )News 005-2009 — Mary Ann Glendon rifiuta la Medaglia Laetare conferitale dall'Università Cattolica Notre Dame

Roma, 8 maggio 2009. Il testo originale e la traduzione italiana della lettera con cui Mary Ann Glendon ha rifiutato la medaglia Laetare, conferitale dall’Università Cattolica Notre Dame degli stati Uniti.

Mary Ann Glendon è nata il 7 ottobre 1938 a Pittsfield (MA), e vive con il marito, Edward R. Lev, a Chestnut Hill, nel Massachusetts. Hanno tre figlie.

È professore di legge all’Università di Harvard, e si occupa in particolare di diritti umani, diritto comparato, diritto costituzionale e teoria del diritto.

Nel 1994, fu nominata da Papa Giovanni Paolo II membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Nel 1995 ha guidato la delegazione della Santa Sede alla Conferenza ONU di Pechino sulla donna. È stata ambasciatrice degli USA presso la Santa Sede.

 

 

27 aprile 2009
Rev. John I. Jenkins, C.S.C.
Presidente
University of Notre Dame


Caro Padre Jenkins,

quando lei mi ha informato nel dicembre 2008 che ero stata scelta per ricevere la Medaglia Laetare della Notre Dame, mi sono profondamente commossa. Conservo ancora il ricordo di quando ho ricevuto una laurea ad honorem dalla Notre Dame nel 1996, e mi sono sempre sentita onorata che il discorso inaugurale da me pronunciato quell’anno sia stato incluso nell’antologia delle più importanti prolusioni della Notre Dame. Per questo ho cominciato immediatamente a lavorare al discorso di accettazione, che desideravo fosse all’altezza dell’occasione, dell’onore della medaglia, dei vostri studenti e docenti.

Il mese scorso, quando lei mi ha chiamato per dirmi che il discorso inaugurale sarebbe stato fatto dal Presidente Obama, le ho accennato al fatto che avrei dovuto riscrivere il mio discorso. Nelle settimane successive, il compito che mi era sembrato così piacevole è stato reso complesso da numerosi di fattori.

Primo, nella mia qualità di consultrice da lungo tempo della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, non ho potuto che provare disappunto per la notizia che Notre Dame aveva anche deciso di dare una laurea ad honorem al presidente. Questo, come lei deve sapere, era in contrasto con la richiesta esplicita del 2004 dei vescovi degli Stati Uniti, che istituzioni cattoliche “non devono dare onorificenze a coloro che agiscono in modo difforme rispetto ai nostri principi morali fondamentali” e che queste persone “non devono ricevere premi, onorificenze o tribune che possano suggerire un supporto alle loro azioni”.
Quella richiesta, che non intende in nessun modo controllare o interferire con la libertà di un’istituzione di invitare e di impegnarsi in un serio dibattito con chiunque desideri, mi sembra così ragionevole che non riesco proprio a comprendere perché un’università cattolica dovrebbe ignorarla.

Successivamente ho appreso che gli argomenti diffusi da Notre Dame in risposta alle critiche diffuse per la sua decisione includevano due affermazioni che implicavano che il mio discorso di accettazione avrebbe in qualche modo bilanciato l’evento:

• “il Presidente Obama non sarà l’unico a parlare. Mary Ann Glendon, già ambasciatrice degli Stati Uniti presso il Vaticano, parlerà in quanto insignita con la Medaglia Laetare”

• “Pensiamo che il fatto che il presidente venga a Notre Dame, veda i nostri diplomati, incontri i nostri dirigenti, e ascolti un discorso di Mary Ann Glendon sia una cosa buona per il presidente e per le cause che ci stanno a cuore”

Una cerimonia di inaugurazione, purtuttavia, dovrebbe essere un giorno di gioia per i diplomati e per le loro famiglie. Non è il posto giusto, né un breve discorso di accettazione il mezzo idoneo, per mettere in discussione i problemi molto seri sollevati dalla decisione di Notre Dame – irrispettosa della posizione definita dai vescovi degli Stati Uniti – di onorare un importante e coerente oppositore della posizione della Chiesa su temi che riguardano fondamentali principi di giustizia.

Infine, in ragione di recenti notizie secondo cui altre scuole cattoliche stanno scegliendo ugualmente di ignorare le linee guida dei vescovi, sono preoccupata che l’esempio di Notre Dame possa avere un'infelice effetto a catena.

È dunque con grande tristezza che ho concluso di non poter accettare la Medaglia Laetare né partecipare alla cerimonia dei diplomi del 17 maggio.

Per far da parte inevitabili speculazioni sulle ragioni della mia decisione, diffonderò questa lettera alla stampa, ma non ho intenzione di fare alcun altro commento sulla questione in questo momento.

Yours Very Truly, Mary Ann Glendon

 

***

 

April 27, 2009
The Rev. John I. Jenkins, C.S.C.
President
University of Notre Dame

 

Dear Father Jenkins,

When you informed me in December 2008 that I had been selected to receive Notre Dame’s Laetare Medal, I was profoundly moved. I treasure the memory of receiving an honorary degree from Notre Dame in 1996, and I have always felt honored that the commencement speech I gave that year was included in the anthology of Notre Dame’s most memorable commencement speeches. So I immediately began working on an acceptance speech that I hoped would be worthy of the occasion, of the honor of the medal, and of your students and faculty.

Last month, when you called to tell me that the commencement speech was to be given by President Obama, I mentioned to you that I would have to rewrite my speech. Over the ensuing weeks, the task that once seemed so delightful has been complicated by a number of factors.

First, as a longtime consultant to the U.S. Conference of Catholic Bishops, I could not help but be dismayed by the news that Notre Dame also planned to award the president an honorary degree. This, as you must know, was in disregard of the U.S. bishops’ express request of 2004 that Catholic institutions “should not honor those who act in defiance of our fundamental moral principles” and that such persons “should not be given awards, honors or platforms which would suggest support for their actions.” That request, which in no way seeks to control or interfere with an institution’s freedom to invite and engage in serious debate with whomever it wishes, seems to me so reasonable that I am at a loss to understand why a Catholic university should disrespect it.

Then I learned that “talking points” issued by Notre Dame in response to widespread criticism of its decision included two statements implying that my acceptance speech would somehow balance the event:

• “President Obama won’t be doing all the talking. Mary Ann Glendon, the former U.S. ambassador to the Vatican, will be speaking as the recipient of the Laetare Medal.”

• “We think having the president come to Notre Dame, see our graduates, meet our leaders, and hear a talk from Mary Ann Glendon is a good thing for the president and for the causes we care about.”

A commencement, however, is supposed to be a joyous day for the graduates and their families. It is not the right place, nor is a brief acceptance speech the right vehicle, for engagement with the very serious problems raised by Notre Dame’s decision—in disregard of the settled position of the U.S. bishops—to honor a prominent and uncompromising opponent of the Church’s position on issues involving fundamental principles of justice.

Finally, with recent news reports that other Catholic schools are similarly choosing to disregard the bishops’ guidelines, I am concerned that Notre Dame’s example could have an unfortunate ripple effect.

It is with great sadness, therefore, that I have concluded that I cannot accept the Laetare Medal or participate in the May 17 graduation ceremony.

In order to avoid the inevitable speculation about the reasons for my decision, I will release this letter to the press, but I do not plan to make any further comment on the matter at this time.

Yours Very Truly, Mary Ann Glendon
 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/05/2011 12:20
 
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La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia”




Chi discrimina chi?


di Riccardo Cascioli



19-05-2011

La bocciatura in Commissione Giustizia della Camera del progetto di legge Concia sulle “norme per il contrasto dell’omofobia e transfobia” ha suscitato – come era facilmente prevedibile – un’ondata di polemiche con accuse di inciviltà e barbarie contro i deputati di Pdl, Lega e Udc che hanno votato contro. Li si accusa di favorire la discriminazione degli omosessuali e dei transessuali, ma in realtà se andiamo a vedere il testo del progetto di legge comprendiamo che con la discriminazione contro gli omosessuali non c’entra un bel nulla.

Cosa significa infatti discriminare? Creare una differenza o una distinzione, ci dice un comune dizionario di italiano. In questo caso si tratterebbe di creare una disparità di trattamento ingiustificata a causa di alcune caratteristiche fisiche, sociali, politiche, culturali, economiche e via dicendo.

Cosa propone invece il progetto di legge Concia? Esso è composto di soli due articoli, che aggiungono altrettanti commi a due articoli del codice penale: in pratica, la punizione di un’offesa o una violenza è aggravata se la vittima è un omosessuale o transessuale, e le eventuali attenuanti vengono cancellate; inoltre per chi commette reati di questo genere, in caso di sospensione della pena è previsto un lavoro di pubblica utilità presso associazioni di gay.

In altre parole, chi si è opposto al progetto di legge non ha avallato norme che rendono le persone omosessuali più vulnerabili o meno protette, semplicemente ha valutato che – dal punto di vista di chi è vittima di violenze o offese - le persone omosessuali sono come quelle eterosessuali. Se le parole hanno un senso è chi vuole questa legge che intende introdurre una discriminazione a vantaggio delle persone omosessuali. Peraltro è anche difficile considerare quella omosessuale una minoranza indifesa quando la lobby gay è tra le più potenti e influenti in tutto il mondo occidentale e nelle istituzioni internazionali.

Quindi perché tutto questo scandalo?
Probabilmente perché, non per le persone omosessuali in quanto tali ma per il movimento organizzato di gay e lesbiche, questo tipo di legge non è un obiettivo in sé ma solo un passo verso obiettivi più ambiziosi. Scorrendo i programmi e le strategie dei gruppi organizzati di gay, lesbiche, bisex e trans – vedi ad esempio l’International Gay and Lesbian Association (Ilga) – si comprende che quella che si sta operando è una vera e propria rivoluzione antropologica, dove viene cancellato l’ordine naturale a favore di scelte culturali e personali. In altre parole non esisterebbero più maschio e femmina, come unici generi assegnati dalla natura, ma una serie di orientamenti sessuali – maschio, femmina, trans, omosex, lesbiche, travestiti, bisex e scusate se ne dimentichiamo qualcuno – che ognuno può scegliere liberamente e anche cambiare nel corso della vita. Cancellata ogni oggettività, tutto è soggettivo e relativo. Escluso il diritto di discutere questo approccio.

Ed è per questo che si assiste a una crescente aggressività dei movimenti gay – non delle persone omosessuali – nei confronti di chi non si adegua a questo pensiero politicamente corretto: intimidazioni, denunce, linciaggi verbali come quelli a cui stiamo assistendo in queste ore contro chiunque sia di intralcio al progredire della strategia gay.
E’ questo che dovrebbe allarmare prima di tutto.




Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz1NMHJ8z1T

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ELEZIONI/ Gheddo: dalla Chiesa i criteri per votare, oltre le antipatie

mercoledì 25 maggio 2011

A pochi giorni dal ballottaggio milanese, che vede contrapposti Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, sui giornali si torna a discutere di voto cattolico. «Gli appelli a concentrarsi sulla dimensione della concretezza, del fare quotidiano e della progettualità sembrano cadere nel vuoto», ha dichiarato pochi giorni fa il Cardinale Angelo Bagnasco, criticando una politica troppo spesso ridotta a “litigio perenne”. Ieri lo scontro tra Il Giornale e Avvenire sulle parole del cardinale Dionigi Tettamanzi e il chiarimento di mons. Mariano Crociata sul tema delle moschee. Secondo il segretario generale della Cei, la costruzione di una moschea risponde infatti al diritto fondamentale della libertà religiosa, ma occorre tenere conto delle «esigenze di vita sociale e comunitaria della nostra Costituzione», dato che si tratta anche di «luoghi di aggregazione sociale». Ma come orientarsi in questo finale di campagna elettorale che vede i programmi dei candidati ancora in secondo piano? «Per un cattolico è molto più semplice di quanto si creda - dice Padre Piero Gheddo a IlSussidiario.net -. Nella scelta su chi votare il criterio non è la simpatia personale, ma le proposte che vengono portate avanti dai candidati sui temi che la Chiesa oggi ritiene decisivi, in Italia come in tutto il mondo».

A cosa si riferisce?

Parlo di quei “valori non negoziabili” indicati più volte da Papa Benedetto XVI e dalla Conferenza Episcopale Italiana come prioritari: la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale, la difesa della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, la difesa della libertà di educazione e della libertà religiosa. Non sono temi che la Chiesa sceglie a caso, c’è una ragione precisa.

Quale?

Stiamo attraversando una crisi antropologica che riguarda lo stesso concetto di uomo. Se ci si dimentica infatti che l’uomo è una creatura di Dio si può arrivare fino a mettere le mani sulla vita e sulla morte, scivolando verso quella barbarie inseguita da Hitler e da altri come lui. È questo il punto più importante, tutto il resto, anche se condivisibile, viene dopo.

Cosa intende dire?

