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DE CIVITATE DEI (approfondimenti)

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 21:49
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25/08/2012 19:29
 
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Il De civitate Dei di sant’Agostino e l’unità dei popoli


Appunti dalla comunicazione di don Giacomo Tantardini al convegno internazionale di studi “Per un nuovo ordine mondiale: unione dei popoli oltre il particolarismo degli Stati” svoltosi presso la Libera Università degli studi San Pio V di Roma in occasione del Giubileo dei docenti universitari Roma, 8 settembre 2000


di Giacomo Tantardini


Tre premesse.

1. Sono grato al professor Leoni, rettore di questa Libera Università degli studi San Pio V, per l’invito a tenere questa comunicazione e in particolare per il titolo con cui mi ha presentato: sacerdote. Non è infatti per ruoli o competenze accademiche che parlo a voi, ma semplicemente perché in questa Università, così ospitale, da ormai tre anni, leggiamo insieme con giovani studenti brani di sant’Agostino, in particolare del De civitate Dei.

2. Il desiderio che sorregge questa comunicazione è che «sant’Agostino diventi accessibile alle nostre domande e nella nostra attualità», secondo quanto il cardinale Ratzinger, presentando a Roma in un’aula della Camera dei deputati il libro Il potere e la grazia. Attualità di sant’Agostino, disse: «Quello che mi arreca realmente gioia è il fatto che una rivista di informazione come 30Giorni abbia presentato per mesi al grande pubblico questa figura [la figura di sant’Agostino] in un dialogo con il nostro tempo. Un dialogo che realmente evidenzia la profondità e l’attualità del suo pensiero. Questo fatto che sant’Agostino diventa accessibile alle nostre domande e nella nostra attualità è il mio motivo di gioia». Questo non fu che il primo dei tre accenni di gratitudine che in quell’occasione Ratzinger espresse per la rivista diretta da Giulio Andreotti.

Ambrogio battezza Agostino e il figlio Adeodato, gruppo scultoreo di pietra dipinta (1549), Cattedrale di San Pietro 
e San Paolo, Troyes, Francia

Ambrogio battezza Agostino e il figlio Adeodato, gruppo scultoreo di pietra dipinta (1549), Cattedrale di San Pietro e San Paolo, Troyes, Francia

3. Il De civitate Dei non è di per sé un trattato su temi di filosofia e teologia cristiana. Nel De civitate Dei Agostino descrive un avvenimento accaduto e che come nuovo inizio si ripresenta nel presente (Péguy parlerebbe di “registrazione” ovvero di “cronaca”). Avvenimento che chiamiamo grazia, grazia che possiamo tradurre con una parola: attrattiva (delectatio victrix: attrattiva che avvince perché corrisponde al cuore dell’uomo). Agostino chiama, per esempio nel De spiritu et littera, questa grazia, questa attrattiva, concupiscenza buona, più evidente e corrispondente al cuore che non la concupiscenza dovuta alla ferita del peccato originale. Se non fosse più evidente e corrispondente al cuore non ci sarebbe reale motivo per diventare e rimanere cristiani. Ebbene, nel De civitate Dei Agostino descrive come questa attrattiva vive nel mondo, la realtà che incontra, le obiezioni e le alternative ideali che il mondo oppone a questa attrattiva, le vicinanze, le prossimità (che magari immediatamente possono apparire lontananze) a questa attrattiva. Agostino, sempre nel De spiritu et littera, afferma, a differenza di Pelagio e dei filosofi platonici, che la conoscenza della verità / cognitio veritatis e la stessa cognitio Dei / conoscenza di Dio, di fatto, storicamente, conduce alla morte, è lettera che uccide senza questa delectatio / attrattiva per cui si è grati. Nella gratitudine si conosce veramente.
Così, viene evitata di schianto sia un’interpretazione idealistica del De civitate Dei (città di Dio come comunità ideale degli uomini religiosi o buoni) sia un’interpretazione teocratica (città di Dio come modello da imporre alla convivenza umana). La civitas che questa attrattiva genera, stupendo e attirando le persone che incontra, è semplicemente la Chiesa (dilecta civitas, cum haec non sit nisi Christi Ecclesia, XX, 11). Questo riconoscimento proprio della Tradizione, espresso da Agostino anche con parole come civitas Dei quae est sancta Ecclesia (VIII, 24, 2), è stato autorevolmente riproposto in questi giorni dalla DichiarazioneDominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa approvata dal Papa. Al Santo Padre esprimiamo la nostra umile riconoscenza.
Ma, trattandosi di avvenimento di grazia, Agostino né idealizza la comunità concreta dei fedeli né istituzionalizza l’avvenimento sempre gratuito dell’attrattiva della grazia. Così come nel Credo del popolo di Dio Paolo VI dà testimonianza: «Essa [la Chiesa] è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità».
Tale attrattiva di grazia desta esperienza di stupore, stupore che non può, per sua natura, né essere provocato né essere posseduto da noi. Per questo non è contro nessuno e non può essere imposto a nessuno.


