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"NON voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Gesù) Piccole perle preziose

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2010 11:33
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Amici e cari Sacerdoti....in questo thread verranno postati le riflessioni di amici e che davvero possano essere per noi laici e per voi Sacerdoti, piccole perle preziose da far fruttare....


" Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga " Gv. 15,16

Siamo a migliaia di generazioni distanti secoli da questa “elezione”, ed essa, tuttavia, continua… Forse non ce ne rendiamo conto, ma è un’elezione che sfronda ere successive di uomini, evocati alla vita dal Padre e chiamati ad essere a loro volta chiamanti e portatori di vita.
C’è qualcosa di meraviglioso in questo “secondo parto”, una ri-generazione che trasforma il chiamato ad “essere per gli altri”, ad annullarsi perché gli altri crescano nella vita orientata alla Vita. Quando un giovane mi parla di “chiamata”, mi vengono i brividi.

Lo immagino intento a fare le cose di sempre fino a quando, una Voce, un refolo di “vento leggero” gli sussurra qualcosa e lui non è più lo stesso di un attimo prima. Lì incomincia il “timore e tremore”, il chiedere “chi sei?”, “ho capito bene?”. Non è né più né meno la sensazione di un innamoramento, ma con qualcosa di più struggente, perché l’Amato si cela e chiede di essere cercato. L’Amore usa l’esca dell’amore e chi abbocca è pesce per un attimo: subito dopo si trasforma in pescatore.

Impara, allora, ad andar per il mare del nostro tempo, a riconoscere venti e bonaccia, impara parole antiche e sempre nuove, impara ad amare l’universale umano e non il particolare, senza che il particolare si smarrisca in quest’amore dallo spettro assai ampio. Molte cose deve imparare il chiamato, ma la grazia dell’elezione lo sostiene.

Se dovessi implorare una grazia per lui, direi semplicemente: “Signore, dagli il senso del peccato”. Sembra una richiesta strana, ma il mio maestro mi diceva che solo i santi possiedono il senso del peccato: ecco perché ne avevano schifo. Di questi tempi, si è secolarizzato anche il peccato, si è banalizzato il male come una comune debolezza antropologica che chiede solo di essere compresa e sopportata. Nessuno parla più di combattere il peccato, nessuno si stupisce più di certi peccati, anzi! Certa stampa da spiaggia offre estivi manuali di trasgressione, tutto è ridotto ad una misera riduzione di bisogni e necessità tutt’altro che nobili.

Se dovessi implorare una seconda grazia per lui, gli direi di rispolverare il confessionale e trasformarlo nella sua prima casa di misericordia e d’ascolto. Gli consiglierei di tornare a quel coraggio con cui chiamare peccato il peccato e dare ad ogni realtà il suo vero nome. Gli direi di usare dolce intransigenza col peccatore e di sedurlo con l’attesa della grazia riconciliante, di fargli desiderare Dio più del peccato e la Sua pace più della propria.

Lo andrei a trovare spesso, il mio prete, portandogli in dono i miei peccati, la mia povertà, i miei bisogni: parlerei con lui come se stessi parlando con Dio, senza vergogna, con quella smisurata spudoratezza dei figli deboli e bisognosi dell’amore che corregge e guida, che carezza e che consola.
Aspetterei con ansia liberatrice quel segno di croce che fende l’aria e, come una spada, distrugge le mie malefatte rimettendomi nel mondo dei vivi e non in quello dei morti nel peccato
.
E, naturalmente, continuerei a pregare per lui.

Chisolm

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dall'Amico Chisolm  1.6.2002

Il mistero eucaristico55x111:
sapete bene, amici miei, quanto questa realtà sia segno di separazione e di incomprensione con altre confessioni.

Il nodo da sciogliere è la presenza reale di Cristo in un pezzo di pane. 
Da bambino, al catechismo, mi arrovellavo per cercare di capire, con la tenacia dei piccoli, come ciò fosse possibile. Come faceva un uomo grande e grosso come Gesù a stare in un dischetto di ostia? Confesso che ci pensavo anche nel momento in cui ricevetti la mia prima eucarestia, e il parroco dovette notare il mio sguardo pensoso, tanto da richiamarmi alla cerimonia...
Teologo inguaribile fin da piccolo!

Quando l'ostia si sciolse nella mia bocca, mi sentii sazio, di una sazietà che non mi fece toccar cibo al pranzo che seguì. Mia madre pensò all'emozione, ma il mio stomaco, era veramente pieno di un non so che. Con gli anni che seguirono, si diradò questa sensazione di bisogno-sazietà tanto che, come tanti adolescenti, lasciai l'eucarestia alle mie spalle. Poi, non so come, non so perché, tornò quella specie di fame, quel gorgogliare dell'anima che brontola come uno stomaco affamato.
Tornai a mangiarne e tornò la sazietà. Passarono altri anni e, misteriosamente, passai ad una prospettiva diversa da quella infantile che si chiedeva per come e perché.

Decisi di rinunciare a portare nella mia mente quel processo oscuro e grande, per tuffarmici io, gettarmici dentro e smettere coi perché. Allora, da quel momento, quando la mia anima brontola come il mio stomaco, capisco che è l'ora della Cena, che è l'ora in cui, anche se solo per un secondo, il mio corpo e il mio spirito crescono alimentati simultaneamente, l'uno dai carboidrati presenti nel pane, l'altro da Cristo che si accomoda nella comoda poltrona (un pò consumata) della mia anima.

Passiamo qualche minuto di intimità, io ai Suoi piedi e Lui che mi carezza il capo: non ci diciamo niente di più di quello che ci dicevamo quando ero bambino. Egli riconosce nel mio silenzio, uguale a quella tenace ed infantile superbia che voleva cogliere il Suo mistero, il più fitto dei dialoghi, la più personale delle comunicazioni, il più assurdo degli amori, quello che crede senza vedere, che spera senza uno straccio di certezza, che ama anche quando è difficile farlo.

Sento il Suo sguardo, ascolto il Suo silenzio, percepisco il tocco della Sua mano.
"Ecco, io sono con te, tutti i giorni, fino alla fine del mondo...".
Vorrei rispondergli: "...anch'io, Signore, sarò con te tutti i giorni" ma le senzazioni sono finite, le promesse si fanno incaute, le parole interiori quasi guastano quel silenzio magnifico che si era stabilito tra noi due. Allora, mi accorgo che la poltrona sulla quale si era accomodato è vuota: rimane solo un segno.

Tutto questo, dura per il tempo che l'ostia esaurisce la sua materialità: poi, guardando alla poltrona vuota e un po' consumata della mia anima, capisco che non se ne è andato. Si è semplicemente alzato e si è messo al lavoro con me ed è, allora, come se io non vivessi più nella solitudine disgraziata, nella falsa autonomia, ma nella più dolce delle democrazie nella quale, io, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, ci interpelliamo sempre prima di decidere il da farsi nell'ordinaria fatica di un giorno nuovo, magnifico e benedetto...
Vi invio il mio sorriso un pò stanco e la certezza che il Signore farà risplendere su voi e sui vostri cari lo splendore del Suo Volto...

Chisolm


   Corpus Domini  

                              





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Dall'Amico Chisolm [SM=g1740738]


e il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare
l'alba dentro l'imbrunire. …
(Prospettiva Nevski – F. Battiato)

E’ una canzone che amo molto, soprattutto nella versione di Alice. Questo verso di chiusura mi ha sempre fatto riflettere, soprattutto se lo collego agli insegnamenti del mio maestro di teologia morale.
Con lui avevo un rapporto non solo scolastico ma, direi, discepolare. Capitava spesso che, nel chiostro della nostra Alma Mater ci si incontrasse e si scambiassero due parole. Lui aveva il dono del discernimento degli spiriti e non gli si poteva nascondere nulla. Un pezzo della mia vita stava naufragando malamente, qualcosa di brutale e immeritato mi stava capitando e io nascondevo tutto dietro una maschera.

Facevo finta che tutto andasse benone ma, in realtà, meditavo seriamente di abbandonare gli studi teologici che mi erano stati tanto cari. Dio si stava rivelando per me un perfetto sconosciuto, tanto che provai ad invertire le cinque vie di San Tommaso per sostituirle con le mie equivalenti elucubrazioni sulle prove della non-esistenza di Dio.

Il dolore rende cattivi, quando non è compreso come “atto redentivo”, tanto da sollecitare chi lo prova a causare altro male in una negativa catena di Sant’Antonio. Ecco, io desideravo fare il male per rispondere a quello che stavo subendo, un po’ come quello che mi diceva mia madre da bambino: “Se litighi con qualcuno e le prendi, le prendi anche da me…”. Insomma, “chi mena per primo mena due volte”, questo il senso della mia ricerca del male.

Avevo contattato diversi sacerdoti per raccontare loro la mia storia ed avere quel minimo conforto che avrebbe potuto aiutarmi. Non so perché Dio me li fece incontrare, dal momento che tutto fecero meno che farmi riflettere sul dolore come “atto redentivo”. Erano sacerdoti colti, e ogni loro spiegazione dei fatti verteva sull’aspetto antropologico, sociologico, psicologico, emotivo, razionale.

Quel che mi stava capitando era la verifica statistica di un caso come molti, verso il quale la cosa importante era non farsi troppe domande e voltare pagina, tanto Dio avrebbe capito. Confesso che ero attratto dalla modernità di questi preti, dalle loro parole precise e misurate come quelle di un medico, dal loro sorriso di chi conosce il mondo e sa quali consigli dare. Ma sentivo che c’era qualcosa di stonato.

Lasciai gli studi e vissi per alcuni anni in uno stato vegetativo, fatto di niente, quell’ozioso nulla riempito da psicofarmaci. Interruppi la mia vita di fede, pago della mia ricerca sulla non-esistenza di Dio.

Ma un giorno, ecco che in una passeggiata vagabonda attorno alla mia vecchia Alma Mater (come un ladro si torna sempre sul luogo del delitto…) mi capita di incontrare quel vecchio Padre e Maestro.
Lui intuisce subito che c’è qualcosa che non va e mi invita nel chiostro a parlare un po’: io lo seguo senza convinzione e, dopo un secondo, gli sciorino addosso tutti i miei guai.
Lui mi dice, dopo avermi ascoltato, di terminare gli studi, e me lo dice con un moto di rimprovero.

Io gli rispondo: “Ma studiare chi? Dio? Ma se non lo vedo?”
Ricordo, con dolcezza immutata, la sua risposta che meditai a lungo:
“Non lo vedi? Allora fa come il girasole che segue il sole ruotando su se stesso per non perderlo mai di vista…”
A fatica, dopo circa un mese, mi iscrissi di nuovo fuori corso e, quando capitava, ripresi i miei colloqui con lui, fino a giungere alla laurea della quale fu secondo relatore.

Quel giorno, la gioia sul suo viso era più grande della mia.
Le sue lezioni sono un qualcosa di indimenticabile: imparai che il dolore è qualcosa che, fino a quando non la si percepisce, lega insieme elezione e passione.

Non so quanti generazioni di preti abbia formato, con quali risultati, ma posso immaginarlo: preti disposti ad ascoltare e a far intravedere nel dolore il disegno misterioso di Dio, non certo preti psico-sociologi incapaci di credere per primi ciò che dovrebbero insegnare.

Se c’è il buio, questi preti moderni ti dicono di accendere la luce.
Il mio maestro, invece, mi insegnò a cercare l’alba dentro l’imbrunire…

Grazie padre D. e arrivederci…

Chisolm


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/06/2009 14:30
 
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Riflessione di un anno fa con testo dell'OR

Luglio 2008

"Noi siamo gli eredi degli apostoli - ha ricordato il Papa Benedetto XVI a Verona - di quei testimoni vittoriosi! Ma proprio da questa constatazione nasce la domanda:  che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?".

Questa domanda esce con un editoriale domani sull'OR il quale tratta, naturalmente, del tema dell'uso di Internet e delle comunicazioni da parte dei cattolici.....ergo, ho trovato questo spunto molto interessante e idoneo per noi qui, per fare a noi stessi questa domanda e per proporci una evoluzione atta a dare qualcosa di concreto e positivo in questo campo dell'informazione.... Sorriso

Leggendo già da molto tempo Rinascimento Sacro, attingevo inizialmente da li molte informazioni interessanti sull'andamento proprio di ciò che possiamo oramai definire "programma del Pontificato di Benedetto XVI" legato, come ben sappiamo, alla riscoperta ed al valore della Sacra Liturgia....
NOI, dunque,  SIAMO GLI EREDI DEGLI APOSTOLI.....che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?"....e ci aggiungerei: NE SIAMO CONSAPEVOLI?
 Occhiolino

traggo ancora dal testo sopra citato:


Del resto, "la fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico dell'angoscia e della forza dell'incredulità e l'attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca"
Con queste parole, l'allora cardinale Ratzinger indicava la dimensione testimoniale che il progetto culturale, qualunque ne sia la figura, debba necessariamente assumere. Una testimonianza distante dalle alleanze che rassicurano, come dalle nebbie nefaste degli apocalittici. Piuttosto un farsi balsamo e cura per le ferite dell'uomo contemporaneo che è chiamato a ricomprendersi proprio a partire dalle categorie della cultura nella quale vive e di cui è insieme figlio e padre. "Ogni uomo è inserito in una cultura, da essa dipende, su di essa influisce. Egli è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso. In ogni espressione della sua vita, egli porta con sé qualcosa che lo contraddistingue in mezzo al creato:  la sua apertura costante al mistero e il suo inesauribile desiderio di conoscenza. Ogni cultura, di conseguenza, porta impressa in sé e lascia trasparire la tensione verso un compimento. Si può dire, quindi, che la cultura ha in sé la possibilità di accogliere la rivelazione divina".