L’ingiustizia sociale non è stata di certo sconfitta, se chi si batte per questo però sostiene l’aborto, l’eutanasia e l’equiparazione delle coppie gay al matrimonio tra uomo e donna, non andiamo più d’accordo. Da cattolico non potrei mai votare infatti per un candidato che porti avanti queste idee, anche se ha in mente molti  progetti meritevoli.
La libertà di educare, poi, non è certo un tema minore. Le famiglie devono poter scegliere alla pari tra scuole paritarie e scuole pubbliche, come già avviene in Lombardia nel campo sanitario. Tra l’altro, grazie alle paritarie, anche se nessuno lo dice, lo Stato risparmia diversi miliardi di euro l’anno. Non è allo Stato, o al Comune, che spetta la regia di tutto, ma il controllo, per evitare che qualcuno faccia il furbo. Il primato resta quello dell’individuo, come dice il principio di sussidiarietà.

In questa campagna elettorale le polemiche continue non hanno permesso probabilmente di approfondire questi temi. Il Card. Bagnasco ha puntato il dito contro il “dramma del vaniloquio”, quella spirale di «invettiva che non prevede assunzioni di responsabilità».

Sono d’accordissimo con lui, anche se ricordo ancora gli insulti che volavano nella campagna elettorale del ’48 e in quella del ’53. In quegli anni, d’altra parte, si decideva se restare al di qua della “cortina di ferro” e fortunatamente, come ammise poi anche lo stesso Berlinguer, non ci fu un’affermazione delle sinistre. 
Per questo i toni aspri non mi spaventano più, anche se gli schieramenti politici oggi dovrebbero rispettarsi maggiormente e cercare di dialogare. I tempi dovrebbero permetterlo, anche se la fine della Prima Repubblica e la dissoluzione dei partiti ci ha portato in questa direzione. Oggi conta molto di più il carisma personale delle ispirazioni ideali e la demonizzazione reciproca sembra quasi una conseguenza inevitabile. 

Come ne usciremo secondo lei?

Non saprei, la personalizzazione conta ancora moltissimo e non solo in Italia. Registro solo il fatto che qui da noi siamo fermi al ’94: tutta l’attenzione è ancora concentrata su Berlusconi, tant’è che gli attacchi che riceve sono rivolti alla sua persona più che alla sua politica.
L’evoluzione della politica italiana seguirà comunque il suo corso e la Chiesa continuerà a indicare a tutti ciò che conta senza dover dire per chi votare. Ricordo ad esempio nel 1968 i distinguo di un certo mondo cattolico contro l’Humanae Vitae di Paolo VI. “È matto - dicevano - c’è il boom demografico, non bisogna favorire le nascite”. Il Papa tenne duro e la storia gli diede ragione, perché ragionava secondo il Vangelo. D’altronde l’uomo vive nelle cose di tutti i giorni, ma la Chiesa vede più lontano. Spetta alla libertà di ciascuno decidere se ascoltarla. Uno può anche decidere di fare il “cattolico adulto” e disobbedire: la coscienza è sua…

(Carlo Melato)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740720]ATTENZIONE: IL SILENZIO DEI MEDIA E' DAVVERO PESANTE.....

Uno studio di "Lancet" denuncia il diffondersi degli aborti selettivi

India, la strage delle innocenti


 

 

NEW DELHI, 25. In India mancano all'appello dodici milioni di bambine, sparite - se così si può dire - negli ultimi tre decenni a causa degli aborti selettivi, praticati dalle famiglie che preferiscono avere un figlio maschio, soprattutto quando il primogenito è femmina. È la stima contenuta in uno studio della prestigiosa rivista scientifica "Lancet" dedicata alla strage silenziosa che sta scavando un solco sempre più profondo nella popolazione indiana.
Secondo i dati del censimento 2011, lo squilibrio demografico è di 914 donne su mille uomini (da 927 su 1000 registrato nel censimento del 2001). Non era mai stato così basso dall'indipendenza. In particolare, nell'ultimo decennio mancano sei milioni di bambine. Nonostante le campagne del Governo, le famiglie indiane, anche quelle benestanti, continuano a privilegiare l'erede maschio e a considerare le figlie femmine un peso economico per l'usanza della dote necessaria per garantire un buon matrimonio.
Il rapporto, basato su un campione di 250.000 nascite, mostra che gli aborti selettivi sono una pratica frequente tra il ceto urbano non solo dei popolosi stati settentrionali come Uttar Pradesh, Rajasthan e Haryana, ma anche nel sud dove lo squilibrio non era così grave in passato. I dati appaiono ancora più allarmanti se si considera il surplus di 7,1 milioni di bambini maschi (nel 2001 era di 6 milioni e nel 1991 di 4,2 milioni). Per la popolazione adulta, invece, il divario è di circa 38 milioni (623,7 milioni di maschi e 586,5 milioni di femmine).
"Siccome la famiglia indiana si è ridotta negli anni, gli aborti selettivi sono sempre più praticati nel caso in cui il primo nato sia una femmina" spiegano gli autori dello studio realizzato dal Centre for Global Health dell'università di Toronto, in Canada. Interessante è notare che, mentre la percentuale delle donne è salita nell'ultimo decennio grazie all'aumento dell'aspettativa di vita, il divario aumenta drammaticamente, in favore del sesso maschile, nel caso dei bambini da zero a sei anni. Le scioccanti cifre mostrano il fallimento delle politiche del governo volte anche a impedire la indagine prenatale del sesso.



(©L'Osservatore Romano 26 maggio 2011)

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ALTRA NOTIZIA SCONCERTANTE:

DONNE NON PRESTATEVI A QUESTI GUADAGNI, NON DATE VIA LA VOSTRA DIGNITA', NON DATE VIA I VOSTRI FIGLI.....



Bimbi con due padri, ecco perchè no
da la BussolaQuotidiana

di Antonio Giuliano
25-05-2011

Per chi da anni denuncia la crisi della figura paterna suona quasi beffarda la grancassa mediatica e culturale di chi vorrebbe famiglie con due padri (come Repubblica del 23 maggio “I figli di due padri”). Ma lo psicanalista Claudio Risè ormai non si scompone più: «Nel nostro orizzonte culturale l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo». Sulla scia di sponsor del calibro di Elton John o Ricky Martin anche in Italia sarebbero un centinaio le coppie omosessuali che ricorrono all’estero (da noi è vietata) alla maternità “surrogata”: in pratica nell’utero di una donatrice che offre a pagamento il proprio utero viene inserito un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e il seme di uno dei due padri. E la campagna mediatica si rianima mentre è in corso in parlamento il dibattito sulla legge sull’omofobia.

Professore perché per un bimbo è importante avere un padre e una madre?
 

In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.

Qualcuno le obietterebbe che uno dei due padri (o una delle madri nel caso di coppie lesbiche) potrebbe benissimo svolgere il ruolo della figura materna (o paterna nell’altro caso). 

No. La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropea da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione delle tua immagine sessuale profonda.

Quali sono i rischi che corre un bambino/a che cresce senza un genitore di sesso femminile? Tanto più che nella fecondazione assistita eterologa padre e madre sono spesso sconosciuti…

L’esperienza del contatto fisico con la madre, nella cui pancia si è stati, è riconosciuta dalla psichiatria e dalle psiconalisi come fondativa della personalità, e della stessa corporeità…

Nei libri come Il padre l’assente inaccettabile o Il mestiere di padre (entrambi pubblicati dalla San Paolo) denunciava la scomparsa della figura paterna. Ora invece sembra a rischio la figura materna
.

Anche quei libri sono stati scritti per dimostrare che servono entrambi i genitori, entrambi gli aspetti, quello maschile e quello femminile. La verità è che ormai non c’è solo una crisi della paternità. Ma dell’umanità in generale. L’essere umano, attraverso acquisti e affitti di parti del corpo e elementi generativi è diventato un “prodotto fabbricato”, nel senso in cui ne parlava Michel Foucault. Siamo ormai all’interno di un modello culturale “materialista” (ma in realtà molto mentale, perché passa dalla negazione del corpo “naturale”) fondato sulla soddisfazione narcisistica dei bisogni indotti dal sistema di consumo. Il bimbo “fabbricato” è uno di questi nuovi bisogni. È l’effetto del processo di secolarizzazione che ha tagliato anche i rapporti con il padre celeste, Dio: non c’è posto per l’Altro, tanto meno per la dimensione verticale. Ma negando l’ordine naturale e simbolico siamo costretti a negare anche la nostra corporeità (iscritta in essi) come spiego nel mio ultimo libro Guarda tocca vivi. Riscoprire i sensi per essere felici (Sperling & Kupfer, pp. 210, euro 16,50). Altro che superinvestimento nei sensi. L’ideologia consumista, le mode, i media dettano i nostri comportamenti, perfino nell’innamoramento: ci si incontra e ci si lascia in base ai suggerimenti della moda e delle “tendenze”. La sapiente teologia dell’amore di Giovanni Paolo II è stata spazzata via da una sessualità staccata dalla sensualità della persona umana, e consumista. Non stupiamoci, allora, se sono sempre di più quelli che vogliono evadere dal proprio corpo: magari con le droghe o coi disturbi alimentari come l’anoressia. La sacralità del corpo del cristianesimo è stata negata, e i consumi divinizzati. Ma solo riappropriandoci della nostra corporeità potremo relazionarci con gli altri. E con Dio.

 

 

 

********************************************

Non ci vorrebbe molto per dare una notizia di 4 righe come questa....quando si tratta di Berlusconi, tutti i riflettori sono puntati, ma ma quando c'è da associare a lui una notizia di tutt'altro genere, i riflettori si spengono...ma ne comprendiamo il silenzio mediatico, una notizia del genere o è scomoda o "fa ridere" gli increduli....

 

da Cammilleri

 

L’ex medico personale di Berlusconi e sindaco di Catania (ora deputato) Umberto Scapagnini si è risvegliato dopo mesi di coma. Così scrive di lui Benedetta Frigerio sul settimanale «Tempi» del 13 aprile 2011: «Di Scapagnini si parla come di un “miracolato”: era completamente paralizzato, in coma e pieno di tumore; oggi, dopo il suo definitivo risveglio, è in perfetta salute». Scapagnini parla anche della «visione che ho avuto durante il coma – mia madre e padre Pio che mi hanno detto che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo e che si vive per fare la volontà di Dio». Aggiunge: «Ero favorevole all’eutanasia. Oggi credo che mai nessuno dovrebbe morire come la Englaro (…). Penso che il testamento biologico sia un errore. Io, prima della malattia, lo avrei firmato».


[Modificato da Caterina63 28/05/2011 10:15]
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Quei trucchetti per ingannare
l'auditel del web   versione testuale

di Vincenzo Grienti


Negli anni del sempre e ovunque connessi, il «posizionamento» nei motori di ricerca sta diventando come la corsa all’oro per i primi pionieri del Klondike. Nel linguaggio tecnico informatico questo fenomeno è indicato con il termine di «ranking», parola inglese che significa «posizione in una graduatoria». Una volta materia esclusiva di tecnici e webmaster, nell’era del web 2.0 il «ranking» è diventato appannaggio di professionisti, società di consulenza e aziende di ogni settore, compreso quello editoriale, che vogliono stare sempre ai primi posti di questa classifica on line (il termine Page Rank è un marchio registrato da Google, ndr). La pole position sulla griglia di un motore di ricerca equivale ad essere immediatamente visibili e «in alto». Ad alimentare la competizione, la regola del «chi non sa creare contenuti, sul Web non esiste».

Per questo motivo negli ultimi tempi sono nati fenomeni come quello della «fattoria dei contenuti», letteralmente in inglese «content farm», che agiscono sui contenuti informativi allo scopo esclusivo di aumentare il «ranking», ovvero di far raggiungere a siti e pagine Web la vetta della classifica nei motori di ricerca. Diffusosi negli Usa, e ora approdato anche in Europa, la «content farm» consiste nel generare contenuti, ad esempio news, opinioni su fatti di cronaca, commenti a editoriali, ma anche brevi testi su particolari tematiche redatti dai cosiddetti «writers», per lo più giovani che per pochi dollari inseriscono materiali sul web.

Secondo gli esperti, questi «scrittori digitali» si concentrano molto sulla quantità sacrificando la qualità dei contenuti e utilizzando la Rete solo come uno spazio da riempire per agevolare un blog e creare un effetto di migliore indicizzazione sui motori di ricerca. Poiché un motore di ricerca considera un risultato tanto più valido quanto più numerosi sono i link, cioè i collegamenti presenti all’interno di un sito Web, la loro abilità sta proprio nel costruire pagine ricche di link. Da qui l’esigenza dei principali gestori dei motori di correre ai ripari per preservare i contenuti di qualità rispetto a quelli di bassa qualità. Senza entrare nella polemica e nei dibattiti in atto sulle «content farm», ma riflettendo semplicemente sull’importanza di creare contenuti che siano davvero di qualità per gli utenti, quante volte capita di intraprendere una ricerca ed avere come risultato ai primi posti siti internet che portano solo a pagine povere di informazioni? Un fattore che crea – come dicono gli esperti – stress a tutti quegli utenti che non trovano a portata di mano quello che davvero cercavano.

