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Ma perchè il Matrimonio è un Sacramento ed è indissolubile?

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2017 22:01
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08/05/2013 11:01
 
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[SM=g1740758] La legge e la vita
 
«Quei contatti profondi tra sensibilità e intelletto che sono la caratteristica della nostra epoca...» disse qualcuno.
Questa specie di sondaggio della sensibilità (nel senso più esteso della parola) compiuto dall’intelletto ha avuto per risultato un approfondimento incontestabile delle nozioni psicologiche. Ma è una conquista che ha il suo prezzo. Il pensiero moderno centrato sull’esistenziale e sul soggettivo tende sempre più a disconoscere tutto quello che nella nostra natura e nel nostro destino non è riducibile all’esperienza vissuta e all’analisi psicologica.

Le leggi e le istituzioni, umane o divine, sono le prime vittime di questo atteggiamento mentale.

Si dimentica che hanno un’essenza e una dignità proprie, indipendentemente dalle persone che esse governano, e si giudica del loro valore, anzi della loro legittimità, unicamente in base agli effetti e alle risonanze che si possono riscontrare nella psiche e nell’esistenza degli individui. Ma se gli effetti sono invisibili; se l’auscultazione delle anime non permette di percepire le risonanze, l’istituzione si dissolve nel nulla... Applicato al matrimonio sacramentale, un metodo siffatto suscita il ragionamento seguente: «Quello che Dio ha unito... Questo sacramento è grande... ».
L’essenza ideale del matrimonio è espressa in queste parole; ma nell’esistenza reale che rimane?
Dove sono gli effetti di un sì grande sacramento nell’anima di quegli innumerevoli sposi uniti soltanto dall’istinto, dall’interesse e dall’abitudine, che vanno al matrimonio e non né escono più come la ruota resta fedele al solco in cui affonda?

Conclusione: ove non c’è amore intimamente vissuto non c’è matrimonio. Nietzsche, da quel grande esistenzialista che fu, riassunse questa concezione del matrimonio in un aforisma alquanto drastico: «Dicono che le loro unioni sono state suggellate in cielo. Ma io non voglio saperne di quel Dio dei superflui che viene zoppicando a benedire quello che non ha unito».

Quello che non ha unito... La parola va lontano soltanto in apparenza: essa non oltrepassa l’uomo e i suoi brividi soggettivi. Quello che Dio non ha unito sul piano dell’esperienza individuale può averlo unito su un altro piano. Ogni istituzione che miri immediatamente all’esistenza delle persone e alla salvaguardia del loro orientamento ultimo, quali per l’appunto ii vincolo comunitario tra i coniugi ed i fedeli, è trascendente alle persone o almeno s’identifica con la loro trascendenza.

Il pensiero di S. Tomaso su quest’argomento esclude ogni scappatoia.
Alla domanda se un matrimonio concluso per un motivo «disonesto» (per es. il desiderio puramente carnale o l’interesse materiale) costituisca un vero matrimonio, egli risponde che una tale unione è del tutto valida, sebbene il contraente sia in stato di peccato.
E a chi gli obbietta che il matrimonio, essendo un bene in sè e i’immagine terrestre dell’unione di Cristo e della Chiesa, non potrebbe legittimamente procedere da una causa impura, egli risponde che una cosa è il matrimonio e altra è l’intenzione dei contraenti...
(Sum. Theol. suppl. 48, 2).

Non è possibile distinguere più nettamente l’istituzione dalle disposizioni soggettive dell’individuo. Nell’edificio sociale gli individui sono le pietre e le istituzioni il cemento. Ai nostri giorni molte sono le pietre che si lamentano d’essere legate nei cemento senza risentirne gli effetti dentro di sè, sentendosi anzi sole nell’edificio; ma non per questo il cemento cessa di esistere e di perseguire i suoi fini. Se poi ogni singola pietra, ribellandosi a quel cemento inumano che unisce l’una all’altra senza impregnarle, rivendica la sua libertà personale, il risultato più evidente di quest’appello ai «diritti deil’individuo è il crollo dell’edificio» (ib.) (3).
Allora voi confessate, ritorcerà trionfalmente l’avversario, che il matrimonio sacramentale non ha senso che come inquadramento sociale e religioso e che esso rimane, per la sua stessa natura, estraneo all’amore. Perchè dunque non andare sino alla fine del vostro pensiero e non riconoscere con i trovatori che matrimonio e amore si escludono reciprocamente, perchè il primo implica l’obbligo e la costrizione, mentre il secondo è per sua essenza spontaneo e gratuito?

