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LE BUFALE contro la Chiesa e il Papa.......

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2015 15:19
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14/09/2015 13:41
 
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  Parola di Papa/1 - da IlTimone




 


Francesco piace a tutti! Un caso forse unico nella storia della Chiesa. Ma sorge il sospetto che ciò accada perché vengono taciute o manipolate molte sue affermazioni scomode. Vediamone alcune tra le più significative 



È passato un anno dai primi, sorprendenti passi di Papa Francesco: «E adesso, incominciamo questo cammino », diceva, appena eletto, la sera del 13 marzo 2013. «Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia». Non è più uno sconosciuto. Ci siamo abituati al suo sorriso, al tratto cortese e gioviale, alla sua semplicità e sobrietà, all’instancabile capacità di accoglienza. Ma il Pontefice che i «fratelli cardinali » sono andati a prendere «quasi alla fine del mondo» non è solo questo. Sarebbe riduttivo. Invece, purtroppo, è questa l’immagine che dall’inizio del pontificato vogliono imporci i mass media e i poteri forti che li governano. Bergoglio è anche altro, anzi: è molto di più. Tanti suoi interventi, di una chiarezza esemplare, su argomenti forti come l’esistenza del peccato e la necessità di confessarsi, l’azione del diavolo, la devozione popolare e in particolare quella mariana, come pure sui temi etici e la difesa della famiglia [vedi la seconda parte del dossier], sono stati celati al grande pubblico o “addomesticati”. Si tratta quindi di riscoprire il volto “nascosto” di un Papa che, aldilà delle battute e della giovialità, ci rimanda alla sequela di Cristo e ci insegna come essere cristiani che fanno sul serio. 

Abbiamo perso il “senso del peccato” 

«Tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». Questa è una delle tipiche frasi di Bergoglio - pronunciata nell’omelia in Santa Marta il 29 aprile 2013 - che piacciono ai mass media, perché simpatica. Una battuta scherzosa, che si riferisce all’atteggiamento psicologico di quei cattolici che si accostano al confessionale in modo sbagliato. Ma la riflessione di Papa Francesco sul tema è stata sempre più ampia e profonda di una semplice battuta, correndo sul filo di termini come peccato, colpa, pentimento, confessione, misericordia e perdono, che non vanno più di moda. Il Papa parte dal fatto che siamo tutti peccatori (nessuno escluso), come ricorda nell’udienza generale del 2 ottobre 2013, festa degli Angeli Custodi: «Qualcuno di voi è qui senza i propri peccati? Qualcuno di voi? Nessuno, nessuno di noi. Tutti portiamo con noi i nostri peccati». Nella stessa occasione ha aggiunto: «La Chiesa, che è santa, non rifiuta i peccatori […] è aperta anche ai più lontani, chiama tutti a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal perdono del Padre ». Più di recente, all’omelia in Santa Marta del 31 gennaio 2014, ha puntato il dito su un mondo che sta perdendo il senso del peccato, ricordando la vicenda del re Davide, che si invaghisce di Betsabea e manda apposta il marito di lei, il generale Uria, in prima linea causandone la morte: «Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, è derubricato a “problema da risolvere”.… Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato». Nel contesto culturale odierno, che esclude la dimensione del “peccato”, dell’offesa fatta a Dio disobbedendo alla sua legge, le parole di Francesco evidentemente non piacciono. All’obiezione moralistica «ma i cristiani sono i primi a sbagliare e a peccare», il Papa risponde nell’udienza generale del 29 maggio 2013: «…la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati; anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona». Ecco il punto: Dio perdona sempre. La società in cui viviamo no. Noi no. 

«Chi sono io per giudicare»? 