Di fronte a tutto ciò è evidente che in gioco c’è la credibilità e la qualità delle informazioni in Rete, due fattori che richiamano il vero lavoro giornalistico che ogni giorno viene svolto nelle redazioni dei quotidiani, delle tv, delle radio, ma anche delle testate on line e negli uffici stampa che producono informazione per il Web. Sono i giornalisti di professione che fanno la differenza nella produzione dei contenuti, anche on line. Scrivere testi di qualità non vuol dire solo riempire uno spazio, ma utilizzare in modo positivo e costruttivo gli strumenti del web 2.0 tenendo sempre presenti le regole dell’etica e della deontologia professionale. D’altra parte, chi meglio dei giornalisti e dei gruppi editoriali consolidati possono riuscire in questa impresa tutta multimediale proiettata verso un futuro di convergenza digitale su un’unica piattaforma?
 
   da Avvenire del 26 maggio 2011, pag. 29


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La notizia non ci coglie "impreparati"...ma è assai utile riportare per mettervi in guardia dai FURBI.. sappiamo perfettamente, infatti, che chi non entra "nel giro" dei più furbi, difficilmente riesce a far sentire non tanto la "propria" voce ma Quella di Colui e di Colei alla quale ci siamo messi a servizio....è ovvio che per "noi" parliamo di MARIA IMMACOLATA, IL CUORE DI MARIA, al quale abbiamo affidato questo servizio...e a san Pio X, eletto Patrono di questo forum.....
NOI CATTOLICI abbiamo degli Intercessori assai potenti....e in ultima analisi affidiamo sempre questa corrispondenza alla Divina Provvidenza, all'Angelo Custode, a san Michele alla COMUNIONE DI SANTI attraverso i quali siamo certi che queste pagine troveranno accoglienza, e si FARANNO TROVARE, da chi ne ha davvero bisogno.....
clapclap

fatevi NON furbi, ma ASTUTI come insegna il Signore Gesù....e familiarizzate CON I SANTI....e naturalmente se cercate del materiale interessante, cercate anche tra le pagine NON in prima linea.... ma quelle che recano IL MAGISTERO ECCLESIALE INTEGRALMENTE.... diffidate di chi vi porge una informazione a "titolo personale" e spesse volte racchiuso esclusivamente nelle personali opinioni....LA VERITA' SI ESPRIME SOLO ECCLESIALMENTE.....


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 e da Roma notizia assurda: SUONARE LE CAMPANE E' REATO....

Roma, campane e oratorio zitti in orario pennica, da la BussolaQuotidiana


di Marco Respinti31-05-2011

Le campane disturbano, meglio non suonarle; e anche gli schiamazzi dell’oratorio, che diamine, vanno assolutamente limitati. Così, il 9 maggio, ha deciso un’ordinanza urgente del Tribunale di Roma che ha dato ragione al ricorso presentato il 2 maggio precedente da cinque condomini di Via Felice Cavallotti, nel quartiere gianicolense. Le campane e l’oratorio incriminati sono quelli  della parrocchia di santa Maria Regina Pacis a Monteverde - affidata ai Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione -, che inquieterebbero i sonni beati di alcuni cittadini i quali delle prime non vogliono sentir parlare fino alle 9,30 del mattino e così pure del secondo durante la pennichella postprandiale.

Dando dunque ragione a un sparutissima minoranza, il Tribunale ha allora stabilito che le campane possono suonare sì alle 7 della mattina ma solo per un massimo di 20 secondi e che l’oratorio deve osservare un orario rigido di apertura, dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00. La cosa ha però gettato nello scompiglio le 250 famiglie della zona i cui figli frequentano l’oratorio estivo, attivo da 60 anni dalle 8,00 di mattina alla sera, privandoli di un grande servizio anche di utilità sociale.

Fortunatamente, però, nel condominio protestatario di via Cavallotti non tutti sono tanto esagitati. Bel 17 famiglie si sono subito dissociate sia dalla contestazione sia da quanto stabilito dal Tribunale (fra loro anche il popolare attore Ricky Memphis, che lì abita) e così alla fine la cosa è arrivata in piazza, portatavi dai parrocchiani che domenica sera, alle 19,30, dopo l’ultima Messa della giornata, si sono dati convegno per una pacificissima manifestazione di solidarietà con la chiesa di Santa Maria Regina Pacis. «È stato un grande successo di popolo», dice il parroco, don Livio Rozzini, raggiunto al telefono da La Bussola Quotidiana; «hanno sfilato più di mille persone, e c’erano famiglie, bimbi, anziani, insomma la gente vera…». Don Livio è contentissimo soprattutto di questa enorme, intelligente testimonianza della popolazione.

La vicenda comunque va avanti. Prosegue, ovviamente, sul piano legale, con l’avvocato della parrocchia che ha presentato ricorso. Ieri sembrava vi potessero essere svolte decisive e invece niente. Una nuova udienza dovrebbe essere fissata per giugno o al massimo all’inizio luglio, occorrerà riparlarne. Il fatto più grave resta però l’enorme disagio creato a migliaia di parrocchiani che come sempre avrebbero, una volta terminate le scuole, affidato volentieri i propri figli al campo estivo di don Livio e che invece, se così restano le cose, dovranno giovarsene solo a singhiozzi. Oltre al fatto che suonar le campane in quella via di Roma è divenuto inspiegabilmente reato dopo decenni…




[Modificato da Caterina63 31/05/2011 11:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/06/2011 22:28
 
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«L'Omofobia? Una grande bufala»


«L'Omofobia? Una grande bufala»Parola di ex gay militante

di Raffaella Frullone
10-06-2011

Cinquecentomila persone per le strade, 41 linee del trasporto pubblico deviate, entusiasmo crescente. L’EuroPride 2011, che va in scena nelle strade della capitale, si prepara a vivere il suo culmine domani sera, quando una sfavillante Lady Gaga, invitata nientepopo di meno che dall’ambasciatore statunitense, si scatenerà sulle note di «Born this way», inno alla naturalità della diversità.

La manifestazione dell’orgoglio omosessuale, si legge nello statuto politico, sottolinea che «Essere orgogliosi significa scegliere a testa alta i propri percorsi di vita con consapevolezza e libertà, nel riconoscimento del medesimo spazio di libertà di qualunque altra persona». Ma questa definizione non convince, soprattutto chi l’ha frequentata per 20 anni, come Luca di Tolve. Oggi quarantenne e sposato con Teresa, Di Tolve oggi gestisce il gruppo Lot, associazione che difende l'identità di genere e offre supporto a chi porta dentro di sè ferite e dipendenze a livello emotivo. Nel suo libro «Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso», edito da Piemme, racconta la sua storia e la sua esperienza all'interno di Arcigay, storica associazione che, si legge nel suo statuto «si propone di promuovere e tutelare il diritto all’uguaglianza tra ogni persona sia essa gay, bisessuale, lesbica, transessuale o eterosessuale».

Di Tolve, che cosa è Europride ?

«Una manifestazione egocentrica, una pura ostentazione, una giornata di folle divertimento. Tutto quello che si fa normalmente nei punti di ritrovo la notte, viene riproposto nelle strade di giorno. Non è, come si vuol far credere, una battaglia sociale, ma solo un mettersi in mostra attorno all’unico elemento di coesione: il sesso. Per capirlo basta accedere al sito di arcigay.it, si trova una serie di locali, sparsi in tutta Italia, con la denominazione cruising, ovvero ricerca e offerta di sesso casuale, anonimo e vario. Nessuna associazione che promuove diritti si sognerebbe mai di organizzare un maxi festino per le strade, tranne i movimenti omosessualisti. Il loro unico scopo è sdoganare un modello di pensiero, negando tutti quelli che lo contraddicono».

In che senso?

«Non prendono nemmeno in considerazione l’ipotesi che una persona in un dato momento abbia un problema con la proprie identità sessuale, danno per scontato che la strada sia quella dell’omosessualità, e su quella indirizzano tutti, soprattutto i più giovani e i più fragili. Noi crediamo che l’essenza della persona non sia omosessuale, che ci possano essere delle tendenze, dei problemi psicologici, delle ferite, ma non se ne può parlare. Non si può dire nulla se non nel modo in cui Arcigay propone, perchè subito si è tacciati di omofobia. Ma lo spettro dell’omofobia è una grande, gigantesca bufala. Omofobia significa avere paura, io non ho paura dell’omosessualità e nemmeno degli omosessuali: lo sono stato per 20 anni! Questo è soltanto un tentativo di zittire chiunque si permetta di esprimere un’opinione diversa».

Qualcuno potrebbe obiettare che alcune persone non si riconoscono nella propria identità sessuale biologica...

«Conosco bene questo stato d’animo, per averlo provato. Porta con sè un carico di dolore, di rabbia, di sofferenza inimmaginabile. Di fronte a questa sensazione di freddo smarrimento viene naturale avvicinarsi al mondo gay, e poi ne si viene travolti. Noi vogliamo offrire un’alternativa, con il gruppo Lot vogliamo dare voce alle persone che non si sentono in sintonia con quello che provanno, andare incontro agli adolescenti che chiedono di capire cosa sta succedendo. Il percorso è lungo e complesso, ma bisogna essere chiari: siamo maschi o femmine. E la normalità è essere eterosessuali».

Quindi secondo Lei non ci sono diritti da tutelare per quanto riguarda gli omosessuali attraverso i GayPride?

«L’unico risultato di queste manifestazioni è il proliferare di locali dove si offre sesso. A me dispiace tantissimo perchè so che i ragazzi più giovani ci credono davvero, e il loro entusiasmo viene alimentato di continiuo, facendo loro credere che si cambierà il mondo, ma non è cosi’ e ai vertici lo sanno bene. E’ il sesso il motore del mondo gay, come in una sorta di cannibalismo ci si nutre di una cosa che non si ha. Ed è questo che personalmente ha fatto scattare in me un campanello d’allarme. Il sesso. Perchè non esiste la fedeltà nel mondo gay, esiste la ricerca compulsiva di qualcosa che si vuole possedere, ma non la si ottiene perche’ ci si ostina a cercare nell’uguale a noi. Non esistono persone serene, o piene, nel mondo gay. Al contrario quando l’individuo scopre il mistero della complementarità, tutto acquista una luce diversa… ».

Quale è stata la molla che Le ha fatto pensare che qualcosa non andava nel mondo gay?

«Ad un certo punto, dopo anni di ricerca sfrenata, non solo non avevo trovato nulla, ma non avevo nemmeno capito bene cosa stavo cercando, e nemmeno se lo avrei trovato mai. Esausto, mi sono fermato, ho staccato. Poi ho scoperto che c’erano altre possibilità: con grandissimo stupore e altrettanta sofferenza ho scoperto una cosa che nessuno, in 20 anni di Arcigay mi aveva mai detto, e cioè che potevo diventare eterosessuale. Perchè non me lo avevano detto? Mi hanno rubato 20 anni di vita. Ho cominciato a leggere i libri di Ncolosi, psicoterapeuta americano, che da anni negli Stati Uniti si occupava di terapia riparativa. Non sono stato convinto da subito, ma ho voluto tentare anche quella strada. Ho capito che la mia vita era cambiata quando ho cominciato a percepire la profondità del mistero della complementarità, e ho sentito dentro di me un desiderio, che nessuno mi aveva detto che avrei potuto sentire: quello di essere padre. Fino ad allora nessuno mi aveva mai detto che avrei potuto generare una vita».



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Aborto: Origini della legge 194



07/06/2011

di Dr. Roberto Algranati

Da alcuni anni si è fatta strada in ambiente pro-life e cattolico l’idea di valorizzare quelle parti della legge 194/78 che, almeno formalmente, sembrano proteggere la vita umana prenatale.

Si tratta del titolo della legge “Legge per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza”, e di parte degli 1, 2 e 5.1

Il progetto di valorizzare certi “elementi positivi della legge 194” per difendere le vite umane minacciate dall’aborto è in sé certamente positivo e merita di essere utilizzato e valorizzato. Tuttavia, se esso si associa alla rinuncia a denunciare l’intrinseca ingiustizia ed inaccettabilità della legge 194/78, diventa disastroso.

Si dice che mancano le condizioni per modificare la legge; anzi si aggiunge che continuare a contestare la legge creerebbe una reazione di chiusura da parte dei suoi sostenitori e ostacolerebbe la stessa applicazione delle sue parti positive. Si pensa di “svuotare dall’interno” la legge 194, e di ridurne fortemente l’impatto sociale, di “renderla quasi inutile” potenziando gli aiuti e le alternative offerta alla donna che vuole abortire perché, si dice, “se la donna è veramente libera non abortisce”.

