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Il Magistero dei Pontefici sull'Evangelizzazione

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2013 23:30
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25/08/2012 22:56
 
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Missionario, cioè padre


La lettera apostolica Maximum illud di Benedetto XV è considerata la magna charta dell’attività missionaria in epoca contemporanea. Fu sollecitata anche dalla situazione dei cattolici in Cina agli inizi del secolo XX


di Lorenzo Cappelletti


Benedetto XV

Benedetto XV

La lettera apostolica Maximum illud del 30 novembre 1919 non è certo un documento sconosciuto né dimenticato, almeno in ambito ecclesiastico. Dagli studiosi del settore è riconosciuta come la magna charta dell’attività missionaria in epoca contemporanea. Si dimentica semmai di chiedersi perché autore di un documento di profilo così alto sia stato un Papa di profilo ritenuto così basso.

A cominciare dalla stessa autocoscienza che aveva di sé Benedetto XV (al secolo Giacomo della Chiesa). Nonostante l’edulcorazione che se ne fa, infatti, nel recente Il Papa sconosciuto di John F. Pollard, va ritenuta autentica la testimonianza del conte Carlo Sforza, secondo il quale "della Chiesa stesso ammetteva di non sapere nulla di questioni teologiche" (p. 23). Di Benedetto XV, pertanto, si parla solo in relazione agli avvenimenti bellici e postbellici della Grande guerra. E si ricorda in genere poco più della qualificazione di quella guerra "comme un massacre inutile". Fatto comunque che basterebbe da solo a tramandarne la memoria, perché fu lui personalmente, nella nota in francese del 1� agosto 1917, a volere quella espressione. Ma la statura di questo Pontefice si manifesta anche altrimenti. Se ne deve apprezzare innanzitutto la capacità di valorizzare e di rispettare gli altri — magari proprio perché non aveva una stima troppo alta di se stesso — e la preveggenza.

Fu infatti il talent scout dei futuri Pio XI (che aveva a sua volta al seguito come giovanissimo segretario Giovanni Battista Montini), Pio XII e Giovanni XXIII, che scelse per missioni difficili in Polonia, in Germania e in Bulgaria, e fu il precursore di tanti successivi loro atteggiamenti: non solo di fronte alla guerra, in quanto volle mantenere una assoluta imparzialità fra le nazioni belligeranti, ma anche di fronte all’Oriente, cristiano e non, come anche di fronte alla realtà ecclesiale e politica italiana, di cui guardò con favore una più moderna impostazione. Non nova sed noviter, scriveva nella sua enciclica programmatica Ad beatissimi Apostolorum Principis del 1� novembre 1914.
Esempio di questa capacità di valorizzazione e di preveggenza, che nella Chiesa non è altro che fedeltà alla Tradizione (nella medesima prima enciclica ribadiva come legge assoluta nelle cose di fede quella espressa nell’adagio dei Padri: nihil innovetur nisi quod traditum est), è la lettera apostolica sulla propagazione in tutto il mondo della fede cattolica Maximum illud.

Origine cinese della Maximum illud
Andiamo a vedere come nasce la lettera. Infatti comprendere un documento del Magistero — benché non si riduca a comprenderne la genesi storica, perché il valore delle affermazioni in esso contenute va al di là delle circostanze che lo hanno determinato e di colui o di coloro che ne sono stati magari gli estensori materiali — a volte non può prescindere da circostanze e persone che ne sono storicamente all’origine. Ciò vale in modo speciale per la Maximum illud, perché nel suo testo permangono espressioni contenute in una serie di note inviate a Propaganda Fide negli anni precedenti da alcuni missionari in Cina.
In esse si rilevava sostanzialmente che interessi di carattere nazionalistico favorivano in Cina la percezione della Chiesa come realtà paracoloniale asservita a interessi di potenze straniere e anche all’avidità di singoli.
Le note determinarono una consultazione dei vicari apostolici residenti in Cina, nel rispondere alla quale il vicario di Canton monsignor de Guébriant, fra gli altri, oltre a confermare le osservazioni fatte nelle note e a mettere l’accento sulle responsabilità dei responsabili, sollecitava una lettera da Roma. Nelle sue intenzioni essa doveva essere rivolta solo ai vescovi della Cina e invece finì per diventare, sulla base delle sue osservazioni e di quelle dei missionari, la lettera apostolica Maximum illud. Che uscì all’indomani della fine della guerra, quando la preoccupazione per le missioni estere toccava il suo zenit. L’Inghilterra, infatti, per motivi nazionalistici, era in procinto di cacciare i missionari di origine tedesca da tutte le sue colonie e la Cina, seguendo quel cattivo esempio, stava per fare altrettanto.