Prima di entrate nel vivo del dibattito esaminiamo un poco quello che si nasconde troppo spesso sotto il bel nome di amore.
Si grida allo scandalo perchè la Chiesa si accontenta del semplice consenso volontario, anche se dettato dai motivi più bassi, per incatenare per sempre due esseri l’uno all’altro. A noi invece questa condotta appare assai saggia; e le acquisizioni della moderna psicologia (esplorazione dell’inconscio, critica degli ideali e smascheramento della menzogna interiore, ecc.) la giustificano pienamente. Ma a parte il fatto che la Chiesa non può ingolfarsi nel mare mobile delle disposizioni soggettive e delle cause accidentali per definire la validità di una istituzione fissa e universale, bisognerebbe sapere se è sempre dalla parte dell’«amore» che sta il più alto coefficiente di realtà.
L’amore autentico è raro, mentre sono numerose le sue caricature. Già La Rochefoucauld diceva che «l’amore presta il suo nome a un’infinità di commerci in cui non ha parte più di quanta ne abbia il Doge in ciò che si fa a Venezia». La sincerità non significa gran cosa in questo campo; troppo spesso essa non è che l’arte di mentire spontaneamente a se stesso. Quanti uomini credono d’amare, ma il loro amore è soltanto ardore carnale, esaltazione illusoria e avara bramosia di conquista e di dominio! Un amore di tal genere non è forse ancor più irreale di un’istituzione? La passione è forse meno illusoria della legge, per il fatto d’essere un poco più calda e più inebriante?
E qui vorrei fare appello a tutti coloro che non hanno mai opposto barriera alla loro libertà d’amore: la cenere che i fuochi di paglia delle antiche passioni hanno deposto nel fondo della loro anima basterà a dimostrare loro il nulla dell’amore affrancato da ogni legge. Apparenza per apparenza, la norma che assicura la continuità della specie umana e l’equilibrio della società vale almeno quanto la passione che assicura soltanto la felicità egoista ed effimera dell’individuo. D’altra parte, quanto sopra vale unicamente a confutare gli argomenti dell’avversario; perchè non è vero che la legge sia soltanto apparenza, nè che sia contraria all’amore.

Tutto quello che possiamo concedere ai nostri avversari è che il sacramento del matrimonio non conferisce l’amore. Come il sacramento della penitenza rende la contrizione efficace ma non la sostituisce, così il sacramento del matrimonio corona e completa il consenso coniugale, ma non lo sostituisce in tutti i suoi elementi.

È lo stesso, d’altra parte, per tutte le forme del soprannaturale: Gratia supponit et perfecit naturam. Non basta presentarsi all’altare per trovarvi il consenso reciproco e ancor meno l’amore: la natura non ha bisogno per questo che di se stessa, e la grazia che appartiene a un altro ordine opera su un piano diverso. Diciamo piuttosto che è dovere di ciascun coniuge l’esaminarsi e il decidere in se stesso se ama abbastanza per presentarsi all’altare. Ma ciò posto, l’indissolubilità del matrimonio anzichè opporsi all’amore agisce piuttosto in suo favore. Prima del matrimonio, anzitutto. Sapendo che l’impegno che sta per contrarre è irrevocabile, l’individuo è indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle. Come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte attingono a questa «idea-forza» una garanzia preliminare contro tutti gil eventi del destino che minacceranno il loro amore. Per contro, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. Si è constatato che in talune circostanze, particolarmente nell’ora delle grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perchè essa divenga necessaria. Questo dato psicologico elementare basta d’altronde a liquidare ii mito del «matrimonio di prova» proposto da taluni riformatori dell'istituto matrimoniale, più intenti a inventare paradossi che a fondarli su motivi validi.E in seguito dopo il matrimonio.
Il patto nuziale, situando una volta per sempre la sostanza dell’amore al di là delle contingenze, contribuisce necessariamente a decantare, a purificare l’amore; così come una diga non solo contiene il corso del fiume, ma rende le sue acque più limpide e più profonde. La necessità di subire e di superare la prova del tempo agisce sull’affetto degli sposi come vaglio che separa la pula dal chicco del frumento; essa lo spoglia a poco a poco dei suoi elementi accidentali e illusori e ne conserva solo il nocciolo incorruttibile, trasformando la passione in vero amore. Ma se all’inizio non v’è amore? insisterà l’avversario. Ripetiamo che il dovere di fedeltà, pur non mutando per nulla l’intima qualità di quel delicato frutto che è l’amore, scongiura ii pericolo delle dispersioni e della rottura del vincolo, e crea il terreno adatto a portarlo a una felice maturità.

