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Roma la Diocesi del Papa e gli incontri con i suoi Sacerdoti

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2016 23:10
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06/04/2013 18:48
 
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Intervista al cardinale vicario Agostino Vallini

Roma e Papa Francesco

 

di Mario Ponzi

Nel pomeriggio del 7 aprile - seconda domenica di Pasqua, dedicata alla Divina misericordia e detta anticamente in albis dal colore bianco della veste dei nuovi battezzati - il vescovo di Roma si insedia sulla sua cattedra in Laterano. E proprio il rapporto decisivo di Papa Francesco con la sua diocesi è stato al centro di un colloquio del cardinale vicario Agostino Vallini con chi scrive e con il direttore del nostro giornale alla vigilia di questo momento importante. Il porporato ha toccato molti argomenti: la maturazione della sensibilità diocesana soprattutto dopo il concilio Vaticano II, il significato della rinuncia al pontificato e l'eredità preziosa di Benedetto XVI, il "miracolo" del conclave, l'attrazione immediatamente suscitata dal nuovo vescovo di Roma tra la gente, il tempo della missione, l'impegno del clero nelle 347 parrocchie della diocesi, il fronte operoso della carità nel momento certo non facile vissuto da moltissime persone e famiglie nella città e nel Paese.

L'insediamento avviene domenica pomeriggio, ma Papa Francesco dal conclave è uscito sentendosi già pienamente vescovo di Roma, e ha voluto proprio lei al suo fianco quando si è presentato ai fedeli dalla Loggia della Benedizione. Che cosa è accaduto?

Il conclave è opera di Dio ed è stato un miracolo. Ne sono ancor più convinto dopo aver vissuto per la prima volta questa esperienza di grazia. Si crea un'atmosfera che rende questo momento unico e diverso da ogni altra vicenda umana. Si entra in conclave con la coscienza di una grande responsabilità, che è quella di contribuire a un'opera di discernimento, grande e complessa, per capire e chiedere al Signore l'ispirazione. E poi si prega, si prega tanto. Io per esempio, il giorno dell'elezione, tra una votazione e l'altra ho recitato tre volte il rosario. In Sistina non si parla né si tratta, si prega. Del resto a questo momento si arriva dopo giorni di riflessioni - otto questa volta - e il tema non è il Papa ma la Chiesa, con tutte le sue realtà, belle o meno belle che siano. E si tratta di una visione della Chiesa universale. In modo quasi speculare si cerca di capire chi potrebbe guidarla in quel preciso momento storico. Il clima spirituale nel quale si è svolto questo conclave è stato segnato da momenti molto particolari, dopo la rinuncia di Benedetto XVI. Dunque c'era bisogno dell'assistenza dello Spirito Santo. E a me pare che il Signore si sia manifestato. Anche attraverso l'entusiasmo dell'accoglienza popolare riservata al nuovo Pontefice: in questo senso, il sensus fidei che viene dal popolo è stata una conferma.

Cosa ha reso più visibile l'opera di Dio nell'elezione di Papa Francesco?

Rispondere a questa domanda implica alcune riflessioni profonde. Innanzitutto c'era da raccogliere un'eredità preziosa e ricchissima come quella di Benedetto XVI, con il peso delle motivazioni che hanno accompagnato la sua rinuncia. Quell'11 febbraio rimanemmo tutti sgomenti. Sconcerto e incredulità erano evidenti sui volti di ciascuno di noi. Si formarono immediatamente capannelli nei quali ci si chiedeva cosa mai fosse successo. Poi a poco a poco si diffuse quel sentimento di fede che ci accomuna, alimentata soprattutto dalla stima e dalla devozione che accompagnava e accompagna la relazione di ciascuno di noi con Benedetto XVI: se ha fatto questo, ci dicevamo, vuol dire che ha ritenuto di dover fare qualcosa di importante per la Chiesa. Quindi la rilettura di quella dichiarazione, la riflessione sul suo magistero, così ricco e forte, non poteva che far riflettere su chi sarebbe stato in grado di proseguire su questa linea e magari darle nuovo e maggiore vigore. Ed è così cominciato lo scambio di opinioni tra i cardinali. Poi nella Cappella Sistina è maturato l'ampio consenso verso Jorge Mario Bergoglio.

Quando il Papa l'ha chiamata?

Dopo l'elezione i cardinali sfilano davanti all'eletto per manifestargli obbedienza. In quel momento mi ha detto: "Lei è il cardinale vicario: accetta di starmi vicino?". Naturalmente gli ho risposto subito di sì. E pensavo fosse finita lì. Poi mi ha fatto chiamare di nuovo e mi ha detto: "Venga, stia vicino a me".

In poco più di mezzo secolo siamo passati dall'ultimo Papa romano al primo che viene dal nuovo mondo, fuori dal bacino mediterraneo, attraverso Pontefici che hanno dedicato grande attenzione alla diocesi di Roma.

