Francesco Farri*
Con l’intervento dell’avvocato Francesco Farri prosegue la collaborazione del Centro studi Livatino (www.centrostudilivatino.it) tesa a illustrare i passaggi più significativi della riforma costituzionale e a sottolinearne i profili problematici, allo scopo di avvicinarsi alla scadenza del voto referendario avendo consapevolezza dei contenuti delle modifiche, e lasciando da parte gli slogan.
Negli ultimi mesi, si sono levate, anche dall'estero, molte voci provenienti dal mondo dell'economia, della finanza, dei social networks e, da ultimo, anche della diplomazia, le quali hanno dipinto la riforma costituzionale italiana come ultima chance per il salvataggio del sistema Italia. Per converso, il presidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, ha denunciato che «la modifica della Costituzione serve alle multinazionali, alle banche, alla finanza», a scapito degli interessi dei cittadini italiani. Di chi fidarsi?
Importanti indicazioni giuridiche per la risposta possono trarsi in quello che, a riforma approvata,diverrebbe il nuovo articolo 72, comma 7 della Costituzione. Nel cervellotico quadro dei nuovi procedimenti legislativi, la nuova Costituzione ne introduce uno per cui il governo, «indicando» un disegno di legge come «essenziale per l'attuazione del programma di governo», può in sintesi ottenere dalla Camera la definitiva approvazione delle proprie proposte entro tre mesi (giorni 5 + 70 + 5 + 15), prorogabili di due settimane in casi di particolare complessità. Potrebbe osservarsi: è giusto che in certi casi sia riconosciuta al governo una corsia preferenziale in Parlamento!
Vero, ma è essenziale l’individuazione di tali casi e degli strumenti utilizzabili nella corsiapreferenziale. I Costituenti avevano ben previsto l'esigenza di una corsia preferenziale per il governo (il decreto legge), ma avevano stabilito precisi limiti (effettiva ragione di straordinaria necessità e urgenza) e conseguenze (responsabilità del governo e perdita di efficacia fin dall'inizio del testo normativo in difetto di conversione entro sessanta giorni) della percorrenza di essa.
E il nuovo art. 72, comma 7? Esso non prevede né apprezzabili limiti di utilizzo, né conseguenze.L'estrema vaghezza dei termini utilizzati (la essenzialità «per l'attuazione del programma di governo» appare un concetto squisitamente politico e, come tale, pressoché insindacabile) e l'àmbito estremamente ristretto delle esclusioni da tale procedimento previste in Costituzione (al regolamento della Camera si rinvia, infatti, per la sola disciplina procedimentale) lo rende sostanzialmente versatile ad ogni uso, ma anche ad ogni abuso da parte del governo, cosa che invece la Corte Costituzionale garantiva fosse esclusa per il decreto legge. Quanto alle conseguenze, appare evidente che - rispetto alla disciplina del d.l., che pure viene mantenuta - non è qui prevista la responsabilità del governo né la decadenza del testo normativo se i termini non sono rispettati.
E se è così, che funzione ha il nuovo art. 72, comma 7? Proprio questo è il punto. Infatti, sesapientemente combinato con l'utilizzo della questione di fiducia (senza la quale il meccanismo non funzionerebbe), esso permette al governo di "forzare" con un blitz il legislatore ad attuare il progetto presentato dal governo stesso ottenendo i seguenti “benefici”: (1) minimizzazione della discussione parlamentare e sacrificio della tutela delle minoranze, garantite dal normale iter legislativo; (2) aggiramento delle tutele di cui è circondato il decreto legge; (3) sostanziale impedimento di ogni mobilitazione contro l'iniziativa governativa da parte dell'opinione pubblica, che in tre mesi farebbe appena in tempo ad avere notizia di quello che sta succedendo nelle segrete stanze.