Una vera e sana testimonianza di questa eredità apostolica che ci portiamo dentro PER GRAZIA DI DIO, non deve mai essere interpretata come una realtà che si pone contro le altre culture, al contrario, essa deve essere sempre offerta da noi quale LUCE CHE ILLUMINA chi è alla ricerca..... la Verità NON si pone mai contro qualcuno, semmai contro lo spirito delle tenebre che vuole oscurare la Verità Occhiolino di conseguenza le persone che CERCANO e che cercano in modo onesto, debbono poter TROVARE attraverso la nostra testimonianza ciò che la loro stessa cultura pone nella affannosa ricerca di Dio.... Sorriso


conclude il testo dell'OR

Un magistero, quello della Chiesa, un dinamismo, quello del progetto culturale, che ha come criterio normativo l'evento dell'incarnazione, fulcro dell'inculturazione del vangelo da parte dell'apostolo Paolo.
La verità del vangelo e dell'uomo dunque, pur incarnandosi in ogni cultura, rimangono sempre eccedenti rispetto a esse e mai si identificano con esse. Come già annunciava Paolo VI, "
il vangelo, e quindi l'evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il regno, che il vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna.
La rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture
".

Sappiamo che oggi molti osservatori mostrano segni di difficoltà e nodi critici ma appunto "non credo che ci sia mai stata un'età d'oro della fede", nel senso che è proprio dell'annuncio della fede cristiana affrontare situazioni di complessità e di difficoltà.
Possiamo dire che si tratta di una vera e propria missione quella di occuparci della cultura dentro l'attuale contesto fortemente definito dal sistema dei media. Per tale motivo "tutti i figli e le figlie della Chiesa devono dunque prendere coscienza della loro missione e scoprire come la forza del Vangelo può penetrare e rigenerare le mentalità e i valori dominanti che ispirano le culture come anche le opinioni e gli atteggiamenti mentali che ne derivano".

Dobbiamo anche precisare che "inculturare il vangelo non è ridurlo all'effimero e al superficiale che caratterizzano l'attualità mutevole. È al contrario, con audacia tutta spirituale, inerire la forza del lievito del vangelo e la sua novità, più giovane di ogni modernità, nel cuore stesso dei sommovimenti del nostro tempo, per far nascere nuovi modi di pensare, di agire e di vivere".

******

è necessario dunque che ci poniamo la domanda:

NOI, dunque,  SIAMO GLI EREDI DEGLI APOSTOLI.....che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?"....e ci aggiungerei: NE SIAMO CONSAPEVOLI?

e su questo darci da fare.....sia laici che sacerdoti o consacrati...ma maggiormente ai consacrati, ai sacerdoti chiediamo di RISCOPRIRE O RITROVARE LA PROPRIA IDENTITA' CATTOLICA attraverso il cui ritrovamento dipende in parte anche la nostra identità di Laici nel puro significato del termine...
 Occhiolino


Fraternamente CaterinaLD

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Forte Apostolo della Verità: Mons. Pier Carlo Landucci

di Paolo Risso

Suo padre, avvocato Tito, era pretore. Sua madre una distinta signora. Entrambi di origine

toscana. Il loro figlio,
Pier Carlo, nacque a S. Vittoria in Matenano (Ascoli Piceno), dove

il padre esercitava la sua “magistratura”, il 1° dicembre 1900, e fu portato al battesimo,

con il nome di Pier Carlo, il giorno di Natale successivo.

Quel giorno, mentre ricordava la nascita del Signore, la Chiesa accoglieva nel suo grembo

uno dei figli che più l’avrebbero amata, servita e difesa. A cinque anni, Pier Carlo

Landucci, rimane orfano del padre e, con la mamma, Teresa Naldini e un fratellino più

piccolo, si stabiliscono a Firenze. La fede lo sostiene e ne fa un giovane di singolare

dedizione a Gesù, purezza di vita e coraggio

L’ingegnere diventa prete

È un piccolo genio: vivace, rigoroso, intelligentissimo e studioso. A soli 17 anni, già consegue la licenza liceale al “Galilei” di Firenze e con una media altissima e inizia a frequentare Ingegneria civile all’Università di Pisa, poi, dal 1919, stabilitosi a Roma, alla “Sapienza” dove si laurea il 31 luglio 1923. Per provvedere alle sue necessità, ha già cominciato ad insegnare matematica al Ginnasio-liceo S.Appolinare. Ha un ottimo direttore spirituale nel gesuita P. Garagnani, grazie al quale perfeziona la sua formazione cristiana, con un intenso amore a Gesù Eucaristico, alla Madonna e al Papa, iscrivendosi alla “Congregazione Mariana” della “Scaletta” presso S.Ignazio. Si avvia ormai a incentrare la vita in Gesù solo.

Nel 1923, presta servizio militare come ufficiale nell’Arma del Genio, ma l’anno successivo è già docente di matematica alla Scuola Agraria di Cagliari. Presto rimane privo anche della mamma amatissima. Sempre più conquistato da Gesù, matura la vocazione al sacerdozio, cercando nella preghiera prolungata, di averne la certezza. Il 26 luglio 1926, il brillante ingegnere e professore lascia tutto e entra nel Seminario Romano, dove compie studi teologici seri e austeri e alimenta un’intensa intimità con Dio, sostenuto dall’affidamento continuo di sé e delle sue opere alla Madonna. Il 25 maggio 1929, è ordinato sacerdote. Seguono la licenza (22 novembre 1929), poi la laurea in teologia (8 luglio 1930).

Nominato nel 1930, rettore della chiesa del “Corpus Domini”, dove c’è l’adorazione eucaristica quotidiana, e nel medesimo tempo, “minutante” alla Congregazione dei Seminari, don Pier Carlo si distingue per il suo straordinario amore all’Eucarestia e per le luminose capacità di confessore e di direttore spirituale: molte persone si affidano alla sua guida. Assai apprezzato dalle Autorità della Chiesa, nel 1935, è nominato Rettore del Pontificio Seminario Romano minore (Ginnasio-liceo), trovandosi a dirigere circa 250 persone tra allievi, professori e assistenti. L’anno dopo, è chiamato al Seminario Romano maggiore come direttore spirituale. Il Cardinal Vicario Marchetti Selvaggiani, presentandolo agli allievi del “Maggiore”, dichiara apertamente: “Vi porto il più dotto e il più santo dei sacerdoti che ho a Roma”. Ha soltanto 36 anni.

La disponibilità totale, la preparazione e l’impegno, la dottrina rigorosa e densa, l’umiltà e l’amabilità, la luce che diffonde nelle anime, lo rendono singolarmente autorevole, ascoltato, amato e ricercato come maestro e padre. Tra i suoi allievi, diversi salirono ai vertici della chiesa (come il futuro Card. Pietro Palazzini), mentre il “capolavoro” della sua direzione spirituale in quegli anni è il chierico Bruno Marchesini (1915-1938), di Bologna, che Mons. Landucci conduce alla santità. Dopo la morte ne sciverà la biografia (“Verso l’altare”, Roma, 1941): oggi Bruno è avviato alla gloria degli altari.

Nonostante tanta irradiazione, nel 1942, è costretto a ritirarsi in umiltà, povertà e silenzio in un piccolo appartamento di due stanzette presso le suore di Namur, nella clinica “Madonna della Fiducia”. Potrebbe essere “la notte oscura” dell’anima, invece è l’inizio di una straordinaria missione che lo porrà in modo eccezionale come lampada sul candelabro.
Attingiamo dal volumetto del Card. Palazzini, dal titolo; ”Mons. P.C. Landucci, maestro, guida e padre. (L.D.C., Torino, 1990) e dagli scritti dello stesso protagonista, che abbiamo potuto avere, come tesoro prezioso.

Rimanendo canonico Lateranense, ma libero da altri impegni, Mons. Landucci si dedica alla predicazione de esercizi spirituali al Clero, ai Seminari e agli Studentati religiosi, ai laici dell’Azione Cattolica, viaggiando anche per l’Italia, fino in Svizzera e a Malta. Si dedica pure al preziosissimo ministero delle Confessioni e della direzione spirituale, in primo luogo dei sacerdoti. Tiene molti corsi di esercizi anche ai Vescovi, raccomandato loro dalla Congregazione dei Seminari. Ogni anno, alla Verna, predica uno speciale corso di esercizi agli Ordinandi, con grande entusiasmo dei giovani medesimi. E’ così buono, che lui, pur non avendo un reddito sicuro, giunge a pagare di tasca sua le spese a giovani o preti poveri, purchè possano partecipare agli esercizi, come allo stesso modo, sacrificando del suo, sostiene confratelli in difficoltà. Chi ha avuto la grazia di avvicinarlo, riconoscerà per sempre che è stato “l’angelo del sacerdozio”.

 

Sentinella della fede

Contemporaneamente porta avanti un’intensa attività di scrittore come apostolo e difensore della Verità del Credo Cattolico, in un tempo che con il passare degli anni, appare spesso sconvolto da sbandamenti dottrinali e disciplinari. Dei suoi numerosi libri, citiamo solo alcuni assai significativi: Maria SS. nel Vangelo (Roma, 1944), Esiste Dio (Assisi, 1948) Il mistero dell’anima umana (Assisi, 1952), Cento problemi di fede (Assisi, 1953) La sacra vocazione (Roma, 1955), Problematica della miscredenza e della fede (Roma, 1968), Il prete contestato (Roma, 1969), Seminaristi e preti (Brescia, 1970), La Verità sull’origine e sull’evoluzione dell’uomo (Roma, 1984).

Durante il Concilio Vaticano II, Mons. Pier Carlo Landucci viene scelto come “perito”: segue tutto con la massima attenzione e vigilanza. Proprio in quegli anni, comprende che il suo compito è quello di sentinella della fede, quindi dell’autentica teologia per segnalare in tempo gli errori, per ribadire, con la Chiesa, la Verità, l’unica Verità. Nelle parole e negli scritti, egli s’impegna a mettere il guardia contro le mine alle basi stesse della Fede, contro le deduzioni erronee di certa esegesi biblica, contro lo snaturamento dell’essenza e della pietà sacerdotale, contro le contraffazioni della formazione seminaristica.

La luce sommamente chiarificatrice, la sicurezza di Verità gli viene soltanto dalla sua vita concentrata in Dio , vissuta in totale unità con Cristo, nell’adorazione a Lui, dall’amore appassionato all’Eucarestia, che come sacrificio e Comunione, è il tesoro più caro, l’unico vero tesoro della sua vita sacerdotale.

“Quella sua Messa così raccolta e devota, quelle parole profonde, chiare, vitali, espresse con l’energia e la convinzione della verità fatta norma di vita, non le potremo dimenticare e il loro ricordo sarà per noi stimolo di santità – gli scrivono alcuni giovani ordinandi (maggio 1952). In coloro che lo ascoltano, rimane fortemente impresso il suo discorso sulla Passione e Morte di Cristo, proprio perché in certo pensiero contemporaneo in certi movimenti, egli vede e denuncia il rifiuto o la dimenticanza del Mistero centrale del Cattolicesimo, “la negazione di ogni colleganza ontologica, soprannaturale, meritoria tra la salvezza e l’immolazione di Gesù. Crolla la nozione fondamentale di redenzione, di riscatto, cardine della fede”. Così, “l’essenza della Messa come sacrificio è nettamente negata, perché le idee sacrificali sarebbero entrate nell’Eucarestia per condiscendenza alla mentalità pagana. È escluso così il Sacrificio incruento di Gesù sacramentalmente presente, e quindi è esclusa l’attualità sacrificale della Messa”.

 

Fama di santità

Sulla stessa linea, Mons. Landucci ha visto sgretolarsi il carattere sacro del sacerdote, come “alther Cristus”, quindi la sua stessa formazione in Seminario. Su questo tema, scende in campo con varie pubblicazioni: “La regola – scrive – deve restare il fondamento della vita dei giovani candidati al sacerdozio”, “invece oggi, l’uso e l’abuso della parola «carisma», è fatto senza alcuna distinzione, il che significa speculare sull’“equivoco””.

È impossibile seguire tutti gli argomenti affrontati da Mons. Landucci in campo dottrinale e pastorale, perché non c’è tema su cui nei libri e negli articoli su riviste come Palestra del Clero, Studi cattolici, Tabor, Renovatio, ecc. …, non abbia portato la luce della Verità andando spesso contro-corrente, convinto che “la sapienza cristiana non consiste nel nuovo che cambia, ma nel Vero che resta , quel vero che la chiesa da sempre ripete alle anime”. Quante sofferenze interiori, quante lacrime siano costato a Mons. Pier Carlo Landucci, il suo orientamento teologico e ascetico è facile immaginarlo, ma tutto avvolge nella preghiera e nella “riparazione trionfatrice”, di cui è maestro incomparabile.

“In ogni momento – scrive il Card. Palazzini nel volumetto citato (pp. 16-17) – dimostrò di conoscere l’angoscia e le povere esaltazioni di chi credeva che la Chiesa avesse inizio solo con il Concilio Vaticano II; le incertezze profonde fino allo smarrimento di chi, non solido nella teologia e non fermo nella preghiera, si sentiva stordito nel travaglio di tesi contrapposte. Medicò più di una di queste anime, assistè pazientemente anime turbate; riprese anche energicamente con l’energia cristiana dell’amore? E non fu mai tra gli equilibristi della teologia, i “prudentiores” a loro dire, che si barcamenano tra ideologie opposte. La Verità è una sola. Mons. Landucci prese posizione e con quella sua logica stringente andava fino in fondo. Era difficile contrabbatterlo, perciò si preferiva farlo tacere”.