1.De civitate Dei XIV, 1
«Dio ha voluto che tutti gli uomini nascessero da un unico uomo perché non solo fosse comune la natura, ma ci fosse anche un rapporto di fraternità tra tutti, in una unità concorde attraverso il vincolo della pace». Così Agostino accenna all’ideale di unità tra i popoli (in unitatem concordem) che scaturisce naturalmente dal gesto del Creatore. Ma realisticamente Agostino constata che tale condizione è segnata dalla morte come conseguenza del peccato originale. Senza tener presenti questi due fattori, ovvero l’ideale buono che sorge dal cuore e le conseguenze storiche del peccato originale, non si è realisti, ma illusi idealisti.
In questa condizione è accaduto che «indebita Dei gratia / una grazia non dovuta incontrasse alcuni» rendendoli così felici (…gratiam qua illi cohaerendo beati simus, VIII, 10, 2; spe beati facti sumus, XIX, 4, 5). Lieti già in questo mondo in speranza. Cioè lieti per stupore gratuito. Non per possesso di conquista. «Ac per hoc factum est / Per questo è accaduto che, nonostante tutti i popoli che vivono sulla terra abbiano diverse religioni, diversi costumi [diverse morali] e siano distinti per molteplicità di lingue, di armi, di vesti, non esistono tuttavia che due generi di società umane». Agostino constata che all’interno della società umana esiste una societas di persone toccate da un’attrattiva di grazia non esigita1. Questa attrattiva, in quanto è e rimane gratuita attrattiva di grazia, non divide. Se questa attrattiva venisse gnosticamente, culturalmente concepita e posseduta, allora diventerebbe un principio che divide.


2.De civitate Dei V, 19
Che rapporto suggerisce Agostino tra l’esperienza comune a tutti e l’esperienza gratuita provocata da tale attrattiva, che rapporto tra i cittadini della città di Dio e gli uomini fratelli?
Permettetemi di leggere in latino la frase forse più bella, più attuale del De civitate Dei: «Quantumlibet autem laudetur atque praedicetur virtus quae sine vera pietate servit hominum gloriae / Per quanto sia lodata e per quanto sia esaltata la virtù che senza la vera pietas è utile alla gloria degli uomini / nequaquam sanctorum exiguis initiis comparanda est / non la si può nemmeno paragonare ai primi piccoli passi dei santi / quorum spes posita est in gratia et misericordia veri Dei / cioè di coloro la cui speranza è posta nella grazia e nella misericordia del vero Dio». Di coloro la cui speranza è posta nella grazia e nella misericordia di Dio, anche se non ne sono coscienti. Perché quando uno incontra l’avvenimento cristiano e gratuitamente ne rimane stupito e attratto può non sapere nemmeno che cosa sia la grazia e la misericordia. Così, evidentemente, il porre la speranza nella grazia e nella misericordia non nasce dall’uomo, ma dallo stupore dell’incontro (confronta il commento di Agostino al Salmo 41).
Proprio il fatto che si tratta di attrattiva di bellezza imparagonabile a un impegno e a una dedizione che nascono da noi, evita ogni superiorità e ogni pretesa nei confronti degli altri. Lo stupore della grazia è imparagonabile. Non è in dialettica. Non è contro. Non solo il cristiano non vive un atteggiamento di superiorità e di pretesa ma vive paradossalmente in uno stupefatto paragone, come chiedendo perdono agli uomini fratelli di una immeritata predilezione. Anche per questo, scrive Ratzinger, «l’idea di una cristianizzazione dello Stato e del mondo non appartiene decisamente ai punti programmatici di Agostino». Così, Agostino «assume [nei confronti del mondo] quel comportamento che era eredità cristiana delle origini».


