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Omelie del Papa nella Messa delle 7 del mattino a Santa Marta (4)

Ultimo Aggiornamento: 10/12/2015 12:35
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13/04/2015 13:10
 
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Francesco: Chiesa abbia il coraggio di parlare con franchezza

Il Papa celebra la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

13/04/2015 

Il cammino della Chiesa è quello della “franchezza”, “dire le cose, con libertà”. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che, come sperimentarono gli Apostoli dopo la Risurrezione di Gesù, solo lo Spirito Santo è capace di cambiare il nostro atteggiamento, la storia della nostra vita e darci coraggio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, partendo da questa affermazione di Pietro e Giovanni, tratta dagli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura.

Parlare con franchezza, senza timore
Il Pontefice rammenta che Pietro e Giovanni, dopo aver compiuto un miracolo, erano stati messi in carcere e minacciati dai sacerdoti di non parlare più in nome di Gesù, ma loro vanno avanti e quando tornano dai fratelli li incoraggiano a proclamare la Parola di Dio “con franchezza”. E, chiedono al Signore di volgere “lo sguardo alle loro minacce” e concedere “ai suoi servi”, “non di fuggire”, “di proclamare con tutta franchezza” la Sua Parola:

“Anche oggi il messaggio della Chiesa è il messaggio del cammino della franchezza, del cammino del coraggio cristiano. Questi due, semplici – come dice la Bibbia – senza istruzione, hanno avuto il coraggio. Una parola che si può tradurre ‘coraggio’, ‘franchezza’, ‘libertà di parlare’, ‘non avere paura di dire le cose’ … E’ una parola che ha tanti significati, nell’originale. La parresìa, quella franchezza … E dal timore sono passati alla ‘franchezza’, a dire le cose con libertà”.

Francesco si è poi soffermato sul brano del Vangelo odierno che racconta il dialogo “un po’ misterioso fra Gesù e Nicodemo”, sulla “seconda nascita”, sull’“avere una nuova vita, diversa dalla prima”.

Annunciare Cristo, senza fare “pubblicità”
Il Papa sottolinea che anche in questa storia, “in questo itinerario della franchezza”, il “vero protagonista” è “proprio lo Spirito Santo”, “perché è Lui l’unico capace di darci questa grazia del coraggio di annunciare Gesù Cristo”:

“E questo coraggio dell’annuncio è quello che ci distingue dal semplice proselitismo. Noi non facciamo pubblicità, dice Gesù Cristo, per avere più ‘soci’ nella nostra ‘società spirituale’, no? Questo non serve. Non serve, non è cristiano. Quello che il cristiano fa è annunziare con coraggio e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito Santo, quello stupore che ci fa andare avanti”.

Il vero protagonista di tutto questo, ha ripreso, è lo Spirito Santo. Quando Gesù parla sul “nascere di nuovo”, ha detto, ci fa capire che è “lo Spirito che ci cambia, che viene da qualsiasi parte, come il vento: sentiamo la sua voce”. E, ha proseguito, “soltanto lo Spirito è capace di cambiarci l’atteggiamento”, di “cambiare la storia della nostra vita, cambiare la nostra appartenenza”.

Il coraggio, una grazia che viene dallo Spirito Santo
E’ lo Spirito, ha ripreso, “a dare questa forza a questi uomini semplici e senza istruzione” come Pietro e Giovanni, “questa forza di annunziare Gesù Cristo fino alla testimonianza finale: il martirio”:

“Il cammino del coraggio cristiano è una grazia che dà lo Spirito Santo. Ci sono tante strade che possiamo prendere, anche che ci danno un certo coraggio. ‘Ma guarda che coraggioso, la decisione che ha preso! E guarda questo, guarda come ha fatto bene questo piano, ha organizzato le cose, che bravo!’: questo aiuta, ma è strumento di un’altra cosa più grande: lo Spirito. Se non c’è lo Spirito, noi possiamo fare tante cose, tanto lavoro, ma non serve a niente”.