Così, con questo stile, senza mai cercare la sua gloria, ma solo a difendere la Verità della fede e la santità delle anime, sino all’ultimo. La mattina del 26 maggio 1986, preparato da una vita di santità, improvvisamente và incontro a Dio, lasciando scritto nel suo breve intenso testamento:
Accetto e offro il dono della morte, in spirito di riparazione per me e di propiziazione per il Papa, la Chiesa e le anime”. Il Santo Padre Giovanni Paolo II, informato e vivamente commosso di questa offerta per lui, con lettera dell’11 novembre 1986, lo definisce “degno prelato” e “generoso ministro del Signore”.

Umili e dotti fedeli, sacerdoti, Vescovi e Cardinali sono concordi nell’attestare la fama di santità. Nel 1994, la sua salma dal Veramo è stata traslata alla chiesa di S.Giovanni Battista de Rossi. Si muovono i primi passi “affinchè il Signore voglia glorificare qui in terra questo suo Servo, a splendore e conforto dei sacerdoti, per il decoro della Chiesa e consolazione dei fedeli”.
Giovane ardente, ingegnere brillante, soprattutto maestro della fede e padre delle anime: don Pier Carlo Landucci attende la gloria degli altari.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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                                 giovani


                                L'EDUCAZIONE EUCARISTICA DEI GIOVANI


Nel Duomo di Milano si venera il Crocifisso che san Carlo Borromeo portò in processione nella peste del 1576.
La Cappella del Crocifisso è cara ai milanesi; e la devozione schietta e sincera ha una manifestazione eloquente nella quantità immensa di cuori d'oro e d'argento, che circondano l'effige venerata.

Siccome il numero di questi cuori era grandissimo, l'autorità ecclesiastica, alcuni anni or sono, permise che parecchi di essi servissero per fare un calice, che ogni giorno viene adoperato dal sacerdote, quando celebra a quell'altare.

Molte volte anch'io, sotto le arcate  splendide del Duomo, nella magnifica basilica che invita alla Preghiera, offro al mattino il Santo Sacrificio, dinnanzi al Crocifisso di san Carlo.

Ed in mezzo alla peste di errori e di vizi che ci circonda, quando alzo al Cielo quel Calice, non mi pare di avere fra le mie mani un metallo freddo e muto; mi sembra piuttosto di sentire il palpito , il fremito di cuori.

Ai sacerdoti vorrei lanciare un'idea.

Noi possiamo formare un calice più prezioso, più bello ancora.
Prendiamo NON già cuori di oro e di argento, ma i cuori dei nostri giovani e poniamo in essi il Corpo ed il Sangue del Signore. Noi li offriremo a Dio!
La voce giovanile si unirà all'inno del nostro animo sacerdotale.
E con noi canterà: Adoremus in aeternum Sanctissimum Sacramentum!

(episodio narrato da Mons. Fr. Olgiati
- Fior da Fiore - Fatti, aneddoti, spunti, episodi di attualità per rendere la Parola di Dio gradita ed efficace - del sacerdote Vincenzo Muzzatti - 1932 con Imprimatur e dedica alla Gioventù Cattolica )


 

UNA PREDICA DI SAN CARLO SUL GIUBILEO

(del card. Martini - Omelia in occasione del Giubileo della Redenzione, in pellegrinaggio a Roma con la Diocesi - 4.11.1983 Festa di san Carlo Borromeo)

Vorrei citare innanzi tutto una predica che san Carlo tenne per invitare a vivere pienamente il giubileo: «Grandissime grazie dobbiamo noi rendere a Dio e alla benignità di Nostro Signore che non cessa di continuamente invitarci alla penitenza, aprendoci egli stesso con ogni sorta di benignità le porte della divina misericordia, al fine che noi riconciliati, come quel figlio prodigo, con l'Eterno Padre, possiamo impetrare da Lui grazia che liberi gli altri nostri fratelli et noi medesimi, dalle forze degli infedeli, il che è stata la potissima e principale intenzione di Sua Beatitudine il Papa, a cui come potremo noi mancare di satisfare, avendo ci egli fatto così prezioso et inestimabile dono, com'è l'indulgenza plenaria dei peccati?»
(dall'Omelia in s. Maria Maggiore, in occasione del giubileo di Malta, anno 1565) .

San Carlo coglie, dunque, nell'indulgenza, il tesoro della misericordia di Dio, della conversione, del ritorno; e insieme coglie il senso ecclesiale e il rapporto col papa.
Anzi, sempre in questa omelia, giunge a cogliere, a un certo punto, il tema del corpo mistico legato al tema della croce.

Siamo nell'anno 1565, tre anni dopo la grande conversione, e già affiora il tema della croce, che prenderà sempre più corpo e vita nelle sue parole e nella sua esperienza di penitente: «Sibbene una sola stilla del preziosissimo sangue di Cristo basta per redimere mille mondi, è tanto il merito della passione di quel gloriosissimo corpo, unito inseparabilmente alla divinità, che non si può neppure immaginare nonché trovare debito alcuno così grande che senza fine non ne sia avanzato, nondimeno il Salvatore nostro, per manifestarci maggiormente la bontà, la potenza e gloria sua, vuole satisfare per noi all'Eterno Padre, non solo col prezzo del suo vero corpo, ma con quello ancora del suo Corpo mistico, che sono i santi et eletti suoi, facendo tutto un tesoro, dei suoi meriti e dei loro».

San Carlo vive il momento solenne del giubileo in unione con le preghiere e i meriti della Madonna e dei santi, in unione con tutto il corpo mistico di Cristo. Si delinea il grande tema della croce, del sangue di Cristo, della potenza della redenzione che è il tema di questo anno giubilare, a 1950 anni dalla crocifissione, morte e risurrezione di Gesù.

LA CONTEMPLAZIONE DELLA PASSIONE IN SAN CARLO

Per seguire il cammino di san Carlo verso la croce e la contemplazione del crocifisso, voglio citare ancora due omelie da lui fatte negli ultimi anni della sua vita.

La prima omelia che desidero ricordare è del 1583: «La meditazione della passione di Cristo renderà dolcissime le cose più dure, toglierà ogni difficoltà... Veramente felici coloro che hanno impresso nel cuore Cristo crocefisso, e non svanisce mai! Questa continua memoria è per loro uno scudo fortissimo e un'armatura contro tutti gli attacchi di Satana... Chi non sopporterà serenamente anche le cose più terribili pensando: Se sono cristiano, non dovrei essere seguace e imitatore di Cristo?.. Egli dalla passione e dalla morte passò alla gloria (è il tema della lettera ai Filippesi che abbiamo ascoltato come seconda lettura)... e io rifiuterò, prima della gloria, di patire qualcosa? Egli ha il capo trafitto dalle spine, mani e piedi trapassati dai chiodi... E io mi dedicherò tutto ai piaceri? O se sapeste, fratelli, come questa continua meditazione è per il demonio odiosa e terribile, vi applichereste sempre ad essa!... O felici coloro che in ogni istante custodissero la memoria di questa Passione che dà la vita! Oso dire che sarebbe loro, in qualche modo, impossibile peccare»
(dall'Omelia 45 del 1583: Sassi, Sancti Caroli Borromei Homiliae, Milano 1747).

Vediamo come, in tutti questi anni, il tema della meditazione e della contemplazione della passione fosse entrato nel cuore e nella mente di san Carlo, così da costituire il suo riferimento fondamentale e da dar ragione all'iconografia e alle rappresentazioni artistiche che ce lo mostrano in pianto davanti al crocifisso o in contemplazione adorante del crocifisso.

La seconda omelia che voglio citare è del 1584, l'anno della morte del santo. Si domanda: «Perché non ci infiammiamo anche noi ardentemente per tanto misericordioso amore di Dio verso di noi? Perché, almeno, a tanta carità non rispondiamo con un'assidua contemplazione?». È l'invito alla contemplazione del Signore crocifisso.

«O noi felici se potessimo versare due o tre lacrime ogni giorno davanti all'immagine di Cristo Signore crocefisso!, dicendo: il Figlio di Dio innocentissimo, così tormentato, sputacchiato, trafitto dalla lancia, fu confitto per me malfattore, indegnissimo peccatore e vilissimo vermiciattolo, per la mia superbia, le mie pompe, la mia sfrenata licenza!».
Ed esortando i suoi figli esclamava: «Lasciate dunque, o figli, botteghe, officine, affari del secolo; giacché siete impediti dal lasciare del tutto la città, almeno lasciate queste cose per qualche poco tempo, affinché in questi sabati tutti insieme... ci dedichiamo alla meditazione della Passione di Cristo»

(dall'Omelia 101 tenuta nel sabato della 2a settimana di quaresima del 1584: Sassi, Sancti Caroli Borromei Homiliae, Milano 1747).

Ci potremmo domandare quale sia l'origine interiore della devozione di san Carlo alla passione di Cristo, alla crocifissione del nostro Signore redentore.. A me pare che si debba approfondire e chiarire, per comprendere la forza e la potenza di questa omelia del 1584, una radice che è certamente paolina.

San Paolo che veneriamo qui, nella sua tomba, con le sue parole di contemplazione sulla croce e su Gesù crocifisso, è all'origine dell'atteggiamento interiore di san Carlo. Le parole di Paolo sono tuttavia mediate attraverso l'esperienza del mese di esercizi spirituali che, come ho ricordato ieri, san Carlo fece a Roma nell'estate del 1563, in preparazione alla sua prima messa. Negli esercizi meditò a lungo sulla passione del Signore, sia al termine della prima settimana, contemplando il crocifisso, vedendolo come davanti a sé e parlandogli a tu per tu, sia per l'intera terza settimana, dedicata totalmente alla contemplazione dei misteri della passione. Da quel periodo inizia la sua memoria, che diverrà poi continua, della passione del Signore come strumento di salvezza, forza nelle difficoltà, garanzia quasi egli dice - di impeccabilità.

Possiamo allora terminare con la preghiera che il santo fa nell'omelia della 3a settimana di quaresima del 1584: «Rimani con noi con la tua grazia, col tuo splendore, col tuo calore, o Signore Gesù. Rimani nei nostri cuori, nella nostra volontà e nell'intelligenza, nel più profondo della nostra memoria. Fa' che ci ricordiamo sempre di te, che siamo sempre memori della tua crudelissima Passione, che sempre, con gli occhi dell'anima e del corpo, ti contempliamo crocefisso»
(dall'Omelia 102 tenuta nel sabato della 3a setto di quaresima del 1584: Sassi, Sancti Caroli Borromei, Homiliae, Milano 1747).

Chiediamo, in questo momento del giubileo e per intercessione di Maria addolorata, madre di Gesù e madre nostra, che sia data anche a noi la grazia della contemplazione del crocifisso affinché sia forza e nutrimento della nostra vita.



Chiediamo le stesse grazie e di più ancora in questo Giubileo dell'Anno Sacerdotale...


Fraternamente CaterinaLD

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14/10/2009 17:08
 
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[SM=g1740717]

sabato 27 Giugno 2009,5 giovani europei (4 francesi e un inglese) appartenenti alla fraternità Sacerdotale San Pietro hanno ricevuto l'ordine del sacerdozio in una cerimonia nella forma straodinaria del rito romano.

Le ordinazioni sono avvenute nella chiesa del santuario di Wigratzbad, in Baviera (Germania).
Il vescovo consacrante era sua eminenza Athanasius Schneider, O.R.C., vescovo ausiliare di Karaganda in Kazakhstan

[SM=g1740717]


www.schola-sainte-cecile.com/2009/06/27/ordinations-de-ce-matin-a-wigratzb...




[SM=g1740717] [SM=g1740720]

[SM=g1740722]
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20/11/2009 22:40
 
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In ogni luogo sarà offerto un sacrificio puro...

"Perciò il Signore, riprovando tutti i sacrificj antichi, dopo la morte del Messia ha sostituito a quelli l'unico e gran sacrificio dell'eucaristia, predetto e chiamato da Malachia Oblazione monda, che doveva essere offerta a Dio in ogni luogo della terra: Non est mihi voluntas in vobis, dicit Dominus exercituum, et munus non suscipiam de manu vestra. Ab ortu enim solis usque ad occasum magnum est nomen meum in gentibus, et in omniloco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda; quia magnum est nomen meum in gentibus. Alcuni a torto vogliono spiegare il detto testo del sacrificio interno, cioè della preghiera; ma qui è chiaro che il Signore parla, non di opera interna, ma di oblazione e sacrificio esterno, col quale vuole esser pubblicamente onorato tra le genti, rifiutando le antiche oblazioni"
(S. Alfonso M. De Liguori, Verità della Fede, cap. V)








e anche nelle mia parrocchietta, sempre pronta per la celebrazione...

cari saluti a tutti, in Gesù e Maria, don Alfredo






[SM=g1740717] [SM=g1740720] grazie don Alfredo!
Fraternamente CaterinaLD

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26/11/2009 11:50
 
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[SM=g1740733] nel rammentare questa bella notizia:

Il Primate di Francia crea un seminario diocesano 'biformalista'

L'Arcivescovo di Lione (sede primaziale delle Gallie), cardinale Barbarin, ha fatto annunziare, nel corso di un convegno tenutosi a Versailles nei giorni scorsi intitolato Réunicatho (che, come il nome promette, ha riunito tutti coloro che si sentono legati alla liturgia di sempre, di tutte le varie fraternità, istituti e tendenze), l'apertura a partire dall'anno accademico 2010-2011 di un seminario bi-formalista: ossia nel quale verrà insegnata tanto la forma ordinaria quanto quella straordinaria del rito.

da ORIENSFORUM riporto anche queste riflessioni importanti:

Guy Fawkes

Se di teologia se ne infischiano, almeno imparino il marketing  ;D
A questo proposito, mi son spesso trovato a pensare che la crisi della Chiesa contemporanea dipenda anche dal poco fascino del percorso vocazionale moderno, impoverito dalla miseria intellettuale ed estetica del clero contemporaneo e dal fatto che oggidì valga l'equivalenza sacerdote=assistente sociale. Ciò crea una selezione avversa per cui i migliori intelletti rifuggono il sacerdozio e la carriera ecclesiastica per riversare i loro talenti nelle professioni liberali. Mentre fino al '900 i cervelli migliori si trovavano ai vertici della Chiesa e delle pubbliche amministrazioni, oggi questi sono tutti nelle grandi aziende o banche private, in quanto il relativo cursus honorum è (o forse appare) assai più gratificante, e gli effetti purtroppo si vedono.