Questo modo di pensare è del tutto irrealistico. Non si tengono in sufficiente considerazione l’origine e gli scopi di questa legge, e i metodi che sono stati usati per giungere alla sua approvazione.

La legge 194/78, infatti, non è un evento isolato, ma fa parte di un processo storico che riguarda, non solo l’Italia, ma tutto il mondo occidentale, con la sola esclusione dell’Irlanda e dell’isola di Malta. Infatti, fra il 1967 e il 1980 tutte le altre nazioni del mondo occidentale hanno introdotto leggi fortemente permissive in materia di aborto.

Perché ciò è avvenuto?

In tutti questi paesi, Italia compresa, esisteva già la possibilità legale dell’aborto terapeutico per salvare la vita della madre o per impedire gravissimi danni alla sua salute fisica, non altrimenti evitabili.

Inoltre lo sviluppo della moderna medicina aveva quasi completamente eliminato la drammatica necessità dell’aborto come estremo mezzo terapeutico.

Anche la mortalità femminile per aborto clandestino, contrariamente a quanto falsamente si è fatto credere, era molto bassa e non superava in Italia lo 0,2% della mortalità femminile in età feconda.

Per questi motivi i medici non avevano mai chiesto leggi più permissive in materia di aborto terapeutico ma, al contrario, ne avevano sempre più ristretto le indicazioni.

In realtà la legge 194, come le altre leggi simili del mondo occidentale, è stata approvata con lo scopo prioritario di legalizzare l’aborto a richiesta della donna nei primi 90 giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico fino alla 24° settimana di gestazione. Questa legge non ha alcun fondamento nella biologia scientifica, né nelle esigenze della medicina e nemmeno nei principi generali del diritto, ma è soltanto il frutto di una imposizione culturale tenacemente voluta da politici cinici e conformisti e accettata da un’opinione pubblica ingannata per anni da una sistematica propaganda menzognera sui mezzi di informazione.

In un passato relativamente recente, le stesse caratteristiche sono state proprie delle leggi razziali. Non esisteva alcuna base scientifica né giuridica che giustificasse la presunta superiorità della razza bianca su quella nera o degli ariani sugli ebrei. Solo l’ideologia della “razza superiore”, e il mito i della “purezza razziale”, imposti da politici senza scrupoli, avevano portato alle leggi razziali.

Allo stesso modo, l’ondata di leggi permissive in materia di aborto, che ha interessato il mondo occidentale, è in realtà causata da due ideologie, entrambe nate nel mondo anglosassone. La prima è l’ideologia femminista radicale, che considera un’ingiustizia, inaccettabile per la donna, l’obbligo legale di portare a termine una gravidanza, anche se indesiderata, e vede in ciò un grave ostacolo alla sua affermazione nella società e al raggiungimento di una piena parità con l’uomo. Perciò questa ideologia vuole che alla donna sia riconosciuto il diritto di scelta (choice) fra l’interruzione o il proseguimento della gravidanza. La seconda è l’ideologia neomalthusiana, antinatalista che ritiene la crescita della popolazione mondiale causa prima della fame e del sottosviluppo del terzo mondo e la considera una grave minaccia al benessere delle nazioni ricche. L’arresto della crescita della popolazione mondiale è lo scopo prioritario della IPPF (International Planned Parenthood Federation), la potentissima organizzazione antinatalista, nata nel 1942 negli Stati Uniti con Margaret Sanger e poi estesasi a tutto il mondo a partire dagli anni’50. Questa ideologia è una filiazione diretta delle ideologia razzista ed eugenista della prima metà del 20° secolo.

Nel 1967 l’ALRA (Abortion Law Repeal Association), portabandiera delle femministe inglesi, ottenne in Inghilterra l’approvazione dall’ Abortion Act (aborto praticamente a richiesta fino alla 24a settimana di gravidanza).

Poco dopo la IPPF, che fino ad allora aveva propagandato solo la contraccezione e la sterilizzazione, nel suo congresso mondiale a Dacca (28/1/– 4/2/1969), decise di promuovere su scala planetaria la legalizzazione permissiva dell’ aborto (definito testualmente “il mezzo chirurgico della contraccezione”) ritenendolo, come risulta dagli atti, la soluzione più efficace per arrestare la crescita della popolazione mondiale. Lo stesso orientamento venne ribadito ai congressi della IPPF per l’Europa (Budapest 1969) e per l’estremo oriente ed il Pacifico (Tokio 1970)

Per ottenere l'approvazione di leggi permissive in materia d’aborto fu messo a punto un programma basato sulla menzogna sistematica e studiato in modo da ingannare l'opinione pubblica tramite i mezzi di comunicazione di massa, così da convincerla che la legalizzazione dell'aborto in forma permissiva era una necessità sociale ed una misura umanitaria e progressista.

Questo programma è stato realizzato in modo uguale in tutto il mondo occidentale, Italia compresa.

Il programma si articola nei seguenti punti:

1. Affermare che il numero degli aborti clandestini è elevatissimo.

2. Affermare che la legalizzazione dell'aborto è indispensabile per evitare un’ecatombe di giovani donne causata dai numerosissimi aborti clandestini.

3. Negare, anche contro l'evidenza scientifica, la natura umana del bambino non ancora nato e cercare di far dimenticare la sua esistenza modificando opportunamente il linguaggio e trattando l'argomento dell'aborto come un fatto che non lo riguarda.

4. Tenere rigorosamente nascoste le moderne conoscenze di embriologia umana e la natura atroce delle tecniche abortive screditando con l'accusa di " terrorismo psicologico "chiunque voglia farle conoscere.

5. Affermare che le leggi permissive in materia d’aborto promuovono l’emancipazione, la libertà e la dignità della donna e che, quindi, voler sostenere il diritto alla vita del nascituro fin dal concepimento è frutto di una mentalità arretrata, maschilista ed ostile all'emancipazione femminile.

6. Sfruttare i processi per reati d’aborto clandestino e tutte le possibili occasioni, anche le più drammatiche, per promuovere la legalizzazione dell'aborto.

Ed ecco come in Italia, sulla falsariga di questo programma internazionale, è stato promossa la legalizzazione permissiva dell’aborto, poi conclusasi con la promulgazione della legge 194 il 22 maggio 1978.

Secondo questi promotori, negli anni ’70, in Italia gli aborti clandestini sarebbero stati da 800 000 a tre milioni ( da 2 a 8 in media per ogni donna nel corso della sua vita !! ).

Le donne morte per aborto clandestino sarebbero state ben 20-25000 all’anno (tre volte le morti annuali per incidenti stradali negli anni ’70). Queste cifre comparvero negli anni ‘70 su giornali e settimanali come La Stampa, il Corriere della Sera, Panorama, l’Espresso e altri, e furono ritenute così attendibili da alcuni politici da essere riportate in ben tre disegni di legge regolarmente depositati in Parlamento (DDL Banfi, Brizioli e Fortuna).

La legge italiana che proibiva l’aborto sarebbe stata fascista perché contenuta nel codice Rocco del 1930, anche se era perfettamente uguale a quella del precedente codice penale Zanardelli del 1889.

Nel 1976 l’incidente di Seveso e l’inquinamento ambientale da diossina fu l’occasione per spingere all’ aborto le donne incinte colpite dall’inquinamento (anche contro la legge allora vigente) al fine di impedire la nascita di eventuali bambini con malformazioni. “Non vogliamo mostri” fu lo slogan delle femministe accorse prontamente a Seveso. Vennero eseguiti, in deroga alla legge, 30 aborti.

Ma qual’era la verità?

Il numero annuale di aborti clandestini in Italia era compreso fra 100 e 200 000, e il numero di donne, morte per aborto clandestino, all’incirca 30 all’anno: lo 0,2% della mortalità femminile in età feconda che, nel 1972, è stata, per tutte le cause di morte, di circa 15000 unità. Molto meno delle 20- 25000 morti attribuite al solo aborto clandestino dai promotori della legge abortista!

Queste stime obbiettive furono pubblicate dal prof. Colombo, demografo dell’Università di Padova, nel 1977 e risultarono esatte. L’approvazione della legge 194 non produsse, infatti, alcuna modificazione apprezzabile della mortalità femminile in età feconda, che continuò a diminuire con la stessa velocità di prima (circa il 2,5% all’anno), grazie al continuo progresso della medicina e dell’assistenza sanitaria. Ciò dimostra che la mortalità per aborto clandestino era statisticamente insignificante.

Nessuno dei feti abortiti a Seveso risultò malformato; i figli e le figlie delle donne che allora rifiutarono l’aborto sono oggi giovani uomini e donne del tutto normali.

La natura ideologica della legge 194/78 è evidenziata non solo dalla sua origine e dai metodi seguiti per la sua approvazione, ma anche dall’accanimento irragionevole con cui si continua ad affermare che gli aborti legali sono diminuiti per merito di questa legge permissiva. E’ contro il semplice buon senso sostenere che, trasformando l’aborto da reato in diritto garantito dal Servizio Sanitario, la sua frequenza diminuisca. Se essa di fatto si riduce, la causa deve, necessariamente, essere diversa e risiede, in massima parte, nell’uso massiccio della pillola del giorno dopo (300 000 confezioni vendute ogni anno in Italia). Questo prodotto farmaceutico causa aborti precocissimi, che sfuggono alla statistica. E’ comunque sconcertante e anche motivo di preoccupazione che simili assurdità siano state ripetutamente affermate da due Ministri della Sanità anche recentemente siano state ribadite dal sottosegretario al Ministero della Salute.

Tuttavia è logico. e in fondo inevitabile. che i sostenitori della legge 194/78 facciano simili affermazioni, perché questa legge, come quelle razziali del passato, è unicamente di natura ideologica. Le ideologie sono sostenute, non dall’amore per la verità, ma solo da una “volontà di potenza” e perciò resistono alla logica, alla scienza, al buon senso e persino alla realtà dei fatti. In altri termini: certe affermazioni vengono fatte non perché sono vere ma solo perché servono a giustificare il contenuto dell’ideologia, nel caso specifico, il diritto della donna all’aborto il mantenimento in vigore della legge.

Negli anni ‘70 c’era però ancora un serio ostacolo alla legalizzazione permissiva dell’aborto in Italia: La sentenza della Corte Costituzionale n° 27 de 12/ 2/ 1975. Questa sentenza affermava la liceità costituzionale del solo aborto terapeutico diretto a proteggere, non solo la vita, ma anche la salute della madre. La sentenza però precisava “…… ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla. "

Per cercare di conformarsi (solo a parole) alla sentenza della Corte Costituzionale, la legge 194 venne impostata come una regolamentazione dell’aborto terapeutico, in cui però, nei primi 90 giorni, è la sola donna che decide, a suo insindacabile giudizio, se l’aborto è necessario per la sua piena salute fisica e psichica “….in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito….” (Art.4). Poi, fino alla 24a settimana di gravidanza, l’aborto terapeutico è legalmente permesso “…..quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (Art. 6) L’accertamento deve essere effettuato e documentato da un medico del servizio ginecologico dove avverrà l’intervento, che può, ma non è obbligato, a servirsi di un consulente specialistico.

Da notare: L’aborto è legalmente lecito anche se i processi patologici o le malformazioni potrebbero essere guariti o corretti prima o dopo la nascita.

Inoltre il ginecologo, non essendo obbligato alla consulenza specialistica, può valutare e documentare anche da solo la sussistenza di un grave pericolo per la salute psichica della donna.

E’ evidente che così il legislatore ha voluto legalizzare sia l’aborto a richiesta nei primi 90 giorni, sia l’aborto eugenetico fino alla 24° settimana gravidanza, mascherandoli entrambi da aborti terapeutici per tutelare la salute fisica e psichica della donna. La valutazione del grave pericolo per la salute psichica, dopo i 90° giorno di gravidanza, è a affetta inevitabilmente da un giudizio molto soggettivo da parte del medico ed è difficilmente contestabile.

Per di più, nei primi 90 giorni di gravidanza, non soltanto è la donna che da sola valuta, a suo insindacabile giudizio, se l’aborto è necessario per tutelare la sua salute fisica o psichica, come previsto dall’articolo 4, ma nessuno può impedirle di attuare la sua decisione. Neppure il padre del nascituro, anche se legittimo marito della donna, e nemmeno i genitori di una minorenne che, per la legge 194, può abortire anche a loro insaputa. Infine la legge obbliga gli enti ospedalieri (oggi le ASL) ad eseguire le interruzioni legali di gravidanza, e prevede che la Regione ne controlli e garantisca l'attuazione (art. 9). Il direttore di una ASL, che si rifiuti di garantire il servizio di aborto legale, è passibile di condanna per omissione di atti d’ufficio e per lui non è ammessa l’obbiezione di coscienza.