Non “perdoniamo” il politico che ruba, l’imprenditore che non paga le tasse, il marito che tradisce, il calciatore che non segna, e così via. Viene in mente il celebre film della premiata coppia Bud Spencer-Terence Hill, Dio perdona… io no!, girato nel 1967. Ma quella stessa società che non perdona, travisando con disinvoltura parole dette da Bergoglio, si considera assolta a buon mercato dalle proprie derive nichiliste-edoniste (godiamoci il nulla). Addirittura si sente quasi “benedetta” da interventi papali considerati, a torto, assolutori. La famosa frase «Chi sono io per giudicare un gay?» è diventata, in maniera emblematica, una sorta di mantra per mettersi la coscienza a posto per tutte le associazioni gay e omosessualiste del pianeta, salvo il fatto che è sempre censurata la frase nella sua completezza («Se una persona è gay, cerca il Signore ed ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla»?), laddove è chiaro che se un gay «cerca il Signore» qualche domanda sulla sua (spesso presunta) identità sessuale se la dovrà pur porre… 

Non stanchiamoci di chiedere perdono 

L’ineffabile grande vecchio del laicismo nostrano Eugenio Scalfari (che non deve aver imparato granché dall’incontro con Francesco) è giunto a scrivere che Bergoglio avrebbe sostenuto che il peccato non esiste (subito smentito dalla Sala Stampa vaticana)! Ma il percorso di Francesco è chiaro. Sin dai primi giorni di pontificato, quando nell’omelia della Messa a Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013, ha sostenuto con forza: «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono ». E ancora, nell’omelia della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, il 24 marzo 2013: «Perché Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo?». Perché «ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima ». Insomma, Dio ci dà sempre una possibilità. Nel tweet del 18 novembre 2013, Bergoglio coglie la dinamica della confessione: «Confessare i nostri peccati ci costa un po’, ma ci porta la pace. Noi siamo peccatori, e abbiamo bisogno del perdono di Dio». 
Esattamente il contrario della logica mondana, in cui chi “pecca” è sempre l’altro, e nessuno sente mai la necessità di chiedere perdono a Dio. E non solo: peccato, confessione e perdono sono termini che anche in casa di molti credenti hanno perso di “attualità”. Non è così per Papa Francesco. 

Gesù non vuole nulla in cambio 

Come fa Gesù ad essere così buono, misericordioso e accogliente con noi? Nell’omelia già citata della Domenica delle Palme, il 24 marzo 2013, Francesco spiega che «Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle… prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia». Esemplare, nella prima udienza generale del 27 marzo 2013, il paragone con il buon samaritano del Vangelo: «Dio pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo o guardando dall’altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era povero: non domanda niente. […] Va in suo aiuto». 
È precisamente la logica cristiana della gratuità, oggi così rara, spesso irrisa. Infatti, l’uomo mondano pretende il via libera ai propri progetti, desideri, voglie, si fa padrone della propria vita senza riconoscersi creatura. Al contrario, il perdono e la misericordia di Dio ci fanno riscoprire di essere suoi figli, partecipi della vita di Cristo. Francesco lo dice all’udienza generale del 10 aprile 2013: «Essere cristiani […] vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato». 

Il diavolo esiste e va combattuto 
Sappiamo che illustri teologi, più o meno famosi e acclamati, negano l’esistenza del diavolo. Nel magistero di Francesco il riconoscimento dell’esistenza del demonio e l’invito alla lotta per sconfiggerlo sono punti fermi. Il giorno dopo l’elezione, il 14 marzo 2013, nell’omelia della Messa pro Ecclesia celebrata con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, viene allo scoperto: «Quando non si confessa Gesù Cristo – mi sovviene la frase di Léon Bloy, “Chi non prega il Signore, prega il diavolo” – quando non si confessa Gesù Cristo si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio». Nella stessa omelia precisa: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Per Francesco, il demonio opera anche così: «La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti». 
Chiaro, no? Ma quanti ancora insistono a considerare appunto la Chiesa una ONG? Senza sapere che questa insistenza è farina del diavolo… 

Dio è più forte del male 
La maggiore astuzia del maligno è far credere di non esistere. La mentalità oggi dominante, che si sta impadronendo dell’intelligenza e del cuore delle vecchie e nuove generazioni, ritiene che tutto sia lecito e il male di fatto non c’è; o, meglio, la nozione di male muta a seconda delle circostanze e convenienze. Papa Francesco, nell’udienza generale del 12 giugno 2013, avverte: «Attorno a noi, basta aprire un giornale, [...] vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce». La seconda astuzia del Diavolo è spingerci all’impotenza, perché tanto non c’è niente da fare. Invece, «non dobbiamo credere al maligno che dice che non possiamo fare nulla contro la violenza, l’ingiustizia, il peccato » (tweet del 24 marzo 2013), perché Dio è più forte, il sacrificio di Cristo sulla croce ha vinto il male. Ancora all’udienza del 12 giugno 2013: «Vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l’unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita». Ai giovani dell’Umbria, il 4 ottobre 2013, ricordando San Francesco: «Dio è più grande del male. Dio è amore infinito, misericordia senza limiti, e questo Amore ha vinto il male alla radice nella morte e risurrezione di Cristo». E ancora: «L’unica guerra che tutti dobbiamo combattere è quella contro il male» (tweet del 10 settembre 2013). Non esiste il male, e se esiste non possiamo farci niente? No. Papa Francesco non perde occasione per convincerci del contrario. 