Chi può, al giorno d'oggi, avere interesse a conseguire “benefici” di questo tipo? Volendo tralasciare le ipotesi più radicali, la risposta appare semplice: si tratta dei gruppi d'interesse che, operando al di fuori del circuito di legittimazione democratica e dall'humus dell'opinione pubblica nazionale, necessitano tuttavia del supporto normativo per attuare i propri interessi. Si tratta, in altre parole, di quelle che oggi sono indicate come "lobby". Per definizione, esse si trovano spesso nella condizione di poter influenzare (e "ricattare" politicamente) singole persone (come, ad esempio, quelle che siedono in un governo), ma molto più difficilmente esse si trovano in condizione di poter direttamente "ricattare" istituzioni come un Parlamento nazionale o una Corte Costituzionale.
E ciò è vero specie in Italia, dove il sistema costruito dai Costituenti si è mostrato estremamentegarantista per gli interessi del popolo sovrano e ha creato una coscienza collettiva forte, matura e capace di mobilitarsi e opporsi con vigore a iniziative che ha trasversalmente percepito come estranee all'interesse del Paese. Ecco che il nuovo meccanismo legislativo dell'art. 72, comma 7, magicamente, fornisce il grimaldello che alle lobby mancava per annidarsi stabilmente nella legislazione italiana. Con esso, infatti, il governo non ha più alibi: esso può far digerire al Parlamento quel che vuole, senza lacciuoli e prendendo in contropiede ogni forma di rilevante reazione dell'opinione pubblica.
Con esso, si crea un efficacissimo trait d'union tra persone fisiche del governo ("ricattabili" dallelobby) e Parlamento (non direttamente "ricattabile" dalle lobby, ma "ricattabile" dal governo tramite voto di fiducia), che non permetterà al governo di sottrarsi dal cappio che le lobby facilmente possono porgli al collo. La ricattabilità di un primo ministro che voglia salvare la poltrona diverrà la ricattabilità dell'Italia.
Come brandito dai sostenitori di progetti di legge invisi a larga parte dell'opinione pubblica, con ilnuovo sistema legislativo una drastica riduzione delle pensioni al pari di una legge Scalfarotto, una privatizzazione del sistema sanitario al pari dell'eutanasia per i bambini, potranno esser legge quasi di nascosto, senza che il corpo elettorale faccia in tempo ad accorgersene e organizzare manifestazioni di opposizione. Il nuovo procedimento legislativo incarna la logica del fatto compiuto e la logica del sotterfugio, molto più e strutturalmente più di quanto avvenga adesso. Con esso, si istituzionalizza una forma di blitz legislativo che solo le lobby possono avere interesse a sfruttare. La riforma del procedimento legislativo è la pesante ipoteca delle lobby sui valori e sugli interessi dell'Italia.
Riallacciandosi alla domanda iniziale, quindi, può dirsi che sia i finanzieri stranieri sia il presidenteMaddalena abbiano ragione. Di chi fidarsi, dipende dagli interessi che vogliono tutelarsi: se vogliono tutelarsi gli interessi delle lobby della finanza e delle colonizzazioni ideologiche, la riforma costituzionale è lo strumento migliore. Ma tali interessi contrastano strutturalmente con gli interessi dei cittadini e con i valori della nostra Repubblica. E se vogliono salvaguardarsi gli interessi e i valori degli Italiani, allora una riforma costituzionale di questo tipo merita di esser spazzata via senza residui. E senza rimpianti: solo con un gran sospiro di sollievo.
*avvocato del Centro Studi Livatino
VERSO IL REFERENDUM/2
Non riduce i costi della politica, colpisce l’autonoma degli enti territoriali, innesca pericolosi conflitti istituzionali, riducendo al lumicino il ruolo legislativo del Senato. Da qui un’involuzione autoritaria che si produrrà con una riforma costituzionale che concentra tutto il potere nel governo. Lo dice Mauro Ronco è presidente del Centro studi Livatino e ordinario di diritto penale all’Università di Padova, nel primo di una serie di interventi sulla riforma costituzionale.
di Mauro Ronco*
La riforma costituzionale sottoposta a referendum nei prossimi mesi si presenta come diretta a 1) superare il bicameralismo paritario; 2) ridurre il numero dei parlamentari; III contenere il costo di funzionamento delle istituzioni; IV) sopprimere il Cnel e V) revisionare il titolo V della parte II della Costituzione, relativo agli enti di autonomia territoriale.