La Chiesa, ha soggiunto Francesco, dopo Pasqua “ci prepara a ricevere lo Spirito Santo”. Per questo, è stata la sua esortazione finale, adesso, “nella celebrazione del mistero della morte e della Risurrezione di Gesù, possiamo ricordare tutta la storia di Salvezza” e “chiedere la grazia di ricevere lo Spirito perché ci dia il vero coraggio per annunciare Gesù Cristo”.




Il Papa: Chiesa non accumuli ricchezze, ma le gestisca con generosità

Messa di Papa Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

14/04/2015 

Una comunità rinata nello Spirito Santo cerca l’armonia ed è paziente nelle sofferenze. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre avvertito che i cristiani non devono accumulare ricchezze, ma metterle a servizio di chi ha bisogno, come faceva la prima comunità guidata dagli Apostoli. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Quali frutti porta lo Spirito Santo in una comunità? Papa Francesco si è soffermato nella sua omelia sul passo degli Atti degli Apostoli che descrive la vita della prima comunità dei cristiani.

Armonia e bene comune, segni di una comunità rinata
Ci sono, sottolinea, due segni di “rinascita in una comunità”. Il primo segno è l’armonia:

“La comunità rinata o di quelli che rinascono nello Spirito ha questa grazia dell’unità, dell’armonia. L’unico che può darci l’armonia è lo Spirito Santo, perché lui anche è l’armonia fra il Padre e il Figlio, è il dono che fa l’armonia. Il secondo segno è il bene comune, cioè: ‘Nessuno infatti tra loro era bisognoso, nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva’, era al servizio della comunità. Sì, alcuni erano ricchi ma al servizio. Questi sono due segni di una comunità che vive nello Spirito”.

Il dono della pazienza nelle difficoltà
Questo, annota il Papa, è un passo “curioso”, perché “subito dopo incominciano” dei problemi in seno alla comunità, per esempio l’ingresso di Anania e Saffira che cercano di “truffare la comunità”:

“Questi sono i padroni dei benefattori che si avvicinano alla Chiesa, entrano per aiutarla e usare la Chiesa per i propri affari, no? Poi ci sono le persecuzioni che sono state annunciate da Gesù. L’ultima delle beatitudini di Matteo: ‘Beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno a causa di me… Rallegratevi’. E si leggono tante persecuzioni di questa comunità così. Gesù promette questo, promette tante cose belle, la pace, l’abbondanza: ‘Avrete cento volte in più con le persecuzioni’”.

Nella “prima comunità rinata dallo Spirito Santo – rammenta Francesco – c’è questo: la povertà, il bene comune ma anche i problemi, dentro e fuori”. Problemi dentro, come “quella coppia di affaristi, e fuori, le persecuzioni”. Pietro però dice alla comunità di non meravigliarsi di queste persecuzioni, perché è “il fuoco che purifica l’oro”. E la comunità rinata dallo Spirito Santo viene purificata proprio “in mezzo alle difficoltà, alle persecuzioni”. C’è dunque un terzo segno di una comunità rinata: “la pazienza nel sopportare: sopportare i problemi, sopportare le difficoltà, sopportare le maldicenze, le calunnie, sopportare le malattie, sopportare il dolore” della perdita di un proprio caro.

Non accumulare le ricchezze, ma gestirle per il bene comune
La comunità cristiana, afferma ancora, “fa vedere che è rinata nello Spirito Santo, quando è una comunità che cerca l’armonia”, non la divisione interna; “quando cerca la povertà”, “non l’accumulo di ricchezze per sé, perché le ricchezze sono per il servizio”. E quando “non si arrabbia subito davanti alle difficoltà e si sente offesa”, ma è paziente come Gesù:

“In questa seconda settimana di Pasqua, durante la quale celebriamo i misteri pasquali, ci farà bene pensare alle nostre comunità, siano esse diocesane, parrocchiali, famigliari o tante altre, e chiedere la grazia dell’armonia che è più dell’unità - l’unità armonica, l’armonia, che è il dono dello Spirito - di chiedere la grazia della povertà – non della miseria, della povertà: cosa significa? Che se io ho quello che ho e devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità - e chiedere la grazia della pazienza, della pazienza”.