Non c’è un cristianesimo “low cost” 

Più volte, Papa Bergoglio ha “chiamato alle armi” contro il male e le insidie del Nemico. Una battaglia che ogni giorno dovremmo rinnovare e fare nostra. Invece siamo tiepidi e ci perdiamo in mille faccende secondarie, vittime anche noi della mentalità dominante. Al Regina Coeli del 1° aprile 2013 Francesco ci sprona: «Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società». Che differenza c’è tra chi segue le seduzioni del maligno, è soggiogato dal male al punto di non riconoscerlo e chi invece segue la logica dell’amore insegnata da Cristo, lo annunzia, lo testimonia? «La logica mondana ci spinge verso il successo, il dominio, il denaro; la logica di Dio verso l’umiltà, il servizio, l’amore», spiega Francesco in un tweet del 2 giugno 2013. Ma seguire Cristo, proclamarlo, non è come bere un bicchier d’acqua. Non basta essere buoni e generosi: «Non esiste un cristianesimo “low cost”. Seguire Gesù vuol dire andare controcorrente, rinunciando al male e all’egoismo», scrive in un tweet del 5 settembre 2013. C’è un cammino faticoso da compiere, ci sono una maturazione e una crescita che esigono tempo, pazienza. Non è tutto facile, immediato, senza fatica. Perché (omelia in Santa Marta del 12 aprile 2013) «il Signore ci insegna che nella vita non è tutto magico […], il trionfalismo non è cristiano». 

Fede semplice e devozione a Maria 

La devozione popolare-mariana è la bestia nera dei “cristiani adulti” di tutte le latitudini, compresi tanti Pastori che mal sopportano la fede innata e genuina, essenziale, dei propri fedeli. Papa Francesco ha messo le cose in chiaro con il celebre riferimento alla nonna paterna, più volte richiamato. Per esempio, alla veglia di Pentecoste con i movimenti e le associazioni, il 18 maggio 2013, ha affermato: «Ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il “Cristo giacente”, e la nonna ci faceva – a noi bambini – inginocchiare e ci diceva: “Guardate, è morto, ma domani risuscita”. Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna!». E in un’altra occasione, all’udienza generale del 1° maggio 2013, a confermare che la fede si trasmette innanzitutto in famiglia, afferma: «Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati a iniziare e terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano». 
Un richiamo alla famiglia che non può non infastidire chi oggi si è posto come obiettivo proprio la distruzione della famiglia. Significativa, nella visione di Bergoglio, la centralità della “casa”. Durante la visita alla Casa di accoglienza “Dono di Maria”, in Vaticano, il 21 maggio 2013, si affida a queste parole: «“Casa” è una parola dal sapore tipicamente familiare, che richiama il calore, l’affetto, l’amore che si possono sperimentare in una famiglia. La “casa” allora rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, la “casa” è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore». Purtroppo, la casa oggi sembra invece ridotta a un albergo (per tanti ragazzi e giovani), oppure considerata solo una realtà da tartassare (per i governi). 