Assecondare il dono dello Spirito Santo
Prima di ripercorrere il contenuto della lettera, c’è innanzitutto da osservare che la Maximum illud contiene solo citazioni della Sacra Scrittura, mentre manca in essa qualunque citazione del precedente Magistero. Il motivo di questa inusuale impostazione può essere stato contingente, cioè la particolare genesi che il documento aveva avuto, ovvero corrispondenze, che non potevano essere citate, di semplici missionari, ma il risultato è una freschezza che altri documenti pontifici non hanno. Chiunque, anche oggi (a condizione solo di una traduzione accettabile), può leggere, capire e trarre qualche immediato beneficio dalla Maximum illud, benché essa sia destinata di per sé solo alle autorità missionarie. Risultato inverso, paradossalmente, conoscono tanti documenti recenti destinati a tutti i fedeli.

Potremmo dire che la tradizione da cui essa scaturisce, oltreché dalle citazioni della Sacra Scrittura, è data in apertura solo attraverso un fitto elenco di nomi dei santi missionari più cari alla memoria dei fedeli dei vari luoghi.
"Santorale" che è seguito da altre parole introduttive, il che non vuol dire superflue: "Con viva gioia e gratitudine vediamo che, in più parti della cristianità, cresce sempre più la sollecitudine di persone buone, mossa dallo Spirito Santo, nel promuovere e sviluppare le missioni estere. E appunto per assecondare tale sollecitudine e darle impulso, come è nostro dovere e ardente desiderio, dopo aver implorato con molte preghiere la luce e l’aiuto del Signore, vi inviamo questa lettera, venerabili fratelli". Così il tema missionario appare determinato anzitutto dall’assecondare il dono dello Spirito Santo e non dall’urgenza di arruolare o di arringare militanti. Troppo recente era nel Papa il ricordo di arruolati, compresi tanti sacerdoti, destinati solo a un’"orrenda carneficina", come l’aveva chiamata.


Il corpo della lettera
Il corpo della lettera può essere suddiviso in tre parti. Nella prima il Papa tratta della responsabilità di chi presiede alle missioni. La seconda dà le linee guida più urgenti ai missionari impegnati sul campo. La terza definisce quale possa essere l’aiuto all’azione missionaria da parte di tutti i fedeli.

1. Porre l’accento sulla responsabilità dei responsabili, chiamati a essere veri padri, si potrebbe considerare scontato per un papa, cioè per chi per definizione dovrebbe essere padre. In realtà si tratta di una sottolineatura tradizionale, ma Benedetto XV la fa sua in modo particolare. Tanto che Alberto Monticone nel tracciare il profilo di questo pontificato per il volume XXII/1 del Fliche-Martin parla per esso di "primato della paternità" (p. 158). Fin dal suo primo appello, il Papa, nel motivare lo sgomento che all’atto dell’elezione lo aveva preso di fronte all’Europa devastata, scrisse: "Dal buon pastore Gesù Cristo, di cui siamo rappresentanti nel governo della Chiesa, abbiamo [in dote] proprio questo, di abbracciare con viscere di carità paterna tutti quanti i suoi agnelli e le sue pecore" (esortazione Ubi primum dell’8 settembre 1914). Naturalmente la Maximum illud non si sottrae a questo primato: "Tutti quelli che in qualsiasi modo lavorano in questa vigna del Signore occorre che sappiano per esperienza [experimento cognoscant oportet] e che realmente avvertano che a presiedere la missione c’è un padre, vigile, diligente, pieno di carità, che con passione abbraccia tutti e tutto, che si rallegra coi suoi nelle circostanze liete e ne condivide il dolore nelle avverse, che asseconda e favorisce i tentativi e le iniziative lodevoli, che insomma considera come suo proprio tutto ciò che riguarda chi gli sta sottoposto". Anche l’esortazione a che si sviluppi un clero indigeno nei Paesi di missione, lungi da scaturire da ragioni ideologiche o, ciò che è lo stesso, nazionalistiche (secondo un uguale e contrario nazionalismo in favore dei Paesi di missione), è lo specchio di una sollecitudine paterna e lungimirante che il Papa cerca di trasmettere ai responsabili.

