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Lavori Sinodo Famiglia 2015 testi ufficiali ed interventi del Pontefice

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2015 18:06
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26/10/2015 23:05
 
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  Cardinale Burke: La 'Relatio finalis' manca di chiarezza sulla indissolubilità del matrimonio


 

Su NCRegister la reazione del Cardinale Raymond Leo Burke.

La 'Relatio finalis' manca di chiarezza
sulla indissolubilità del matrimonio
 
Il cardinale Raymond Burke, cardinalis patronus dei Cavalieri di Malta ed ex prefetto della Segnatura Apostolica, ha condiviso con il New Catholic Register la sua reazione iniziale alla Relazione finale del Sinodo sulla Famiglia.
 
Egli si concentra sui punti 84-86 sul divorzio e sul nuovo matrimonio, affermando che questa sezione è di «preoccupazione immediata a causa della sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede, insegnano a tutti gli uomini». Egli dice anche che il modo in cui viene utilizzata la citazione di  Familiaris consortio è «ingannevole».
Di seguito il commento del cardinale.
* * *

L'intero documento richiede un attento studio, al fine di capire esattamente quali consigli si stanno offrendo al Romano Pontefice, in accordo con la natura del Sinodo dei Vescovi, «nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica» (can 342).
 
La sezione intitolata «Discernimento e integrazione» (paragrafi 84-86), tuttavia, è immediatamente fonte di preoccupazione, per la sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede insegnano a tutti gli uomini.
 
In primo luogointegrazione, è un termine mondano teologicamente ambiguo. Non vedo come possa essere «la chiave di accompagnamento pastorale di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari». La chiave interpretativa della loro cura pastorale deve essere la comunione fondata sulla verità del matrimonio in Cristo, che deve essere onorato e praticato, anche se una delle parti del matrimonio è stata abbandonata a causa del peccato dell'altra parte. La grazia del sacramento del santo matrimonio rafforza il coniuge abbandonato a vivere con fedeltà il vincolo matrimoniale, continuando a cercare la salvezza del partner che ha abbandonato l'unione matrimoniale. Ho conosciuto, fin dalla mia infanzia, e continuo a incontrare cattolici fedeli i cui matrimoni, in qualche modo, sono stati rotti, ma che, credendo nella grazia del Sacramento, continuano a vivere nella fedeltà al loro matrimonio. Essi guardano alla Chiesa per questo accompagnamento che li aiuta a rimanere fedeli alla verità di Cristo nella loro vita.
 
In secondo luogo, la citazione del no. 84 di Familiaris consortio è fuorviante. All'epoca del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 1980, come in tutta la storia della Chiesa, c'è sempre stata la pressione di ammettere il divorzio a causa delle situazioni dolorose di unioni irregolari, cioè coloro le cui vite non sono secondo la verità di Cristo sul matrimonio, come Egli chiaramente l'ha annunciata nei Vangeli (Mt 19, 3-12; Mc 10, 2-12). Mentre, nel n. 84, Papa San Giovanni Paolo II riconosce le diverse situazioni di coloro che vivono in una unione irregolare ed esorta i pastori e l'intera comunità ad aiutarli come veri fratelli e sorelle in Cristo in forza del Battesimo, e conclude: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati». Lui ricorda poi la ragione della prassi: «dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia». Egli nota giustamente che una prassi diversa indurrebbe i fedeli «in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio».
 
In terzo luogo, la citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1735) per quanto riguarda l'imputabilità deve essere interpretata nei termini della libertà «che rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari» (CCC, n. 1734). L'esclusione dai Sacramenti di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari non costituisce un giudizio circa la loro responsabilità per la rottura del vincolo matrimoniale a cui sono legati. È piuttosto il riconoscimento oggettivo del legame. La dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24 GIUGNO 2000, anch'essa citata, è in completo accordo con l'insegnamento costante e la prassi della Chiesa in materia, citando il no. 84 di Familiaris Consortio. Quella dichiarazione chiarisce anche la finalità della conversazione con un prete in foro interno, e cioè nelle parole di Papa san Giovanni Paolo II, «una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio» (Familiaris Consortio, n. 84). La disciplina della Chiesa già offre assistenza pastorale per coloro che vivono unioni irregolari che per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» in fedeltà alla verità di Cristo (Familiaris Consortio, n. 84).