[SM=g1740733]


Daniele

Anche perché in genere i corsi seminariali, quando non scadono nella demenzialità (il che accade assai di frequente), hanno come primario obiettivo la denigrazione di tutto ciò che la Chiesa cattolica ha creduto e fatto da duemila anni a questa parte.

Sarebbe come se a un giovane appena assunto venisse imposto un corso in cui si insegna che la sua azienda fa schifo, ha sempre funzionato male, non offre alcuna prospettiva di carriera e cose del genere. Quanti resterebbero al loro posto?


[SM=g1740733]


Caterina

Sorriso ieri sera parlavo con un amico, re David, che per altro appena può verrà ad iscriversi qui visto che non ci trovava Ghigno ...e facevo con lui queste considerazioni proprio sulla formazione dei Sacerdoti:

è vero, ci sono stati periodi in cui l'ignoranza la faceva da padrona, tuttavia la formazione dei sacerdoti era nell'essenziale....ce lo rammenta san Giovanni Maria Vianney che non nascose mai la sua difficoltà per gli studi e per il latino ma che il vescovo comprese di trovarsi davanti ad una persona PIENA DI FEDE...
oggi abbiamo fior fiore di sacerdoti con tra quattro, dieci attestati o laure eppure MANCANO DI FEDE...
E ci confidavamo a che cosa ci servissero tanti saputelli ma carenti di fede nell'Eucarestia, carenti nel Rosario, carenti nelle più semplici DEVOZIONI che sono i veri attestati che accomunano TUTTI i componenti della e nella Chiesa...
Cosa me ne faccio di un sacerdote bravissimo, eloquente, intelligente, vispo, se però mi trasmette avversione per la Messa antica, mi contesta (criticare è diverso, è accettabile, contestare no!) il Pontefice nel rispondermi con saccenteria che ognuno nel proprio orticello può andare avanti COME MEGLIO CREDE....che mi contesta il primato petrino...che mi dice che è stata una GRAZIA DI DIO la fine dei pontificati fra l'800 e i primi del '900 contestandomi perfino un san Pio X ...
che mi contesta un Pio IX quasi reo verso la chiusura del mondo laico...

Un frate domenicano qualche tempo fa mi fece questa confidenza (è frate da 16 anni e sacerdote da 10):
dopo due anni che ero anche sacerdote, entrai in crisi...gli studi mi avevano aperto la mente, ma la missione che vivevo in contrasto spesso con il Magistero mi stava chiudendo il cuore...ero arrivato a contestare TUTTO nella Chiesa... Mi salvarono le LETTERE DI SANTA CATERINA DA SIENA....il mio padre spirituale me le diede come penitenza, come umiltà da applicare, come vera conoscenza della vita della Chiesa...
Non ricordo di aver mai pianto così tanto... santa Caterina da Siena mi ha davvero salvato dal naufragio, da allora ho messo da parte la scienza e la sapienza degli uomini, e sono diventato apostolo del Rosario...qui è CONCENTRATA tutta la sapienza di Dio e tutto ciò che un buon sacerdote deve davvero sapere per il suo ministero a salvezza delle anime, qui nasce la conoscenza dell'Incarnazione divina, qui il Mistero della morte di Cristo che diventa SORGENTE dell'Eucarestia e di ogni Sacramento...qui il prodigio della Risurrezione e della Chiesa...
Il resto è dato in più, ma non è necessario specialmente quando si mette a rischio LA FEDE VERA...ciò che è a rischio oggi è la vera fede spesso sostituita dal sapere umano che con prepotenza si impone a quello divino
...

Naturalmente mi spiegava poi della Messa...e con quale fede e gesti semplici va fatta...mi diceva: c'è un paradosso sulla questione della Messa ed è che nel mentre essa è davvero semplice perchè basta RIPETERE DEI GESTI TRASPORTATI DALL'AMORE, DALLA GRATITUDINE E DALLA FEDE in ciò che si fa, abbiamo finito per COMPLICARLA con la scusa della conoscenza, della pretesa di carpirne i misteri, della vanagloria di diventare i protagonisti della Liturgia...come se Cristo non potesse fare nulla di suo. Gesù è vero che ha voluto il sacerdote, ma è sempre lui a chiamare e a scegliere, il protagonista è lui, senza di lui non ci sarebbe alcuna messa, ma soltanto una ritualità mossa spesse volte dalle nostre voglie, spesso dubito perfino che molte messe siano valide perchè delle volte ho saputo che in molti sacerdoti non vi sono, mentre si celebra, le stesse intenzioni della Chiesa, ma i personali pensieri spesso confusi ed ambigui. E poichè è proprio la Comunione, la Messa che ci unisce, mi chiedo spesso se diciamo davvero la stessa Messa, se davvero siamo in comunione, se davvero facciamo comunione. Gesù ci rammenta che non è ciò che è esteriore a contagiarci, ma ciò che portiamo nel cuore e se la contestazione alla sana Tradizione, se la contestazione alla Messa antica producono certi pensieri che infettano il cuore e la mente, quale comunione potrà mai esserci? e cosa insegneremo alle anime che vengono da noi per chiedere consiglio, chiarezza, conoscenza? Ai miei penitenti do da leggere tutte le Lettere di santa Caterina, compreso il Dialogo...e quando mi chiedono sul Papa perchè hanno sentito dire che egli avrebbe detto che...rispondo loro: ANDATE ALLA SORGENTE, LEGGETE IL TESTO INTEGRALE e non tentate di interpretarlo, ma ASSORBITELO, RUMINATELO e poi cominciate a metterlo in pratica senza contestarlo....

 Occhiolino

[SM=g1740717] [SM=g1740720]





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03/02/2010 23:43
 
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San Giovanni Crisostomo  "Sul Sacerdozio"

Il rimedio deve essere proporzionato al male

IV. Che dunque s’avrà da fare? Poiché se usi troppa delicatezza con chi ha bisogno di molti tagli, e non fai un’incisione profonda a chi n’ha d’uopo, avrai asportato solo una parte della ferita lasciandovi l’altra parte. Se poi senza esitazione applichi il taglio necessario, spesso l’ammalato disperando del suo male, gettata via in un fascio ogni cosa, e medicina e fasciature, finì per gettarsi a capofitto, spezzando il giogo e rompendo i legami. Potrei narrare di molti che dettero in mali estremi per essere stati sottomessi alla pena dovuta alle loro colpe. Poiché non si deve applicare il castigo soltanto in ragione della grandezza dei falli, ma si deve pur tenere conto dell’intenzione dei colpevoli, affinché non t’accada, volendo rattoppare uno squarcio, di produrne uno più grande e che, tentando di rialzare ciò che è caduto, tu produca una caduta peggiore.

 1 deboli, divagati e per lo più schiavi della mollezza mondana, e che inoltre hanno di che inorgoglire per nascita e potenza, corretti dei loro mancamenti dolcemente e poco per volta, potrebbero pure, se non in tutto almeno in parte, purgarsi dei vizi da cui sono dominati; se invece uno applica loro d’un tratto l’ammonizione, li avrà privati anche di quel minore miglioramento. Ché l’anima, spinta una volta all’impudenza, diventa insensibile, né più si lascia muovere dalle parole dolci, né piegare dalle minacce, né eccitare dai benefici, ma diviene assai peggiore di quella città a cui il profeta, riprovandola, dice: "Hai assunto aspetto di meretrice, né alcuno più tifa arrossire" (Ger. 3,3).

Per ciò il pastore ha bisogno di molta prudenza e di infiniti occhi onde scrutare in ogni parte le condizioni di un’anima. Perocché come molti salgono in arroganza e cadono in disperazione della propria salvezza, non potendo adattarsi a medicine amare; così vi sono di quelli che per non aver subìto un castigo proporzionato ai loro mancamenti, cadono nell’indifferenza, diventano molto peggiori di prima e sono incitati a commettere colpe più gravi. Bisogna pertanto che il sacerdote non trascuri di esaminare ognuna di queste circostanze, ma tutto diligentemente scrutando, faccia quanto è in suo potere secondo l’opportunità affinché la sua cura non gli divenga inutile.

Come ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite

Né soltanto in questo, ma anche nel riunire i membri separati dalla Chiesa uno si troverà ad aver molto da fare. Il pastore di pecore ha il gregge seguace dovunque esso venga condotto: che se qualche capo si svia dal retto cammino, e lasciato il buon pascolo, va a cibarsi in luoghi infecondi e ripidi, gli basta dar un grido più forte, per raccogliere di nuovo e riunire al gregge la parte che se n’era divisa; se invece un uomo viene trascinato lungi dalla retta fede, fa d’uopo al pastore di molto lavorio, di fortezza, di tolleranza. Non deve trascinarlo a forza né costringerlo con timore, ma per via di persuasione egli dev’essere ricondotto a quella verità dalla quale prima s’era allontanato.

V’è bisogno quindi di un’anima generosa, onde non si smarrisca né disperi della salvezza degli erranti, onde consideri e ripeta continuamente quel detto: "...nella speranza che Dio conceda loro la vera conoscenza e si liberino dalla rete del diavolo" (2Tim. 2,25). Per questo il Signore parlando ai discepoli disse: "Chi è dunque il servitore fedele e prudente?" (Mt. 24,45). Poiché colui il quale attende a sé solo, converte a sé tutto il vantaggio, mentre invece l’utilità del ministero pastorale si estende a tutto il popolo. Colui poi che largisce denaro a’ bisognosi, o in altra guisa assume la tutela degli oppressi, costui per certo reca qualche utilità al prossimo, ma tanto minore del sacerdote, quanta è la distanza che corre fra il corpo e l’anima. A ragione dunque il Signore disse la cura prodigata al gregge essere segno dell’amore verso di Lui.



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«Quanto cammino ho fatto per cercarti, Signore, nella mia memoria. Dove abiti? Quale cella ti sei apprestata? Quale santuario ti sei edificato? Quando mi sforzavo di ricordarmi di Te, trapassavo tutte quelle ragioni della memoria che ho in comune con le bestie, perché non ti trovavo là dove risiedono le immagini corporee.

Allora mi recai a quella parte cui ho affidato le passioni dell'animo mio e nemmeno là ti ho trovato. Penetrai nella sede stessa che il mio spirito ha nella memoria (giacché anche lo spirito si ricorda di se stesso), né Tu vi eri: perché come non sei immagine corporea né affezione del principio che vive in noi come gioia, tristezza, desiderio, timore, reminiscenza, oblio, così neanche sei lo spirito, ma il Signore Dio dello spirito.

E infatti tutte queste son cose che non hanno stabilità, mentre Tu resti sopra tutto immutabile; e Ti sei degnato di abitare nella mia memoria da quando Ti conobbi. E ancora continuo a domandare in qual luogo di essa dimori, come se in essa fosse luogo alcuno ! Tu ci abiti di certo, perché Ti ricordo dopo ch'io ti conobbi, e là Ti trovo quando mi sovvengo di Te ». E più oltre: « Dove dunque Ti ho trovato, se non in Te al di sopra di me stesso? E là non v'è spazio né luogo: ci scostiamo senza muovere passo.

Tu sei dappertutto, nessun luogo Ti circoscrive e, solo, sei presente a quelli che vanno lontano da Te. Sei nel loro cuore, nel cuore di chi Ti confessa e si abbandona in Te. E dov'ero io quando Ti cercavo? Tu eri dinanzi a me. Io, poi, anche da me stesso mi ero dipartito, e non mi ritrovavo, e tanto meno ritrovavo Te. Tardi Ti ho amato, beltà sì antica e sì nuova, tardi T'ho amato! Tu eri qui dentro di me, e io ero fuori di me e fuori Ti cercavo ; e in queste cose belle che Tu hai fatte mi lanciavo con la mia impurità. Tu eri con me ma io non ero con Te. E che mi teneva lontano da Te? Quelle cose, che, se non fossero in Te, non avrebbero l'essere! Tu mi chiamasti e gridasti forte ed infrangesti la mia sordità».


( S.Agostino )

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Se la storia si ripete...(2)

Pubblichiamo questo documentato articolo con il quale Elisabeth Lev riporta alla luce le sagge riflessioni che Edmund Burke ebbe a fare duecento e trenta anni fa su vicende storiche che hanno forti analogie con il presente. Trovate qui l’originale in inglese.

In difesa del clero cattolico
 (o vogliamo un altro regno del terrore?) di Elizabeth Lev

Edmund Burke

Nel 1790, la maggior parte del mondo si congratulava con la Francia per quella che sembrava una rivoluzione completata con successo. L'odiato re era stato deposto, e il cambiamento aveva attraversato una nazione oppressa, offrendo la speranza di un futuro migliore sotto un governo migliore. I giornali, poi per entrare in proprio, avevano proclamato l'alba di una nuova era di pace e prosperità, mentre proto-sapientoni comparavano il cambiamento di regime alla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688.

