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DOCUMENTO PREPARATORIO III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Ultimo Aggiornamento: 08/10/2014 23:30
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20/09/2014 16:35
 
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CITTA' DEL VATICANO - Fra i cinque cardinali firmatari del libro "Permanere nella verità di Cristo" dove si dichiara inammissibile la proposta del cardinale Walter Kasper di aprire in certi casi alla comunione ai divorziati risposati, c'è Velasio De Paolis, canonista, e presidente emerito della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede.

Eminenza, il vostro libro esce in Italia per Cantagalli il primo ottobre, dunque quattro giorni prima dell'apertura del Sinodo nel quale il Papa auspica un confronto franco sui temi della famiglia. Perché questa operazione?

"Non c'è stata nessuna operazione. Semplicemente abbiamo voluto contribuire al confronto esprimendo il nostro parere".

Non potevate prima lasciar lavorare il Sinodo?

"La casa editrice ha chiesto la disponibilità a che degli interventi precedentemente scritti e pronunciati venissero pubblicati e, per quel che mi riguarda, ho acconsentito senza che vi sia nulla di più del desiderio di offrire un contributo al dialogo successivo. Ho letto che c'è chi addirittura ipotizza un'operazione voluta, un complotto. Non c'è nessun complotto. Solo la volontà di esprimere una posizione. Il mio testo poi, l'ho scritto e reso pubblico già mesi fa".

La sua posizione circa la possibilità di concedere l'eucaristia ai divorziati risposati non ammette aperture. Perché?

"In gioco c'è la legge divina, l'indissolubilità del matrimonio. Una legge proclamata solennemente da Gesù e confermata più volte dalla Chiesa, al punto che la norma che afferma che il matrimonio rato e consumato tra battezzati non può essere sciolto da nessuna autorità umana ma viene sciolto solo dalla morte, è dottrina di fede della Chiesa".

Ma se il Sinodo decidesse di arrivare a una nuova soluzione pastorale lei cosa farebbe?

"Io obbedirei alla decisione presa. Non avrei nessun problema al riguardo. Però, nello stesso tempo, voglio avere la libertà di dire come la penso senza essere accusato di essere complottista".

Ieri Francesco ha tenuto un discorso importante. Incontrando in Vaticano i partecipanti al meeting internazionale "Il progetto pastorale di Evangelii gaudium" organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha detto: "La Chiesa mi sembra un ospedale da campo, tanta gente ferita che chiede a noi vicinanza. Chiedono a noi quello che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità, e con questo atteggiamento degli scribi, dei dottori della legge e dei farisei mai, mai faremo una testimonianza di vicinanza"

"Ha ragione. Occorre prossimità e anche misericordia. Ma il mio no all'eucaristia ai divorziati risposati nasce dalla volontà di dare un contributo come canonista. Se dobbiamo parlarne è utile sapere ciò che la Chiesa fino a oggi ha sostenuto. Fra l'altro, fu già Benedetto XVI a chiedere di lavorare in merito. E già tempo fa espressi una mia opinione ma allora nessuno disse nulla".

Pensa che il Sinodo arriverà su questo tema a nuove soluzioni?

"Non sono un profeta. In coscienza mi auguro che la dottrina non venga stravolta. Vedremo comunque cosa succederà nel confronto fraterno e sereno".

A onor del vero Kasper chiede un cambiamento della prassi, non della dottrina.

"Ma la prassi è fondata sulla dottrina. Non si può cambiare una prassi se questo cambiamento contraddice la dottrina. Spesso ci si appella alla pastoralità in opposizione alla dottrina, che sarebbe astratta e poco aderente alla vita concreta. È una visione errata della pastorale, dal momento che una pastorale in contrasto con la verità creduta e vissuta dalla Chiesa si trasformerebbe facilmente in arbitrarietà nociva alla stessa vita cristiana. Francesco chiede confronto e, anche pubblicamente, mi sono sentito di offrire il mio pensiero".

Il Sinodo ha una procedura nuova. Cosa pensa?

"È una buona modalità seppure implica un grosso impegno per far sì che tutto avvenga senza confusione ma con rigore. Senz'altro tutto procederà nel modo migliore. Tutti noi dobbiamo aiutare in questo senso". 




 





LO RIPETIAMO PER TUTTI   Non è possibile che il Sinodo possa ignorare questa AFFERMAZIONE DOTTRINALE, PONTIFICIA E MAGISTERIALE della Chiesa..... se ciò accadesse, sarebbe lo scisma... chi seguirà il cardinale Kasper farà lo scisma... 