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 




Il Sinodo fallito: tutti sconfitti, a cominciare dalla morale cattolica

croppedimage701426-sinodo-papa(Roberto de Mattei) All’indomani del XIV Sinodo sulla famiglia, tutti sembrano aver vinto. Ha vinto Papa Francesco, perché è riuscito a trovare un testo di compromesso tra le opposte posizioni; hanno vinto i progressisti perché il testo approvato ammette alla Eucarestia i divorziati risposati; hanno vinto i conservatori, perché il documento non contiene un riferimento esplicito alla comunione ai divorziati e rifiuta il “matrimonio omosessuale” e la teoria del gender.

Per capire meglio come sono andate in realtà le cose, bisogna partire dalla sera del 23 ottobre, quando è stata consegnata ai Padri sinodali la relazione finale elaborata da una commissione ad hoc sulla base degli emendamenti (modi) alla Instrumentum laboris, proposti dai gruppi di lavoro divisi per lingua (circuli minores).

Con grande sorpresa dei Padri sinodali il testo loro consegnato giovedì sera era solo in lingua italiana, con assoluto divieto di comunicarlo non solo alla stampa, ma anche ai 51 uditori e agli altri partecipanti all’assemblea. Il testo non teneva alcun conto dei 1355 emendamenti proposti nel corso delle tre settimane precedenti e riproponeva sostanzialmente l’impianto dell’Instrumentum laboris, compresi i paragrafi che avevano suscitato in aula le più forti critiche: quelli sull’omosessualità e sui divorziati risposati. La discussione era fissata per la mattina seguente, con la possibilità di preparare nuovi emendamenti solo in nottata, su di un testo presentato in una lingua padroneggiata solo da una parte dei Padri. Ma la mattina del 23 ottobre, papa Francesco, che ha sempre seguito con attenzione i lavori, si è trovato di fronte a un inatteso rifiuto del documento redatto dalla commissione. Ben 51 Padri sinodali intervenivano nel dibattito, la maggior parte dei quali contrari al testo avallato dal Santo Padre. Tra questi i cardinali Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; Joseph Edward Kurtz, Presidente della Conferenza Episcopale americana; Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale italiana; Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas; Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna; e i vescovi Zbigņevs Gadecki, Presidente della Conferenza Episcopale polacca; Henryk Hoser, Arcivescovo-Vescovo di Warszawa-Praga; Ignace Stankevics, Arcivescovo di Riga; Tadeusz Kondrusiewicz, Arcivescovo di Minsk-Mohilev; Stanisław Bessi Dogbo, Vescovo di Katiola (Costa d’Avorio); Hlib Borys Sviatoslav Lonchyna, Vescovo di Holy Family of London degli Ucraini Bizantini, e tanti altri, tutti esprimendo, con toni diversi, il loro disaccordo dal testo.

Il documento non poteva essere certo ripresentato il giorno successivo in aula, con il rischio di venire messo in minoranza e di produrre una forte spaccatura. La soluzione di compromesso veniva trovata seguendo la via tracciata dai teologi del “Gemanicus”, il circolo che includeva il cardinale Kasper, icona del progressismo, e il cardinale Müller, prefetto della Congregazione della Fede. La commissione tra venerdì pomeriggio e sabato mattina rielaborava un nuovo testo, che veniva letto in aula la mattina di sabato 24 e poi votato, nel pomeriggio, ottenendo per ognuno dei 94 paragrafi la maggioranza qualificata dei due terzi, che sui 265 padri sinodali presenti era pari a 177 voti