Il Signore, conclude, “ci faccia capire a tutti noi che non soltanto ognuno di noi ha ricevuto questa grazia nel Battesimo di rinascere nello Spirito ma anche le nostre comunità”.




Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere

Il Papa nella Cappella di Santa Marta - OSS_ROM

16/04/2015 

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio e vuole far tacere quanti predicano la novità di Dio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

Obbedire a Dio è il coraggio di cambiare strada
La liturgia del giorno ci parla dell’obbedienza. L’obbedienza – osserva il Papa – “tante volte ci porta per una strada che non è quella che io penso che deve essere, ce n’è un’altra”. Obbedire è “avere il coraggio di cambiare strada, quando il Signore ci chiede questo”. “Chi obbedisce ha la vita eterna”, mentre per “chi non obbedisce, l’ira di Dio rimane su di lui”. Così nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, i sacerdoti e i capi ordinano ai discepoli di Gesù di non predicare più il Vangelo al popolo: si infuriano, sono “pieni di gelosia” perché alla loro presenza avvengono miracoli, il popolo li segue “e il numero dei credenti cresceva”. Li mettono in carcere, ma di notte, l’Angelo di Dio li libera e tornano ad annunciare il Vangelo. Fermati e interrogati di nuovo, Pietro risponde alle minacce del sommo sacerdote: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. I sacerdoti non capivano:

“Ma questi erano dottori, avevano studiato la storia del popolo, avevano studiato le profezie, avevano studiato la legge, conoscevano così tutta la teologia del popolo di Israele, la rivelazione di Dio, sapevano tutto, erano dottori, e sono stati incapaci di riconoscere la salvezza di Dio. Ma come mai questa durezza di cuore? Perché non è durezza di testa, non è una semplice testardaggine. E’ qui la durezza… E si può domandare: come è il percorso di questa testardaggine, ma totale, di testa e di cuore?”.

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio
“La storia di questa testardaggine, l’itinerario – sottolinea il Papa - è quello di chiudersi in se stessi, è quello di non dialogare, è la mancanza di dialogo”:

“Questi non sapevano dialogare, non sapevano dialogare con Dio, perché non sapevano pregare e sentire la voce del Signore, e non sapevano dialogare con gli altri. ‘Ma perché interpreti questo così?’. Soltanto interpretavano come era la legge per farla più precisa, ma erano chiusi ai segni di Dio nella storia, erano chiusi al suo popolo, al loro popolo. Erano chiusi, chiusi. E la mancanza di dialogo, questa chiusura del cuore, li ha portati a non obbedire a Dio. Questo è il dramma di questi dottori di Israele, di questi teologi del popolo di Dio: non sapevano ascoltare, non sapevano dialogare. Il dialogo si fa con Dio e con i fratelli”.

Chi non dialoga vuol far tacere quelli che predicano la novità di Dio
E il segno che rivela che una persona “non sa dialogare”, “non è aperta alla voce del Signore, ai segni che il Signore fa nel popolo” – afferma il Papa - è la “furia e la voglia di far tacere tutti quelli che predicano in questo caso la novità di Dio, cioè Gesù è risorto. Non hanno ragione, ma arrivano a questo. E’ un itinerario doloroso. Questi sono gli stessi che hanno pagato i custodi del sepolcro per dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù. Fanno di tutto per non aprirsi alla voce di Dio”:

“E in questa Messa preghiamo per i maestri, per i dottori, per quelli che insegnano al popolo di Dio, perché non si chiudano, perché dialoghino e così si salvino dall’ira di Dio che, se non cambiano atteggiamento, rimarrà su di loro”.