Questa apertura della lettera dedicata alla responsabilità paterna di chi guida, benché dettata da ragioni contingenti proprie delle missioni estere, risulta particolarmente attuale nella situazione odierna che, tante volte si ripete, è di nuova evangelizzazione. Infatti il richiamo a una missionarietà permanente rischia solo di schiacciare i semplici fedeli, se qualcuno non li aiuta con paterna carità a portare il peso della vita quotidiana, ambito della missione cristiana. "Vi auguro di essere padri e madri" ha ripetuto negli ultimi tempi don Giussani.

Padre Leone Nani, missionario in Cina, conferisce il battesimo ad un gruppo di bambini

Padre Leone Nani, missionario in Cina, conferisce il battesimo ad un gruppo di bambini

2. Nella seconda parte, da cui è tratto il brano che pubblichiamo, la lettera mette in guardia il missionario da due pericoli. Innanzitutto si dice che non è una civiltà terrena che si è chiamati a propagare, ma una cittadinanza celeste. Come il missionario conosce per esperienza se il responsabile è padre, così "gli uomini per quanto barbari e selvaggi capiscono piuttosto bene che cosa cerchi per sé e cosa chieda loro il missionario, e col fiuto riconoscono con grande sagacia [sagacissimeque odorando perspiciunt] se egli desideri qualcos’altro che non sia il loro bene spirituale". Soprattutto se una popolazione, benché barbara e selvaggia, fosse "indotta a credere che la religione cristiana sia qualcosa che appartiene a una qualche nazione straniera, abbracciando la quale religione uno sembra mettersi sotto la tutela e il potere di un altro Paese e sottrarsi alla legge del proprio". È a questo punto che il Papa fa riferimento per contrasto al "missionario cattolico degno di questo nome", perché cattolico è il "ministro di quella religione che, abbracciando tutti gli uomini che adorano Dio in spirito e verità, non è straniera ad alcuna nazione".

La seconda avvertenza, fatta appoggiandosi sulla citazione di 1Tm 6,8 ("Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci"), è simile alla prima: non si deve cercare di acquisire altro che anime.

I documenti di Benedetto XV sono ricchi di riferimenti alle due lettere a Timoteo. Già nell’enciclica programmatica Ad beatissimi Apostolorum Principis, sempre dalla 1Tm traeva la spiegazione sintetica dei mali di cui soffre l’umana società: "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (6,10). Solo che qui alla citazione paolina faceva seguito una interessante disamina di taglio agostiniano sul desiderio della felicità: "Quando si è fatto penetrare negli animi l’errore esiziale che l’uomo non deve sperare di essere felice nella vita eterna, ma che quaggiù, quaggiù può essere felice col godere delle ricchezze, degli onori, dei piaceri di questa vita, non c’è da meravigliarsi che gli uomini, naturalmente fatti per la felicità [atura factos ad beatitatem], con la stessa forza con cui sono trascinati all’acquisto di questi beni respingeranno qualunque cosa che ritardi o impedisca tale acquisizione".

3. L’aiuto che può venire alle missioni da parte dei fedeli, innanzitutto attraverso la preghiera, costituisce il contenuto della terza parte. Tale aiuto è un dovere di carità e di gratitudine al Signore: ""Il Signore comandò a ciascuno di darsi pensiero del prossimo suo" (Eccli 17,12); e questo dovere è tanto più stretto quanto maggiore è la necessità in cui versa il prossimo. Ma quali uomini hanno bisogno del nostro aiuto fraterno più di coloro che non hanno la fede? Infatti, ignorando Dio, sono in balìa di passioni cieche e sfrenate e soffrono la più dura schiavitù sotto il demonio. Perciò tutti quelli che, secondo le loro possibilità, contribuiranno a illuminarli, specialmente aiutando l’opera dei missionari, compiranno un dovere importante e dimostreranno, in modo assai accetto al Signore, la loro gratitudine per il dono della fede".