3. De civitate Dei I, 35
Se l’esperienza destata dall’attrattiva della grazia è imparagonabile all’esperienza comune degli uomini (e, proprio in quanto imparagonabile, compie l’attesa naturale dell’uomo. Pensate per esempio a Leopardi e a Pavese2), i cittadini delle due città vivono però insieme in questo mondo. «Perplexae quippe sunt istae duae civitates in hoc saeculo invicemque permixtae / Infatti queste due città in questo mondo sono confuse e mischiate l’una con l’altra». La Chiesa non è una città fortificata di fronte, contro il mondo. La Chiesa per esempio non è l’Occidente cristiano3 di fronte, contro il mondo dell’Islam. La Chiesa, per usare un’immagine di Luigi Giussani nel libro L’attrattiva Gesù, vive come «un filo di tenerezza e di adesione» che può raggiungere ogni uomo. Così che accade un continuo passaggio tra le due città. Coloro che in questo momento sono considerati e possono essere lontani, incontrando quell’attrattiva, diventano cittadini della città di Dio, testimoni a loro stessi e agli altri dell’operare della grazia, possibilità di stupore e di consolazione per tutti (confronta la citazione del De civitate Dei XVIII, 51, 2, in Lumen gentium 8). Per questo il cristiano non fa crociate e non lancia sfide a nessuno. Come ha dato esempio Paolo VI, il Papa dell’Ecclesiam suam, riguardo alla costruzione della moschea a Roma. Ha ricordato recentemente al Meeting di Rimini il senatore Andreotti che non solo papa Montini non si è opposto, ma a chi gli faceva presente che avrebbe dovuto ottenere “la reciprocità” rispose che la Chiesa non si abbassava a tale livello.


Agostino e Adeodato ricevono 
il battesimo da Ambrogio

Agostino e Adeodato ricevono il battesimo da Ambrogio

4.De civitate Dei XV, 4
Come Agostino guarda agli ideali della città degli uomini, in particolare a quell’ideale di concorde unità tra tutti gli uomini nel vincolo della pace? Con quel realismo che ha trovato una sua espressione anche nella Gaudium et spes, per esempio nel paragrafo introduttivo alla «Parte prima» su La Chiesa e la vocazione dell’uomo. Quando il Concilio afferma da un lato che questi ideali, questi valori, in quanto procedono dal cuore dell’uomo creato da Dio, sono valde boni / molto buoni; dall’altro, ex corruptione humani cordis / per la corruzione del cuore umano, non raramente vengono distorti così che hanno bisogno di essere purificati (Gaudium et spes 11). Così Agostino scrive: «La città terrena, che non sarà eterna (perché nella dannazione non sarà città), / hic habet bonum suum / qui, in questo mondo, ha i suoi beni». Questi beni si possono ricondurre al piacere del corpo, alle virtù morali, al senso religioso. «Cuius societate laetatur / E partecipando a questi beni trae letizia».
Agostino, seguendo Paolo che parla ai pagani della letizia che il Creatore concede in abbondanza al cuore degli uomini (cfr. At 14, 17), non porta rancore (per usare l’espressione con cui Péguy descrive l’atteggiamento di tanti ecclesiastici), rispetta, anzi gli capita di commuoversi di fronte ai tentativi del cuore umano. Pensate all’ammirazione commossa di Agostino per quelle virtù che hanno reso grande Roma e che – dice – in qualche modo sono simili alle nostre (V, 17, 2).
Aggiunge però realisticamente «qualis esse de talibus laetitia rebus potest / per quanta contentezza tali cose possono dare». E così continua: «ma siccome questi beni non sono tali da togliere ogni dolore a coloro che li amano, spesso nella città terrena nasce la lotta per averne altri». Tutti gli ideali umani non offrono di fatto quella felicità per sempre che il cuore dell’uomo attende.