Nel briefing di sabato il cardinale Schönborn ne aveva anticipato la conclusione per quanto riguarda il punto più discusso, quello sui divorziati risposati: «Se ne parla, se ne parla con grande attenzione, ma la parola chiave è “discernimento”, e vi invito tutti a pensare che non c’è un bianco o nero, un semplice sì o no, è da discernere, e questa è proprio la parola di san Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: l’obbligo di esercitare un discernimento perché le situazioni sono diverse e l’esigenza di questo discernimento il Papa Francesco, buon gesuita, l’ha imparata da giovane: il discernimento è cercare di capire quale è la situazione di tale coppia o tale persona».

Discernimento e integrazione è il titolo dei numeri 84, 85 e 86. Il paragrafo più controverso, il n. 86, che contiene una apertura verso i divorziati risposati e la possibilità per loro di accostarsi ai sacramenti – pur senza menzionare esplicitamente la comunione – è stato approvato con 178 voti a favore, 80 contrari e 7 astenuti. Un solo voto in più rispetto al quorum dei due terzi.

_Papa sinodo-2L’immagine di papa Francesco non esce rafforzata, ma appannata e indebolita al termine dell’assemblea dei vescovi. Il documento che egli aveva avallato è stato infatti apertamente respinto dalla maggioranza dei Padri sinodali, il 23 mattina, che è stata la sua “giornata nera”.
Il discorso conclusivo di papa Bergoglio non ha espresso alcun entusiasmo per la Relatio finale, ma una reiterata riprovazione contro i Padri sinodali che avevano difeso le posizioni tradizionali. Perciò, ha detto tra l’altro il Papa la sera di sabato, «concludere questo Sinodo significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite. (…) Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile». Parole dure, che esprimono amarezza e insoddisfazione: non certo quelle di un vincitore.

Sono stati sconfitti anche i progressisti, perché non solo ogni riferimento positivo all’omosessualità è stato rimosso, ma anche l’apertura ai divorziati risposati è molto meno esplicita di quanto essi avessero voluto. Ma i conservatori non possono cantare vittoria. Se 80 Padri sinodali, un terzo dell’assemblea, hanno votato contro il paragrafo 86, vuol dire che esso era insoddisfacente. Il fatto che per un voto questo paragrafo sia passato non cancella il veleno che esso contiene.

Secondo la Relatio finale, la partecipazione alla vita ecclesiale dei divorziati risposati può esprimersi in “diversi servizi”: occorre perciò «discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa» (n. 84); «il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere» (n. 86).

Ma che cosa significa essere “membra vive” della Chiesa, se non trovarsi in stato di grazia e ricevere la Santa Comunione? E la “più piena partecipazione alla vita della Chiesa” non include, per un laico, la partecipazione al sacramento dell’Eucarestia? Si dice che le forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale, possono essere superate, “caso per caso”, seguendo una “via discretionis”. Può essere superata l’esclusione dalla comunione sacramentale? Il testo non lo afferma, ma non lo esclude. La porta non è spalancata, ma socchiusa, e dunque non si può negare che essa sia aperta.