1. Profili demagogici della riforma. - Alcuni obiettivi indicati nel titolo del testo di legge appaiono di natura prevalentemente simbolica, non trovando riscontri puntuali nel tessuto normativo. Ciò vale in modo particolare per il tema relativo al contenimento dei costi della politica, che non è direttamente preso in considerazione dalle nuove disposizioni normative ed appare quasi un pretesto per la presentazione demagogica della legge. Anche la soppressione del Cnel, pur auspicata da molti, non sembra incidere in modo significativo sui costi della politica.
2. Il carattere pletorico e sovrabbondante del testo. - Il testo si presenta pletorico e sovrabbondante. La Costituzione, come legge fondamentale del Paese, deve limitarsi a dire l’essenziale in ordine alla composizione, ai poteri e al funzionamento degli organi che presidiano la vita politica e amministrativa dello Stato. L’essenzialità esprime in modo chiaro le caratteristiche dell’ordinamento, lasciando spazio alle consuetudini costituzionali che plasmano a poco a poco il tessuto normativo destinato a reggere il funzionamento degli organi supremi dello Stato. La riforma, invece, scende nel dettaglio della regolamentazione, soprattutto in tema di formazione delle leggi, rischiando di provocare conflitti interpretativi e politici tra la Camera dei Deputati e il Senato, con probabili ricadute sulla conformità costituzionale delle leggi per vizi procedurali nell’iter di formazione.
3. La degradazione del Senato. - La riforma del Senato è criticabile per più aspetti. Più che di riforma,sembra corretto parlare di degradazione del Senato. Ciò soprattutto per le modifiche degli articoli 78, 79, 80 e 94 della Costituzione. i) Il nuovo art. 78 prevede che lo stato di guerra sia dichiarato dalla sola Camera dei deputati; II lo stesso vale ai sensi del nuovo art. 79 per le leggi che contemplano l’amnistia e l’indulto; III) il nuovo art. 82 sottrae al Senato il potere generale di disporre inchieste su materie di pubblico interesse, ammettendolo per le sole materie concernenti le autonomie territoriali. IV) Il nuovo art. 94 riserva alla Camera il potere fondamentale di concedere o revocare la fiducia al governo. In questo modo il Senato è sostanzialmente escluso dall’esercizio effettivo dei poteri costituzionali.
I poteri del Senato sono ridotti al lumicino anche per quanto attiene all’approvazione delle leggi dibilancio e di rendiconto consuntivo presentate dal governo, posto che al Senato sono riservate soltanto “proposte di modificazione ai disegni di legge” che importano nuove e maggiori spese nel breve termine di quindici giorni dalla trasmissione dei disegni di legge approvati dalla Camera dei Deputati (cfr. il nuovo art. 70 terz’ultimo comma della Costituzione). Il Senato è così sostanzialmente escluso anche dal controllo del bilancio dello Stato.
4. L’incongrua composizione e l’inaccettabilità delle modalità di elezione dei senatori. - La degradazione del Senato è evidente anche alla luce della sua composizione e delle modalità di elezione dei suoi componenti. I senatori, in numero di 95 (è prevista la facoltà del Capo dello Stato di eleggere 5 senatori, non più a vita, ma per la durata di sette anni), non sono eletti direttamente dal corpo elettorale, bensì dai Consigli regionali tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascun Consiglio, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Inoltre, la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, con evidenti effetti di instabilità per quanto riguarda la vita dell’organo.
In questo modo: I) la riduzione drastica dei poteri, II) l’elezione di secondo grado e la perdita di unrapporto diretto con l’elettorato; III) il collegamento funzionale e temporale del singolo senatore con la carica rivestita in sede locale fanno di quest’organo un elemento meramente esornativo del quadro costituzionale. Il Senato così costituito, lungi dal rappresentare la più alta e autorevole istanza costituzionale, non potrà non subire un’involuzione in una di queste due direzioni, entrambe contrarie al buon andamento della funzione di direzione politica dello Stato. Il Senato diventerà o un ente inutile, simile al Cnel, perché privo di poteri politici effettivi, come capitava all’ente soppresso; ovvero diventerà un organo generatore di conflitti e di contestazioni dell’operato della Camera, come ritorsione pseudo-politica di un corpo politico degradato.