 

Francesco: umiltà cristiana non è masochismo ma amore

Papa Francesco celebra Messa a S. Marta - OSS_ROM

17/04/2015 

L’umiliazione per se stessa è masochismo, mentre quella subita e sopportata in nome del Vangelo rende simili a Gesù. Lo ha ribadito Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa S. Marta, invitando i cristiani a non coltivare mai sentimenti di odio, ma a darsi il tempo di scoprire dentro di sé sentimenti e atteggiamenti che piacciono a Dio: amore e dialogo. Il servizio diAlessandro De Carolis:

È possibile per l’uomo reagire a una situazione difficile con i modi di Dio? Lo è, conferma il Papa, ed è tutta una questione di tempi. Il tempo di lasciarsi permeare dai sentimenti di Gesù. Francesco lo spiega analizzando l’episodio contenuto nella lettura degli Atti degli Apostoli. Questi ultimi sono in giudizio davanti al sinedrio, accusati di predicare quel Vangelo che i dottori della legge non vogliono sentire.

Non dare tempo all'odio
Tuttavia, un fariseo del sinedrio, Gamaliele, in modo schietto suggerisce di lasciarli fare, perché – sostiene, citando casi analoghi del passato – se la dottrina degli Apostoli “fosse di origine umana verrebbe distrutta”, mentre non accadrebbe se venisse da Dio. Il sinedrio accetta il suggerimento, cioè – sottolinea il Papa – sceglie di prendere “tempo”. Non reagisce seguendo l’istintivo sentimento di odio. E questo, soggiunge Francesco, è un “rimedio” giusto per ogni essere umano:

“Dà tempo al tempo. Questo serve a noi, quando abbiamo cattivi pensieri contro gli altri, cattivi sentimenti, quando abbiamo antipatia, odio, non lasciarli crescere, fermarsi, dare tempo al tempo. Il tempo mette le cose in armonia e ci fa vedere il giusto delle cose. Ma se tu reagisci nel momento della furia, sicuro che sarai ingiusto. Sarai ingiusto. E anche farà male a te stesso. Questo è un consiglio: il tempo, il tempo nel momento della tentazione”.

Chi si ferma dà tempo a Dio
Quando noi coviamo un risentimento, nota Francesco, è inevitabile che scoppi. “Scoppia nell’insulto, nella guerra”, osserva, e “con questi sentimenti cattivi contro gli altri, lottiamo contro Dio”, mentre “Dio ama gli altri, ama l’armonia, ama l’amore, ama il dialogo, ama camminare insieme”. Anche “a me succede”, ammette il Papa: “Quando una cosa non piace, il primo sentimento non è di Dio, è cattivo, sempre”. “Fermiamoci” invece, esclama, e diamo “spazio allo Spirito Santo” perché “ci faccia arrivare al giusto, alla pace”. Come gli Apostoli, che vengono flagellati e lasciano il sinedrio “lieti” di aver subito “oltraggi per il nome di Gesù”:

“L’orgoglio dei primi ti porta a voler uccidere gli altri, l’umiltà, anche l’umiliazione, ti porta a somigliarti a Gesù. E questa è una cosa che noi non pensiamo. In questo momento in cui tanti fratelli e sorelle nostri sono martirizzati per il nome di Gesù, loro sono in questo stato, hanno in questo momento la letizia di aver sofferto oltraggi, anche la morte, per il nome di Gesù. Per fuggire dall’orgoglio dei primi, soltanto c’è la strada di aprire il cuore all’umiltà e all’umiltà non si arriva mai senza l’umiliazione. Questa è una cosa che non si capisce naturalmente. E’ una grazia che dobbiamo chiedere”.

Martiri e umili somigliano a Cristo
La grazia, conclude Francesco, dell’“imitazione di Gesù”. Una imitazione testimoniata non solo dai martiri di oggi ma anche da quei “tanti uomini e donne che subiscono umiliazioni ogni giorno e per il bene della propria famiglia” e “chiudono la bocca, non parlano, sopportano per amore di Gesù”:

“E questa è la santità della Chiesa, questa letizia che dà l’umiliazione, non perché l’umiliazione sia bella, no, quello sarebbe masochismo, no: perché con quell’umiliazione tu imiti Gesù. Due atteggiamenti: quello della chiusura che ti porta all’odio, all’ira, a voler uccidere gli altri e quello dell’apertura a Dio sulla strada di Gesù, che ti fa prendere le umiliazioni, anche quelle forti, con questa letizia interiore perché stai sicuro di essere sulla strada di Gesù”.





[Modificato da Caterina63 17/04/2015 17:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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