La Relatio non afferma il diritto dei divorziati risposati a ricevere la comunione (e dunque il diritto all’adulterio), ma nega di fatto alla Chiesa il diritto di definire pubblicamente adulterio la condizione dei divorziati risposati, lasciando la responsabilità della valutazione alla coscienza dei pastori e degli stessi divorziati risposati. Per riprendere il linguaggio della Dignitatis Humanae, non si tratta di un diritto “affermativo” all’adulterio, ma di un diritto “negativo” di non essere impediti ad esercitarlo, ovvero di un diritto alla “immunità da ogni coercizione in materia morale”. Come nella Dignitatis Humanae viene cancellata la distinzione fondamentale tra il “foro interno”, che riguarda la salvezza eterna dei singoli fedeli, e il “foro esterno” relativo al bene pubblico della comunità dei fedeli. La comunione infatti non è un atto solo individuale, ma un atto pubblico compiuto di fronte alla comunità dei fedeli. La Chiesa, senza entrare nel foro interno, ha sempre proibito la comunione dei divorziati risposati perché si tratta di peccato pubblico, commesso in  foro esterno. La legge morale viene assorbita dalla coscienza che diviene un nuovo luogo, non solo teologico e morale, ma canonico. La Relatio finalis si integra bene, sotto questo aspetto, con i due motu proprio di Papa Francesco, di cui lo storico della scuola di Bologna ha sottolineato il significato sul Corriere della Sera del 23 ottobre: “Restituendo ai vescovi il giudizio sulla nullità Bergoglio non ha cambiato lo status dei divorziati, ma ha fatto un silenzioso, enorme atto di riforma del papato”.

L’attribuzione al vescovo diocesano della facoltà, come giudice unico, di istruire discrezionalmente un processo breve e arrivare alla sentenza è analoga alla attribuzione al vescovo del discernimento sulla condizione morale dei divorziati risposati. Se il vescovo locale riterrà che il percorso di crescita spirituale e di approfondimento di una persona che vive in una nuova unione è compiuto, questa potrà ricevere la comunione. Il discorso di papa Francesco del 17 ottobre al Sinodo indica nella “decentralizzazione” la proiezione ecclesiologica della morale “caso per caso”. Il Papa ha affermato che “al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”.

La morale dell’inculturazione, che è quella del “caso per caso” relativizza e dissolve la legge morale che, per definizione è assoluta e universale. Non vi è né buona intenzione, né circostanza attenuante che possono trasformare un atto buono in cattivo o viceversa. La morale cattolica non ammette eccezioni: o è assoluta e universale, oppure non è una legge morale.  Non hanno torto, dunque, quei giornali che hanno presentato la Relatio finale con questo titolo: “Cade il divieto assoluto di comunione ai divorziati risposati”.

La conclusione è che ci troviamo di fronte ad un documento ambiguo e contraddittorio che permette a tutti di cantare vittoria; anche se nessuno ha vinto. Tutti sono stati sconfitti, a cominciare dalla morale cattolica che esce profondamente umiliata dal Sinodo sulla famiglia conclusosi il 24 ottobre.

(Roberto de Mattei)







«No alla comunione ai divorziati risposati, nemmeno caso per caso»

Ottobre 27, 2015 George Pell
 
 

Al termine del Sinodo sulla famiglia, che si è chiuso il 25 ottobre, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede, ha rilasciato un’ampia intervista al National Catholic Register.

Interrogato sulla presunta apertura della Chiesa cattolica a dare la comunione ai divorziati risposati «caso per caso», risponde:

«Nel testo non c’è ambiguità. Si può dire che i paragrafi 84-86 sono insufficienti, ma non ambigui. Se si legge attentamente il paragrafo 85, è molto chiaro. La base per tutti i discernimenti deve essere “l’insegnamento complessivo” di Giovanni Paolo II. Poi si ripete che la base per il discernimento è l’insegnamento della Chiesa. Molti padri sinodali avrebbero voluto che si specificasse in modo più esplicito, ma da nessuna parte si fa menzione della Comunione ai divorziati risposati».

Poi ha aggiunto:

«Non c’è niente nel testo che giustifichi l’idea che la Chiesa darà la Comunione ai divorziati risposati giudicando caso per caso. Il testo può piacere o meno, si può pensare che sia buono, pessimo o indifferente, ma almeno leggiamolo bene e giudichiamolo per quello che dice. (…) Non c’è niente in questi paragrafi che sia eretico od opposto alla pratica corrente della Chiesa».

da Tempi.it





[Modificato da Caterina63 27/10/2015 21:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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