ECCO L'INSEGNAMENTO UFFICIALE DELLA CHIESA:

"Una questione particolarmente dolorosa, come sappiamo, è quella dei divorziati risposati. La Chiesa, che non può opporsi alla volontà di Cristo, conserva con fedeltà il principio dell’indissolubilità del matrimonio, pur circondando del più grande affetto gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non giungono a rispettarlo. Non si possono dunque ammettere le iniziative che mirano a benedire le unioni illegittime. L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha indicato il cammino aperto da un pensiero rispettoso della verità e della carità..."

(Benedetto XVI alla Conferenza Episcopale Francese)



 


GRAVI PRESSIONI, INVECE, INCOMBONO SUL SINODO E SULLA CHIESA..... SE VINCESSE QUESTA LINEA SARA' LO SCISMA....

C'è chi lavora per un Sinodo gay-friendly
LABUSSOLAQUOTIDIANA - di Tommaso Scandroglio30-09-2014

Croce arcobaleno

Venerdì 3 ottobre a Roma, in vista del prossimo Sinodo per la famiglia, avrà luogo la conferenza internazionale “Le strade dell’Amore, per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali". L’obiettivo che persegue questo meeting è quello di elaborare «un documento di contributi e proposte al Sinodo per la nuova pastorale che sarà elaborata a partire dal Sinodo». Un pressing psicologico sui padri sinodali dunque. 

Nell’Appello che spiega il contenuto e le finalità di questa conferenza possiamo leggere: «I cristiani omosessuali italiani stanno effettuando una rivoluzione copernicana: passare dalla condizione di attesa, quella in cui si rimane ai margini, nascosti, sperando che qualcosa accada, che qualcuno faccia qualcosa per cambiare la tua condizione di sofferenza, a quella di abbracciare una visione della speranza che si fa azione, che ti porta a non volerti nascondere più, ad assumere consapevolezza che la propria esistenza è bella, degna e piena come quelle di ogni altra persona e che, quindi, può diventare spunto, materia per interrogare le comunità tutte perché dal Sinodo stesso esca una nuova pastorale, elaborata anche ‘con’ le persone omosessuali e transessuali».  

L’Appello poi prosegue citando ovviamente la famigerata frase del Papa di ritorno dal Brasile: «La domanda che si è rivolto spontaneamente papa Francesco ‘chi sono io per giudicare un gay?’ è stata un balsamo per molte persone, ed ha in sé la forza progettuale per poter diventare ora un cambiamento concreto, perché la sospensione di giudizio di per sé non è sufficiente. Deve evolvere in crescita delle comunità cristiane nella loro capacità concreta di accogliere, incoraggiare, rispettare le persone omosessuali e transessuali nel loro desiderio di una vita piena, come tutte le persone che ancora oggi si trovano emarginate ed escluse». 

Questi due stralci hanno un contenuto obliquo perché dicono e non dicono. Da una parte è proprio della pastorale insegnata dal Magistero l’atteggiamento del cristiano, richiamato anche in questo documento, volto ad accogliere le persone omosessuali e a rispettarne la dignità. Su altro fronte però pare che «la sospensione del giudizio» non debba riguardare unicamente la responsabilità soggettiva – che in ultima istanza riguarda solo Dio (ma in parte anche gli uomini: vedi confessione) – bensì proprio le condotte e la condizione omosessuale sulle quali invece il Magistero ha già da tempo espresso un giudizio e un giudizio di condanna. Pare quindi che il documento di questa conferenza inviti il Sinodo ad accogliere non solo la persona omosessuale, ma anche la sua omosessualità.

I relatori della conferenza saranno: Geoffrey Robinson, vescovo emerito dell’arcidiocesi cattolica di Sidney - Australia; James Alison, teologo e sacerdote cattolico inglese; Antonietta Potente, teologa e suora domenicana; Letizia Tommasone, pastora e teologa Valdese e Joseanne Peregrin, Presidente della Christian Life Community di Malta. 

Invece tra i partecipanti segnaliamo la presenza della delegazione de la Pastorale de la Diversidad sessuale CVX de Chile (PADIS+), una iniziativa nata all'interno della Comunità ignaziana di Vita Cristiana (CVX) di Santiago del Cile. In un comunicato rivolto ai padri sinodali questa delegazione ci informa che «in accordo col Magistero e la dottrina cattolica, la Chiesa ci propone di vivere la nostra sessualità nella castità, e di riconoscere e accettare che tutti e tutte ci sentiamo chiamati a scegliere una vita celibe, a causa di una condizione innata che avvertiamo come immutabile, ma che per noi non è una scelta. Le nostre vocazioni e chiamate sono molteplici e varie. Non tutti siamo chiamati alla stessa meta. La castità necessita del nostro consenso e della nostra libertà. Così come è formulato, l’insegnamento della Chiesa riguardo a questi temi non offre nessuna alternativa oltre a questa, escludendo altri percorsi e strade di possibile vocazione personale e comunitaria».  In breve: la castità va bene solo se accettata, altrimenti è una forzatura e dunque non sarebbe una scelta ma una imposizione. L’ultima parola sulla condizione omosessuale non tocca a Santa Romana Chiesa, depositaria non della Verità ma unicamente di meri consigli pratici, bensì solo alla persona omosessuale. 