Tuttavia un osservatore, lo statista inglese Edmund Burke, non fu ingannato dalle immagini prodotte dalla trionfante squadra di pubbliche relazioni rivoluzionaria; egli vide raccogliersi nubi di tempesta ancora più scure. Il suo primo indizio che la Rivoluzione non aveva ancora terminato il suo corso? I continui attacchi ostili al clero cattolico. Dopo che l'Assemblea nazionale ridusse l’autorità di Luigi XVI nel 1789, la letteratura anti-monarchica diminuì, ma crescevano feroci accuse contro il clero cattolico per i misfatti del passato e del presente. Casi isolati di immoralità riguardanti sacerdoti furono ingranditi per fare apparire la depravazione endemica in tutto il clero (per ironia della sorte, in un'epoca in cui era in voga un libertinismo sessuale sfrenato). I propagandisti francesi lavorarono giorno e notte per dragare dal passato scandali vecchi, lontani decenni o addirittura secoli.

Nelle sue Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, libro pubblicato nel 1790, Burke, un protestante, ha chiesto ai francesi: "Dallo stile generale delle recenti pubblicazioni di ogni tipo, si sarebbe portati a credere che i vostri sacerdoti in Francia siano dei mostri, un misto orribile di superstizione, d'ignoranza, di pigrizia, di frode, d'avarizia e di tirannia. Ma è vero? "
Che cosa avrebbe detto Edmund Burke dei titoli delle ultime settimane, della storia di un sacerdote violentatore in Germania, un quarto di secolo fa, storia che aveva fatto scalpore e aveva avuto le prime pagine e le TV top news negli Stati Uniti? Che cosa avrebbe pensato degli insistenti tentativi di legare questo violentatore al Romano Pontefice stesso attraverso una labilissima connessione?
Nel 1790, Burke rispose alla stessa domanda con queste parole: "Non è con grande credito che io ascolto coloro che parlano male di quelli che stanno andando a saccheggiare. Ho invece il sospetto che i vizi sono finti o esagerati, quando il profitto è cercato come loro punizione ". Mentre scriveva queste parole, i rivoluzionari francesi si stavano preparando alla confisca di massa delle terre della Chiesa.

Dato che le attuali vendite delle proprietà della Chiesa per pagare gli “accordi” ingrossano le casse del contingente-avvocati a pagamento e degli speculatori immobiliari, uno è portato da riconoscere a Burke un profondo senso storico e della natura umana.
Alle salaci segnalazioni circa gli abusi sessuali del clero (come se questi fossero limitati al solo clero cattolico romano) è stato dato un rilievo superiore al massacro dei cristiani che sta accadendo adesso in India e in Iraq. Inoltre, il termine "abuso sessuale del clero" è spesso erroneamente identificato con la "pedofilia" per scatenare ancor di più l'indignazione pubblica. Non ci vuole l'acume politico di Edmund Burke a chiedersi perché per la Chiesa cattolica è stato scelto questo trattamento.
Mentre nessuno nega gli illeciti e il danno causato da una piccola minoranza di sacerdoti, il loro comportamento è stato strumentalizzato per minare la reputazione della stragrande maggioranza del clero che vivono una santa vita tranquilla nelle loro parrocchie attendendo al loro gregge. Questi uomini sono stati imbrattati con lo stesso inchiostro velenoso.

La cruda realtà è che le vittime di abuso sessuale infantile negli Stati Uniti di oggi sono stimate a circa 39 milioni. Di questi, tra il 40 e il 60 per cento sono stati abusi da parte di un membro della famiglia (per la maggior parte zii, cugini, patrigni e fidanzati). Carol Shakeshaft e Audrey Cohan hanno prodotto uno studio che dimostra che il 5 per cento delle vittime sono state molestate dagli insegnanti della scuola, mentre il New York Times ha pubblicato un sondaggio che dimostra che meno del 2% dei colpevoli sono stati sacerdoti cattolici. Ma a leggere i giornali, sembrerebbe che il clero cattolico sia in possesso di un monopolio di molestie su minori.
La spiegazione di Burke per l'anticlericalismo furioso di un tempo avrebbe potuto essere riscritta oggi: La denigrazione del clero era volta ad "insegnare loro [alla gente] a perseguitare i loro propri pastori .... sollevando un disgusto e un orrore per il clero".

Se Burke fosse vivo oggi, potrebbe forse discernere un altro motivo dietro gli assalti selettivi al clero cattolico, oltre alle mire sulle proprietà della Chiesa: e cioè la distruzione della credibilità di una potente voce morale nel dibattito pubblico. Il caso più recente riguarda ad esempio l’aspra battaglia sul disegno di legge di riforma sanitaria. L'opposizione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (soprattutto in relazione alla questione contribuente-aborti finanziati) si è dimostrata particolarmente fastidiosa per i sostenitori della legislazione. Con l'avvicinarsi della votazione finale, il martellamento sugli abusi sessuali del clero è diventato una frenesia.
Il numero record di partecipanti alla marcia del Pro-Life di gennaio; il rimprovero del Vescovo Tobin al deputato Patrick Kennedy per le sue posizioni pro-aborto, e il successo del movimento in difesa del matrimonio negli Stati Uniti, indicano che la voce dei vescovi è infatti in consonanza con il popolo. Per mettere a tacere la voce morale della Chiesa, l'opzione preferita è stata quella di screditare i suoi ministri.

Entro tre anni dalla Riflessioni di Burke, le sue fosche previsioni si dimostrarono accurate. Il regno del terrore scese nel 1793, portando centinaia di sacerdoti alla ghigliottina, e costringendo gli altri a giuramenti di fedeltà allo Stato prima che alla Chiesa. A Burke era chiaro che la campagna anticlericale del 1790 era "solo temporanea e di preparazione alla totale abolizione… della religione cristiana", "suscitando contro suoi ministri un disprezzo universale". Si spera che gli americani avranno il buon senso di cambiare rotta molto prima di raggiungere quel punto.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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03/04/2010 17:57
 
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Ordinario militare: il sacerdozio è un “passaggio di proprietà”


Il presbitero è “tolto dal mondo e assunto in Dio”


ROMA, venerdì, 2 aprile 2010 (ZENIT.org).- Con il sacerdozio, l'uomo viene sottratto al mondo e assunto in Dio, ha sottolineato l'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l'Italia, nell'omelia della Messa crismale celebrata questo giovedì a Roma.

Nell'Ultima cena, ha spiegato il presule, “Gesù, commosso profondamente, apre il cuore al Padre per consegnargli se stesso e i discepoli”.

“La preghiera risuonata in quell’Ora e in quel luogo non si è spenta, ma sino alla fine dei tempi aiuta a comprendere una storia d’amore che si gioca in Dio stesso. Dio è amore e chi vive questo amore vive di Dio ed è in Dio, come Dio in lui”.

Gesù chiede al Padre di consacrare nella verità i discepoli. “Consacrare qualcosa o qualcuno significa dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma sia totalmente di Dio”.

“Consacrazione è dunque un togliere dal mondo e un consegnare al Dio vivente. Il sacerdozio ministeriale è un passaggio di proprietà; il presbitero viene tolto dal mondo e assunto in Dio, per consumarsi nel ministero”.

Essere immersi nella Verità, e quindi nella santità di Dio, “significa accettare il carattere esigente della verità” e “contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato è presente nel mondo”, ha osservato l'Arcivescovo.

“Unirsi a Cristo suppone la rinuncia, l’abbandono in Lui, ovunque e in qualunque maniera Egli voglia servirsi di noi”.

Allontanarsi dalla mondanità

Gesù, ha osservato monsignor Pelvi, “è particolarmente preoccupato della potenza del mondo e della possibile influenza sui discepoli”.

Secondo il presule, “forse stiamo sottovalutando lo spirito del mondo, il diavolo che tante volte è padrone della nostra vita personale e s’insinua nel cammino della Chiesa”.

“Non sempre, infatti, sappiamo discernere i sottili inganni del male dalla volontà di Dio. Il mondo delle libertà, delle uguali possibilità concesse a tutte le opinioni e modi di vivere ha un suo fascino. Abbiamo l’abitudine alla tolleranza, al permissivismo, alla laicità, alla trasgressione, alle mode che sono offerte come normali, al gusto dello scandalo e della sporcizia che sembra abbiano il diritto esclusivo di circolazione su qualsiasi mezzo di informazione”.

“Mai, forse, l’alternativa al messaggio cristiano è stata tanto sperimentata, in forme così pervasive e diffuse, soprattutto all’interno della stessa comunità cristiana”.

I cristiani, ha ricordato, sono chiamati “a vivere nella compagnia degli uomini ma a rompere con la mondanità”.

Bisogna dunque “prendere posizione riguardo alla mondanità”: “se infatti cediamo ad essa, non può esserci in noi l’amore che scende da Dio, perché quest’ultimo può solo risolversi in amore dei fratelli e delle sorelle, non degli idoli”.

“Nessuno può servire due padroni, o si amerà Cristo o la mondanità”.

Ciò, ad ogni modo, non vuol dire “abbandonare il mondo in cui Dio ci ha collocati”, ma “considerarlo nella sua verità, certi che la nostra cittadinanza vera, il nostro stile di vita appartiene al cielo”.

Unione con Dio

Nel Vangelo del Giovedì Santo, Gesù dice al Padre dei suoi discepoli “Sono tuoi”, ha proseguito l'Arcivescovo.

“Con lui sulla croce diventiamo offerta pura e santa, ferma confessione di fede, segno luminoso di speranza, ardente testimonianza di amore”.

Gesù, ha osservato monsignor Pelvi, “non chiede al Padre che noi diventiamo esperti e competenti nel fare questa o quell’opera, ma che rimaniamo uniti a lui, che siamo una cosa sola con lui e con il Padre, nel vincolo dell’amore che è lo Spirito Santo”.

“L’amore ha consumato tutto Gesù, perché ciascuno si consumi in lui e per lui e il mondo creda”.

Il valore del sacerdozio

In questo Anno Sacerdotale, l'Ordinario militare si è quindi rivolto ai presbiteri: “Quale straordinario ministero il Signore ci ha affidato!”.

“Come nella Celebrazione Eucaristica Egli si pone nelle nostre mani per continuare ad essere presente in mezzo al suo Popolo, analogamente, nel Sacramento della Riconciliazione, Egli si affida a noi perché gli uomini facciano l’esperienza dell’abbraccio con cui il Padre riaccoglie il figlio prodigo, riconsegnandogli la dignità filiale e ricostituendolo pienamente erede”.

“La Vergine Maria e il Santo Curato d’Ars ci aiutino a sperimentare nella nostra vita l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’Amore di Dio e custodisca ogni germe di vocazione nel cuore di coloro che il Signore chiama a seguirlo più da vicino”, ha concluso.


Fraternamente CaterinaLD

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04/05/2010 13:15
 
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Omelia del Card. Carlo Caffarra, nel corso della celebrazione della S. Messa gregoriana

IV Domenica di Pasqua (2 maggio 2010)

Omelia del Card. Carlo Caffarra, nel corso della celebrazione della S. Messa gregoriana, presso la chiesa parrocchiale di S. Maria della Pietà, in Bologna.

1. Cari fratelli e sorelle, il processo intentato a Gesù non si è concluso colla condanna a morte emessa da Pilato. Anzi, esso accade anche oggi, sotto i nostri occhi, e ciascuno di noi ne è coinvolto.
L’aula in cui si svolge è «il mondo»: la storia cioè e la vita degli uomini. Quale è la materia del contendere? Se Cristo sia credibile nella sua “pretesa” di essere l’unico salvatore; se Cristo alla fine ha ricevuto o non il riconoscimento della sua giustizia da parte di Dio; se l’ultima parola la dirà il “principe di questo mondo”.
Chi difende la “causa di Cristo?” È lo Spirito Santo che è stato inviato precisamente per questo: convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.

Cari fratelli e sorelle, come vedete la pagina evangelica ci introduce nel cuore del dramma della vita e della storia umana. Addentriamoci in esso, cogliendo il significato delle singole parole e del loro insieme.
«Il peccato» significa l’incredulità che Gesù ha incontrato già durante la sua vicenda terrena, e continua ad incontrare anche oggi. È la scelta di rifiutare la sua proposta di salvezza, che giungerà storicamente fino alla sua condanna a morte. Ed oggi si manifesta nell’equiparazione della proposta salvifica di Cristo ad ogni altra sedicente tale.

«La giustizia» è quel riconoscimento definitivo ed inappellabile con cui il Padre si è apertamente compiaciuto nel suo Unigenito, risuscitandolo da morte ed intronizzandolo alla sua destra.
«Il giudizio» significa che Gesù è venuto nel mondo per salvarlo [cfr. Gv 3,17; 12,47], e quindi l’opera di convincimento che lo Spirito Santo compie ha come scopo la salvezza del mondo e dell’uomo. Il «giudizio» riguarda il Satana, che viene appunto “giudicato” e cacciato fuori.

In questo contesto si pone l’opera dello Spirito Santo. Egli è mandato per portare a termine l’opera redentiva di Cristo. Egli rende testimonianza a Gesù nel cuore di chi crede; “convince” intimamente che “Cristo ha ragione”!

Questa opera di convincimento comporta pertanto una duplice elargizione: il dono della certezza della redenzione donataci da Cristo; il dono quindi della verità della nostra persona e della nostra coscienza morale.

Lo Spirito Santo può compiere questa duplice elargizione perché «non parlerà da Sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito». Egli «scruta le profondità di Dio» [1Cor 2,10] fino in fondo. Ed è da esse che trae la risposta di Dio al mistero di iniquità, mostrando nel Cristo crocefisso e risorto la rivelazione del mistero della pietà. E nel momento in cui l’uomo “vede” questo, egli è convinto che il peccato più grave è l’incredulità; che Gesù glorificato è il Giusto che giustifica molti; che alla fine il male ed il suo principe è stato sconfitto.