Dunque, nei primi 90 giorni di gravidanza è la donna che decide di abortire e le ASL sono obbligate ad eseguire. Nessun altro intervento può essere imposto ad una struttura sanitaria, se i medici non lo ritengono giustificato; ma l’aborto sì, può essere imposto e ciò in forza della legge 194/78.

Così il legislatore ha implicitamente riconosciuto anche l’autodeterminazione della donna e il suo diritto all’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza in contrasto con la sentenza n° 27 / 75 della Corte Costituzionale.

Al contrario, tutte le parti della legge che parlano di aiuto alla donna per evitare l’aborto sono configurate non già come “obblighi” ma come “compiti” del Consultorio o della struttura socio sanitaria e pertanto, nella stessa legge, non è prevista alcuna sanzione per chi non li rispetti.

Tutto ciò dimostra che è completamente falsa l’affermazione, anche oggi ripetuta, che la legge 194 permetterebbe l’aborto solo per casi estremi, o come “ultima spiaggia. Chi fa queste affermazioni o non conosce la legge o è in malafede.

La legge 194 fu approvata dal Parlamento con solo 14 voti di maggioranza e furono determinanti i voti dei cosiddetti “cattolici per il socialismo”, quegli stessi che avevano inserito nel titolo della legge l’espressione “ tutela della maternità” e all’ Art. 1 l’affermazione “la legge tutela la vita umana fin dal suo inizio”; un’affermazione destinata a rimanere lettera morta perché, volutamente, si era evitato di specificare quando, per la legge, iniziava la “vita umana”

Allora i sostenitori della legge 194 non si preoccuparono affatto di “lacerare il paese”, di “di creare steccati” e di innalzare “muro contro muro”, slogan che ora vengono lanciati immediatamente contro chi propone qualsiasi modifica restrittiva della legge 194. L’auspicio che spesso oggi si sente ripetere di trovare “soluzioni ampiamente condivise” fu allora completamente disatteso.

L’ultimo atto dell’iter legislativo della legge 194 si compì il 22 maggio 1978.

Ben sei democristiani firmarono la legge 194/78:

il Presidente della Repubblica Leone, il Presidente del Consiglio Andreotti e quattro ministri: Anselmi (Sanità), Bonifacio (Giustizia), Pandolfi (Finanze ) e Morlino (Tesoro).

Il Presidente della Repubblica, come garante della Costituzione avrebbe dovuto riconoscere almeno la dubbia costituzionalità della legge e rimandarla perciò al Parlamento per un’adeguata modifica. Invece la firmò lo stesso.

Ancora più sconcertante fu la firma dell’allora ministro della giustizia on. Bonifacio, lo stesso che tre anni prima, come Presidente della Corte Costituzionale, aveva firmato proprio la già citata sentenza n° 27 del febbraio 1975 in cui si affermava che è “….obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione." Non si era accorto, l’on. Bonifacio, che all’art. 4 la legge non prevedeva alcun accertamento sulla realtà e gravità del danno o pericolo..?

La ragione profonda e inconfessata di queste contraddizioni era, in realtà, di natura politica: tre anni prima, il 21/ 4/ 1975, al congresso nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro aveva detto testualmente:

“La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo della coscienza certe valutazioni rigorose, certe impostazioni di principio che erano proprie della nostra formazione in una diversa stagione della vita sociale, ma che ora fanno ostacolo alla comunicazione con le masse e alla collaborazione di governo. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza.”

Questa frase, detta pubblicamente mentre era in corso una massiccia campagna mediatica per ottenere una legge permissiva in materia di aborto, era il segnale che la DC non si sarebbe opposta ad oltranza ad una simile legge. Il contenuto della frase è anche sufficiente per ritenere che questo atteggiamento della DC facesse parte degli accordi per il “compromesso storico” con i comunisti.

Da quanto sopra detto si può dare il seguente giudizio oggettivo sulla legge 194/78:

1. Non ha giustificazioni mediche né giuridiche.

2. E stata voluta solo per ragioni ideologiche e di convenienza politica

3. Contraddice i dati certi della moderna biologia scientifica.

4. Si è affermata con l’uso massiccio e sistematico della menzogna sui mezzi di comunicazione di massa al fine di ingannare l’opinione pubblica.

5. Ha legalizzato di fatto l’aborto a richiesta nei primi 90 giorni di gravidanza e l’aborto eugenetico nel 2° trimestre di gravidanza mascherandoli entrambi come “aborti terapeutici”,

6. Ha istituito di fatto un diritto della donna all’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza.

7. Per i motivi di cui ai punti 5 e 6 è in contrasto con la sentenza 27 / 75 della Corte Costituzionale.

8. Le affermazioni e le disposizione a favore della vita del nascituro o sono puramente declamatorie o sono volutamente di scarsa efficacia perché qualificate solo come “compiti” e non come “obblighi”, per la cui inadempienza la legge non prevede alcuna sanzione.

Sono passati più di trent’ anni dalla promulgazione della legge 194/78 e si può fare un bilancio.

La gestione della legge 194/78 è stata, e continua ad essere, pesantemente abortista, come del resto era inevitabile,dato il suo spirito e la sua struttura.

I consultori familiari che, teoricamente, avrebbero dovuto aiutare la donna a rimuovere le cause che la spingevano all’aborto, hanno provveduto, quasi sempre, solo a distribuire certificati per l’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza.

Gli aborti legali sono stati circa 5 milioni (in media 160 000 all’anno) per il 98% eseguiti a semplice richiesta della madre nei primi 90 giorni di gravidanza secondo l’art. 4 della legge. Formalmente sono stati tutti aborti “terapeutici”, in un’epoca in cui il vero aborto terapeutico, grazie ai progressi delle scienze mediche, è divenuto rarissimo. Gli aborti eugenetici nel secondo trimestre di gravidanza sono stati almeno 100 000 e sono stati eseguiti anche quando i processi patologici o le rilevanti anomalie o malformazioni che li giustificavano avrebbero potuto essere guariti o corretti prima o dopo la nascita.

La legge ha aperto una breccia devastante nell’argine che per secoli il diritto aveva eretto a difesa della vita umana innocente, provocando una grave perdita di valore della vita umana prenatale, soprattutto nei primi 90 giorni di gravidanza. Attraverso questa breccia, oltre a milioni di vittime innocenti, sono passate anche la pillola del giorno dopo, la fecondazione in vitro con embrio-transfer (FIVET), che causa una mortalità del 90% degli embrioni così concepiti, e la Ru 486, cioè l’aborto chimico.

Non c’è da meravigliarsi, perché le leggi hanno un potente effetto educativo. Se lo Stato permette, garantisce e finanzia l’aborto a richiesta della donna nei primi 90 giorni di gravidanza, o fino alla 24a settimana se il feto è malato o malformato, ciò significa che, per lo Stato, la vita di questi esseri umani innocenti non vale nulla e che la loro soppressione è considerata dallo stesso Stato un fatto indifferente o addirittura positivo, degno di tutela legale.

Dopo queste considerazioni, tutte rigorosamente documentabili, si può concludere che è sicuramente perdente la strategia di puntare solo sulla prevenzione dell’aborto, valorizzando i deboli elementi favorevoli presenti nella legge 194/78, senza contestare in radice la gravissima ingiustizia della legge stessa, ma anzi tacendo sul suo vero significato. Perché questa strategia rinforza il concetto perverso che la donna ha il diritto di scegliere se uccidere o lasciar vivere il proprio figlio e si limita soltanto ad aiutarla a scegliere a favore della vita del nascituro. Si dimentica, o si vuole dimenticare, l’ideologia, la cultura, l’atmosfera di menzogna, di ipocrisia, di cinismo e di opportunismo politico che hanno portato all’approvazione della legge 194 e che continuano a mantenerla in vigore.



L’ultima smentita alle utopiche speranze di certi pro-life è l’autorizzazione al commercio, anche in Italia, del RU 486, la pillola dell’aborto chimico. Con questo veleno embrionale, l’aborto nei primi 50 giorni di gravidanza diventa più semplice ed economico per il Servizio Sanitario, è meno ostacolato dall’obbiezione di coscienza degli operatori sanitari, e permette alla donna di simulare facilmente un aborto spontaneo, evitando così la riprovazione sociale ed eventuali conflitti con il partner e i famigliari.

Si afferma che questo tipo di aborto non è conforme alla legge 194/78. Non si coltivino illusioni: lo spirito di questa legge è il diritto incontestabile della donna all’aborto, su richiesta, nei primi 90 giorni di gravidanza; il RU486 rende ancora più semplice il soddisfacimento di questo diritto. Perciò sarà trovato il modo di rendere del tutto legale l’aborto chimico, se necessario “ritoccando la forma” della legge 194/78, per adeguarla, in conformità al suo spirito e ai suoi scopi, alle “ conquiste del progresso scientifico” in questo campo, sconosciute nel 1978.

Un’ultima considerazione deve essere fatta sul ruolo fondamentale che la scristianizzazione dell’Europa ha avuto nella affermazione dell’ideologia abortista, nell’ approvazione e nel mantenimento in vigore delle leggi permissive in materia di aborto.

Solo l’Irlanda e l’isola di Malta non hanno mai introdotto simili leggi e solo la Polonia ha cambiato in senso molto restrittivo la precedente legge permissiva del regime comunista, riducendo così drasticamente gli aborti legali da più di 100 000 a poche centinaia all’anno. Sono nazioni in cui la fede e i valori cristiani hanno ancor oggi una grande importanza nelle decisioni dei laici impegnati in politica.

Una situazione culturale simile c’era in Italia nel 1948, quando l’impegno massiccio dei cattolici salvò l’Italia dal regime comunista e gettò le basi politiche del grande sviluppo economico dei successivi decenni.

Ma trent’ anni dopo, nel 1978, la situazione era già molto cambiata. Una parte dei cattolici era diventata “adulta”, erano nati i “cattolici democratici” e i “cattolici per il socialismo”. L’orientamento prevalente dei politici DC era per il “compromesso storico” con i comunisti, nei cui accordi, come più sopra ricordato, c’era anche la non resistenza ad oltranza della DC ad una legge permissiva sull’aborto. Nel campo politico la cultura cristiana era stata sostituita dalla cultura del compromesso, beninteso “a fin di bene”, “per evitare un male maggiore” per “ridurre il danno” ecc…., ma in realtà espressione di debolezza, di mediocrità culturale e di opportunismo.

Così, anche in Italia, si è giunti all’approvazione di una legge abortista, la legge 194/78, salutata con entusiasmo dai giornali laicisti come vittoria delle donne e conquista di civiltà.

Se si considera, nel suo complesso, il fenomeno storico delle leggi abortiste nelle società democratiche contemporanee, si rimane impressionati sia dal disprezzo della dignità umana, e dalla violenza verso esseri umani innocenti che queste leggi realizzano nella strutture sanitarie, sia dalla menzogna, dall’ipocrisia, e dall’ arroganza culturale con cui queste leggi sono sostenute sulla maggior parte dei mezzi di comunicazione di massa, fino a causare nell’opinione pubblica un’ eclissi della ragione e del naturale senso di giustizia.

Insieme a una piccola minoranza di laici coraggiosi, i cattolici, in Italia, sono rimasti quasi soli a difendere la verità e la giustizia in questo campo.

Di qui la loro particolare responsabilità, quale “luce del mondo e sale della terra”. Il maggiore pericolo sono i compromessi con l’errore, reali od anche solo apparenti, perché essi compromettono gravemente l’identità dei cattolici e influenzano in senso negativo l’opinione pubblica e le convinzioni degli stessi fedeli.

“Se il sale perde il sapore con che cosa gli si renderà il sapore?. Non vale più nulla se non ad essere gettato fuori e calpestato dagli uomini” (Mt. 5, 13)

Fonte: Difendere la Vita - 04/06/2011


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[Modificato da Caterina63 23/06/2011 22:30]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/07/2011 11:54
 
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India: la Chiesa condanna la chirurgia per cambiare sesso alle neonate


Centinaia di operazioni, le famiglie preferiscono figli maschi


 

ROMA, venerdì, 8 luglio 2011 (ZENIT.org).- La Chiesa in India condanna fermamente le operazioni chirurgiche eseguite su neonate per far cambiare loro sesso, su richiesta dei genitori che privilegiano i figli maschi.

Il fenomeno, riporta l'agenzia Fides, si sta diffondendo nello Stato del Madhya Pradesh, nell'India centrale, dove il Governo ha avviato un'indagine ufficiale per bloccare la pratica, nota come “genitoplastica”.

Nella città di Indore sono già 300 i casi di bambine di meno di un anno operate per cambiare sesso.

L'intervento costa circa 3.200 dollari, e nella città stanno arrivando famiglie provenienti da altre zone, come Nuova Delhi e Mumbai.