5. La perdita di rappresentatività e di autorevolezza. – La degradazione del Senato concerne anche idue profili fondamentali della rappresentatività e della competenza ed autorevolezza dell’organo. In ogni ordinamento di epoche passate o negli altri Stati contemporanei, la Costituzione si è sempre preoccupata di individuare una Camera alta, cui spettasse pronunciare le parole più autorevoli nei momenti di crisi e le decisioni più difficili che si presentano nel corso della vita statale. Per soddisfare questa esigenza la scelta dei componenti di tale organo ha fatto leva o sulla sua capacità di rappresentare entità omogenee, territoriali o professionali che hanno rilievo nella società civile, ovvero sull’autorevolezza politica, scientifica e professionale dei suoi componenti. La riforma, rinnegando entrambi i criteri, prevede un Senato impotente e dequalificato.
6. L’involuzione autoritaria. - La degradazione del Senato ha un significato politico involutivo di segno autoritario, provocando la concentrazione del potere nel blocco che si verrà a costituire tra il Governo e la Camera dei Deputati, sempre più controllato dalla maggioranza parlamentare, anche se ridotta e non rappresentativa, né qualitativamente né quantitativamente, dell’intero corpo elettorale. Come si è potuto constatare con riferimento all’intera storia costituzionale della Repubblica, il Senato ha esercitato spesso un ruolo equilibratore nello scenario costituzionale.
É vero che il bicameralismo paritario ha attirato frequentemente le critiche degli studiosi per laduplicazione di identiche funzioni, nocivo soprattutto sul piano del procedimento di formazione delle leggi. Ma il testo della riforma non incide primariamente su questo versante, poiché l’attuale art. 70 prevede, oltre alla competenza concorrente di Camera e Senato per alcune materie, altresì che ogni disegno di legge approvato dalla Camera sia trasmesso al Senato. Questo, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo, deliberando proposte di modificazione del testo. La riforma è rilevante soprattutto sul piano politico, poiché il Senato è integralmente estromesso dal circuito della fiducia che deve intercorrere tra il Governo e il Parlamento, ed è privato dei più significativi poteri che spettano a un organo costituzionale dello Stato.
7. La riforma delle autonomie territoriali. - Anche la riforma apportata al Titolo V in ordine alleautonomie territoriali presenta una forte accentuazione centralistica. Ciò in forza soprattutto della modifica radicale degli artt. 117 e 119 Costituzione. La prima modifica incide sulla potestà legislativa, con la soppressione della potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni e con la previsione che la legge dello Stato può intervenire, su proposta del governo, anche in materie non riservate alla sua legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale. L’art. 119 apporta modifiche sull’autonomia finanziaria delle Regioni nel campo delle entrate e delle spese. L’autonomia regionale è formalmente rimasta, ma il nuovo art. 119 prevede che essa si attui “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci”, concorrendo ad “assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.
Il Titolo V della seconda parte della Costituzione, concernente le autonomie territoriali, meritavacertamente, dopo la disastrosa riforma adottata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di essere completamente ripensato allo scopo tanto di ridurre il contenzioso tra Stato e Regioni nelle materie coperte dalla potestà legislativa concorrente, quanto di coordinare i bilanci regionali ai vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea.
La riforma, tuttavia, si è mossa con l’obiettivo di realizzare un accentramento essenzialmente in odiodelle autonomie locali. Nessun serio confronto è stato aperto sul tema fondamentale della compatibilità tra il sistema delle autonomie territoriali, il sistema statale e il complesso ordinamento dell’Unione Europea. Di questo tema cruciale non v’è traccia nel testo riformato, quando è evidente lo squilibrio generato dalla sovrabbondanza dei poteri dell’Unione Europea, che schiaccia l’autonomia dello Stato e ancor più delle Regioni.
* presidente Centro Studi Livatino, ordinario di Diritto penale all’Università di Padova