La preghiera e la morte 
Papa Francesco, nella sua predicazione ricca e piena di attrattiva per i vicini e i lontani, non ha mai mancato di mettere in luce aspetti consueti e tradizionali della fede, che tendiamo a dimenticare, vittime di una concezione del cristianesimo come puro impegno sociale-umanitario. Ecco alcuni esempi. Scrive il Papa in un tweet del 1° ottobre 2013: «Preghiamo veramente? Senza un rapporto costante con Dio, è difficile avere una vita cristiana autentica e coerente». E in un tweet del 3 maggio 2013 ricorda che la preghiera comune tiene desta la fede: «Sarebbe bello, nel mese di maggio, recitare assieme in famiglia il Santo Rosario. La preghiera rende ancora più salda la vita familiare». Un Pontefice che richiama il valore della preghiera mariana tra le mura domestiche non può non far venire il mal di pancia a coloro che, nella Chiesa, hanno messo nel cassetto da tempo il rosario, sostituendolo con la lotta sociale. 
All’udienza generale del 27 novembre 2013, nel mese della commemorazione dei defunti, il Papa svolge una riflessione articolata sul tema della morte, la grande “emarginata” della società contemporanea, rispetto alla quale l’uomo “sazio e soddisfatto” rimane senza parole: «Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva». E aggiunge: «Anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito». Come fare? «Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte». 

Che cosa ci insegnano i Santi 

Il richiamo alla santità, e l’invito a seguire la vita e l’esempio dei Santi è costante nell’insegnamento di Francesco. In un mondo dove gli “esempi da seguire” sono gli idoli del rock o le star televisive, Bergoglio ricorda, innanzitutto ai credenti, che siamo tutti invitati alla santità: non è una condizione per pochi privilegiati. E il Santo è qualcosa di ben diverso da quel che pensiamo. Al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, il 17 giugno 2013: «Per diventare Santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da immaginetta! No, no, non è necessario questo! Una sola cosa è necessaria per diventare Santi: accogliere la grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore». Essere Santi non significa quindi compiere gesti eroici, fare miracoli, abbondare in opere pie. In un tweet del 7 novembre 2013 descrive le caratteristiche di un Santo: «I Santi sono persone che appartengono pienamente a Dio. Non hanno paura di essere derisi, incompresi o emarginati». In un altro tweet, del 19 novembre successivo, aggiunge: «I Santi non sono superuomini. Sono persone che hanno l’amore di Dio nel cuore, e trasmettono questa gioia agli altri». Del tutto particolare la devozione per San Giuseppe. In un tweet dell’1 maggio 2013, festa di San Giuseppe Lavoratore (prima ancora che festa dei sindacati e delle bandiere rosse!), scrive: «Cari giovani, imparate da San Giuseppe, che ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia, e ha saputo superarli». 

La Madonna va controcorrente 
Vasto e variegato il capitolo della devozione mariana, che caratterizza – quasi ogni giorno – il pontificato di Francesco. A cominciare da quella devozione alla “Madonna che scioglie i nodi”, appresa in Germania e popolare nella sua Argentina, che sta dilagando anche da noi. Durante la preghiera mariana del 12 ottobre 2013 spiega che «Maria […] è la madre che con pazienza e tenerezza ci porta a Dio perché Egli sciolga i nodi della nostra anima con la sua misericordia di Padre… Tutti i nodi del cuore, tutti i nodi della coscienza possono essere sciolti». E conclude con un interrogativo: «Chiedo a Maria che mi aiuti ad avere fiducia nella misericordia di Dio, per scioglierli, per cambiare?». 
Difficile dar conto degli innumerevoli riferimenti a Maria nel magistero di Francesco. Eccone un florilegio. «Nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna» (omelia in Santa Marta, 15 aprile 2013). «La Madonna custodisce la nostra salute […] ci aiuta a crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi» (Rosario in Santa Maria Maggiore, 4 maggio 2013). «Chiediamo alla Vergine Maria che ci insegni a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno, e a dare più spazio al Signore» (tweet del 9 maggio 2013). «Occorre imparare da Maria; rivivere la sua disponibilità totale a ricevere Cristo nella sua vita» (tweet del 18 maggio 2013). «Maria ci accompagna, lotta con noi, sostiene i cristiani nel combattimento contro le forze del male» (messa per l’Assunta, 15 agosto 2013). «Nel cammino, spesso difficile, non siamo soli, siamo in tanti, siamo un popolo, e lo sguardo della Madonna ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno» (al Santuario di Bonaria, Cagliari, 22 settembre 2013). Nella celebrazione in Piazza San Pietro del 31 maggio 2013, che conclude il mese mariano, sostiene con forza che la Madonna costituisce l’esempio più autentico ed esemplare di cosa significhi seguire Cristo, acquisendo una mentalità nuova: «Maria nell’Annunciazione, nella Visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente, Maria va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze».   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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