Perchè l’amore non ci vien dato o rifiutato come un capitale immutabile; al pari di tutte le cose viventi esso è sottoposto a un’evoluzione che comporta prove, crisi e malattie. Minacciato all’interno dall’abitudine e all’esterno dalle lusinghe del cambiamento, esso può, secondo il modo con cui resiste a tali prove, uscirne più forte o morire. «Tutto quello che non mi fa morire mi rende più forte» diceva Nietzsche.
E la Chiesa, imponendo all’amore l’obbligo di non morire, contribuisce per l’appunto a trasformare in fasi purificatrici quelle crisi e quelle malattie che in un clima più molle e apparentemente più umano condurrebbero alla morte.
Il principio dell’indissolubilità del matrimonio mette il tempo, pietra di paragone del concreto, al servizio dell’amore. Ciò nondimeno vi sono unioni che rappresentano un fallimento totale e irrimediabile sul piano dell’amore.

Abbiamo conosciuto tutti degli sposi che per un’assoluta incompatibilità di sentimenti non riescono nè riusciranno mai a introdurre il più sottile filo di comprensione e di tenerezza nella catena inesorabile che li lega fino al trapasso. Siamo dunque costretti a confessare che in casi simili l’indissolubilità del matrimonio appare come una istituzione inumana. Perchè quei disgraziati sono costretti a trascinare per tutta la vita le conseguenze di un errore passeggero e spesso involontario? Perchè l’atto più assurdo del loro passato deve sembrar loro per sempre la via dell’avvenire?

La risposta è complessa e comporta diversi punti.
Può accadere innanzi tutto che queste deprecabili unioni comportino motivi validi di nullità (pazzia di uno dei coniugi, difetto di consenso, ecc.). In questi casi il problema è risolto. Ma se tali unioni psicologicamente catastrofiche adempiono alle condizioni formali di un autentico matrimonio, la risposta è chiara quanto crudele: la Chiesa domanda a questi «male amati» e male uniti una rinuncia assoluta sul piano dell’amore e della felicità umana.

A che cosa ii sacrifica? Semplicemente al bene comune che, quando la conciliazione è impossibile, dev’essere sempre preferito al bene dell’individuo. Il principio del matrimonio indissolubile è come una porta presa d’assalto dalla tempesta delle passioni e degli interessi personali: proviamo a socchiuderla, e l’uragano la scardinerà e irromperà all’interno. Le vittime del matrimonio meritano tutta la compassione possibile, ma non che si facciano delle eccezioni in loro favore; perchè di eccezione in eccezione (tutte le situazioni umane non sono forse eccezionali, vale a dire uniche e irriducibili?) si distrugge la regola che è la trave maestra dell’ediflcio sociale.

D’altro canto, la necessità di un sacrificio individuale in vista del bene generale non è solo peculiare del matrimonio: altre istituzioni, altre realtà sociali impongono agli individui la medesima rinuncia. Se si reputa scandaloso che due sposi disamorati immolino la loro felicità personale all’istituto universale che protegge la felicità degli altri, che si dirà del soldato che la Patria invita a morire per la salvezza di quel bene nazionale a cui egli non parteciperà più?
Contraddizioni simili fanno parte del destino dell’uomo, e bisognò arrivare alla nostra epoca di morbosa iperestesia dell’io e di ugualitarismo grossolano, che considera la felicità dell’ individuo un diritto «assoluto», per trovarvi materia di indignazione e di scandalo. E d’altra parte, sono forse esclusi definitivamente dal festino dell’amore e della gioia quegli sposi sfortunati? La stessa barriera che interdice loro la felicità umana li invita pure a cercare più in alto una felicità più pura.