“Abbiamo condannato con forza, come Vescovi indiani, questa pratica orribile. E' frutto di una mentalità che privilegia il maschio come fonte di profitto e come figlio di maggior valore, mortificando la dignità femminile”, ha riferito a Fides padre Charles Irudayam, Segretario della Commissione per la Giustizia, la Pace e lo Sviluppo della Conferenza Episcopale dell'India.

“Conoscevamo il fenomeno dell'aborto selettivo che, secondo alcuni studi, negli ultimi 20 anni ha riguardato oltre 5 milioni di bambine”, ha aggiunto. “Il Governo ha tentato di arginarlo con provvedimenti ad hoc, e infatti si registra un decremento. Ora emerge l'operazione chirurgica”.

Il presule ritiene che “la responsabilità sia prima di tutto dei genitori, che la chiedono, poi dei medici che la compiono”.

“Occorre lavorare sempre di più - come sta facendo la Chiesa - per diffondere una cultura di uguaglianza di genere e per promuovere la dignità e i diritti della donna nella società. Ma ci troviamo a dover combattere una mentalità radicata, ed è dunque un'opera che richiede tempo”, ha denunciato. “Bisogna proseguire nell'opera di educazione delle coscienze”.

Padre Anand Muttungal, portavoce del Consiglio dei Vescovi del Madhya Pradesh, ha affermato dal canto suo che “la preferenza al maschio è un fattore ancora forte nelle famiglie di fede indù, per la credenza che, per avere la salvezza, ci sia bisogno di un figlio maschio”.

Secondo dati forniti dalle ONG, le morti infantili delle femmine superano quelle dei maschi di oltre 300.000 unità l'anno, a causa del privilegio dato ai maschi anche a livello di alimentazione.

Le femmine che sopravvivono incontreranno poi ostacoli e discriminazioni nell'accesso all'istruzione, nel mondo del lavoro e in ogni settore della società.

 

 

 

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19/07/2011 19:59
 
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The New York Review of Books" pubblica un dossier sulla malattia mentale negli Stati Uniti

Psichiatria impazzita


Per la dottoressa Marcia Angell c'è una pericolosa alleanza fra medici e case farmaceutiche
di GIULIA GALEOTTI

Nel dicembre 2006, in un paesino vicino a Boston, muore Rebecca Riley, una bimba di quattro anni. La causa del decesso fu la combinazione di alcuni farmaci che le erano stati prescritti per curare la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) e il disturbo bipolare, diagnosticati a soli due anni di età. Ma perché a una paziente così piccina vennero prescritti farmaci che la Food and Drug Administration (l'agenzia americana del farmaco) non ha approvato né per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, né per un uso di lungo periodo nel disturbo bipolare, né per i bambini dell'età di Rebecca? Né il distorto cocktail era da imputarsi a un errore casuale: i suoi due fratelli, con la stessa diagnosi, stavano prendendo anche loro tre farmaci psicoattivi.

Questa triste vicenda è emblematica di due importanti questioni che la battagliera dottoressa americana Marcia Angell (1939) denuncia da anni. Medico specializzato in medicina interna, autorità riconosciuta in campo sanitario, convinta sostenitrice della necessità di una riforma medica e farmaceutica negli Stati Uniti, prima (e a oggi unica) direttrice donna della rivista medica più nota al mondo, "The New England Journal of Medicine", Marcia Angell è ora docente di medicina sociale ad Harvard. Autrice di molteplici pubblicazioni, tra cui Science on Trial (1997) e The Truth About the Drug Companies: How They Deceive Us and What to Do About It (2004), Angell (che nel 1997 "Time magazine" inserì tra i venticinque americani più influenti) ha ingaggiato ormai da tempo una battaglia seria e documentata contro lo strapotere delle case farmaceutiche e la loro capacità di influenzare funestamente la pratica psichiatrica. Un'influenza che coinvolge, o meglio travolge, drammaticamente anche i bambini.

Tra le altre sedi in cui conduce la sua battaglia, Marcia Angell ha scritto spesso interessanti contributi su "The New York Review of Books", come, ad esempio, Drug Companies & Doctors: A Story of Corruption (gennaio 2009). Nel settembre 2010, invece, è stato la volta di Fda: This Agency Can Be Dangerous in cui Marcia Angell, pur muovendo dal presupposto che la Food and Drug Administration è "un'agenzia pubblica vitale con una missione importantissima", ha denunciato senza mezzi termini come il Center for Drug Evaluation and Research (Cder), che è la parte dell'agenzia che regola la prescrizione dei farmaci, has become the servant of the industry it regulates, con effetti drammatici sulla salute delle persone.

"The New York Review of Books" pubblica ora in due puntate (Why There Is an Epidemic of Mental Illness? 23 giugno - 13 luglio; The Crazy State of Psychiatry 14 luglio - 17 agosto) un interessante e preoccupante dossier in cui la dottoressa denuncia la degenerazione della psichiatria americana nel trattare la malattia mentale. Una malattia mentale che, dati alla mano, è diventata nel Paese a stelle e strisce un'autentica epidemia: se nel 1987 un americano su 184 presentava una disabilità legata a disturbi mentali, nel 2007 se ne conta uno su 77. Tra i bambini la crescita è anche maggiore. E il dieci per cento degli americani che hanno più di sei anni fa uso di antidepressivi.

A partire dagli anni Cinquanta, la psichiatria americana è cambiata in toto: nella certezza che la malattia mentale vada tutta imputata a ragioni chimiche, si è smesso di ascoltare le parole e le storie del paziente, avendo ormai come unica preoccupazione quella di eliminare o ridurre i sintomi presenti con i farmaci. E se quando questi farmaci furono inizialmente introdotti vi fu un breve periodo di ottimismo, già negli anni Settanta si iniziò a capire che si andava profilando qualcosa di molto minaccioso, imputabile in particolare alla gravità degli effetti collaterali.

Così, mentre gli psichiatri erano sempre più divisi tra loro (alcuni aderirono con entusiasmo al nuovo modello biologico, altri rimasero fortemente legati a Freud, mentre alcuni andavano sostenendo che la malattia mentale fosse una risposta sostanzialmente sana a un mondo ormai insano), prese piede un movimento fortemente scettico verso questa branca della medicina. Un movimento che trovò la sua espressione più famosa nella pellicola del 1975 One Flew Over the Cuckoo's Nest (Qualcuno volò sul nido del cuculo).

Tutto questo, però, non impedì ai farmaci di proseguire nel loro cammino trionfale, cammino che fu ulteriormente potenziato da quando l'industria farmaceutica prese atto della conversione in massa degli psichiatri, facendone un autentico terreno di conquista.

Un terreno particolarmente appetibile giacché, più che in altre branche della medicina, in psichiatria non esistono elementi oggettivi con cui misurare e catalogare la malattia mentale, il che rende possibile espandere a piacimento i confini di una diagnosi o crearne di nuove. I produttori di farmaci hanno interessi enormi nello spingere gli psichiatri in questa direzione fluttuante, e si è arrivati al punto - scrive la dottoressa Angell - che sono le stesse case farmaceutiche a determinare cosa costituisca un disordine mentale (e come vada trattato).

I vantaggi di questa scelta terapeutica, del resto, sono immediati per gli stessi medici: se oggi in un'ora lo psichiatra riesce a visitare tre pazienti per un totale di 180 dollari, con la terapia tradizionale fatta di ascolto negli stessi sessanta minuti egli avrebbe potuto visitare un solo paziente guadagnando così meno di 100 dollari.

I problemi, però - prosegue Marcia Angell - non si limitano alla trasformazione della terapia, dalla parola al farmaco (l'anno decisivo è stato il 1987 quando è stato messo in commercio il Prozac). Sono infatti fortissime, e spesso alquanto sofisticate, le pressioni che l'industria farmaceutica esercita sugli psichiatri affinché prescrivano farmaci off lable, cioè anche per categorie di pazienti, per patologie e con tempi e modalità che invece la Fda non ha approvato (dove negli Stati Uniti - ricorda la dottoressa - è illegale prescrivere medicine per un uso differente rispetto a quello approvato). E il problema assume nel Paese dimensioni serie quando questo indiscriminato utilizzo di medicinali "oltre il bugiardino" coinvolge i bambini, anche piccolissimi, a cui ormai tranquillamente si prescrivono farmaci che la Fda non ha mai approvato per loro. Tutto ciò, inoltre, coinvolge un elevato numero di piccoli pazienti: si conta, infatti, che il dieci per cento dei bimbi statunitensi di dieci anni assuma quotidianamente stimolanti per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Sono, invece, cinquecentomila i bimbi che assumono farmaci antipsicotici.

Inizialmente la diagnosi da Adhd si manifestava in iperattività, mancanza di attenzione e impulsività nei ragazzi in età scolare, ma a metà degli anni Novanta due influenti psichiatri del Massachusetts General Hospital avanzarono l'idea che molti bambini affetti da questa sindrome covassero in realtà il disturbo bipolare già da piccolissimi, il che portò all'esplosione di diagnosi di disordine bipolare infantile. Ma è forse facile - si domanda Angell - trovare un bimbo di due anni che non sia a tratti irritabile? O un bambino di quinta elementare che a volte non si distragga? O una ragazzina delle medie che non sia ansiosa? Il dato veramente drammatico è che la diagnosi ha ben poco di obiettivo.

Essa, infatti, dipende da chi siano i bambini, dalla loro famiglia di provenienza, dalle pressioni che gli psichiatri esercitano sui genitori. Ad aggravare sinistramente la questione, concorre un elemento agghiacciante: nella crisi economica sempre più grave, per molte famiglie americane a basso reddito il fatto che il proprio figlio venga classificato come disabile mentale significa la sopravvivenza. Grazie a questa diagnosi, infatti, la famiglia può beneficiare del Supplemental Security Income (Ssi) o del Social Security Disability Insurance (Ssdi): secondo l'economista David Autor (docente al Massachusetts Institute of Technology) this has become the new welfare. E il "New York Times" ha riportato i risultati di uno studio effettuato dalla Rutgers University: i bambini di famiglie a basso reddito ricevono farmaci antipsicotici in quantità quattro volte superiori ai bambini che beneficiano di un'assicurazione medica privata.

Per la famiglia della piccola Rebecca Riley, ad esempio, la diagnosi dei tre figli costituiva un reddito dall'ammontare annuale di trentamila dollari. Del resto, con tutte le dovute differenze, basta avere un minimo di dimestichezza con la disabilità (fisica o mentale) in Italia per toccare con mano quante famiglie (genitori, fratelli, e non raramente anche i figli di questi) vivano della pensione d'invalidità del figlio. Il punto è - tornando a Marcia Angell - che la psichiatria dovrebbe cambiare registro
. Dobbiamo smettere di credere che i farmaci rappresentino non solo la migliore, ma addirittura la sola via per curare il disordine e la malattia mentale, o le patologie emotive. È, in particolare, urgentissimo ripensare ai trattamenti che riserviamo ai bambini, trattamenti molto pericolosi specie nel lungo periodo. Per malafede o distrazione, si cercano le cause del disagio nel cervello dei piccoli pazienti mentre molto spesso il vero problema di questi bimbi è "solo" il loro vivere in famiglie estremamente disagiate.

"E soprattutto - conclude Marcia Angell - dovremmo ricordarci sempre del semplice imperativo medico: primum non nocere".



(©L'Osservatore Romano 20 luglio 2011)


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28/07/2011 18:45
 
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Cancellare l'aborto, in Europa si può














di Marco Respinti 26-07-2011

Abolire l’aborto dall’ordinamento giuridico di un Paese qualsiasi è possibile, e il farlo non viola affatto le norme del diritto internazionale, anche se il solo ipotizzarlo cozza contro il pensiero che oggi va per la maggiore praticamente in tutte le istituzioni del mondo occidentale.




Lo afferma e lo dimostra con uno studio dettagliato e approfondito l’avvocato Grégor Puppinck che a Strasburgo dirige lo European Centre for Law and Justice - una organizzazione non governativa internazionale dedita alla promozione e alla protezione dei diritti umani in Europa e nel mondo intero - partendo dal caso polacco.


A Varsavia, il 1° luglio scorso, con 254 voti contro 151, lo Sejm, la “Camera bassa” del parlamento, ha dato il via libera alla discussione di una proposta di legge d’iniziativa popolare che, forte di 600mila firme (sei volte più dei requisiti legali), chiede la cancellazione della legge che consente l’aborto anche nei casi “eccezionali” in cui oggi è permesso.


La strada di questa proposta popolare è evidentemente ancora lunga e certamente sarà difficoltosa (il testo è ora all’esame delle Commissioni competenti, poi tonerà al Sejm, dunque passerà eventualmente al Senato e infine approderà sul tavolo del presidente della repubblica), ma quel voto ha stabilito un punto fermo di portata storica in totale controtendenza rispetto alla mentalità dominante, e quindi di grande significato e rilievo. Accusato il colpo, le lobby filoabortiste sostengono adesso che semmai le istituzioni polacche dovessero finire per mutare quella proposta in legge cioè striderebbe non solo culturalmente ma anzitutto giuridicamente con le leggi europee. Ma non è affatto così.