L'emergere della coscienza diocesana del pontificato a Roma la si deve inizialmente a Giovanni XXIII, che trasferì a San Giovanni il Vicariato. Paolo VI accentuò questa coscienza non solo con la riforma del Vicariato stesso ma anche andando a celebrare nelle periferie, visitando parrocchie e comunità cittadine. E poi Giovanni Paolo II ha visitato quasi tutte le parrocchie. Ma non solo: ha avviato e portato a compimento la prima missione cittadina, in preparazione all'anno giubilare, e ha celebrato il Sinodo diocesano, del quale è rimasta come gemma sintetica una frase: "Chiesa di Roma, trova te stessa fuori di te stessa; parrocchia, trova te stessa fuori di te stessa". E Benedetto XVI ha proseguito su questa linea.

Come sarà il rapporto tra Papa Francesco e i romani?

Che il Pontefice si senta innanzitutto vescovo di Roma lo ha più volte detto e dimostrato. Per quanto riguarda i romani voglio raccontare un episodio recente. Il 23 marzo ero nella parrocchia del Santissimo Sacramento a Tor de' Schiavi, sulla via Prenestina. Alla fine della messa tanta gente mi ha raggiunto in sacrestia. Sono rimasto sorpreso dalla forza della loro richiesta: "Ci porti il Papa!". Ho cercato di far capire che era ancora presto. Di fronte alla loro insistenza ho chiesto perché e mi hanno risposto: "Non sappiamo, ma lo vogliamo tra noi. È un bisogno che sentiamo nel cuore". Ecco questa è la dimensione del rapporto che si è creato con il Papa.

Aveva detto la stessa cosa ai giovani di Casal del Marmo che gli chiedevano perché era andato.

Il Papa ne è rimasto stupito. Ero in macchina con lui proprio mentre si recava a Casal del Marmo. Già appena fuori Porta Sant'Anna c'era una folla straordinaria ad attenderlo. Poi lungo tutto il tragitto due file di folla hanno fatto ala al passaggio dell'auto. Tutta la via Trionfale era invasa da gente che applaudiva e voleva vedere il Papa, tanto che abbiamo dovuto tenere i finestrini sempre abbassati. E lui continuava a ripetere: "Incredibile, incredibile". Non c'è bisogno di tanti commenti: Roma già lo ama.

Il Papa vorrà un più stretto rapporto con i sacerdoti?

Sì, già me lo ha chiesto.

E avete preparato un calendario?

Non ne abbiamo avuto ancora il tempo. Però abbiamo concordato alcuni appuntamenti, come la visita alla parrocchia dei santi Elisabetta e Zaccaria il 26 maggio. Poi si vedrà.

Quando avete parlato di tutto questo?

Avevo chiesto di incontrarlo già qualche giorno dopo l'elezione. Mi ha chiamato subito. Era il 22 marzo. Ci siamo intrattenuti a lungo e l'ho informato della realtà della Chiesa di Roma, dello spirito di missione nelle 347 parrocchie della diocesi, del servizio dei sacerdoti.

A proposito di questo Papa Francesco nei giorni scorsi ha chiesto esplicitamente di tenere aperte le chiese.

È una conferma dell'impressione che ho maturato ascoltando le parole di Papa Francesco in questi primi giorni di pontificato. Ho sentito una forte spinta al nostro impegno pastorale per la città. Oggi, come diceva Giovanni Paolo II, non è più tempo di conservazione dell'esistente ma è tempo di missione. La grande sfida è quella della fede. Non è più possibile presupporla. Ogni generazione ha necessità di una riproposizione della fede. Oggi in una città come Roma, che non ha più un suo centro unificante, gli unici poli di aggregazione sono le parrocchie. E io mi sento di testimoniare il grande lavoro che vi viene svolto.

Papa Francesco ha raccomandato ai sacerdoti di uscire da se stessi e di andare nelle periferie, intendendo con queste le sofferenze degli ultimi, le povertà. I preti romani sono preparati?

Posso assicurare che tutti i sacerdoti che lavorano nelle parrocchie della diocesi sono pronti a fare un ulteriore sforzo di riflessione per cercare strade nuove e soprattutto un nuovo linguaggio per arrivare sino ai cosiddetti nativi digitali. Per quanto riguarda le periferie, poi, credo di poter testimoniare una delle più grandi gioie della Chiesa di Roma, cioè la sensibilità caritativa. Il Papa invita a uscire: i preti romani già lo fanno perché vanno incontro ai poveri, agli emarginati. Almeno dai tempi di don Di Liegro a Roma questa coscienza è forte. Qui ho scoperto la grande forza della Caritas, non solo quella diocesana con i suoi grandi progetti, ma direi proprio la forza della carità. Ed è un'attività della quale si fidano sia le istituzioni pubbliche sia i cittadini privati. Un piccolo segno di questa fiducia è nella scelta di destinare proprio alla Caritas diocesana le monetine che vengono lanciate da chi viene a Roma nella Fontana di Trevi. Le parole d'incoraggiamento del nostro vescovo dunque trovano sostegno nella risposta dei sacerdoti della sua diocesi. Insomma, ci siamo. E nel prossimo settembre Papa Francesco incontrerà i suoi preti all'inizio del nuovo anno diocesano.



(©L'Osservatore Romano 7 aprile 2013)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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