Castità no dunque ed invece sì alla “famiglia” omo: «La famiglia sembra un orizzonte possibile, che molti e molte già vivono nelle loro relazioni di coppia o insieme a quelli che considerano essere la loro famiglia». Tradotto: se una realtà è già esistente significa che è buona. Se molti omosessuali vivono assieme ed hanno figli questa è già famiglia e le alte sfere della gerarchia cattolica non possono che registrare e benedire questo fenomeno.

In merito poi all’incompatibilità tra vita religiosa e condizione omosessuale il comunicato così si esprime: «Abbiamo l’impressione che l’invisibilità della sessualità nella vita religiosa, la segretezza di fronte all’omosessualità presente in essa e la lassitudine che abbiamo visto e sentito, ci sfida a voler ancora collaborare affinché molte persone non debbano sperimentare l’incompatibilità della propria omosessualità con la vita religiosa». L’omosessualità non sarebbe un inciampo ad una vita votata completamente a Cristo ma anzi una condizione che facilita un’esistenza incardinata sulla povertà, sull’obbedienza e soprattutto sulla castità.

Tra le molte riflessioni che si potrebbero fare, forse la più immediata è la seguente: appare molto curiosa l’espressione “cristiani omosessuali” usata in questi documenti. Come se i cristiani fossero eterosessuali e omosessuali. Se accettiamo questo distinguo allora dovremmo accettare un’infinità di altre categorie: i cristiani adulteri e quelli fedeli, quelli ladri e gli onesti, etc. Ed invece omosessualità, infedeltà e furto sono incompatibili con l’aggettivo “cristiano”. L’idea che soggiace in questi elaborati è infine quella solita: l’omosessualità è una condizione o caratteristica naturale della persona, dunque di segno positivo, come essere intelligenti o coraggiosi. Se quindi l’omosessualità è una qualità buona del credente deve essere favorita ed incoraggiata perché utile nel cammino di fede. 

Il salto è evidente: si chiede al Sinodo non più di tollerare l’omosessualità – perché si tollera solo ciò che è male – ma di promuoverla perché uno dei volti eticamente accettabili dell’uomo. E se l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, tra poco ci sarà qualche teologo che si spingerà a dire che anche Dio è omosessuale. Fanta-teologia? Vedremo.




IL MONACO ORTODOSSO: «CATTOLICI, SU DIVORZIATI E RISPOSATI STATE ALLA LARGA DALLA PRATICA ORTODOSSA»

 
 
Questa è la testimonianza lasciata sul blog di padre John Zhulsdorf da un suo lettore speciale:
 
«Sono un monaco della Chiesa ortodossa, sulla via della conversione al cattolicesimo. Ho deciso percorrere questa strada per numerosi motivi, quasi tutti di tipo dottrinale. Benché la mia presa di consapevolezza della verità del cattolicesimo sia stata un processo graduale, ci sono state comunque cose che subito mi hanno fatto capire che il cattolicesimo era da prendere sul serio.
 
Avendo letto i Padri della Chiesa e ciò che hanno scritto su come discernere una vocazione matrimoniale da una alla vita religiosa, mi era chiaro che gli stessi Padri avevano una idea ben definita del matrimonio e della sessualità; questa lucidità li spingeva a raccomandare la vita celibataria a tutti coloro che potevano abbracciarla e a insistere sul fatto che se un cristiano voleva tenere un piede nel mondo, la sua sessualità doveva essere indirizzata esclusivamente al matrimonio e a un matrimonio con un fine preciso: l’educazione della prole, dono di Dio, in una unità che è alla base della società e riflette l’indissolubile legame tra Cristo e la Chiesa.

