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Isis distrugge Palmira pensando all'Apocalisse e punta su ROMA

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2015 23:18
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18/11/2015 18:30
 
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  I quattro castighi di Dio
 
di Angela Pellicciari18-11-2015

Isis

 

Sabato notte, in seminario dove stavo facendo un corso su Agostino, quasi fuori dal mondo perché senza radio e televisione, ho vissuto alcune ore di angoscia. Mi capita spesso di dormire poco e male ma in quel caso non si trattava di insonnia: si trattava di angoscia. Mi sono messa a pregare, ho fatto il mattutino, e ho letto la lettura prevista dal breviario per quella notte: il profeta Ezechiele, capitolo 14, versetti 12-23. 

In quel passo, attraverso il suo profeta, Dio manda a dire al popolo di Israele: “Figlio dell’uomo, se una terra pecca contro di me e si rende infedele, io stendo la mano sopra di essa, le tolgo la riserva del pane, le mando contro la fame e stermino uomini e bestie”; “Quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie, ecco, vi sarà un resto che si metterà in salvo con i figli e le figlie”.
La mattina ho saputo cosa era successo a Parigi durante la notte e ho capito il perché mi era capitato di vegliare. 

Le profezie di Ezechiele contro il popolo infedele e contro i falsi profeti che predicono la pace in nome di Dio, senza che questi li abbia inviati, sono agghiaccianti. E si sono avverate. Basta pensare a come è stata ridotta Gerusalemme dai romani. 

Da quando esiste, l’islam punta alla conquista di Roma. Perché Roma significa il mondo e loro il mondo lo vogliono conquistato al vero Dio. Finora non sono stati capaci di trasformare San Pietro in una stalla, come era quasi riuscito a fare Maometto IV inviando contro l’Occidente un esercito poderoso al comando di Kara Mustafà.
All’ultimo momento, alla vigilia della resa, l’11 settembre 1683, Vienna, ultimo baluardo sulla strada di Roma, non era caduta grazie all’intercessione di Maria impetrata dal santo cappuccino Marco D’Aviano e dalla preghiera di tanti uomini e donne terrorizzati. Finora i popoli cristiani, nell’ora del pericolo, si sono sempre rivolti con digiuni, preghiere, rosari ed elemosine, alla misericordia divina e alla protezione della Vergine.

Oggi cosa facciamo? Ce lo hanno detto in tutte le salse che a Roma stanno arrivando. Come ci prepariamo? I nostri profeti, come ai tempi di Ezechiele, hanno profetizzato e profetizzano pace. Ci vergogniamo della croce e proibiamo ai nostri figli di vedere quadri che la raffigurino, portando la nostra apostasia al limite della follia. Eppure se ci sono una città e una nazione che hanno ricevuto un’infinità di grazie da Dio, per la presenza a Roma del suo vicario, questi siamo noi. 

Oggi di profeti Giona non se ne vede traccia. Chi chiama a conversione? Chi si pente della schifosa apostasia in cui siamo immersi? Chi invita a prendere le armi della fede – le uniche che contino - scongiurando Dio di avere misericordia di noi, dei nostri figli, della nostra storia, della nostra civiltà che è stata bellissima?




«Dio non è come Allah: alcuni dei suoi seguaci teorizzano la violenza»

L'arcivescovo di Ferrara non usa mezzi termini: «Nessuna pietà per chi non aderisce al credo musulmano. Noi cristiani siamo più tolleranti»



Parole chiare quelle di Sua Eccellenza Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio. Non c'era da dubitarne. La scorsa estate, alla vigilia di Ferragosto, festa dell'Assunta durante la quale si sarebbe pregato per la pace in Medio Oriente, Negri aveva fatto affiggere sulla facciata dell'arcivescovado il simbolo dei cristiani perseguitati dagli islamisti iracheni.

Il marchio rappresentava «l'iniziale della parola Nassarah (Nazzareno), il termine con cui il Corano individua i seguaci di Gesù di Nazareth - che viene imposto dalle milizie dell'autoproclamatosi califfo al-Baghdadi agli infedeli-cristiani per i quali non c'è posto nello Stato islamico dell'Iraq e del Levante a meno che si convertano».

In questa intervista l'arcivescovo di Ferrara ha accettato di parlare delle radici religiose della violenza che ha insanguinato le strade di Parigi.

In questi giorni si ripetono accuse nei confronti delle religioni come fossero tutte causa di violenza, morte e carneficine. È corretto o sono necessari dei distinguo?

«Sono più che necessari. Per la conoscenza che ho delle grandi religioni occidentali e asiatiche, la violenza non è nelle teorie ma è un fatto comportamentale. Più facilmente, come ha mostrato la storia del Novecento, è l'ideologia condita di ateismo, a produrre violenza. Perché si vuole piegare al proprio credo chi lo rifiuta. Fatta questa precisazione, l'unica religione che tematizza la violenza come direttiva teorica e pratica è l'Islam. Ma qui si apre un'altra riflessione. Nella sua essenza l'Islam è un'ideologia di origine teocratica, che rende quindi la religione strumento del regno».

Una religione che divide il mondo in fedeli e infedeli?

«Alle religioni nelle quali la violenza è teorizzata e indicata come atto pratico ci si deve opporre con nettezza».

Anche i cristiani, storicamente, sono stati violenti usando la fede come strumento di dominio.

«Questo è un fatto storico. I cristiani hanno potuto essere violenti, anche se non credo nelle dimensioni nelle quali viene spesso narrato, perché hanno assunto le modalità di espressione e di comportamento del loro tempo. Di suo, il cristianesimo non è violento».

Quindi tra Allah e Dio c'è differenza in rapporto all'uso della violenza.

«La violenza nell'Islam ha tutt'altra natura perché è intollerante verso chi non aderisce al credo musulmano. Noi cristiani siamo esortati dalla tradizione della Chiesa e dal magistero papale a non far prevalere i nostri istinti sulla dottrina».

Non crede all'esistenza dell'Islam moderato?

«Credo nella natura umana animata, secondo sant'Agostino, dal desiderio di bellezza, verità, bontà. Più che nel prevalere dell'Islam moderato confido nell'emergere di questo umanesimo comune a tutti: cristiani, musulmani e appartenenti a tutte le confessioni religiose. La ricerca di questa bontà e benevolenza è la base per un rapporto corretto e ragionevole anche con l'Islam».

Anche di fronte alla sacralità della vita ci sono atteggiamenti diversi?

«I cristiani rintracciano le ragioni del rispetto della vita in questo umanesimo. Spero che prevalga anche tra i musulmani rispetto a certe formulazioni ideologiche che ritroviamo nell'Islam».

Perché sui simboli religiosi cristiani si può scherzare mentre Maometto non può essere fatto oggetto di ironia?

«Se per ironia s'intende la consapevolezza della differenza tra dottrina e modalità con cui viene conosciuta e comunicata, ben venga. Senza ironia la vita diventa insopportabile. Se invece significa disprezzo per i contenuti della fede, allora non ci sto. Nella cultura islamica non esiste la possibilità di ironizzare su certi eccessi dei credenti. Invece, nel mondo cattolico l'autoironia dei cristiani è segno di adesione matura».






[Modificato da Caterina63 18/11/2015 23:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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