2. Cari fratelli e sorelle, dentro a questo drammatico processo, la parola di Giacomo, che abbiamo ascoltato nell’Epistola, ci insegna come rimanervi.
Noi, ci dice l’apostolo, siamo stati generati dalla parola evangelica che la Chiesa predica. Mediante l’assenso dato ad esso – l’atto di credere – siamo stati rinnovati e come ri-creati.

Ed allora, continua l’apostolo, «deposta ogni sozzura ed eccesso di malizia», “accogliamo con docilità la parola che è stata seminata in noi, e che ha la capacità di salvarci”.

La Chiesa predica la parola di verità; lo Spirito Santo, come ci è stato detto nel S. Vangelo, ci istruisce interiormente come “piantando in noi” quella parola che è risuonata nelle nostre orecchie; noi dobbiamo accoglierla con docilità, permettere che essa plasmi la nostra vita, deponendo ogni sozzura ed eccesso di malizia.

Se così ci porremo dentro al mondo – amando ciò che il Signore comanda e desiderando ciò che promette – terremo sempre fisso il nostro cuore dove sono le vere gioie.


******************************************


2 maggio 2010, il Card. Caffarra ha celebrato la S. Messa gregoriana a Bologna, presso la chiesa di S.Maria della Pietà, alla presenza di circa 400 fedeli.

Benché l'evento fosse straordinario (si tratta del primo Cardinale italiano Vescovo residenziale che ha celebrato al Messa di San Pio V), i media non hanno fatto alcuna menzione dell'evento, ignorando tutti i comunicati stampa (...)

Tutto ciò ci porta a ringraziare la Vergine Santissima, che più ha potuto della congiura del silenzio
- a cui per altro siamo abituati - e a mettere ancora più impegno per la nostra santificazione personale, onde poter essere pur indegni strumenti della certissima vittoria finale.
Ecco qui alcune consolantissime immagini:


Fraternamente CaterinaLD

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16/06/2010 19:43
 
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i giovani e la vocazione


Oggi molti giovani si interrogano ancora sulla propria vocazione, soprattutto in questo periodo di fine scuola. Li vogliamo aiutare con queste riflessioni che traiamo dal blog cordialiter.blogspot.com che ringraziamo per il bel lavoro:

Per venire incontro a coloro che sono in ricerca vocazionale, ho pensato di elaborare questo modesto scritto. Di farina del mio sacco c'è ben poco. In pratica mi sono limitato a compendiare gli ottimi consigli che Sant'Alfonso de' Liguori ed altri dotti maestri hanno scritto in proposito. Per esporre questa materia in maniera più coinvolgente, ho composto un dialogo tra Padre Bartolomeo e lo studente universitario Daniele De Angelis. Entrambi i personaggi sono inventati...

- Salve Padre Bartolomeo!
- Salve figliolo.

- Sono venuto per chiedere alcuni consigli sulla vocazione.
- Va bene, cercherò di aiutarti.

- Sono indeciso su quale stato di vita devo scegliere. Quanto è importante fare la scelta giusta?
- La scelta dello stato di vita è di fondamentale importanza. Come un orologio nel quale si è guastata la ruota maestra non può più funzionare correttamente, così una persona che ha sbagliato la scelta del proprio stato va allo sbando.

- Perchè va allo sbando?
- Devi sapere che per prendere qualsiasi stato di vita è necessaria la divina vocazione, soprattutto per assumere lo stato religioso. Ma se noi ci ribelliamo alla chiamata di Dio e facciamo di testa nostra, ci verranno a mancare quegli aiuti spirituali che avremmo avuto nello stato in cui Dio ci aveva chiamati.

- Anche coloro che si sposano possono diventare santi?
- Certo, tutti sono chiamati alla santità. Però sappi che è più facile farsi santi vivendo nella verginità che nella vita matrimoniale.

- Cioè bisogna disprezzare il matrimonio?
- No! Il matrimonio è una cosa buona, ma la verginità è molto più pregevole. San Paolo Apostolo, Sant'Alfonso, San Giovanni Crisostomo e tanti altri consigliavano il matrimonio solo a coloro che soffrono di abituale incontinenza.

- Come si fa a capire qual'è la propria vocazione?
- Bisogna pregare molto e frequentare i sacramenti. E' molto importante avere anche il parere di un buon direttore spirituale. Diceva San Francesco di Sales che sono in pochi ad avere le qualità necessarie a svolgere un compito così delicato. Se il direttore spirituale non è caritatevole, dotto e prudente, è pericoloso affidargli la direzione della propria anima.

- Quanti sono coloro che hanno la vocazione alla vita religiosa o alla vita sacerdotale?
- Secondo Don Bosco, un terzo dei giovani ha nel cuore il germe della vocazione.

- E come mai i consacrati sono così pochi?
- Molti giovani sono talmente presi dai divertimenti sfrenati, dal frastuono delle discoteche, dai piaceri immondi, che non sentono la chiamata di Dio nel loro cuore... che tristezza!

- Chissà forse Gesù chiama anche me a seguirlo...
- Daniele, se il Signore ti chiama in uno stato di vita più perfetto non rimandare. Satana farà di tutto pur di farti cambiare idea, ma tu prega con fervore e vedrai che Iddio ti aiuterà.

- Mio padre è un anticlericale sfegatato. Quando vede in TV un ecclesiastico, comincia a gridare: "Abbasso i preti! Morte alle vesti nere!". Non penso gli farà piacere sapere che suo figlio vorrebbe entrare in un ordine religioso...
- L'elezione dello stato di vita è una scelta personale per la quale ordinariamente parlando non si è tenuti ad obbedire al volere dei genitori. Ad esempio Santa Chiara d'Assisi e molti altri santi sono letteralmente fuggiti di casa pur di adempiere alla propria vocazione nonostante l'opposizione dei parenti. Diceva Sant'Alfonso che spesso i genitori, anche se cristiani praticanti, sono i peggiori nemici della vocazione dei loro figli. Pertanto dovrebbero essere gli ultimi ai quali confidare la propria vocazione alla vita religiosa.

- E se poi mi accorgo che la mia non è una vera vocazione?
- Prima di pronunciare i voti perpetui passano molti anni, in questo lungo periodo di prova se uno si accorge di essersi sbagliato può tornarsene a casa.

- Ma come fa un novizio a sapere se la sua vocazione è vera?
- Bisogna che si realizzino tre condizioni. La prima è il buon fine, come il fuggire le tante tentazioni che infestano il mondo, l'avere più mezzi per salvare l'anima, il vivere più unito a Gesù Cristo, ecc. La seconda è l'assenza impedimenti. Per esempio la salute malconcia, problemi mentali, la mancanza di talento, i genitori in stato di bisogno, ecc. Su tali questioni bisogna rimettersi al giudizio dei superiori, dopo aver riferito loro in modo chiaro e sincero la situazione. La terza infine è che i superiori accolgano la richiesta di entrare nell'ordine religioso. Se si verificano queste tre condizioni, il novizio può star sicuro della sua vocazione.

- Se un giovane è veramente chiamato da Dio alla vita religiosa, ma preferisce restarsene nel mondo può ancora salvarsi l'anima?
- Diceva Sant'Alfonso che "Chi sceglie lo stato a cui Iddio lo chiama, facilmente si salverà; e chi non ubbidisce alla divina vocazione, difficilmente, anzi sarà moralmente impossibile che si salvi. La massima parte di coloro che si son dannati, si son dannati per non aver corrisposto alle chiamate di Dio." Oh Daniele, se i giovani comprendessero la bellezza della vita religiosa pregherebbero incessantemente il Signore di essere "chiamati".

- Però chi si fa monaco perde i divertimenti del mondo.
- Oh quanti in punto di morte si son pentiti di aver vissuti nel mondo! Filippo II re di Spagna poco prima di morire disse: "Oh fossi stato frate e non monarca". Anche il figlio, quando giunse in fin di vita disse: "Sudditi miei, nel sermone dei miei funerali, non predicate altro se non questo spettacolo che vedete. Dite che non serve in morte l'esser re, se non per sentire maggior tormento d'esserlo stato". E poi esclamò: "Oh non fossi stato re, e fossi vissuto in un deserto a servire Dio, perché ora andrei con maggior confidenza a presentarmi al suo tribunale, e non mi troverei in gran pericolo di dannarmi!" Daniele ricorda che tutti i piaceri, i divertimenti e le ricchezze della terra non possono dare la vera pace, anzi chi più è ricco di tali beni in questa vita, vive più tribolato ed afflitto. Solo Dio può darti la vera pace.

- Mia cugina è una ragazza molto pia e devota. Vorrebbe diventare suora di clausura, ma c'è un tale che vorrebbe fidanzarsi con lei. Adesso è molto confusa. Cosa si potrebbe consigliarle?
-Le direi: "...sia un uomo umile creatura, sia Gesù Cristo il creatore dell'Universo ti vogliono per sposa. Rifletti attentamente su chi dei due può riempire di gioia il tuo cuore e poi sposalo. Ricordati però che nel mondo non è raro trovare delle donne pentitesi di essersi sposate a causa dei maltrattamenti che ricevono dai loro mariti simili a dei tiranni, ai dispiaceri che danno i figli, alle gelosie del consorte, ai litigi con suocere e cognate, ai dolori del parto, agli strapazzi per la cura della casa, ecc. Anche nella vita matrimoniale potresti vivere santamente, ma è molto difficile. Al contrario in un monastero di stretta osservanza sarà molto semplice per te divenire santa. Libera dalle preoccupazioni del mondo potrai dedicare tutta la vita nell'amare Dio. Se proprio non te la senti di entrare in un monastero, cerca di farti santa a casa tua vivendo da nubile, tranne nel caso in cui tu fossi abitualmente incontinente, nel qual caso è meglio prendere marito".

- Che differenza c'è tra i sacerdoti secolari e i sacerdoti regolari?
- I primi vivono nel mondo, possono avere una casa propria poichè non hanno il voto di povertà. Spesso vivono coi genitori o con altri familiari. Sono secolari la maggior parte dei parroci. I secondi invece sono dei religiosi che hanno ricevuto l'odinazione sacerdotale. Vivono secondo una regola approvata dall'autorità ecclesiastica. In genere abitano nei conventi o nei monasteri.

- Qual'è preferibile essere?
- Certamente dei religiosi.

- Perché?
- Se sfogli un calendario ti accorgerai che la stragrande maggiorranza dei santi canonizzati sono dei religiosi. I sacerdoti secolari invece sono una piccola minoranza e il motivo è semplice. Costoro vivendo nel mondo sono soggetti a tutte le tentazioni e alle distrazioni che distrurbano la gente comune. E' molto difficile vivere nel mondo e pensare esclusivamente alle cose spirituali.

- Quindi è meglio entrare in un ordine religioso?
- Sì, conviene entrare in un ordine religioso di stretta osservanza. Lontano dai rumori del mondo è più facile disporsi alla preghiera e al raccoglimento. Comprendi?

- Sì. Vorrei sapere però che succede se uno entra in un ordine che non è di stretta osservanza?
- Oh no! E' meglio restare a casa propria anzichè entrare in un ordine religioso rilassato, cioè dove non si vive in maniera autentica la vita religiosa. Infatti anche se uno entrasse in uno di questi ordini con l'intenzione di farsi santo, nel giro di breve tempo riceverà talmente tante persecuzioni, derisioni e cattivi esempi da parte dei confratelli che alla fine diventerà anche lui come loro. Oh quante belle vocazioni si sono sciupate nei monasteri e nei seminari rilassati!

- E' vero Padre Bartolomeo! Anche io ho notato che molti religiosi vivono in maniera rilassata. Non sembra proprio che sono dei religiosi.
- Oh quante lacrime versano coloro che amano davvero la Chiesa nell'osservare soprattutto negli ultimi decenni un generale rilassamento di spirito. Ci sono anche coloro che vivono da veri religiosi, che si impegnano per salvare le anime e procurare maggior gloria a Dio, ma costoro quanti sono? Non molti! C'è bisogno di un rinnovamento generale.

- E cosa dire di quei consacrati che hanno seppellito l'abito religioso per vestirsi con abiti civili?
- Padre Pio voleva che fossero cacciati tutti fuori dall'ordine!

- Sono soddisfatto delle risposte che ho ricevuto. Ho chiarito alcuni dubbi. Grazie per la disponibilità e la pazienza!
- Consigliare i dubbiosi è un dovere. Mi raccomando prega San Giuseppe e la Beata Vergine Maria affinchè ti aiutino a capire a quale stato di vita Iddio ti chiama a servirlo.

- Va bene e ...grazie ancora!

[A chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere il libro “Vieni e seguimi” scritto da Padre Stefano Manelli. Il libro non si trova nelle librerie, ma viene inviato gratuitamente (offerta libera) richiedendolo alle Suore Francescane dell'Immacolata : cm.editrice@immacolata.ws oppure scrivendo una lettera al seguente indirizzo: Suore Francescane dell'Immacolata - Via dell'Immacolata - 83040 Frigento (Av)].