Attualmente in Polonia l’aborto è consentito solo entro la dodicesima settimana di gestazione in tre casi "eccezionali": nel caso sia in pericolo la vita della madre (aborto terapeutico), nel caso la diagnosi prenatale indichi l’alto rischio di malformazioni per il feto o la presenza di una malattia incurabile che metta a repentaglio l’esistenza del nascituro (aborto eugenetico) e nel caso la madre sia dimostratamente rimasta vittima d’incesto o di stupro. Tutti sanno però che - ricorda Puppinck - dietro queste "eccezioni" si nascondono abbondanti e frequenti gli abusi, i quali inoltre rendono da un lato più difficile l’accesso all’aborto nei termini consentiti dalla legge, dall’altro consentono che un numero elevato di feti non certo rientranti nei suddetti casi "eccezionali" - soprattutto il secondo, quello relativo alle malformazione e alle malattie mortali del bambino nel grembo della madre - venga disinvoltamente abortito.

In ragione dunque di questa sua legislazione, che mirerebbe a porre limiti chiari e decisivi all’aborto legale ma che invece finisce per offrire troppo facilmente il fianco all’illegalità, la Polonia (assieme all’Irlanda) è stata di recente più volte giudicata colpevole dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di non possedere, in quest’ambito, «un quadro giuridico coerente ». Con un ragionamento in sé perfettamente logico, la Corte nota infatti che se a) la legge polacca vieta l’aborto se non a certe condizioni "eccezionali", ma pure b) non riesce, così com’è congegnata, a limitare l’aborto alle sole condizioni "eccezionali", allora c) le due cose sono in contraddizione giacché l’aborto che la legge vuole limitato si fa in realtà piuttosto generalizzato (illimitato) e questo anche a discapito della pari dignità delle persone coinvolte.

La Polonia (e pure l’Irlanda) deve quindi rimediare eliminando l’ostacolo che rende incoerente il quadro di riferimento giuridico in materia di aborto: cioè i suddetti casi "eccezionali", i quali possono evidentemente essere rimossi - sostiene freddamente, "meccanicamente", il ragionamento in sé perfettamente logico della Corte - tanto liberalizzando completamente quanto cancellando definitivamente l’aborto.

La prima opzione è quella caldeggiata da moltissimi (tra cui il cartello delle Sinistre polacche che per settembre promettono offensive in questo senso), ma alla seconda non vi è alcun giudice che in Europa o nel mondo possa muovere obiezione poiché - puntualizza Puppinck - essa «non romperebbe con il diritto internazionale e, in Europa, con quello comunitario». Il ragionamento, in sé perfettamente logico della Corte, non prevede cioè alcuno strumento per giudicare illegale l’azione sovrana di uno Stato membro, quale la Polonia è, che decidesse di eliminare del tutto e per sempre l’aborto anche nei casi "eccezionali" oggi consentiti.

Per di più, dalla completa compatibilità dell’abolizione dell’aborto polacco con le normative internazionali, consegue che, «detto molto semplicemente, non esiste alcun “diritto all’aborto” né alcun altro diritto che possa comprendere il "diritto all’aborto" in nessuno strumento vincolante a livello internazionale o, in Europa, comunitario».

Nonostante alcuni pareri diversi, è chiaro per esempio che tali diritti non esistono in un testo vincolante qual è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale anzi, al Titolo I, Diritti e libertà, articolo 2, Diritto alla vita, sancisce esattamente il contrario. E cioè - così si legge al punto 1 di quel testo - che «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita» (salvo in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale o quando la morte risulti inflitta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario per difendere una persona da violenza illegale, per eseguire un arresto regolare, per impedire l’evasione di un detenuto o per reprimere in modo legale una sommossa). Che la Polonia rientri in questa provvisione è del resto del tutto evidente, giacché nel regolarizzare il proprio quadro giuridico di riferimento in merito all’aborto così come intimatole dalla Corte europea dei diritti dell’uomo essa agisce certamente entro i termini dell’autorità sovrana riconosciuta agli e dagli Stati membri dell’Unione Europea. La quale del resto proprio in tema di aborto demanda le decisioni legislative agli Stati membri che ritiene, sul punto, più competenti.

La battaglia per l’affermazione del diritto alla vita senza "se" e senza "ma" che il popolo polacco sta combattendo ora appoggiato da un parte sostanziale, e talora maggioritaria, dei suoi rappresentanti politici, non è insomma un gesto disperato, contrario al buon senso e destinato all’insuccesso. È invece uno sforzo grande e generoso per riaffermare un principio fondamentale di civiltà, non negoziabile e perfettamente obbediente ai criteri giuridici internazionali tutelati anche da quelle forze politiche e culturali che proprio sull’aborto la pensano in modo diametralmente opposto. È, insomma, una speranza concreta e possibile per tutti, in Europa e non solo.




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Bocciata la legge omosessualista





di Marco Invernizzi
La Bussola 28-07-2011






Non è vero che non ci siano mai “buone notizie” nella nostra Italia di oggi, così malandata da tanti punti di vista. La nuova bocciatura, il 26 luglio, del progetto di legge (293 sì contro 250 no e 21 astenuti) che prevedeva un’aggravante per i reati di omofobia e transfobia è una buona notizia. Per diversi motivi.

Intanto perché ferma per la terza volta un progetto di legge che era orientato non tanto a “proteggere” una categoria, omosessuali e transessuali, ma a riconoscere l’omosessualità e la transessualità come qualcosa di particolarmente prezioso, che deve essere prima “normalizzato” e poi addirittura valorizzato. In sostanza, la posta in gioco non era e non è impedire violenze contro gli omosessuali (bastano le leggi vigenti), ma affermare che ogni orientamento sessuale ha identico valore, e gridare allo scandalo ogniqualvolta qualcuno afferma, come fa il Catechismo della Chiesa Cattolica, per esempio, che gli atti omosessuali sono oggettivamente disordinati (nn. 2357-2359).

Insomma, era abbastanza evidente che questo progetto di legge avrebbe dovuto preludere al riconoscimento pubblico del matrimonio gay e all’adottabilità per legge di figli da parte di coppie omosessuali. Soprattutto, quanto accaduto era una delle manifestazioni di una grande battaglia culturale che attraversa da secoli tutto l’Occidente fra chi afferma e chi nega l’esistenza di una legge naturale. Soltanto se abbiamo presenti le caratteristiche di questa grande battaglia culturale possiamo comprendere il valore di quanto avvenuto in Parlamento con la bocciatura del progetto di legge sull’omofobia. Perché se esiste una natura, esiste una legge universale uguale per tutti, esiste un modello di famiglia, esiste un diritto sacro alla vita per ogni essere umano, che sia all’inizio o al termine del suo cammino. Ma se non esiste una natura creata, che si manifesta anche attraverso la sessualità, allora tutto è veramente possibile e ogni desiderio dell’uomo deve essere autorizzato e valorizzato, perché non esiste più né vero né falso, né bene né male.

Ora, avere fermato questo itinerario, non per sempre certamente ma su un punto importante, è stata una entusiasmante e importante vittoria della cultura della vita e della famiglia. Però, bisogna anche aggiungere, se ne sono accorti in pochi. Non solo le forze politiche della maggioranza di centro-destra non si sono prodigate in gesti di soddisfazione, ma gli stessi quotidiani del centro-destra sono sembrati quasi intimiditi di fronte alla vittoria parlamentare, come se dovessero giustificare il fatto di avere assunto posizioni di questo tipo.

Gli interventi di Giancarlo Loquenzi su il Giornale e di Giordano Tedoldi su Libero a commento della bocciatura certamente non lasciano trasparire il risentimento e la rabbia di altri quotidiani laicisti per un provvedimento qualificato come oscurantista, ma sembrano quasi intimoriti dalla vittoria, preoccupati dei diritti dei gay e lontani dall’aver compreso la portata culturale e morale dello scontro. Ma vi è chi onestamente possa ancora pensare che oggi in Italia è minacciato il diritto di essere omosessuale e di vivere apertamente questa condizione?
Inoltre, la bocciatura in Parlamento ha evidenziato l’esistenza di una maggioranza politica più estesa della stessa maggioranza governativa. Non è un successo da sottolineare? Non è importante ricordare che sui principi non negoziabili la maggioranza si allarga all’Udc, anche se perde il sostegno dell’on. Santo Versace, assiste all’incomprensibile astensione dell’on. Claudio Scajola e a quella, prevedibile dopo aver sponsorizzato il progetto, del ministro Mara Carfagna? Non è importante affermare che il governo si sa compattare quando sono in gioco i valori fondamentali della nostra civiltà, così come avvenne per tentare di difendere la vita di Eluana?

Invece purtroppo questo non accade e riappare con evidenza la debolezza culturale delle forze politiche del centro-destra e del loro retroterra informativo. Una debolezza che potrebbe nascere dall’esistenza di orientamenti culturali diversi all’interno di partiti e giornali, oppure dalla mancanza di personale adeguato a condurre questa battaglia di idee più che di scontro di poteri, oppure per altri motivi che non conosciamo. Ma certamente questa debolezza esiste ed è un problema.

Essa non permette neppure di utilizzare come boccate di ossigeno in un periodo particolarmente avaro di soddisfazioni per la maggioranza quelle vittorie che pure arrivano, ogni tanto. Siamo tra i pochi Paesi europei che sono riusciti a impedire l’introduzione di una legge che avrebbe discriminato la maggioranza eterosessuale del Paese e avviato un ulteriore passaggio contro il matrimonio e la famiglia. Siamo riusciti a mandare un messaggio importante agli abitanti di tutta Europa: in Italia il matrimonio è cosa di un uomo e di una donna. Punto. Dovrebbe essere un motivo di fierezza e di orgoglio, non di atteggiamenti preoccupati e sempre sulla difensiva.


Fraternamente CaterinaLD

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15/09/2011 14:33
 
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Questa notizia [SM=g1740730]  più che "non data" la mettiamo fra quelle più STRUMENTALIZZATE.....


Kate, una storia poco credibile

14-09-2011

Nelle ultime settimane stampa, radio e tv hanno dedicato ampio spazio alla drammatica vicenda di Kate Omoregbe, la 34enne nigeriana che ha lasciato il carcere di Castrovillari, dove ha scontato una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti, e che avrebbe dovuto essere immediatamente sottoposta a decreto di espulsione. Se rimpatriata - è stato scritto e detto -  la donna avrebbe rischiato la lapidazione per essersi rifiutata, più di 10 anni fa, di sposare un uomo più anziano di lei e convertirsi alla religione dell'uomo, l'Islam.

Grazie ad una petizione e ad una grande mobilitazione mediatica, promossa da Franco Corbelli, responsabile del Movimento Diritti Civili Globali, alla donna è stata concessa la protezione umanitaria e potrà rimanere nel nostro paese, almeno per un periodo. Eppure la vicenda presenta non poche zone di ombra.

LEGGETE IN QUESTI COLLEGAMENTI



- Mala informazione di Riccardo Cascioli



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/10/2011 17:47
 
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[SM=g1740717] Il disabile e la lettera che ha commosso il Papa

di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 12 ottobre 2011

«Invochiamo l'intercessione di Maria anche per i problemi sociali più gravi di questo territorio e
dell'intera Calabria, specialmente quelli del lavoro, della gioventù e della tutela delle persone
disabili che richiedono crescente attenzione da parte di tutti, in particolare delle istituzioni.
..».

Le
parole scandite da Benedetto XVI, domenica all'Angelus, quel passaggio sui disabili e il richiamo
alla responsabilità delle istituzioni non si spiegano solo con la presenza di tante persone in
carrozzina arrivate nel fango dell'area industriale dismessa di Lamezia Terme
.

Il fondatore della
comunità «Progetto Sud», don Giacomo Panizza, stava poco distante dal Papa e ha capito al volo.
Lui invece non poteva essere là, guardava emozionato la tv come gli altri malati gravi del progetto
«Abitare in autonomia» e aveva gli occhi lucidi, «speriamo sia la volta buona...».