Nella loro visione del matrimonio e della sessualità, due cose erano certe e ineludibili: la prima, la contraccezione è inconcepibile in un matrimonio cristiano, dal momento che è un bene in sé, benché inferiore a quello della vita religiosa, il cui senso è la generazione e l’educazione dei figli nella fede. La seconda cosa, il matrimonio è di necessità permanente, deve durare fintanto che gli sposi vivono, sia per i doveri e gli obblighi dettati dalla legge naturale, sia per il suo carattere sacramentale. Gli ortodossi possono provare a vantarsi della loro maggiore fedeltà alla tradizione apostolica in certi usi e costumi (antichi calendari, digiuni, periodi in cui pregare in piedi o inginocchiati, ecc.), ma ad un certo punto ho capito che si sono allontanati dalla dottrina cristiana originaria sul matrimonio e la sessualità.

È una questione di dottrina, non solo di prassi, il che dovrebbe far riflettere molti ortodossi come ha fatto riflettere me.
Mi sono detto: “Se il cattolicesimo è falso e l’ortodossia è vera, come mai il cattolicesimo insegna ancora la verità su matrimonio e contraccezione mentre noi l’abbiamo abbandonata?”. Le disquisizioni dottrinali sul Filioque e l’infallibilità papale possono andare avanti all’infinito; non così per il cristallino insegnamento patristico e apostolico (cioè scritturistico), secondo cui il matrimonio è per sempre ed esclude la contraccezione (cosa che non può essere messa in dubbio da persone intellettualmente oneste).
Penso quindi che sarebbe una tragedia se anche solo il cattolicesimo flirtasse con l’idea ortodossa di “oikonomia”, quando la sua fedeltà dottrinale è stata per me una prova chiara della sua rivendicazione di essere la vera Chiesa.

Da uno che è stato nella Chiesa ortodossa, lasciate che vi dica una cosa: di questo concetto di “oikonomia” si è abusato per giustificare qualsiasi violazione della disciplina canonica.

E’qualcosa che il cattolicesimo dovrebbe evitare a tutti i costi. Il termine “oikonomia” significa “buona gestione della casa”. Ciò vuol dire che della “oikonomia” può far parte sia la severità quanto l’essere indulgenti. Il modo appropriato di fare “economia” si trova nella parola latina “dispensatio” – così fu tradotta la parola greca – ovvero soppesare, dosare, compensare. L’idea è che con una “dispensa” si può cercare di ottenere lo stesso bene che si dovrebbe ottenere con la legge, valutando tutte la variabili di una determinata circostanza. Non si tratta di abrogare la legge, ma di raggiungere lo scopo della legge con altri mezzi.
Alle volte questo può risultare in un allentamento della disciplina, quando le circostanze indicano che l’applicazione dura e pura della legge può causare un danno. Ovviamente però, questo cercare di raggiungere il bene, lo stesso bene che si deve raggiungere con la legge, scegliendo un approccio differente dopo un’adeguata valutazione di tutti i fattori in campo, non può arrivare a violare la verità o a corrompere la morale, dal momento che ciò non è lo scopo della legge! Sarebbe il suo contrario.
 
Cattolici! Ascoltate un ex monaco ortodosso: fuggite questa “economia” spuria che si fa gioco dell’autentico significato del termine! La teologia degli ortodossi è diventata così distorta che giudicano sempre invalidi i sacramenti non-ortodossi, ma ammettono la possibilità che possano diventare validi “per oikonomia”.

Ma come può un principio che dovrebbe permettere giudizi prudenti nell’applicazione del diritto canonico, rendere dei sacramenti validi o invalidi retroattivamente? Dove sta il “bene” in un tale confuso concetto di “oikonomia”?
Ho conosciuto un prete ortodosso, sposato, psichiatra. Ha avuto una relazione con una delle sue pazienti, cosa che anche il mondo secolare giudica un crimine, meritevole della radiazione dalla professione.
Tuttavia il suo vescovo gli ha permesso di divorziare dalla moglie, di “risposarsi” con la sua paziente e di tornare al servizio sacerdotale: tutto in nome della “oikonomia”. Ma io dico: misericordia un cavolo!

Qual è stata la misericordia per la moglie del prete? E per i suoi figli? E per la comunità che avrebbe fatto volentieri a meno di avere come parroco un bugiardo, fornicatore e adultero? E per le altre donne che possono diventare sue vittime, ora che costui sa che non ci sono conseguenze per le sue azioni?
A tutto ciò porta inevitabilmente una tale idea di “oikonomia”, riguardo alla quale dico: anathema sit! Gli ortodossi dovrebbero vergognarsi di tollerare una tale ipocrisia e un tale tradimento della fede. I cattolici dovrebbero essere orgogliosi di non avere nulla del genere. È una delle ragioni per cui ho preso il cattolicesimo seriamente in considerazione e sono arrivato a credere che rappresenti la vera fede.
 
 
Pater Augustinus»






[Modificato da Caterina63 02/10/2014 12:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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