Fraternamente CaterinaLD

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22/06/2010 23:51
 
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Nel film spagnolo "La última cima"
Lo scandalo
dei preti ordinari

È stato presentato a Roma un film uscito in Spagna lo scorso 4 giugno e che, narrando la vita di un prete comune, sta riscuotendo un inatteso successo. È stato "un uomo che è arrivato al cuore della gente e che ha spinto a vivere una vita piena di senso" ha dichiarato il regista in un'intervista ad "Avvenire" del 22 giugno. E dal film emerge che a Madrid sette persone su dieci "apprezzano la figura del prete". Riprendiamo il commento pubblicato sul quotidiano "Abc" il 12 giugno.

di Juan Manuel de Prada

La scorsa settimana usciva solo in un paio di sale di Madrid, ignorato dalla maggior parte dei media, il film di Juan Manuel Cotelo La última cima. Mentre scrivo queste righe sono già più di sessanta i cinema che proiettano o stanno per proiettare questo film, su richiesta, via internet, di migliaia di persone anonime, e il loro numero sta crescendo di giorno in giorno.
Cosa ci racconta La última cima? In apparenza, la vita di un prete, Pablo Domínguez, evocata da parenti e amici; un prete morto tragicamente nel fiore degli anni, mentre scendeva dal monte Moncayo; un prete che conquistava tutti quelli che incontrava lungo il suo cammino con la sua generosità, la sua saggezza, la sua gioia di vivere; un prete colto, brillante, affascinante, decano della Facoltà di teologia di San Dámaso, che sicuramente avrebbe raggiunto le più alte dignità ecclesiastiche se non fosse precipitato mentre praticava alpinismo. Confesso che l'idea di sorbirmi una sorta di agiografia su un "prete straordinario" mi seccava un po'; soprattutto perché a me i preti che piacciono sono quelli comuni. Così andai a vedere il film con grande riluttanza.
Ma scoprii subito che il tema segreto di La última cima erano proprio questi "preti comuni" che a me piacciono tanto; e, ancora di più, il mistero della loro vocazione, che un giorno li ha obbligati a lasciare tutto. "Io non mi appartengo più", disse Pablo Domínguez il giorno della sua ordinazione, come ci viene raccontato in una scena del film; è di questo non appartenersi più, del senso della donazione sacerdotale - a Cristo, al prossimo - che ci parla, in definitiva, La última cima. Il film descrive la figura di un prete allegro, generoso, con un entusiasmo molto contagioso, che scherza su se stesso, proprio perché prende molto sul serio la sua vocazione.
E man mano che ci viene delineata la figura di Pablo Domínguez, scopriamo che è un prete tanto "ordinario" come molti altri preti che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, e che a renderlo straordinario non sono tanto le sue qualità, quanto l'audacia con cui si dona a Colui al quale appartiene. La última cima avrebbe potuto accontentarsi dell'evocazione del prete carismatico; Cotelo invece ha voluto approfondire il significato e la ragione di tale carisma. Ed è allora che il suo film diventa scandaloso per la mentalità contemporanea, perché parla del soprannaturale che irrompe nella vita di un prete "comune", parla del sacro che si annida eucaristicamente nel cuore umano, allargando gli orizzonti di una vita intera.
La última cima è arrischiato, perché osa rendere omaggio alla figura di un prete - e, attraverso di lui, a tanti buoni preti - in un'epoca che ama crocifiggerli. È agguerrita, perché osa combattere il sudiciume dei luoghi comuni e dei pregiudizi che circolano intorno al sacerdozio. È posseduta da un respiro epico che non rimane nella mera emotività, ma che osa penetrare nel cuore stesso della vocazione sacerdotale. Ed è un film che commuove, che smuove, che resta annidato nel ricordo dello spettatore, come il sacro si annida nei cuori e allarga gli orizzonti di una vita intera.


(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
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24/06/2010 18:28
 
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Nel cinquantesimo di sacerdozio il cardinale Bertone celebra a Genova la festa patronale di san Giovanni Battista

Evangelizzazione senza confini


Nel saluto del cardinale Bagnasco affetto e gratitudine per il segretario di Stato

L'evangelizzazione non accetta confini; i cristiani ne sono responsabili verso tutti. Lo ha detto il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, invitato a celebrare a Genova la festa della natività di san Giovanni Battista, patrono della città. Al cardinale Bertone si sono uniti, giovedì mattina, 24 giugno, all'altare della cattedrale del capoluogo ligure, l'arcivescovo cardinale Angelo Bagnasco, gli ausiliari dell'arcidiocesi e numerosi altri presuli. Molti anche i fedeli genovesi che hanno voluto, con la loro presenza, mostrare all'antico pastore tutto il loro affetto, soprattutto nel momento in cui, proprio in mezzo a loro e con loro, ha dato avvio alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale.
 
"A tutti e a ciascuno - ha detto il cardinale Bertone sorpreso dalla dimostrazione d'affetto che gli è stata riservata - vorrei manifestare i miei sentimenti di riconoscenza e di stima, ricordando con particolare gioia gli anni trascorsi come arcivescovo di questa città, prima di assumere l'incarico di segretario di Stato di Sua Santità. Voglio dirvi, con tutta franchezza, che non vi ho mai dimenticato e vi ringrazio per il sostegno e, soprattutto, per la preghiera, con la quale mi accompagnate nell'incarico di primo collaboratore del Santo Padre".
 
Riferendosi poi alla solennità della festa della natività del Battista il cardinale ha colto l'occasione per guidare una riflessione "sull'identità della comunità, sul senso e il valore dell'appartenenza, più in particolare sul significato della presenza della comunità cristiana in un territorio, sul valore della fede nella costruzione della società".

Ha incentrato il discorso sulla relazione tra Giovanni il precursore di Gesù, e Gesù stesso, cioè tra il "testimone della luce" e la "luce vera". "Ambedue questi aspetti:  la luce che sconfigge le tenebre e l'estendersi a tutti i confini dell'umano - ha spiegato il cardinale - sono particolarmente rilevanti per il compito dei credenti nel nostro tempo, anche qui, oggi, a Genova.
 
Ci è chiesto anzitutto di rendere un servizio all'umanità in ordine alla verità, non come presuntuosi possessori di essa, ma come umili servitori di una testimonianza che non attira su di noi gli sguardi ma li rimanda all'uomo perfetto, Gesù Cristo. All'uomo esitante e frammentato di oggi, all'uomo svilito a una sola dimensione, quella materialistica e consumistica, all'uomo intimorito dalle sue stesse conquiste, la fede e la testimonianza dei cristiani devono poter mostrare la pienezza di vita e di speranza che si irradia dal volto di Cristo".

"L'unica risposta all'angoscia del vivere - ha proseguito - sta nella contemplazione di questa luce che irradia della sua verità ogni creatura. Questa rivelazione di verità è lo specifico del cristiano nella vita culturale e sociale, un servizio irrinunciabile pena la riduzione della fede a una opinione vuota di significato, per la quale non merita impegnarsi. Rinunciare invece a testimoniare la verità sarebbe tradire il santo patrono, il testimone per eccellenza di Gesù-Verità, e sarebbe tradire la storia di Genova, che ha radicato nella fede il suo fiorire migliore".

Al tempo stesso occorre rivendicare che "questa parola di verità vale per tutti gli uomini e per tutto l'uomo. L'evangelizzazione non accetta confini e ci rende responsabili dell'annuncio verso tutti, senza distinzioni. Come pure ci chiama a illuminare della sapienza del Vangelo ogni dimensione dell'umano, evitando di relegare la fede a spazi e tempi delimitati, lasciando il di più della vita fuori della sua influenza. C'è una luce che proviene dal Vangelo che sola può illuminare definitivamente il volto della persona umana e, in forza di questa esigenza, c'è una parola della fede che interessa ogni ambito dell'esistenza dell'uomo".
 
Il porporato ha poi ricordato il senso vero della nascita di Giovanni per riconoscere in essa "l'azione di Dio per dare alla storia dell'uomo una speranza e conservare nel cuore le parole e le esperienze che riguardano il bambino. Occorre porsi la domanda:  "Che sarà mai questo bambino?". Domanda che si pone per ogni bambino che nasce, perché nasce sempre con una speranza, con un futuro che è ancora tutto da scrivere e può portare i segni della creatività e della novità:  "Davvero la mano del Signore stava con lui" (Lc 1, 66).


C'è dunque una novità legata a Giovanni e c'è un atteggiamento da parte di Giovanni per esprimere questa novità. Per questo egli vive in regioni deserte, fino al giorno della sua manifestazione ad Israele, e dopo questo cammino di crescita nel deserto, Giovanni è pronto, equipaggiato per svolgere la sua missione".

Ogni comunità cristiana, ha poi ricordato il segretario di Stato, è chiamata a introdurre continuamente nella storia quella novità che genera passione per il presente e lo apre con speranza al futuro. Ma non si tratta, ha specificato, di una novità qualsiasi, come se tutto quello che oggi emerge o che l'uomo persegue sia costruttivo della dignità e della promozione dell'uomo:  si tratta piuttosto di "quella novità che nasce dal legare l'uomo, la sua origine, il suo destino, a Dio. C'è una condizione che la figura del Battista indica per realizzare tutto questo, ed è la scelta del deserto, cioè la capacità di tirarsi un po' fuori dal flusso caotico degli eventi, non per evadere, ma per ricuperare l'essenziale e per saper cogliere meglio le domande vere, la voce del cuore e dell'intelligenza, e le risposte da dare per la costruzione della civiltà della verità e dell'amore".

Nella prospettiva dell'edificazione di un mondo nuovo, basato sui presupposti evangelici, il cardinale Bertone si è voluto rivolgere direttamente ai giovani, a quelli presenti in gran numero in cattedrale e a quelli, ben più numerosi, in attesa di una parola di incoraggiamento, in particolare ai giovani genovesi che si preparano a ricevere, o l'hanno appena ricevuta, la cresima. "Ne ho incontrato - ha ricordato - un folto gruppo a Roma durante il loro pellegrinaggio, accompagnati dall'arcivescovo, e mi piace, seppur brevemente, continuare il nostro dialogo.
 
Cari ragazze e ragazzi, ad imitazione di Giovanni Battista, anche voi impegnatevi a crescere e fortificarvi nello spirito, costruendo rapporti di amore e di pace per voi stessi, per i vostri compagni e per il mondo presente e futuro. Coltivate, in particolare, la vostra relazione con Gesù, cercando un rapporto personale con Lui nella comunione della sua Chiesa:  è nella Chiesa, infatti, che si incontra Gesù Cristo, il quale vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Lui solo può soddisfare le vostre attese più profonde e dare pienezza di significato alla vostra esistenza".

Prima di concludere la sua omelia il cardinale è voluto riandare col pensiero a quel primo luglio di cinquant'anni fa, quando venne ordinato sacerdote. "Non dimenticherò mai quel giorno così luminoso - ha detto - e pieno di emozioni. Ora, a distanza di cinquant'anni, posso riguardare il passato e proclamare a tutti quanto è buono il Signore, e la dolcezza che Egli fa gustare a chi lo ama. Mi ha accompagnato nella vita, mi ha aiutato a crescere nella fede, ad accogliere la sua chiamata, a vivere il ministero sacerdotale e, poi, quello di Vescovo". E proprio per onorare il suo lungo sacerdozio ha voluto pregare con tutti i sacerdoti presenti, recitando la preghiera formulata dal Papa al termine dell'omelia della celebrazione per la conclusione dell'anno sacerdotale.

All'inizio della messa il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco aveva rivolto al segretario di Stato il saluto liturgico. Dopo aver espresso la profonda gioia con la quale l'intera comunità ecclesiale lo accoglieva "in quella che è stata per alcuni intensi anni la sua cattedrale e la sua diocesi", si è reso interprete dei sentimenti con i quali i fedeli genovesi - tra i quali "il ricordo della sua amabile persona e del suo instancabile ministero, ha assicurato l'arcivescovo, sono ben vivi nel presbiterio così come nel laicato, nella vita ecclesiale e nella vita cittadina" - accompagnano il suo ministero di primo collaboratore del Papa.

"La ringraziamo di cuore - aveva aggiunto - perché sentiamo che anche da Roma, nonostante gli impegni di carattere universale accanto al Papa, il suo affetto per Genova non è venuto meno ma è vivo, attento, continuo e discreto".

Il porporato - dopo aver rinnovato l'espressione dell'affetto e della gratitudine dei fedeli per il suo ministero accanto al Papa - aveva voluto anche manifestare la gioia di aver potuto condividere nella preghiera comune il cinquantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale del cardinale Bertone. "Era nostro desiderio - aveva assicurato - festeggiare questa data, tanto significativa per la sua vita, con lei e lei con noi, perché ci riteniamo sempre parte della sua famiglia". Proprio per questo "siamo certi - aveva concluso - che lei ci porterà nella sua preghiera; le siamo grati:  ci contiamo così come lei può contare sempre su di noi, sulla "sua" Genova".


(©L'Osservatore Romano - 25 giugno 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il sacerdozio nella Chiesa cattolica

Non ufficio ma sacramento



di Francesco Ventorino


Nel concludere l'anno sacerdotale Benedetto XVI ha riaffermato che il sacerdozio non è semplicemente "ufficio", ma sacramento:  "Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore". In forza di questa "audacia di Dio" - così la chiama il Papa - "il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo", come aveva affermato il concilio Vaticano ii (Presbyterorum ordinis, 2). C'è, dunque, un'analogia profonda tra Cristo e il prete:  come lui, il presbitero è chiamato a mostrare in sé, nella propria umanità, il volto del Padre.

Essere padre significa essere quel luogo dove l'uomo possa imparare quasi per osmosi la vita del mistero come carità e tenerezza e possa sentirne tutta la premura per la propria personale e irripetibile esistenza. È per questo che la Chiesa latina ha voluto legare strettamente il ministero sacerdotale al celibato:  paternità e verginità sono volti diversi e complementari della carità di Cristo.

Una vera paternità comporta infatti per il prete quell'ascesi perenne dell'affettività umana in forza della quale egli, pur amando ciascuno come se fosse unico, mantiene la coscienza che non è il suo amore, e tutto ciò che da esso deriva, la risposta di cui l'uomo ha ultimamente bisogno, bensì la certezza della presenza e dell'amore di Dio, testimoniato nell'amore del prete. Ecco perché il Vaticano ii (Presbyterorum ordinis, 16) afferma che il celibato, pur non richiesto dalla "natura stessa del sacerdozio", ha con esso "un rapporto di intima convenienza".