Quando Domenico «Mimmo» Rocca ha scritto il mese scorso a Benedetto XVI, il tono un po'
intimidito, «Egregio signor Papa...», la lettera è arrivata alla Segreteria di Stato perché ne fosse
informato l'Appartamento papale. Suo fratello, Franco Rocca, come Mimmo malato di amiotrofia
spinale, è morto la notte del 26 gennaio perché l'idea di dover finire parcheggiato in qualche casa di
ricovero lo aveva distrutto, questione di poche settimane: disperazione, depressione, morte. Così, in
vista del viaggio in Calabria («Le chiedo scusa per averla disturbata...»), il 7 settembre Mimmo ha
deciso di dire tutto al Pontefice. «Questa classe politica si genufletterà davanti a lei, alta autorità
morale, e più o meno ipocritamente chiederà la sua benedizione. Io pure vorrei chiederle un grande
favore: spendere una parola per le migliaia di persone che come me dovrebbero essere aiutate a
vivere la propria vita con dignità».
Così ha raccontato della comunità di don Panizza — il sacerdote minacciato di morte dalla
'ndrangheta e che vive sotto protezione da quando «osò» entrare con i suoi disabili in un palazzo
confiscato ai clan — e del progetto «sperimentale» che da dieci anni assiste in casa i malati più
gravi, persone «che non vogliono finire la loro vita in un ospizio e che non possono vivere perché
rimasti senza famiglia e senza nessun altro che si prenda cura di loro». Tutto dipende dai
finanziamenti della Regione Calabria che però arrivano a singhiozzo: «Adesso ce li hanno rinnovati
per tre mesi, fino a dicembre», sospira don Panizza. «Sei mesi, tre, si va avanti così. Che sanità è
quella che porta alla depressione e non alla cura?». Il paradosso è che l'assistenza a domicilio «costa
meno della metà», alla sanità pubblica: 70 euro al giorno contro i 153 degli istituti di ricovero.
Ma nella lettera al Papa Mimmo Rocca — che nel suo paese, Tiriolo, a dispetto della malattia si
impegna da anni nella Protezione civile — è andato oltre le cifre: «Siamo persone senza famiglia o
con genitori vecchi che non sono più in grado di assisterci. Mio fratello Franco e io abitavamo da
soli e non avevamo altre soluzioni se non l'aiuto che ci offriva il progetto "Abitare in autonomia"».

Un'assistenza «che rispettava la nostra voglia di vita permettendo a noi di continuare a impegnarci
nel volontariato, nell'associazionismo, nella difesa dei diritti dei disabili, nella cooperazione».
Eppure, si legge, «ogni anno ci è toccato sopportare l'angoscia del rinnovo del finanziamento del
progetto. Un'angoscia terribile perché si prospetta ogni volta la possibilità di non essere più alzati
dal letto, di non essere aiutati a nutrirci, in sintesi: di morire d'inedia».
È quello che è successo alla fine dell'anno scorso. Il rinnovo che non arrivava, «la minaccia di
sospensione dell'assistenza», ricorda don Giacomo, l'attesa. «Mio fratello Franco non ce l'ha fatta
più a reggere il macigno di quest'angoscia tanto pesante che ha aggravato il suo stato di salute, si è
sentito inutile, un peso. Ed è morto», ha riassunto il signor Rocca a Benedetto XVI.

Avevano scritto al presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti. «Da più di un anno sto chiedendo
di essere ricevuto per parlare della necessità di consolidare il nostro progetto assistenziale». Nel
caso di Lamezia Terme si parla di sette disabili che la comunità («Ci siamo indebitati») ospita in
piccoli appartamenti se non hanno una casa loro. La lettera, confermano Oltretevere, è stata letta
con attenzione e commozione. La «parola» di Benedetto XVI è arrivata. Per le «migliaia» di
persone delle quali, oltre la Calabria, Mimmo Rocca si è fatto portavoce con il Pontefice: «Perché,
signore, lo grido con forza: voglio vivere, amo la vita, l'unico vero bene che ho, nonostante la
sofferenza, nonostante tutto».


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Fonte: associazionelatorre.com e centrostudifederici.org. La quindicenne inglese Lucy Hussey-Bergonzi nel 2009 è stata colpita da emorragia cerebrale a Londra. Dopo due operazioni inutili, i medici hanno avvisato la famiglia. La quale, anziché precipitarsi a donarne gli organi, ha voluto battezzarla cattolica. In ospedale, quando il sacerdote ha fatto gocciolare l’acqua sulla fronte di Lucy, questa ha avuto un sussulto e ha alzato un braccio. Il giorno dopo i tubi e le macchine cui era attaccata non erano più necessari. Oggi Lucy ha ripreso normalmente gli studi. I medici non sanno trovare spiegazione e parlano di «miracolo».

[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 14/10/2011 00:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/10/2011 19:37
 
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Uno dei motivi per cui NON pubblichiamo MAI i casi di "preti-pedofili" dai Media.....
è perchè la caccia "al mostro" fa notizia, ma quando VIENE SMENTITA i Media tacciono   

"Dopo una condanna pesantissima per pedofilia e sette anni scontati in carcere, per don Luciano Massaferro arriva la piena riabilitazione dalla giustizia ecclesiastica. Merito del coraggio mostrato dall'arcivescovo di Genova Bagnasco che ha fatto svolgere un processo rigoroso dal quale è uscito assolto. Parlano l'amico vescovo e il suo legale, Ronco, che sottolineano la fede con la quale ha affrontato una tragedia personale e gli errori compiuti dalla giustizia italiana: "Le cose non sono andate come stabilì il giudice civile". "

Prete non pedofilo: lezione della Chiesa allo Stato

Dopo una condanna pesantissima per pedofilia e sette anni scontati in carcere, per don Luciano Massaferro arriva la piena riabilitazione dalla giustizia ecclesiastica. Merito del coraggio mostrato dall'arcivescovo di Genova Bagnasco che ha fatto svolgere un processo rigoroso dal quale è uscito assolto. Parlano l'amico vescovo e il suo legale, Ronco, che sottolineano la fede con la quale ha affrontato una tragedia personale e gli errori compiuti dalla giustizia italiana: "Le cose non sono andate come stabilì il giudice civile". 

La giustizia ecclesiastica lo ha pienamente riabilitato dall’accusa di pedofilia entrando così in opposizione con la sentenza con la quale la Cassazione stabiliva per don Luciano Massaferro di Alassio la condanna a 7 anni, scontati quasi tutti in carcere. Per i giornali la notizia è ghiotta. Infatti lo si presenta come né più né meno che un contrasto per mettere in cattiva luce il tribunale ecclesiastico, adombrando una sorta di “tenerezza” nei confronti del sacerdote che invece la giustizia penale ha ritenuto colpevole.

Di qua la giustizia civile che lo ha condannato, di là quella ecclesiastica che invece dopo un’attenta analisi della vicenda iniziata nel 2009, ha assolto “don Lu”, ribaltando completamente la decisione precedente che ora gli consentirà di poter tornare a fare il parroco e soprattutto a dire messa, salvo però impedirgli di insegnare religione nelle scuole perché per quell’incarico vale la giustizia ordinaria, che lo inibisce dalla cattedra.

C’è ora chi grida allo scandalo e i social fanno a gara per mettere in cattiva luce la regione ecclesiastica guidata dal cardinal arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco. Troppo facile titolare come è stato fatto da autorevoli quotidiani Il prete di Alassio pedofilo per la Cassazione, ma innocente per la Chiesa perché se il titolo nella sostanza è corretto, non lo è la percezione della notizia per come viene presentata. Infatti, a ben vedere, ci sarebbe da chiedersi quale contributo alla verità dei fatti possa arrivare da un tribunale canonico che ha esaminato la vicenda processuale con rigore e scientificità giuridica.

“Un contributo decisivo per la verità dei fatti”. L’avvocato Mauro Ronco, già professore ordinario di Diritto penale nell'Università di Padova, ne è convinto. Assieme al “principe del foro” Franco Coppi e ad altri, ha fatto parte del pool di difensori di questo sacerdote che secondo la Chiesa ha pagato ingiustamente 7 anni di detenzione per un reato non commesso, stando sempre alla giustizia ecclesiastica, che non va confusa con la giustizia di Dio, ma che non ha nulla da invidiare per serietà e autorevolezza a quella civile.

E alla Nuova BQ spiega quale sia stato il rigore procedurale con il quale il tribunale ecclesiastico ha deciso di assolverlo dalle accuse, sancendo di fatto un principio fondamentale: che la Chiesa è capace di assumersi il coraggio e la responsabilità della verità in un periodo in cui, circa il tema dei sacerdoti pedofili, spesso si tende a giocare in difesa per non essere accusati di connivenza.

“Anzitutto la genesi processuale – spiega Ronco -. Il processo ecclesiastico nasce su volontà della Congregazione per la dottrina della fede che il 7 gennaio 2013 diede pieno mandato a Bagnasco di procedere con processo amministrativo penale conferendogli potere di erogare anche pene perpetue”. Una decisione particolarmente grave e insolita, spiega infatti il legale, perché quando le prove sono evidenti o si è in presenza di sacerdoti rei confessi, la Cfd si “accontenta”, in soldoni, della giustizia civile.

Ma nel caso di don Luciano, anche a detta dei custodi della dottrina c’era qualche cosa da approfondire che i processi civili non avevano fatto. “Va letta dunque in questo senso – prosegue il giurista – la decisione di procedere anche a livello canonico istituendo un vero e proprio processo. L’Arcidiocesi di Genova ha così svolto un procedimento regolare in tutto e per tutto, rifacendo di fatto il processo all’imputato”.

Dopo diversi anni di udienze, perizie, testimonianze e incidenti probatori, la decisione, sintetizzata dalla sentenza di questi giorni: “Il sacerdote Luciano Massaferro deve essere completamente riabilitato in quanto non consta che egli abbia commesso i delitti a lui ascritti né nei confronti di XXX né nei confronti di altri minori pertanto debbono immediatamente cessare le pene cautelative imposte dal vescovo di Albenga”.

Una sentenza tranchant.

Che cosa significa tutto questo? “Nulla dal punto di vista civile anche perché don Luciano ha finito di scontare tutta la pena in prigione il 5 marzo 2016, ma questa sentenza certifica che la giustizia canonica ha operato nella massima severità imponendo, prima pene canoniche in via cautelativa, e poi procedendo a un processo nel corso del quale sono emersi elementi probatori tali da farlo assolvere”.

Ronco spiega infatti che il punto centrale era l’attendibilità della ragazzina che lo accusava. “Un’attendibilità che il procedimento canonico ha valutato non esserci. Non sta a me criticare le sentenze, ma è chiaro che la critica è in re ipsa: è evidente che se in questo momento c’è stata un’assoluzione vuol dire che le cose non erano così come si pensavano”.

Che cosa sarà ora di don Luciano? Ci sarà una revisione anche del processo civile? Su questo Ronco non si sbilancia: “Le revisioni si fanno quando ci sono nuove prove. In questo caso siamo in presenza di una rivalutazione di una prova giudicata sufficiente allora, ma non lo era”.

Resta però un fatto: “Il coraggio che ha avuto il vescovo di Genova nell’andare a fondo della questione che per don Luciano è stata una vera e propria tragedia personale. Una tragedia che ha vissuto con una grande fede. Io ho seguito il sacerdote e ho visto quanto confidasse con fede straordinaria in Gesù Cristo. Alla fine la verità è uscita fuori”.

La vicenda di don Luciano tenne banco negli anni scorsi sulle cronache locali dei giornali liguri. E la notizia della riabilitazione canonica non può non far che piacere al comitato nutrito di fedeli che negli anni scorsi si era costituito per difendere il sacerdote. Tra questi c’è anche un confratello di don Luciano che nel frattempo è diventato vescovo.

Si tratta del vescovo di Ventimilia-Sanremo Antonio Suetta, che ha seguito la vicenda processuale dell’amico e non ha mai dubitato della innocenza. E sono proprio le parole di un successore degli apostoli a fare luce su quel caso.

“Nella condanna di primo grado – ha spiegato alla Nuova BQ Suetta – si afferma che in alcune circostanze la minore si è contraddetta, ma il giudice la scusò perché i minori si possono contraddire. Don Luciano è stato condannato senza un riscontro oggettivo, quelle che noi chiamiamo banalmente prove”. Si tratta di un’ulteriore presa di responsabilità episcopale a difesa di un uomo di Dio in tempi in cui la gogna mediatica suggerirebbe un escamotage più politicamente corretto e una sudditanza imbarazzante.

“Per quanto scarsa sia la mia cultura giuridica so che quello che non è nell’evidenza delle prove non esiste, di conseguenza trovo quanto meno curioso e anomalo il fatto che di fronte a due versioni contrapposte, una che accusa e l’altro che rimanda al mittente ogni accusa, il giudice possa condannare una persona dicendo: uno lo ritengo credibile e l’altro no senza dire se ci sono prove a supporto. Questa è l’anomalia della sentenza”.

Suetta ha ricordato che anche il processo di Appello fu insufficiente dal punto di vista dell’approfondimento: “Non è entrato nel merito e ha visto la sostituzione del giudice relatore alla vigilia del processo. Inoltre, molte istanze della difesa non sono state accolte. Io non mi permetto di sindacare quello che non è di mia competenza, ma a fronte di questi documenti e di questo iter processuale mi pongo alcune domande. E si tratta di domande che, a fronte della meticolosità con cui è stato fatto il processo canonico si fanno ora più consistenti”.




[Modificato da Caterina63 01/03/2018 09:48]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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