Quando una strada terrestre è chiusa nell’una e nell’altra direzione rimane una sola via d’uscita; il cielo.
Vi furon tempi in cui le semplici istituzioni umane erano sufficienti a suscitare l’entusiasmo e la fedeltà: si poteva, ad esempio, servire sino alla morte un Principe che non si amava per pura fedeltà all’istituto monarchico; più che la persona, si vedeva in lui il rappresentante di una tradizione tutelare, l’anello di una catena che univa il passato all’avvenire.
Ma se la monarchia non si esaurisce nella persona del Principe, a maggior ragione il vincolo coniugale non si esaurisce nella persona degli sposi; come istituzione umana esso ricollega le generazioni passate a quelle future e come sacramento si conclude nell’eternità.Quello che Dio ha unito: nei casi estremi è sulla parola Dio che dobbiamo mettere l’accento e cercare in cielo quell’unione che in terra non ci fu concessa. Oltre la persona del coniuge che non possiamo amare rimane la persona di Dio che è amore; e ciò che fallisce nel tempo può sempre fiorire nell’eternità.

Per ciò che riguarda l’accusa di ipocrisia, che si suol pronunciare contro quegli sposi che rimangono uniti senza amore e la cui virtù si limita a «salvare le apparenze», faremo una duplice messa a punto.

Innanzi tutto le apparenze hanno il loro valore: da una parte esse costituiscono l’armatura della società, e dall’altra assicurano, press’a poco nella stessa guisa della carta-moneta, la continuità e l’armonia delle relazioni esteriori tra gli uomini. Pascal, ben più saggio degli attuali apostoli della sincerità ad ogni costo, aveva già osservato che senza il rispetto di quelle che sono le convenzioni e le «regole del giuoco» nessuna vita sociale sarebbe possibile.
In secondo luogo, converrebbe definire chiaramente quello che si intende dire con le parole ipocrisia e sincerità. Essere sinceri significa manifestare all’esterno ciò che abbiamo dentro di noi. E sta bene. Ma allora, dovunque esista dualismo e conflitto, dovunque l’uomo sia chiamato a scegliere tra un desiderio e un dovere vi è, in un certo senso, ipocrisia.

Tacceremo di insincerità ii viaggiatore assetato che, passando sotto l’albero altrui, si astiene per onestà dal cogliere il frutto che la sua sete reclama? Oppure il soldato che va all’assalto quando desidererebbe con tutte le sue forze fuggire e vivere? Lo stesso si dica degli sposi senza amore che rimangono fedeli ai doveri del matrimonio. Se tutto ciò che rappresenta una vittoria su se stessi è ipocrisia, che cos’è allora la sincerità? Forse che per essere d’accordo con se stessi bisognerà seguire ogni impulso e tradurre in atto ogni desiderio?
Ma l’incostanza e il tradimento che derivano necessariamente da questo principio sono anch’essi menzogne, e altrettanto profonde e infinitamente più deleterie della fedeltà formale. Finchè l’uomo non avrà raggiunto una perfetta unità interiore, sarà condannato all’ipocrisia nel senso etimologico della parola (ipo = al di sotto), cioè a dissimulare, a respingere nella oscurità e nel silenzio una parte di sé. Solo il bruto e il santo ignorano il conflitto interiore e impegnano interamente se stessi nell’azione, sottraendosi così alla ipocrisia: l’uno con la materialità perchè non è che istinto; l’altro con la spiritualità perchè non è che amore.

Riassumendo, l’indissolubilità del matrimonio presenta più vantaggi che inconvenienti, qualunque sia il punto di vista dal quale la si esamina. Dove l’unione è psicologicamente concreta, cioè fondata sull’amore, essa protegge e approfondisce l’amore. Dove l’unione è psicologicamente irreale, cioè priva di amore, essa salva almeno la realtà sociale del matrimonio. In tal modo, se non può sempre realizzare il meglio, essa evita almeno il peggio.


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/04/perche-il-matrimonio-e-indissolubile.html#ixzz2SgoYpcq4

[SM=g1740771]  continua..........


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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