Benedetto XVI ha fatto notare lo scorso 5 maggio come negli ultimi decenni vi siano state tendenze orientate a far prevalere, nell'identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell'annuncio staccandola da quella della santificazione. "Ma è possibile - si è chiesto - esercitare autenticamente il ministero sacerdotale "superando" la pastorale sacramentale? Che cosa significa propriamente per i sacerdoti evangelizzare, in che cosa consiste il cosiddetto primato dell'annuncio?".

E ha risposto ricordando come l'annuncio del Regno dei cieli fatto da Gesù non è solo un "discorso", ma include "il suo stesso agire" e i "segni" che egli offre. Infatti i miracoli da lui compiuti "indicano che il Regno viene come realtà presente" e "coincide alla fine con la sua stessa persona, con il dono di sé". Lo stesso vale per il sacerdote:  "Rappresenta Cristo, l'Inviato del Padre", e "ne continua la sua missione, mediante la "parola" e il "sacramento", in questa totalità di corpo e anima, di segno e parola".

Il prete è dunque chiamato a essere, con la propria vita, un segno credibile del mistero di Dio:  argomento che conforta la certezza suprema che tutto nasce dal Padre nel Verbo per la forza dello Spirito, e testimonianza che l'uomo Gesù è il centro del cosmo e della storia, il Signore morto, vittoriosamente risorto e presente nella vita degli uomini. Oggi più che mai si impone in modo ineludibile nell'annuncio cristiano il rispetto del metodo di Dio rivelatosi a noi in Cristo:  l'invisibile si fa conoscere e amare come profondamente corrispondente a ciò che il cuore umano desidera e attende attraverso l'umanità di un uomo, e di quegli uomini che egli assimila a sé per rendersi presente nella storia.

Tommaso d'Aquino aveva già osservato che "nello stato della presente miseria è connaturale all'uomo che la sua conoscenza prenda spunto da ciò che è visibile e di esso soltanto abbia adeguato compimento". Per questo Dio "in modo congruo si è fatto visibile, assumendo la natura umana, perché dalle cose visibili veniamo rapiti all'amore e alla conoscenza delle cose invisibili" (Super iii Sententiarum, 1, 2, 3). Il cristianesimo può essere comunicato, dunque, solo attraverso l'incontro con alcuni uomini che nella loro umanità rendano visibile l'invisibile:  rendano cioè ragionevole aderire al mistero della presenza cristiana, che è cominciata nel seno della Madonna e continua nel corpo vivente di Cristo che è la Chiesa.

Negli attacchi concentratisi in questi mesi contro la figura del Papa qualcuno ha visto un disegno perverso:  quello di dimostrare che la novità della Resurrezione, di cui i segni più gloriosi sono la verginità e il martirio, è un'ipocrita menzogna, e che nel mondo non c'è neanche un luogo in cui il potere del male è sotto scacco. Sarebbe un tentativo satanico di togliere ogni speranza alla vita dell'uomo e di favorire - come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della Sera" del 21 marzo scorso - quel "cinismo che sa come va il mondo e dunque non se la beve; che appena sente predicare il bene sospetta subito il male; che ha il piacere dello sporco, del proclamarne l'ubiquità e la forza".

A queste denunce, qualunque sia l'intenzione da cui nascono, non basta rispondere con delle, pur dovute, precisazioni di rito o con la dimostrazione della loro infondatezza. È necessario offrire lo splendore del vero, la possibilità dell'esperienza del bene nel rapporto immediato che ogni uomo può avere con noi preti. Esistono uomini all'altezza di questo compito:  ci sono ancora tanti santi preti! Ne è testimonianza la presenza del popolo cristiano e il legame di forte devozione e di affetto che lo lega ai propri sacerdoti. A loro continua ad affidare, infatti, i propri figli e le cose più care della propria vita.

Oggi più che mai è necessario che il sacerdozio cattolico splenda agli occhi della gente per la sua bellezza, e aiuti gli uomini di oggi a essere rapiti dalle cose visibili all'amore e alla conoscenza di quelle invisibili.


(©L'Osservatore Romano - 7 luglio 2010)

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[SM=g1740722] Di seguito alcuni brani tratti dalle tante opere del Professor Enrico Medi

del quale è in atto il processo per la beatificazione, con il patrocinio della diocesi di Senigallia:





SULL' EUCARESTIA

"Ecco, l'Eucarestia! mamme, quando avete messo al mondo un figlio e lo avete stretto forte forte la prima volta fra le braccia, quali parole gli avete detto? "ti mangio tutto"! Perchè grande è stato il vostro desiderio di riprenderlo, di riformare una sola carne, in un immedesimarsi sostanziale di un amore consumante. Questa è l'Eucarestia!
Ciò che noi poveri uomini, Signore, non possiamo fare, tu lo hai fatto. Noi vorremmo dare il sangue, la vita, vorremmo morire, consumarci, rinascere, risuscitare, morire ancora... ma non possiamo farlo; tu invece, Dio di ogni cosa, hai creato l'universo perchè questo fosse e hai fatto sì che potessi impazzire d'amore ogni mattina quando la tua carne viene in me per divorare la mia, quando il tuo sangue entra nelle mie vene per bruciare il mio e per trasformare tutto il mio essere nel tuo.
Ecco la comunione!

[SM=g1740734] Non voglio sapere Signore, come fai: che me ne importa? Non me lo dire... Se no quasi perderei tutta la poesia e la bellezza dei nostri incontri. Tu me l'hai già detto "la mia carne è veraamente cibo, il mio sangue è veramente bevanda". A me che me ne importa del resto? Io che non capisco come funzionano le forze elettro-magnetiche dentro un atomo..io che non so neanche cosa vuol dire un fotone... Io che non so come si comporta la luce e se in esa prevale la natura ondulatoria o corpuscolare...No, che posso capire di te, diventatao umile pane?

vedi, incontrarti per strada può essere bello, ma come faccio ad abbracciarti? Mi vedono tutti e poi come faccio a tornare a casa ...ad andare in ufficio...e quando ti ho abbracciato? Beh, un momento ti ho stretto al mio cuore..poi è finito! Invece così.. nel silenzio della mattina! Tu ti nascondi, sei là..tutto vero! In quell'ostia bianca non c'è nulla che non sia te! quegli atomi, quelle molecole che a me sembrano dal di fuori molecole e atomi e cellule di pane, sono Te. Vedi che sono?

E' inutile che ti nascondi. io lo so. Ed è soltanto così che puoi entrare della mia bocca, poi entrare nel mio cuore, prendere pezzetto per pezzetto nella mia carne e crogiolarmi nll'amore tuo, di modo che incantati in questo abbandono neppure gli angeli possono sapere se sono io o sei tu, e sei soltanto tu! E' così in adorazione che io scompaio in te e gli angeli adorano me.
Garzie Signore: diventato Padre Figlio e Spirito Santo! e quella carne che è dentro di me e quel sangue che è dentro di me e il sangue formati dal core della mamma tua. Vive dentrp di me lòa carne e il sangie di Maria. Ho tutto il apradiso!
Grazie, Signore Eucarestia!



SUL MATRIMONIO

E' vero che un fine del matrimonio, diciamo il fine naturale, è la generazione dei figli, ma il fine dei fini, cioè la ragione per la quale Dio ha scelto questa strada, è la elevazione dell'uomo ai vertici insondabili dell'amore. L'amore totale: il dono di sè senza altra ragione che quella di donarsi e volere donarsi tutto integralmente, per sempre, sentendo che in questo assoluto morire è la tonalità del vivere, la gioia di una risposta egualmente totale, assoluta, eterna, per cui nella distinzione delle persone si fonda una natura nuova completa; e sale verso la terra e i cieli il grido "io ti amo-io amo te". Il bambino è un miracolo e viene ad arricchire il mondo con la sua bellezza, con il suo incantevole sorriso e con la sua stessa incapacità di vivere da sè. Diamo ai bimbi il sorriso.



INNO ALLA CREAZIONE

"... Oh voi misteriose galassie, voi mandate luce ma non intendete; voi mandate bagliori di bellezza ma bellezza non possedete; voi avete immensità di grandezza ma grandezza non calcolata. Io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi oh stelle nelle mie mani e tremando nell'unità dell'essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse e in preghiera vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo voi stelle potete adorare".

Enrico Medi

PAROLE AI GIOVANI

"... L'uomo è più grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità immensa grandezza dell'uomo, della vita umana. Giovani, godete di questo dono che a voi è stato dato e che a noi fu dato. Non perdete un'ora sola di giovinezza, perché un'ora di giovinezza perduta non ritorna più. Non la perdete in vani clamori, in vane angoscie, in vani timori, in folli pazzie, ma nella saggezza e nell'amore, nella gioia e nella festa, nel prepararvi con entusiasmo e con speranza. Da una cosa Iddio vi protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo; il giovane sprezzante di tutte le cose è un vecchio che è risorto dalla tomba. Guai se la giovinezza perde il canto dell'entusiasmo".


UN UOMO DI SCIENZA DI FRONTE A DIO

Per arrivare all'esistenza di Dio
non sono necessari i miliardi di stelle
che popolano gli abissi del cielo,
non è necessaria la perfezione del volo di
una rondine, o la complessità di funzionamento
delle cellule di un cervello umano.
Basterebbe la presenza di un unico protone
al quale si pone la domanda:
"Tu esisti, quindi o tu hai l'essere o tu sei l'essere.
Se hai l'essere devo risalire a qualcuno che
questo essere ti ha dato, e questo qualcuno
subirà la stessa domanda fino a che non arrivo a
Colui che è l'Essere".
Se il protone fosse l'Essere avrebbe in sé
l'assoluta pienezza e l'essenza dell'Essere totale,
non potrebbe esistere alcun altro protone uguale a lui;
in lui sarebbe ogni intelligenza, potenza, sapienza
fuori dello spazio e del tempo: ma questo non è.
Quindi Dio c'è.

Enrico Medi, I giovani come li penso io, Ediz. Studium Christi.

1981

[SM=g1740722] LETTERA APERTA AL CLERO


Sacerdoti,
io non sono un Prete e non sono mai stato degno neppure di fare il chierichetto. Sappiate che mi sono sempre chiesto come fate voi a vivere dopo aver detto Messa. Ogni giorno avete DIO tra le vostre mani. Come diceva il gran re San Luigi di Francia, avete «nelle vostre mani il re dei Cieli, ai vostri piedi il re della terra». Ogni giorno avete una potenza che Michele Arcangelo non ha. Con le vostre parole trasformate la sostanza di un pezzo di pane in quella del Corpo di Gesù Cristo in persona. VOI OBBLIGATE DIO A SCENDERE IN TERRA! SIETE GRANDI! SIETE CREATURE IMMENSE! LE PIU' POTENTI CHE POSSANO ESISTERE. Chi dice che avete energie angeliche, in un certo senso, si può dire che sbaglia per difetto.

Sacerdoti, vi scongiuriamo: SIATE SANTI! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, noi siamo perduti! [SM=g1740721]

Sacerdoti, noi vi vogliamo ai piedi dell'Altare. A costruire opere, fabbriche, giornali, lavoro, a correre qua e là in Lambretta o in Millecento, siamo capaci noi. Ma a rendere Cristo presente ed a rimettere i peccati, siete capaci SOLO VOI! [SM=g1740722]

Siate accanto all'Altare. Andate a tenere compagnia al SIGNORE. La vostra giornata sia: preghiera e Tabernacolo, Tabernacolo e preghiera. Di questo abbiamo bisogno. Nostro Signore è solo, è abbandonato. Le chiese si riempiono [si fa per dire] soltanto per la Messa. Ma Gesù sta là 24 su 24 e chiama le anime. A tutti, anche a noi, ma in particolare a te, sacerdote, dice di continuo: «Tienimi compagnia. Dimmi una parola. Dammi un sorriso. Ricordati che t'amo. Dimmi soltanto "Amore mio, ti voglio bene": ti coprirò di ogni consolazione e di ogni conforto».

Sacerdoti, parlateci di DIO! Come ne parlavano Gesù, Paolo Apostolo, Benedetto da Norcia, Francesco Saverio, Santa Teresina. IL MONDO HA BISOGNO DI DIO! DIO, DIO, DIO Vogliamo. E non se ne parla. Si ha paura a parlare di DIO. Si parla di problemi sociali, del pane. Ve lo dice uno scienziato: nel mondo C'E' PANE! CI SONO RISORSE CHE, se ben distribuite, possono garantire una vita, forse modesta, ma CERTAMENTE PIU' CHE DIGNITOSA A 100 MILIARDI DI UOMINI! L'UOMO HA FAME DI DIO! E si uccide per disperazione. Dobbiamo credere, ecco il compito delle Missioni: donare DIO al mondo!

Suore, scusate se vi parlo così: tornate ad abituarvi al silenzio! [SM=g1740722]
Bello tutto, la preghiera collettiva è potentissima davanti al Signore. Ricordatevi, però, che si può fare una preghiera insieme anche lontani 100.000 km. La vicinanza è nel cuore di DIO, non nel contatto dei gomiti. Anzi, anche a contatto di gomiti, perché noi non disprezziamo le realtà concrete, visibili e materiali. Ma attenti a non esagerare. Chi volesse dire solitudine soltanto sbaglia, ma chi dice solo appiccicamento di cuore sbaglia. Sbagliano l'uno e l'altro.


Enrico Medi


fonte: www.enricomedi.it/opere.htm

[SM=g1740738]


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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