5. De civitate Dei XIX, 17
Avviandomi verso la conclusione, accenno all’aspetto che Agostino più evidenzia del rapporto tra la città di Dio in questo mondo e l’ideale umano di unità e di pace tra i popoli. Pace che, come la felicità, è desiderio di ogni uomo (XIX, 12, 1). Le due città non solo vivono insieme in questo mondo, ma usano degli stessi beni temporali e sono afflitte dagli stessi mali temporali (confronta l’inizio della Gaudium et spes). Scrive Agostino: «Ambae tamen temporalibus vel bonis pariter utuntur vel malis pariter affliguntur / Ambedue tuttavia ugualmente si servono dei beni temporali e ugualmente sono afflitte dai mali temporali / diversa fide, diversa spe, diverso amore / distinte solo da diversa fede, diversa speranza, diverso amore» (XVIII, 54, 2).
Le conseguenze di questa constatazione sono descritte con una sorprendente attualità nel brano che ora leggiamo. «Così anche la città terrena, che non vive della fede, desidera fortemente la pace terrena […]. La città celeste o piuttosto quella parte di essa che è pellegrina sulla terra e che, in questa condizione mortale, vive secondo la fede, necessariamente si serve anche di questa pace terrena finché non passi quella stessa condizione mortale, alla quale tale pace è necessaria. Perciò mentre conduce la sua vita come da esule nel pellegrinaggio presso la città terrena, avendo già ricevuto però la promessa della redenzione e il dono dello Spirito come pegno, non esita a obbedire alle leggi della città terrena, secondo le quali è regolato tutto ciò che serve per sostenere questa vita mortale, in modo che, essendo la stessa condizione mortale comune ad entrambe, per ciò che quella condizione riguarda, si conservi fra le due città la concordia […]. Dunque questa città celeste, finché è pellegrina sulla terra, chiama cittadini da tutte le nazioni, e raccoglie questa società pellegrina tra tutte le lingue, senza avere il problema / non curans / della diversità dei costumi, delle leggi, delle istituzioni con le quali si istituisce o si mantiene la pace terrena, senza abrogare o distruggere niente di esse, ma anzi accettando e seguendo tutto ciò che, sebbene diverso nelle diverse nazioni, tuttavia tende all’unico e medesimo fine della pace terrena, purché ciò non costituisca un ostacolo per la fede». Commenta Ratzinger: «La dottrina delle due civitates non mira né a ecclesializzare lo Stato né a statalizzare la Chiesa, ma, in mezzo agli ordinamenti di questo mondo, che rimangono e devono restare ordinamenti mondani, aspira a rendere presente la nuova forza della fede». Continua Agostino: «Anche la città celeste quindi usa, nel suo cammino, della pace terrena, protegge e desidera l’accordo delle volontà umane per le cose che riguardano la natura mortale degli uomini, per quanto è possibile far questo mantenendo salva la pietà e la fede; e inoltre riferisce la pace terrena alla pace celeste, la quale è propriamente l’unica vera pace che possa ritenersi e dirsi tale per una creatura ragionevole, cioè una società che ha il massimo dell’ordine e della concordia che nasce dal godere di Dio e nel godere reciprocamente in Dio».
Concludo riaccennando allo sguardo umanissimo di Agostino nei confronti degli ideali degli uomini. Agostino sta parlando degli storici di Roma e scrive che in molte occasioni sono stati portati a idealizzare la loro città / cum aliam veriorem, quo cives aeterni legendi sunt, non haberent / perché non avevano esperienza di un’altra città più bella dove essere cittadini per sempre (III, 17, 1). Così, con ironia piena di comprensione, che sorge dalla gratitudine per una grazia non dovuta, Agostino guarda i tentativi di impegno umano. Con la medesima ironia di Agostino, il cristiano di oggi guarda ai suoi propri tentativi di impegno nel mondo. «Tentativi ironici». Così li chiama Luigi Giussani in L’attrattiva Gesù, libro che descrive, in modo che non trova altrove l’equivalente, come oggi la stessa attrattiva che ha incontrato il cuore di Agostino incontra e accompagna il cuore e la vita dell’uomo moderno.


Note

(Le note sono costituite da risposte a domande degli universitari su singoli punti della Comunicazione)

1 Agostino non riconosce una distinzione reale, che incida realmente sulla vita, tra chi ammette e chi non ammette una credenza religiosa. Una delle cose più interessanti di Agostino è la dolorosa constatazione (che attraversa per esempio i libri VIII, IX e X del De civitate Dei in cui diffusamente tratta di Platone e dei suoi seguaci) che, di fatto, i filosofi platonici arrivano a «pensare che anche ai demoni devono essere riservati onori divini di riti e sacrifici» (De civitate Dei X, 1).
2 Nella loro poesia più volte si accenna a come il cuore dell’uomo attenda qualcosa che non conosce, qualcosa che è oltre ogni immaginazione. Se non fosse imparagonabile, non compirebbe l’attesa. Se fosse simile «saria, così conforme, assai men bella». Così Leopardi in Alla sua donna.
3 Penso al discorso di Pio XII nel Natale 1951, quando, in un momento acuto della guerra fredda, il Papa ha riaffermato che non si può identificare la Chiesa con la difesa della civiltà occidentale. Altrimenti si «lederebbe l’essenza stessa della Chiesa» anche se ciò avvenisse «per fini e interessi in sé legittimi».
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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