Avviandosi a concludere la lettera, il Papa avverte le parole del Signore a Pietro "Duc in altum", "Prendi il largo" come rivolte a sé: "Quasi che il Signore ci esortasse, come fece quella volta con Pietro dicendogli "Prendi il largo", quanto ci sentiamo spinti dall’ardore di una carità paterna a portare gli uomini tanti quanti sono al Suo abbraccio!".

Molte volte si fa riferimento a questo invito del Signore. Non bisogna dimenticare però che si parte fiduciosi per la pesca solo quando si fiuta, in chi ripete letteralmente quelle parole, un riverbero della Sua infinita carità.

Missionario di Cristo, non della propria nazione


Un brano della Maximum ilud


Nostra traduzione


Sarebbe certo deplorevole se vi fossero dei missionari così dimentichi della propria dignità da pensare più alla loro patria terrena che a quella celeste; e fossero preoccupati più del dovuto di dilatarne la potenza e di estenderne anzitutto la gloria.
«Sarebbe certo deplorevole se vi fossero dei missionari così dimentichi della propria dignità da pensare più alla loro patria terrena che a quella celeste; e fossero preoccupati più del dovuto di dilatarne la potenza e di estenderne anzitutto la gloria. Sarebbe questa la più triste piaga dell’apostolato che paralizzerebbe nei banditori del Vangelo ogni zelo per le anime e ne diminuirebbe l’autorità presso la gente.
Infatti gli uomini per quanto barbari e selvaggi capiscono piuttosto bene che cosa cerchi per sé e cosa chieda loro il missionario, e col fiuto riconoscono con grande sagacia se egli desideri qualcos’altro che non sia il loro bene spirituale. Poniamo che egli per certi versi non sia libero da propositi terreni e che non si comporti sempre da uomo apostolico, ma sembri adoprarsi anche per gli interessi della sua patria: tutta la sua opera risulterà subito sospetta per la popolazione, che facilmente sarà indotta a credere che la religione cristiana sia qualcosa che appartiene a una qualche nazione straniera, abbracciando la quale religione uno sembra mettersi sotto la tutela e il potere di un altro Paese e sottrarsi alla legge del proprio.


Davvero ci recano grande dispiacere quelle riviste missionarie diffuse in questi ultimi anni che manifestano non tanto il desiderio di dilatare il regno di Dio quanto di allargare l’influenza del proprio Paese: e ci meravigliamo che non ci si preoccupi di come queste cose allontanino l’animo dei pagani dalla santa religione. Non agisce così il missionario cattolico degno di questo nome: egli al contrario, tenendo sempre a mente che è un inviato non della propria nazione ma di Cristo, si comporta in modo che tutti lo riconoscano senza possibilità di dubbio come ministro di quella religione che, abbracciando tutti gli uomini che adorano Dio in spirito e verità, non è straniera ad alcuna nazione e “in cui non c’è né greco né giudeo, né circoncisione né incirconcisione, né barbaro né scita, né schiavo né libero: ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11).

A un’altra cosa deve fare molta attenzione il missionario: a non voler acquisire che anime. Ma su questo non c’è bisogno di dire molto. Infatti chi fosse avido di guadagno come potrà pensare unicamente alla gloria divina, come dovrebbe, e essere pronto a dare ogni cosa, finanche la vita, per promuoverla conducendo altri alla salvezza? Si aggiunga che in tal modo costui verrebbe a perdere molta della sua autorità presso gli infedeli specialmente se, come è facile che accada, il desiderio del guadagno fosse già diventato vizio di avarizia; infatti non c’è niente di più spregevole di fronte agli uomini né di più indegno di fronte al regno Dio dell’abietta avarizia.
Il buon propagatore del Vangelo seguirà anche in questo con grande zelo l’Apostolo delle genti che non solo esortò così Timoteo: “Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci” (1Tm 6,8), ma tenne in così gran conto un atteggiamento disinteressato che, pur dentro un’attività incessante, si procacciava il necessario col lavoro delle sue mani».



[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 25/08/2012 22:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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